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ì
LA COMMEDIA
DI DANTE ALIGHIERI
La presente ristampa colla data del 18G3 si distingue
alquanto dalle precedenti per alcune aggiunte e mutazioni
fatte qua e là nel C!omento dall'Autore di esso.
L' Editore,
LA COMMEDIA
DI
DANTE ALIGHIERI
pioiniTiiio
NOTAMENTE RIVEDUTA NEL TESTO
E DICHIARATA
MA BSVIVOIVE BIANCBI.
IOTA nmOM COAKtMTA Dlt BIMAKU».
EJiiioM «torMlip*.
FIRENZE.
FELICE LE MONNIER.
1863.
i^-H-i,"»-. (.3,3
Otftor
AVVERTIMENTO DEL COMENTATORE.
Il Comento che per tre edizioni consecutive è Tenuto alla
luce sotto il nome del Costa e mio , esce ora col mio nome
soltanto; non già che io abbia avuto la vanità d'esser solo;
cfaè non potrei ad ogni modo dar gran peso a siCTatti lavori,
dove so che molta è la fatica, poca o nulla la gloria; ma perchè
se numerosissime erano fin qui le aggiunte e i cambiamenti
d'ogni maniera da me fatti alle note di quel valente Filologo ,
tanti altri ve ne ho latti ora all' occasione di questa nuova ri-
stampa , che il comento di lui può dirsi quasi sparito , non es-
sendoci rimasto che certe annotazioni comuni , quali trovansi ,
parola più , parola meno , in tutti i cementi , e che io ho la-
sciato stare ogni qual volta ho creduto non si potesse far me-
glio. Vero è, che non amando io ingannare, come non mi piace
d' essere ingannato , debbo confessare , che chi si metta oggi a
cementar Dante, ben poche volte interpretando od osservando
pu<S dire con verità primtis ego. Il comento alla Divina Com-
me<]ia si lavora da cinque secoli , e letterati molti e di molto
ìn^f^vmo vi han dato mano in tutti i tempi ; e tanto per la illu-
strazione istorica , quanto per la spiegazione del senso sì lette-
ne che allegorico sono state scritte migliaia e migliaia di pagine,
biche può dirsi, che in questa materia si patisce più del troppo
che del poco ; per che tutta la lode che oggi rimane a un cemen-
tatore , quando cose nuove difTicìlmente si posson dire, è il cri-
terio della scelta, e il modo dell'esporre. Ma che dunque? mi
potrebbe taluno rispondere: non ci sarà egli più nulla da fare
dof-io di te? É omai tutto chiaro in Dante? — Adagio un poco;
r\ù- [»er istrìngermi ragionevolmente colla prima domanda, biso-
;:n:iva ch'io mi fossi dato vanto d* aver sempre veduto e scelto
li meglio; e questo io non l' ho detto, né lo presumo. Alb se-
1 DEL COHENTAn
conda risptm do senza esitanza, che molto anzi rimane dell' ose)
e del dubbio nella Divina Commedia ; ma dico al tempo Bloti
che lab oscurità e dubbiezze sono di lai natura , che j conit
tatori non possono, e forse non potranno mai, dileguarle : ed (
1 poche parole il perchè. Primieramente , te imagtni
finzioni composte e presentateci dall'Alighieri non sono sempn
o almeno non appaiono a noi, cosi certe e deliDÌte, che non
possano volgere in Lutto o in parie a piii e diversi sensi : quindn
divisione degl' interpreti secondo lo spirito o la preoccupaiioc
di ciascuno, la qualiti) dell' ingegno, degli sludj ec. Manchìam
in secondo luogo di molte notizie parlic^lari riguardanti la vita d
lui; conosciamo poco gli uomini con cui ebbe che fare; non ci i
chiaro abbastanza , e per ogni rispetto, l'andamento delle cose d
quel tempo, certe opinioni, certi usi; perlochè sono lasciati alL
congettura e al forse parecchi passi, che per piìi e migliori cogni
uoni sarebbero manifesti. In terzo luogo, è da considerare la na-
tura delle parole, che non essendo numeri , non rendono sempre
un'idea certa e immutabile, ma divenute talvolta col variare
. .plei tempi edeghusi capaci di più significazioni, tengono sovente
,lospeso tra l' una e l'altra l' interprete. E a tulio ciò s'aggiunga
I l'incertezza del lesto in (anta diversità dei codici, de' quali non
e trovi pur uno, per quanto pregevole sia, che non porti più
L,t|ua più là degli errori palesi, e roen felici lezioni; lanlo che non
I polendo un comentalore dar tutta la fede ad un solo , e quello
[ seguire da capo a fondo, è costretto S comporsi un testo raccolto
I do cento manoscritti e stampati ; i quali sebbene non presenlinu
I ,]dlra differenza che di parole , pure queste non di rado son tali da
liltorturare il cervello , senza che si possa dopo tutto uscire all'atto
B;#el grave dubbio se si abbia in nessuna delle noie lezioni la ge-
Auina dell'Alighieri. Equeslaè forse la solvente piii ampia delle
^ispule e delle gare dei letterati; lai cbe io son d'avviso che se
|1é fortuna impietosita di tanto loro arrotarsi tirasse fuori oggi o
K^omani dalle tenebre dove si giace il codice autografo del gran
iPoela, sarebbe risparmiato per questo solo lato un buon terzo
Pdcl lavoro a chi coracnla, e alliettanlo di noia a cbì legge.
llBL COmilTATOlB* VU
Onte lono k agionì che in molti luoghi fimno difficile e dub-
Hèi eoofiellD di Dante; e finché rìmarranno, i comentatori
Mtto sempre alle prese, e nd gran campo ddl' opinione
ckì lerri l'ima parte, e chi 1* altra.
Mi venendo ora a dire qualche cosa del mio hvoro, ripeto
fiddie anco neDe precedenti edizioni avvertii, che ho mirato
priaeqialmeote ai giovani, coi quali non si vuol essore né tnqppo
imliì, per non lasciarli al buio o imbarazzati; né di soverdùo
rsp'ssi, per non recar loro fastidio. Perciò io annoto tutto, ma
(atto speditamente: poche citazioni, pochissimi confronti, e
ailofi soltanto che sian richiesti dalla necessità di ccmvincere il
iettore: rarissime qudle esclamazioni, così frequenti ad altri
■odemi comentatori, sulla bellezza dei versi, dei concetti,
deOe deaerisioiii , perchè troppo ripetute stancano ; e sono poi
anco vane, quandoché chi ha un po' d'anima la sente da sé
senza bisogno di svegliarino, e chi non l'ha, non serve che il
cooMOtatore gridi bada bada. Quanto all'accennata difficoltà
della lezione, e per quel che riguarda l'allegoria principale, per
b prima ho sempre seguito la più sempUce e quella che ho sti-
auto la più conveniente al contesto , scegliendo dai codici e
dalle edizioni più accreditate , e fuggito in ogni caso l'arbitrio,
a costo anco di ritenere talvolta qud che apparisce men chiaro o
men buono. Quanto alla seconda , persuaso che quella allegoria
non sia governata da un solo e medesimo concetto (conciossia-
chè, secondo i principj di Dante, la Rigenerazione morale ^ che
certamente è l'intendimento primario del poema, non si possa
operare senza la riforma politica , perchè il Guel/Umo è disor-
dine necessario, e solo \ Impero conduce il mondo a virtù, sì
che l'uno è respettivamente quasi sinonimo dell'altro), ho
messo in mano ai giovani questa doppia chiave , di cui volgen-
do accortamente ora l' una parte ora 1* altra , potranno aprirla
quanto basti ed intenderla.
E qui mi cade opportuno di (are una dichiarazione, la
quale potrebbe dirsi vana e ridicola, se non fosse provocata dal
nial giudizio che fin dalla edizione precedente pronunziò contro
DEL COUBNTATOBB
I
le mie note uno zelante censore di questo mondo. Col qualf
farócome fece con Filippo di Macedonia quel buon uonio,clU|
l'ivato con una dì quelle non tanto insolite sentenze sbrìgalìvfj
il capo e il collo , e parendogliene male , né polendo far oltf
ee n'andò dicendo: m'appelleróa Filippo digiuna. La dichi»
none dunque è questa: Quando iodico che Dante, quanto AlI
verente e devoto al Papa come vicario dì Gesù Cristo e Cl^
della Chiesa universale , altrettanto è avverso a lui come pn
cipe temporale; che dalla potestà secolare e dall'avarizia del
curia papale, ora sotto fìgura ora scoperlamenle espresse, i
petendo egli la più forte opposizione al rinnovamento dell' in
pero latino, ripete altresì la massima parte dei viij e dei ma
d' Italia e della Chiesa , e via discorrendo (e queste cose no
gliele fi> dir io. ma provo che veramente le dice), io non son
sostenitore o seguace di queste sue opinioni, che anzi ì
piij luoghi all'occasione lo ho notate come esagerate, e parr
di passione; ma quali che fossero, non potevo dissimularle m
falsarle, quando era necessario che l'esponessi a intelligeni:
di varj punti del suo Poema.
E questo sia suageJ cL'ogni uomo sganni.
^.
Quanto poi a chi patisse scandalo per le acerije riprensioni
della vita irreligiosa e del mal costume dei prelati e del clero
di quei tempi, dirò che costui non deve aver mai letto quel che
già scrissero su bic ai^omcnlo uomini santissimi , come un
San Pier Damiano, un San Bernardo, una Santa Caterina sanese
[non vo' dir del Petrarca percliè non è santo), che altrimenti ni
bì scandalizzerebbe né farebbe le maraviglie per tanto meno
che ne ha detto Dante. Eppure i liberi scritti di quei sapienti
noD sono stati per anche da alcuna potestà condannati.
Del rimanente, ho voluto che a questa nuova edizione
lelU Divina Commedia fosse premessa la vita che del sommo
i icrisse con molta eleganu il Bruni , detto comunemente
tarde Aretino; e a parecchie notìzie che forse i giovani pò-
ArrUTIMElfTO DEL COMBNTATOBB.
IX
Ina desiderare y ho supplito con alcune brevi note, che ho
fute a pie di pagina. Ma chi gradisse acquistare più profonda
cognizione dell'uomo e delle sue opere può ricorrere agli eccel-
soti liTori del Pelli e del Balbo, dove troverà largamente da
Finalmente, a maggior pregio dell* edizione, e provvedendo
ttcke al comodo degli studiosi di Dante , il tipografo-editore
^ ha noito il Ai mano , col quale , sol che ti ricordi d* una finale
à'm verso» potrai ritrovare ogni passo che ti bisogni.
Brunone Bianchi.
i854.
— *»•*"
l
VITA DI DANTE
SCRITTA DA LEONARDO ARETINO.
Afcado in questi gtoni poeto flne a un'opera tsni Ingi, mi
venne appetito di volere, per ristoro dell*aÌl^ticato ingegno, leggere
Ileana cosa volgare; perocché, come nella mensa an medesimo cibo,
cosà negli stodj ona medesima lesione continuala rincresce. Cercando
ndnnqoe con questo proposito, mi venne alle mani un' operetta del
Boccaccio, intitobta: Deità vila, eoiiumi, e $iu4i del elari$timo Poetm
Amie. La quale open, benché da me altra volta fosse stata dlUgen-
lissiniafliente letta, por al presente esaminata di nuovo, mi parve
che il nostro Boccaccio, dolcissimo e suavissimo uomo, cosi scrivesse
la Tju e i costumi di tanto sublime Poeta, come se a scrivere avesse
il Filocolo, o il Filostrato, o la Fiammetta; perocché tutta d'amore
e di sospiri e di cocenti lagrime é piena, come se Tuomo nascesse
in questo mondo solamente per ritrovarsi in quelle Dieci Giornate
aiDorose, nelle quali da donne innamorate e da giovani leggiadri
nccontaie furono le Cento Novelle; e tanto s* infiamma in queste
parti d'amore, che le gravi e sustanzievolj parti della vita di Dante
liscia indietro e trapassa con silenzio, ricordando le cose leggieri e
ucendo le gravi. ' lo dunque mi posi in cuore per mio spasso scriver
di nuovo la Vita di Dante con maggior notizia delle cose slimabili.
N^ questo faccio per derogare al Boccaccio, ma perchè lo scriver
mio sia quasi un supplimento allo scriver di lui.
I maggiori di Dante' furono in Firenze di molto antica stirpe,
iountochè lui pare volere in alcuni luoghi ^ i suoi antichi essere stati
«li quelli Romani che posero Firenze. Ma questa è cosa molto incer-
u, e, secondo mio parere, niente è altro che indovinare. Di quelli
* Qveftto medctinio ginditio lal lavoro del Boeracdo proouosiarono altri
«alcali aomioi, coaw il VdlaUllo, il Bisdooi, il Mafici aella f^trcmm iifutU-mlm,
rJ altri; ou coatottocio io aoo d*opiaioiM dia meriti Mopre d'taacr tconta ia
■i«Uo cesto la aarraiioaa del piò aotico «criuora della com di Daota, a quasi a
.m cooicMporaooo.
S II vero BOOM fa DmrmnU, cbt poi all'ou» fioreotioo fo abbreviato io
sacllo di DmnU.
* lo alcooi looghi ddla Commulim, m» eoa molla inccilciaa» fa <*eiiiiodi
;«eaia siu aotica origine.
I
%„ Vlt* DI DANTE.
che io bo natlibi ti trilavolo suo tu mraser Cacclagalda, civaltc
iliirenlìDo, il quale milllb Mtlo l'imperadorCurnilo. • Questo messe
Caccìagulda ebbe due fratelli, l'uno chiamato Uuronla, l'altro ElUec
Di HoroniD non si legge alcuna successione; ma da Eliseo nacqu<
quella famiglia nominata gli Elìse! ; e torse nnche prima avcano qae
Sto nome. Di messer Cacciaguiila nacquero gli Aldìghicrì, eoa) nomi
nati da un suo Qgliuolo, il quale per stirpe materna ebbe nome Aldi
gbieri. ' Uesser Cacclaguida e I fratelli e I loro anUchi abitarono quag
In sul cauto di l'orla San Piero, dote prima vi s' entra da Uercatc
Veccbio, nelle case cbe ancora oggi si cblsraano dclli Elisei ; perche
a loro rimase l'anlLcbilil. Quelli di mcsser Cacciai^iida, delil Aldi-
gblcrii abitarono in su la piazu dietro a San Martino del Vescovo,
dirlmpello alla via cbe va a casa i Sacchetti; e dall'altra parta gì
Stendono verso le case de'Danati e dei Giuochi. ' Nacque Dante nelli
anni Domini lìGS, poco dnpo la tornata de' Guelli in Fìrcnie, aliti
in esilio per la BcooOtta dì Uonlapcrli. * Nella puerizia sua notiilo li-
beralmente e dato a' precettori delle lettere, aubilo apparve in lui
ingegna grandissimo e attissimo a cose eccellenti. Il padre suo Aldi-
ghieri ' perde nella sua puerìiia ; nlentedi manco, confortalo da' pro-
pinqui e da Brunetto Latini, TalenUssimo uomo secondo quel tempo,
non solamente a litteratura, mi a gli altri studj liberati si diede ;
nieute lasciando indietro che a|^rtenga a far l'uomo eccellente: tiC:
per tutto questo si racchiuse in ozio, ai privnssl del secolo ; ma, vi-
vendo e conversando con li altri giovani di sua
Il lUigiii) digli àldighiiri di Ptmn. Il
ini> dil DiirM dilli milR JUIfhlfo,
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▼ITA DI DANTE. IIII
aeeorio e vtloroto» td ogni eserctxio giovanile si trovava; inlantocliè
ia q/ÈtXÌM battaglia memorabile e grandissima, cbe fli a CampakUno,
tei giovane' e bene slimato si trovò nell'armi, combattendo vlgoro-
ttOMnte a eavallo nella prima scbiera, dove portò gravissimo peri-
colo ; perocché b prima battaglia fu delle schiere eqoestri, nella
qaale i cavalieri che erano dalla parte delti Aretini, con tanta tempe-
sta vinsero e snpercfaiarono la schiera de* cavalieri iloraitinl, che,
sbaraltalì e rotti, bisognò fuggire alla schiera pedestre. Questa rotta
tm qneOa cbe fé perdere la battaglia alli Aretini, perchè i loro cavi-
vincitori, perseguitando quelli che fuggivano, per grande dl-
lasciarono addietro la loro pedestre schiera; sicché da
qoindl Innanii in ninn luogo interi combatterono, ma i cavalieri
•oli 6 di per sé sema sussidio di pedoni, e i pedoni poi di per
sé sena sussidio de* cavalieri. Ma dalla parte de' Fiorentini ad-
divenne il contrario; che, per esser fuggiti i loro cavalieri alia
schiera pedestre, si Cerone tutti un corpo, e agevolmente vinsero
priaaa i cavalieri e poi i pedoni. Questa battaglia racconta Dante in
una soa epistola, e dice esservi stato a combattere, e disegna la for-
ma della liattaglia.'
E, per notizia della cosa , sapere dobbiamo cbe Uberti , Lam-
berti, Abati e tutti li altri usciti di Firenze erano con li Aretini;
e tutti li usciti d'Arezzo, genliluomioi e popolani Guelfi, che
in quel tempo tutti erano scacciati, erano col Fiorentini in questa
battaglia. E per questa cagione le parole scrìtte in Palagio dicono:
SconfUii i Ghibellini a Certomondo; e non dicono: Sconfitti gli Are-
ttnà; acciocché quella parte degli Aretini che fu col Comune a vin-
cere, non si potesse dolere. Tornando dunque al nostri proposito,
dico che Dante virtuosamente si trovò a combattere per la patria in
questa battaglia. E vorrei che il Boccaccio nostro di questa virtù
avesse fatto menzione, più cbe dell'amore di nove anni e di simili
k»gg>erezie che per lui si raccontano di tanto uomo. Ma che giova a
dire? la lingua pur va dove il dente duole; e a chi piace il bere,
sempre ragiona di vini. Dopo questa battaglia tornatosi Dante a
ca^, alli studj più lerventemente cbe prima si diede ; e nondiroanco
niente tralasciò delle conversazioni urbane e civili. E era mirabil
rosa, che, studiando continuamente, a niuna persona sarebbe panito
rh'egli studiasse, per l'usanza lieta e conversazione giovanile. Per
la qual cosa mi giova riprendere Terrore di molti ignoranti, i quali
credono ninno essere studiante, se non quelli che' si nascondono in
* La katUglia di Campaldiao aYTcnoe nel i989, «quando Dania avea S4
«■DÌ.
* Si fa erano di questo fallo d'arme anche nel V« drl Purg.^ dorè si parla
irlla morie di Duonconle di Montefellro, capitano per gli Arclioi.
V Eolitudliu
* rimiMHl li
solitudine ed in otto: ed io non vidi mai niano di quesli C!
rimossi dalia conTersazionc delli uomini, elle sapesse tre lelHh
L'inBegno gronde ed allo non ba bisogno di [ali U
verissima conclusione e certissima, cbc quelli cbu non
non ajiparaiio mal ; siccliÈ stranarsi e levarsi dalla ci
mito di quelli cita niente eoo atli col loro basso ingegno ad imprcn
dere. Né solamente conversò citilmeolc Dante con li uomini, ma »o
Cora tolse moglie in sua giovanezza ; e la moglie sua fu gentildonna,
della famiglia de' Donati, cbiamata per nome madonna Gemma, della
qoale ebbe più Hgliuoll, come in altra parte di quest'opera dimo-
streremo. Qui il Boccaccio non La ppzienza e dice le mogli essere
contrarie alli studj; e non sì ricorda cbe Socrate, il più noUle Slo-
BOfo che mai fusse, ebbe moglie e Qgliuolj e uDci nella repubblica
della sna cittì; e Aristotile, cbe non si può dir piil lì di sapieou e
di doltrìDa, ebbe due mogli in varj tempi, ed ebbe llglluoli e rie-
cbene assai. E Uarco Tullio e Catone e Varronc e Seneca, litinl,
sommi DIosoB miti, ebbero moglie, oOci e governi nella repubblica.
Siccbè perdonimi )l Boccaccio: i snol gindic] sano mollo Qcvoh io
questa parte e molto distanti dalla vera opinione. L'uomo ò animale
civile, secondo piace a lutti i Hiosoli. La prima coogluniione, dalla
quale multlptlcaia nasce la cittì, è marito e moglie; nò cosa può es-
ser perfetta, dove questo non sia; e solo questo amore è naturale,
legittimo e permesso. Uaiue adunqoe, tolto donna, e vivendo civil-
mente ed onesta e studiosa vita, In adoperato nella repubblica as-
sai; e Qualmente, pervenuto all'eli debita, fu creato de' Priori, non
per sorte, com'.- s' usa al presente, ma per eleiionc, come In quel
tempo si costumava di fare. < Furano nell' uOcio del Priorato con lai
messer Palmieri degli Altoviti e Neri di messer Iacopo degli Alberti
ed altri collcgbi; e fu questo sno Priorato nel milletrecento. Da que-
sto Priorato nacque la cacciata sna e tutte le cose avverse eli' egli
ebbe nella vita, secondo esso medesimo scrive in una sua epistola,
della quale te parole son queste: > Tutti li mali e tulli gì' inconve-
nienti mici dalli infausti comiij del mio Priorato ebbero cagione e
del quale Priorato, bencliÈ per prudenza io non fossi de-
floo, nientedimeno per fede e per eli non ne era indegno; perocché:
ih Ha Vi
■'iSgiugpoisaa, B'
0 gii pusati dopo la batuglia di CainpaldiDO, nella
e ta p«e ghibellina fu quasi al imio morU e disfatu, do*e ni
il Ma bncìullo oell'anai, e dove ebbi lemenza molta, e nella
allegrena per li var} casi di quella battaglia. ■
M le parole sue. Ora la cagione di sua cacciala voglia par-
te rKContare; perocché è cosa notabile, ed il Boccaccio
a eod asciuttamente, che forse non gli era così noia come
i, per cacone della storia che abbiamo scriita. Avendo prima
« 1M (alti di FIrenic divisioni assai tra Guelfi e Ghibellioi, final-
: mani de'Unelfl; e, stata assai luogo spazio
> in «inesta forma, sopravvenne di nuovo un'altra maladì-
1 1 GuelS medesimi i quali reggevano la repubbli-
||C li a UMne delle Partì, Bianchi e Meri. Nacque questa perversità
e massime nella famiglia de' Cancellieri; * ed es-
logift dMsa tatta Pistoia, per porvi rimedili fu ordinato da' Pio-
li dM 1 api di queste Sette venissero a Firenze, acciocché \i
o maggior lurbazìone. Questo rimedio fu tale, che non
I ■' Pistoiesi, per levar loro i capi, quanto di male
m'flSRnlìBl, per tirare a tàqiietla peslileniia. Peroccbt, avendo
e parentadi e amicizie assai, subito accesero 11 fuocg
<, per diversi Eivori che aieano da'parenlì e
I, elM non era quello cbe lasciato ateano a Pistoia. E trat-
iria puUics el privatim, mirabilmente s'ap-
e e divisesi b cIM tutta in modo, cbe qoasi non il
■ nobik) ut plebea cbe in sé medesima non si dividesse;
bit Bs «omo particnlare di stima slcona, che mtn fusse dell'uni
. E irovostl la divisione essere Ira fratelli carnali; chà
e r altro di U teneva.
■neido git durala la contesa più mesi, e in ulti pi Ica ti gli
imente per parole, ma ancora per btii di-
i m acerbi, cominciati tra' giovani, e discesi Ira gli uomini
Mn eU. h ditt stava tutta sollevala e sospesa. Avvenne
■iMJn Dante de' Priori, certa ragunaia si le per la parte
ri a«na (lti«M di Sanu Trinila. Quello cbe trattassero fn
I
I
cosa mollo scgreia; ma l'cITctto fU di far opera con papa Bonif
ilo Vili, il quale alluva seJeva, che mandasse a Firenze mess>
Carlo di Valois, de' reali di Francia, a pacificare e a rìfonnsi
la cillk. ' Questa ragunata sentendosi per ì'atlra parte dei Biai
chi, tuliilo se ne prese suspinone grandissima, intantochè presei
l'armi e forDiroDsi d' amisU e andarono l' Priori, aggravando la n
gnnata fatta e l'avere con privato coiisiglÌD presa deliberazione dell
stato della cittì : e tutto esser fallo, dicevano, per cacciarli di nrci
te ; e pertanto domandavano a' Priori che facessero punire tanto pn.
sontuoso eccesso. Qaelli cbc aveaoo fatta la ragonata, icmendo an
oora essi, pigliarono l'armi, e appresso a' Priori si dolevano dell
avversali, che senza tleiiberaiione pubblica s'erano armati e fonili
cali; affermando cbc sotto varj colorili volevano cacciare; e doman
davano a' Priori cbe II (acessero punire, si come turbatori delh
qgiete pubblica. L'nna parte e l' altra di fanti e d'amlsU forniit
«'erano. La paura e il terrore e il pericolo era grandissimo. Essendc
adunque la città in armi e io travagli, i Priori, per consiglio di
Dante, provvidero di fonllicarsl della moltitudine del popolo; e,
quando fiirano fortificati, ne mandarono a' conlini gli uomini princi-
pali delle due Sello, 1 (|uati furono questi: messer Corso Donali,
messer Gerì Spini, messer Giaochiaoito de' Pazzi, messer Rosso
della Tosa, ed altri con loro: tutti questi erano per la parte Nera, o
furono mandali a' confini al castello della Pieve In quel di Perugia.
Dalla parte de' Bianchi furon mandati ai confini a Serezzana messer
Gentile e messer Tarrigiano de' Cerchi, Guido Cavalcanti, Baschiera
della Tosa, BatJinaccio Adimarl, Naido di messer Lottino Gherardinì
ed altri. Questo diede gravezia assai a Dame; e coniuUocbÈ esso si
scusi, come uomo senza Parte, nieniedimanco fu riputato che pen-
desse in Parte Bianca e cbe gli dispiacesse il consiglio leniito In
Santa Trinità di chiamar Carlo di Valois a Firenze, come materia di
scandalo e di guai alta cittì: e accrebbe l'invidia, percliÈ quella
parte di cittadini, cbe fu confinata a Serezzana, subito ritornò a Fi-
rensc; e l'allra, ch'era confinata a castello della Pieve, li rimase di
fuori. A questo risponde Dante che quando qaelli di Serezzana fu-
rono rivocatl, esso erj fuori dell' uQcio del Priorato, e che a lui non
si debba imputare. Più dice die la ritornata loro fu per la iuBrmilì
e murte di Guido Cavalcanti, il quale ajnmalbaSereztana per l'aere
cattiva, e poco appresso mor). Questa disaggusBlianzs mosse II papa
» mandar Cario a Firenze, il quale essendo, per riverenia dol papa e
< È di DDIin clw mIIi BiKiKoDt delle cigioni ■ v.rtixli .li qu»» p"1i '
iiÈt OM di Fnnti», oDoreTolmeoU rìcevnU) Della dllk, di Rubilo
rinfsa dcMra I dtudini conOuUi e appretso cacdb ì» Parte Biut-
l'a. ■ L> cÈ^tne la per rÌTelaiione di cerio iralUio fallo per mesier
Hero Fcmali suo barone, il quale disse essere sialo richiesto d*
ire gcMiltwmiai della Parte Bianca, ciob da Muldo di messer LolUuo
Cb<!t>idini, da Baschiera della Tosa e da Daldiaacc^io Adimari, di
adupvrar ti con messer Carlo di Vakiis, cbe la loro Parie rimanesse
Mtfierìore sella ìem; e cbe gli iveano promesso di dargli Prato in
goTMVO, H tacesse questo: e produsse la scrillura di quesu ricbie*
SU « promesM co' suggelli di costoro. La quale scrittura originale
io bo TedoU, peroccliè ancor oggi È io Palagio con altre scriltiira
pafeMiciie; ma, quanto a me, ella mi pare forte sospetta, e credo
ocfu die dia sìa Ottisia. Pure quello cbe si tusse, la cacciala segniti
dì taiia la Pane Bianca, masiraudo Csrìo gnnde sdegno di questa
ridiiMU • promessa da loro fatu. Dante In queslo tempo non era In
Hrwiw, aM era a Roma, mandato poco avanti arobssciadore al papa,
per ofleritc la concordia e la pace de' cittadini ; nondlmanuo, por
Mdt^o 4Ì coloro cbe nel suo Priorato conllnati furono della Parte
Hm9, tS b cono a casa e rubata ogni sua cosa e dato il guasto alta
MK poMeufooii e a lai e a messer Palmieri AIIotìU dato bando
iloBa peuou», per eoolunucia di non comparire, non per feriti d'«)-
via del dar bando fu questa : cbe legge fecero
ersa, la quale si guardava in dietro, che il podestà di
se e doresse conoscere de' falli commessi per l' addle-
o d«l Priorato, contullocliè assoluiionc fusso seguila.
l*c« qiMtta lene diato Dame per messer Canlc du' Gabbri «ili, alton
ftàetlà di FirOBM, essendo assente e non comparendo, fu condao-
e pubblicati i suoi beni, contuttoché prima rubati o
0 detto come passù la cacciata di Dante, e per che
: ora diremo qual fiisse la vita sua nell'est-
a Darne la sub ruina, subìio parti di Roma, dorè era ant-
t, t, camminando con gnu celerità, ne venne a Siena.
I ptb chiaramente la sua calamiti, non vedendo alcun
1, Mlberti accollarsi con gli altri usciti, e il primo accona-
O h ka una congregaiionc degli usciti, la quale si fé a Gorgon-
L A*^ traUale molte cose, lìnaluiente fermarono la sedia loro ad
t, e ^Dln tcrono campo grosso e crearono kiro capitano il conio
rad* Romena; fcron dodici consiglieri, del nomerò del quali
i: ed) Bpemnia in sperania sicttoro Inlloo all'anno raillelre'
; e allora, (atto sfono d'ogol loro amisU, ne vennero
É
1111
WTA I
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e In Flreiiie con granilIssimB molllludlnc, la qnale^
solamente di Arezzo, ma da Bologna e da Pistola con loro ai fl|
giunse; e, giugneoJa imiiruvvlgi, subito presero una porla di I
rcou) e Tinsero parie della terra; ma llDalmeote bisogni) se ne I
duuro senza frutto atcano. ' Fallita dunque questa tanta speram
non patendo a Dante pl<i da perder tempo, parti d'Areno e onde
sene ■ Verona,* dove, rlceruto molto cortesemente da' signoti de!
Scala, con loro Tece dimora alcun tempo, e rldnssesi tutto a tirailt
cercando con buone opere e con bnoni portamenti riacquistare
grazia di poter tornare in Firenie per ispontanea rivocaiioDO di ci
reggeva la terra; e sopra questa parte a'aOatìcò assai e scrisse pi
TOlte non solamente a' particulari cittadini del reggimento, ma ancor
al popolo; e intra l'altre nn' epistola assai lunga che iacomincia
PopuU mtt, quid feci HbiT Essendo in questa spcrania di ritornar
pervia di perdono, sopravvenne l'elezione d'Arrigo di Lutinborgi
Imperadorc; per la cui elezione prima, e pai la passata sua, cssendi
latta Italia sollevata in speranza di grandissime novitì. Dante noi
potÈ tenere II proposilo suo dell' aspettare grazia; ma, levatosi col'
l'animo altiero, cominciti a dir male di quelli che reggevano la terra,
•ppelUndoli scellerati e cattivi, e niinacclaudo loro la debita vendetta
per la potenza dell' imperadore, contro la quale diceva esser ranDirc-
HO ch'essi non avrebboo potuto avere scampo alcuno. Pure il leone
• Dal '(Ili 64 e Kg. del CtDto XTtl di] Par. ti ccngttLnn chi Dulg bob
pttDdtiK pili* 1 qnetlD utillo, (Ih fu ■' n luglio 110 4, r<iTH ptKhir, prndeoti
»« *tdt<i <]ikI Diriii iDiGcitBll, 0 ■» |li cmloi ben orilinili, ptrinan <bc k
iM|1la iipilliR e r>i btBt, diB, p<r lanithii fniii, miDin 1 1 ^1, liiri.
■ So ifbuia rpixn ddli primi ^Li di Dmu ■ Vciooi 4 gran ducRpuu
nw Bel 1303, quando n'eri liiODii Birtolomm» dilli Scili. Ha il Pilli k ài
«piaim cbe BSD tì iDdiiie piimi del IMS. quando dominili All.aìae. Pinbl,
•KWla Ini, Uno iir (Itali del 1 S04 rimi» in Toicani. da cai bob l' itlgoUnì
da dopo (•Ilio iDlti It ipenniadel (Wi pillilo. Quindi li net ■ Batogaa don
(«aiBto<bei<e>KÌhiti»in>llS06. Tn a S e il 7 » itati pituo • tignali
V«»Bi primi del I30B. 1.
Phlra, lo lidio Egllo del
■j> pero the gli
i
|aen(|ii>a Banalammia. Vedi Pur., Canio XVH. È ■ confe
>U epKbe dei *>(j togiiotai d>ir*ll|liin< io quella piiU ( il
li limpo d'Albo»
■ re però cb« qiie-
VIT* IH li*I1TE, 111
» b riTcreou della patria, clic, venendo rimperadoro contro a
Drcnie e poneDdosi ■ campo presso alla porla, non vi volle essere,
wcoDdo lai scrive, conluttocLb coiifortalore fusse stalo di sua venu-
\3^ * Morto poi l'iinpcradore Arrigo, il rjuale ucllo seguente siale mori
a BaMiMOtenlo, ogni speranza al Lullo fìi perduta da Dante; peroc-
tìiè iti gnùa egli iDcdesimo si avea tolto la via per Io sparlare e
KriTer« oontro a'cIUadini die governavaDO la repubblica; e tara
Boa d nsuva, per la (|iiale più sperar potesse. ' Slccli^, de]>asia ogni
(pcnnia, povero assai trapassò il resto della sua vita, dimoraodu in
tir) Inoglii per Lombardia, per Toscana e per Romagna, sotto II slis-
tidio di vafj sigaori, per ìuIìdo die Onalmente si riduiise a Ravenn*,
ilvte Qui M* vita. >
PoieU dello abbiamo delti aOiinnl suol pubblici, ed In noe-
ta fian» mostrato 11 corso di sua vita, diremo ora del sno slato
donmllco e da' suoi costumi e sluilj. Dante innani) la cacciali
a di Firauc, contutlocIiÈ di graudlsslma riccheua non fusse, Dien-
4
tedimeoo dod fu povero, mu ebbe pairìmonio mediocre e suffieteoli
ai sUete ODoraUmeaie. Ebbe un tralello chiamilo Fnncesco Ali-
gbieti ; ebbe moglie, come di sofira dicemmo, e più Bgliuoli,' de'qoali
reso ancor i^gl successione e stirpe, come di koUo raremo inenEìo-
De. Caie in Firenze ebbe assai decenli, congiunle con le case di Gierì
di messer Bella suo consono; possessioni io Camerau e nella Pia-
centina e ia piano di Kipoli ; suppellclLile abbondante e preziosa, se-
condo egli scrive. Fu uomo mollo pulito; di sutura decente e di grato
aspetto e pieno di graviti); parlatore rado e lardo, ma nelle sue rì-
Bposle molto sottile. V eOgie sua propria si vede nella chiesa di
Santa Croce, quasi al mezzo della cbiesa, dalla mano sinistra andando
verso l'aliare maggiore, e ritratta al naturale otiimamente per dipio-
.tore perretto di quel tempo.) Oileltossì di musica e di suoni,* e di sua
mano egregiameoie disegnava. Fu ancora scrittore pcrTeiio,' ed era
U lettera sua magra e lunga e molto corretta, secondo io bo veduto
fa alcune pistole di sua propria mano scritte. Fu usante in giovaneua
ma con Blovanì innamorati; ed egli ancora di simile passione occu-
palo, non per libidine, ma per gentilezza dì cuore: e ne' suol teneri
anni vers! d'amore a scrivere cominciò, come vedere eI può In una
■u operetta YUlgare cbc si cbiama fila Suvva. ' Lo studio suo prin-
riil.
u.d< d. p»l.R d.1 .ilr>l<. di Di.U dipint. .n fr..co d.
TtUc» Oddi od <
.<«••. delU rbko di S..I. C.OCE. in u» „on, di S»)
twtaata il guida >
un niiicol. cht bea nel rùuciUn an [inciolliDO cbt r>
diC»i«.ol,.i.cb.(
. itTrtubi » i.-ai.d.r<iiio. Mi nwlli tllri rìlnlli farano Uù
Itini», Im'iihIÌ c oMibiU <]tKll. ci» gli ftct Gi.lis mIIi
Cq^ll. drl piluM
itti PDIUI* io FÌRUK, <h( dopo luerc lUIO •indiliciniaK
-«^»ll<> ..II. BP. m.
no di Line, la da uà pm umiDii Qatirao rìcbiiniil. illi
feu.F<.««r.J.irt,
MUM P^g..M
ti.u...cb.ildi»s
l'uu» .111» mie
(..hM).»»».
. .1 Cialo XI M Pm-g.., il B.ld.ii«i alll> vi» d. CioUo
«.«»<}».,-. i.p.
ora fan la Mapali altonj largii ul diH|a. d' Disia.
« Ciol : eIiI» u
• Il pri-O .»
.< di OiDU r. p„ B»li« G|lia di F.I» F«li*iH. <:ha
mUi«t ar». odl'alk di riici » ubi, «aligiù |«i »<»r>t
ni |i«ru<liDii>lt,i
)f.ruqMir»..r.c
li ngbilcapuro.ibt t«ri>elM<ti .gai biia. •B'fIid, t da
WMltUHllKÌ.I.I]
<ba 1. ktt pMii, a U pili •bU.oì iapiniiom a p«t,B. La
^fM ■■«•*, «di K
W.«W>li.Hl..l.
> ili <tiKilD iiw inon, diiKia la Tofin) di coimDIa ad al.
4Mi bMlli 1 Cut
ai, cha baa |>cr>Hl»CUo Aa»n i li Dacai iklli lua aicDIc.
ciptie Tu pOMis, Don ilerile, ut povera, pè ranlasiica, ma recondita
e irricchiU e ttabìliu d» vera scienzia e da molle discipline. E, per
dare ad inl^ndere meglio a ehi legge, dico clie in due modi divieno
akano poela. Uà modo si è per ingegno proprio, agliata e comtnaiso
iÌ3 alcun ligure interno e nascoso, il quale si chiama Turore e occa-
pauone di mente. Darò una almtlituiline dì quello che io vo' dire. Il
boato Francesco, non per Iscien», de per disciplina scol^lica, ma
l>cr DMupaiioae e astrazione di mente, si forte ap]ilicava l' animo
suo a Dio, che quasi si trasHgurava oltre al senso amano, e cono-
scevi d'Iddio più, che nfe per istudìo. né per lettere conoscono )
teologi. Cosi nella poesia, alcuno per interna agitazione ed applka-
lione di mente poeta Uivleae: e questa al è la somma e la piìi pei^
fetta spezie di poesia; onde alcuni dicono i poeti esser ditini, e al-
cuni lì chiamano sacri, e alcuni ti chiamano vati. Da questa asirulone
e furore eh' io dico, prendono l' appellaitone. Gli esempli abbiamo
d'Orfeo e d'Esiodo, de' quali l'uno e l'altro fu tale, quale di sopra
da me è stalo raccontalo. E fu di tanta efficacia Orfeo, clie sassi e
solve noTca con la sua lira : ed Esiodo, essendo pastore rozw e in-
dulto, bevuta wlamente l' acqua della fonie Castalia, seni' aleno al-
tro suidio, poeta sommo divenne; del quale abbiamo l'opere ancora
1^, e sono tali, che niuno de' poeti litterati e scientifici le *antag-
gia. Una speiie dunque di poeti è pt-r interna asirauone di niente:
l'altn spezie È per iscienzia, por istudio, per disciplina e arte e per
prudenza; edi questa seconda spetìe fu Daoie; perocché perisln-
d(i> di fllosofla, di leologia, astrologia, arismelica e geometrìa, per
leiionì dì storie, per rivoluzione di molti e larj libri, tigilando e sn-
d^ndo nelli studj, acquistò la scienza, la quale doiea ornare ed espli-
care co' suoi versi. E, percUÈ della qualitì de' poeti abbiamo detto,
diremo ora del nome, pel quale ancora si comprenderà la sustania :
tnntuUodiè queste sien cose che male dir si possono in vulgare idio-
ma, pnre m'ingegnerò di darle ad intendere, perchè, al parer mio,
questi nostri poeti moderni non l' hanno bene intese; né è maravi-
glia, essendo ignari della lingua greca. Dico adunque che questo
nome parla k nome greco, e tanto viene a dire quanto farìlon. Per
aver detto Insino a qui, conosco che non sarebbe inleso il dir mio;
sicché più oltre bisogna aprire l' intelletto. Dico adunque de' libri e
dell' opere poetiche. Alcnni uomini sono leggitori dell' opera altruit
e niente fanno da sé ; come arvieno al pii) delle genti : altri nomini
san tacilori d'esse opere; come Virgilio fece 11 libro dvlI'Eneida,
Stazìu fece il libro della Tebaida, e Ovidio fece il libro yelamorlb-
leos, e Omero léce l' Odissea e l' Iliade. Questi adunque che feroo
raperei furon poeti, cioè bellori di delle opere che noi a1ui\«^^Uk-
tta; t noi tÌMu» I ìéggliori, ed essi farooo i facitori. fii\aan&(>H
liarao lodare un valente uomo di studj o <li lettere, osiamo dima»
dare : fa egli alcuna cosa da sèT lascerìi egli alcuna opera da sé com
posta e EiitaT Poeta è adunque colui cbe fa alcuna opera. Potrebbe
qui aicnao dire cbe, secondo II parlare mio, il mercatante, cheserìM
le sue ragioni e ^nne libro, sarebbe poeta, e che Tiio Livio e Salo-
Btio sarebbono poeti, peroccliè cìaKono di loro scrìsse libri e fece
opere da leggere. A questo rispondo che far opere poetiche non si
dico se non in versi. E questo avviene per eceellenia dello stile; pe-
rocché le sillabe, la misura e 'I suono 6 solamente di chi dice in
versi; e usiamo di dire in nostro vulgare: costui fa cantone e so-
netti; ma per iscrivere una lettera a' suoi amici, non diremmo cbe
egli abbia fatto alcuna opera. 11 nome del Poeta signiDca eccellente
e ammirabile stile In versi, coperto e aombrato di leggiadra e alta
finiione. E come Ogni presidente comanda e impera, ma solo colui
è imperadorc cbe è sommo di latti ; cos) chi com|>one opere In versi,
ed È sommo ed eccellentissima nel comporre tali opere, si chiama
poeta. Questa è la veritt certa e assoluta del nome e dell' cITelto
de' poeti. Lo scrivere In stile litierato o vulgarc non ha a fjre al
fotta, nÈ altra dllfercnia b, so non come scrivere in greco o in latino.
Qascuna lingua bi sua perfeilone e suo suono e suo psKare limato
e sdentiBco. Pure chi mi dimandasse per qaai cagione Diole piut-
10 elesse scrivere In volgare, che In latino e liticraio stile, rispoo*
derel quello cbe è la veriiì, cioè che Dante conosceva sé medesimo
' o più alto a questo stile volgare in rima, che a quello latino o
lllleralo. E certo molte cose sono dette da luì leggiadramente In
questa rima volgare, cbe nb arebbe saputo, nÈ arebbe potuto diro
in lingua latina e in versi eroici. La pruova sono l' egloghe da lui
fatte io versi esametri, le quali, posto sicno t)elle, nientedimeno
molte ne abbiamo vedute piti vanta gglatam ente scrìtte, t^, • dire i)
vero, la vlrlb di questo nostro poeta tu nella rima vulgare, nella
quale È eccellentissimo sopra ogni altro; ma in versi latini e in Ihosb
non aggiunse a quelli appena che meuanamenie hanno scritto. La
cagione di questo è che il secolo suo era dato a dire in rìms; e di
gentilezia di dire in prosa o in versi latini niente lalesero gli uotniDi
di quel secolo, ma furono rozzi e grossi e senza pcrlila di kUere;
' dotti nientedimeno in queste discipline =1 modo fratesco e scotasti-
I, Comlociosd a dire in rima, secondo scrive Dante, innanzi a Ini
circa anni centocinijuanla ; e i primi furono in Italia Guido Guininelli
lulognese, e Guilone Cavaliere Gaudente d'Areno, e Bonaginnta da
Lucca, e Guido da Messina; i quali lutti baule dì gran lunga sover-
dtiò di scienzie e di pulitezza e d'eleganza e di leggiadria; inunlo
che egli è opinione di chi intende che non sarà mai uomo cbe Dsnie
naUgBt In <Ure In rima. E teramentaell'femirtbllcou la grandezza
▼ITA DI DANTE. xxm
6 li Mcen» del dire sno prudente, sentenxloso e grife» con t»-
rielà e oDpU mirabile, con scienza di filosofia, con notizia di storie
antiche, con tanta cognizione delle storie moderne, cbe pare ad ogni
atto essere suio presente. Queste belle cose, con gentilezza di rima
esplicate, prendono la mente di ciascuno c^e legge, e molto più di
goelU che più intendono. La finzione sua fu mirabile e con grande
i^gdgBO trovata; nella quale concorre descrizione del mondo, descri-
aìoDe de* deli e de* pianeti, descrizione degli nomini, meriti e pene
dcDi vita «nana, felicità, miseria e mediocrità di Tita intra due estre-
mi. Né credo che mai fusse chi imprendesse più ampia e fertile ma-
teria da potere esplicare la mente d'ogni suo concetto, per la varietà
detti spiriti loquenti di diverse ragioni di cose, di diversi paesi e di
vaij casi di fortuna. Questa sua principale opera cominciò Dante
avaoti la cacciata sua, e di poi in esilio la fio), come per essa opera
si poù vedere apertamente.' Scrisse ancora canzone morali e sonetti.
Le canone soe anno perfette e limate e leggiadre e piene d' alte
S e tutte hanno generosi cominciamenli, siccome quella cao-
che comincia:
Amor, cbe maoTÌ taa virtù dal Cielo,
Come il Sol lo qileadore ;
dove è comparazione filosofica e sottile intra gli effetti del Sole e gli
eifetti di Amore. E l'altra cbe comincia:
Tre doooa intoroo al cor mi ton Tcoote.
' Non t facile decidere quando Dante comiociasM la Commedia e quando
b iaùaac. Il Boccaccio dice cbe la cominciò prima dell* esilio, e cbe a quelPepoca
•*a«ca fià composto i primi aclte Caoii, e dice d'aver ciò saputo da Andrea di
\jtmm Pof gif nipote per parte di sorella dello stesso Dante. Ma quel cbe pare più
«frisànilc ci è, che Tidca e il piano dciropera sia anteriore ali* esilio, leggendosene
i|vau nn aonoasio ancbe in 6ne della Ftta nuova j ma che l'esecutione sia pò*
aurwee. Ma w pare k vero qncl cbe il Boccaccio asserisce, bisognerà convenire
dM hmIic variaùooi dave Dante aver fatto in segnilo so quei Canti, non potendo
pila del eoo esilio e d* altri avveninenli avere espresso certi concelti cbe ora noi
«1 troviamo. Quanto ali* epoca in cai la compì, pare cbe non possa esser mollo
le«taua dal USI. La ragione del nome di Commedia dato da Dante a qoesto
alto Utuco h poeta nella distintione che egli faceva dello siile in tragico, comico
9à efegimc*, SùU tragico cbiama il sublime, qnale è quello di Virgilio | onde
& in alcwB Inogo il nome 6* aita tragedia all'Eneide. Siile comico dica quello
idi fiore e di aacaao, elegiaco quello in che si esprimono gli aSetli dei miseri. Ora
amlt* ■mìiitiwintf ba cbiamato Commedia qoesto sno Poema, quasi volendo
^nmMrrm»Ì0m0 • rappretemtaMione im volgare ora mediocre ora umile, a
-jTf fT appasto della Commedia. Un* altra ragione ancora si reca di qoesto titolo
«Ila keura e Can Grande, ed h, cbe il Poema ha, conte talvolta la Commedia, on
yrmoMO aapro a rigido, e un 6nc lieto e giocondo. L'aggiunto di divina non è
a Daaic, mk trovasi mai negli aoUcbi Codici, ma le fo dato in seguito dai Ictle-
tau e dagli editori a dmiostratione della sua maravigliosa ecccUeuaa.
■Ilrila d' I
E cosi in ninlle atlre cannone è Ballile e limato a sclentilìco. Ne' so
DetU noD è <Ji lanU vini]. QiKsle sono l'opere sue vulgari.* lo laliiK
Kri&ae in prosa e in versi. In prosa è ud libro chiamato Monarchia,
il qoal libro è ucriUA a modo diiadariu), eenta niuna genlilena d
dire.' Scrìsse incora un altro libro intitolalo De vulgari eloquentìa.
Ancora scrisse molle epistole in prosa.' In versi scrisse alcune eglo-
ghe, e '1 principio del libro suo in versi eroici ; ma, non gli riuscendo
lo stile, non lo segni. Mori Dame negli anni mccckii a Ravmna.
Ebbe Dante un littliiiolo, tra gli allri, cbismato Piero, il quale studiò
in legge e dlTenne valente; e per pmpria tìrtii, e per favore della
memoria del padre, si fece grand' uomo e guadagnò assai, e fermò
suo stalo a Verona con assai buone Tacullì. Questo messer Piero
ebbe un llgliuola chiamato Dante, e di questo Dante nacque Lionar-
do, il quale oggi vive (<d b> più Ggliooli. Né i molto tempo cbe Lio-
nardo antedetto venne a Firenze, con allri giovani veronesi, bene iu
punto e onoratamente, e me venne a visitare, come amico della me-
moria del suo proato Dante, E lo gli mostrai le esse di Dante e
de' snoi antichi, e diegli ootizla di molle cose a lui incognite, per
essersi slranato lui e I suoi dalla palria. E cosi la Fortuna questo
mondo gira, e permuta li abitatori col volgere di sue rote.
imblBilimeBlo iì ukui li IfIIoiì. k un CaoKolo io prati ■ In idi Cib(ooì.
don »»•> ipinl molti inni di GliiisBi.d'iitcoDiiiiiii, di lealoiiiicQouMl,.
Lia A firn Itllni» io ■) nediilino, r inporliBliiiìno |iir li urie iwiiiH tte fi
psrft ^<1< Vilt di DiBif, I ptt il gnait lìale cbt ci •& lìl'ùUlliicsu di noli*
""''"«"•■
Il Midlì
iroBcditrmkilii.iuliK
INFERNO,
DELL'- INFERNO
CAmre FBinia.
jttti/mtait a Pntla tmtfs mmm mO» fir «mm ùtlfUttìstbmm • teurmstlmm ut cut t'era smMtrU^
maàrmmt m^M** "wativ Mot tmtin mm ealit dW gU ttitgg davanti ttlmtmimalo dai Sdt, tr$ kettia faro^
gUn parmmm damamn ad tmptdirgli U cammutù. Ha ano c*« a lui sUgoUito 4i pruamta tamtbrm di
rirgttm tàa I» «mforia , a gli pramatta di trarlo di là, facandoglt attraavtara l ngai da' Morti,
r Im *eno da pnmm, pot il Purgatorio ; domda Beatrie* V «vrvMe JtmalmejUa aoadotto al Paradiso.
Et si mmatt, « Dauta lo sagoa.
Se\ mezzo del cammin di nostra vita
Mi gtrovai per una selva oscura,
Cbè la difilla vin era smarrita.
1 . Sei wuxwo dektammin èe. Im-
•tgm poetìrtmratc, die te\ plenilanio
li m«rzo'érl f300, anoo del (pobbi-
ic*. (f sasdo egli toccara il ^cnlaónqae-
'im' aann , rbe . s«rr>ni]o il principio da
Imi pwlo oel Conrito, tratt. 4, 23, ^
tmaaméeì ctno ordìnariadilk vita ama-
M , « tr«p« ad Ihoofo della réfpoot
talfe naaainni , twatt la visione simbo-
(«a ibe qui deacriTC come proemio al
(r»n %isc*^.iobietto della Commedia,
2. Mi n/roro» per una tetta ee.
la «junu fnma malo s'adombrano pier
iirtnAi « tUcgaóe il motivo t T obietto
M Pome. Lo eorraziooe • i vizi del
^r.-ltt. erpnooti BiMaiiDamcsito atlU
.ad'. boTit^ crcdrn/o r•lì^io^c, Of eoa MT-
l«ril« foveroi Irìstiasinii « eeadoliu no-
ria md più froA disordme o sotto pii
ty««esuisa oiisorta: i rìlUéiNi tnnoli
rcm.tn* i f iitjdioi , la plebe tbrìglitta e
'«rrafoii i Geoodi^rqMMenli, i nogistroli
■rori e vf oali, k ncordoii %oltl «Uo ferro
: '■ cfap olc?r4o,i prÌKrtpi tirami^ « Oo>
^'•Mi Jo* loro sA0{;clti Mnte, eoiKMciuto
'4 wrrmtr di Unio malo, dopo aver fatto
■--«> rbr rrrdnra il meglio per il too
l^ -**. t« l^e ringefjno « cantare lo n'yo-
mrraiiome morale dell' uumo , corno
;r:o»o p«MO e oecesMriu alla politica,
w' ':. juUentìn emtrt Ijbrrtè « era e rdicttà
{• •«■ D«>fl siano bantu ci>stumi. Quanto
f' • vie •:pi ninni polilÌ4br. • gii licnt* rbe
: rvyetai da Dio doluto sulla terra sia
lo Monarchia vmitertaianJAa con corto
leg{p da uo imperatore sedoote io Romo \
e ebe il guellismo e la dominazione ton^
porale del papa sieao altrettante ntor-
pazioni, 0 cogiooe masaimo delio rovioo
d'Italia.
Immagino adooqno un viaggio ptf
regni de' Morti ; e mentre egli ravviTO
le idee fondamentali del Cottolicismo ,
fostencndole opportunomeote cogli or-
goroenti della pia aana filosofia , svelo
le piaghe d'Italia passate e presenti,
le arti degi' ipocriti, lo infamia da' tro-
dìtorì , mette nella sno luce il mole ^il
bone; e tatto ciò per il ministero di
quegli spiriti , cbe sono in loogo dove il
Teiy» fi vede senz'onlK'o esenzo dubbio.
Ora la trloa ouura significa il di»
iordine morale e politico in generalo
d'IioUi e piò spenalmento di Firoafo
(chiómoìo lo lUriita §elta oaeho ol
CoDtp XIV de) P^nrg,, v. C4), dove si ero
perduto ogni virtù e ogni lume di civile
sapienza , tolcbè, piò che abitazione di
nomini, ero divenuta nido di bestie. Mi
rifrorot, m'avvidi d'essere. Se ne av-
vide più porticotarroente nelle tempesto
del 4500 e 1301, dalle quali travolto
dovè fieatire tutto il peso d'uno feroce
onarrhia.
3. Che la diritta via ee.; percioo*
che la via dHla rH(Tioiie, della giu»ltziaO
(li Dio era smarrita univeisalmeolo Ib
dove io
Alii quanlo a dir qual era È (^osa dura
Qiiesla selva selvaggia ed aspra e furie,
Tanlo È a
Ma
lura, che poto è più morte:
Irallar del boa eh' i'
v' Ilo scorie.
r non so ben ridir com' io v' entrai i
Toni' era pien di sonno in sa quel punto.
Che la verace via abbandonai.
Ha poi eh' io fui appiè d' un colle giunto,
4- Mi ipuailo II. Cnb-BiKÌ: Àk
Itanlo i diàra, iorre!t«»Dl«, co»» i di
>, ■ aamn, quii era R.
S. tlltw ulcaggia, lolla, ilne noi
i busa di nilluta amana. È imiului
tuwttrortt tiltU a \)ti-\ia; ti è in ai
■riti (ama ina ijxria di aupailaliti
ifU'iia.Àipra, orrida, lai. ntpn'iiilii
mll. Forti. atBcile a lupcrani, perì
r. Tanlo è amara: h inggionlu a
ala rifordafin.
8 tfdtmc&'f
4Kr»il(D,Bii "
la diteli
gione, le «lolla PHDÌoai , gli «rro
aalrudatlanin». I)fiiUi.nlr« dbIIi
cogli aliri ciarlìi, siiaiirlo, ihb
Olla la mìtlira Beilrice (ledì ^rimpro.
« ti olla .Ima «ai Can-
ni d luciin pigliiraipg-
all|-ruviDÌI.:in(ÌI»-
I*. Cm eh* Danio ci noli:
^ìlP«n.rr. 7o"ia"C"*
dhh tu por malvaatll d'adm
•Hello (t'un>oni IrlipliU • d'
aa aioao,
ch« Viglili
uln, ma 11 Mita gli lu cagiona di
9. diirallr>«».- inlondaiT iwrsp-
pario al bne; rio( dille toii non huuar,
«rUili, f Bili UM la Ire Gero, di eha
^ai«|Be«aaarìaiiieDl«dirr prima di rae-
coaMn il lurtanalo ini'unim d< Virplia.
ÌS. appil d'im collf . Il colf* tii>-
CAIVTO PRIMO.
Là ove terminava quella valle,
Che nf avea di paura il cor compunto,
Guardai in allo, e vidi le sue spalle
Testile già de* raggi del pianeta,
Che mena dritto altrui per ogni calle.
AUor fu la paura un poco queta.
Che nel lago del cor m* era durata
La nelle eh* i* passai con tanta pietà.
E come quel, che con lena affannata
Uscito fuor del pelago alla riva.
Si volge air acqua perigliosa, e guata;
Coà r animo mio, che ancor fuggiva,
Si volse indietro a rimirar lo passo.
Che non lasciò giammai persona viva.
iS
20
U
Mgfi Boiki, CMiro dd qiulj n tf-
{«MI mt €mfT9 «no ttaropo. E qne-
•li è M tarrilHle notte pi«oa di pena
• di mmmi» di cai dirà piò tolto, la
^«al« fi citaadc dal ponto del no rav-
Ttimmmu ari 4300 fino al tempo die o
fv AfWrU' • per Arrìfo o per altri
lOBtapi la aperaBsa del riordinamento
d'itaba, per c«i farebbe terminata la
tmiU, 9 U ulta.
W atei è pei glorani , che oneste ▼!•
B wtm 9omm ebe reapreaaiooe alle-
£ latti Mibblid, o di yari casi
partìenlari A llaote, di dedder), di
lpt1 aia, poftrrion io gran parte al
4See, mm riportati indietro e riuniti
e diacfaatì coaM in nn qoadro profeti-
ca: «aiie ■•• m ptuò aTeme la tpip(rarione
cbe dalla atoria contemporanea , dalla
«te di Dania mededmo, e dadi aeritti
aire ka pr— nriato i tod {indizj , ma-
nifealate %• a«a omnioni intorno alle ea-
paai • ai riaedj dd mali d' Italia,
r avvertire aoebe. per il retto gindi-
«f«vaai madedmi, che redute la
I tati* di persone e di cote ebe
•Hla prima Cantica, ti vieae a
càe qnetta non può eatere
•taU
■■bblirata, o almeno non ha riee-
r«IIÌBaBMno,rbedopoU 1314,
r fcfcrat il Pacma poaaa eaaere atato
Ueato • cnflrinciato aacbe nn poco pri-
aadel 4S00.
1^. tam^wmU, stretto, anfpntialo.
47. d^ Piirtt' a fola onde il colla
è illnminalo è primieramente Critto,8da
di giustìzia, e la dottrina del tuo Vaogdo
che illumina ogni nomo che viene nel
mondo e lo dirige oer la retta via. ECrì-
sto e il tuo Vangelo fono t ppnnto i aoli
ed etclutjri effeUorì della vera dvilti,
non potendo esservi senza di eaaiebe bar-
bane e tervaggio. Ma anche llmperatora
che deve reggere l'umanità secondo lo
tnirito del Cntto, è disegnato altra volta
da Dante sotto l'immagine di un sole.
Sulrva Roma, che il buon nnodo fco,
Doa Soli afiT, dM l'ina • Pallia »trt4a
Féota f«d«f«, fl éA BMiklo fl di Dm.
Purf., Canto XTL
20. lago dfl cuore, dicesi la sua ca-
vita sempre piena di sangue. In una for-
te paura il sangue rallentando nella tua
drcolazione vien quasi a ristagnare nd
ventricoli del cuore.
21 . pietà (dal noroinatiro lat. p/e-
tat), posto V effetto per la cagione, vale
qui affanno, pena.
22 /eR4i affannata, è la respira-
zione Hifiìrile e frequente.
21. gwita, guarda con stupore.
25. che ancor fuggita: ancor tre-
pidante per l'avuta paura.
26. lo pasto, il luogo da lui traver-
salo, l'allegorica seira. CKe non tatciò
giammai persona tira: direbbeai la-
tin. qwB non sinit esse mtos, doè dorè
l'uomo una volta entrato è morto al-
l'umana ragione, alla divina grazia, alla
libertà j e non ^ ive che la vita delle bestie.
DEt.1. ITTER^O
Poi th' ebbi rÌp05alo il corpo lasso.
Ripresi via per la piaggia diserta,
SI rhe il pie fermo sempre era il più basso.
Ed ecco, quasi al corainciar dell' erla.
Una lonza leggiera e pfiwta mollo,
irlicoliri. Coaw fi
28. Poi ck'tbbi Hpnialo. Alntnl dintniiDlD d'tli tn* pMrìil ha Gni^
Vvdici: Cmn'ii |el>hi| pRIdIO wi p-ini. U ileu* ctgiriili cb« bin generiti la M
£9. dJirrla: abbinilaniU, salila- toc li inmleuniM. Onali ddhosbé
in, percbè né Flrni» ■* luhi cunii- i
•wtu ^u di mollo lein|)a qacl tvltt t
SO. SI dlt li fii firno re. Hi •S' do ftr boni di Ciacco ri irne chi n
hilo D*nM di oHerviiors «unito della piriia. hwUla ed nariiia amo l
lucilo dilli felta • dnpD ripoHto co- L'iimdia à tigQiUciti por li Imaa
iBBcit • perearrire, ndlandnei Ì1 modo U Htpéttla. per il I«mu dilli Ioli
MUv di ni piiD*, ali lengemiiiiile u- digii de{|1Ì iireri , per li lupa migri i
(Ut* di ptrcrgli pieni; pvrché lola in lirimoioH'nipredi parto. Vera èrbe lui.
^nol* on paò aiirnln the l'f pii ftr- '■ i Coaimiiliiri inlithi, e i uiDderai h-
WvlimiiniiMipnpìù hou dell'illro deli i|{liiBtie1iÌ,iiileadDiM perii loia»
.fa IMlD, doveDdn quitte per Tire il pu- la tiunria. ol'jppcllladrj pii«rì«R-
T^MMOHirìiliirRleeU'igm il iliiiinndi sali jocrrlii qnnti (plegiiKiaipuaUi-
MMtb^etti texiiu. mpDtre Dvlnm- re h « lirì Pillegurìi iJ un luleod^
iriiiiaiiE (neBlBeKtiui>iiBeBteinunte;diìi|iic
i ili lUD- ala paviiitAf . che lutti iruporti, e qa
iltii, poi gnlùle iniklnao ti tmcr baon eri-
- ma du>e d pena (he 11 rjjnie-
imarlh, eliiUr«U niolfcr-
riMcnMie per pror*. I.i nnxine poi
ftnki Danieli III boIiIu^ubU nnrii-
MktM, è penhi i>rn<li> pmwUle-
«Mtc delta (Iw «ri giuiil.i ipiiie d'uB
, pr«M 11 parola risornaiiMnii',
ramo a noi rilona* pollliea t alt* «i-
ì^o'ert ch'e'i'qaeuL èiì.tirnrm.r
I, B tene i|hiMii ploiirggiari * pmsiiu..- iiiiili,;nii, liir >..li" il l.^it, fi
«dala ìd pniwiptu railllit ild- il pMiiinii li/„io iiliuilii' mi |uir cl.e
T«a«, • U ptaperilk delli piuue inchi' oli:'i |»i.,i dil ('..l^mii ii.m '•■•la
1. t>< MUe le ■piugaii'ini Jalc a i •jucilg .'{.i i' Il <ii..I.".i<i>m C -<ib.
^pJtMI
%l. fili «e», 4iuu( al amliular riareallni frate avara, <nri'l<a>a j
MTtftS 1^ «c(u,naÌBa il principia tuptrba, e intili Uiola e uni gnu it
sa. Un* hnlM ktilera ic. Nille culpa d'ugiii tuaxtnluii l'ixvi'-fia che
' appung-DealliHliii di eiiimi h mtnlrli4 dùgli «ahi pulii
(>1 elTilc e murala rìar- e marleronuM- Li qnilc appcllmatf^
CA2VTO PRIBIO.
Che di pel maculato era coverta.
E non mi si partia dinanzi al volto;
Apzi impediva tanto il mio cammino, u
Ch* r fili per ritornar più volte vòlto.
Temp'era dal principio del mattino;
E il Sol montava in su con quelle stelle
Ch'eran con lui, quando l* Amor divino
Mosse da prima quelle cose belle ; ' 40
Si che a bene sperar m* era cagione
mmbitio*0 CatadiFrameia duminanti:
anche inNapiiti (il leooedalla tetta alta);
e la Curia papnU, ette io antico ebbe
éi i^*€ira Wk»rtlrie9 conviriM a parer
mim colU ìaiiBafine della lonxa Uggtra
•éifmiHtm peitt, m ^aiilo «Im si l'ooa
cW r«llr« aeCto lieta • bella appareaca
tradÌBBeot* e norie , non al-
ì l'iaTÌdia , dia paiaiona viUe
I t*«ccalU aenpre «otto la ma-
16 della lealtb E
looelCaoloXVI
▼••I tirarca tè Gerioiie, imina-
fia« 4cll« frode, che aoch'euo benigna
amtm di f^Èàr la ptlk, chiede a Dante
— arti U corda die atea ciotaai lianclii,
• MS ewà dica cbe avea sperato di preth
étr ìm Umam aXU pelle dipinta. On<le
■ì para Ae ai poea« dcdurreclie Gerùme
e la imium wgniirhiao due idee, odicia*
•• ama mi, molto tra loro affini , ^aando
Mo ■rdeaiaaa virtà si possono d«>-
• viaeere. E affini tra loro sono io
VùKtidia • la frode, perchè
lasinlUra di i^ai-lla, perchè
aaibcdoe da malignilb e vilU
f MÌflM, • perchè lolle e doe si roo>
proso di iprcioae apparenze per ginn-
fareptèticvrcalloro&ne.La corJa poi,
la «iili, eoa cai tk Tona che l'altra ai
prtodere per poi calcarle, è U
litb , la lealtb, non difisa dalla
vifilOiKa , aecooda l' inaef namcnto del
laaaelo: fmea in bona malum.
Qaaolo al aeoso particolare e coucrc-
la da f aata allegorie , asse postano ri-
ì tra poteolalj che pia allora
a P acfsiif lo del monte , il
Nliaaalo dell' ordiae, solo poMioi-
le, aacoado Daola, pel rìonov«aiento del*
rifgra lalìoo: a tono la straaa tavi-
£aam Pirtmei» (cìltk allora di molta im-
partaaaa por aaalsiaai movimento da leu-
atii ia IlaTial, leggera, nobile, e divisa
la lioarbt a io fieri (la Ionia leggera e
e di pel aMcvlato) ^lafttfcròa e
vaca di avara (la lupa tempra a rfam8ta|.
Ramroentiamod che Dante è d'opi-
■ione che talli gli acompigli d'Italia a i
mali costami sieno cagionati dalla osar-
patiooi dei diritti imperiali , a dall' at-
tanza dell' allegorico tole,rimparature,
onde lutto era telva a otcnritk.
56. CkTfui per riUtrnar. Cottr.:
che piò 9oUe io fui 90II0 (mi voltai)
per l'tmare indietro. V ottinata divi*
tione de' cittadini di Fireose a l'invìdia
reciproca dei partiti rendevano impoiti-
bile qualao(|ae accordo per la riioma
di quel gitverno.
57. dal principio [dal per al), cioè,
il tempo io coi quatto avveniva era ai
principio, sul comiociare, del mattino.
58 . E il Sol montata in tu: ini. per
l'ellittica, prucederido dall'eqninniio di
primavera, in cui era allora in compa-
gnia dell'ariete, verso il solstizio df estata.
59. quando l'ilmor divino. Dìo
creò il mondo in primavera e in prima-
vera lo redense. Si la creazione che la
redenzione sono qnasi sfoghi dell'amor
ano. Per VJmor divino può anche in-
tendersi il Santo Spirito, essendo scritto
che tpiritut Domini omatiteteloi. —
40 Moite, creò e mise in mota.
KK. Si che a bene sperar ec. Cottr.
e intendi: Sì che l'ora del tempo (il
mattino) e la dolce stagione (la prima-
vera) mi eran cagione a sperar berne
di quella fiera alla («venie la) pelle
gaietta. Sperar bene della fiera, t'in-
tende in quanto che non gli avasaa a
nuocere, o, ti aveste ad ammansire.
Dicono che la pantera, e lonza , nella
ptimavera , quand'è in amore, come
spanta il sole ti riutana. — Si oascr\ i cbe
dell' IMFEBHO
Di quella fera alla gaietta pelle,
L*ora del tempo, e la dolce stagione:
Ma non sì, che paura non mi desse
La vista, che mi apparve, d* un leone.
Questi parea, che centra me venesse
Con la test* alta e con rabbiosa fame,
Si che parea che 1* aer ne temesse:
Ed una lupa, che di tutte brame
Sembìava carca nella sua magrezza,
E molte genti fé già viver grame.
Questa mi porse tanto di gravezza
Con la paura, eh* uscia di sua vista,
Ch' i* perdei la speranza dell' altezza.
il mattino è il tempo della tranquillità e
della ragione, perchè io quell'ora l*ani-
OM ti trova più libera dalla carne e
meno soggetta alla tirannia delle mal-
▼age paasiooj : la primavera è la sta-
gione dell'amore. La ragione adunque
ridùamata dalla ealma e dalla sobrietà
dd mattino, e l'amore inspirato dalla
mitena della sta|pone e dalla letiiia di
tutta la natura, avrebbero (cosi augura-
▼asi l'infelice Poeta) fatto tacere l'invi-
dia, l'odio di parte, e addolcito i cuori
dd suoi dttaoini. Si sa cbe ndla pri-
naTera si facevano anticamente in Fi-
renie delle allegre feste, dove avvenivo-
no molte rioondliazioni, cbe spesso gio-
▼avano alla causa pubblica. L ad ogni
modo l'invidia è passione, cbe il tempo
• i casi posson placare; e quella pia
etta, Firenze avrebbe accettati i consi-
gli dell'Alighieri, e per il bene suo e di
tutta Italia favorito V idea dell'Impero.
44 . Ma non si, ehe paura. Se l'ora
• la stagione davano a Dante onalche
speranza per l'ammaosimento della (oii-
%a , avea sempre che temere dal tupei^
ho leone, perchè il vizio ddla f uper-
bia è Tizio della mente, dove nulla pot-
tono né U solenne spettacolo ddla na-
tura, né gli affetti d'umanità, né gli
esempj di gentil costume. Ella cammi-
na per la sua via piena di sé, né cura
fnon di sé.
Riferita l' immagine alla Casa di
Frtnda, ognuno può sapere dall' istoria
quanto in quel tempo a'intramettesse
ndle eoae d'^lulia, • non certo per farle
dd beoe ; e quanto intercala aTcsse ad
oppord al ristabilimento ddPIaMn
È noto altresì cbe una delle eagiooi dd
l'edlio di Dante, fu Tavereoolrvial
la venuta io Firenze di Carlo di Valaìi
46. veneste, venisae, dall' antiquli
velière.
48. ne temette. Il tetto Bargigi hi
tremetse.
49. Ed nna lupa: sottiatoDdi ap-
parsami. Alcuni Codid hanno ff#i
lupa, retto dal nome la vista,
sopra ; ma il costrutto procedo
cbe nella comune.
50. netta tua magrezza: tk nugra
com'era.
51. E motte genti fé già viver grU"
me: e e molti fé passare una dta grmna,
cioè mbera e doloroaa. S sa par Pitlo-
rìa,e fora ancoper l'eaperìeiiza|qptnto
han dovuto soffrire e soffrono i popoli
per l'avarizia dd re e dd dttidini po-
tenti.
52. mi porse tanto di gravezza:
mi cagionò si grave turbamento.
53. eh'useia di tua vitta: che al-
trui porgea coli' aspetto.
54. Ch' i* perdei la tparanzm del-
rattezza, cioè, eh' io ditperu affatto di
giungere alla dma del monte IN tutti i
vizj, il piò terribile e piò diffidlo ad
esser vinto, è l'avarìtia. Gli altri pava-
ne, o illanguidiscono col tempo ; questo
riceve alimento e fona dd tempo. Ma
oltreché gli avari sono il mde grande
della sodeta e diffidlmente d eoovorl^
no, Dante vedeva in ead un fortÌBaimo
ostacolo alla immaginata rigeneranona
politica, la quale gli avari potenti aTTcr-
CANTO PRIMO. 9
E quale è qoei, che volentieri acqaif^ta, 65
E giunge.*! tempo, che perder lo face.
Che *n tutti i suoi pensfir piange e s'attrista;
Tal mi fece la hestia senza pac0| j.
Che, venendomi inconfrof^vpoco a poco
Mi rìpingeva là, dove *l Sol tace. oo
Mentre eh* io ruinava in basso loco,
Dinanzi agli occhi mi si fu ofTerlo
Chi per lungo silenzio parea fioco.
Quando vidi costui nel gran diserto,
Misererò di me, gridai a lui, 65
mmwn ftr tioRer* ài pi^IjifM' Bi- iriita in UtlU i tuoi pentieri, tei ee.
FclU|oria éeW* topajpb Caria 58. bettia tenta pae§: bestia prìrt
, cb« tacb« il Petrarca chiaiDÒ àt pace, irrequieta nella laabrana •eflu-
I BMiomim, » vedrè egualmepte pra craseenti.
te ara la paura a la diaparatioiia 60. là, dove H Sol teéa: al laago
'Aliffciari , p«retoccliè ed era eaaa la dove il mistico tuia non splenda ; mi ri-
pe aaCcat* e temibile oppoaitione alla gettava oelt' antica desolaiiooa , da tmi
rmmmmà* Italia sotto oo imperatore , a m'area sniirvato la speranta del Mtn&th
«al triatoaiampio del soo attaccamento ai la. La iue$ è timbolo di feliciti , la f#-
Wm a alla graedene temporali renderà nehre Hi miseria . Con simile metafora ht
fià litri «fiè materiali tali i Cristiani ; detto altrove: in loco d' ogni luce mmto.
fMU le fMte, cU «• caia* ve4« ^ ' Mentre eh*io nitnoea. Prafarì-
Nm a ^arf hm farirv «««l'eli* è fliiolit, aco questa lesione a quella seguita dal
Bi qoel ai paMr, • pi* «itra ■•• cht^4%. c^j, ^ j^ ai|,i j | riiomavo, perchèeoo*
FTg^ caau» XYi. j^^^j^ j^i ^^^ ^gg j^j Canto nXII
Ed è uat» cba quando Arrigo di Lncem- del Paradito, che richiama appunto
kurg» puaaè io I talia per riconquistare t questo fatto medesimo: Qwtndo (Mnaoi
meidiritlì imperiali, il suo pie f»rt«aT- a minar le ciglia Ma il mt'nura, eooM
«Huarie fia il papa Cl«nente V, aebbcne spesso il mere lat. , ha oui il aeuso di
iauaaei gli arease dato parola di favo- correre Jreiloloto. — il batto loco è
lìrlo. E eie avrauoe perchè da prima lo 1' avvilimento dell' anhuo per la fallita
ceupdcrè cwne un valido m^tto a rior- impresa , a V apprensione della miseria
àaara P Italia, poi lo aospetiò come un in cui doveva contiunara.
pencolo al suo temporale dominio. 63 parea fioco. Questo passo può
S% E qmaU ee. E eorae colui che è Irtterslmente spiegarsi, a parar mio, in
Jawdefsas di gnadagnara, a ai attrista due maniere; o: • Mi venne veduto tale
ausudo giunge il tempo die gli fa per- cb'avea sembisnsad'nomocni una lunga
aera le coae acquistate ; tal ee. È nato- solitudine in luogo affatto deaerto avesau
riie cW ««auto piò grande è stato il estenuato e quasi ridotto uo'fimbrs; a o
daaiderie di raggiungere una coaa, tanto piò semplicemeote: • Chi a cagionad'un
aaggieru aia il delore del perderla, lungo silensio avea infiacchiti gli onnni
Quauto ai era Daote eooaolato alla aola vocali e a pena ai sentia parlare, a Edo
pena ai sentia parlai
MPelWgorico moote, e alla spe- Dantedirebbeinanticipanoue^riportaA-
runra ceueepita di giungervi, altrettanto dosi al tempo in cui scnvea,pioUiistodiè
si uttrielè , quaudo per la oppoaiiione a qnello in cut gli appariva Virgilio. Al*
ém cattivi ai vide dduao. Il eoatrotto legnricamente potrebbe aignificare la di-
dei leruerio aeu è troppo regolare , ma mentieanta tu cui nei lunghi secoli della
va fieae eeai : B f ««le è qnri che eo- barbarie era giadato il gran Poeta la-
IralleH me^nittm, che, ooai giugno il tino, onde non avea pie parlato né alta
lem^a ekoUfa poréore, piango e f'al» oMste né al cuore d'alcuno Ino a Dante.
QubI the lu sii, od ombra, od uomo cerio.
Itispaaenii: Non nomi uomo già lui;
E li parenli mierfuron Lombardi,
E Majiiovani per patria ambodui.
Nacqui sub Julio, ancorché Tosse lardi,
E vissi a Roma sotto il buono Augosto,
Al tempo degli Dei falsi b bugiardi.
Poeta fui, e rnnlai di quel giosto
Figliool d' Anfhi^, rhe venne ia Troia,
Poiché il superbo llion fu combusto.
Ha tu perchè ritorni a tanta noia?
Perchè non ^ali il dilettoso. monte,
Ch' è principio e ra(;ion dì tolta gioia ?
01 Be' lo quel Virgilio, e quella fonte.
Che spande di parlar si largo (ìumD?
Risposi lui con ver;;ognosa fronte.
0 degli altri poeti onore e lume,
Vagliami il lungo studio e il grande amore.
I
' M.0>ulHk<iIaii-{--chÌi.qii«(i9ÌL
duri agi g»»»» cHugl» « g«J«(u-
r( |><ir le f per la L>i> potrìl quMo niM'
«S. loffitardt, di «ii«», H.Ma~
t,. J. cÙ ^ p.» d/H.« Vi l*" '
na^V p«ln» fiimnn i gmilMi di Vir-
liGaTranmfnlF tgli «nnioi in AiKta,
p>» diimlf d> chia cb* il l'oca ipcr* e rIIhìì* ■■
. di Cd. r»>nreD pM«, «ni. r<le.BÌ incha dilU mm iti-
umili KimuitilM, Mri mi Airl^ di LmRmbqriB.
T* O.' r' In te. PrdmHaqmttii
1 l«nli Cii.lto IfK.illarim.Orn'lH. — DiDivH^it
r«|»w> H BMit, Vìrgiliu iiariai^an- diHmalirncpDpri.iBHÌKikBigliMe-
*' " ' "are oniiniti qukiai ii alWliaM per IiiniiBi« «lU foMUi ■
ri iS Ai mi rU, quimlo orii^iie èri talins 1bi|H», «
Cbe m'han fetto cercar Io tao volmne.
Tq se* Io mio maestro e il mio autore:
Ta se* solo colui, da cui io tolsi
Lo bello stile, che m* ha fatto onore.
Vedi la bestia, pert^ui io mi volsi: .'
Aiutami <4a lei, famoso saggio,
Ch* ella mi fe tremar le vene e i IMbi-
A te convien tenere altro viaggio.
Rispose, poi cbe lacrimar mi vide,
Se VUOI campar d* esto loco selvaggio:
Che questa bestia, per la qual tu gride,
Non hacta altrui passar per la sua via.
Ma tanto lo impedisce, cbe 1* uccide:
Ed ha natura si malvagia e ria,
Che mai non empie la bramosa voglia,
E dopo il posto ha più teme ctav pria.
Volti son gli animali , a cui s* ammoglia ,
E più saranno ancora, infìn che il Veltro
It
S5
90
a6
ICO
S4. ttnmr, cioè «Ueotamente coosì-
C barilo maniro e U mio aut0re.
Ihatn rW «' ìnupà ; amUnre cbe del
(■•«MMw oR'ÌMpirì e mi incki.
n . La Mio ftilc. InlciMli il caratle-
ttfHfàm^ àk cai niaoo è niglior mae-
A» S Viiplia. S^par non accenna qai
Itiat adaflie latine, in cui imitò il gran
f«ti, • IdOe i|aali ebbe a' tuoi tempi
la be^im, cioè la lap4.
«afflo. Prcaao i Oreci 1 poeti
col aoiae di vofol, M'
t4. arWe, gridi .-È termioazioDe prì>
■bra «Blla accoada voce del pret. dcU
f iad.f Ae apeaio a'iocoatra negli anti-
da arritUn in proaa e in rima.
flS. iVa» Imtcim altrui pmstcr «e.
L'itarifia ara coa't forte, coa'i aniveraale
• aael taspo per le ateaae condizioni po-
lOcW, cba aoa era poaaibile aradicarla.
E cki avaaaa Icaiato dì porre an argine
aearala iiaawnn> coaaevcri ordinamenti,
aaontouna impreaa di-
I, sarebbe iacorao nella atc«aa aor-
1* Aa ÌBcatttraroao in Boma pagana i
fivaedà, a m Boaaa criUiaoa r audace
himdèm ém Brescia. In tempi di fazioni
a«i araa ^«€111, il denaro era tatto:
per eaao le magistratar^pereiaala difesa
della persona e delle me, per caso la
Tendelta, per esso il trionfo delle prò»
prie opinioni. Cors dunque suprema d>
tutti il denaro.
100. Molti ton gli animmli^ te.
Molti son gli uomini bestiali a cui onesta
avarìzia ti manta, si unisce. Grsndeèla
moltiturline d(>gli svsrì, più asssi cbe
quella dcgrìnvidìusi e deispperbi. Presa
Is lupa per Is Curia Rovnana, questa cir-
costanza potrebbe signiGcsre, rhe molti
sono i potentati e i popoli a coi si è col-
legata a sostt^nimenio del suo temporale
dominio.
101 . infin che il Vellro. Io son d'ar>
riso cbe il reltro cbe qui s'annunzia non
poaaa esser altrì cbe nn valoroso e fortu-
nato capitano, cbe guidato dal aolo amore
della giustizia e della salute d' Italia, rì*
vendicbi i diritti imperìali su Roma, e
fiaccate quindi le coma al gnelfismo,cbe
nella cuna romana ba il più forte aoate-
goo, ntomi il paese, come dice Petrarca,
• Aureo tutto e pien dell' opre antiche. •
Quanto a determinare cbi sia il capitano,
obietto di tanta speranza, non è coai fa-
cile. E forse non era questa cbe un'idea
della mente del Poeta, il quale sperava
che prima o poi si dovesse per qualche
grande afferrar* e attoare. Ma se pur si
I
Verrà, che la farà morir Ai doglia.
Quegli non ciberà terra né peltro,
Ma sapienza e amore e vìrlule,
E sua nazion sarà Ira Feltro e Fellro.
Di CI u eli ' funi le Italia fia salute,
Per cui mori la vergine CamìIlB,
Enrialo, e Torno, e Niso di ferule:
ilfaijn(lt,l'mni«ilvi Icmpiiaruì D(ol«
«nlrvilo di allro luDga Del Pofmi (J'a-
rodl», C. svili, larrblHrn credlb'l*
■opra agni litro CinGnnJailcliaSriI*.
ID3. Quelli Bim eibtrà Itrra ni
palln. QuhIo vittro, dot il naaio or-
(bulond'Itilii.naaiTrb Eirnc.Dtrarh
■Imiu Mimi né di lem Didi dcniro, mi
i n^ rigurdi iinnno ritsKi ■!!■ ■■-
pian • ■!!■ rirlA ; toiinbi l'ivariiia,
SS,
e WiHlUitcìlrv di Rnmisni.
Trirìji^
■ti*, l'cfaigllii
—PtUrottligtioraB-
)àiion lari Ira Filirò
rnnQnimnllaioosHD,
t>na Ira Mira t feltro,
Edic«iclitD«nl(ibbia
chg il fitltra CKrìilor
U^ iTrcbbt iTiilo luifoiw, cioè
' *' ireti ad smili gtnilari.
«pirgiiKlo ha credulo
al poU
Twanari,! lornaaH
l'nnillt prìmiLita
qnaolrraginne il toria uihuid poK
creder*. Atlrì, {ra'qnalì BcniFaDla
Inai*, niagai» Ira fillra a fclira,
litio « ciala ; cciD che UiatB tirelibi
BDiBcato cbe ^ett'eroa larébbs n
■*r>blM palila fngan
E lal( niTriiariuae pi
longhi MPwrg., dd
fdi in tiò qKcI che u diia aie- XXXtU
!l Ptirg . ycr, S7.
106. IH fUFH'tinib JloKa. Din
milt l'IUli*, a io riguardo il no ic*.
•;.j»p"§j«
a Virgilio
MaPclM
;ti«dt, lik. ui,
umili ra)(IÌT*-
rho p«r uwiUe llalia d.
■i il Lilio, 0 qntlla pari
mtnla a Boa parte d'Halli
407. Pur tua moH
r,rgilio«rt.p.rticol.rco
]Ì egli ripriè il principio del
1UO. Il ru;9. r,i<Fiite, con migliar ai-
poti rimi e, por U Burialoefìin • IW-
IO a fentl«.~MBri...ai fmtU ni*
Binilo neri pv; fumilo. Eurialo offi-
IO (aniMi (ToAV ywm <wH»ri. C«W^
CANTO PRIMO.
Questi la caccerà per ogni villa,
Fin che I* avrà rimessa nell* Inferno,
Là onde invidia prima di parli Ila.
Oad* io per lo tuo me' penso e diecerno,
Che ta mi segui, ed io aarò tua guida
E tran-otti di qui per loco eteroo,
Ov'odirai le disperale strida,
Yedrai gli antichi spirili dolenti.
Che la seconda morte ciascun grida:
B Tederai color, che son copienti
Nel fuoco, perchè speran di venire.
43
HO
115
h mmi «min Esc» ; Tmmo Sf^aolo
àlit if" fatali, MvÌM i' Enea, e et-
JÈmè Mia fatm eoaire di loi.
\ ^aat. lmtmt€9réperogniviUa Qm-
ifctgÉn JTè la caccia alla impa per
Mi laóllà ^f a ella ù rieoTri . Seo>a«lo
Spitea én émm accaaaati aenai la lupa
tÌAFtmnDa fagata da lalle legarti per
riHHiili a aapi««aa del fatare salva-
tal i' Italia. Ma ^ai ni para che pre-
«rifi F aMra caDcetto cba nella lupa sia
•walcfgala il farlfisoM» sostenutu a
npitoaata dalla Caria papale. L' im-
r dd 9titr9, eaaa cacciatore, bea
caif altra della lupa »eiiipre
a cacciali da quello per nato*
• La lapa è madre dei lupi:
ivaalaaurri»p»odciile pa-
f f«cl/l. B oeinicua
i èncccBariamenfa
Cita pai ad xeilro sbanca» '
è$ capittao aroMla,' d' od
fàstlaattfcliè d* aa papa o
f Ara asta aagaata da alcani «naiuieo-
Maty m rilava da varj lB<»gl«i drl
fMMa, m» «»(natBmeuta dal &XT1I
tfd^ìar. a.» a 65.
Ui là mmét iwtidia: inteadi il
Ibiaia iiaidiaaadel bene degli uomini,
-irrifcaia poi «allo pi A della santiU
:kMaa, a della pace d'Italia. —
i; avT. , arìnieramenta.
US Oarf'aoper/alaoNie'ec.Vìr.
fiaW giè falU iaCeadere a Dante cba
saa db a allriseali pcMaibila per la aula
aabrsa 4i aalira al aionte, troppo pò-
itkaaarvlagli aataeolicbe glisiopp4ia-
zmm^ apecialatcata per partedella lupa.
ftaifBava adaaqae per ottenere 1 ef-
«taa*
fetto desiderato prendeva altra TÌa; pas-
sar cioè pai luoghi etarni,BegQÌtandolai.
Il olia ba implicito l' infilo alla forma-
liane d'un poema soHa stato della vita
fuluia, avente per fiaa di migliorare i
dissoluti costumi degfllhliani eoi terrore
dei gastigbi, a colica nettamento dcipre-
mj rtf rn*i a cdl aaadro misarabila delle
turboli'nze e dé'dclitti, di abe aempre era
pieno il regfii mento piipularCf edetllosca*
dimento d'ugni bella instituzione, per-
suaderli int'irno alla giustizia eai vantag»
gi dell' Impero. Que»lo poema ÌM|^ra tu
daVirgilio, e da Virgilio aiotato^avrebbc
potuto partorire, oecondo cba sperava
Dante, qui'gli effetti che si aspettarono
invano dai maneggi del partito gkibelli-
no, adalla mussa d'Arrigo: avreobepoi,
oim foss'allro, addolcito ^amarena del
sa«i esilio, e f»rsa vinto ctdia maroviglia
del divino ingegno i^nell' invidia emdelc
che lo Barrala fuori della dolce patria.
Vedi canta X\V del Par. E ani si uoli
cba Virgili» consiglia Dante a far quello
chefecaegli stesso, cha per circondaredi
rispetto a di religiosa maestà il oa<>To
lni|krro latino scriiao \*£nHÌ9 Sennon-
cbe Dania aristiano avr^ba soritto il
suo Poema sec(«(lo la cattoliche creden-
re, e convanientemente alla conditioui
a ai bisi'giii dei tempi suoi, —aie',
meglio. Òli antichi dissero aieio, «
per apocupa atei' a aie*. «- dUetraa:
giudico.
iU. E trarroUi te. E ti trarrò di
qui facenduti pauare per luogo eteroo,
cioè attraverso l^mferno.
117 ia ieconda wwrte, quella
dell' anima
419. Ntl fuoco, int. del Purgatorio.
14
DELL INFEBNO
Quando che sia, alle beale genti:
Alle qua* poi se tu vorrai salire,
Anima fia a rio di me più de<;na;
Con lei ti tasrerò nel mio partire:
Clio quello lm|>erador, che lassù regna,
Perch* i* (hi ribellante alla sua legge,
Non vuol che in sua rida per me si vegna.
In tulle parti im|>era, e quivi regge,
Quivi è la sua ciltade e V alto seggio:
0 felice colui, cui ivi elegge 1
Ed io a lui: Poeta, i*ti richicsuio
Per quello Iddio che tu non conoscesti,
Acciocch* io fugga questo male e peggio,
Che tu mi meni là dov*or dicesti,
Si cb* io vegga la porta di San Pietro ,
B color che tu fai cotanto mesti.
Allor si mosse , ed io gli tenni dietro.
«
131
131
122. Anima te, cioè Bratrìce, che
nel Canto \XX ilei Purgatorio si mo-
stri a Dante per essergli guida al fa-
rad iso.
12f. q%eUo Imprrador ec, cioè
Dio. Si noti questa idea d* impero e
d' imperatt>re celeste , che altro «olte
\edi(Muo rìcom|iaiire nel ronio ilo! Po^
ma, a dimostrare die dovendo la tprra
spiicclilarsi uel rii-lo, il (*o\rriio die ella
dcre adottare è V impero . un impera-
tore lassù, un impi'ralore <|u«i]}|]iù : una
(toma celeste, come una Ruma terrena.
423 ribellata qui sia sfmpliee-
mente per alieno dalla sua legge, o non
teguace di essa.
12G. per me fi vnjna: da me sì
regna, o, ch'io regna.
127. in tutte parti ec.: io (mie le
altre parti stmtle il buo potere , impé-
ra; ma quivi più particolarmente^ tifue
il tuo governo, rrgge. Similmente, l'im-
peratore deve imptraré da per tulio,
e reggere in Roma.
120. cui ivi elegge: che elegge por
abitare i\i. Qualche testo porta : ehf
quivi elegge.
152. Aeeioceh' io fkgga queito
male e peggio. Questo male, la sei-
vaj e peggio, l'eterna dannaxiooe, a
cui mena.
(33. là dot* or dicesti, cioè pd re-
.Tni deir altra vita.
I3f. la porta i\ San PMftL
Porta di San Pietro è tanto quella dei
Purgatorio rlie quella del Paradiso, MT-
ckè d'ambedue, egualmente cbe die! f^
verno spiriluiile di-Ila Chiesa terreoe ,
che lutti» eoniprendesi nella Jenomian*
tiune di Regno de' cicli, farone date da
Gesù Crìflo a San Pietro le chiavi eoa
piena aulniilà di tpcire e di serrare.
Quella pelò a eni mira prosai manuali
Dante è la porta del Purgalorio.
133. E color ec.i cioè i dannati.-»*
che tu fai, rhe |ioni , che deaerivi. —
Mi piace avvertire alla fine di ^aata
Srmiu .Canto , rhe aella didbiarasiona
ella sua continuata allegorìa, difficili
in veni e inreflissima, mi acne atleaat«'
a quel roiicello che mi è sembralo a?er
Sin impoitanra, più gnodeua e più
egna ragnme di poema, luijparoccbé
non mi e mai pnlultt andar per TaniaD
quella mikeiande spiegazione di alcwii
ascetici Cumenlatori rhe aoa ved«M ip
Dante smarrito nella ielta cbe «■ pce-
catore, il quale cuiupreMi tinalnienle dal-
r orrore del suo stalo ti rimette pw la
buona \ia.e dopo poehi paaai per^aHla
t\ lafeiia taliiienlr atterrire dalla perra
rhe gli move la lussuria , poi la auper>
bia e ra\arixia, rhe vetlutuai impolente
a resistere, si de«-ide a tornare, peni-
tente «igliarcti, a quella steua selva die
poc'anzi gli avea fatto tanta paura: fio-
CATfTO PRIMO.
45
ck^ n odo iaipS«(<KÌto di lai gli inaada
FtrfJlio (•!! poeti p«(;aooi perette aoa
•iittotle anlràoa eo«fctsnre?)ch« lo li-
bffi ^llt telra faeemlolo piisMra per
rififeruo, eoBcioniarkè noa gli tia poa-
libile Tioeere allrimenti la lupa, <|aella
■ilaaU ptttione dell' avariiiaf che gli
fa tulo oatacolo alla mIìU dt] monte,
t di¥»ir «rtooso eerittiaaa. Qaeste so-
do ■lawria, a peeoraggini, di eoi Denta
MotiraUka Targngna se toraassa di qoa:
ed io rorrai icosarle, anche nonostante
la ìnfelicalororombiaanone nel testo, se
il Paate non si fueae spiegato abbastanza
nel corso del Poema , e soprattutto se
non esistesse il libro De Uonarekia.
CAiira SEcaifiie.
h fttM» •ttamé» emmt», dofù tm fa— c«ifa— mUm mi petti mé'prUtdfi dti lon pumi, umrrm
Oa» tà$ etmt*é*rmmé0 tt m« /bne, duttìè <É*<f/« imi foutr kmstmnit mt Urritit timggném Firgi-'
'W p-w^mtofU; mtm e࣠pti éitmi m^férU ripm» piatmemtt mnimm, té ifiSwwim a ugmirU mm'mT-
Lo giorno se n* andava, e V ter fcraio
Toglieva gli animai, che sono in terra.
Dalle fatiche loro: ed io sol i^K)
M* apparecchiava a sostener la $> narra
Si del cammino e si della pielate, 6
Che ritrarrà la mente, che non erra.
0 Bluse, 0 alto ingegpo, or m' aiutate:
O mente, che scrivesti ciò eh* io vidi,
Qui si parrà la tua nobilitate.
Io cominciai: Poeta che mf gnidi, 10
Guarda la mia virtù, snella é possente,
Prìon che ali* alto passo tu mi fidi.
Tu diciyVhe di Silvio lo parente,
CorrutlitSìfe ancora, ad immortale
Secolo andò, e fu sensibilmente. ^ 15
S-4. aal «no . «(»l<* ilei talln, per-
At Ti/|iltu ara J' altra nutuia Stafi"
pmrmtUi I < • mi 4'«p*>neva , a totU"
iar tm §mfrrm, la noia, ii tra\aglio,
cke mi avrebbero cagi<Hitito e il vMg;;ii»,
tb^srteCr, il doti»ri>M e eÀmpaH«i«»oe-
lala sfrtlarul* ét'le inrrmali iiiiaerie.
C Che ritr^rtàfe : la i|aal guerra
4a mt a«4l«nuta si nrl rorpn prr la ma*
lm«le falira. si nell* anima per l'iiier-
caio dì proiisi aff«'lii , nari ri/ra/fa,
rafprca«>ntjt«, dalla mente , AaìU me-
■ona, tàgmfm erra. cf«>r saiuesiriira,
saa vanr^^paate , n> piò «lurbula ilalla
caafaaiMAe ondVra cinta Iiii;i2«u , come
4n« al ra»t'> III, v 31: Edioek'atem
ferrar la tetta einta
7 O J/u«e, ouoki lidisiipliiic, oaUo
ingegno, o f'iniatii» ; orraro, o siiblTau:
geuiu iu»|iir4lnre; opulenza iotellfttiva,
8 O menu , emierittiti «t : a
mciDitria cba acrb^tsti, ritenesti avme d
ritrngouo la ftcrìttu, la coae da me fa*
date.
9. fi parrà ti manifesterà.
42 mi fidi, tu mi -ciimiiMlta. '
\ù Tm </tet;ncir Eneide. Diso-
tto lo patente, il gf>nìl«ire, nel senso
del lat parens, è Bni-a , pei ch^^i|ee(NKla
Viig^liu, S>lv'0 naare tiglio ad Enea da
Livima ; m<« Liviu !•• fa lif^ho d*Aticaaàa.
14 ad immortale Secolo » ai regni
eterni
15 feitit6i7m(n<e. Intendi: nella
n'aliii «lei r«rpueaclU capacità di tutta
le S(.'usazioui.
45
DBLL nmuio
Però, se 1* avversario d'ogni male
Cortese i fa» pensando T alto effetto,
Cb* uscir dovea di lui, e il chi, e il quale;
Non pare indegno ad uomo d' intelletto:
Ch' eì fu deir alma Roma e di suo impero
Nell'empìreo Cicl per padre eletto.
La quale, e il qnale (a voler dir lo vero)
Fur stabiliti per lo loco santo,
U* siede il successor del maggior Piero.
Per quest' andata, onde gli dai tu vanto,
Intese cose che furon cagione
Di sua vittoria e del papale ammanto.
Andovi'i poi lo Vas d* elezione.
Per recarne conforto a quella fede,
Ch*é principio alla via di salvazione.
Ma io perchè venirvi? o chi *1 concede?
Io non Enea, io non Paolo sono:
Me degno a ciò né io né altri crede.
Perchè, se del venire i* m* abbandono,
Temo che la venuta non sia folle:
Se' savio, e intendi me* eh' io non ragiono.
30
46. Vatvinario d'ogni maU^
«ioò Dio.
47. Coriete i fu: fn liberale a lui
ai Ul graxìa È lei. del Tetto Viv., del
Cod. Frollani, e dì ^oalch' altro. ^
i^i^h ef fello , cioè ¥ impero ronumo ,
de •rofenne da Enet.
18. U chi, quel generazione di «o-
Oliai, il popolo r»Bono ; il qunl», eli a
qulith d'impero.
20. Ch'èi, àiohf perct(H;chè Enet
b ee. — e diiiio fmpmee. Notinl CODIO
de fetta alluvione ai rìlroediiern il con-
oetto del Poeta: Virgilierealò io Enea il
fondetore dell' Impero iatieo; e come
qnctti fondazione era fatale, il ano eroe
è eoodotto pei regni eterni ad attingervi
leaapieoza e la forza oecestariii per tanta
inpreta. Similmente il riftabiliroento
dell' Impero è volere divino ; e il pre-
eeello e predicarlo e ditpurlo etaendo
Dante, che può dirai il precoraore del-
V Impereiore , deve 4*uore per divina
provvidente condotto pei luoghi eterni,
e eeeofflpagnato e asaiiitito dal Cantore
delle prima mtHiarrhia
22 la quale, Roma: il quale ,
V Imperio. — a voler dir la vero: par-
lando con maturità di teoooi e eoo eai-
mo libero dp poaaioni
23 Fùr MlabiVU m. loteedaei : fa-
readalleDivieePniiVfideiiiedeitÌMlied
aver l'onore di quella aaala e anreme
Getirdra am aiede il?icai4o di Crìate.
24 V, ^ove: è Ireacemeolo iel-
Vuki lutino. — fNoyf tofspreaide, nrio-
ci pe. Goti il Pairerca nel trioofed'Àoae-
re : Dirò di «vt, e prinm 4d BAOCIO-
11, Che eoa vita e Kbarià m wpogU;
25. Per quttl' an'iala, per l'onde-
te eli' Inferno, onde gli dhi vanta di pio,
e caro singnlaitneiite ai Nami.
2f Uitua «iltorte ec.: intendi In
vittoria di Enea contro Tomo, la quale
fa cagione chr poi foaae findeta Boae,
ove in aeguito ai alabili il papato.
28 lo Vat d'elexione. Coai èdiia-
mato S Paolo nelle aacre carte; cbe è lo
atr*ao che dite intlrumento efflto da
Dio alla diffuMone della feda.
54. Perchè, te del venire te.: per
le qnal coaa ae mi arrendo al venire.
Ahhandonarti del venire, vele darai
ciecamente a chi ne eondnce.
CUlfTO ncORDO.
IT
E qoale é quei, che disvuoi dò che volle,
E per novi pensier cangia proposta.
Sì che del cominciar tatto ai toUe;
Tal mi fec' io in quella oscura costa:
Perché, pensando, consumai la impresa.
Che fo nel cominciar cotanto tosta.
Se io ho ben la tua parola intesa,
Rispose del Magnanimo queir ombra,
L* anima tua è da viltade ofièsa:
La qual molte 6ate l' uomo ingombra
Si, che d*onrata impresa lo rìvolve,
Come blso veder bestia, quand' ombra.
Da questa tema acciocché tu ti solve,
Dirotti perch' io venni , e quel eh' io 'nteei
Nel primo punto che di te mi doive.
Io era tra color che son sospesi,
E donna mi chiamò beata e bella.
Tal che di comandare io la richiesi.
Locevan gli occhi suoi più che la Stella:
E cominciommi a dir soave e piana.
Con angelica voce, in sua fovella:
O anima cortese Mantovana,
Di cui la fema ancor nel mondo dura,
E durerà quanto il mondo lontana,
40
45
50
bi
60
SI. 8i MU, dall' tutico UÀUrt, ri
l«b ■ filile.
4r42. ^lireM. ^fliMtido : p«rchè
!• : coiwiftimii to im-
dalU * delib«raziooe
41 wf itart Vlr|ilio^ U qoale ^
~ pnadpio, fo coti
onjusMre «fi'ìm-
frtm vaia prapriaoifote ttmànrla ai
tm ttrwdmt; ma parckè chi ha condotto
• lanMBa ■■ lavoro, ccaM Ha qaello e Io
MHa da pwta; caal qui resprcanono
paM aolaìamta da qaeito lato aignifi*
9, miti iti pmtU, mèb&mdonai firn-
frmm. Potitfcbe aocu darai al rerbo
Il «iiMH il aaaao di annuUmn, di'
tfmn, ritrmltmn, il gii deliberato, a
b aaaa alarcbba r|«aliDeole.
47. Im Timolme te.: lo rirolge, àoè
1» dirtafBa da oaoraU iaiprcaa.
4S. fmam£ vmkrm, qoaodo
In , pnìide aoibra.
49. H aofrt, ti
aoljca in-
minazione del preieate del aognuntìro.
51 . doUm, dolse. Dolv€ è il paasato
del verbo doitrtt tirato dal latiao do*
liilf, mutato 1*11 in «, che in parcccin
cali anco i LaUni tcarobìatano, dioaflido
foliitC e fo/vil, fl/ua e tiUaa te.
52. color te. Dica toapesi colora
che staoDo nel limbo, perchè noa sooo
né dannati né beatificali.
55. piià eht la SUUa, t'uteada
per eccellenza la stella di \enno^ eoma
la più bella II Cod. Ang. e ano dai Pai.
hanno pOi ch'urna tietìa.
57 . in tua fattila^ può inteodeni
o nel lingvaifgio della naziooa a cai ap-
partenne ci«iei vivendo, o in quello pro-
pri» dai Oleati, che eome hanno vtlaati.
geliea^ coai possono avara tmgtliea la
favella.
59. chini, è nel sana del pigti b-
tiao.
60. quanio U mondo lontana. Lom-
tana è osato qui oal aeoso di ktnga,
2
48
Mlilf*
L' amico mio, e non della ventara,
Nella diserta piaggia è impedito
Si nel cammin, che volto é per paura:
E temo che non aia già si smarrito,
Ch^ io mi sìa tardi al soccorso levata,
Per quel eh* i* ho di lui nel cielo udito.
Or muovi, e con la tua parola ornata,
E con ciò e* ha mestieri al suo campare,
L* aiuta si eh* io ne sia consolata.
r son Beatrice, che ti laccio andare:
Vegno di loco ove tornar disio:
Amor mi mosse, che mi fa parUre.
Quando sarò dinanzi al Signor mio,
Di te mi loderò sovente a lui.
Tacette allora, e poi comincia* io:
0 donna di virtù, sola per cui
L* umana spezie eccede ogni contento
Da quel ciel, e* ha minori i cerchi sui:
Tanto m* aggrada il tuo comandamento.
Che r ubbidir, se già fosse, m*è tardi:
Più non t* è uopo aprirmi il tuo talento.
Ma dimmi la ragion, che non ti guardi
Dello scender quaggiuso in questo centro
Dair ampio loco, ove tornar lu ardi.
75
so
i Latini che OMroao Ung{nquut,
iMitano, jperiiittiMntiM, di lunga dura-
te. Coaì Cceruna disse ùmgiiiqm dtÀfh
nt. Alcuni ùid. portano invecr quamU»
U molò Umiamm» che sigairubmilibe
ifaanto il moto dei pianeti, ond'è roian-
nto il tempo : ad • in vero eapraaaiune
Bollo poatica ; ma la noatra armoniua
■^io cui terao antacedente : U cui fa-
M« duf aneorm mi mtndo, § durerà
64 . L amico wtio ae.: roomo amato
da ma, e non dalla Cortana, l'amico
■io ttortaaato.
72. Amor mi tmui§. L'amore che
porlo a Dante infelice, e io lai a tutti gli
uomini di buoo volere , mi marna dal Pa-
radioo, 0 mi fa parlar coaì.
76-77. O donna di virtii, tolm per
mi m. Qui Healriee è rìguaidata come
idoo inaiame e della Pilusiilia e della Teo-
U|ÌB, par lo quali appunlo l'omana ge-
liopòn d'ondleaia ogni altra
cosa torrana , avendo dall' ana lo oopn»-
rioni umane, a dall'altra lo fivnc.
Anche Boono, da coi Danio tasto ooao
tolae, diaae parlando della ilooota: 0
virtmtwm omnium nmirix. Uh. S, or. 4.
— Secondo il aiatoma Tolemoieo, il ||fv
mo cielo, e il minoro, dm ai avvo^ i»>
tomo alla Terra, Saaa nel roBlro,èfMl
della Lana, dal (|nala,o destro il fulo,
può dirsi conleoata la Tom.— -Coalc»*
io, aiacope di eonlmmio.
78. t cordai md: «oa ilart ■ p«è
dividere in qoanti cerdù^i vaola.
MQ.*e§ià fo§§$ oc.: qoaatan^ già
foaae io aUo, mi pairehhotanli.
81 . PtA, di piò, dawaBtefpM. —
aprirmi U tìio taienio oc.» mamfmter-
mi il tao volere.
83.Ì» fuoile eenf ro,cioè mI Liaiho.
La terra è, nMne s'è gii dcttoJI eostro
dolaistema planetario, aeooodoToloaioo.
84 . DaU'ampio loco, doi dal Pwo-
difo, dairempirco, che è il ctalo pia am
CAirXO SBOOUfiO.
Da che la vuoi saper cotanto addentro,
Dirotti brevemente, mi rispose,
Petcb* io non temo di venir qua entro.
Temer si deve sol di quelle cose
C hanno potenza di lare alti ni male.
Deir altre no, che non aon paurose.
r son fatta da Dio, soa mercè, tale^
Che la vostra miseria non mi tan^e.,
Né fiamma d' esto incendio non m* assale.
Donna é gentil nel ciel, che si compiange
Di questo impedimento, ov' io ti majodo.
Si che duro gindicio lassù frang8*
Onesta chiese Lucia in suo dimando,
£ disse: Or abbisogna il tuo fedele
Di te, ed io a te lo raccomanda
Lucia nimica di ciascun crudele
Sì mosse, e venne al loco dov* io era.
Che mi sedea con V antica Rachele.
Disse: Beatrice, loda di Dio vera,
Che non soccorri quei che t* amò tanto,
Ch* uscio per te della volgare schiera?
49
SS
SO
n
iOO
i05
p« A tetti. — I» «nU, doè ta dflNd«rì
Ita.
t, in temo attiro ; da far
/taaiiM d'etto imeeniio. L'e-
è aMtaforìca. l'imfndio è il
• disparato dcndcrio di Dio che
è a asU iiaaiMu che ti prova oal Liio-
W;a« icatrict oob può eaaeme tocca.
packè è acMpra ìa Dio e con Dio M
i«la,Mn'larcniodi Dante il faoco raa-
li Ma tiofii clie in certi luoghi.
M. Dammmè§fntU. Le tre dome di
CB ^i ■ parla forse sono ad ao tempo
tf«a!i«aiabolicba. Realmente la Donna
MBlile fmk aaaari la vergine Madre di
Dio ; altriflMDtif è la dk'tfia CUtnenxa,
i da^ i'oaibra d'ignnraoxa e di
> ia cai aicdooo gli nomini, e il di-
a la aiaaria che gli contrista ,
per gìaato ^odizìo dò loro av-
a cai
yC. Atro gimdieio: qui è termine
f anoaa, e il sogi^elto è la Donna gen-
lOt^ A» franga, amraolliace colla tna
intarc^oaa il darò gindicio o U atTara
giaatiaia di Dio.
07. Lucia, è la santa martire Sira»
ensana, s mi un'antics tradizione narra
estere stati cavati gli occhi. Vedi C. XXXII
del Par.^ v. t3tt. In altro senso, derì-
vaU l'idea da lux, è la grazia Ulmmi'
nanUy che è moaaa dalla divina miseri-
eordis a soccorso dei miseri mortali.
98. fedele. Vasssllo, o servo de? oto
100. nimica di eiateum erudite,
cioè d'ogni cnidelti e d'ogni barbane.
t02. Bachete. Kacbalc fu figlUdi
Labano e moglie del Patriarca Giacobbe
Gl'interpreti delle Sacre Scrittara la
ponnoao per ùihalo ddla fita oaalem-
plativa.
1 03 . B fair ire, la fi(;1ia di Folco Por*
tinarì cbr l>ante amò gioviaetta, i qni
frfita siwb«ilo, come già a' è aeceaaato ,
della eeienza leoingiea cW attiage da
Lucia. — Ittdaài Din vera, pareaìai
Inda, si onnra debiUroente Di«»;avrTeni
io cui l>iii glnrifif^ mi aaoi doni la-soa
boat* e la sus fr«nd«taa.
405. Ch' MMio per ie ee. Denke
so
rau/ niFEEiio
Non odi tu la pietà del suo pianto?
Non vedi tu la morte che 'i combatte
Su la fiumana, ov' il mar non ha vanto?
AI mondo non fur mai persone ratte
A far lor prò, ed a fuggir lor danno,
Gom* io, dopo cotai parole fatte,
Venni quaggiù dal mio beato scanno,
Fidandomi nel tuo parlare onesto,
Gh* onora te e quei che udito V hamio.
Poscia che m' ebbe ragionato questo.
Gli occhi lucenti lagrimando volse;
Perchè mi fece del venir più presto:
E venni a te cosi, com* ella volse;
Dinanzi a quella fiera ti levai,
Ghe del bel monte il corto andar ti tolse.
Dunque che è? perché, perché ristai?
Perché tanta viltà nel core alletto?
Perché ardire e franchezza non hai,
Poscia che tai tre donne benedette
Curan di te nella corte del cielo,
E il mio parlar tanto ben t* impromette?
Ilo
1f5
i'ZU
iS5
d«iramordi Bettrice la tdotillt
che aecete il rao Benio poelicOf per cai
divenoe grande e immortale ; e quell'a-
mora fa emì nobile che lo ritraate d'ogni
406. la piita, Tangosda.
408. Su ia fiumana. Euprìme con
difena metafora l'idea ktessa della tel-
ra, ove, sa cai, o a rispetto della <|ttale,
il mar non ha tanto, perchè nien tem-
peatoaodi lei. Èdichiaralu in parte oue-
alo senao da nn luogo del Canto llV
deIPMry., io coi yicne indicata Firenia
prima coi nome di riva del fiero fiume,
poi di tritta atha.
4iù. lor proj loro utile.
4 1 4 . e fiiet che udito l'hanno, cioè,
chi ha studiato nel tuo belio siile, e lo
ha inteso.
447. PercM «e.: per la qnal rosa mi
feeojpiè presto, più piouto al venire.
448. volse e pur Iftgiltioia tennina-
tioBO doli* nnlico voglier^^ che osa? aai
por «olrre.
420. Che dd bel wtonte se. Intendi :
la qoale t'impedì di perteniro prcata-
BtBto alla pace o coB»olaiigoe dm ti
aspettavi vicina. — il cortoandar, la via
pio spedita. (Vodi il Canto prceadwle.)
i 22. allelU, alleui, doe alberghi.
À26.BÌI mio parlar. Viigilioaite-
boleggia romana ragione, e apodtiM-
te la civile sapienza espressa in forma
p«>etica Quanto ragion qui vede Dir té
poti* io; da indi in là t'aepetta Pwrt
a Beatricf., eh' è opra di fede. Rwr§.
C. X\ III. E può dirsi che egli è l'aBcUo
di messo fra la religione oataralo o il
Crislianesimo, fra le verità intaUigibili
e le rivelate ; di che abbiamo ana prora
nel Purgatorio al Canto XX 11, dove Sta-
sio conr«»sa a lui medesimo : • Per te
Poeta fkii, per te CriUiano. • Da que-
sta finzione poi si vede chiaro il doppie
scopo del l'oema sacro : la feliciti loffl-
porale a cui e euida Virgilio; la beati
tudine spiritUMie ed eterna, a cui mena
Beatrice E sono queste le hssi su coi
s'erge il maravigliuso edifizio del Poema
medesimo. E per esserne certi, si oda
Dante medesimo nellalloiiareAia,Iib.o:
•Quella pro\ vidensa che non può er-
rare propose sll'uomo due fini : l'ono^ la
beatitudine di questa vita, che consiste
CAUTO SECOlfOO. SI
' ' Quale i fioretti dal nottonio gelo
Chinati e chiusi» poi die 1 Sol gP imbianca,
Si drìzzan tutti aperti in loro stelo;
Tal mi fec* io di mia Tirtote stanca: i50
E tanto buono ardire al cor mi corse,
Ch'i' cominciai come persona franca:
O pietosa colei che mi soccorse,
B tn cortese eh' ubbidisti tosto
Alle vere parole che ti porse I 135
Tq m' hai con desiderio il cor disposto
Si al venir, con le parole tue,
Ch' io son tornato nel primo proposto.
Or va, che nn sol volere è d* ambedue:
Tn doca, tn signore e ta maestro. i40
Cosi gli dissi, e poiché mosso foe.
Entrai per lo cammino alto e Silvestro.
■dk «MniMB dcOa sroprìa TÌHè, • nnMMgli aommi all'amaot Midiè. • R
véÌB9 m Sgnra ; l'altra, •Strafa : • è oaccMario che alPolUma di-
dtoTeatrc p«radÌM m Sgnra ; l'altra, •Itrvfa : • è oeccMario che alPoltinia di-
^ii»<ti— di Tifa eterna la quale eoa- •pantione della geaerasiona nmana aia
m ■•■ vma «uviuo isnio aiUMM \9CCO «.W" ., *" ••••§«mw • ihvhw ^uvmi pnnci*
nel; a qacsla pel paradiso celestiale sNn- P" *1>« aaranoa di gran loca par tatto il
•■de. A pacate doe bestitadioi bbogoa pucna.
per dmraa fliCBo vaaire. Imparoccbè 427. (^iMife, eoma.
ali prìMa aarvegnamo per gli amroae- . ^ ^* ^<*^ Mi fee'io ee. Coti mi rìal-
*aMaa«i ftkaofia (ecco I irgUio) parche >*> io dal mio aftilimento.
ydKaaf ■itiaaao,i€coBdo le%-irtu morali '*32. frtmea, cioè liberata, sciolta
«I ialdlcttaaii operando : alla sccoada ^* ^8"* timore.
peri aawniiti-amenti spirìtusli che tra- -156. Ta m'hai con detiderio il cor
' • P asMaa ragione {ecco Beairi- àitpoilo : tu m' hai meteo ia core taato
"Aè ^aaili acgnitiaino operando desiderio di venire.
lavìftàS]oaoeebe...Perleqaalì -138. propotto, proposito.
Jiaafaa airaomodi due direrioni ^^0. Tu dmem, daca, guida,
a i tea Sai, cioè del Sommo Poa- }^} • /«m» • terminatioae l^ittìma
il ^aala aaeondo le rivelazioni di- * primitiva nsata dagli aotichi ia verso
e l'aaiana geaerasìone alla feliciti egoatmente che in prosa,
la. a dallo Imperatore, il quale 142. allo, profoodo, difficoltoso;
gli aainiaettramenti filosofici di- tiltetlro, orrido.
(
CASTO TERZO.
Per me «i va rtelfa dtlà ihlente,
Per me fi va nelF eterno dolore.
Per me »i va tra la perduta gente.
Giuflisia mouse il mio allo fattore:
Feeemi la divina poleslaie ,
La »omma sapienza e il primo amart.
Dinansi a me non fur cote rrtale,
Se non eteme, ed io eterno duro:
Lnsoiate ogni speransa, voi che entrate.
Quesle parole di colore owuro 10
Vid' io scritte al somma d' una porta;
Perch' io: Maestro, il senso lor m' ò duro.
Ed egli a me, come pcrsoua accnrla.
Qui si convien lasciare ogni sos^peUo;
OgDÌ viltà (wnvitn che qui sia marta. Ifc. .
Noi seni venuti al loco ov' io t' bo detto ^J
Cile tu vedrai le genti doloro», ^|
C baono perduto il ben dell' intelletto. ^M
E poiché la sua mano alla mia pose, ^"
Con lieto volto, ond'ìo mi conTortai, n
Ui mi-<e dentro alle segrete cose.
Cliu'fnaniD(KW.:ni>t, a»»- Miulriad» l'Interno non lu (mio per
n Iddi*! hlibnormi. l' nono, et» iBcnn usaiwilfM, ma ti
S. Fimmt ta dM»a poltitale te. per gli AiiErli nlwlli, nantdi» Cmla
MMBMM la (rt jKTiDM divior Dti mijisinia dal tuH» alanw, fui para-
tmàtX' (Uribali. li» ni éiabotoit Ànfttittjut.
Si A«n ttirnt! di i tlMa h- <2. Ptreltìo, per la ijual «M M
i» j pTÌDcipj d'ArialMale, tbt in*- dW: «1*4 ifurv, mi i Bp», mi no
^t«ltb«de[l«C(it((retla,alFiiorer>ils pena, mi ipivcula,
^l(rB«,illremaiicbc>Dl>eniutibili. Dal 13. «mu mtidiu oeeorla; coma
friasgnara frana quelle cbe Dio aiea colai cbe aita ben penetralo la cagiona
LWHIoilirMla nenie e wnia idrio, ce- dH auo tbjgolliiMDlo.
rio •riMÌp» Il aalerìaprima, i eie- IG. tnn. tiaiDo.
|li »«», e pie lardi l'anima ama- 18. Il leu le. Inlendi 0.<., d» è la
, dell altro, quelle clie eran» prò- tomina e tuia lerilà ìe cai pui ^atani
"oHiuiKneeinflueDn dei l'inlclletlo diduuo.
al. e delle tauia teconde, 31. Hi min imita te.: «'inlra-
b. VII, *. CT e tri. Vuul Jiiw nel te^rcto ncaaao, laipcaelnbite
le il Potla eba l'iiiletae k ad ogni lirenla.
E
Qqìtì 9oqM, pianti cd'aM guai
Riaonavan per* Pam* tmui stelle,
Pareli* io al comiDdÉr ne lagrìmai;
Diverse lìngue, orrìbili favelle,
Parole df doloro, aocenti d* ira.
Voci «He e fioobe, e snon di man con* elle,
Facevano^ nn tomollto, il qnal tf aggira
Sempra in queli* aria' sansa' tempo' tinta,
Come r arena quando il turbo spira.
Ed io, ch^ area d* emor la* testa cinta,
Diasi: Maestro, cbe è quel <±r V odof
E cbe gent'èi cbe par nei'dool si vinta?
Ed egli ft me: QÓeBto misero modo
Tengon l' anime trisie di coloro
Cbe visser senza inftimia e senza lodò.
Mischiate sono a quel cattivo-coro
Degli angeli cbenov fÉmon rìbeilH
Né for fedeli a' Dio, ma per sé foro.
Cacciarli i ciel per non esser meo belli,
Né lo profondo inferno gli rìcevoj
l^>
ti
30
36
40
22. fiwio proprUacato è 9
21^
cioè al prìoio
ft-Si. Dimfm Um§m§^ perchè oek
rUvM nmmmi» tali* U Batiooi:
«rìNH fmtilt. U parto piò orrilùle
itmàTii w^i'.fmroU di dolor; U
dlMftto fl fl«bili paro-
la i
Iroachi
pi «e. ■ aBai f'agfira eootioao per
■i iHtoaiiua Icaipa, cioè Mota
■a aalaralflKato ed eCema-
• laaca, aaa eaggrlto ad
aeeira. Cmne
fmmm. daè tmmm fm fareiia, o ^aal
cbe fa l'areae
, aa Tcala tarbiaoeo,
, e la parla ia folta.
m tmrko «pira. Io pei è
««Ina. AacbeilBoe-
alla IV Giara. : • la
tarbo, a efK aeo la
ec. •
la U$im Hntm, Altre
■ é^mrwr: ma a me piace pie la
priaaa,perebè MetKotigiitficante quella
ceafaM«iaae«l»alordiaieala«be eppaoto
prende la testa di chi reiiga in loogo
dove ai strepiti ed nrli. Dell'arrarf son
altri i caratteri Vedi Virf. , Al. Ili, dove
lo descrire: VTM /H^dorbeirror, ee.
58 mi tf aol «i vintm : è il cieto do-
hr€ dei Istlnl, per si^nifietre cKa lafor^
xa del dolore ha Tinto quella delt'aoiiBo.
54. Qutsto minerò aiodo; iatendi
di orlare, di pisn|*ere.
56. «easa infami^', qaalclia t«4a
«•aia /anta. — lodo, lode.
S9. Aèjkr fedéU a Dìo, oao ne
prcser Is dilesa da bnonf rasialift per
tè foro , stettero neutrali , peanroao
solo a sé.
41 . iVd Ib pro/iMida ee. Cioè : i de-
li, per noa enermen belli, diseaeriaron
quitti Angeli tili che ali sTrebbera de-
lBrpati;nè il pmfondo InfcmelirleeTe,
Srrchè gli Angeli rei arrebber d^elH,
a essi, per loro, alrvaa glorio; cioè,
BBS qnslcbe ee|pnne di vattló nel vedere
cbe qaei cbe si stetter neutrali locon-
trsroao aISne la paniriona atedesiaia.
\srj testi, rarrlaall, cbe meglio ri-
sponderebbe al presente Hcete.
DELL IHFEBNO
Che alcuna gloria i rei avrebber d' eWÌ.
Ed io: Maestro, che è Unto greve
A lor, che lameutar gli fa si forte?
Rispose: Direrolli molto breve.
Questi non haoiio speranza di morte
B la lor cieca vita è tanto bassa,
Che invidiosi soo d' ogni altra sotìb.
Fama di loro il mondo esser non lassa;
Misericordia e Giustizia gli sdegna:
Non ragioiiiam di lor, ma guarda e passi.
Ed io, che riguardai, vidi un' insegna,
Che girando correva tanto ralla,
Che d'ogni po^ rai pareva indegna:
E dietro le venia si lunga tratta
Di gente, eh" io non a\erei credulo,
Che morte laura n' aves^ disfatta.
Poscia eh' io v' ebbi alcun riconosciuto,
Guardai, e vidi l' ombra dì colui
Che lece per viltate il gran rìliuto.
Incontanente intesi, e certo fui.
Che quest'era la setta dei cattivi
A Dio spìucenti od a' nemici sui.
Q»
I
.15. Diarotli ce. .- M diri brdve-
Sg. colui «r. PKiro Morouc «cf.ti»
mcolt: dall' «mia atto durra.
lo, clc«i> pipa cai oone dì Cclnthwk
«.(?«.« ac..-,«HUooal,.nn«
ipcnnii di tornare al Dalla, cDmo bri-
pipalo, IT Imnando all'eremo fu Incar-
rerito per «rdine di ttonifatio VtU a»
47. CÌKS, otturi, abbiflta.
•ucesiore, rd in corcsrc mori. Quando
il Poola icciiea queite CMe hnt C«U-
iatidia atDUa le altra c«idaÌDiil d'aui-
medaDoale.
Mi id oG°' moti» il cindiiio di Dante
49. Ftmadilonie.: il m.,oiih>
condD le [almi idea del mondo, e pjn In-
SO. Li Mitlricordia di Diorupten-
di Bonilaiio ch'isli odiaTallnon nik
cMtorme *l Vanceto, a alla Cbiot th»
iti tilt d'caicr riccvuU né qua ni là,
minln dalla e><"<>>'' ' <I>II* ni.tdi-
00. i.iIlnl».po(liHii d'animo.
c«di..
02. MllM «.; tii; 0 nnlli, rh*
53. tmttHO, kandiora.
ipiacdonoa Dine ai Diaroli, carne «illa
M.<r<p(ii(pnw(«rffBBO.(ml.jna
* ptnldpi. a«ur«,u. i«,«c d. .nJf-
G4. Qut§ti iciauralt te. Cbi «ain
al mondo ama dar lejn» ^ •« »"•
■ «ala qui (%nnia b idignaiUi.
opere, mai oon (u vivo rclaliTtnenla
95. (t lunga traila, li gianMgiiito.
>|U allrì uomini.
CAinO TBBIO.
25
70
75
90
S5
Erano ignudi, e stimolati molto tt
Da mosconi e da vespe eh* eran ivi
Elle rìgavan lor di sangue il volto,
Che mischiato di lagrime, a* lor [Mii
Da fastidiosi venni era ricoHo.
E poi che a rìgnardara oltre mi diedi,
Vidi gente alla riva d' nn gran finme:
Perch' io dissi: Maestro, or mi concedi
eh' io sappia qoali sono, e qnal costume
Le (a parer di trapassar si pronte,
Com' io discemo per lo fioco lame.
Ed egli a me: Le cose ti fien conte,
Qoando noi fermerem li nostri passi
Snlla trista riviera d* Acheronte.
Allor con gli occhi vergognosi e ìnissì,
Temendo no '1 mio dir gli fosse grave,
Inflno al fiume di parlar mi trassi.
Ed ecco verso noi venir per nave
Un vecchio bianco per antico pelo.
Gridando: Guai a voi, anime prave:
Non isperate mai veder lo cielo:
Fvegno per menarvi all' altra riva,
Nelle tenebre eterne, in caldo e in gelo:
E tn che se* costi, anima viva,
Partiti da cotesti che son morti.
Ma poi ch*ei vide eh* io non mi partiva,
l>ìs<e: Per altre vie, per altri porti
Verrai a piaggia, non qui: per passare,
Più lieve legno couvien che ti porti.
7}-74.f«MleotlH««,qQalcon(Iizio- rabile tradizione, morali a rdigioai, i
anali, icbbeoe aìlerati daU*iiBfflagÌDa«
ziooa dopo imarriu od oacnrataii r idaa
di ereaxiooe. ooo pottfon parò affatto
caDcellarei dalle menti umane, ù cho
non coDosceaaero sempre in qnaldie
modo la necessiti di nn ente assolato,
giusto moderatore delle eose, e una vita
10 tura.
80. no 'l mio dir: no 'l sta per
non il.
81. mi tratti, m'astenni.
94 '95 . Por altre 9ie, per altri por-
ti. Intendi allegoricamente, con altri
modi, eon altri aiuti. Porti dk jnsi Ir
barche da passar Sumi. Verrai a piag
€-0
ae,olf|ya. Le fa parer, le fa apparire,
le afsna a moOrarsì fi pronle, si cnpi-
Jt, li ardenti.
7S. per la fioco /urne, attraverso
MCira, o laogvidamente illumi-
T#. oonie, manifeste.
7S. Jekmvnte è psrola greca com-
ckc aignifica /fumé del dolore; e
IO credcano i Gentili che l'anime
per all'Inferno. Dante non
iJagnat» Tileni dei nùtj antichi e
par Vonmmtmia peclko, eome ^negli
tka HMlta s'attefiera alla forma «irgi-
1, • pcrdiè sotto il loro ?elo stanno
m realtà nascosti molli veri d'immemo- già, approderai all'altra riTa, non qui.
Dtu. inrBBNo
E il Duca 3 lui: Caron. lu
Vuoisi COSI colà dove si puole
Ci6 che é vuole, a più non dintandarai
Quinci fur quete le lanose gote
Al noccliìer della livida palude.
Che 'ni omo agli occhi avea di fiamme n
Ha quell'anime ch'eran lasse e nudi-,
Caogiar colore, e dibatlero i denti,
Balla ella 'nteser le parole crude.
Beslemmiavano Iddìo e i lor perenti,
L'umana specie, il luogo. il tempo, e il i
Di lor semema e di lor nascimenli.
Poi si rilrasser tulle quante insieme,
Forte piaugeodo, alla riva malvagia,
Ch' attende ciascun uom che Dia non lei
Caron dimenio con occhi di bragia.
Loro accennando, lotte le raccoglie;
Batte col temo qualunque s' adagia.
Come d'autunno si levan ie Toglie
L' una appresso dell' altra inQn die '1 rar
Rende alla lerra tutte le sue spoglisi
Simìlemenle il mal seme d' Adamo :
Gitlansi di quel lìto ad una ad una
Per cenni, cgm' augel per suo rlrbismo.
,(iMcUitp.Mi.n*
.4t«i«h.'D,.u.
«ula «ll'iipM.|>
; •tini* di ■■■■ potMU »p>rìo»'MII»
rrt'*lHMH»r|i;c^aal'f la tana piti
Hm eh* tMrn«i Ci
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1b>M, «A. b, di
400. Ma fwU a
Nim.. Nulid ani
ì
I Irtan II fnglit, n tlm-
Cmì sen vanno ea per l'onda bruou,
Ed avaoli che sian di là discesa,
Auche di qua nuova sciiìera s'aduna,
Figlìuol mio, dÌKe il Msestro cùiifse,
Quelli che muoioo Dell' ira di IHo
Tolti convegiion qui d'ogni paete;
E prunli sono a trapassar lo rio.
Che la divina giasliiia li sprona
Si, che la lema si volge in disio.
Quinci non pas.'a mai anima buona;
E però se Caron dì la si lagna,
Ben puoi saper ornai che 'I suo dir suona.
Finirò quello, la buia ramjiagDa
Tremò si forte, die delio spavenlo
La mente di sudore ancor mi bagna.
La terra lagrimo^a dieiie lenlo.
Che balenò nna luce tenniglia.
La qual ini vinse ciascun seutimeoloi
E caddi, come 1' uom cu
i sonno pipila.
lil.ri«f>»lniaM QoffMiU
Mi», Dwlt4l>»*«l blIBIlD.ill HO,ù-
SM» « DMt .1 T.B. 73, MaiMtro.
•r nJ romctti a.
431. drllo tpmnila ». InlcnJi:
. tiS n»<VM, ^1, ,i rtdun.o
pfT «(ir.u <l(llo ipinnlucbe n'ebbi,
1"-
127. anima òwma. ■nlmo l'nu
mi bit; XI lulliiia di Mdart,
td^. 0«d. p».». ■ fiiMli „Ji .1
<S3-IÓ(. lofriwxa. |>i>D* di do-
CMto il liti pMrgaiorw.
loro di lijrin» ^ dtrri> «mio . »fli& ,
IU.At>ll%»..itr«cì.>««.
n>ndAeav<»l«,CbiBafni«.:iit. il^nii
m. dU-l«u, dir »»<..- cbe
nnlo. (Jnlchc laU rf'Wi* («M.
T.d «ir. ,nlU .„, r.Lb,., 1. ,„.,.
)3S. mi rinlt, mi »ppr«H,OT-
I
88 DELL IKFEBWO
e T'ibbiiOO lIcuDO riconoieiulo. Dapocii pitjido ifrto il cuntro, t b
balio iccadDDo per iinellr] nil girsoo tefpieoir E di ifuftto modo i il li
gio «Do a] fonao, uItd ilciine pirlicDlariU che ai auUno a lao Inogo
Ruppemi l'alto sonno nella tesla
Un greve tuono, si eh' io mi riscossi.
Come persona che per forza è desta;
B r occhio riposato intorno mossi, •
Drillo levato, e fiso riguardai
Per conoscer lo loco dov' io fossi.
Vero è che in su la proda mi trovai
Della valle d'abisso dolorosa.
Che tuono accoglie d' ìnlinilì guaì.
Oscura, profond' era, e nebulosa
Tanto, che per ficcar lo viso al fóndo,
Tnon vi discemea veruna cosa.
Or discendiam quaggiù nel cieco mondo,
Incominciò il Poela tatto smorto:
Io sarò primo, e In sarai secondo.
Ed io, che del color mi fui accorto,
Dissi: Come verrò, se tu paventi
Che snoli al mio dubbiare esser confortof
Ed egli a me: L'angoscia delle genti
Che son quaggiù, nel viso mi dlpigne
Quella pietà, che tu per tema senti.
Andiam, cbè la via lunga ne sospìgne.
Cosi si mise e cosi mi !e entrare
Nel primo cerchio cbo 1' abisso cigne.
Quivi, secondo che per ascoltare,
I. otta, pruEoodD. Ig. ChemM, ilie w wlìi
S.DriOoUtalo. tnleodi : Io dnllo cunlntlD al «io dubitare. Lo i
7. Vtroà, (ilio Ila : — piwla.atit- d' ImpruiidirK il propnta viagg
nilà, arto. ^ Come gii n i drllo, <i 24. cha la per ima lenii
a trupoliata all'altra porli del lluiue prendi per liinnrc, o che In i
ler viriD dinna. io- limare. Notili de Virgilia.
D. Chi Iftono aecDfIi«;cberìDiilHa trnve dirt non doiern porUr
11. ter ficcar Io cijd al fondo, prcpare a fconderc
per ananU tpini'cxu la visM al tondo, mariBip.Diaiaaorea
UOatJaau al fondo. non d al Irò rei clic
33. Quivi, in qasl Inaga: urmdo
ehi ffr OKoltan, modo rllilli», (ho
lale ttcoKdo che aicMaiido pitiftu.
CANTO QUA uro.
Nonavea pianto ma che di sospiri.
Che Tenra eterna facevan tremare:
£ cib awenia di duol senta martiri,
eh' avean !e tnrbe, eh' erati molte e grandi ,
E d' infanli e di femmine e di viri.
Lo buon Maestro a me: Tu non dimandi
Cbe spirili son questi che tu vedi?
Or vo'che sappi, innanzi che più andì,
Ch'ei non peccaro; e s'elli hanno mercedi.
Non basta, perch'ei non ebl)er batlesmO:
Cbe è porta della Fede che la credi:
E se furon dinanzi al Crislianesmo,
Mon adorar debitamente Dio:
E di questi colai son io medesmo.
Per lai diretti, e non per altro rio,
Semo perduti, e sol di tanto ofTesJ,
Che !«nza speme vivemo in dbio.
Gran duol mi prese al cor quando lo intosi.
Perocché gente di molto valore
Conobbi che in quel limbo erao sospesi.
Dimmi, Maestro mio, dimmi. Signore,
Comincia' io, per voler esser certo
Di quella fede cbe vince ogni errore:
Oscinne mai alcuno, o per suo merlo.
irl C^. fi rnta SI
Si- 1' etUha'no meroD
56. porta. Coiì cirlir
m «VM pianto ma eht di i
Vm (llm dÌi.HBj dIIi
■ugù 41 . tal di tanto offt
■a«hB<ÌHip<ri;w>l,iiiii»>piriia irnile itnmt
r* ««tai i» D>bU, i il mu fw At
V^'pHrai'.'c.'jJET, t. IO. '
fmJcÌL*lHii,tTt1(pHierM.llp<ai»- biaiiw illn peni tde anrlli di vltcM j
lotpiri profanili. 4S^ timbù, n(jnÌRn propritnteflCl J
Àithtvinrtofni.
U. amdi. ■>***■ S Ifflill'in t»« frd« chr di '
- - »• e 1» I* n«ltr- J-.-i. ■-!-
■HpplllUCM li «
>re, ni uri luii «aptnwvìi 4<H» J
0 per allruì, cbe poi Tosse beatoT
E quei cbe 'ntese il mio parlar coverto,
Rispose: lo era nuovo in questo stalo,
Quando ci vidi venire mi Possente
Con segno di viltoria incoronalo.
TrassBci l'ombra del primo parenle,
D' Abel suo figlio, e quella di Noè,
Di Moisè legista e obedJentf;
Abraam palriarca, e David re,
Israel con suo padre, e co' suoi nati,
E con Rachele, per cui laolo fé.
Ed altri motti; e Teceli bedtì;
E vo' rlie sappi cbe, dinanzi ad essi,
Spirili umani non eran salvati.
Non lasciavam l' andar, perch' ri dicessi.
Ma passavam la seUa tuttavia,
La selva dico di spiriti spessi.
Non. era lunga ancor la nostra via
Di qua dal sommo, quand' io vidi imTuoco,
Cb'emisperio di tenebre vìncia.
I
tr>r> duUiiu in quoto punta di Ma.
53 tm PiutaUe, Cràlg IrioBbnU.
55. TTomeì, !«■« i i|in:— pri-
tù p»rtiUt, Aduna.
57. ( attdiniU te.; ftttti iloti
il Firidki) li ipcMt MtuOHilc itft li
6\. perehti dienti, iA\imtrfi
', Xoti tralumja ce., MatTm-
Kpr. FlUo Biullo TIMÌO. IMt>
Ili binnn luifj, ( mi Uih «cb>
mo *J nbbadirt «Uè U^gi rbc proniut- a multi flllri pirgcMili udrei, I
glia. In ogai muda o Hrc rb* ne mulLi lìpaiiuiiw étìU ii»u unii I
riaU dal CvlM, rbr vnul tilcrìls l'aj- Ù. PI «M dot lutnw ; ^
(dibrwaa, caamlaauKiiFda'oidici i Pwli : dal «Munto, dalla <
t dellaatattp*. dalla .a(ir <f
S9. tiTmt CM MA fwlrt. Giinlibt
naia Itrult.- la i|U*l parola iigaìiica GD CAc.
laaAtfotU» it $>i(ll cuw firn II tvuIo il >ifl
-gì-
•Ir
GO Cit.
>d'l>ra<l<l
Inda Ungi, dpri-
Nua mila (ainrda fsatla
Aàinro qoèaao. m
Di lungi «v'^Mnamo aiioora an 'poeo, 70
Ma Don « oh' ito aoo discvMKi m parte,
Che orrevol gente poaBed6a<qiiel loeo (*).
0 to, die aum ogni €ideina -ed arte,
QmHì cbiiani cfhanao-oolaiita'OiTaiiza,
Che dal modo dagB altri li diparte? 76
E quegli a me: L'onrata Dominanza^
Che di lor snoDa so nelta tsa'vita,
Graaia acquista nel del ohe 4i gli avanza,
lotanto voce fo per me udita:
Onorate T altissimo Poeta: SO
L* ombra sua toma, chVera dipartita.
Poiché la vooeib testata e quota,
Vidi quattro grand' omhré a noi 'venire:
Sembiaisa «avevan né trista né lieta.
Lo buon Maestro oomlnciommi a dire: 8(
Mira cohu con quella spada in mano,
Che vien dinanzi a' tre si come sire.
Quegli é Omero poeta sovrano,
L' altro é Orazio satiro ohe viene,
Ovidw é il terzo, e 1* uKimoé Lucano. 90
Perocché ciascun meco ai conviene
Kel nome che sonò la voce soia,
ma io tmto fopiakMw comfiiìoae: — f ti diparte, g^iditliiigiM.
Ma M ^ai ém vfocirw, mi 77. ntttm Imi «Ho. nel mondo.
, • stia per vincea; p^mo* 78. ek$ ti gii «oanso, che ù li fa
' '■ bcavaao «pamo datb mparìari agK alIfi^prmlcfiaBilalidalla
i «arfci dalb aaaoada, e laaa.
pawiari • ptnti' 79. f§r wm, da ma.
riapùmitn •t^ SO. rallùatmo Potim, aiaè Virgilio,
^«i il acmoaia - 84. Samàimwut ae.: oaa araaa aè
• aaaircmiartra tritìi oé liaU, CMae coloro '
m dirailawiala.— L'amif/arotfi no oè io loofo di laamaota wà ia aaf-
é a ano bmo dalb «alla dia- fiarao di latiiia.
la ^«ala ha la Sfarà d'aaa rfera SS. aowfitrlfatparfg: falla apada
; il ^1 baio è rinto, ètimfciiU dalle gaairaaanlaladaOmaro;
ia fMlA pnoMk rerrliia, al- a arrdo aarba dal ptiawpalo cba tìaaa
traile di amo, da i|a vi sa tat>i i poati.
js^Ca tifaaM, priampa.
X' olirà ae. : castraiaé: V at-
afta 9itn§ apprcaaa aa. : — téitm,
è il ulinco, KrilUir di Mlira ; ad ^aal |a>
Bara di otrivara egli ka aie angiaabtà
caa arila ancaa « a pania la aa aaiM*
abitai» da GraliK eroi, ia nato pmUiwlo ftirieo rba Urif.
ad ia lett«»liaNai. ai»aa. ti coaairae IM a— m ae.,
doè baooo oomaaa aao ma il aaaw di
«., cba dalla Paala: aoaw, cba talli ad aaa raca gri-
> • laam, di cbe ti perla. Allegàri- 87.
mla^ il loHma lifnifiaa laaapieaaa di SO.
aan^cha l^fi dinlorao a aè la la- Irò afte
3^ dell' mnmifo
Fannomi onore, e di ciò fanno bene.
Cosi vidi adunar la bella scuola
Di quel signor dell' altissimo canto, fS
Che sovra gli altri com' aquila vola.
Da ch'ebber ragionalo insieme alquanto,
Volsersi a me con salutei'ol cenno:
E il mio Maestro sorrìse di tanto.
E più d'onore ancora assai mi fenno, fui»
Cb* essi mi fecer delia loro schiera ,
Si eh' io fui sesto tra cotanto senno.
Cosi n'andammo infino alla lumiera,
Parlando cose, che il tacere è bello,
Si com' era il parlar colà dov* era. io>
Venimmo appiè d' un nobile castello.
Sette volte cerchiato d' alte mura,
Difeso intorno d' un bel fiumicello.
Questo passammo come terra dura:
Per sette porte intrai con questi savi: ti.»
Giugnemmo in prato di fresca verdura.
Genti v'eran con occhi tardi e gravi,
Di grande autorità ne* lor sembianti:
Parlavan rado, con voci soavi.
Tìracmmoci cosi dall' un de' canti it6
In luogo aperto, luminoso ed alto,
Si che veder si potén tutti quanti.
Jarooo. Vedi vtrw 80. — ìa vocé fola : il ticere ora quello cote, di cbe cn ooi^
in(. «mila, proferita «Ilo ileaM trmpo do veoienle parloro eoli dove io cn.
lotti, M che paraa che fww nna iola. 406-iOS. appiè d'un nobiU culti'
93. fitrnno ken». Qoi ituesot omot lo. IleattelloiiniboleMit prubobilBaHo
debito nhcio di tatti gli oomioi onorare la tapienxa , che anche nelle aorrt carta
la fapieiiia, cbo ai apeaao al nondo è ri- ò detta torre munilitMima: le tdlt «w-
lipeaa e ealcata. E lurM vool anche reo- m, le virtù e murali e civili e apecvlali-
strare che tra oneiaomnii, aebbfae dalb ve, che la c««litaiicono : il bel /IwrìmI-
roedeiiiiia proiaaiiooe, non era invidia lo^ reloouenia , che è il mano eoo cW
alcooa, ma ai atimavano ed oooravaoo anello viftà a' insegnano o si persM*
«cambievolmeAto ; e ciò era appunto cho dono,
il Poeta rfpotava degno di ludo. 409. tùiM te,, corno se tscraUo
95. Di quel tignar, d'Omero. foaae.
99. sorrtft per cotupiaccoM : — di U4. Parlatan rado te. Varo •
tanto, di quell'alto gentile verso il sno proprio carattere del ragionatore rilca-
alnono. »jvo e digniti«o; il contrario diiliogvi
402. 5i tk'io fui tetto tra eoUmio il nariiero arniganle, vano e plebeo.
ttmmo, in guisa cbe io foi sesto fra qoei 4 1 5. Trmimmoei te., ci riliramoM
snpienti. da un lato.
■103. alla lumiera, al luogo tomi- 4 16. In luogo aperto: cioè, doida
noso, di che al %orso (>8. non era impedito il vede ra.
40-l.dbef/lacrriec.:ècoQTenieolo 447. si potin, si potcaoo.
curro ipjAMSo. 33
Colà diritto, sopra Q verde smalto,
Mi fìir mostrati gli spiriti magni,
Che di vederli io me stesso m' esalto. iso
Io vidi Elettra con molU compagni,
Tra* qoai conobbi ed Ettore ed Enea,
Cesare armato con occhi grifagni. .
Vidi Camilla e la Pentesìlea
Dall'altra parte; e vidi il re Latino, m
Che con Lavinia sua figlia sedea.
ridi quel Bruto cbe cacciò Tarquino,
Locreiia, Julia, Marzia e Comiglia,
E solo in parte vidi il Saladino.
Poi cbe innalzai nn poco più le ciglia, 130
Vidi il Maestro di color cbe sanno,
Seder tra filosofica £uniglia.
Tutti rammiran, tutti onor gli fanno.
Quivi vid' io e Socrate e Platone,
Cbe innanzi agli altri più presso gli stanno. i36
Democrito, cbe '1 mondo a caso pone,
Diogenes, Anassagora e Tale,
Empedocles, Eraclito e Zenone:
44$.4triaB, «cMlr«, 'm dirìtton. Ccttrt t moglM ai Ponpco.— JfarsMi,
lat. m'mmUù, m MoipMccM^tMto mocliti ili Catone OtioanM.— Corm^/ùi,
faiArwM PtaioM a ncordaroMM, Coniclia, fivliaola di SdpioiM Afrìcaoo
uàm%fmr fXV iaaMgiaa«ioM. a madra da GraecU.
4U , ihUrm^ ftfli«aL di Atlanta, 429. B iotoim parU «a. Saladina,
inla A Ciati finerè Dardana fao- di aanplica aoldata, giansa cai mo va-
' di Traia. lora a Tarai aignora dell' Efitio e ddla
49.§rifm§ml, di apanriar grifafno, Siria, a fa ^aegli che ncoo(|niatò Gara-
éièMria Iwidi. S\alHaia dica di Gin- aalcnaa coutroGaido di Luaignanocba
cIm fa nitrii , 90getiaqm§ n'ara ra. A ao sAOimo valore ani iMdta
a d* «n'anima penclranto amanite, a ana certa polilana di caalu-
•Invaca dalb lax . com . co» mi insolita alla ma naiiona ; and' è che ,
fKm^ti, i Cndd. Aag ., Antald. e Fml- non avendo compaflnia di inai da palar
mm kananiMi oeeki, ckae'i sembrata eonvarsara, come fan gli altri per di-
■%fiae«. — mnamtOt pertlié coli' armi varai grappi, vedesi tatto solo u dia-
isdè rimpwa, e dairarmi ebbe gloria, parte.
424-4». CmmUim fa figlia di Mala- 431 . il Jfoealro ae . AnsloUle.
Wra desolaci, eam'è detto disopra.— 456. Dewtoeriio, ehé'4 mondo te.
rsfina dalla Amanooi, ac- Democrito fa di Abdara, ad insegnò die
.— iiilna, radagli Abo- 3 mando fa fatto oer il fortoito aaaana-
manto degli atomi.
4t7. Tmr^^d^. GB anticbi «sarano 437. Diogmu, il Coleo, fa di Si-
trena» A lavar l'I in corto narola, a nope. — Jnaungom. f«meao filosofo
aaeiana, p. a., mnlari, imqmrm, éo- dommatico, maestra di Panda, fa «li
imgimrim oc. datomene. — Toif, o Telato, milmio,
maglia dì CrtUaliao nno dd salto Sapienti.
— /Mite, figlinaladi 43$. «mjMdnelff, ffiwWo a Zeno-
I
I
a dell' lltPERNO
E vidi il buono arrcoglìlor del quale,
Dìoscorìdo dko; e vidi Orfeo,
Tullio e Lino e Seneca morate:
Euclide geometra o Tolommeo,
Ippocrate, Avicenna eOalieno,
Aierroi», che il gran comenia féo.
Io non posso rilrar di tutti appieno,
Perocché si mi caccia il lungo loma,
Che molle volle al fatto il dir vien meni
La !festa compagnia in duo si scema:
Per altra via mi mena it savio Dura,
Fuor della qtiela noli' aura che tremai
B vengo in parte, ove non è cbe luca.
M- Altri lr> GloioB, il prìcno d' Agri- |-li tìnatotì otonelrici. -
«ala, cbe Kriut un poemi dtlli iHtura Cliudla, t VauhrvilelSIilcina mmJit-
3(ll( coh: ili«oiiilaJiEf««,t)i<.pii>D JE, che dt lui li appdli.
iwuno; fl il Una di GìU>o in Cipro, HO. tono lie medid ; Ippocrala Gnt*
etui f a il principi drgll Stoici. di Cnoi Aiinnna Arai»; GaliiBa, ■ Gt-
l39-<40. a Inuma aceagtOor ilei lena £ Prr^nDio Aiit.
fiali, fibucuri'da: («wllenliTiccoglì- 1 il.il gmcamaite:Atttnt An-
tan delle qoatill D liiln dell'eilic b 1» coment! Arìalolele.
Irdtala. Fn d'Aoiurba in Cilicii, a Ure diffusimrnte i prxgi dì ciuiDDodl
tari 1* tempi. di ISennF._Or/'«, <ti- km; o pimioiio, dir di<Mti,aonnrli
via* poeta eionalgre di Traria. IMti fine ad nno.
14I.TWKDK. H, Tullia Cicerone, 1 1G. «if roccia, où fa trMi, ■'ia-
~~ - Line Irbann, wnilor di lira g 4iT. CAri»oJIiMU«re,.-<h*ipe>«*
o.LaNid. ìnieeedii^M cidt laniio di dire della me ehelM «eJale;
ouia il diie è poco, riapallO' 4l dhIIu
Urìa, i
non ho lolnU qui illoiitaBamii dilli re- Tcdnlo.
manta — amcca, di pilrii Spijnonlo, ione: in dw
Sraeca imitar di tragedie. luce. Luca è <l
Ml-Buelideé ilcelebreiulandc- lerba lucere.
CASTO Quiarro.
Cosi discesi del cerchio primaio
Giù nei secondo, che men loco cinghia,
rimaio, prime. a. einfkia, abU accia, eonprMde;
curo QoiNTO.
B (anio più dolor, che pngne a guaio.
S[av\ ì Hìdos orrìbilnieiile, e ringhia:
E^iainiDa le colpe nell' entrala,
Giudica e manda, secondo che avvinghia.
Dko, che quando r anima mal naia
Li vico dinanzi, tuUa si couféssa;
E quel tonoscilor delle peccala
Vede qual loco d'inferno è da essa:
Cignesi colla coda tanle volte,
Quanlnnque gradi vuol che giù sia ine««.
Sempre dinanzi a lui ne stanno molte:
Vanno a vicenda ciascuna al giudizio;
Dicono, e odono, e poi son giù volte.
0 lu, che vieni al doloroso ospizio,
Gridò Mino.'i a me, qóando mi vide,
Lasciando l'atlo di cotanto uffizio,
Guarda com' entri, e di cui tu li fide:
Non l' inganni l' ampiezza dell' enlrare.
B il Dura mio a lui: Perchù pur gride?
Non impedir lo sao falaie andare:
Vuoisi COSI colà, àa\e sì puoie
Ciò che si vuole, e più non dimandare.
Ora ìncomincian le dolenti note
A farmi>ii sentire: or son venuto
Là do^e molto pianto mi percola.
r venni in loco d'ogni luce mulo.
Che mngg^ia come fa mar per tempesta,
Se da contrari venti è combatl4it«.
30
ti>rt*4ehT. m).
I pugnt o gsaio.
In. Alari Um' - Slwni Jftiwi, ( erri-
UkiMatt fin) tja. — ringhia, ttau;
S. nrfr mirala, aell' enlrm che U
lÌMnn'uin» ad (rnhis Hcniidii. O
mt^w, iflll'ingirtfiH d'*uo eereluD.
9. reeorido ehé atrfingkiajttcfn^o
ch'agli d rìn|[f tolli «kIi.
10. 4 da ttia, 1 per ou, 1 a»\e-
■ìmUi In.
U.CIsmtttelUnda.Unit rli
Ubo* •iyiiBniI gràdirin dilla emcirn -
q dia « wadaui* < li 1(^ in rigisii
ni nuls. Cbt i frenti tmn luci ■!•
lio, t locaiioni OMUrorici IraqnnU
clh Sion CiFli!.
13. Qnmlunqut frodi, uvai
- ""■''j-
iS-lMtia»dB ralla di
F*-
i
I
30 DELL INFEftHO
La bnlera infernal, che mai non resta.
Menu gli spirti con la sua rapina,
Voltando e percotendo li niolesia.
Quando giongon davanti alla ruina.
Quivi le ftrida, il compianto o il lamento,
Beslemroian quivi la virtù divina.
Intesi che a cosi fallo tormento
Gran dannali i peccator carnali.
Che la ragion sommetlono al talento.
E come gli stómei ne porUn l'ali.
Nel freddo tempo, a whiera larga e piena:
Cosi quel fiato gli spiriti mali:
Di qua, di là, di giù, di su gli mena;
Nulla speranza gli conforta mai.
Non che di (iosa, ma di minor pena.
G come i gru van cantando lor lai.
Facondo in oer di sé lunga riga;
Cosi vid' io venir traendo guai,
Ombre portate dalla delta briga:
Perch'io diasi: Maestro, chi soa quelle
Genti, che 1' aur nero si gaslìga?
La prima di color, di cui novelle
Tu vuoi saper, mi disse quegli allotta,
Fu imperatrice di molte favelle.
A vizio di lussuria fu si rotta,
Che libilo fé lieito in sua legge,
Per torre Ìl biasmo, in che era condotta.
83. rapina, ripidUb, o pitillculo
rÉpìmflDUi ìd |ìm, Tortjctf.
Si. itmmH étit nttna. Intendi:
pKNO il tulio dirupilu e ■iUiumo cIm
«nrraiti al nnhin icgaeaUi.
6S. OufH I> Mrida «. Si Mltìn-
Indt fanno, af:aiw, a limile. — Quivi
II* qm pur ad'Td. e inirui cw mie.
prBta uehfl in ilEri unlton iti (r«-
37. InUli te. Lo bJi da Tìr|[ilii>;
dciJa pani, dia bau iipprai'nla loilatn
ÌDqmcla e apniprt Iflupotatu ili ciii *
pmniiiia di imurD. naliirr. Hi eiMU«i(itii arfpalnidit, u
39, talnle, [^aia, ÌDc1iiiai>i)ne;B miqiic tid'lun uicl lihrntmjvnt,
«milin, apiHHila, S7. l'rr Imre «.; aw toglierà a
AO.Btomtu.: nmr l'ili iinrlano liilnuil liinpcria in tlM ari tmili,
f^ituniclli, t9<i nuv\ Halli, i|uil «iiUi, ii|inHtii>i elio (Ila «J Icneta il IgtiD (•
gmt* iBqliif ii'iti- 1 tornei, ftoriif Ili, manaiilv.
i
i
i
Eir è Semiramis, di co
Che sagger delle >
r ddle a A'fito u.
li si legge.
Nino, e fa s
oafauTiicfaalilnioDS di
tugftr ttUi «ktnnleTiKwIiliiin, pm^
Il nunciDia 6 fukb* biun Codicg cha
l'ulUiisi belili
lolenJo
""",— ." '" "«-"r ■—— ■-
ni«, rMoaUi p*r illri nilinini, fui
qa*ai ^ pwgirmi illi amxt Isi.oiM
IModa IB un bd Codkc Mìt UuHn-
•iva WflBilo iti D" 2, cba i Ji nii no di
1.1 Ul JUdm Ji r.ÌHto di Vo] lg.n ikIIi
.liUdd 1370, vUtiupnil ncuddl*
ni ^oJii, o oliai] titgstT dtllt ; il dm
pvinuo, «■ donA esur pnn di CoiLici,
<hc s s HOO petduli, a non >Ì conouo-
■B. Cti Boa oaUnig ni pur ncll« lerti
«dima* tdll idolUili nal IbIo, e mi
11. iUa può ruB
modo ellitileo,
VUM. QDd cbcpolnltl
«!(■ laÌDa«, i a£e Vok\
r dtUiB a mnd, per i
dire e di GdD eoDtcUa, dia
0 ii|>nificare l'«Mr di mi-
ri( dd Nws Bnlnnicg dil
Im), U ^«(le parti mg* di
BurfÌMBiil pólilli dudica: ilui ue-
Crt, <dul, mamma! ttt ubira dtdit
fUotitm quodtinii nxuii'mir Alii
dirimi, chi iiiacdi-lte, vMelitil lue-
, mtil Nimi Tifi, filio nondum sd re-
ffaAiM opta,- t(d prlor lenitu prat-
félrt: tcwlgo itsBli IdjioD», «mniinel-
!• (ti* oltre a ibaceiar ditetljineQle dal
(«seno frtteitalt, diodo ipieguìoue
d'irer Kgnttnin BioìIduìi: Chi tmg^
gir delta a JVIno, a fki rta ipota:
T'ali» la larro Ma 'I SoliUnt tamg-
Je, Li quii dinormili dod lì Iti
l' litri WioM.
trinimo. PtnxcU li bgfa in Già-
■ilo Niaa, non lolandg di* Mia-
itre l'impara in dido ad goaiovi-
:li; innpailo, qaal era il ma S|;[ìb Ni-
I
i
Tenne la terra, che '1 Soldan corregge-
L' altra é colei, che s' anciso amorosa,
E ruppe Tede al cener di Sicheo;
Poi è Cleopatràs lussuriosa.
Elcna vedi, per cui tanto reo
Tempo si volse, e vedi il grande Achille,
Che per amore alfine comballeo.
Vedi Paris, Tri^^tano e più di mille
Ombre mostrommi, e nominolle, a dito,
ali « Nino, ni mai» tuiimnln di* ilSuld.n.
T
>d EffiHo, 1
ai Nini
. .gl»l'iIlipWO,Dp»-
fiatU t«a«Hl [w qiatv nm» mi
Jo«a>HnlDUu(IClTM« t l'imiBÌriiic
■■di qnrivnta hs Hra . Svtbb* iId^^ aa
■ad* far qaaMD t^llo giuitiicala *d(ì-
tìt. coWe*» «'«kìmi
C4. Eltnamlt, . . .
ramIeAth-Ut*e.Ut;fi>e
lui;,fnin>than(iuilcaB<C<
li Elam tldi.icUiUgr
vmmt, parche il tafion-
DM|it figlia, Di >pcM. Vedi a f.lK.
lasgi sifU dirò, cki Dania Hòaiera
lerilU iHCMdiflr, lebbeu ilamcelta
cba •> rcaalla lia'più liafaiJa (ckt
TÌ«u naiia amia il air(lia)-,ail lUQ^'r iHili ciiu lum gran danna,
dalla pitò ciiar nata la ptiBi '■- "
:bl1la p-r
ra «a etri prabahilitt acrilto nffir
d*IK A» pa p*« »>ila agaalucuU di
I
lilBt.lalI'Bi^adril'ail
cilia ara Mpo,a tot pq tanna i
piìaauaaadeL MuHuImaiq, i^
niaa Snidano a Salljina il \m
Uà poKht (U (criliwi dal
tinituurla. Dai
LUanlaliatnlakiaawr*»
incuu, oMii qnalia iha Aba
pii riapaHaalsadun. C'-aiabò io ■]□>-
■la inatfinfa della •arili,* mila prwi-
li1.VtdiPTÌi,TTÙ
ai ijuclla gli anticbi re
• (afiBa bM» n« nniba.
/
CANTO QUINTO. 39
Ch'amor di nostra \ita di[)artille.
Po-eia eh' i' ebbi il mio Dottore udito 70
Nomar le donne antiche e i cavalieri ,
Pietà mi vinse, e -fai quasi smarrito.
r comÌDciai: Poeta, volentieri
Parlerei a que' duo, che ioBÌeme vanno,
E paion si al vento esser le^erì. 75
Ed ^li a me: Vedrai quando saranno
Più presso a noi; e tu alJor lì prega
Per queiPamor che i mena; e quei verranno.
Si tosto cooK il vento a noi li piega,
Mossi la voce: O anime affannate, SO
Venite a noi parlar, s* altri noi niega.
Quali colombe dal disio chiamate,
Con l'ali aperte e ferme ^ al dolce nido
Volaa, per l' aer dal voler portate;
Colali uscir della sohiera ov' é Dido, S5
A noi veoendo per 1* aer maligno,
SI forte fo r affettuoso grido.
0 animai grazioso e benigno.
Che visitando vai per l' aer perso
Noi che tignemmo il mondo di sanguigno; so
Se foase amico il Re dell' universo,
- Ck'mmim' 9C.t cW awrirMM p«r eowtm&9€Ì alm. — Vù9mk : thj Godd.
J'tBiiii. tengon.
7 1. mfi^ ém»: mam FrmetMa Mt- 85. Dido, DidoM. Gli «ntidii prea-
Malatosta cofntto di lei. dtT«Bo MÌtmm» folla tele qvale il nomi-
•M bflllÌMÌna dooM, nativo d«i noot latini ioTcce dell' abla-
da Poieola, mariuia a tÌT«, t dicevano Varrò y Scipio j itr'
MtlitaiU. Innanorè del eo- mo M., j»er Vmronej Seipimo, gtr*
fwMo. Va OM lai «aaÌBO dal awrito cka
Ti. A0 a swiM p rW gli mesa.
so. Mmti te voce : aleooi Codici mercè i divini veni del tao Maestro.
f7Mma. Nomina poi Didona partìéoltr^
monto, oercbè di oioo' altra aooo pia
cdobn sii amori 0 la dbperata morie,
Il «ac»| che meglio ooBBoonaool 87. Si forU fu ae. : tanto potè il
Mpit$m, prego die loro porti , por qndfuwtor
$i . fmMt a mti pmrlar; renilo a c\§ li menoma.
nrlar aai, ladota la prap. a, come ai SS. O animai ee. : parole di Fran-
éaaCBlo sai dalla nota SI. caica a Uanlo : onJmaJ, corpo ammalo.
! maiar poriata : totero ala Sentibilii omimaHeorptuni amia»al.
la cai veameau pardw Volo. Eloq.
miàhmOà a portar per l'aria lo colooa* 89. peno. Il peno è aa eolor tar*
W. aaaaa biàafao dell' ali, cbo caao tea- cbiao, o comò lo dofiniaeo Dante
a [enne; come ao dieeeso : nd Como.: aa «dor mieto di pnrporao
I I 1 •« *— «^f ddr impeto ddl'af- e di nero, ma in cai viaoa il aero,
imo, pia cW dall' ali. Virgilio, deacri- 00. Noi oc.s aei cba aMriaiBo ? ai^
v«éo «al V dcV Eaaide la cdmaka che taado il ooatro sanpa.
rèa al ■i'a, tvaa dallo ttltroi neqwi 91 . amico : doè, aodco a ad.
DELL IHFEBNO
Noi pregheremmo Ini per la taa pace,
Poi e' hai pielà del oostro mal perverso.
Di quel rhe udire e che parlar li piace
Noi ud iremo e parleremo a vai,
Mentre che '1 venlo, come fa, si tace.
Siede la terra, dove nata fui.
Sulla marÌDB dove il Po discende
Per aver pace co" seguaci sui.
Amor, che al cor gentil ratto s' apprende.
Prese costui della bella persona
Che mi fu lolla, e 'I modo ancor m'offende.
Amor, eh' a nullo amalo amar perdona,
Hi prese dei costui piacer si furie.
Che, come vedi, ancor non m'abbandona.
Amor condui,se noi ad una morte:
Caina attende chi in vita ci spense.
lipioM.- 1* Kiiol. t U I
cui Gli •nlielii ciinliiit
■i penti cbe i|0«U* difSdliiitsIt
Il ■HoumilUo ■ Uhv per mirilo
mo dilli idetmiH 4Ì colui.
'rilX*^*<>I
il cpncvMJi si PvFtj iMpparr aan tD4^j
ilcndorfl, che qBf«(r brevi pivtei'tvti-
nJInD aMmiuMDle mi bulli dal icdM.
97. ili Itrra K .- K»«na.— naia
08. detete : il Pomo bd moprìn-
99. PtT atcr part i
peuni iiriae cn malti I
tùO.atenrQrnlil.hn,
IMralaiiiHnFlIadiDi
Pntaiil M cgr|ioniia,
diiiiM Hr operi di chi mi
»» troppo ul
k.
fiaiila di foliDM «
« Il dag.uU
, perùoocbc «Ha
i, chcn II pn-
■ il modo irlifi-
liaiitqaellW-
'U coddftDBi del
ut una BiDrIt, ad a» tlMH
QiMle parole da lor ci far porto.
Da cha io intesi quelle anime oflfense.
Chinai il viso, e tanto il tonni buso.
Finché 1 Poeto mi disse: Che pensef
Qoando risposi, cominciai: 0 lasso,
Quanti dolci pensier, quanto disio
Menò costoro al doloroso passo 1
Poi mi rivolsi a loro, e parla* io,
E cominciai: Francesca, i taci martiri
A lagrìmar mi fanno tristo e (ho.
Ma dimmi: al tempo de* dolci sospiri,
A che e come concedette Amore,
Che conosceste i dubbiosi desiri?
Ed ella a me: Nessun maggior dolore,
Che ricordarsi del tempo felice
Nella miseria; e ciò sa *1 tuo Dottore.
Ma se a conoscer la prima radice
Del nostro amor tu hai cotanto affètto ..
Farò come colui che piange e dice.
Noi leggevamo un giorno per diletto
Di Lancillotto, come amor lo strìnse:
Soli eravamo e senz' alcun sospetto.
Per più fiate gli occhi ci sospinse
Quella lettm^, e scolorocci il viso:
Ma solo un punto fu quel che ci vinse.
Quando leggemmo il disiato riso
Esser baciato da colante amante,
41
110
115
420
m
130
fa rifa ei tpmte. ForM V iananortU
énMi cbi««a 9itm le èoUent d^imnre
ÌB «IBI alfe Mali eMa fa tpcnta. Qaal-
ffh» Gal. : tkl wUm ci spente.
laa. pmrU, cioè dette, da porgere.
4§è. «fflUtf, offete, travagliata.
144. mi éolanto pMto, ciaè al
fHfaii faKiarti vÌQc«redairamorc. cka
9ai fb tm^emt ad eaai di grava daolo.
4 47. J fafWaiT alt fanno ce. .* ni
laBaa pm caaiMaaiooa tristo liao alla
faeriaa; • ai laa piaogcra di tnatcna
• A fialft. Qocsto concetto è didUarato
dal Fmttm alcaao nai priaM tanarìo del
44f . A Ai e eaiM, a ^al aagto,
a par 4mI awdo.
420. ItfnMiatiiTrttri. loacanbia-
•da «Barn nan ancor bea ■•Difettala.
4 23 . ciò «a '/ fao Dottore. Accenna
Boado, che oel libro De Coni. Pkiioe.
ectmm : In omn< oitoertifala fortmm
infelieittUmum getuu inforùmd ott,
AttSfe felieem. Questo aatora ara fanù-
liarissino a Daata,il qnale dica nel Can-
nilo d'aver ia etao cercalo conforto al
ana dolore per la ouHrta di Bealrica:
• INnnii a legger oaello noo cooocdato
da Bolli libro di Bocno, oel ^nala «n-
ptivo e diacacciato comolato t? avaa. •
425. offettOf deùdario.
42S. Di Lmteiliotto, degli amari di
Lancillotto. Vedi il roaMMo La fcnafa
rolonifa.
450. gli aceM ei $o$finto^ intendi
a tgoardi pieni d' aoiaroso dcaidarie.
435. il disiato rifo, l' anau bacca
•orrideate.
Questi, che mai da mo non Bn dtvieo,
La bocca mi baciò tutto tremante:
Galeolto fu 'I libro e chi lo scrÌBse:
Qttel giorno più non vi leggemmo 8t-anle.
Hcnlre cba l'nno spirto qoeslo disse,
L'altro piangeva 6i, che di pìHade
r venni men eoa com' io morisf*;
E caddi, come torpo moria cadcj
'. Gakolla ftt 'l libri) i chi lo HI . nnrliie. AncLc qanU
GilcDilu en il notile di culai nuiDiii'J.'lla jirìm pensa* [ulrc
umilio tngK ■idoÒ Ji Lanik- (gli ■nlwhi. — E.oiii •irRliteni
di GluiH} GilcoU* li ibiiaiì tvlt* pwtuip», cu b'ati aoa
140. ro/iroK. Fdi
g«TA, Hrcbè ij riconoKfl
dpaled«]U«ealuriddl
;i,r
: Piah) pitB-
TANTO SESTO.
Al lumar detta mente, che sictafnse
Dinanzi alta picià de' dno cOE^iati,
Che di tristim lutto mi cotifui^.
Nuovi lormenli e nuovi tormciHati
Hi veggio inlorno, come eh' ì'mi mova,
E come eh' i' mi vot^a, e eh' ì' mi guati..
r sono al terzo cerchio di4la piwa
Eterna, maledetta, fredda e greve;
Regola e qualità mai non l'è nova.
Grandine grossa, e acqua tini», e nove
Per r aer tenebroso si r'rrerea:
I
. .,.d. I
7 r»
I». Il BHMBei" Oil 1«.
teJmHut rinomi ciw
. i Idilli.
) Pirl'ttrltnttrBiB L
CMSKWO ABSTO*
Aà
Fate la tem >cke questo riceve.
Cerbero, fiera crudele >e diversa,
Con tre gole caninamente latra
Sovra la geale che quivi è sommersa.
Gli occhi ha vermigli,. e la barba unta ed atra,
E il ventre largOt 6 unghiate le mani;
Graffia gli spirti, gli scuoia, ed isquatre.
Urlar gli tà. la pioggia come cani:
DeU* un de* lati fanno air altro schermo;
Yolgonsi spesso i miseri profani.
Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo,
Le bocche aperse, e mostrocci le saune:
Non avea- membro che tenesse ferma
E *1 Duca mio, distese le sue spanne.
Prese la terra, e con piene le pugna
La gittò dentro alle bramose canne.
Qual è quel cane che abbaiando agugna,
E si racqueta poi che '1 pasto morde^
Che solo a divorarlo intende e pugna;
Colai si fecer quelle facce lorde
Dello dimonio Cerbero che introna
L' anime si eh' esser vonrebber sorde.
Noi passavam su per V ombre che adona
La greve pioggia, e ponavam le piante
Sopra lor vanità che par persona.
i6
2U
25
30
Zb
^| f li ftla tono Aat tìz) ofTascatori
idi» npomt ; con gran tea do dan^oc
iftmtam Ira le tenebre.
13 Fmi§j poTza : questo^ qneito
iì. éiienm^ i trana, altrimenti fatu
étlraNra.
47. kw»mi, lezam^e.
II. it^mmUrm^ mette in ^attro par-
1 a^wto. Q«eirt in principio x'è ag-
/ÌMte par «Àl^lniurnlo di soono: cos'i
alW attiao fine istato , Ulu-
31 . i miteri profani^ cioè i mate-
ria* eé akietti goluai, quorum Deut
22. il §Tan rrrmo. Dicesi remif
%maf^tKmtaU odlc Scrittore totto ciò
ót farà alMB» foppliiio dei dannati gii
, «vt ai generano i Termi : e Cer-
ioterpreUto f ala d̀oraU>re,
è il Termo destinato con ragiono al tor-
mento dei ghiotti.
23. le fanne, gli acuti denti da fe-
rire.
25. le tue t panne ^ le mani, quanto
s* allargano dal pollice al minimo.
27. frroMOf r eamM, famalickegolt.
28-SO. abbaiando agugna. SaUuh'
tondi il paàUì^ che segue dopo; cioè
manifesta eoll'aòèaiare l' ardente bra-
ma cbc ba del cibo. — intende^ è ioteo»
to: — pugna, s'arfanna per aodisfarti.
È nna Tera pittura del cane allamalo
cbe inaspettatamente trora dbo.
52 iiUrona^ stordisce.
51. adorna, abbatte, tica proitrate
a terra.
55. ponavam f aaliea lermiotiione
UTOce di ponetam,
56. 5opra hr vanUàj sopra i lor
corpi Tani. ombre ^ eke par pertona,
cbe ba sembianza di corpo aoMiio.
I
Elle Riacién per lerra lultó quante,
Fuor d' una eh' a seder si levò, ratto
Ch'ella ci vide passarsi davante.
0 tu, che se* per queslo Inferno tratto.
Mi disse, riconoscimi, te sai:
Tu fosti, prima eh' io disfatto, fatto.
Ed io a lei: L'angoscia che tu hai
Forse li tira fuor della mia mente
Si, che non par cb' io ti vedessi mai.
Ma dimmi chi lu fé', che 'n si dolente
Luogo se' messa, ed a si fatta pena,
Che s' altra è maggio, nulla è si epiacenle
Ed egli a me: La tua città rh'ò piena
D' invidia si, che già trahocca il sacco.
Seco mi tenne in la vita serena.
Voi cittadini mi cbiamasle Ciacco:
Per la dannosa colpa della gola,
Come tu vedi, alla pioggia mi fìacco;
Ed io anima trista non son sola,
Che tulle queste a sìmil pena stanno
Per simi! colpa: e più non fé parola.
Io gli risposi: Ciacco, il tuo affanno
Mi pesa si, che a lagrìmar m' invila:
Ma dimmi, se tu sai, a cho verranno
Li ciUadin della città partila:
59. patsarii datQiitc, fame di- tfrtjfit, il non» pcmitilr tua dis cbii-
À2. T» fòlli .... fallo te. Ta ai- b3. dunfiniii, iglUliirìiillaMlal*
ti. moggia: maggio dinrino gli 59. Mi ptiaHtc. E dtnDUn Al
iBtkhi firwiafgìort: (in Fimiui'ip- il P'wli 11 idduiIciiÌ ì pomli d'innia-
pdli Uillnn con quelli Tua n» vii. (ÌBeaii (in Ilio KniB| in npoH ero-
— MiUa, niini. uenlcdclli lorgroilk: th> santi Bn-
St.di Icv'UKmu.nal n<iDdi>. vllà i driemìniU dilli fani deU'iui-
t datlo per a^pmuiane ill'iUuilc It- paini ■ prcfir*, e«ì«lii mijgion na-
■«trtM. pnl», mlnnrn-iviaiaTMitnijieki
93. Class. Non tn ni quati od ti mmiiida li idi cBinpasiona imo i
1 ilcuaibin cnduU ,
• ai molli turtì, tL linlo dilli
^1 .■«! ibbiui». .ino iir Irti «li.-
tanf flì ^1 T«nuit> il loprinnomi (ti
^ fm€B,citUnii«%ìe!i>6acÌteea. Viro Gì. dilla eiUd parlila, cìtkii Fi-
CAIITO SESTO.
S'alcQD v'è giusto: e dimmi la cagione^
Per che l' ha tanta discordia assalita.
Ed egli a me: Dopo langa tenzone
Yerranno al sangue, e la parte selva^ia
Caccerà V altra con molta offensione.
Poi appresso convien che questa caggia
lidira tre Soli, e che 1* altra sormpnti
Con la forza di tal che testé piaggia.
Alto terrà lungo tempo le fronti.
Tenendo 1* altra sotto gravi pesi.
Come che di ciò pianga, e che n* adonti.
Giusti 8on duo, ma non vi sono intesi:
45
66
70
T«fi al CmIo X , feno 4 00 t se-
«7
M Hm Imma IMMM, dopo lu-
C9. Is fmrU Mthoggim, Cot) fa
I la porto Bionro, ocrcbi di qaollt
la famiflia dr Cerchi venota
di Val di Siero.
ae. C«cecré r aitrm^ cioè la parte
fUra, di cai orao capo i Donati. — con
wmiim mfftmaUmty eoo graodMra e
laàat. Qacota cacciata awanna
_ ddlSOl.
càff fvatte. la parte solTaggia.
aS. tnfrmirtSoU. Dentro tre giri
£ aalo, fHMa che paasio ire anni. Dal
fitmSImmtm di oiano del 1500, epoca
ddla ViaMkt. all'aprile del 1302, queo-
bi nroao tolalmnitc cacciati,
95 «cai, aiocka ti aTvera la pro-
madaodoai il taito anno ioco-
rr aoito.
tal, di Carlo di Valoia, cfta
iMll^taj^fta. che ora (dicooo alcuni co-
aaaM«n,lra^q«ali il CÒotat adopra dolci
• àaiafhavali modi coi f'iureotioi Ma
afiigatioDe scorda dalla Croao-
■, aeaira sappiamo che Carlo non
vamM m Rrcate che oel novembre del
ISOf , • Cacci accanila com che atve-
«va Balla prmaircra del 4300, qaando
parlava. Ed io fatti rem come
IO iatorao al Valob Ugo Capato
■d il dd Fmrg.j ttno 70:
K OM 4bM Mirflv MM»i,
I oa attfw Cari» f»* 4i Fraacia
era a qoell' ora Mòlo di
i perete, Tolaodo riferirà a Cario
di Valoia il tette piaggia^ eonrerrh
Sraodara il verbo piaggiare oel tenio
i eoiteggiar te marliMi, a dare al-
Fespreeaioae di presente il tono di pro-
fetica visione. È noto del resto che Bo-
nifaiio Vili avea eoo grandi promane
invitato Carlo di Valois fratello di Fi*
lippo il Bello a passare in Italia per far
l'impresa di Sicilia ronlro l'Aragooesa ;
e che venuto il principe, mentre si stava
in Corte del papa aspetlande il tempo
opportuno di navigare, fu da lui man-
dalo a Firenze per comporre quei citta-
dini divisi. Il Francese, da buon pacie-
re, vi oppresae il partito avverso alla
Romana Corte e a sua casa, e carico
delle sp«>glie bianche e nere sa n' andò
con Dio. — Ma se a piaggiarg si volesse
dare la sigoilicaziooe di huingar», me-
nar tue arti, allora questo piaggialere
potrebbe essere lo stesao Bonifaxio, che
mentre mostrava amoroaa cura della
pace di Firaoxe, cercava aagretamenla
tirarla al suo intendimento : a par le
forte del Valois, che poteao dirsi anche
sue, perrbi da lui mandata e per lui
operanti, vi fece da ultimo preponderare
la faxiooe dei Neri. Vedasi il Compagai
al principio del lib. Il, e il Villani al
lib. Vili. Anche il Bati riferisce U feilé
piaggia a Bonifazio, e lo spiega : e Ora
ita di witzio tra l'um partito e tal-
tra. • — Piaggiori significa prapria-
meote «fidar fra terra e taare.
72. Come che di eia ee.: aabbena
la parta Bianca di »\ iniqua appraa
aiooa pianga e s'adiri.
73. Ciotti ton duo ee.: due giusti
■omioì fiorentini, dia io qoalla turbo-
Superbia, invidia ed avarìzia
La tre favillo e' banoo i cori accesi.
l^ì pose fine al lacrìmabii siono.
Ed io a lui: Ancor vo' che m' insegni,
E che dì piò parlar mi Èict'i dono.
Fariuala e il Tefsliiaio, che fur si degni,
Jacopo Ru^itìcucn, Arrigo e il Hosra,
E gli aitri fbe a ben far poser gl'ingegni,
Dlinini ove .'«no, e fa eh' io li conosca;
Che gran detùo mi spinge di sapere,
Se 'I ciel gli addolcia o lo 'afemo gli attosca.
E quegli: Ei son tra le anime |hù nere;
D^ersa colpa giù gli grava al fondo:
Se tanto scendi, gli potrai vedere.
Ma quando tu sarai nel dolce mondo,
Fregoli ch'alia mente altrui mi rechi:
Più non ti dico, e più non li rispondo.
Gli diritti occhi lori* allora in biechi:
Guardommì un poco; e poi chinò la [esla:
Cadde con esea a par degli altri ciechi.
E '1 Duca disse a me: Piii non si desta
Dì qua dal .'non dell' angelica tromba.
Quando verrà la nimica podestà,
Ciascun rÌlro>'crà la (rista tomba,
Rìpìglicrà sua carne e ^a figura,
i «rollatì.
fento j/li al
SS V«frt„ colpa. UUnJi: Ul-
F«-ilpi.JoWAI.gt,irri,.P.lt«,J«<,
t- t\Uv rkml.fi* ali grw: coti tuj
irud* ini» Cud.; Ctulnnli, tbc Ben-
aaLci i U coiDoi» ;Ji <i««r«a.
mito di IdoI> Jin: JUtr naitut flv
sa. alla mntt K. .- iè( U noi»
rmllff bwppH Dm-iù.
Khì .1 n.««io U B.,a,«il di ■». Si
TMO fartMi.ei/r«(»i«feH..-
Diali Jà ili' gnine da lnt|>uuli, eh*»
wtoilD. T<nhi«ilil»llipronuiuiiri«-
pici.» Ji moni. aliliU.
nù r««lkwV™t prùiafo, FUlm;
a^. Pili ixm •• dilla. )Hà lodii
Mil «l»D* TolU fTima-. PUU?. uc-
05, WfMM.- àoi prìin.d.1
UiUà-.-Arrig,: «ui, cb. pi. „«.
■II.I» l'ii.|<!lkt iwub. |«r 1 ..■ì<«.
mIi pu.lil.8.
96 -imita podula. Dio dhbìm li
iffnt: t'A •DIFndi ■ h^ifto «tei lors
linu pullulai. Cw nnrils. mtlnla.
OAfflO SESTO.
Udirà quel che in derno rimboihba.
Sì (rapassaflimo per sozza nistnra
Dell* ombre e <ieUa pio^a^ a passi ienti,
Toccando un poca la vitat^tora:
PerchMo diasi rMaestro, osti tomenti
Crescerann'eidopo iaipan seotenza,
0 fien minori, o saran si oocendf
Ed egli a me: Ritoma a'ina seienza.
Che vuol, quanto la cosa è più perfetta,
Più senta *1 bene, e cosi la doglienza.
Tuttoché qoesta gente maledetta
In vera perfezion giammai non vada,
Di là, più che di qua, essere aspetta.
Noi aggirammo a tondo quella strada.
Parlando più assai eh' i' «an ridico:
Venimmo al punto dovo si digrada:
Quivi trovammo Piiito ilgran nemico.
«7
100
105
ilo
115
90. fiK/ c^ HI etemo rimbùtnba.
Là iuJc scvlcnca cke nmbomkerà eter*
L»Bn^ie nelle loro or«cdii«.
<02 Toccando ee.: ragioniAdo un
^oe» della vita futora.
lo5 fi cocenti f doè cocenti come
H« ora, De più né meno.
106. m tuB tcienxa, alla toa filo-
easere
tee. é9§H»nxm, dolore.
HI. Di U ee.: aapetu d'
ali pcrfHla di II dal snooo dell' ange-
m lraiBka,Tfcc di qva da eiao.Che \ noi
fir«, tko'ìo aaime dei dannati dopo ri-
presi i loro corpi venate in maggior per-
fexiono. sentiranno più fortemente il do»
loro dei tonaenti. bd è dottrina di San*
f Agostino) che: Cibili fiet reiwrrectio
eamis, et honorum gaudium mtQUt
erit^ et maiorum tormenta m^ywa.
1 14t ti digrada, si discende por fia
di gradi, oscala.
H 5. Ptuto, Dio delle rìcaken<*,
figlinolo di aVi.ue e di Cerer«. — il
gran nemico, cioè della pace del mou-
do; perckè dalla sete dell'oro e dalla
dismanra delle rìcrhme derivano i più
gravi disordini nell' umana (amiglìa.
CAUTO sfrrrino.
'« fB«/ étmiomto, « i€tmdt con PAtmmm» m wadara Im p^
eoi pét$» grumummi peti, «m tk» ti ftnaiwm» murtmmt,
di e*tf pmttmm Ml^aÉtft mtkim ot^è Im ptUd* SHe»,
mlof90iài
Pope Satàn , pape Satan akppe,
4 . Papa Satdm ce. La toc» pape aeono il maraTfglioao a H Itrrikifc, ap-
ìlaMste •o' carlaMaaiooo di patito por eie eleaso eha no» e' totali-
I. Alepfo è parola di iwerta dono. Vero è eba iahini opÌMM eba
«nfi»e*e aifB«lMaio, aebbcso il ooote- qvetto primo vcrao eia tetto di parole
ila !a fa aradare est iotenrtiooa d' ira ebraiche, e eicftifiebi : Be$phnéeai fa-
e di ■inataia E qaesto voci aegreie , det Satatti, reopUndoat fkeie§ Ha-
^Hgi pervia dà aag^ iacanto , aacrc- toni princijrii.—' È notabile ^m il co-
^V HI^^^HI
Ji DELL' 1
IKFEBKO ^^^1
Cominciò Pluto colta voce chioccia ^^^|
E qnel Savio gentil, che tolto seppe, ^^
Disse per contorlarmi:
Non ti noccia
La tua paura, che,
,poder ch'egli abbia, t
Non ti lorrà lo scender quesU roccia.
Poi ai rivolse a quell'enfiata labbia,
E disse: Taci, maledetto lupo:
CoDsama dentro te
con la lua rabbia.
Non é senza cagion 1' .
andare al cupo: io
Vuoisi nell'alto ià dove Michele
Fé la vendetta del
superbo slnipo.
Quali dal vento le gonflale vele
Caggiono avvolte,
poiché l'alber Cacca;
Tal cadde a terra
la Hera crudele. ts
Prendendo più del!
la dolente ripa,
Che il mal dell' un
iverso tutto insacca.
Ahi gioslizia di Dio, <
[ante chi stipa
Nuove travaglia e |
}ene, quante io viddi? to
E perchè nostra colpa si ne scipaT
Come fa l' onda là sov
ra Cariddi,
n»lo ddl'Ollin... . (hi.nJo Plulo
troioiifulropu»., e iFÌts»» paidii
• lida II rtiiioiiiJ tundneiTt l'onunilk
, d a»r..igllè diullo. . V..l,p.7r.
2. eMBtcia. noa fd upn.
5. ckt lulla llppt. iDcliE 1* liosui
ciKch*. cbigti rir>.[did.ipi«»Ur>-
ìd ni pirlò Fluì».
5. tU. poi» «.rpgioti, qnilun-
qu potare th'rgli iblui, o, per i|u-iilo
JST^i-bbi.,
.i. pi gii, prr 1. d.1,nl. Tip.. Jl-'p..
e, tomi, impeaiti. AJlr. €Ì. Itr-
<:b,..Dii luli« il bilio mttrBtìi. la iruit
ri. - »«(<. bil».
7. mqucU- enfiala labbi».iiut\\.
' (8!"^'.n«a.iin*°ri«b''rade,'i'iÌol
fKciigonti J'ì™.
dtli-unirim: dui€ ti'as pioili (nlli ■
8. nat«kl|<>(«fo: il lupa è ■I>u-
MadDirKim».
llm^Jo,
i9.2l.li,nlichi,tipas.fi«,t<pif
41. itni». t i-I l'Inno b..l,.[o
lU H'intirraEMiiIiildi cbi >^oti,ai>
iMipiii, • "-l" }"««> Ji pe™™, e gf
u«air4dri.s:x,.vod,iu.Dio.
(>1 tnimiìUo ■ l« trctaaUa dim»
i. » » .-hIì] . parcbè i VmÀ «t„li
fWt CWS*™» ""x^ «■ C<«™ìw;
ci ..,««« (irip-M ««H
*:ii.X;.a™'.-"--"R"
di Eidl.1 la onda cba fanjan. d.t Man
. bir«, 1(1 «. Altmù pronduBo fiacca in
laiiie, r quella dia luuo dal Tirru»,
l_ .^
M
Che si franga con quella in cui s'intoppa;
Cosi coDvien che qui la gente riddi.
Qai vid' io genie più che altrove lrop|ia,
E d' una parte e d' altra, con grand' urli
Voltando pesi per foraa di poppa.
Pcrcolevansi incontro, e po^ìa por IÌ
Si rivolges ciascun, voltando a retro.
Gridando: Perchè tieni? e perché burli?
Cosi tomavan per lo cerchio tetro,
Da ogni mano all' opposito punto.
Gridando sempre in loro ontoso metro.
Poi 9Ì volgea ciascun, quand'era giunto.
Per lo suo mezzo cerchio, all' altra giostra.
Ed io ch'avea lo cor quasi compunto,
Dissi: Maestro mìo, or mi dimostra
Che gente è questa, e se tutti Tur cherci
Questi chercuti alla sinlslra nostra.
Ild egli a me: Tulli quanti fur guerci
Si della mente in la vita primaia,
Che con misura nullo spendio ferci.
Assai la voce lor chiaro 1' abbaia.
Quando vengono a' doo punti de! cerchio.
Ove colpa contraria lì dispaia.
24. riddi, giri ■ tondi
\ì. ita» \, ridda.
25. (nw, n.,;<.ro„
27. ToIIokIo, «oii.„t.
j, come
.—ptr fona di poppi
28..po«ÌopBrK...[
ìlS;
30 P«xU(Ì«iÌ?«ii'> diroDoiprii-
fi(fci tff\ «nri : pmM burli? nwi e''
■1 (ri *■ prodighi ; ani ftrdit rstnli, p<r
th» |eth TH T Si rìniiroTErliui ■ licroda
krf è dil pmTHiilt furiar, che lAle
(ucr Ht«ralt.larf 0 dil nts: quindi |>cr
Htemioog tnalocfHon. (itltar e<a.
S3. 0a ogni mano da Dgni pitta.
:-39. ckerxi, rliirìci: clitTaUi,
la cberìi:*. Vadati (inle (bari-
40-41 . fur gusrcf Al drlla mml*.
f^ti, aan ei («■tro [•
Iroppu parmncQla, o
43 laUai», lo
,ln »)Ia parala in|ior
àot pniSélitM te.
Iflidoli m parli eoulra
Qiifr.li fur cherci, che non han niperchio
Pìlaso al capo, e papi e cardinali,
In cui n.^a avarizia il suo soperchio.
Ed io: Maestro, Ira qae^ù coUli
Dovre' io ben riconoscere alcnni, Z>^
Che furo immondi di coletti mali.
Ed egli B me: Vano pensiero aduni:
La sconoscente vita, che ì h sozzi.
Ad ogni conoscenza or li lia bnini.
In eterno verranno agli due cozzi; &^
Queslì risurgeranno del sepulcro
Col pugno chiuso, e questi co' crin mozzi.
Mal dara e mal tener lo mondo pulcro
Ila tolto loro, e posti a questa zulTa:
Qual ella sia, parole non ci appnk.TO. tJ
Or puoi, ligliuol, veder la corta bnlTa
De' ben, che son commessi alla Furlana,
Per che l' umana genie si rabbuffa.
Che tutto l'oro, eh' è sotto la luna,
E che già Tu, di queste anime stanche ti
Non poterebbe farne posar una.
Maeistro, di'.'! lui, or mi di anche^
Questa Fortuna, di che tu mi tocche.
Che è, che i ben del mondo ha si tra LrancheT
E quegli a me: 0 creature .'^ciocche, IO
Quanta ignoranza é quella che v'offende!
40. Qiutti fwr cAfrd (c. Cs- bidur Ir ielle, penhé kccbiu pHUHi
■Inuci : Qn»" A' Bnn liin coprnhio «uiIihcdU pniuiM t luì ckf t <^
pilMfl, cM cupdli «1 cai», tir chcró punì» dello innlrg. Il Cai. FnUui
Ib. «aa fi no topmìiiB, tfus' S«-1>U Ifoj dar* > aui (owr, ÒA
\
i fndifhi. Il mjim tkiun
•virili!, E DiMDru Smil* Jia<
l^r«»bd>tt((ilniar(I<
CU funlr ne* ti mmltro. "»
(•( (vrla^uf/a, bmetoIliB, bm*
CB Per chi te-, per cui |li atuM
i «CMpiflliiM t ingona ■ tufta.
65. E ci* già fu. poicliè il Uspa
■UrallD usIlD «ll'oM
tlimimmprmUóiiiliiUnarUalrmat- d<^li hbiiiìiI.
fmmmrt^mifani/ltal lainmntii 6i. di che te.: ii che mi hi mmt.
•Ì|BÌIlnuU|>r<>Jig(tiU.pfnhtluic.>- 60. ck f itm dtl mondo «.; li
tae^M*t*f« UUa tuwli, (Dmi par «ngi qnala lini* cni Ira le mani, in >iib ba-
■idic(,DB«*Ìafflli. — (/utili iìttmit- ha i beai ili quaU lUDda.
GAma senato.
Or TO*clie tii mia sentenza ne tmbocche.
Colui, lo coi saver tnUo trascende,
Fece lì deli, e die lor chi conduce,
Si che ogni parte ad ogni parte splende,
Distribnendo ogoaimente la loco:
Sìrmiemente agii splendor mondani
Ordinò general ministra e duce.
Che permutasse a tempo li ben vani,
Di gente in gente e d* uno in altro sangue,
Oltre la difension de* senni nmani:
Perché nna gente impera, ed altra langva,
Segaendo lo giodicio di costei,
Che è occulto, come in erba l' angne.
Vostro saver non ha contrasto a lei:
Ella pro%'vede, giodica, e persegue
Suo regno, come il loro gli altri Dei.
Lp sue permutazion non hanno triegue:
Necessità la la esser veloce;
Si sparso vien chi vicenda consegue.
Qoest*é colei, eh' é tanto posta in croce
54
75
80
85
90
, cioè, faglio
imboccati.
73 v'i
teUvfalaaM
rS( ta riarva lo aio
Umdtà
f^» rÌMooiiiiiii Mia dottrino cIm
w|«c, 0 i poitnao mmto di Virgilio
fcrw 3 dÌBeepolo. — La Nidob. Or
m' €kt t^tti mim i§mtem%m knboetke.
74 ddmmémn, dù li oondoc«,doè
75 SidUofmifmrU{àt^éMti)mi
§§m fari0\éd\m iem)9fUmU: m naa-
U cW ÓBaesaodcfli oMaCari coioati vol>
■ la mero a óoaciMO degli
7t
sa. ^wtmémmUf imtfitt, d'ana
il. OUn U àiftmiitìn de' ttmmi
» lo difcae cIm) r «aaoo
• lai Ovvero, aeosa cIm
FuwaoaoBSO poaaa farvi diFraa.
91. Fw«Ml por lo ckc : oodo av-
«ÌM cfco — odi miirm : ooaì aeglio dello
Cu;m , 0 r mkrMj leggoooil cod. Aotold.
f il icolo Vir.
$3. Segmmio hgiudieio, tecoado
il giudizio.
ai. Che è: l'Aldina eAnf è, aegofU
dalla Cnisca. Ma è do aTTortiro che
apeaao gli anticbi non facevano elkione
nei noonaillabi, e eh§ è, por ea. , lo pro-
nunziavano distinto in doe «illobo, aenia
biaogno d' interponri il d. Noto cib per-
chè altre Tolte aTrerrk di trovare dei
Tersi in Dante, che aembreranno mon-
chi a dii non li legga con «peata vrror*
tonza.
83. ntm ha eontrasto, non poè con-
trastare.
86-S7 . penegtu, dopo arer prorre»
duto e giudicato, nw r^ne: eoegviset
rio che è del ano regno, ciò th» code
nella ina ginrisdiziooo.
87. gli altri Dei, cioè le altro re-
telligenze celesti
8'J-90. yeeeitità ee. Neeeaaith di
diUribnire Toole che aia Teiere: o, è di
tua natura V euer velncO| non mm fer>
me io un punto : per tol ragione, «I, ti
mondo avvi spetoo chi rieoTe miilaMaafii
di stato
91. poeta in eroee. Intendi: ztìI-
lane{;giata e beate mmiato.
I
Pur da color, che le dovrian dar lode.
Dandole Liajimo a torto e mala voce.
Ha ella s'è beata, e ciò non ode:
Con l'aitre prime creature lieta
Volve sua spera, e beata si gode.
Or discendiamo omai a maggior pièla.
Già ogni stella cade, cbe saliva
Quando mi mossi, e '1 troppo star si vie
Noi ricidemmn il cerchio all' altra riva
Sovra ona fonte, che bolle, e nversa
Per OD fossato cbe da lei diriva.
L' acqua era buia molto più che persa:
E noi in compagnia dell' onde bige
Entrammo giù per una via diversa.
Una palude fa, e' ba nome Siige,
Cfnesto tristo niscel, quand' è disceso
Appiè dello maligne piagge grige.
Ed io, eh' a rimirar mi stava inteso,
92. pur, ■OHI, ffd eolffr, ttn lede- — dungn* ceca git i2 ere, panhò era
tn'an dar lodt, « proHUcru i|iiiiilii l' Caumoiio. Ori U little eadomi: >Lsu-
pravi idanitnU dli governa, e tfcaa queliiD piualo il mendiiRo, a«ian«-
anche qnùnlu [u loro benigni. iinallF, ed ecco lllre 6 ort, ebe, tf-
■ Ile prima 13, tu tS.
94. l'i. ti 111. 400. Noiricidruniio le.! lUraiaf
95. prima cniIlilrB, gli Angeli. Hminoi1nrcliiainlini>a1l'>llnma:Biii
96. Volsi nu ipara. dei tltn, r'atammQ la «Irtila dreolirc per tm-
e rata. Onvcmcnl*, iiual'* il penalFro lar l'allraripa chetccBda nai fuvnaae-
d«t PocU: dia an'angtlica mania diia- gviola.
naia Portana at(piÌKe aconi|>ìc quag' 101. 5««ra Bua fonia ao .:«•*, !■
fpi rio (ha altre an^lictie inlrllii;eiuD Inogo duv'i una rnuli, eia... nenia ic..-
ua aaeolu in cui I' aalrolpgia ginili- oaicana luUa quella acqua infamali, l* '
domma. 0||p nenun la [h(i|nnla Far- 105. fuegini ira tuia te: fauit»
t«a, a* con Ule appclluìnnc non a' In- langoii, rìOcllLti la luca molto m«n di i
leodian la gcculli Jiipmiiionidrlla di- qsel dia (ircbbl UUo no' aeqaa di color i
*atB>"«- ' 103. il»n-(a,Biniwfnìleill*altr* 1
gidiiondl'allro. ,
100. Sliye, i dil gr. innrat, dM -i,
gal dir* wlio, Iriatou, • min M- \,
Illa la B»U dilli noiii. Dall' apor In ra lOS. JppU dtHtwiaUgittpUigt. i^
dal Pnanu a qoalo nunlo icin pauaU in fou>lo alla piaguil, illa ript •laM'L^
la .~ _ Si coniinciì cui DiUino : più per cni i diiniK.
— Lofiomoitii'aiul^ira; 1D9. iiilMa, inlcnto. i
CAUTO nsmuo*
83
116
Ito
in
Tidi genti fongose in quel pantano, no
Ignudo tatto o con sembianto offéso.
Questi si percoleany non por con mano.
Ha oon la testa e col petto e co* piedi,
Troncandosi coi deoU a brano a brano.
Lo boon Maestro disse: Figtio, or vedi
L'anime di color coi vinse r ira:
Ed ancbe vo'cbe tn per certo credi,
€be sotto r acqua ha gente che sospira,
E fiume polhilar qnest* acqua al sommo.
Come rocchio ti dice n* che staggirà.
Fini nel limo dicon: Tristi ftraimo
Nèiraer dolce che del Sol s'allegra»
Portando dentro accidioso fommo:
Or ci attristiam ndla belletta negra.
Qnest* Inno si gorgoglian ndla strozza,
Cile dir noi posson con parola integra.
Cosi girammo della lorda pozza
Grand' arco, tra la ripa secca e*l mezzo,
Con gli occhi volti a chi del fango ingozza:
Venimmo appiè d* una torre al dassezzo.
■piri faimo torger* l'aeraa b L:>IIe.
420. «T dU, doTtecM, otomm.
422. NtWùerdoUtthtéaMira'
ìe^a. DttjpvUfli, evi l' demo ■orrìio
ddU oatsra noli potè mti tortaare noi
tmpo ptlto l'aaima trisU. La lei. dei
tiMr eecoHo; coai «rt Sol, cba è dal Cod. Stoard, mi è aem-
fP Iracondi a gli Aed- braU pi& alafaaU a poetica dalla Coni.
dal Sol.
424. Mlalta, fango, dapaailo cka
fa raeqvB torbida.
425. 9Ì gorgoglimi «e..* atadaM
dalla ttroitOy cioè dalla cuna dalla
gola piena dell' acqoa della paloda, f
tto inno, le dette parole, a aleoia • <
8«oa coofno, ovale è meno che ai
cargarinaBdeai. Md Gad. 8t«ard.
legga:
QomPìob* kr gwftcVa orik riliMH.
428. GranJTmrto «e.r graa parte
del c««Uo della lorda possa^ dalla
pooaaglMra : t 'laitsso (coQ' talntti|,
cioè il terreao fradicio, oaiia il paaCaaa.
430. al dbufofo, faabBMAt. •!•
l'altiaM.
130
411. 9 feto, dee cracdato.
412 «ow^vr, aaa aolo.Al.i|oeate.
4ia. Cko tolto rmegmm oc. Sotta
meéCmofÈM aaoo paniti gli Acódiciai.
CeHe aapra pace gli ani accanto agli al-
ta giAvari a i Frafigin, qae|(li percenti
la; cod era
Iracondi a |li Acd-
a cai. éom aiaaicra £ peeraton agnal-
tra tara coatmr). i/ira è nn im-
alla fendette ; Taa-
è aaa trìrieaia ddla aMute, aaa
deVaaiiM, percoi l'nenM
leataalbene;
e tmamm aeicM aoa aa aè perdoaere
■, A laego ad cao petto a
e a nn vaao rancoradM
h eaanBHa. Oacaf Acddia cbe il DaaM-
■■I iiiaiiiUHarfaai IrlfffMa oggv
•Hi, a S. Tenauea afciama raparalia-
mm SHMia al antaartalic» (cka fona
' ■■ ftraaalla ottléwoo ^NRmo), è
afirtin fi diaboSca jaiaaan.
Hk *■ laaga, vi è.
44f. jr/!HMia^l«rarir.:aa>aa.
in
ai
I
CANTO en-Ave.
Io dico Beguitando, ch'assai prima
Cbe noi ruBsimo al pie dell'alta torre,
Gli occhi nostri n'andar suso olia cima,
Per due fiammelle che i vedemmo porre,
E un' allra da lungi render cenno
Tanto, che appena ìi polea l' occhio lorre.
Ed io rivolto al mar di tallo il senno
Dissi: Questo che dico? e che rispondo
Queir altro focof e chi son quei che '1 fenni
Ed egli a me: Su per le sucide onde
Già scorgere puoi quello che s' aspetta.
Se il fummo del pantan noi ti nasconde.
Corda non pinse mai da se saetta,
Cbe Bi corresse via per l'aere snella,
Com' io vidi una nave picciolelta
Venir per P acqua verso noi in quella,
Sotto 11 governo d' un sol galeoto,
Che gridava: Or se'gianta, anima fellal
Plegiàs, Flegiàs, tu gridi a vuoto,
Tanta t4 coauiunU con da Imtgi ié
II. ijuilL dui' aijttlla, ^allixfaa
;illo, <T. galeplot gmltalla (bamnwla)
r av- dltetaoh FgailmaU gti intichi, con»
arca, i^isceaUIIgg*, fiamanfiamnul. Baco
inars « Bacco, ectnl'sllri.
luini 19. FStffit. ChIhì, pK-nwbn-
n. Haliti ci» qacl lune tho aD|iaiisca ili' InFonio, Condnci li anime • Dilt,
per l«H» diilaoia ù piccolo al Potla, comriricondoccainaniiMredaale. FI»-
5. £i»-|ilIr*M.^
■MU d» da loùlano
■Iln due. Porrlit Igllc
|i»diUd.clll bu.
due Ioni: ani alla n>
«.r^lra all'Iuta™,,
diavoU alai»» ìi> tra
puxiieiui'aiiiBia che,
1; loVe di qa. mena <
•a>iì»qBdladilia>u
ednMMndIaDDalli
et» ha ìnln. Or. »d
pcnbi jHin dar rinvili <
CAUTO OTTATO. 55
Dine la mìo Signore, a qnesU Tolta: so
Piò non ci avrai, se non pasBando il loto.
Quale colui cbe grande inganno ascolta
Che gli sia fatto, e poi se ne rammarca.
Tal si fe Fiegiàs nell' ira accolta.
Lo Duca vaio discese nella barca, 25
E poi mi fBce entrare appi-esso Ini,
E sol, qnand* i* fìii dentro, pan'e carca.
Tosto che '1 Doca ed io nei legno fui.
Secando se ne va l' antica prora
Dell' acqoa più che non suol con altrui. so
Mentre noi oorrevam la morta gora,
Dinanri mi si fece un pien di fiingo,
E disse: Chi ae^ tu die vieni anzi ora?
Ed io a hii: S* i' vagno, non rìnlango;
Ma ta chi ae*, che si sei &tto brutto? 35
Bispoae: Vedi che son un che piango.
Ed io a Ini: Con piangere e con lutto,
Spirilo maledetto, ti rimsni,
Ch' io li conosco, ancor sie lordo lutto.
AUora stese al legno ambe le mani: 40
Per che '1 Maestro accorto lo sospinse.
Dicendo: Via costà con gli altri canL
Lo collo poi con le braccia mi cinse,
Baciommi il volto, e disse: Alma sdegnosa.
Benedetta colei che in te s' incinse. 45
Quei fu al mondo persona orgogliosa;
Bontà non è che sua memoria fregi:
Cosi è r ombra sua qui furiosa.
fti é 4d fwW freeo f^tya», !• Danta d«1 no nobile tdegn». Si aoli la
■via. iialinzJoBo efao ^«i n fa tra irm e ttU-
21. Me «MI W mnwt «e..* bob d gno; la prima è panita^ porckè feaeral-
*>ni il teo filerà, m bob pai tempo menta è mio d'ooimo uBpoéente; il te-
a paaaare. eoodo è lodato, perchè Baace perlopiù
24. mìT 4ns mtòttM, BelP ir« cIm da odio coBtro U tizio, o d*
deDa tìHb coBcnlcata.
per lo pendei 45. db«Mlea'<«elBM, ^rimaae
iaeiBla in to: oneato modo è ioffìeto
sa. mm miind, eolio oo^ro. ìb ydF eapreanono acrittwalo, mmUmr
M. fBf«^ le alafBaalo pelode. dirmmdmM nWmmi, noètemtifirà. E
^, awinda aa- malo Blenni e*aTTÌsano di aniefar l' In
del tempe. per le eeelilnriaBe del 4< o del per» che
M. niBiimiBjii. Mseeooperri- dtrcUero tott' altro eeBao ^la fraae.
47. B9nié et..*
' «4i^ aaeer eho Ib dtu kaoBa, o Betasna hnoBo fBalilà^CréfiBy
44 . J/bm adeywofB ee. Virgilio loda onora la soa BMmoria.
^^^^^^^■(^^^^^^^1
1
■
■
U6 DELL' 11
<FERKO
Quanti Sì lenf^on or lassù gran regi,
Clie qni staranno come porci in braco.
M
Di fé lasciando orr
ibili dispregi!
Ed io: Haeslro, mollo
sarei vago
Di vederlo altuffare
in questa broda,
Prima che noi uscb
ìsimo del lago.
Ed egli a me: Avanti che la proda
a
Ti si lasci veder, tu sarai sazio:
Di Ul disio converr
À che tu goda.
Dopo ciò poco, vidi quello strazio
Far di costui alle fangose genli.
Che Dio ancor ne lodo e no ringrazio.
éO
Tutti gridavano: A Filippo Argenti.
Lo Gurenlino spìrito bizzarro
In se medesmo si volgea co" denti.
Quivi '1 lasciammo, chi
■ più non ne narro:
Ha negli orecchi m
li percosse nn duolo.
cs
Perch" io avanti inlento 1* occhio sbarro.
Lo bnon Maestro disse
; Ornai, figliuolo,
5' appressa la città
e' ha nome Dite,
Co' gravi ciltadin,.
col grande stuolo.
Ed io: Maestro, già le
sue meschite
70
U entro corto n«lla valle cerno
^0. QHanlI li tcngoii «. (}b„1.
62, Miwr™, ire».
, tUn^w
GS. Iniimrdameri
««1,1. «
i-den.
U, li mordevi per riLbl
tilt l'ir*. rìpr«tTol< In tiKtr. i f.t.li
B4. <U. pirli «.l
Mi r. • nfl .op.rJ.ri. .i s-1i .p«i.l.
65. <Iu«lo. «n d'aloe
«wlamc
60. itorro. ipilinci
69. grani, griii di
«Ip...
■ ncUi
SO. Ì« brt,o. «l p.»U«».
dij«n..-Ilih. P.Pood
SS. mlluffart. int. rtMÌ«., aitr
d:«ered«aiu.
i.rf.to i, .riM- '
metti aravi cilladMùt
ri.r.lli.'ine»,itnQol.i
ogidteMii E
58 &D|»C<«po», p«.Jop<.[it.
prima toIU in
— fwtlB •!»>«>, ur* •Ir»!», rome
Dil<:b«iBn>ii»o>l<>ro
llaona.
lieil-
■ptMsl'b. «a.Md*i Ialini.
(■d«>,»B> primi ibititi
<ri dall'In
(ono
iki pir loro h l>Ua:c
l'iUgi"
Ilo di
■ «dioMB ■ niipp. Arg.Bli. . C«lui
fr«f^ percht mollili ù
dlODIlì.
Il dalli Bobil* liiDigli* dii Cieeiuli-
7fl. miuhiU. n.o«b
«.lorri
!coii
ill^la.
opli.
T<. nella talU. Qoou till
li il
l«lo«rei.,o,ehi««od«
.opralo,
J*'n<>ic».lli.LlIl<»<Bliid^liAJÌ-
ripiidodcl ouialo, D'*Hp*F*tBda IohÌ
a man, onda or inda (or
ella D chiami di Difi dil
n«ri «ri di pirl. nntririi ili' AligUic-
.Ì«ar dall'In-
ri, « BU di («t ■»■ hito Sin >FI»-
,d«-
•oiast ■! rìchiuig di lu. '^'^
h.
rimaDta T>da-
1
J
CANTO OTTATO.
TenDiglle, come se di Iboco uscite
Fossero. Ed ei mi disse: Il foco eterno,
Ch* entro le sfiRK», le dimostra rosse.
Come tn Tedi in questo basso inferno.
Noi por giognemmo dentro ali* alte fosse,
Cbe vallan quella terra sconsolata:
Le mura mi parea che ferro fosse.-
Non senza prima fer grande aggirata,
Venimmo in parte, dove il noochier, forte,
Uscite, ci gridò, qui è 1* entrata.
Io vidi più di mille in snile porte
Dal del piovuti, che stizzosamente
Dicean: chi è costai, che senza morte
Va per lo r^no della morta gente?
E il savio mio Maestro feoB segno
Di voler lor parlar segretamente.
Allor chioserò nn poco il gran disdegno,
E disser: Vien tu solo, e quei sen vada,
Che si ardito entrò per questo regno:
Sol si ritorni per la folle strada:
Provi, se sa; che tu qui rimarrai.
Che scorto V hai per sì buia contrada.
Pensa, Lettor, s* i' mi disconfortai
Nel suon delle parole maledette;
Ch* i' non credetti ritornarci mai.
O caro Duca mio, che più di sette
Volte m' hai sicurtà fenduta, e tratto
D* alto periglio che incontra mi stette,
Non mi lasciar, diss* io, cosi disfatto;
E se r andar più oltre e* è negato,
Ritroviam V orme nostre insieme ratto.
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90
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Ti.
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kiftrm9. DittiogM 3
ia alto • !■ btMo o pro-
». UjtwIUuim ceoiiiMM da ^«aala
fi MI», • va ìm a Lacifaro, aal
faaitii paacafi di para
SS. chUuero, raflraaaroiio.
IH. la foiU tindm, noè lafCrailf
che follemante ba prcaa.
92. Provi, prati di tomara india-
tro, M aa
se. Ch' e, Mipardacaiè io. —
«o» eradafli Hi&nutrH wai; mb
eradetti di rHomar pi* n ^aaito
mooda.
•MI . fNÌt.!!c<flrrMd,rarlcMMla.
~ OiloW pioMM, aiaè AmB SS. IT elfo perl^l^ di |radU pe-
• dMfafi,ahapiovvaraMlPui- riaolo.
400. cMi éUf0Ìl9, ttà marrite a
di Barira. 402. rcllo, tostaoMnta.
t4
E quel Signor, che li m'avea menalo.
Mi disse; Non lemer, rhe il noslro passo
Non ci puù torre alcun: da tal s'è dato.
Ha qui to' allendi; e lo spìrito lasso
Conforta e ciba di speran7a buona,
Ch' l' non ti lascerò nel mondo basso.
Cosi sen va, e quivi m' abbandona
Lo dolco padre, ed io rimango in forse:
Cile il no o il si nel capo mi tenzona.
Udir non poie' quello di' a lor porse:
Ma ei non slette \i con essi guarì,
Che ciascun dentro a pruova si ricorse.
Chiuser le porle que' nostri avversari
Nel petto al mio Signor, che fuor rimase,
E rivolsesi a me con passi rari.
Gli occhi alla terra, e lo ciglia avea rase
D'ogni baldania, edieea ne' sospiri:
Chi m' ha negale )e dolenti caseT
Ed a me disse: Tu, perch'io m' adiri.
Non sbigottir, eh' io vincerò la pruova,
Qual eh' alla dìfension dentro s' aggiri.
Questa lor iracoiania non è nuova,
Che già r usaro a men segreta porta.
La qoal senza serrarne ancor si trota.
Sovr'essa vedeslù la scritta morta:
E già di qua da lei discende l'erta.
Passando per li cerchi senza scorta.
Tal, che per lui ne fia la terra aperta.
uul diro da I
II' Interi
che t io
pua(<|DÌ l'Ili Crìais ■DitiDdo ti Lìnib»
I
117. rmri, itati.
i\»-H9. It ciglia
n\ D-egiU laldaiaa.
■r.r.
123. (ThoI Malia diftluim m
ugrita porta, doiilli
127. valuCA, inlnli ta la lerilta,
inoKoro. Vedila (ICanlD ài, Tene I
{2S. Bglitt.: • gik di )« dilli
JHU pntU «fuda UU io Bidra dito,
rlM bruci iprìrè la porte dalU dUk,—
l'aria: arM rìipella ■ VirfiDs^ waM
pFt colai cha tcdìk. Chi ^Doti pMU
•adi il CtBto Kg- Il Ball ti T. 85.
h^
CAUTO BTOMO.
frmm étl Umettn, Dmmta te tmtu^
0gU té» rMifwmmtktm rtspoitm « tf coma r
éM» Fmrét nUTMtt» d$Um tsnm. Ctmt o U ion mrtk
I0 tprm Uvm te porU <f cita CM-
gli tfinmi 0 gU «rttiei.
Qoel color che viltà di fhor mi pinse,
Yeggendo'l Duca mio tornare in volta,
Più tosto dentro il suo nuovo ristringe.
Attento si fermò com' nom che ascolta;
Che l' occhio noi potea menare a lunga
Per raer nero e per la nebbia folta.
Por a noi converrà vincer la ponga.
Cominciò ei: se non^. tal ne s* offerse.
Oh qoanto tarda a me eh' altri qoì giunga !
Io vidi ben si com' ei ricoperse
Lo cominciar con V altro che poi venne.
Che for parole alle prime diverse.
Ma nondimen paora il suo dir dienne,
Perch* io traeva la parola tronca
Forse a peggior sentenzia eh* ei con tenne.
40
15
' QiÈtl eohr ee. lotcndì: qael eo-
**^<Mt, ma wfimae tw v«lto, «Modo
^^ knum •»• mm v«lta Vh^ìio, fo
'^ff'm cW, tntmém cm» Virgiiio cooo-
1"t* éà ^mìI* il nio tcaraggiaoicoto,
FfnrttritlrinfCfM, ritiruM iodea-
''•i yiti color Mioro, iotolito^veootogli
*( KM mI doloro o orfU ààtfrao «vato
f» P ■ppoiuiuot dei diavoli. Imooi-
«I a pdkrt di Duite feee più pre»to
"'•fHit a terBoiti il toIId di Vii^Iìa.
2. §m eofifl, in dietro.
7. Pmt m m»i eoumerrà «f . Nao
otmoaa, ■01
opvotmo
I. Aimya
raaairara. /"migg aU per
. , , dagli antichi il gn alcvna
Hlla n paapoaavo a difaaira ii^;e aoco
a. tt flML... Para
laa w Im abkaadoDatodu ai
^■Hlo «Hcw; ovvero, aa aaa mi maoca
ai ai fo affario in aioto in caso di qoalf-
diro: ao tromem
che forte oppoiizione. Ma tal sospetto è
aobito troncato da miglior ragioDc, a Vir-
gilio lasciando non finita la proposizione
incominciata , cootinoa alla vrecodente
Pur a noi conterrà vincer le punga.
soggioogeodo tal ne t'offerte; cioè, 1)
grande . s^ potente è il peraonaggio rbo
ci fu offerto in aiuto, li momentaneo o
qvasi involoatarìo dubbio di Virailio è
aataralisaimo nel ritardo che il oro-
■laaso soccorso facet a, a cbe già ?eJem-
0M> aonwuiato alla fina del Canto pre-
cadente.
a. Lo cowUneiar» cioè il te non ,
parole naome, cbc davan sospetto a Dan-
to, ricoperte eoffaUro, cMèrioopeno
calle parole tal ne i^ offerte, cba ao«o
parole diversa dalla prime, cioè pardo
«conforto.
44-45. Ferdi'iotrae—impmrotm
: tirava ^alla ratMana («t
) Forte a ptggior t§mten*U;
a «n seoao farsa pegmora , ék' ei noli
ImMi cb' egli nun ebbe in mento.
co dell' iHFEnno
. In questo fondo della trista conca
Discende mai alcnn del primo grado,
> Che sol per pena ha la speranza cionca?
Questa question Tee' io. E quei: Di rado
Incontra, mi risposo, che di nui m
Faccia il cammino alcun per quale io vado.
Ver ó eh' altra fiala quaggiù ftii
Congiuralo da quella Brilon cruda,
Che richiamava l' ombre a' corpi sui.
Di poco era di me la carne nuda, a
Ch'ella mi fece entrar dentro a quel muro,
Per trarne un spirto del ccrclùo di Giuda.
Queir è il più basso loco e i! più oscuro,
E il pili lontan dal cìel che tulio gira:
Ben so il cammin: però li fa eecuro. so
Questa palude, che il gran puizo spira.
Cinge d' intorno la cillà dolente,
XJ' non potemo entrare omai fenz' ira.
Ed altro disse, ma non 1' ho a mente;
Perocché l' occhio m' avea tulio trailo 5i
VAr l'alia lorre alla cima rovente,
0\o in un punto furon dritte ratto
Tre furie ìnrernal di sangue linle.
Che membra femminili avieno ed atto;
n. iM primo !rra<fa,DEiirtkìo,daè PomptoT Si immiguii dio rjnala mf
lt\ LiniltD. >npri<TÌ>ene ■ Virgilio, tiit t Dllluil-
18. cionca, tronit. iDFiita ponibile, achs In a» della ine
H, piT quale, laciulo l'irlicolo, etHlria|;er l'aaini* di ipel IubomPoMi
iflvMe a pil quale, come pur leggono di fttfta miocalo ai nvi ; e ceaì allori
tlcODÌ. luUn i^irà piioo.
SS. CaniriuralDK.iKdngiDratadi 23. Di poco era di mcec.: in <ia
ErilDSO; ansia i luru qarlli nina di ' '
mi parla Liu*dd al Irb. 6. Eli» ia dì
Tcuatlia, e di lei (> vatie Solo l'ompeD
par inlanden il Dne dalle goerrn 111 ' Sa/dnlci'ot ae.: dal àolodelto pri-
ana padre • Caire. Alcuni han credalo no mnbila, dia eepliene o maina io
JuinnuacroD<imii,pcrciocFlii al tempo gire ludi gli allridrli.
ella billaglia Fanatica Virgilio noo era 53. anu'ira. PaicU ì bncoi swdì
Egli hidcUopac'anii,Botloil huooAu- SS. Feroethi Focdtio tt.i paroo-
(piilg, ni polti per ci!nir(;uenfa qiiolla che l'oethlo, cioè Dna aeaaanow! naia
Érilon eroda rgleni allora dì luì nei per gli orchi, a^ea rìrolla latta la mia
!l ecrehÌDce..- dilla fliadcc-
CANTO NOICO.
E con idre verdissime eran cinte:
Serpentelli e ceraste avean per crine,
Onde le fiere tempie erano avvinte.
E qaeiy che ben conobbe le meschine
Delia regina dell'eterno pianto,
Guarda, mi disse, le feroci Brine.
Questa è Megera dal sinistro canto:
Quella, che piange dal destro, è Aletto:
Tesifone è nel mezzo: e tacque a tanto.
Coir unghie si fèndea ciascuna il petto;
Batleansi a pahne, e gridavan si alto,
Ch* i' mi strinsi al Poeta per sospetto.
Tenga Medusa, si il farem di smalto
(Gridavan tutte riguardando in giuso):
Mal non voigiammo in Teseo 1* assalto.
Yolgiti indietro, e tien lo viso chiuso;
Che se il Gorgon si mostra, e tu *1 vedessi,
Nulla sarebbe del tornar mai suso.
Cosi disse il Maestro; ed egli stessi
Mi volse, e non si tenne alle mie mani,
Che con le sue ancor non mi chiudessi.
0 voi, ch'avete gì* intelletti sani.
Mirate la dottrina che s'asconde
61
40
45
50
55
60
41> U etTMié tooo «na tped« di
43. fw^ Vìrfìlio. — meiekitt», ter-
44. JMhrigfaa et.: di ProMrpioa.
45. Erkn, Erìoni, o 1« Forì« ul-
4S. • tecfvw m Umlo, • tacque a
^■It parala, o, éò detto, si tacque.
M. BftJmt, colle palme delle mani.
M. ptr tttptUo, eioè per tema.
91. HU fmrtm, coti lo faremo.
^. J|«| non fttngimmmo te. : dal-
Twtlkm9tm§imn: male facemmo a non
t m Taaeo Vmtiulio dato a ano-
«Me rvdita prova ck'ei fece
di valer rapir* Proecrpioa, iiccome la
" ÌB Pihtoo, che deouno a
a ~
U Gtfmon, il capo di Medosa,
rava la |cote; pereto dice iien
la ntaò tkkuo, aoè gli oecbà chiosi.
S7. JffUim te. : cioè impossibilo sa-
la tersati al moodo. È modo
dittico : vi si deo supplire tperansa o
poiiibÙità.
58. iUsii e flieffo, come eUi ed ef-
ìo, dioevao gli antichi.
59. noi» si tenne ee. : non si stette
eonteoto alle mio mani. Bella dimostra-*
none d' amore 1 e orando inaegnamonto.
cho r amico non dero solo aiatano dr
conrigli, ma anco di fatti.
SO. no» mi ehiudesii, noo mi co-
prisse gli occhi.
64 . O toij eWmeU te. Voi, ossggi
« non volgari lettori, mirate ee.
62. la 4ottTinn eke t'ateonde. Tale
arvertimeolo di guardare al senso alle-
gorìco nascosto sotto la lettera, non dee
limitarsi solamente a questo luoso, ma
estendersi anche ad altri molti «be tro-
Tsnsi nel Poema, dove altissimi concetti
e morali « politici sono adombrati in
poetiche Bnxiooi. Vero è che qncata anno
talvolta di difCdle o dubbia miegaiio-
ne, « dopo lungo meditare si rimano
sempre ncU' incartena. Ma qai non è
Sollo il velame degli versi strani.
V. già venia su per le lorbid' onde
Un Tracasso d'un suon pien di spavento,
Per cai tremavano ambedue le sponde;
N'in allrimenli htUi die d' un vento
Impeluow per gli avversi ardori.
Che Ber la selva, e sema alcun rallmlo
Li rami fcbianta, abbutte e porta fori,
Dinanzi polvero:^ va sujierbo,
E fa fuggir le fiere e li pastori.
Gii occhi mi sciolse, e dii^e- Or drìna il nerbo
Del viso ì:u per qoella %hiuma antica,
l'cr iridi ove quel fammo è più acerbo.
Come le rane innanzi alla nimica
Biscia per l'acqua si dil^oan tutte,
Fin che alla terra cia-^cuna s'abbica;
Vìd* io più di miUe anime distrutte
Fii^'gir coRi dinanzi ad un, che al passo
Tassava Slige eolle piante asciulle.
ìa iMl»Ti tìtr p«r ■■ fmrti aan l'iB ti-
foificils il riumnii. Midt tnnu pia ip»
dilnenu K^iU i Jetilti dj pan «ilì-
• ria: ad t qvnta il minvtrt pri erudolfl
dall'in di Kn D(i penaloH l'i in qnc.
•la tiU (ha iidl'alln II ralla poi di
MfdnH, eba *?«■ pMfiut d' ìnpidrara
Il |iMaj a csbIiu cui V>t||iliii liuo cbitt-l
taporlA/'nrf.'inlciidi. tauri dalla
•ctiiaBUti • il-baltali. il TaM ÌaiÌU
i(<inlutBi«<inHCuila]U)l,«l.'ll,Mla
un per ioipnlin a [>*aU la
,.l.,™. \l.VyU.,l,b.
«il r.itg jar ^rund» armi ha-
oranaa, la taModia Ae-
K- (Inni. mi<lirÌMÌ, a looti
valnre ìaldlìganii, per il Kt
liadinadii ' -
Uni irecooo porta i,toH.», ni*
•rJr>ni luiD il mal (<ula.
73-74 itntTtoDtlti»,ifmim
ruloru*. .MM r «echio JQ tatto la an
■ni,— iit^rT putita KlHMmmmtlia,
' l's 'r'Udi. fa di là, la fMlla
TU iiilniUt. ìdIcIbì dillhll,
I upariata. orrdu» ^l^'l• Scrittara à doUa ip ■•
U. par i<l aMtrrf antoW: par luoanall'aaipta^UA) OatM^ofraff (r
ra oppoalo tttaa frn irallti d* aria (■ fnrm.
5tT ealaca rartbiu. E doId rhr ana SU al Mtia. ini. al piiD*a il «al
«II* Mf>«i del imi», i diH^ailJiria t il piwa Jdli pallida, ( dina Dania
41 olanca Ball' alBigsIera. iiain l'atea tulli bana nuula.
Dal volto rimovea queir aer grasso,
Menando la i^inistra innanzi Bpesso;
E sol di quell'angoscia parea lasso.
Ben m'accorsi ch'egli era del ciel messo,
E volsìmì al Maestro: e quel Te segno,
Ch' io stessi cbeto, ed inchinassi ad esso.
Ahi quanto mi parca pien di disdegno 1
Giunse alla porta, e con una Tergtietla
L'aperse, cliè non v'ebbe alcun rilegno.
0 cacciati del eie!, genie dispetla,
Cominciò egli hi su l'orribil soglia,
liiConroli- tirrore > lo prMcali in t-rai pì& di
lori dìrsH cba quata moie óileielBi npngnilur«i)idltl,cliediAngr[olic4lo.
. , _, ._.._■.__,. ___._.___ „ ■■»di«.M*n.cb..ntbfgliAB.
85 dttcul
m dìrsH cba i
OS À»|(1<>, id mn^o» di qnaliba w B>'n^
lice cbt io tT(d* «rmiriD. Mi iltiiDI- gali ai
■ ■■ ■ - - ■ IJB.'inihitoite-
m il ftnmigg.„
""'■■'"'li gli
Sa(a1i nel Furgitorìfi, dati
iniUi Perii gi'iKwtriria, ma
bfllf<n,lila«, il ondo del p*i
Blindi ■>« nrtbhe ilaU roga
'i-SIi',"
adii Latini del
ntoll, rippreuntara colla larga in ma-
DD « aigailiun ap^ iiiId il Isn aticit
dim<<»aegrrieaU9ii.quaBli,poì(UW
dìui» ib* naati ùim lìi Enra dico
priiiiicr*n»>iUfli'idDg'aniiiiadelL>a-
ni*1ii«ntraaelaHip(riorillia1ap(ilcBU
che* pur dflln almo gridoe FODdiiioo*
timmfalMUivlT^m Ediopporlun*
tVcfM di VirgUlD B il toDdBlOR'dal
di DbbI*. CBstsWchl iJ «OMIIB <
fila U Mdo «Hi MI*; aia ae pab,
fHl(kadi(l(altklBipit|iiÌ
Ml'ABfaloaalPariaK
fba aamutri i^at^lo ntn' ìdichid, iwii
tale graa fitLv, prrcU è nuIa sBclm per
Il Skk Carle eia ()> Angrli pcrad^na
qaalitb dri niuitlfricbtdfbksiiD aJm-
frt,* ì iDOflk-, l« pensar ce. E lagio-
dil tùia poi w cam* aa pan*nag{
TC, nso Ti i pie rtginna di endrrlnBai
dieCMCn, aSaladiaa. IIjmrM'kiiIìi
inda, del nen aìpdaueriDliaatrBaricAiHacfflBpflri
l'appariiiaiia gflo.t*alapi6akeacrfder1ab>«*ia»
pitdl (n rft* la trrrtSitaritpfraic It
Ond' està ollracotanza in v
Perché rìcaleilnilo a quella voglia,
A cui Don puole il fin mai essor mozio,
E che più volle v'ha cresciuta doglia?
Che giova nelle fata dar di coiio?
Cerbero vostro, so ben vi ricorda.
Ne porta ancor pelalo il mcnlo e il gozzo.
Poi si rivolse per la strada lorda,
E non fé molto a noi: ma fé sembiante
D'aomo, cui altra cura stringa e morda,
Che quella dì colui che gli é davanle.
E noi movemmo i piedi in vèr la lorra.
Sicuri appresso le parole sanie.
Dentro v'entrammo senza alcuna guerra;
Ed io, ch'avea di riguardar disio
La condizioD che tal fortezza serra,
' Com' io fui dentro, l' occhio intorno invio;
E veggio ad ogni man grande campagna
Piena di duolo e di tormento rio.
Si come ad Arli, ove'l Itodano stagna,
Si come a Pola presso del Quarnaro,
Che Italia chiude e i suoi termini bagna,
Fanno i sepolcri tutto il loco varo;
Cosi facevan quivi d'ogni parte.
Salvo che'l modo v'era più amaro;
Che tra gli ai'elli fiamme erano sparle.
Per le quali eran si del tutto accesi,
ijdìJd i dliTsti id ipro li
97, tMlltfaM dardi tono, do»
d^Di!.™"" " °°''*° ' *"*
W. pdala ti menta te. CHt gli ii
iman quiDiio Tsile opponi ili' coirai
<VK.ct6Sc in latiirmTalsU dal File-, tb
l'crM, •n«TllDlo per li gali ■ inuk
Olla, la Iruciobun fuordellt porla.
i.
in. in vtr la lirra, tiooianola
tiltk di DJlB.
105. appiYiiD II parai» ta*lt:
dopo udii* le porolB del misa cilnlf.
— la quello IbtìiIo poUnle, cbo esa-
lici gli ivrililx rìaporla nrenie.
4Ug. La MmJiiiDn, il goMra dìpec-
I 11. Jr/1. dltk della Promou, »e
il Hodino furni un lego.
US. Pola. ciUà dell'blnl. —
fiumara, golfo eha bijpia l'ialrit.
utiima parie d'Ililia , eia dividi dill*
?••}"' " ,'■
CANTO NONO.
Che ferro più non cbiede venin' arie.
Tntli gli tor coperchi eran sospesi,
E faor n'DScivan si duri amenti,
Che ben parean di miseri e d' offesi.
Ed io: Maestro, quai son quelle genti.
Che f«ppel1ile dentro da quetl' arclie i
Si fan sentir eoo gli sospir dolenti?
Ed egli a me; Qui son gli eresiarche
Co' lor seguaci d' ogni sella, e molto
Più che non credi, son le tombe cardie.
Simile qui con simile è sepolto, i
E i monimenti son più, e men caldi.
E poi eh' alla man destra si fu Tolto,
Passammo Ira i martiri e gli alti spahii.
{£0 Chtfrmpiinmel,irdtti. cbe tiìb principi » tapi d'treii
nM'arto: ii aneu, (he dÌbdi irto di 150. binile fUi co» limili. 0|
fabbro a ài r<xiJilarD firbicdfi rhs aJ« lomb* c«iIi«Do no diverto ^uerc
più gema il Itm da liioram. Hllarì, pircib ogni limila i lepoilm
IST. tnnarthe. 1 o»iri iDliclii in» trmilB,
traccino il ^lutile in « dai dodì ma- 15à. Irai nutrtiri » gK aìU tp
andini Irnuuali in ■ al lìnjfnlirf , imi- di, àtA Ira tv tombe accese a la iddi
Ertfitftia è parola ijma coiDpoata , latoi, per le iDDra ; la parie pri tulle
CANTO DECIMO.
Ora sen va per uno stretto calle
Tra '1 muro della terra e li martiri
Lo mio Maestro, ed io dopo le spalle.
0 virtù somma, che per gli empi giri
Mi volvi, cominciai, com'a te piace.
Parlami, e soddisfammi a' miei desiri.
La gente, che per li sepolcri giace.
Pota'bbesi veder? g
Tutti i coperchi, e i
1. a Marlfrf. dai le loDihe, dì tui
I («na 133 drl Cinlo pretedcDle.
«4, O rirfb loniiui te. i a illa-
■oUapealF • nirtuwiViroiliii cLe
■i ani altotao pei tcrchj iDfcrDali k-
levati
issun guardia face.
C, wxIilii/Dmmi a' miei itttrii'X.
orDii eltiirici, elle pgt inpplini ccd^fl
odiita me riguardo ai miei daidu), ■''
lei miei daiderj.
S. Inali, ttevali, abili.
S. fatf. Fa : dall' iDtiq. (ann.
Ed egli a me: Tutti saran gemili,
Quando di Jos^iITù qui tomeranoo
Coi corpi che lassù banno lasdulL
Suo cimitero da questa parie hanno
Con Epicuro tuUi i suoi regnaci,
Che r anima col corpo moria Tanno.
Però alla dimanda che mi faci
Quinc' entro soddisfallo sarai lu-sio,
E al disio ancor che lo mi taci.
Ed k>: Buon Duca, non legno nascosto
A te mio cor, se non per dicer poco;
E tu m' hai non pur PO a ciò disposto.
O Tosco, che per la cillà del fòco
Vivo ten vai cosi parlando onesto.
Piacciati di ristare in questo loco.
La tua loquela ti fa manireslo
Di quella nobii patria natio,
Alla qual forse fui troppo molesto.
Subitamente questo suono uscio
D'una dell'arche: però m'accostai,
Temendo, un poco più al Duca mio.
Ed ei mi dipse: Volgili: che fai?
Tedi là Farinata che s'È dritto:
Dalla cintola in su tutto il vedrai.
lo avea già il mio viso nel suo GlIOL
£d ei s'ergea col |)etlo e colla fronte,
Com' avesse lo Inferno in gran dispitto:
rio» i tar.
*p«l-
d- iniino, ( «1» dei Ghibillmi
■e. A Moni' Api-iii pnno il finn» *lki>
<tii(n-e in niu UDgaiosu btlOfli* \fM.
1 260) l'cwNllii indlD, crinlnto Iti»
' ' ' "' (ibiMiitCnii,
CAMIO DECmO.
E le animoie mut del Duca e proole
Mi pÌB98r tra le aepellure a ini.
Dicendo: La parole t«e éieu conte.
Tosto di' al pie della eoa tomba lui,
Gaardoomi on poco, e poi quasi adegnoso
Mi dimandò: Chi ftir li noaggior tuiT.
lOy eh* era d* obedir disideroao,
NoQ gliel oelai, ma tutto gliel' apeni:
Ond* ei levò le ciglia na poco in eoe»;
Poi disse: Fieramente furo ayrersi
A me e a* miei primi e a mia parte.
Sì che per duo fiate gii dispersi
S* ei fnr caodaii, ei tornar d*ogni parie.
Risposi lui, e r una e 1* altra fiata;
Ma i Tostrì non appreser ben quell'arte.
Allor surse alla vista sooperdiiata
Un'ombra lungo questa infino al mento:
Grado che s' era inginocchion levata.
Dintorno mi guardò, come talento
Avesse di veder s' altri era meco;
Ma poi cbe il aospicar fu tntto spento,
67
40
46
60
Utmnit. I
44. %mUB§iUtmp9ni: ffiniMif*.
«* U MM, U aia •tirp«, C«ll«, aw. , ia-
DGaa.P«f lu filai ipara».
45. iMé 1^ d^ii« fa mm: è r alla
i> ck mUsMa alla «aoMcia ^ aaklM
1 4S.fMé l^d^
i>ck riafciwi al
- »
(^csl'aTfarfciaaa-
pìè kaUa riCsrfta a éÌM«,
ibalfMfc>yartariMa/Wf
M Ma aM altarara la lei. mi
aHB Mie alara.
47. ^fliM yriaii csaè a
fmtU^ alla parla fU-
'-iai aa-
4a.fM'A»itel0«f.UpriaMT«lla 1
II
Tffjkm ai 30 ottabra daH'aaiia preM-
Mla. Dopa la MMwla eaeàafa, ritai^
saroaaia Piraaze aal 4266 per la teoa-
filla a la aMiia M rt Maarradi. Ma a
qvaila Meoa«lo rilanM FarraaCa aao ri
tfw^, eMen^ «Mirto aal 42S4.
51 . Jf a 4 vatfri hor tppnttr am
^naiTar te, eiaè di lorvare «opo caedati.
—Nel 500 Dania ara MOipraGadKb, al-
mesa apparente aicala : para ani ntpao*
da «on «oa caria ironia al CmbeHiao.
52. twr$§miU 9itlm: nari a fani
renare. <Mi ania^a jcupai'CiMAHi fM9
ai wanlo, fnar 4al copaii'liio latta la
leala. Qnrtl' ombra è Caralcanle Caral-
canli, padra di Gnido, a OnaHa par
i Gia-
cili ad naór
UaftbWaio
laaMnSila di
m^hmm — -^
UfàftHà noi i2ee
4ft, §i ftir—r #afii4 ^nrte, cioè
'^ iMfn ava ai araao riaooarali.
Sali MI ■Ili ed 4a, • finali lor-
»M rmmm» noi fMaaia 4»i m
diU ai GfciWUini a
SS. IwMOfWMfa, aeeanlatqnail
ciaè all'ombra di FariaaU.
S5. laianla, roffia.
57. Jfn poiete iiiMplMr /te Mfe
§pmdo: ma poiché gK fanne mano l'opt-
nioae ebe egli aveva di vedara la par-
Mna dcaiderala. Qnì ioèfimr è praa
nel flifniScalo di aftendara, can nna
•paria d'iocarlcBai o eaenandana dV
ai
Piangendo disse: Se per questo cieco
Carcere vai per altezza d' tagegno,
Mio figlio ov' è? 0 perchè non è leco»
Ed io 0 lui: Da me stesso non vegno:
Colui, che attende là, per qui mi mena,
Forse cui Guido vostro ebbe a disdegno.
Le sue parole e il modo della p^na
M'avevan di costui già leito il nome:
Però fu la rispobla cosi piena.
Di Rubilo drizzalo gridò: Come
Dicesti egli ebbe? non viv' egli ancorai
Non fiere gli occhi suoi lo dolce lomef
-Quando s'accorse d'alcuna dimora
Cb'io faceva dinanzi alla risposta,
Supin ricadde, e più non parve Cliora.
t
Ma quell' altra magnai
lìmo, a cui posta
60. 0 perckè Kimtictof qundo
aTran cnulo per oocita difTcroot #•■
cu', bu»; .mùl «.T.I..
plniona di Uiniani ci imani o mwa..
63. FOTM «H Guido voitn «..-
Quindi la ra|;Ì0De d'aver potuto D«ri>
<iuii« fu p«U liti» . filo»!» d> mollo
lalon. Nonètinli inlcndtre come llin-
l'irBilin, ODO mi come pm^ta, • wdh.
t. potEiu («.ptUirl» oemico o ipreeif
>D«>o coni. dniUlo drllo llloM>6a M.-
loreaviriìlìo. Da porti ...uHiImu-
•.Imo dn poiti! Smbbt tlulo il Ot.l-
.laailor» della diti» orìR'»' dtll'iape-
arll^toV^am^i Hù'patlk^^ MlinJ
r.5 già ledo il noma. Qui il tari"
Iijgm Ila nel lenio di ipiegart. ti-
i1 tdgm auccalo, ad illri iii>;ii>i ■
chiarare. Se ai tmiue sua loioM^u
f.rb.lB». Il.ioooa.«lo«»i,p<r
ci* («l* V psUBM wpaom ih* odiuia
Vir|ili«i <£é >Dch. no^ 4»i*Bia di icrW
dei doa Cod. Aoiald. a Bxtolin,, ct.c
porlano iato» gl'ile Un ti «w*.
»«.«ll.i«».r.lmju...ppur««.di.
bcH mtealila.
■ I M. Si t daUo incb., ci» l).olc poi*
ttìmn il Ctiaiunli anlii irci luna p,r
G9. nonffrtslio'ehii^olLiMtr
ttm-f 11 liuaa ici ff.>r» «w |iatr
Donaio- mi iralBla luiiUr niM ad un
(dall'antico (termi, ooo letiaea pid |!<
pBBU irlco, ■ imiUiuoi» del gran L»-
o»hi taoiT eioè. jll oechi n» •»• >»■
dono uiiutia Jrfla ln« dal (ionwT (*-
Ua*, a coi (une uiv volle le dimoio IV
i-i.«>«>a.«t.'.»«ia »..«>....>« ap-
■w dicafan (li anlidii par linuk noM
ff panlopiadell'ilui. ɻo ^u,! clia
0110» per umore «.
I) draansi allii rbpotla. ■Ttnl'
(i>,a>a* era Hai» Danlr Cueal 1300,
di ruMoJare
f*<» Mia >».... a dal aoa »>.l»-
13-7*. • e«( polla, a cai nthÌMU,
■Wita. B Bolla llc.I( cb-Hl. B«D eOB-
«BW«MtI'Ìdal(lcll'Ìiiil>c<o.a3l»B[;i.U
S5
90
CAUTO PECIHO. ÌG9
Restato m' era^ non mntò aspetto,
Né mosse collo, nò piegò saa costa. 7S
E se» conlìnnando al primo detto,
EgU han qneir arte, disse, male appresa,
Ciò mi tormenta più che questo letto.
Ma non cinquanta volte Oa raccesa
La faccia della donna che qui regge, so
Che ta saprai quanto queir arte pesa.
E se tu mai nel dolce mondo regge,
Dimmi, perché quel popolo é si empio
Incontro a' miei in ciascuna sua 1^^?
Ond'io a lui: Lo strazio e '1 grande scempio,
Che fece PArbia colorata in rosso,
Tale orazion fii for nel nostro tempio.
Poi eh* ebbe sospirando il capo scosso,
A ciò non fu* io sol, disse, né certo
Senza cagion sarei con gli altri mosso:
-Ma fu' io sol, colà, dove sofferto
Fu per ciascuno di tor via Fiorenza,
1^. mmUmm^ndù «i primo itito, ch« ti ficeTtno ai Gbibellioi, veoivano
~ ~ il àmtmm coaiaciato dita* tempre «ceettoiti gli Obcrti: tmpio tU
m» 54 . qoi ptr em^a.
7S. fvcfto Ulte, il aapolcro aeoeao. 87. ttdeomioii : (ali propoate, ttli
79. Jfo «•» eimfu&mtm volte ec. l richieste. Nel nostro tempio: prima cho
" plcarlvai «fi die qvi ti parla ai edifirasae il pnbblieo palagio, i Fioroii-
■a*a^eee all'aprile del 1304, tini aolcTan tenere le loro adooaoxe in
Il Biaaeki, tra'^ali Dante, diapo- qualche chìeaa. Aoeo il aenato romano,
ikcaaepcrillerorilorooinFiren- qoando ooo poteTi nella Carie, ai ra-
••■•••veiMienci nodi,e,eo- lyanaTa in an tempio o per pie aieoresza,
», ai aeparò dalla fazione. (Vedi u affinchè la reiifpooe e la erednta pre-
dar., G» XVII, f . ai eeeeif.) — Il eolpo sento del nume lo faeeeaero pia modera-
fa pai lenfaln nel taglio, e andò fallito, to, e gli rieordataero la ginstiriae laret-
tS.dWIfl^MMM ne.: della Lana, che titudine nelle deliberasioni. Pm far tot
il mameitt Frean pina regna io Inferno, orasio» adunque Tele {mtMedere la
$Ì . f wte f«ieir«rle^a. Quanto rostra éitpertiono. Orazione è usato
^^ ^''^eiln impresa e piena di cure eoo- i rooie. . per farlo consonare non tempio,
ed nrere i mexzi di rignadagnare Ma vedi che oraiionel lo abandeg(*ia-
riiwrd«ta;qaanto diUcile trovare mento e Peaterminio dei proprj fratelli.
»,lede,diacmioae nella parte ee. Si narra anche de alcani, ehe a tanta
^ «• Inaiai et. Intendi: COSI cmpiefkgiunneaae quello seelerato furor
I ricwadarti, ritornare tra'ri vi. di parti, che dava ntialPaltare del Dio del
B ar è particella depreeatÌTa : il regge, perdono a'osauc preferire popolarmenf a
far te roggim, è dell'antiquato r^ere qnoala preghiera: «il dooMMi Obertan
ara ioveee di riedere, dì cai ai eradicare et dieperdero dignerii.
mmgm aadbe ael Giamboni : Reg^ 89-90 né eerto ee. : aè certamente
4m prima reeé In Occidente le sarei owafo. mi sarei moaao, eoa gli al-
nii/fmieéi S Stefano; noè tornando, tri, ae non ne aveari avuti forti motivi.
S3. mtrtké gmei popolo è H em- 02. Coa'i il Cod. Antaid. — La Com ■ :
fta «. la lalia la reomaiaoi a grane Fapereiaienndilorrt vtaFiorenza.
DELL rmtLMj
Coltri cbe la dipese a viso apcrlo.
Deh, se riposi mai vostra semenza,
Prega' io lui, solvetemi qnel nodo,
Cbe qui ha inviluppala mia senteoia.
E" par che voi lei^iaie, ?e ben odo,
Dinanzi quel die "1 tempo seco addace,
E De! preeeole tenete altro modo.
Noi v^iam, come quei e' ha mala luce.
Le co»e, dimise, clte ne son lontano:
Cotanlo ancor no splende il sommo Duce:
Quando tf appressano, o son, lutto è vano
Nos^tro inlcUelto; e, s'aiiri noi ci apporta,
Nulla sapem di vostro stato umano.
Però comprender puoi, che tolta morta
Pia nostra conoscenza da quel punto,
Clw del fiilaro 6a chiusa la porla.
AUor, corno di mia colpa componto.
Dissi: Or direl« dunque a quel caduto,
Che'l 800 nato è co' vivi ancor congiunto.
E a' io fui dianzi alla risposta muto,
Fate ì saper che'l fei, percU pensava
Già nelPerror che m'avete soluto.
E già'l Maestro mio mi richiamava:
Perch' io pregai lo spirito più avaccio.
Che mi dicesse chi con Ini si slava,
Dissemi: Qui con più di mille giaccio:
Qua entro é lo secondo Federico,
ìfh,itripoitte.-Ìtb,itt\ibit Ma ci tni pii Itmfa n
1
I
Ite Cht
Cht qwf ha 'urUuppata
■jgimU... Dìnaiui': prr.
xl tÀi '( Itmjm Itto Qddu-
UD. £■.
t'ha nula luce, che è pmbiii.
tu». Colonia aiKor lu iplnulr «. .'
A (Milslva* mciin IJJioti fijrt'ii.
tiSS. Q—ado f apprauna Us>
108. Chi M /wtora- M.: iwbJb
l<5 raki.filoilgi.Vi>«Ctiit>V,
lonoTB.
IH. luir rmr te.; taatm» ul
duhbio ti» mi .xrU iciollo, »t US*
TUi BM Hppialr If row BrtH*IÌ.
1 1 e. piò ataaio. pia t-rfleàUsB-
1)9 lu leeMda Ftitritt'. Mia
I Htjli tlahciKl>a[n. t*
finii"
KiblBllW
E'I Cardinal?, e degli altri mi Uccio.
Indi Nascose: ed io in ver l' antico
Poeta volsi i pa^si, ripensando
A quel parlar che mi parea nimico.
Egli si mosse; e poi cosi andando,
Mi disse: Perchè sei lu si smarriloT
B io li soddi5<fbci al suo dimando.
La menta tua conservi quel cbe udito
Hai centra te, mi comandò quel Saggio,
E ora attendi qui: e drizzò 'I dito.
Quando sarai dinaniM al dolce raggio
Di quella, il cui bell'occhio tuUo vede.
Da lei saprai di tua vita il viario.
Appresso volse a man sinistra il piede:
Lasciamolo il moro, e gimmo in ver lo me
Per un seolier che ad una valle Gede,
Ctie 'ufin lassù facea spiacer suo lezzo.
Bn», Idi* a
lire ili Betirìce, iddili il Isogu cd«(t
I»' clli bi Ht icd*.
iiZ Da Itt.ttrAtOnUtpfrrBit
:■ dlCierJajpiiJ**
'amplerà di lfi,ìcHÌ deìli tu*TÌU aT-
rcnirp. Mt ava y*h Lifnmto di fliwir
«i li grimaiili». Vipjiho npen
4 ». £ 'I Cardiaatt : OUtviaiu
(li DkaUini, itila il Cariinali pei
(illiaa, bolo tDino» io pirla gtii
lua , Am diwi ; %t ■ain* è , in I
rttìla pt'CUbclliai. Pircib (isti
vÙf—lBto%iafkatt\. BiRsatiiincht ItinU il Piraili», «die itriblM »
i CÉrfadi BCBU in iiauit tundiliiu ipiefirgli ogni dubbia Intanw illi
-j — y—l — ■i--^i-f'-i-nt'-''Fi- iiU tuia», a» ioiparU
imito the aaa |li «trrapw eam' egli di taditiiture ella tUtn i
Old*** £ OHtilUT ; and' eiii alienò di o ■'doidaridi Ini, fart eb
Id • dal IH partilo. diiFaceia? G datrl uap
I2i. J flirl parlar ; voii inpra ai lai, aiaoms da prima ngi
■•ni 19 e Kg. DM, quiUbtliati il numi
I2t. Il toddU{eci re. È ta lUati Taglili per cuinDaicarglielii.
129 Baraaltmdiqui
CSC
el drùiò 1 dito
fltdt Ida /Min, ferirà), i
130. Imo. pniiB; (pi
ditpioMrbailCwl.CauD
iL-dulu dal .h. P. ronla.
'.SS,
M
I
CASTO DECmOPRUIO.
H r*« An. e
In SU reslremìlà d'un' alta ripa,
Che Tacevan gran pietre rotte in eerchio,
Tenimmo aopra più crudele stipa:
E quivi per l' orribile soperchio
Del puzzo, che il profondo abisso gilla.
Ci raccostammo dietro ad un coperchio
D' un grande avello, ov' io vidi una scrìtta
Che diceva: Anastasio papa guardo,
Lo guai trasse Fotin della via dritta.
Lo nostro scender convìen esser tardo,
Si che s' ausi prima un poco il senso
Al tristo (iato: e poi non Ga riguardo,
Così'l Maestro; ed io: Alcun compenso,
Dissi Ini, trova, che 'I tempo non passi
Perdnlo: ed egli: Vedi che a ciò penso.
Figliuol mio, dentro da cotesti sassi,
1-3. In tu Feilremlli te. IntEndi: fo lerillo t ct*Jii(o do ter
vbIb dell' crviko Al
I
ti. — Che faenan gran pitirt a,.
cioè Sunoalt ài gnoii picln te. Il
Cod. 2 delta LiiiHniiini licj;.: Clu
(anta H fran fMrt ralle un tir-
cACa.
i. teferMa. ttft»ti.
0. Ci rociDsInimiio. d ripiriinnio.
Qui il r* (itipDiilo gì icibo aecoilart
ripililHin d' Ridai, mt piuUnla ani
■ foi «um Ila rignaria, •
8. ^>uitat<o papa iruardo, doè, inJir (nnchi
me.— togual,cDÌ,tcco- IO, dentro da eolrili talli, *! di
LilcDdcdÌA<ll9tiiÌDlI,di'lnuilc icllo di caini! iDlltmi,
CAlfTO DECIMOPRIMO.
73
Cominciò poi a dir, son tre cerchietti
I>i grado inf grado, come quei che laasL
Tatti soo pien di spirti maledetti :
Ma perchè poi ti basti por la vista,
Intendi come e perchè son costretti.
D'ogni malizia ch'odio in cielo acquista,
Ingiuria è il fine, ed ogni fin cotale
0 con forza o con frode altrui contrista.
Ma perdiè frode è dell' uom proprio male,
Più spiace a Dio ; e però stan di sulto
Gli frodolenti, e più dolor gli assale.
Di violenti il primo cerchio è tutto ;
Ma perchè si fa forza a tre persone,
In tre gironi è distinto e costrutto.
A Dio, a sé, al prossimo si puone
Far forza; dico in loro ed in lor cose,
Com' udirai .con aperta ragione.
Morte per forza e feruta dogliose
Nel prossimo si danno, e nel suo avere
Buine, ìncendj e collette dannose ;
Onde omicide e ciascun che mal fiere,
Guastatori e predon, tutti tormenta
Lo giron primo per diverse schiere.
Puote uomo avere in sé man violenta
E ne' suoi beni : e però nel secondo
Giron convien che senza prò si penta
20
25
30
35
40
17-1 a. etrékieUi, ooq niccoli in
lè Htm, ma tali ri(piinio ai passati ,
—M fffltfo In grmdo, cioè rìatringcn-
U hmtti pur ta «ùUt, li batti
il T«dnli. .
11. totlfeiU, n riporti a tpirti, «
tilt ^m iocarrcrati, o paniti.
K. Jf« perehè f)rnd§ ce. L'ostr
Mia lana è propno di tutti gli anima-
fi; Fabaaara dell' intrl letto per fare in*
tana aitnri è proprio tolamenta del-
2t. auffa. ioCta: dal Ialino ««òfM.
ti. il prim» crrrfcio, il primo de*
Ira arrelnctti. — è tulio, ini. pieno di
; o eonticaa i «ioleati.
m tre pertous, a Ira aorta di
SI. flf pu/me, » pQÒ.
34 Jforfa per forza. loleadi : ti
ma la forxa nel prosfimo dandogli morta
o fai-ita: gli ai fa forca aal s«a vterm
colle rame ce.
56. eolhtte immote; forti taglia
imposta da principi o da aBanadierì.
Tacita Della Germaoia dica dei Batafi,
eh' erao tenati dai Bnmaoi extmpti
tmirikue et collatioiubos. Ho prefa-
rilo pertanto questa la. all'altra ai lol-
fette, cba è idea pi& baiaa a di minora
importama.
57. omMi», è il piar, antif . di
omitida. — mal, gravamento.
58. Gu/oilotùri, qna'che fanno
mina ad incendi, ^-pnàam, ^a' cIm
fanno preda della rooa altrni.
40. in iè, contro sé, «ccidendaai.
41 E ne' tuoi beni, scialacqnaa-
<)aB.
Qualunque priva sé doÌ vostro mondo,
Bisrama e Tonde la sua fai'ullado,
E piange là dov' esser dee giocondo.
Puossi Tar forza nella Deìlade,
Col ror negando e beslemmiando quella,
E spregiando natura e sua bontade:
E peri) lo minor giron suggella
Del segno suo e Sodoma e Caorsa
B chi, spregiando Dio, col cor Tavella.
La Trode, ond'ogni coscienza é morsa,
Può r uomo usare in colui die sì Gda,
E in quello che fidanza non Imborsa.
Que>to modo di retro par che uccida
Pur lo vinco! d'amor che fa natura:
Onde nel cerchio secondo s' annida
Ipocrisia, lusinghe e chi aOallura,
Falsili, ladroneccio e simonia,
Rullian, baratti, e simile lordura.
43 . Qualutif IH ce. : d
44. BUctata rigntrdi
Multc^iu inipuCHnodite ■
unno molti UDraj. Da » di
n Filif pD l'Addi» B tìIoti di
di Coarijiu •» diinuls
«) ftri tutgariltr CaoreiM iH-
51. ff eU, iprttiaadt tt. E chi
■rIU
I
47. Cai evT ntgandate. Ntyt Dio
ran, (U derihtriUraiale sIItibiì* ì
«■« diiini itlrìbali; « qoeili Idi Itili»
tatn ttélra Dio dirtldaral*. CU poi
Umaan ti MnU Ntlura »■■■ l'iurinie
Din indirsi
..,iip<,.«
'"- T^«i
II. Séprtfiando ludira «
tdijiiirnvdci contrs le leggi ailm
43-90. tuggtUa IM it^n
mrait, cbinJa io i J. — raurm
r. la frùd4 M. : inlwdi : Il •»-
■ Ai ogni friBdoLaalD, cb« iwUm
n di qiiHla nao pi cbt d'illn 4
inetiiiluImcDle. Oitvto: U tm-
CAirro DICIMOPRIMO.
Per Taltro modo qaeiraiDor ^obblii
Che h Datore, e qael eh' è poi aggiunto,
Di che la fede spenai si aia:
Onde nel cerchio minare, ov'è 1 ponto
Deir Unireno, in so che Dite siede,
Qualonqoe trade in eterno è censonto.
E io: Maestro, assai duaro procede
La toa regione, e aasai ben distingue'
Qoeslo baratro e il popol che possMe.
Ma dimmi: quei della palude pìngue
Che mena il vento e che balte la pioemia,
E che s' ineontran con si aspre lingue,
Perchè doo dentro della città roggia
Son ci poniti, aa Dio gli ha in iraT
E se non gli ha, perché seno a tal lòggia?
Ed egli a me: Perchè tanto delhi^
Disse, lo 'ngegno tuo da quel eh* ei socie?
Ower la mente tua altrove mira?
Non ti rimembra di quelle parole,
Con le quai la tua Etica pertralta
Le tre disposizion, che il Ciel non vuole,
incontinenza, malizia, e la matta
75
65
7a
76
80
^"^ •'«•! , pw la ragione cbe a!lri-
■■* SaJ a'armaipafnrrrbU rogli ti-
^a^rtaatiti attraiti tporriiia, fai-
?*••£■■ Dani» , rHpnnim in , non
Mia ^^tm» BMadiiiitlk : e non ha ^gli
"r ^«i mffiitni. — bcrmtli,
n B«li spiefa harmttieri.
t
U-4$, ftr féliro w»od9, cioè per
land» M froda cha è contro colai
• Ma , «•■ lalo ai offeode «fMl-
km la Natora wolc tra
Mi^ «■ni, Ba «imI €*« èpoitÈg-
fmi, età il TÌacolo di pamtado «
i waM, oada $i erim, oaaca, aoa
tra gli «oanni.
CM3. Upmmlo IhWUnireno, il
dali tarra. — im iu ch€ Dite
jWib ■! ^wlo ka aM aeggio LnH/Hia.
> p«Bto centro dciraoÌTar-
fl aialena Tolemaico, di che
Ci. trmdé, tradiaca.
Il Lm iam rmfion», il lia ragio-
M. tk§^$iitde, che tiene in aè.
CotH! Cod. BartoIÌD. ad altri taati, me-
glia, wù para, che la eom. th$'l ptf-
70-72. ptei Hetim palud* pingme,
a laogoaa, aoao gì' iracondi e gli acci*
diaai. — Ch§ m§nm ii vado, • iManrioai ■
— tk§bmtt9lapiogfia,'tff»ìon.Sdte
t^intomlr&nte.jì pradiglii a gli avari.
Qaaati peccati ai cooiprendeno eolla il
OflOM generale d'incontiDeiiia.
75. r0f9'«, roaaa per lo foea.
75. «ono « ffli /bgfto» cioè a al fatta
oMBiera tormeatati.
75. ielirm, devia , caaa del aegno
contro il eoo aolito.
75 Cnai leggo col Botf, eel Beriri-
gi, aìl Cod. Conia. 5, piotteatoehè eolia
comoae : Or«ar !• oiaile dove miinte
mirm ? che qoel dove «llrdM wà rie-
ace dnretto.
80. !• tua Etica, V Etica di Aristo-
tile a U cara.— parfraUfl» tratta dbte-
samenle.
81. ineoniinanta^wwHsUtt.ìytcf
Ariatolile cbe tra cote ano da foggirai
qaanla ai coitoari : InconiinenUmmt ti-
liestialiladeT e come iocontinenxa
Men Dio ofTeode e mcn biasiciio accatta?
Se 1» riguardi beo questa sentenza,
E rechili alla mente chi son qaelli,
Che su di fuor so^tengon penitenza,
Tu vedrai ben perchè da questi rdli
Sien dipanili, e perchè men crucciala
La divina gìoalixia gli martelli.
0 Sul che sani ogni vista (orbata.
Tu mi conlenti si quando tu »)lvi,
Cbe, non men che saver, dnhliiar m' asg
Ancora an poco indietro lì rivolvi,
Diss'io, là dove di, che usura offende
La divina bontade, e il groppo evolvi.
Filosofia, rai disse, a chi la intende.
■^ titia, 1 f»rilattm. Il natlro Poel
IxriitliU. l» nilnii' tla od mi niu 95. Vedi Mpn il tru n.
éià\»rtp<Mr; li triUalili e l* malùia 9B.i a jnip|M iwlnf. nJlapjoB
tlHH ndnLla «d atHLo, qii*ii^ rnoinn QoJa, fnA il dubbip idogli.
tolto wrds (d wpiì *au Usili ririoailo 97. rUatofia ic: I* fi\eut; M
nrainill, « (bbiodan indiai tolto in diae\lrgitia,iu((|ni in pìnd'anlMit*
iRiura •Itila G>r«. L'in- maRÀtais divino; caia ilairidattaBa
K«au delle enae a di Dia, > dal wa ofenrr. ShouIb 1
lìm., flava aatmla llalunid, 1' (FM fniB» é odl'iulalMla
■Ir* natura. Sina a l'inti^lltita dull'inra». — lahiafcdi ■
Dite •oiiu i p4wirli J' tneantlnmia : al cftt la (nlflufa. Iffnpina alenai: a tki
ili Ib t punita II matitia < la frullali- t' alUiult, óui ■ clii ri pmaU itt^iD-
Id. Iccsi i<ria*|H'CMoixapani> tolte il oc, a chi U nnlita.
rnlo dall' lafFnia, lino * Lnritcro. tOO. * da lu' orli, ilallt (ih iIj-
84, tcvtta. atqBlili. bilile Iffini, Uia aBa cobi* Viti» di
87. ludi f^
a fola parte,
rorso prende
so' arto;
Nola non pure in u
Come natura Io s'
Dal divino intelletto e da si
E se tu ben la tua Fìsica note.
Tu troverai, iwn dopo molle carte,
Cbe l'arte vostra quella, quanto puote,
Segue, come il maestro fa 'I distante,
ddbbj tonn njpoiiA dell
Il pogRiun
i
Ja poca ttm i'
litli di l)ii«.
taluialvi.am
i. Ciìi, am mn et*
liidcri la FÌMc> di Ari)
«HUbcn
Si cbe voslr' arte h Dio quasi è nipote.
Da qaeslQ due, se tu li rechi a meale
Lo Genesi dal priucipio, conviene
Prender sua vita, ed avanzar la genie.
E perché l' usurìere altra via tiene, '
Per Eè natura, e per la sua seguace
Dispregia , poiché io altra pon la spene.
Ma seguimi oramai, che il gir mi piace;
Che i Pesci guizzan su per l' oriizonta,
E il Carro tutto sovra 'i Coro giace;
E il balzo via là oltre si dismonta.
412. fl
Chil Patite. IPmcÌ.i
t.>m»D..iliignodtil
_kdaDig,r>rl. d.11. n>lDra. r- -
mA ita, ■ Dodo di miiiigluDi*, cba Aautii.1
tParlcft Dig .|iini oìpuii. tl3.
lOe. £a «Ulti i(m (natura sdir- la Uri Ir ti
J, i* lo ridiianil alli tua inrnla U »odi«MlÌ,>
■■■nU eh leccali lal piincipis dalli ora prima del ulà, ,
K'^te, a VcnanlagEl od Ictnoi «Mai- il nrÌBrioiii Jill' aarori. — oriiiMla,
E|fi. Lapimliilptla Ggimi a tni oai tì GlianliefiilEiiuinitianipfMaaacbtiDa
V^hda, Hoa: Pmuil Onu Aomnin noli* lori, che ch^w MÌ*UDi> nclail-
m^Ptrtéiu <èI optrariltir : e: Ine»- vaiocola in *, ediMiinn, f.t., Alata,
409. >Ilni aia line, lifn.
riaall* Nltara, .liiprrnlio
>••»»* <!«» dell' .,>e.
tia. !>»■«« ooluroec.
, M.
doVa'io"*
lolpw
Laailemtma. Tml.
(14 Eli Cari
,io di prin...er., Il
l'Ona QHSGiore, u
ro ce. QuaoJs a«r-
iPoci, oell'Hiuipo-
t Cam di BmI*, 0
«de tulio n qorlla
«CM, a Mila laa lìcHa a
ltr«ia,dÌ«ilp<,ou..
parte di firln dnnd
dai Lalioi Courui.
tideMi t Hrtlenlrii
Hi-EoTalio.
oHn. lontano di qi;
e (pira Cero, delti.
*«DU) cht i tn oe-
.na, . thitmMi dai
4Ìt.peM in altro pm
NMn«lmd«r<rrollirar.
ftr::
.faltarìpa.— citU
>i-«dS™o,<.,rf
^
Tal, cb' ogni vista ne sarebbe schiva.
Qual t quella niina, che nel fianco
^1
Di qua da Trento l'Adire percosse
^5
0 per Iremoto o per sostegno manco,
Che da cima del monle
onde si mosse.
Al piano, è si lo roccia diseoscofa.
Ch'alcuna via darebbe a chi sa rosee;
Colai di quel burraio e
■a ksceaa;
IO
E in m la punla della rotta lacca
L' infamia di Crei! e
ra di:4csa.
Che fu conrella nella fal=a vacca:
E quando vide noi,
•^ stesso morsa
Si come quei, cui 1-
ira dentro fiacca.
»
Lo Savio mio in ver lu
gridò: Forse
Tu credi che qui sì
■1 dura d'Alene,
.^
Che su uel mondo la morie ti porse?
IH
PartiU, bestia, chèque
ti non viene
^1
Ammae^rato dalla tua sorella,
Ha vasffl per veder le vostre pene.
9
Qoal è quel loro che si
slaccia in quella
C'ha cicevulo già '
colpo morule,
■^
8 Tal. ék-egni rtita oc lulcodi:
l'ori» ddtKnp* che >«
TariallUlwH-
12 L- infamia it enti, tM il a^
«ala.
t.tulfiancait .- dH G.WO dal G»-
ni> IdiM, U> cui pcrrouc 1<icll< mìu.
13 Chi fu «ne*»
«oro fu E^DIrlI» di u
PfsiF», don» dil n d
lo™, d i«l.
t. » per .<..l«si« iM»™. • ptr
Orta.Mni-,
1"' fkio" in OHI -w
d.la,..- —
i.érilaroiciaiÙCBUnii.iÌM
ci« il P»cu din 1. f.lM »ad. Qwb.
fn,,<M>ìrc.U.,t«.ias.<>.br.d.lIc.i»
dÌH,.«M4«l.
'nula, ai (lumadiu
9. Ch-tleuna Ha danbh, k.: A,
dunque <|uinlu * pnpotllo à metl* •«»-
t'J.dÌH««lo"rip.Vi
1. cerchio in*
.[. di p^rt «udire .1 b.uo II
iddìi puoiL ■ lini ami I
i bmlalì.
riii«ai6 ci di« fIw h' irtt rww »a
i3 /Larta.fÌattttlr*M
'Z^Z'",ZXTi'^"T't\
l«. i«S«lgiii>
^ìt:.^.
i.]*M (oUopula, pnwDli ■Non ■«
Altn».
dulth* rà, iKMhó dinidi*, •llm.m
30 dalla luaonl
D.cÌ«èdaAriaii-
\\ r«*»e iMdHii». Vedi il t. 20.
t.a, la doalcinTaKÌ t
r<H. ilnodadi
IO. Corralo, bal»-
■cridcn il Mia^Uor»
1 1. buie».t«Bt aoUmmoiICVH,
3l.«aul.flt.= il
riankaeè>f»
di lingua.
^ l*,ilU»lir«NÌii>d«lt.np<ick>lidr-
S2. «.^Ihbq
tlfn. ii^tl
^'"k!. II &d, C«l. 1
CliaritmlB
1 J
l« «Ipg «orOla.
^
CA5TO OECIMOSECONDO.
1%
n
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u
40
Che gir DOQ sa, ma qoa e là saltella;
Vi<r k) lo Mìnotaoro fiu* cotale.
E quegli accorto gridò: Corri al varco;
Mentre eh* è in fdria» è buon che to ti cale.
Così prendemmo via giù per lo scarco
Di quelle pietre, che spésso movieasi
Sotto i miei piedi per lo nuovo carco,
lo già pensando; e qoei disse: Tu pensi
Forse a questa rovina, eh* è guardata
Da qoell* ira bestiai ch*io ora spensi.
Or vo*che sappi, che V altra fiata
Ch' i* discesi quaggiù nel basso iaferaoi
Questa roccia non era ancor cascata.
Ma certo, poco pria, se ben disoemo.
Che venisse Colui, che la gran preda
Levò a Dite del cerchio superno.
Da tutte parti 1* alta valle feda
Tremò si, ch* io pensai che 1* Universo
Sentisse amor, per lo quale é chi creda
Più volte il mondo in caos converso:
E in quel punto questa vecchia roccia
Qui ed altrove tal fece riverso.
Ma ficca gli occhi a valle; che s* approccia
ftoeralo dalla ditrordia dagli demaoli ;
a all' incontro, rbe per la ooncordia lo.
ro. oa«a per V «nini dalle partieaUa «•
nuli alla aàmili, ai dMaelveiaa m atea :
perciò Virgilio ^m diea di anr peaaato
eàe l' Vniveno $tmU»f «mot, cioè cba
tornassero in concordia gli eUoMSli.—
è dU erede. È forme dei Latini cbe
soesso amano aeira al praa. relativo
il modo sabinotivo invece dell'indica-
Uvo : Etl qui ergimi. Se par ne* m
TBol dire cke ai è dato a mate verbo,
eomnnemrnte della eeeoada, la aaniu
guiooe di enei della prima , cerne de-
gli entiebi ai trova fallo di molti eltrì.
44. £ i» f«el jMmfo. QeeatopaBlo
fo la morie del Redentore, masdo ei
accasa la terra, e speceare«i le rapi.
45. Qui te. Cos'i legga la Cratca ,
meglio rbe le altre edìzioM, ebe beone :
Qui, ed altrove piit, fece Hrerio; eieè
si ro9€iHè.
46
A. fm-toimU, fare il somigliaale.
38. fMglt,\irgilio. — tUtarco, al
Fi*i dmari eenipeto del Minotaare.
M. già far lo itmrco, già per ^aello
*f*im,iaHBaaBe di pietre,^ raioando
'■Mre apane daUa dma del monte
fiMdpiaaa.
Si. par la MM>ae «aree, per lo pece
'■a aaneoa vive ad esse insolito.
sa. Aa f«a(r <ra ÒMliai, ciaè dal-
Tin dsl HiaaUara.
14. «ha ralira itala. Vedi il Cen-
Iia.veraa22
Il . «i la» dlfctraa^ a* io aoa k' in-
eioè
SSJf. Ckt veniiu Colmi §e
tbtaaiaM Geaè Crìato, c*e la
pnU ac.« dm le aaimr del etrekio •»-
^•^ eiaè dal liaibe, tolae a Dita.
tao iiatitti è lobo de ^«el verso
IdPiaae VosUU: a TuUi^uofrmdmm
Tmtari. a
IO /Wa.
46.
fit€ti oli occhi a volle #c. * ab*
4l-4'2. cà'lo ptmoi eli» rVnittr- , ba^M gli occbi, gnarda leggìi, fieiebè
Msr.Empedocle opinò cbe il aMadolbaaa ** lyproccta» si epprmsa ee.
La riviera del sangue, in la qaal bolle
Qual die per viotenxa in allrui neccia.
O cieca cupidigia, o ira folle,
Che ai ci sproni nella vita corla,
E nell'elema poi sì mal e' immolle!
r vidi un" ampia fossa in arco lorla , (•)
Come quella che tutto il piano abbraccia,
Secondo ch'avea detto la mia scorta:
E tra'l pie della ripa ed essa, in traccia
Correan Centauri armati di saette,
Come solean nel mondo andare a caccia.
Vedendoci ealar, ciascun ristette,
E della schiera tre si dipartirò
Con archi ed asticcìuole prima elette:
E l'un gridò da lungi: A qual martiro
Venite voi, che scendete la coìtat
Dilcl costinci; se non, l'arco tiro.
Lo mio Uaestro disse: La risposta
Parem noi a ChiroD costà di presso:
Mal fu la voglio tua sempre si tosta.
Poi mi tentò, e disse: Quegli è Nesso,
Cbe morì per la bella Deianira,
E fé di se la vendetta egli stesso.
E quel di mezzo, cbe al petto si mira,
iini[na Hthi ptr* iì aiippliiii
I
«
I
63. DilrleoiUnci
ri!;"?
qa» pi
micia ■
Irida, io vbiera , o ■ GU.
tp'wgi in circo, intrndtiulu
■M, mcdhJp cb* ri din •nlle
59. CorrtoB Cnlauri. I
67. mi ttnli, ni luteo mI |o«ita s
colli Dianu p.'r limii ttlmlo.— QMgK
i filila te. NsiD Udii di npin [Mi-
nili ; mi Errole mirili) di l« tn) oillt
Irmis lIuliT od unguc dell' Un 3 n-
7i."
0 diedi '
puiri gli Klpolnt
SO. atlirn'iwlr, di
CANTO DECIMOSECONDO. S|
È il gran Cbirone, il qaal nudri Achille:
Queir altro è Polo, che fb si pieD d'ira.
Dinlomo al fosso vanno a mille a mille,
Saettando qiial' anima si svelle
Del sangne più, che sua colpa sortille. 75
Noi ci appressammo a quelle fiere snelle:
Chiron prese uno strale, e con la cocca
F^ce la barba indietro alle mascelle.
Quando s'ebbe scoperta la gran bocca,
Disse ai compagni: Siete voi accorti, so
Che quel di retro move ciò eh* e* tocca?
Cosi non soglion foro i pie de* morti.
E 'I mio buon Duca, che già gli era al petto.
Ove le duo nature son consorti,
Rispose: Ben è vivo, e si soletto t5
Mostrargli mi convien la valle buia:
Necessità '1 e' induce, e non diletto.
Tal si parti da cantare alleluia.
Che mi commise quest* ufiicio nuovo;
Non è ladron, né io anima fqia. 90
Ma per quella virtù, per cui io muovo
Li passi miei per si selvaggia strada.
Danne un de* tuoi, a cui noi siamo a pruovo.
Che ne dimostri là ove si guada,
E che porti costui in su la groppa, 95
Che non è spirto che per F aer vada.
Chiron si volse in sulla destra poppa,
E disse a Nesso: Toma, e si li guida,
^ F§h, tltra Cotaaro, de* pie
*>«•<• imU scile ndMà ìmpnM,
-« «raparti. *^'
71-75. mjétmdma te. : ^aalan^e
*** fifri M Minia aangiia piò dì
^'•cha pttacUa la legga poata ai ?i«^
wiiMMlo la fnxiHh aelta colpa lo-
t^mrWk, la die \m aarte, le deatia^.
77. Ib cmm, l'aatreaniU oppoata
•h peata, cMirfce Ceca iadiclra i pcU
^ UrW eh* caprnrano la bocea.
94. Ov« U éwQ mmtwrt et. : ore ai
«•minfv la natara, la fuma, dell' no-
^ i fàalla dd cavallo.
n. JVcMaattd 'lir'iaJMM. Nenaaiti
«' beo. e Bemaità di aoa aalata. La
A-l Siratiià'i eoudmee.
b4 rcMnirodi Bealricc.— a<^cr-
fi fc. ; cioè n parA dal Peradiao ora
caalava «ileliiia, cioè loda a Dio.
SO. nuovo, Doo piò adite.
90. Nonèìadrtm, quaigià aaadalo
a veder ^oai pane raspetlioo, uè io cfa«
gli aoo guida, tono dannato per lai delitp
lo.— /ìifa, fora, foncé, ladra. Altri apic-
f^ao nera, ria, il ^aal «(piificaU ai può
bene ottenere cttcndendo il arìmitivo.
93. «a da' luoi, uno da' taoi Cen-
tauri. — acaiaoi HoaioapmoM.cai
noi aeguitiaoio d' apnreaao. À pryioto
è fatto dalle voci Ialine ad ff^p:
97. fal/a 4e$trap(ipjm, sulla d»>
•Ira maronctla, aul destro lato.
98. Tomo, doè torna iadietro..*-a
fi li fuidaj a fuidali nel Biodo che baa
detto.
6
82
dell' UfFEaifO
E fa cansar, s' altra schiera vMntoppe.
Noi ci movemmo colla scorta Gda
Lungo la proda del bollor vermiglio,
Ove i l)0Ìliti facean alte strida.
r vidi gente sotto infino al ciglio:
E *i gran Centauro disse: E*son tiranni,
Che dier nel sangue e nell* aver di piglio.
Quivi si piangon li spietati danni:
Quivi è Alessandro, e Dionisio fero,
Che fé Cicilia aver dolorosi anni:
E quella fronte e* ha *i pel cosi nero,
È Azzolino; e quell* altro, eh* è biondo,
È Obizzo da Esti, il qual per vero
Fu spento dal figliastro su nel mondo.
Allor mi volsi al Poeta; e quei disse:
Questi ti sia or primo, ed io secondo.
Poco più oltre il Centauro s* affisse
Sovra una genie che *nfino alla gola
iiv
iO^
i\0
Wh
99. B fa cantar, e fa dncostire:
t' altra tehìera, intendi schiara di Geo-
taari: v'intoppa^ v'ineontra. Altri legge
t' intoppa y e allora va spiegati*: a'im-
liatto in voi.
\0A. E 'Igran Centauro, Nesso.
lue. ii piangon vale srmpl. pian-
Sono: il ti è plcon. , quando non piacesse
argli il senso del tihi lat., e spiegarlo
per ti, 0 Ira ti. — gli sputati danni,
iot. recati altrui: ff^telalt, crudeli.
4U7. Quivi i Alettandro. È diffi-
cile a determinare di quale Alessandro
iatenda dire, se del Magno o dei Fereu.
Del primo suo note la iwina di Tebe,
la strage dei prigiikoierì persiani, T as-
sasaioio di Meuandru e d Kfektiune, la
morto del suo conUikcepulo Cillistcne ,
ddl' amico Gito ee., per cbe Lucano
lo cbiaoiò felix prmdo. Del secondo
sappiamo l'infame uustume di seppellir
\ivi gli oomini, di vestirli di pelli feri-
ne, f farli divorare ai cani ec. Cosicché
tanto r un cbe l'altro sta benissimo io
qBCsIo loogo. — Dionitio ftro, doo
parimente soao i Dionisii di Sicilia, am-
bodae immaniasinii tiranni.
108. Che f9 Cicilia ce.; ebo fece
soffrire langbi affanni alla Sicilia.
410. À*%*iino^ o Eneliiio da Uoma-
00, vicario imperiale nella Marca Trivi-
giana, e linooo cmdclissimo di Padova.
Fa acciso od ì2j9.
Uì. Obizzo dm Etti, marcbcaedi
Ferrara e dilla Marca di Ancona, aona
crudele che fn soffocalo da un ano figlino-
lo, cui il Piieta dà il n«>me di figlimttro
anziché di figliuolo^ per cagione del pai^
riddio. Il eh. Litta crede nna favola
questo parricidio per la ragione cbe noa
trova nella storia aucsto /lgl<Mfro;Ba
prendendo la parola nel senso metafo-
rico di figlio tnaturato, come diccsi
tnadrigna una madre disamorata, la
diflicoltà aporìice. Il ftgtimgiro è Af-
te \lll. Del resto, fu Ubino li gMifa
accanito \ fé lega con Carlo di Aaìnè, t
eouperò alla rovina di Manfredi e di CbT'
radino, ulliiiii stistrgni del partito impe-
riale. Mori nel I2SI5. — por 9tr9: di-
mostra questa espreaaioaa, Ao il fatto
si voleva pn- skuni metterà in dubbia.
i U. CHiesli ee. Ciò è detto da Vir-
|ìlio io conarijnema d' amarli rivolto a
ui Drfote per domandargli aloma aaaa,
come a snu niaesim ; volendo avvertirlo
cbe prima sna guida perqnel tempo ara
il Cenlaoio, e cbe a lui ara da badare.
Vba chi pensa cbe onesto verso si-
gnifichi smipliccinente I' ordine dHl'an-
(laie. acauli a tutti il Ceiitaaro, Danto
in meno, a dopo lui Virgilio.
r:
CANTO DBCIHOSCOOIfDO.
Pìarea chetlì quel bulicame osciase.
Mostrocci od' ombra dairon canto aola.
Dicendo: Cotni fease in grembo a Dio
Lo cor cbe 'n sol Tamigi ancor ai cola.
Poi vidi gente cbe di fuor del rio
Tenean la testa ed ancor tutto '1 caaao:
£ dì costoro assai riconobb' io.
Cosi a più a più si Iacea basso
Quel sangue si, cbe copna por li piedi:
E quivi fu del fòsso il nostro passo.
Siccome tu da questa parte vedi
Lo bulicame che sempre si scema ,
Disse il Centauro, voglio cbe tu credi,
Che da qoest' altra a più a più giù prema
Lo fondo suo, infin ch'ei si raggiunge
Ove la tirannia convien cbe gema.
La divina giostixia di qua punge
Queir Auila cbe fu fU^lo in terra,
E Pirro, e Sesto; ed in etemo munge
<»3
Ito
itt
130
fU
M7 «fw/»iilÌMM, cine dicaci
H^UBmU. Buittnu è ut ica-
(«Vie^'ama bollcate.
<(l. tfail'Mi emmto fola, per la
«^H«« Mipielè del aMatto.
ar C»lmm. GaidocMU di Moo-
<|«it, dt ia Viterbo im gremko a Dio,
<*• ad Mcr* tcapto, a re! Bomeulo in
<■ n alufa Partia lanta, «cciac il ni-
ptlc é Arrig» lU ra d'Inikiltarra, cbia-
■Hi fv caaa Arrigo, in vendetta di Si-
B>it fi Haalarta a«o padre, A9 per
dAto ara alalo giastiòato in Londra. Il
te» mmè sd mo. Po Gnido ■•-
■• di ■olla valore a grande aniro e
-Htwtaii di Cario d* Angiò. — /«le,
^fmden, a^narriò.
I2S. Lo tor m. II c«or del morto
nU netto dcalronna coppa a Londra,
tollaealo aopra nnt colonna a capo del
' * * ^ "ove mneor ti eolm,
CoUrtt colon
pMla del Taaigi, ove
óit ■ «rio, ai aMrt. (
<ingiitnlicbi, totM
I »-
a^eyiurttfpt-
— iMiW e omeidmro ce.
IB. 0 cotto, It ptrlo del corpo
eolie catte.
Ili. opvà m pifc, acapre pia, a
IO a aato.
I2S fur H fkH, aolaaenle i
4 26 . E f«<9< /b del /«Mfo te . Inten-
di : a onivl pagaammo ti foaso.
429. ékoìmertdU èmodoiubiunt.;
egnalmente cbe In trtdt.
430-131. ofià a pia $f^ premo
ijofomdo tmo: sanipra più t'aiTondi;
vada MOipre piò crcMcn do la ma prò*
fondila. QortCa ler., cbe è della £ro-
act a di varj Codici, è nigliure certa-
Bentt della romonc p«è e piii gfè
prmtm, e eorri»pvodo al ▼. 424. —
in/liieb'ef H roqqiungt tt. Si neon-
gìnoge, circola roM'Ote tggirandeai, al
Inofo dove abbiani vedati bollirà Alca*
ttadro, Dioniiio e gli altri tiranni.
431. i4lf{/a re degli Doni, cooqni-
atatore famoso nel qninto tecolo, a coi
le devaataànni a le rtine di molte pro-
rinde fecero il nome di flogetlo di Dio.
4 55- 1 36 . Pirro, qtri re d' Epiro che
ebbr guerra coi Romani, cbe dicono es-
aere stato di talora mollo crtdelè, a
vaaaatore del ano popolo. ^ Sotto: in-
tende dal figlia di femptt il grande ,
1 p*dra ai dM t rt-
bare pei mari di Sicilia. Vedi Ltctno
cbe dopo la morte del padra ai
lib. VI. —in ilemt tiiiiif t, apreme eter-
namente te lacrime, alle quali apre la
via par meuo di qtel bollore. Il C<"I.
AnUld. quel hoUor.
I
l JIELL INFEBNO J
Le lacrime, che col bollor disserra H
A Rinicr da Cornetu, a Rinìer Pazzo, ^
Che fecero alle strade UdU guerra.
Poi si rivolse, e rtpassossi il guazzo.
K7. Aininr ia Corutlo. ìtiraot lìuBla. — RMtr Passo, Fiunnlin
umo nella ipìign minlliiDs di H»- drili nobU an di' Pi&l, ch« rami
I. Il Brpcili, nel tuo Diiionarìs e«- laalndidel Vildunombudackiai
irlicdo Comefa dilla Ftggiwila K9. Patii rttoUt.tripattutl'
Ila Ville del Siiio, du il prncnls guati». Ciò dellD, U Cenilo» Km
Ita del Potli, B dite ihe quoto Ili- vaiti in diolru, « ripaUMn, rìp»i,
uri [a il pidrediCgucciono dilli Fig- judsni, cine larìiiciidovcu piidiii
CASTO DECIinOTJGRZe.
Non era ancor di là Nesso arrivalo,
Quando noi ci meltcmmo per un bosco,
Che da nessun sentiero era segnato.
Non (rondi verdi, mii di color fosco.
Non rami scbielti, ma nodosi e involti,
Non pomi v' eran, ma slecchi con tosco.
Non han si a^pri slerpi né si folli
Quelle fìere selvagge, che in odio hanno
Tra Cecina e Cornelo ì luoghi colli.
Quivi le brulle Arpie lor nido fanno,
Che cacciar delle Slrofade i Troiani
Con tristo annunzio di fnluro danno.
Ale hanno lille, e colli e cigi umani.
Pie con artigli, e pennuto il gran venire:
Fanno lamenti in su gli alberi sli-ani. n
E 'I buon Haeslro. Prima che più enlre,
5. KtùlN, IHci 1 dirllli. «(rìlt*. Ini di aie dilli Cslena mIIc
0. ilccchi con bue», ipìiie idanott. Sirofiili, iaulidal Uin Jodìo, pndbH
9. TVoCkìhsh. TrailGuiMCo- ii Troiioi cbiirnbbDnifw (iaMiUT»-
I «U dllk di Csrniio ti innldinu nlelinienu. Vedi Virgilio, Kk.Ub. Ili,
i, > (Dg;siia i luD{[lii («IlitiU ed 45, ifrMi': Unto pnb ritarini ti
Tti- lunoiti cbv igli albvri.
iO.U brulle Arfietc.Uufìf 000 i%. Prima du pii ntlri, <ioi fii-
I
CAFtO DECIMOTB&ZO. 85
Sappi die n^nel secondo girone^f*)
Mi cominciò a dire, e sarai, mentre
Che tn terrai nelT orribil sabbione.
Però rigoarda bene, e si vedrai so
Cose cbe lorrìen fede al mio sermone.
Io sentìa d'ogni parte tragger gnai,
E non vedea persona cbe 1 fu^eese;
Fercb' io tolto smarrito m'arrestai,
r credo cb'ei credette cb'io credeasey l'S
Cbe tante vod asdsser tra qoe'brooehi
Da gente che per noi si nascondesse.
Però, disse il Maestro, se tn tronchi
(]^lche fraschetta d' nna d'este piante.
Li peosier c^ hai si fiuran totti monchi 30
Allor porsi la mano un poco avante,
E colsi vn ramoscel da un gran pnmo:
I E '1 tronco soo pridò: Perchè mi schiante?
Da che fttlo fo poi di sangue bruno.
Ricominciò a gridar: Perchè mi scerpi? 35
Non hai tn spirto di piotate alcuno?
Uomini fummo; ed or som fitti sterpi;
Ben dovrebb' esser la tua man più pia.
Se state fossìm* anime di serpi.
Come d' un stizzo verde, eh' arso sia 40
▼«ieiite la parolt Btrmtu» ad iadicare
divioa Bn$tai.
22. tr0§ger gmai, mandar Uneii-
tati gridi.
27. jMT noi, cioè per timor* di Boi.
80. ii fttrm^ tmùi moneM: retta-
raoao milli : cioè, rimarrai pitaamaata
dìsiagaaaalo della tna apioioaa. Da ao-
ttro peaaieroj aaa apiniooa, raifa aioa-
ca, «aando ? iena il fati* a ameatirla.
55. mi t^imtU: mi rompi, aii
aaMmbrì.
55. miaeerpi, mi f{a«ti, mi dUaami.
57. §à or ffm faM sUrpi. Graa
aapieaia ai lèiada ia qncala invaaiioatal
L' ooaM» akbandoaato dalla grafia diriaa
a Tenato in diaperatioaa ha gik perduto
la vita raxionala per cai ara boom: ^atla
^«iodi la vita taoaibila acddaadeai, o
pio aaii reato cbo aa troooo atorila od
orrido, aido a patto atorao alla iaCar-
aali arpie.
40. Coaif iTini elisxo «e.: fi at
lolUatcode «eeailf.
0 Tmaaii giroBO del aattimo ecr-
àm. VMlami aclla propria viu.
4Mf . awalre oe. : cioè per tatto
laH itayo. — . Càa Ni temi, cka to
'aafliowai perTcaira «cll'orriK/ soè-
*^; ^aaii dica : VarrìbiI aabbiooo
«kMjoacfco ta ao'giaato ael giroao
M- • ai ooira^ o boa ligaardaado
21 . da forrim /Ma al alio aerilo-
lai. eaaa cboM to lo direaai, ooa le
'■**<: o, «Im Barrato toglierebbero
I al mio pariaro. La nidob.Cooa
^é&rwm M9ti mio atraioiia, con
^iPialaBdarebb* accoaaato qoel cbe
Vbpb aal m defl' Al. Barra di Poli-
mm. is laa. dB Graaca da me legnita,
àèaaiBla Bwafiaray percbè Dante, da
gcacralo di Viifilio,
potato iatondero oaal coaa
da lai dotto aoll' £BtMa ai
iafbba aroAbilo o pmata ia «foel
OhrecM bob mi par troppo eoo-
p
^□i
^^^^
_J
tu, DELL- r
^
Dall' un de' capi ,Vhe dall' altro geme. ^H
B eigolB per vento cbe va vis; ^H
Cosi di quella scheggia
nsch-a insieme ^H
Parole e ran^e: ond' io la<tciai la cima ^H
Cadere, e «leni con
ne r nom che teme. IRpl
S'egli avesse potuto creder prima,
Rispose 11 savio mi
io, anima le^a,
Ciò e' ha vedulo, pur colla mia rima.
Non averebbe in te la
man distesa:
Ma la cosa incredibile mi fece »
Indurlo ad ovra, et
l' a me slesso pesa.
Ma dilli chi tu fu^li, si
che, in vece
IValcDna ammenda
, ina fama rinfreschi ^^^
Nel mondo su, dovi
9 lontar gli lece. ^H
B '1 tronco: Si col dolce dir m' ade»'hi, ^^H
Ch'k non pOBso lacere; e voi non gravi ^^^|
Perch" io un poco a
ragionar m' inveschi. ^^H
r aou colui, che tenni i
ambo le chiavi ^^^|
Dal cor di Federic. ^^
e che le volsi ^H
Serrando e disserrando si soavi, ^JC|
Cbe dal segreto suo quasi ogni nom totó:
4S dÌqwUa,ehe3sia.M<Jif«l
Sì. n'aducM, m'illalli.
trBiKDilipiinii. — uicira.tililno in-
ViO. t voi ntm srati. • bob r'io-
nea dui |,l«r II mio Vi., b, «cfo».
< il Cod Pnilim HKfnt.
, S7. pnrt'M « Tmfimm-wfU
*1- mima l'i», o .nhni otttn.
rtithi. l'in m' inp«|Ka, •• anlm •
41 HH- «Ho mia rima. Tonisri
ngÌMian,iUir>li> dilla ow1«« pn-
itr* <*!<! ti v§am. ppnbt par !■ rima
56- ri«eoM«e. Qnaalì t Pier
di VJrtjilìo, naatc >m> a>» ridalo U
«« Hmla, m aolo wKla. Onda tn-
tilt pule •iill'animo di Ini nA ci» .olle
MI, osai: S'igll mmr poliUfl errdrr
Malli 1 onde F^Jerieo lo tee iaMD>,
per II aia puiici narraiidHl eie che
orthavadMta col taiw. n«a a.nbb.n.
ni «uh) la cKinTi -. M. aaMta-. Jalla
B « a«»n . jua) eh. ha r.rcnnl.<.
di TolM^g ttì tu MVEn., il miait
rMtuBp» dai lii^lU («ctlì d* Enea
ini e dal bob nilor*.
mi Iddi* et" fra iqH.llo ; e quali Ma-
ria, it^ il r.IU a.tFDuto, do.» per
l' MiliieTi «n tona .Ila meatr di D.°.
t>. JiÙH t dal 1^. ài.9,.*^, ili. HH-
61. Ck, dal -gnu, tm tt. €»■
«r«,,,ri„.i,,«t!*«dip«.i.,.
Tieìl.acrii»diS>jiBocha;.rÌb«n>n
pMM, «MBnalo il OMO» dall' eaacB-
• .iHi. aulboa dHiniit ad*», at «b-
limapM II cou seiniiia.
». (n Uff* ifalniH ainmni(fa ;
. anrau .dima» ilio, ubi aai ìb-
1
!■ cimprntD dal male falla.
lib. IV.
CANIO nKmoxnzo. 87
F«U portai al glorioso «fitio»
Tanto cfa*k> ne perdei le vene e i poid.
La meretrioa» che osai dall'ospiiio
Di Canne non lorse gli occhi patti» «a
Morte comuiey e delle corti vizio.
Infiammò ooatra me gli animi tatti,
E gT infiammali infiammar sì AagiislD,
Che i lieti onor tomaro in tristi lotti.
L'animo mio, per disdegnoso gosto» 70
Credendo col morir fuggir dÌBd^;no,
Ingiusto fece me centra me giostOé
Fer Je nuove radici d' osto legno
Vi givo che giammai non ruppi kd»
Al nuo aìgnor, che fa d* onor si degno. 75
E se di voi aicnn nel mondo riede,
ConfMti la memoria mia, che giace
Ancor del colpo che invìdia te diede.
Un poco alteee, e poi: Da eh* ei si tace,
Disse il hxita a me, non perder l'ora; so
Ma parla e chiedi a Ini se più ti piace.
Ond' io a lui: Dimandai tu ancora
Di quei che credi che a me soddis&ccia ;
mort« Bd moDdo. — risto délU eorU,
nnM in oaelle pia A» altrove eterdU
r loTÌdia 1* orcbi* aflligno, e BMia le
arti WM |KrtlaMadM. QiMlclie tetto ha
MmrU • conni— dtik eorti vizio.
SS. Àuguilo, cioè Federìeo II.
70. for dÌ$dofm»$o gutto, a eCefo
dd fMMle adcfoo, ^ diadegno; 0, £-
Tesalo «degMiaa di latto.
74 . fuggir disdegno, iottranni allo
•prejpo altnii, alla YÌlaperoaa CaBa di
traditore ; o aoehe a ^Uo atato mio
diadrgooeo.
72. ingiuttoet. Iiilc«£; Mciden-
doni per aoverchio adeguo, fai iagìasto
▼eno di bm die era iaaeoeiile.
75. Por lo nmooo rmdioi «i. Vi
giare per qaeala mia aoTolla eaiatansa.
7S. d^omor ti iapo^ ialcadi a ri-
j^rdo del valore rìvile e nCltra, cke
fa grandifaiiBo ia lai ; cke ^laala u ra*
sto aoi TakUaaM Tadala Ira gli api-
card.
so. «onMrdfr Tara, il t««f|o> •
r occadoae che ti ai offre. Con i Gred
re' »J»,
C itacae eipolii, vai ^aaato te
^ ^pàica che la (raalade portala
'fuàeemà dd aao amiaaa fa eafioaa
cagioaa
^ à riavagliaMe ceatra l' odio dd
ChA, ihe fa prima cagioBe ddla aaa
Mrla. AI^ ad. kaaao lo «omio e i
Hi( dee a rìpaea par la vagTiale aotti
• litila. Ma a aM aoo piace ^aell'aaio-
» Cdae ileo oeak difUnai aoMio e pol-
iC cada Wproliriu aeae e 90IH, niodo
dha vdU «alo dd Poeta.
14-Si. la ^rsla awrrfricerrcdono
■i ■gdStali la earte rooiaaa, aeai-
Fuigaaaaafiaadaawali ddrimpedale
HiBa: erapaoggiaao dia faaaa, ^al
•ii à floMa, che Pier ddle Vigno ca-
de»' landio e dcn^odio di
acherati ageati, onde
I {dkoo OMÌ) per latte le
ia aeapctto di Iraditora al
I Pedarko 11. Ma io ane-
la gaaardi per ViwHàia,
vpBHa MaffSaaoaMMOi pcrclMcagiooe
•a |i «oaùai d facdaa auaeri acaai-
Ivedmeala, a aache perchè ddl' iai^-
<a dd IKarob ealr« U miaarìa e la
Ch'io non potrei: lanta pietà m' afxara.
Perii ricominciò: Se l'uom tj faccia
Liberamente ciò cbe 'I luo dir prega,
Spirilo incarcerato, ancor lì piaccia
Di dirne rome l' anima si )^;a
In quesli nocchi ; e dinne, se lu puoi,
S' alcuna mai da lai membra si spiega.
Allor soQiò Io tronco forte, e poi
Si converti quel vento in cotal voce:
Brevemente sarà risposto a voi.
Quando sì parte l' anima feroce
Dal corpo ond' ella stessa s' è disvetla,
Hinos la manda alla settima foce.
Cade in la selva, e non le é parte scelUtt
Ma là dove fortuna la balestra,
Quivi germoglia come gran di spetta;
Surge in vermena ed in pianta silvestra:
Le Arpie, pascendo poi delle sue foglio.
Fanno dolore, ed al (ìolor finestra.
Come l'altre, verrem per nostre spoglie.
Ma non però ch'alcuna sen rivesta:
Che non è giusto ater ciò ch'uom si toglie.
Qui le strascineremo, e per la mesta
Selva saranno i ooslri corpi appesi.
Ciascuno al prun dell' ombra sua molesta.
Noi eravamo ancora al tronco attesi.
Credendo ch'altro ne volesse dire;
Quando noi fummo d' un rumor sorpresi,
Simiiemente a colui, che venire
Sente il porco e la caccia alla sua posta,
SS. St fimm ec.
frtnlli Bt\ monda li
39, tffit
, .11 !,iji.
Libcramenli, corlnFin
■Cd» ortttolo di CDDlnria piuinne.
ge.mMh{,ill>tri°««hlBÌ,n<,d«1.
i62. al dolor fintilra, àaiTtVìm
«lit acoDB pgi le <«^ dolMOM f U
M. tlipirta. li dUe{»|I1<, » tm.-
pi-nlo.
pOKt.
103. r;DmcI'aIln>nìn»«l<ti4c1
9i. Mhr lefflt. rn»aU»B furfn
n^S'drpr.p^''BlÌI!'"° ' """' '
iOS.alpnm te.: ti pmno «>'>
rlachluu l'o<»ftra ivo, « l'iaini lua,
01.*cnt/ip,rlé,ttUa.a«ùìfi
dia • lui In molata. ti« «li™.
•tabi li lo ilcun luogo.
113 UFona..1onBhiiU:bMMÌa.
9B. Ì«vt foriuM la ba'tiira, dsvt
acuollparll.
^it«,d<4 il lune» ur'rjli i ipp«rt«».
CAUTO DECIMOTEBZO.
Ch* ode le bestie e le fratehe stormire.
Ed ecco duo dalla sinistra costa,
Nodi e graflBati faggendo si forte,
Che della selva rompiéno ogni rosta. [*)
Qoel dinanzi: Ora accorri, accorri, morte.
E r altro a coi pareva tardar troppo.
Gridava: Lane, si non foro accorte
Le gambe toe alle giostre dei Toppo.
E poiché forse gli follia la lena.
Di sé e d' nn cespuglio fece un grc^;^.
Diretro a loro era la selva inena
Di nere cagne bramose e correnti.
Come veltri ch* ascissa di catena.
In quel che s* appiattò miser li denti,
E quel dilaceraro a brano a brano,
Poi sen portar quelle membra dolenti.
Presemi allor la mia Scorta per mano,
E menommi al cespuglio che pìangea
Per le rotture sanguinenti, invano.
O Jacopo, dicea, da Sant'Andrea,
Che t* é giovato di me foro schermo?
89
115
120
i36
130
i\i. itormire, è appooto Io ttre-
fii* fredotto dal Borcrai della fraicba
*akiwU. 0 per feoto o per altro.
U%. mmllm Hnitlra cotta: la paria
■Mra ad abteaia dì Dante sta leinpra
^ mUtmt maggior reità a più infeuce
* ■W^ole roodixione.
Il"
Hi. fMta, oppoaixiooa di rami.
I*) Vielenti io roioa de*propr) beni.
^IS. Qaeati che ehiama la morta in
M Mceono è il Sanate Laoo di parta
{■Hi, lama che cooaamò tatto il «no
<w ma brigata godereccia. Eisendoii
^■nla eaatm alla aconStU che gli Are-
tt BtI 42S0 dettero ai Saneti praaao
hfiife dd Toppo oel eootado d Araf-
*« MBirt poCea aalTinà faggendo, ai
fk diipgratameote tra i nemici , non
*4mdopf« vivere in povertà. Io qnella
■iwaritèaB bdfiwimo teoso, perrbè
■■Ira càa gli aere Lbe atata piò oppur-
^Hckt la prima vulta. — E noto cUe
AdblrmDoaciegliaTarì aegaitaipcato
Hf . m emipmrevù tertftfr troppo,
• mi pareva eaaer tardo nel correre, e
(W correva mca dell' altro.
421. MihgiottrodH Toppo, aia-
ma diottro per modo barlerola la niffa
in coi i Senesi furono memi in foga : e
Sesto achano che par fuor di Inogo, ò
"SO opportano a notare il carattere
baffooeaco di qnesto scialacquatore, che
piò aotto aapremo eaaere no tale Jacopo
Padovano, a' una famiglia nobile, detta
dalla Cappella di Sant'Andrea. Si rac-
conta di lui che, tra le altre atravagan-
le, fece nn giorno bmetara ana sua villa
par aver lo spettacolo d' nn bel faoco.
A 22. glifaliia la lena, gli mancava,
iat. a Jacopo, la forza a pia oorrera.
423. feet «n groppo ee. : fece un
■odo ; cioè si raccolse, si strìnse a un
cespuglio , per nascondersi alle cagne
cba lo inaegnivano. La eagm$ . aeeoodo
Piero di Dante, Ignrano i ereditorì, che
fanno più misera la vita del diasìpatore
ridotto a povertà.
433. O Jacopo, dieoa. QuaiCi che
eoa) parla è uno spirito incarcerato nel
cmpaglio in cai ai è appiattato Jacopo,
a eoa è alalo ai mal^eoucio dalla oagoa.
4 54 . dime fare schermo, farti scher-
BM di ma, ripararli col mio cespuglio.
I
tìb
Ite, ^^H
r Questo ^"^
Che colpa bo io della tua vita mf
Quando 'I Maestro fti sovr' esso fermo,
Disso: Chi fasti, che per tante pnnto
S<^ col sangue doloroso sermo?
E quegli a noi: O aoìme, che giunte
Siete a veder lo strazio disonesto,
C'ha te mie Trondi si da me disgiunte,
B accoglietele al pie dsl tristo cesto
r fui della città che nel Batista
Cangiò 'I primo padrone: ond'ei per questo
Sempre con 1' arte sna la farà trista. iii
E sa non fosse che in sai passo d'Arno
Segi eel langìU, diiikIÌ (uon panaiw, mi Ione Tslili n de< Goti fu
Mdtomtkì — irnnD,!!!!!!!. qacgli th» mulloli gouli ntlli pian
che rbbe ■ •Hlaien contra ■ gnwnb
ddnnnto. Hiiaria I ìirnaie- £ Giulinina. H>««a<laFoiniiDa ofi-
B Innai tlw AUiU fosu lUIn
• D!(e,i'>UÌM*>l Pi»U. EJ
> iht iiirl» in delle ■dIm>i>
li U-n tlH|1J>li> il un» di
p(r U (oli per ittnggirf li perèill, Tolil* in iquelloiii Alliil. A Poppi. p«
■icnda riiiiipili le ine ricclmie. Alln a., nel CgHatinD (i t su pìeln doTi
Taalc cbe eie un LaUi. drgli AeIi, the lc|[rHÌ che le man di ^U tam ti-
■'ÌDpi«t rimiliiwnU in eia mi, dopo nn dblnilled* Aitili.
■*<i*i|ti>iDla illi poiirlt io cui l'eri II Rgaelli, ■tgaitindo Bedranols
periae celpi ridniiD, il rimDmt d'uni di Imola, i d'opinione At b ìMh
ilÌM capag'io.
r/<llM.VÌtoliidiaeh>
Log. ■
- dWla etiti eht
mi dir* dì Pireo», •llegoi-
miet- biito nel SaUtlo
•ratj dell*
CANTO OBCIMOTBRXO. 9^
Rimane iDCor di lai alcuna vista;
Quei cittadin, che poi la rìfoDdarno
Som '1 oener che d'Attila rimase,
ÀTiebber &tto lavorare indarno. iso
Io fei ffihetto a me delle mie case.
4M. fiMp; iti fmcfM f<M, «rilcnoM^Miltor la eomone gimb-
Ini: fMl 4irt, feci fama OMMIa ktito. Nd Cod. Caai. è «na postilla a
tali Mia BÌa caH : ■'ònpiccai in nia qoart* loofo dia dica : GiubHtwm nt
miUhBBeafiMlièdal taateVir. fitmdam twrrUPmitiU uHhomimti
WCAaFkrM, • M IfaM. 87. A1-
€Mmm BECiH09ijAnr#.
éU fkmm. Fi mm àmmwH I maUmu mìh* Dfo, mm-
mm Ai» «é rfMMW C^mM. tmmdrmm nMi,
Itéi tmMB 0 étfU mUriJlmti l^fmué» é0$$rlm Flrti,
Poiché la caritè del natio loco
Mi strinse, raunai le fronde sparte,
E rende' le a colui eh* era già fioco.
Iodi venimmo al fine, ove si parte
Lo secondo giron dal tprzo, e dove 5
Si vede di giustizia orribil'arie. (*)
A ben manifestar le cose nuove,
Dico che arrivammo ad una landa,
Che dal suo letto ogni pianta rimuove.
La dolorosa selva le è ghirlanda io
Intorno, come il fosso tristo ad essa:
Quivi fermammo i piedi a randa a randa.
Lo spazzo era un' arena arida e spessa,
Non d* altra foggia fatta che colei.
Che fu dappiedi di Caton soppressa. i6
i-l. Hidd Im emità ae. : poìchft 'IO. I.a dolorosa lelofl ee. La dolo-
r^Hra dalla P^^na. cW io aveva co- roaa lelva cireoaHa b landa, come il
mm mm ^Mltoapinlo. — mi «Inma, trìtio foaio dal aaogM òrroDda la aalva
ii fa fana ac. stana.
B. K fWi^lB; a la rvndd. 42. a rwmda a randa, doè, raante
a. 41 fteMste orritir arU, ipa- raMote l'arena : in iu V estrema parte
■■gHiar* ddla dÌTÌna fio- ddla selva a sai prìndpio della rena,
a, 43. Ìjotj»as%Of il snulodi essa landa.
(*) Tan» giraae dal settino ccrdiio: U . r*e euUi oc. : che queir arma
iaali I sali a Die , la aalnra e V arte, della Libìa^ la qaale fk fopprea la, noè
a. tamém oe. : pianura senza alcun calcata, dai {hciIì di Catone quando vi
, iacolta . passò coli' esercì lo di Pompeo. Lue. 1,9.
0 vendelta di Dio, quanto tu dei ^^M
Esser temuta da ciascnn che hg^ ^^|
Ciò che fu manifesto agli ocelli mìei!
D' Diiime nude vidi molte gregge,
Cile piangean fatte assai miseramente; w
E parea posta )ar diversa legge.
SupiD giaceva in terra alcuna gente;
Alcuna sì sedea tutta raccolta,
Ed altra andava conlinuamente.
Quella che giva intorno era più molta, jg
E quella men, che giaceva al tormento, JtÈ
Ma più al duolo avea la lìngua sciolta. ^^M
Sovra lutto 't eabbìon d' un cader lento ^H
Pioveon di Tuoro dilatate falde, ^^^
Come di neve iu alpe senza vento. n
Quali Alessandro in quelle parti calde
D' India vide sovra lo suo stuolo
Fiamme cadere infine a terra salde;
Perch' ei provvide a scalpitar lo suolo
Con le foe schiere, percìorchè 'I vapore Si
Me' si slingueva mentre ch'era solo:
Tale scendeva 1' eternale ardore.
Onde r arena a' acccndea, com' esca
Sotto il focile, a doppiar lo dolore.
Senza riposo mai era la tresca 40
Delle misere mani, or quindi or quinci
Iscolendo da sé l' arsura fresca.
21. S parta rulla lar re. Edilla St.QtiBliÀltitaHiraee.DìtiàAt
HMua loUDpiMt • ligip iliveiM par Ì« AlauoHrDirìdfl in India nilFrc ftlil* di
X). £i>tHiigiacR<a:iupiii.aiT>rb,, dule « lern boi li utingaFiina, «ebt
(iaeni tmpimimiiai ; idi jiuò nncLi l< facn» leatpUart, ànt pmngn
iB i Iroouraenli dille pirots ■uiiiina eru laporc miglio li «jicgiiet» mtnir»
pia lib«rlt ci» niiii è concnH il prg- ch« era (olg,ci<ié dod accrcniilo dilla
unta. — QnalR tbafiiccinimifiniiono Ginuni! appresa il Ittrano; il dwa'iai-
i «iolaBli wolm Din; luà ftie tegpono paJJvi wo ijuellt optrinDii»; onda il
Mani lÌDlcnU coDlra l'irla: e quii ebe iuolo oon iicndn tempo d'inloeirn,
quii loilD in iDiegiitr numero it^Vi
2T atàunto, clni ai liDirnti. . _ .
SO. Cemt di ntv* in a(/<c ttnm ntDanHxii qoi oa aprmiii malif
I. Perché, perii iiDil COM.
t li Iraiparli.
«ra fr»
CANTO racmOQOAJlTO. 9^
Io oominciai: Ifaeetro, ttt che ylad
Tutls le ocee^ foor che i Diaum duri,
Che all'enCrtr deUa porta incontro ueeinci, 45
Chi è quel grande che non par che cori
L' ìnoendiOy e giace dispettoso e torto
Si che la pioggia non par che *ì martori?
E qaA aiedesaiOy che si foe accorto
Ch* io dimandava il mio Duca di hii, so
Gridò: Qnal f fui vivo, tal son morto.
Se Giove auinchi il suo fabbro, da coi
Crocciato prese la folgore acnta,
Onde l'ultimo di* percosso fai;
0 flf egli stanchi gli altri a mata a mata S5
In MongibeQo alla facina negra.
Gridando: Boon Vulcano, aiuta aiuta:
Sì com' ei foce alla pugna di Flagra,
E me saetti di tutta sua forza.
Non ne potrebbe aver vendetta allegra. 60
Allora il Duca mio parlò di forza
Tanto, ch'io non l'avea si forte udito:
O Capaneo, in ciò che non s' ammorza
foe da tutti qvctti, ptrchò •« d« ita di-
3»cttoM t torto, Doa facoodo nauooo
I q«ti BaoriaMoti Mtarali a ehi fante
dolora, appunto coaaa ao il hioco noo
lo brvoaaae, ooo lo màrlurioiu.
ì^. il tuo fabbro, Volcaoo.
53. Cmeetalo.dtliamiabaatammio.
M. l'ultimo ir dalla aia fita.
sa. « muto a unita, a vioanda. lo-
taadi : aa agli tiaBchi «• dopo V altro i
cklopi, daodo loro la mota.
Ì%. ii»jroiKftM(o,o»«ll'EtsaioSi«
alia, dovo i pooti fioaoro aaaar la focioa
di Voltano, eba eoi aaoi cidopi labbri*
cara i fnlmini a Giora.
SS. olio fugnm di PUgrm, alla bit-
tafflia da' (pganli contro Gio? a in Flagra,
▼alla ddla Taaaaglia.
SO. Nomuopotr$k^»vor9€mdelia
ollogro, non potrebba avar l' allograno
di Tedarmi a? vilito o aopnffallo dal ano
flagallo.
61 . di fànm, aioè, eoa gronda Tee-
aaania a gagtiardia.
65-iìa. O Cn^ofMO. Capnnao h nno
dai fatto ro cba otiiser, aaaodiarono, To>
bf^ a nomo anporbo a apraaalor degli
va VM*, ^ anoro. ara piomto ao-
F^'hra. — ìuoitmmo^ meotro aeoto-
1M.— FfMe» hn anaaao U aanao dal
41. tm aftoWhd «e. BalF elogio ao
b Miey aUa ditina doleana dai car^
ik movaro agni ani-
laan fin à'^um cmdel demonio: pia
Mh H b fifcriaai aUa mMMi rofioM
pairiiilii fai VirgiKo.
4. Vedi a Conto VUI, ferao4l5
•H^ ■irfairfètroocitnra di utdmoj
kniÌML rafolam ma antiq. del perf.
41. Mt^tli§m a torto te. QncaU è
l^piiabo^oeaia;aben fn delto
■■ lanla è il pUlor do* poeti , 0 il poeta
an Mmn«
4S. afto'l awiiiit (da marturiart
pt Mrlarfarf|,ebe lo wtmrtorii. Qne-
iklm^eboè di moUi pregevoli Codd.
• ddaodb. di leai 0 della Nidob., è
diprafarirfli. a parer mio, alla eooMue
dr'IflMlMri, porcbèaopra noo ai parla
^ aninM rananliate, mofumta, dalla
ffauia di fooco, ma ai di tali cbo ti di-
Mano corno p amano, iteotendo da tè
Itmrm frtteo. Ora Capaneo ti dìatio-
94
mix' IMFeANO
La lua superbia, se' ta più punito:
Nullo martirio, fuor che la tua rabbia,
Sarebbe al tuo furor dolor compito.
Poi si rivolse a me eoo miglior labbia,
Dicendo: Quel fu 1* un de* sette regi
Cb'assiser Tebe; ed ebbe, e par ch'egli abbia
Dio in disdegno, e poco par che '1 pregi:
Ma, com* io dissi lui, li suoi dispetti
Sono al suo petto assai debiti firegi.
Or mi vien dietro, e guarda che non metti
Ancor li piedi nell'arena arsiccia;
Ma sempre al bosco li ritieni stretti.
Tacendo divenimmo là 've spiccia
Fuor della selva un picciol fìumicello,
Lo cui rossore ancor mi raccapriccia.
Quale del Bulicame esce il ruscello,
Che parton poi tra lor le peccatrici.
Tal per l* arena giù sen giva quello.
Lo fondo suo ed ambo le pendici
Fatt'eran pietra, e i margini da lalo;
Perch* io m' accorsi che 'l passo era liei.
Tra tutto V altro eh' io t' ho dimostralo,
Posciachè noi entrammo per la porta.
Lo cui sogliare a nessuno é negato,
75
su
tf
Dei. ^ i» ciò che ntm t' ammortm te.:
Qni è •eceonata ana gran Tei ila Uulo-
fica • cbt nelP inferna la pena sari
unmeJeainiata col peerala; ««aia il pec-
cato formerè il auppliiiu dal pece«t»ra
«•tfolor compito, auppl-gi» adei|aaln
07. «m migiior labhio, àmé fu pii
■Ila aappllo • ei>a pia mili parole.
70. Dio in dìMogno, Dima diapre*
fi*. Anche StAtio lo ebianiò §mperùm
contemtor el aqui.
72. àohiti fregi: eoai par ironia.
CoaTcoianli eaatiglii.
70. diwenimmOt è dal devtmire,
lat., eba apcaao fala il tara pi ice venire.
— f^ieete, «gorga, nea eoa impalo.
79-80. doi BìÈÌieuwMtc. Buiiramc
cbianiavati on lagiicttu d'acqna bulleo-
U , sitaalo a dae miglia da Vitf>rbi :
uciva da aavo an rn»««llo. I'aci|aa del
^oita U pMcatHei, la mareirici, poi,
aoA a Qoa certa duUnta d«lia aorgrn.
itf quiodo era già raffreddato al^ao*
to, n partivano fra lor», in «auto ém
ciaacnna di eaaa volgerà nlla ptfrii
atanza «fnella pornnoo d*ae^ CM li
abbisugnaaaa. Se la lenona fOtemtrtH^
che è pure di luici leali ch'io aUin ft-
duli, è la vera,bisiigno anppom cfcn in
vicinania del Bulicane f
lempi della caaa abitato da tali ,'«■■■1
che forse trovavano il loro conto in qnw
sog^iurnri perla fr<*qarnudi ^aiMgn.
82-85. 7epf«<lir«ac.:cioèlatMÌM
pendvaii, inclinale: FaW eroM pt§Ì9%
cioè, ki erano impietrite. E eie tra n^
volo alla natura di i^ael finaicdU •■••
guif>nu rbe renileva pietra i'artnn. Ann
pi-eiMo ni>i vedoui oei fiumi cho hanBi
virtù pietriKraDte. ^—iwuofitd, ì émB
delle »p onde.
%\ ermiiei, ti. pmhèl'nnieolMfn
ove non fnaae P arena art ieein, iaffoe»'
ta. Vedi V. 71.
87 . Ij* mi «o^Jiorf, la cni mfjjlUf
li porta dell' Inlcrao.
i
l
Cosa noD Tu da^ì laoi occhi scorta
Notabile, com' è 'I presente rio,
Che ìopra sé tulle Gammelle ammorta.
Queste parole Tur dui Duca mìo:
Perché 1 pregai, che mi largisse il poslo.
Di cui largìLo m'aveva il disio.
In mezio 'I mar siede un paese guasto,
Diss' egli allora, che s' af^etla Creta,
Sotto 'I cui rego fn già '1 mondo casto.
Uoa moatagna V è, che già fu lieta
D'acqoe e di fronde, che si chiama Ida;
Ora è diserta come cosa vieta.
Rea la scelse già per cuna &Ja
Del suo figliuolo, e, per colarlo meglio.
Quando piangea, vi facea far le grida.
Dentro dal monte sta dritto un gran veglio
^
DELL INFUNO
Gbe tien volte le spaHie in ver Damiata,
E Roma guarda si come suo speglio. los
La sua testa è di fin* oro formata,
£ puro argento son le braccia e 1 petto,
Poi è di rame infino alla forcata:
Da indi in giuso è tutto ferro eletto.
Salvo che 'l destro piede è terra cotta, iiO
£ sta in su quel, più che 'n su V altro, eretto.
Ciascuna parte, fuor che V oro, è rotta
D* una fessura che lagrime goccia.
Le quali accolte foran quella grotta.
Lor corso in questa valle si diroccia: «f$
Fanno Achotmte, Stige e Flegetonla;
Poi sen van giù per questa stretta doccia
iDfm là ove più non si dismonta:
Fanno Cocilo; e qual sia quello stagno,
Tu '1 vederai; però qui non si conta. i20
Ed io a lui: Se '1 presente rìgagno
Si deriva cosi dal nostro mondo.
Perché ci appar pur a questo vivagno?
tha , exi$tent$ ntonmnhia perfecUty
mundum umditi^te fuiue oiiieliun, Uh
tii eonttat. Mooirch., Ub. I. N«l w
nnito dei tempi difenta aen kaono,
Nfbbene maoUcDe sempre na qaakhe
■plendore e elcane ? irtù, come è signi-
lictto dall'argento e dal rame, metalli
pmr (li qualche valore. Ma ogni splen-
dore, ogni gloris sparisee alla forcata j
ore si fa tutto ferro ; a aveste aeceana
alla divisione di esso imparo, morto
Teodosio; dopo il qoal tempo comia-
ciarooo le invaùoni barbarìcne, e qaei
secoli veramenta di ferro a di calamità
Dtitìsaimì per l' btorie. Viene SnaU
mente l'impero al colmo dell'avvili-
mento quando al ferro agi^nnge la
creta; quando cioè diviene un mbto
di tirannide a di democrazia , a che
Questa prevale. La erela ha seco
r idea della viltà e della debolena , e
ben rappresenta il tumnlluoeo governo
della plebe. Ora tutte queste allerario-
ni dalla perfetta monarchia, significata
ndla testa d'oro, sono seguitata da mi-
seria di popoli, da mali costami a da
delitti; a queste soao le lacrima che
a^^organo dalle diverse rotture dcUa sta-
tua, a eolaiio aell'Iafemo. (piarti caa-
cetti, a parer mìo, paCrebbara firani
dalla presenta allegoria, noa laola f«^
chi VI si accoaMdaao diacralaaHala ,
qaanto e molto pia perchè si kaaaa ii
graa parte confermati da Dania ataia
a nel corso del Poema a Dal libra diUa
Monarchia, dova apartamsala il
che l' impero romano, fondata aan ik
ciliari argomenti del divwo faTUia, è 3
solo impero legittimo, a tolta fl ^aala
pnesa l'omanità esser virtaosa a «mali;
che quello disfatto o menomalo, tattsè
disordine ; che ogni altro foreraa lem*
porale è un' usurpazioDe a an CaaHls fi
discordia civile e di delitti.
4 15. fi diroccta, scenda di raeda
in roccia, di rupe in rupe.
447. doccio, canale.
448. /n/hi Idee.: infino al fendo
dell' Inferno, ossia al centro dalla ler^
ra, dova non ti dUmonim pie, cioè pie
non si scende, ma si comincia a aaliia.
449. CoeUo, è vaca greca eka si-
gnifica pianto.
421 . rigagno, pieeol rivo.
423. Perchè ci a/nf^ puree.: pn^
che ci apparìsea, ci si fa Tederà iola-
CARIO INKDiOQOAETO.
•
Ed agfi t me: To sai che il luogo é tondo,
E tolto che ta sii venoto molto
Por a sinistra già calaDdo al fondo»
Moa seT ancor per tatto il cerchio volto;
Perebè, se cosa n' apparisce nuova,
Non dee addar maraviglia al tao volto.
Ed io ancor: Maestro, ove si trova
Flegelonte e Lete, che ddl' an taci,
E r altro di che si & d* està piova?
In totle toe qnestion certo mi piaci,
Rispose; ma il boiler dell* acqna rossa
Dovea ben solver l' una che ta faci.
Lece vedrai, ma iaor di qaesta fossa.
Là ove vanno l' anime a lavarsi,
Quando la colpa pentata è rimossa.
Voi disse: Omai è tempo da scostarsi
Dal bosco: fa che diretro a me vegne:
Li margini firn via, che non son arsi,
E sopra loro ogni vapor si spegne.
97
if5
ìjO
136
140
«feafiip, cioè io q«e-
I rÌM, • BOB altro? «f
1 Mogo doto ero n
if odio ikmo U toUi-
m tro firoBi. raltiiBo è
I iSiMii • Forlo dot Tatto ri-
PBM, • fMhè ho rìfoardo al oooSoo
Uh wàn ad ^«alo ti tro? a.
IH. fbi^ c*f <l iMfo ifondooe.
i hao ialoo^oro la riopo»ta cho fa Vir-
aoirAloa
loooOy ai €00'
Daoto »aia|ioato
..^i-jli. Dal fìaitorli por-
porta « riaafiao, dimo-
ia aìfiMlra,^aodo
ti lOTBioa dalla nooa parta
», allora afre girato
a tondo. Ood'è cho ooo polofa
d'oro iocootrato il Flcfo-
do qoal lato flMneo
oeora tatto trascorao.
W. JVa»o^«M«r porftilto il
hai por aocho ool tao
oaaolto i oorchio.
119. Mtm dm mddìtr m^nviglia
of lo» oolii^ BOB doro attaniarto o
154. thè delVvm ioH. Intoodi di
loto. Leto tigniSca o6fto, cha non p«ò
oaaar Ball' loferoo, dota la aeoioria dai
paoeati conuDoaai, a dallo grano aboaa-
to, aarà noo doi maggiori aapplizj dai
daoaatì.
434. BM a hoOor ae. : il bollor del-
l'aequa roasa dovera farti accorto cho
eaaa ft il Sumo Flogetooto. Qaeato^ pa-
rola tiene dal ferbo greco tpliytè,
che aignifica ontort . Da qoeftto luogo
Sarrahoo che Danto noo mancaaaa
' ona qualche cogniiiooo deUa greeo
lin^joa.
437. Là 099 «e. .* Ih oro to aoimo
porgaoti, prima di salire al cielo, ai la-
rano, qoaodo la colpa di cho foron
pooito è HmoMO, «oè, tolto m da
45S. fWBlBia, portàdfMto dcH'antiq.
paBtera, Koototo por pcmtoon.
442. E fOpTB toro oc. Maatra
l'capanefixa die ooo eaadela tra le Ib-
mide oealasiooi ti ettiona: eeal il Poeto
immigioè aTraoiro di qoalto vaaipo
pioTmti, al tnccore !• denaa calìgine eoa
dal holleoto SwbìccIIo ti elora.
1 ,. ^
W CA31TO DECUnOQVIÌV'rO. !^H
Ora een porta l' un de' dori margini,
E LI fummo del ruscel di sopra adu^gia
Si, die da) fuoro salica V acqua e gli argini.
Quale i Fiamminghi ira Guzzanie e Bruggia,
Temendo '1 Gotto che in ver lor s' avi-en!a, i
Fanno (o schermo, perchè '1 mar sì foggia,
E quale i Padovan lungo la Brema,
Per difunder lor ville e lor caslelli,
Anzi che Chiarentana il calda senta;
A tale imagio eran fatti quelli, IO
Tuttoché né si alti né si grossi.
Qaal che si fosse, lo mastro fellL ^^^
Già eravam dalla selvs rimossi ^^H
Tanto, eh' io non avrei vi<^to dov' era, _ ^^^|
Percb' io indietro rivolto mi fossi, '^^H
Quando incontrammo d' anime una sibiera, t^^^f
Che venia lungo l'argine, e ciascuna ^^^H
Ci riguardava, come euoI da sera ^^^H
Guardar l' un l' altro solto nuova lana;
E si ver noi aguzzai an le ciglia, »
Como vecchio partor fa nella cruna.
J. Or» cmpurla te. E™ chi udì o» dbeli nionUg» diaivuUM,d4
ì. Mnpraailvagia. rise II «mbr. ix.i d. cui i rìcaurl>,ìld<ih> twM (*■
•pcfHl'Gunt. l..mUrìu di Fido» che >^ Mnn».
4.G>iu<i«te:cpi«i>)i(erridlFi.ii- U pirud.ll. Alpi dgve ■>«« liBi«f
Jrit Bruggia, 0 lirueu, odIkIc olii. I^.icbe iP.doimì chiimino CiUOr»
ptrìeuiM di Fiixdn. («w. ,oaoi m-oH i.\ Trenti».
dd Dare.- i-otefniB, » sliudi, vii'O (..rs li t«e- Cbbay» <,u«lì » foat, •
G. Forno lu ithiTmiK [UM i ri- U. dcvirtL. lalcmli: ItKJ.i.
pari 0 le dìgliii. penhi il iD.» ilij )3. Pm*'Ìo. tcbbui i», pr
fnnù hitliermn, n ^ubU i Pad.,- qiHiido U luni aon .plcmli- U >i«llt)tl
MHf « , a taU imagiH, «. eh. .vvic«( .ppualo qo.ndD i sa»».
9. J>:f cht Cl.iarc»l(iM te.: prì- ci» IrimoDl* poco dxpo il •d(.
CAlfTO DICmOQUUffTO.
Co^ adocchiato da cotal ianugUa,
Fai conosciiUo da un, che mi prese
Per k) lembo, e gridò: Qoal maraviglia?
Ed io, quando '1 suo braccio a me distro,
Ficcai gli occhi per lo cotto aspetto
Sì, die 'i viso abbruciato non difese.^
La conoscenza sua al mio intelletto;.
E chinando la mia alla soa faccia,
Risposi: Siete voi qui, ser Brunetto? (*)
E quegli: 0 figliuol mio, non li dispiaccia,
Se Brunetto Latini un poco ieco
Ritoma indietro, e lascia andar la traccia.
Io dissi lui: Quanto posso ven |M*eco;
E se volete che con voi m' assaggia.
Farò], se piace a costui, che vo seco.
0 figliuol, disse, qual di questa greggia
S' arresta punto, giace poi cent* anni
Senza arrostarsi quando *1 fuoco il foggia.
Però va oltre: i* ti verrò a' panni,
E poi rigiugnerò la mia masnada.
Che va piangendo i suoi eterni danni.
Io non osava scender della strada
Per andar par di lui: ma *1 capo chino
Tenea, com* uoro che riverente vada.
£i cominciò: Qual fortuna o destino
Anzi r uitimo di quaggiù ti mena?
S»
25
SO
U
40
45
22. dm eoimi [mmiglia, da cotale
"Ìmr, fcrcW ^«ali peccntorì top di-
^' ia laiiÉt Maaiiadc, cmbc ai dirà piò
2M4. wd ftrtu Ptr lo Utnbo te.
I«pHt pai laniko dalla vaate, percliA
bawito ara «è Della rana , e Danto
«rapMddroacdlo.
27. «0» difnt, DM imped'i, dod
lér al ■■• ÌDtflIctto, alla mia nuoto,
AaatorlD ncoaoacara.
SI. JBnmrlto Latini fa ^n filo-
ai» a ■Bfatro aonoi* io rrttorìca, a a
y daw Firaata U aao primo dirocza-
F« di parte gv^lfa^ e maastro di
D«po la roUa di Mootoperli
■■la a Parigi, dora arrisca ia
frwr'*«« il avo Tesoro. Era oato verso
i iZM^ mori ìa Firenze nel 1291,
dora era tornato, quando i Guelfi i>
guadagnarono lo Slato.
33. la Irorrto, cioè la comitiva d#-
gli altri che andaTano in fiU.
51. preco, secondo il Ut prioor,
che poi ai fece prego.
53. m'atteggia, m'aaaida.
5C. ehi vo teco, perciooclift laiM ia
aoa compagnia.
39. arrostarti, arentoUrsi. — <i
ftggia, lo ferisca. Feggia è il praaante
indicativo di feggiare.
40. ti terrò a'patmi. Ci verrò ap-
presao. Vedi la noto ai veni 23«24,
da cui vedrai la ragiona di qnaato par-
lare.
41. la mia wuuuada, la coapa-
(jnia di geoto colla quale io vado. Oggi
questo termior ba cattivo suono,
non fu coai nei principj della lingóa.
E chi è questi clie mostra '1 cammino f
Lassù di sopra in la vita serena,
Rispos'ìo lui, mi smarrì' in una valle.
Avanti che l' eia mia Tosso piena.
Par ier mattina le volsi le spalle:
Questi m'apparve, tomand'io in quella;
K riducemi a ca per questo calle.
Ed egli a me: Se tu segui [uà stella,
Non puoi Tallire a glorioso poito,
Se ben m' accorsi nella vita beila.
E s' io non Tossi si per tempo morto,
Veggendo il cielo a le cosi benigin»,
Dato t' avrei all' opera conforto.
Ma queir ingrato popolo maligno,
Che discese di Fiesole ab antico,
E tiene ancor del monte e del macigno.
Ti si fare, per tuo ben far, nimico.
Ed è ragion; che tra li lazxi sorbi
Si disconvien frutlnre il dolce Geo.
BaH«.TiidiC.I,T. ^^.
M. OtUll lì I
IinwIcdiBeil
C.XXKt-,«[r
z;:^zi:l^Lf.
\2'MìW.PMrg.,
cltU, < il IDO rìcUto». VtdiC
lu «il, nel pie
del ParadiK).
55 SetUMfittlMiKtls.»
Mllanu picnoai, cine ili* «m pcrEc- 56. JVon fiuirìfidtlnte.:Biiafi
■ioH, chili bat lì 33, qainilu fi tìU iDInnre di giunjjcrai ]<1orìoH finc^i
IbflHiIlHdlnli CkrUli. dtll>utrol.'(;ii ^nJiriirìi. Iritia au I.
S2. Pur itr ntollina. ulaniGDtB lice omnijia per I* (uluri glurìt tàrn
ieri, IH primi <liicrìaiHlIini,IicDtri tiGca ■ le Henna •lei tua alunna.
(«Malte, par olirà il monlc. Gì. «a «luir librato popolo f
tS. lentandio in furila, tilli- Il p<v«lii RnrtnUnu ebbe «rìgìu i
(li ipmligin™ l'olleB»- riBofe, anlrci fili» piwli »pri uo ed:
di eaid, ci>- 63. £ IJrM atteur ed. : s aaatin
CANTO DECJMOQUnrTO. |0f
Yeoehia hnOi nel mondo li chiama Orbi:
Gente avara, invidiosa e superba:
Da' lor costami fo che ta ti ibrbi.
La tua fortona tanto onor ti serba, 70
Che r nna parte e r altra avranno fame
Di te: ma lungi fia dal becco l'erba.
Faccian le bestie Fiesolane strame
Di lor medesme, e non tocchin la {«anta,
S* alcuna sorge ancor nel lor letame, 7&
In cui riviva la sementa santa
Di quei Roman, che vi rimaser, quando
Fu fiitto il nido di malizia tanta.
Se fòsse pieno tutto '1 mio dimando,
A* egli non Mrdkbe stato né ^elP un
mHHo né SéP tltro: profesìa dia gii è
fetta attcba daCaedagoida nel IVI! dal
Per. La aeeoiida, cka f^ i Biancki cha
i Nari di Fireaia arrebbaro od giano
pmUo fame di lui. doè raTrabbar de-
aideralOy o moari oalla saa gloria, ov^
Taro sei bitogoo fanCito della sua ntth
■oadnta tapieioa a probità.
72. «M Imagi /Ui dai becco terha.
Ma non tare todisfatto il loro doaidario.
78. Paeeian le bestie ee. I Fiorai»
tini d'orìgine fieaolana, rasa dora e be-
stiale,/iseeioiio ttrameditorwtedetme,
si gorernino tra loro a dal loro, e non
ioeehin la pianUi, ooo s'aeeostuo alla
geotiti pianta di sene romano^aioè nao
abbian menta di eomone eoi Fiorantiai
di orìgine romana^ seppnra ea. SIfmme
ebiamast l'erba pia Tile, di dia si fa
dbo e letto alle bastie.
77. ehevirimoseTt int. ad abitare.
78. il nido, doè Fironxe, ediSeata,
coma n diee, da nna colonia di Room-
ni, ed aeeresdota poi dd Fiesolani.
VediMadiiafdli^toriclib.n.— Dante
d gloria? a di discendere da nna ffsmiglia
romana di anticbisdma orìpise, a crada-
fadparentadd Fraogipau.
79. Se foste pieno tutto ee. Sa si
fosse adenwito ogni mio roto : sa foad
stato esanditoin ogni mia pregniara, voi
sareste tnttora tito. Questa dicbiara-
ziooe d'arargli pregato più Innga rìta,
selenita a qod eba gli lia detto sopra
scr Brunetto d Terso 4 8 ; ff io fliofi fotei
fi per tempo morto ee.
fema nel mmtdo li
orbi. Dne eagiooi d addaoooo
ipiannama dato ab antico d
r bachi dica dia sa la ao-
spando di dna enea offerta
dai Piaaai, tho Toleraao rìcom-
dà CTcr guardato Pisa mentre
alla conquista ddla Balearì,
• dna parta bellissima di bronzo, o duo
rdsmaa di porfida guasta dal fnoco, o
slBlr pcrdb aoperta di scarlatto, i brari
Fiarsulini d icslsare auasf ultima. Al-
tari Semme, a oao pie faodamento, eha
a aauM di oiecki Taaisaa loro, quando
araao preadara aUa ludngba di
i^eUmdeà Tolila), aba atlaoaa
, ^udt cbe non a? ea
■è aall'armi né con un lungo
di aascra riaafuto in Firensa ,
the pai a tmditara riempa di stragi a
ék rwmm. Queat'apiniaoa è tenuta dd
% iOanB, dd Malaspini, da scr GioTanni
FiBiss^ias, a da oenreouto da Imola.
Il vaiaai, tra gli altrì, d esprime cosi:
« l firn t ntiui md avradnti , e però fnro-
m a» auuipra ia proverbio diiamali dO'
m ikit afadaHaro die sua falsa ludngbe
• (£Allila)evuDapraaùadoni:apersou-
a ffi la parla, a aussoolo nella atta, s
€8. Celila onmrm ee.: consuona eoi
«<ff*o74 dd Canto VI, Superbia, imei-
Ma ed moariiia eono Le trefamUe ee.
•f. f(/M<|oforba, da /orftere),
ti farbiaca, cioè ti purgbi.
70. La barn forhma. Due cosa qui
•i accwnano : la prima, che la sua for-
tuaa aTrebbe disposto le cose ia modo
n sareste ancora
a natura posto in bando:
Che in la raenle m'è fitla, ed or m'accora,
La cara e buona imagine paterna
Di voi, quando nel mondo ad ora ad ora
M'insegnavate come l'aom s'elema:
E quant' io l' abbo in grado, mentr' io viio
Convien che nella mia lingua ^ì scerna-
Ciò che narrate di mio coreo scrivo,
E serbolo a chiosar con altro lesto
A donna che 'I saprA, s' a lei arrivo.
Tanto ìogl'io che vi »ia manireslo,
Pur che mia coscienza non mi garra,
Ch'alia fortuna, come vuol, son presto.
Non è nuova agli orecchi miei tal' arra:
Però giri forluna la sua rota
Come le piace, e il villan la sua marra.
Lo mio Maestro allora in sulla gota
Destra si volse indietro, e riguardommi;
Poi disse; Bene ascolta chi la nota.
Né per tanto di men parlando vommi
Con ser Brunetto, e dimando chi sono
mpa-r
pjLi n
I
•■nalHnrc li morie, ptrllmlsal i titr-
.>«t dell! ipdilt Jl bninello.
dì jarrin. ijriJtM, rimoroimr».
M, «uanl'in faiboln gra<4a- ipin-
U. •■ D. >il flr.lo. t>.II' Mi. Otn-I tVf
npiiT». Qui inlBB.Ii prolldoM (bt
U.dÌm{o<i,tio.àoi,i>ntn,\iJ<A-
,o.,.Joè.mc,p^di'™i™™«.
p.rr., no. ri»rti, uo p<E» M m.1.
fn n(i. — lenVo, lo fD|iriiDo scili
mia monla.
r^W.glrifMmm,la«KnU.*ÌI
B9. SurholB a rhlaiartt.: e ìeivr-
c-lln « Q<.«W malo pnnoiUilc li-
goilirt : r.<TÌi l'uomo dttriDlan* wl
.;i>i>i«|p,c^ colli prodiiìw^ Miami
ci» di»epuft:il«oi>dì« pn-n. !•-
^•r»ia*U V«liCiii.lo^,tcrioTOi-Mg.
TDrì l> (crr>, iliiinTiiileo-ÌDdB.lriw.,
30. aAmiathtiltapririM.ibt
e poi iKmci qnri th* Ilio iBolt,
. "f* cUnan, tpiegira: e reo!
•Iit* il Bfilri».
90. Smt aMoJM >*•' te noi: !■■
UM- .l,ln>«.l. .«oli. col» .:k. bc*
Mi, > broo ixipriiH Bollo »•■ «leok
tofTiteh* «HiuipiiU, che ìoinnii prih
I.Kl.lon.*J«MTJ.
100. M per lanlo tt! ni fw a
— PuTcU mia a$tltnta xn» mi gir.
ro. ponUò lg m' ibbi. leoipre il r«IÌ-
»u Hf BtuneUo.
térìy
CASTO DEeiMO(JUi:VTO.
Che 'I tempo saria corto a tanro suono.
In foniiDB eappi, die tolti far rìierci,
E letterali grandi e di gTPo Tania,
D'un medesmo peccate al mondo lerci.
Priscian sen va con quella turba grama,
E Francesco d'Accorsi anco, e Tedeni,
S'Bve.«si avvio di lai tigna brama,
Colui polsi che dal Servo de' Servi
Fu Irasmulalo d'Arno in BacchigHonc,
Ove Iasci6 li mal prolesi cervi.
Di più diro!; ma il venire e il sermone
Più lungo esser non pnù, perù ch'io veggi
Là surger nuovo fummo dal sabbione.
■ tanfi, ninna, • «ti lai
■go li III fa»a>«rlBÌii J>1 1381. Ndl'ir.
elùtÌail*lC(piUJaGu*D(ii»lriiTUDin
}. ttutuUIfur diertifc. CKerri mutiOo iti «wmiìhi Sklvinl rh* is bo
Itun linm puri* cberid, pirle liHlf- iidnle1,ln ni ii ln|>«||iii ili prarin clu!
nli fisM. Il Muti, non cfag [Nwdilo al ibio the
tOB. fi'ttH meditmo patata, ai»- Dutt (li «pf me , rn (oii pralitn dì
M pMMU pil qaale fa ini l> eUlì i. nmlli pielì ; (he li idi Irnlxinne dnt
SsJmm. — Itrriiioni, imbrilUli. tacr**vieiiiili ptreajrionedfllg Iinv-
m. JVitdaM, gniDinalica del ir- ni ; ■ che noa è credibile qncl die w-
• 'ìvr<aQtoìio,ttnrgtih\f^jp inBnl'" qRadda ai vi rlie moi.»
j '--HaBI.Pij Hjliod.'I tenpe dnpn II ne Iridi
., the il
EDI, dote nurlDeHlorPii Itgllad.'t teinpg <lnpn le ne IriduioDe.egli mt-
■ illiniutore di RigioD Òiìlr, nulo Firenu e lenprllirl» in deepTole ma-
nti *<ll*ffig di BoBnuotii, poche ini|{li> nonitnlo nella chini di San Gregorìn,
dblul* da nrenie, e murln nel l?2M. non pnlendiui penaare che ai ficiia ri-
Hetti roamlatori, CDflt.nidendD noni e (ornar moria chi ai è [allo •llontanir
eoe. hinaodiloal paJrcil bruUoviiio tìid per lergi^a.llaiFbbedBiia lode-
dei KrIìo. iole lo iL'lo del doUo Camnleo di pnr-
III. S'avritl avuto di lai tigna garadilli hmlla marchia il ineoraBo-
tranu.' k ta aTeui dnidFTtlo tmi^ renlJDo.nenoitanladcTo conreaMracka
Mere penane ai laide « apsrehs. ìmoÌ arn'menli.aa ei poaeon mdlfra in
113. Sfflet, In pglCTi, Bvmll prlu- dubbia di qnaldia drcntuia alTemialB
It.— roIii{,Ìnlende J'AnaroideMraf, dai eorarnlalorì , non ••I|;odo ann(DlÌi«
incoro di r>rrnie, ehe dd Srrro de* il MlnUenn alimalodi Dante eootem-
Strri, òeè dal papa, tn IrutalBlD d.i pannoneeoneilladinodd THwvin; ipn-
" IrAnH, ■ Virtna , Ira il anale, per naBlo po<nae eaarrs
il Batrhijlioi - - ■ -
de l'ing».
laat e
^rb*fa**pamH»lòlllttie<idì>tMiD naliira, <e non ruenc tilln lieoro la
drlCaT.TolBnit»dc'!lloai,tàBTolr> pubblica lama; fawjtBerobba itìnarlo
di cai era nolo il brullo tiiia, lo trai' a 1* pabbliei Imn in ijneala eoaa diffl-
uit a Titcna : aoiirinwiaehi Nicto- dlmcDle i memlice.
dell' ihferao
Gente vien con la quale esser non deggio:
Sieti raccomandato il mio Tesoro,
Nel quale io vìvo ancora; e più non cbe^o.
Poi si rivolge, e pane di coloro
Che corrono a Verona il drappo verde
Per la campagna; e parve di costoro
Quegli che vince e non colui cbe perde.
Il mia Taaroma libro IdIì- — Pirrl Mniia chr Danto abbia
ttaine it eaUlio uffido al no m
nel If mpa eh» gli Drol(
iritilacfinp. Ha il riO
a FoUa dalla •crìtà*
lolita II Tmro. E naala «u tftat
rtMoalientatlulofDbila dg'iBol trinpi.
altri .1»
uinpigna di
L At Dasta ì
non nle (M
li Hloa dagli ilorlcì ie\ lanpo,'la •»-
Blnmaleiu dal Latini, pera» potaba
c.tnrro dectoiosesto.
I
Già era in loco ove s'ndia il rimbombo
Dell'acqua che cadea neli'allro giro.
Simile a quel che l'amie fanno rombo;
Quando Ire ombre ini^ieme m partirò,
Correndo , d' una torma che passava
Sotto la pioggia dell' aspro martiro.
Vonian ver noi; e ciascuna gridava:
Sostati tu cbe all'abito ne sembri
Essere alcnn di nostra terra prava.
Aimè, che piaghe vidi ne' lor membri
Recenti e vecchie dalle fiamme incese I
5, amlf. la Fiutila, are iimoma R. eU'eiili) natm&ri
Itapi: ^i figurala menta per la api ilei- dlila dnii igticbi FiarmtiB
n. — rombo, diesi il idom eba (inna Tari pel liieeo ed il cappan
■a. C«tr liMilttqutlromiotlttfim- ailaiiti. Diala (olita pon
t. Quanio In owibn K.: quando bande cbe ihindirioH il h
1 (pinti ebaptuartuo
CANTO DECIMOSBSTO.
405
ib
20
t n
Ancor men daol, por eh' io me ne rimembri.
AUe lor grida il mio Dottor s' attese,
Yolae il viso ver me, e: Ora aspetta.
Disse; a costor si vuole esser cortese:
E se non fosse il fuoco che saetta
La natora del Inogo, i' dicerei,
Che meglio stesse a te, che a lor, la fretta.
Ricominciar, come noi ristemmo, ei
L'antico verso; e quando a noi far ginnti,
Fenno ona mota di sé tatti e trei.
Qoal SQolen i campion far nodi ed unti.
Avvisando lor presa e lor vantaggio.
Prima che sien tra lor battati e ponti;
Cosi, rotando, ciascona il visaggio
Drizzava a me, sì che in contrario il collo
Faceva a' pie contìnoo viaggio.
Deh, se miseria d' osto loco soUo
Rende in dispetto noi e nostri preghi.
Cominciò l' ano, e 1 tinto aspetto e brollo;
La filma nostra il tuo animo pieghi
• quel twm, nnchè credeMWO iTcr Tintaggio
ntlla prm. — SmtUn è prcMoto da
96
A caiM cfwralcoto
tetta la frate ti iinega
é db« piagba raeasti • ? «^
lar aMnbri par la fiamma
dalla fiarnoM aeetie,
tm piofaaiiol •
41. fmrdi'40, aolo chaio.
4S. ff'tfflcMy cioè pana Faraechio:
(era, ii fami.
li-I 8. £« «OH /iMif il /^ «e. E
*< ma t* impilimi 3 faoca cm piova aol
^«l» baf», dirai dte «Mglio flatta « lo
<• ^dte il «siffr loro iMMlro, eJba
^miàt mmin m «Moalror lo. Per
^oia dtima paiab ai eampraada dke
1*di ifce famtaao iaeaoiro a Dante
raggaardaroU.
It^ d^ «iJìmo.
H. l'mniao oorao. cioè lamento.
2M4.(^mI Molanae-* coma fooUo-
■•fam i camMaaiJ loltatorì.midi ad oa-
Faltro
**• veila||io,ptÌBa d' attaceani a par-
«i>«B, me aa. — Onaati tali, a latta-
*wi«p«fili, prima di Tamre airattaeeo
^'ignaiana alqsanto Fano attorno
dd aUra. aaiMro onrdamlMi par ofni
30
è
f oltre, ehe u antico alla tetra ? oae plo-
rala dava regolarmente jnolaao eolr ac-
canto aolla prima. S4tm hathM a jpmmU
è detto ioTcce ddF altra forma pia co-
mane f< èalloiio a fingano. Alcnm
tetti hanno tolltiie o toUamo; ma di-
teorda hnittameota quatto paatato dal
preaeote tien battuti, e il paragona ci
perde di madtè a di chiarana.
25. roloiMio, girando in cerebio.
26. ti cAf iiteoiiirario ae. Etteado
Dante fermo tall'argina, ed emiroloiiifo
tetto di lai nalF arena, per poterlo tc-
der tempre in vito eran cnttrctti a man-
dare il collo in tento eeatrario ai piedi .
28. Dthf i$ ae. Ceak piA chiara-'
mente «n bnon numero da Codd. La
com. E, IO te., di cui la caatmziooe
tarebbe: B Vvmo eowdmeiò: S$ mUe-
rtetf'atlo loco follo, a H Unlo ocel-
lo ae. — 9olto, è Foppotto di iwro:
qui ? ale mal fermo, cedeTola : tata tuoi
otterela rena.
29. Bemdt 1» ddpallo^ rtadatpre-
gereli.
80. hroUot brullo, nudo: qui figura*
tamente tta per acarticato o impiagato.
A dime chi (u se', rhe i vivi pirrti
Così sicuro per lo Inferno Treghl.
Quegli, !" ormo di cui pestar mi vedi,
TnUo che nudo e dipelato vada.
Fu di grado ma^or che In non credi.
Nepote fu della buona Gualdrada:
GuidopueiTB ebbe nome, ed in sua vita
Fece col senno assai e con la spada.
L'altro ch'appresso me 1' arena Irila,
È Tegghinio Aldobrandi, la cui vom
Nel mondo su dovrebbe esser gradila.
E io, che posto son con loro in croce,
Iacopo RuElicncci fai: e certo
La fiera moglie più ch'altro mi nuoce.
S' io fuse'i sialo dal fuoco coverto,
Gitlato mi sarei tra lor di<iOlto;
E credo che 'I Dottor 1' a\ria sofferto:
Ma perch' io mi sarei bruciato e collo,
Vinse paura la mia buona voglia,
Che di loro abbracciar mi faeea ghiotto.
Poi cominciai: Non dispetto, ma doglia
La vostra coodizion dentro mi fisse
1
«ut, ck. tir» FUBminf^ lo Inforno.
mondo
ss dipttab,, .rnrtir.ta.
45. fwibi firn eon loro in «nn:
do» Berli .Ir'HtrigHiii, B.>hjl> iorm-
Um. Si iHritb É Guido il tmhio, 1.
À*. Iaa>fe Bvllturrt la n rim
™ oripiio «t« d' noi r.<DÌgUi pnof
(d ODorilo (.tilior li..r«nlÌBO ohe dll-
nict puuuio lulii ooii (hlooo 1, 0 M
i'orrsl-" * rìlroiio delia wM, h
inrl nilrìiDon» iittae la «lirpi ir'
ipiclo il bmllo *itÌo di rh« qd •> T»
Coati GoiJi «BDorì iti CwntiDo, « di
^oai.Prrrift di» chi lo Bria BHj^
DwllcmMlg io V.l J'Aroo. Tri gli
p>D eh'illm gli no»». — ParechcnoM
litri BgU di Soildndi to IO Riig{>pri ,
J.»i,«&riJoe«r,.,«W«o.rr«l.
' a«u lo .%1i, 0 m daHT.7«<M
■oldolo. A, tilt a..[U pirlr orili villo-
thoniiiiri»»
■rìi diCarlo Kprl M»nfrrdi ■ Bcnntnlo
■»ilJK.GiridoÌIVeccl.ìo mori»] 1213
4C dal liieea r<irtTU>. rinnlit *
.ieuro M I«™
40. raniu IHIa: ctamiu al-
47. diioIlD, cioi Mls lo np* Bel
•uiolirmt.
..btiooo.
-II. TttfUmio Mdobvaadi: -no
SI . ni /-ami ghiolls. ali hcni in-
ddii UmM» AdiMri. Fa pro-lr fp!-
low: Maoitlib F>reiin ■ non tir' T «^
iì. flBn diiprtto: ràpoado lit-
wttt cnlro i Stoni : mi ooo ondo i
rimo rolli «1 Eun» 4.11.. IVciiò m>ì i
M-Sl Lo eiwrrB («uJ.-.fff» «.; Il
ihIk» .imo .Pilro iDSK^à. — Ul^i
doU. . 1.1 rxf .««. óti il ni »«; 1.
(■fin li dliiHiglla.' mnlio Imkm lUri
(«i («01*, (inuiif di iiiggio fonvi-l'*-
• d.l^.r>i d.l ifno «liiro. E m*to il
Cagno OBCUIOSESTO.
Wé
Tanto, dw tardi tutta sidispoglia,
Toalo che questo ndo Signor mi disse ^
Parole, per le qnali io mi pensai,
Che, qua! toì siete, tal gente venisse.
Di vostra terra sobo; e sempre mai
L' ovra di rei e gli onorati nomi
Con aflnion ritrassi ed asooltaì. oo
Lascio lo fisle, e vo pei dolci pomi
Promessi a me per lo verace Doca;
Ma fino al centro pria convien eh' io tomi.
Se lungamente P anmia conduca
Le membra tue, rispose quegli allora, 86
E se la fiuna tua àopo te loca.
Cortesia e valor, di, se dimora
Nella nostra citta si ooiae suole,
0 se del tutto se n*é gito ftKna?
Che GugiiebDO Borsiere, il qual si duole 70
Con noi per poco, e va Ù coi compagni,
Assai ne crucia colle sue parole.
La gente nuova, e i subiti guadagni,
tomi per rìgurdo al inogo dirupato
per COI dotava fecndera.
e4-65. $9 kmgtmmit V amiwM
eonàHOL La ntimèrg iit$: aioè^ eoai to
TÌta iniiffameiiie, a così dai»o di la rasti
lateammorìatra'mi.
67. Cartnia evéior. Corletia di-
aati l' oaaato e TÌrtuaao oparara; vmiore
è la nataral geniilena dall' aDÌmo cha
■raora a atar eorittia.
6S. Nella nogtra città, ioBrania.
70-7 1 . Guglielmo Bonier*, fa no
aaTaliara raloroao, ffeatila e piacafola in
eolie (di Ini ti paria nel Dacamerona ,
nella Giornata I, Noralla 8). — il qual
ti duole Con noi per poco :nAfitf\e con
•ai da poeo tempo in qaaj eioè è di
paeo venato air Infemo , ai ehe ha po-
talo darci fresche nvoTe di Firenaa.
72. Ne crucia^ ci affligge. La eom.
«a emefia, che pura ala per crucia.
73. La gente nuora, la graia fe-
nnta di poco ad abitare Firenze. — i
tuHti guadagni, le rìrchacza in hr^
▼issinio tempo arenmnlate nelle tarbo-
lanaa dvili. L'caparìeua dimoftra cha
il plebeo e il ? illano levati al potere per
^ latt' altro che grandezza d'animo e no
C5rics^c«da,cioi,ac«Bda.Èdatto faro aiarito, a i Tanati da poTorik tn-
pMiiihofaM fatavo^ coma akra
'«le iidmaa, a mealio dimoatrara la
m , Jia n affarma ca*
m alla, a ai tadeaia.
SI. Prnnk, per le ptmti «e. Yadi
■a tna 44 a aegg.
17. Che, fiwf co< tiete ee.: chaTo-
dcgna di Mollo onore,
». l'OTTW éi «0<, cioè, la opera
il. Cm^ m§niam ritraiti: con af-
tfla^ tm %tmfmìm4*emmo narrd , rap-
ai. Ditaa attrora : io non
„ éi éuUi mieno. ^ ed
\, e eom eemtào metto la aacol>
alaiaalln.
U.UmUoloJéo ae.Goè: laKto
haofhi d* Inferno per an-
«■Maaani da Virgilio;
Me dalla selva bmta,
«Borta.VadiilC.I.
^ fééOci' pmni. Alluda al mblico
— '7a ^aMi bcMftri effetti, cha à-
a fcaHs dal dnra viaggio
Dmem, aaorta ftda, ehe
I
Orgoglio e dismisura han generata,
Fiorenza, in le, si che tu già ten piagni.
Cosi gridai colia faccia levata.
E i Ire che ciò inteser per risposta,
Gnatar l' un i' altro, com' al ver si guata.
Se r altre volte si poco ti costa,
Bisposer lutti, il aoddisfare altrui,
Felice le, che sì parli a tua posta-
Pero se campi d'esti luoghi bui,
E torni a riveder le belle stelle.
Quando ti gioverà dicere: Io ruì;
Fa che di noi alla geole favelle:
Indi rupper la ruota, ed a fuggirsi
Ale setnbiaron le !or pmbe snelle.
Un artwien noa saria potuta) dirsi
Tosto cosi, com'ei furo spariti:
Per che al ìlaestro pan'e di parlirù.
Io lo seguiva, e poco eravam ìli.
Che 'I suon dell' acqua n' era si vicino.
Che per parlar saremmo appena uditi.
Como quel fiume, e' ha proprio cammino
luMmcale io rìahtm per irti ladra i
i Ingì ■ l'araicDliino iiniiin M\i lor
■lari di cui tua «»rti. iodi —i— ;
0<iDloSVIdi'll>aradùa.
74. Orjosliii t diimiiur.
«ipposziaiiB ■ «H-Juda f taf<»r I
Varsoglio Duce ili midi
TS. aai'al vtr li gtmtit. Ciai Fi-
cendo tri laro eoi lùo .jos'irpì J' an-
provaiioDC cbo >i «eIiihhi lire qDindD
I, ha proprio et
ircht tulli eli alln di i|D«lta fntt n
iMHis il P,7^, t li ckiaiM AtimicUU
CANTO DECIMOSESTO.
Prima da monte Teso in ver levante
Dalla sinistra costa d'Apennino,
Che si chiama Acqnacheta suso, avante
Che si divalli giù nel basso letto,
E a Ferii di quel nome è vacante,
Rimbomba là sovra San Benedetto
DalTalpe, per cadere ad nna scesa,
Ove dovrìa per mille esser ricetto;
Cosi, giù d*iina ripa discoscesa.
Trovammo risonar qnell* acqua tinta,
Si che in poc* ora avria l' orecchia offesa.
lo avea una corda intomo cinta,
E con essa pensai alcuna volta
Prender la lonza alla pelle dipinta.
Poscia che V ebbi tutta da me sciolta,
Si come '1 Duca m' avea comandato.
409
96
400
iO&
ilo
9t a f«el miM i 94Kante^ cioè
f^rÀ9 fl MiM ^Aequéehttmy t prende
IM . per cMfere ««f mM tecM : per
«■Jbft, cameade, predpiUodo in luogo
mi hmm. Qatiti ferti tone dichienti
eUb iiiiiiiin etciM del luogo eh' io
riifv M Umomarì» dd RepcUi. La
laii di Smm Beaedetto ia tipe è «tot-
te fldb mèiemà della OMOtagna preaao
1 laasi ««« il lerrcate Acqaadieta dopo
^ 1^ fra rìaide balxe di ma-
n prcapita, e Ik ti cos-
aci del Rio-dettro e di
che tetto natela indole e
tatti ìnticme il Monto-
al aieatetero. e preato
dell' Ae^aeelicU e del
è 9 HUafiio di Sao Bene-
' aifaerui an tempo i d»>
I Ceaciaao, e i Coati
■kke il debbio te la
• 9 vfliaffia aia n laogo che il
iMidbetefiaalae aùlle. La lei. eoai.
Aivllt ika ia aegatte, faToriaee la Ba-
fkf é mi ù auaauiiibbe cbe ^ei
■eauMi ai aedeteao in pochi le
9k§ aefertu davate terrire e
• a aie iaroa etpitarilk. L' altra
chaèdell'(Ntim>edelBoe.
'"é»^ ff'adalta aMglieal Ttllaggio, ove
'ea ^ i Coati eTcatere in animo dì
abitare graa ^aaatitè di loro
▼attalli. dopo che l'aTetter rendalo ce-
ptce ; il qntl ditegno non ebbe effetto.
406. /o aera tma eorda te. Più
▼otte nelle Sacra Scrittora tre? aii utata
qaetta etprestione tllegorìct del ciii-
§tr*ii lembi; la miele tignifica in ge-
nerale le preparazione del cnore alle
opere della legge divina. In qnaltiasi
ceto pertanto la eorda einla timboleg-
già il combattimento d'nna qualche
virtù contro il vizio a lei oppotto ; o se
vaoi, la vigilanza e il predominio ddlo
tpirito libero e retto tali' appetito di-
turdintto. Concchè il determinare che
tignifidii la corda con che Dante volcii
prender la lonza, dipende dal tignifieato
che ti vuol dare a qnetta Um%a. Se è
la lussuria , la eorda tari la mortifi-
cazione dei tenti, la continenza: ae Vin-
tidiOy diventcrh la magnanimità, la
cariti. Se la lonza figurar vi^ia Firenze
invidioea e mal contigliata, la corda per
ridarla al bene tare la pradenza , if
tenne ec. Ora ae Geriooe rappreaeata
la frode, la eorda gettata per attirarlo
e farlo nenrire alla ragione {e VirgiHo)
potrà tignìficare la giuttizia e la mt-
gnanimità unite alla vigilanza , dinanzi
alle quali la vii frode retta dìtarmata u
confata. Ripeto però ancor nna volta ^
che qneete allegorie tono difficili a in-
terpretarti; e comunque tpirgate la-
tcian tempre del dubbio.
I
«
Porgila a lui aggroppala e ravvolta.
Ond' ci si volse io ver lo deiìlro lato,
E alquanto di luDgi dalla iipooda
Le gitlò giìiso in queir allo burraio.
E pur convìen che novità risponda,
Dicea fra me medesmo, al duovo cenno
Che 'I Maestro con l'occhio si seconda.
Ahi quanto cauli gli uomini esser denna
Presso a color, che non vepgon pur l'opra,
Ma per entro i peasier miran col senno I
Eì diree a me: TojUj verrà di sopra
Cìb ch'io 3tU?nda: e che il tuo |)ensier sogna
Tosto convien eh' al tuo viso si scopra.
Sempre a quel ver e' ha faccia di menzo^a
Do' r uom chiuder le labbra qnanl' ei puote,
Però che sema colpa fa vergogna;
Ma qui tarer noi [wsso; e per le note
Di questa Commedia, lettor, li ^ìuro.
S'ella non sien di lunga ^lia vote,
di' io vidi per queli" acr grosso e scuro iS'
Venir notando una [ii;ura in suso,
Meravigliosa ad ogni cor sicuro;
Si rome tóma colui che va giuso
Talora a Eolier incora, eh' agtTappB
tu. SrmfTtt^udttT cc.DHb
(i3, il tatù ittvirtodalra lato. \tn] porche la varìM th« fai tarai ili
È ^DNla il nniincMu A* fi chi vnal* bugia piiFtì irrgnnni d ii*mtM«, !•■
■elEliara esìli Julnnn ifailibecotpg. ccndolu i|ipirir« L<i|Ìirdo turni» m
114. htrralA, rspc, laaga di ftt- «il)w.(Jualadwi1Pi>rli Mm^fàttr
eipÌDa, ieié illi OHM iacrtdiliiic dw è fmrttlf
tlS-ll?. E purtantirn n..- cp- un, bm HprRila rgli iht noa t ■»
(lar (iHinaH cfa* li* per iiTtnin ilcn- rarigllnn la liaiin» poclka u ]iràl
ÌomIÌIo nana, tini, il gillir già ilelU <37't2S. ptrltttslt. ]>«- U pil*
cordi. — Chi 'l Utiirit ean Vocehio U,fet}t rimi.— Cammiitla tmoie
>4 leeonda: ■ cai Virgilio lira dietra l'MFrniii nrm,
419. eli* •«■ rtf fo» par l'opra: d^ «»■ riir ■lUingaus ianfiiaail* il»-
tbt «isai. 152 «nvctiilfma, aaratwBW»
IH^H. I tkt a Mo pfMiirto- liilia. InlinJi girili mrniijiii (W
^■A.Ecit cIh illaopwHiargti-lcqiuii pus din >|>ii«ilnitd igni ««rtlMn^
pMMfiiB, na^inwlumuiM, «nvicug «ni id ogni iniitia (iroiD ti tapi
cb* ai aunllatli «r m ai Iva tUa, li lide.
tnn «clii. 433.tfaM;il(iiadf de'
0 scoglio od altro che nel mare è chiuso
Che 'd sa si stende, e da pie si ratlrappa.
<36. OW'o iw n ilmft et. : che [srinr nirli, vmi Della i
CJUSTO DECSnOSETTUHO.
I
Ecco la fiera con la coda aguzza,
Che passa i monli, e rompe mura ed an
Ecco colei che tutto '1 moodo appuzza.
Si cominciò lo mio Duca a parlarmi.
Ed accennoUe che venisse a proda,
Vicino al fin de' passeggiali marmi;
E quella sozza ìmagine di froda,
Seo \e(ine, ed arrivò la tesla e 'I buslii:
Ha in su la riva non rras» la roda.
La faccia fua era faccia d' nom gìuìloi
Tanto benigna avea di fuor ia pelle;
E d' un serpente lutto 1' altro TusU).
Dog branche avea pilose infin l'ascelle:
* . gtn la fira «. Id ipnli b<1- lo : • cni nnlti rriiid, luti
Juan ilnini rbp il Foci) psui arcrf 3. opftata, (nmarb* ncorrunpa.
•rato in sinti Cirìn di Vduii oipal- B. aproifa et,.- àai ill'alnmill
m» dia iBgi mÌBiiIrì, taioa HuKiilfo JrlU iihiiiiI* di nunoa, nt fttttffni-
rtuuHÌ, o Cagliclna di N<>s*rcl3, M roBO U.nti t Vìrgilie.
«ul dIIìbiii diit nini) Conpigni qnnlf T. BijMlla leiza Inmgine K.,ti<it
ruair; . M.<i<l» CirU di Vaiò» ■ Ti- Gcrione, ihub^lo ddli (rode.
■ mn M. CoBlidiM Friixin» duri- 8. anitù la Itila, conduM» rìn
• n* in ■ppircut pirtue banm) • IO, La fatela ma it.Lttnitt»^
t M|M. • Am* Hivprrì rhe iiac- mincn Mll'ta>pinrtiBdKÌi |IM/'aNte
■UriluiaDi Ji «n'idu gnin-Ble ■ un il'iwn ffimM), onlifM pei i nnì ta>
trito urliniUr*, » ■ i>« ìhJh.Juo, im- cimi («tu (I /tutod'ailnM trn«M^,
flBcsInilii it dvHHn, f i)!»! itniiian- tiliia fmiiinnilc il meditilo «Mps (m
(fceo fu rnda ofwtti^-
15. />ait (irmi'Ae ii«a|>f(Mf, lio-
cimo (irrtrtpice: (•/!» (■-■■■'■ "-"
4
113 DELL TNFEItHO
Lo dosso e 'I petto ed ambedue le coste
Dipinte avea dì nodi e di rotelle.
Con più color sommesse e soprapposle
Non fer mai in drappo Tartari né Torcili,
Né fur taì tele per Aragne imposte.
Come tal volta stanno a riva i burchi.
Che parie sono in acqua e parte in terra;
E come là tra li Tedeschi lurchi
Lo bevero s' assetta a far sua guerra;
Cosi la Sera pessima si stava
Su r orlo che, di pietra, il sabbion serra.
Nel vano tutta sua coda guizzava.
Torcendo in su la venenosa forca
Che a guisa di scorpion la punta armava.
Lo Duca disse; Or convien che si torca
La nostra via un poco ìnlìoo a quella
Bestia mah'agia che colà si corca.
Però scendemmo alla destra mammella,
E dieci passi Temmo in sullo stremo
Per ben cessar !a rena e la G ammolla:
E quando noi a lei venuti semo,
Poco più oltre veggio in su la rena
Ai. arnhidut h toilt, l'oacc l' ti- 22. Lùbmra.aculara.-
t loto. a /iifntajtiejTO, óoìh pn
a. (U Modi: di HiitnppiniBili di li aràm ni pesci tUado calli
ibÌj • di lini, — a rolrltt, due dì 1'K^n>. Dieni iba li codi
odi- 1 nodi li^ìEcana le ttUt parvlo jiuimiJe renda olcou r«ci|iit
m A» i tnadolsoli intilupBiDO ed poi cormoo innudioionia i
.Eiiui>Millnu;glì Kuai >I|;qìI1»>.o 2i. Sui orlo ic.taV:
ilili di «jirite le trlile oiicce loca. 28. Or comien iht ti h
•' - - iroppol(«. Que- conviene cbe lerci loi» un pi
I
li
I
ir.ppi 1 .irj ce
g del !>•<
ririlcv '
polla. Frt'TarOri < fri' Torcili >i ti>-
tyliosa leuern bellinmi dnppi. Qneeli
Dcrì di trode.
iS. ptT Jragnt impoile, eìoìiiifui
tul leliw a> Ar.gne, celebre UuOtice
di Lidie, cbe tu di Fell.dt etsgieU in
"IP"- . .
ii. tra li TiitifU: tnngo il Dina-
■- - hmH gulo» < b»DÌ, del 111
S2. <n ni/Ia dreno, tuUa ntruiiitJ
5$. ttgsio in (
CAUTO DECmOSBTTIMO.
443
Genie seder propinqua al luogo scemo.
Qaivi 1 Maestro: Acciocché latta piena
Ec^mìenza d*esto giron porti.
Mi diase, or va, e vedi la lor mena.
Li tooi ragionamenti sien là cprtì.
Mentre che torni parlerò con questa,
Che ne conceda i soci omeri fòrti.
Cosi ancor so per la strema testa
Dì qnel settimo cerchio, tatto solo
Andai, ove sedea la gente mesta.
Per gli occhi (bori scopinava lor duolo:
Di qua, di là sooeorrien con le mani,
Quando a' vapori, e quando al caldo suolo.
Non allrìmenti fon di state i cani,
Or col ceflb, or col pie, quando son morsi
0 da pulci 0 da mosche o da tafani.
Poi che nel viso a certi gli occhi porsi»
Ne* quali il doloroso ftioco casca,
Non ne conobbi alcun; ma io m* accorsi
Che dal collo a ciascun pendea una tasca,
Ch* avea certo colore e certo segno,
E quindi par che il loro occhio si pasca.
E com* io riguardando tra lor vegno, (*)
In una borsa gialla vidi azzurro,
Che di lione avea foocia e contegno.
Poi procedendo di mio sguardo il curro,
Yidine un* altra più che sangue rossa
40
49
bO
65
60
* ** fMB è Bip«to, ■• neioì •! «otio
^hiWli, pcnk • <|mI1ì ti «eeo-
*■• Mli Mlara M km Mccata.
***At uà&n vicina al tuo delln io-
'"■1 Uci, cio4 mU'vIo mI 9paU i
f^ttm^aXUn iitccn.
9$- Imhr wtgmm^ k camBrioM, Io
^ ^1. AMI fMfte, cioè, collo W-
41 mmmttim oc: ci presti k no
ifalk, oado aosuti m ^ocUt
^■■o iriioittii ■cir ■lire ccrdiio.
, 41. mmctr m ptr lo str§mm U$lm,
*■• ■■' allMM fcrto di ^ncl MrriiÌB
^ «Mar. ftr «oitroro di ovtro pk
^itAw k diro porti di c«o ecrchio.
4S. for duolo, cioè kr piisU. —
«oecorricn, coccorrortoo. Qui il ? erbe
§oeeomr§ è prcto noi toacodi correr
Motto per fur rìptro.
48. o'vopori, cioè aflo oadeotì fiam-
melk.— •< caldo titolo: allt rcot io-
fbcota.
52. poni, drìnai.
56. otrto colon e corto cegmo. B
l'arme col proprio colore dclk (aiuiglia
di aaacoBo.
57. ti patcm, cioè, prenda diletto,
per inaordifia del doiuìro, in airaro
onolle horae.
(-) Oeoraj.
59. oidi assmrro co.: vidi «■ liooo
di colore aaorro. QneaU è l'armo da'
Giaafigliaiii di Firenio.
61 . di mio tguordo U curro, aioè
k Morraro dclF occlùo mio.
Mostrare un' oca bianca più che bvrro.
£d un, cbe d' ona scrofa azzurra e grosFS
Segnato avea lo suo sacclieito bianco.
Mi disse: Che ìa\ tu io questa fòssa?
Or le uè va: e |>eTcbè ga'vivo anco.
Sappi fbtt 'I raio vitin Vitaliano
Sederi qui dal mio sinistro &idco.
Con quesli Fiurentin son Padovano:
Spesse Hate m' iDlronan gli orecchi,
Gridiuido- Vegna il cavaliur soprano,
Clie recberé la luKca coi Ire becchi:
Quindi slor^c la bocca, e dì Cuor tr)s«
La lingua, come l>ue che 'I na^o teccbi.
Ed io, temendo noi più alar crucuasse
Lui ci» di poco star in' avea ainmaiiito,
Toma'mi indietro dall'anime lasse.
T^o^'ai lu Duca mio eli' era salito
Già sulla groppa de! fiero animale,
E disse a me: Or sie forte ed ardito.
Ornai si scende per si fatte scale:
Itlonta dinanzi, cb' io vocilo e&ser metio,
Si cbe la coda non possa far male.
k
Bibite laniiglii
fTMM, |r*TÌil*.
87. t ptreKi H'cfao amm te. : t o» pni
«MUra il «landa riick'» miro, «. 71. (/uitt^t ilunt fa tmc» tt.
M- fi HtevMn *itatiani>: Viu- Qnal'allii ■ci»»» fMuu> i «ariagli an
lino iti l)>Dl£. fiAatmn, ^toic nto- J>ipma d.iira i »lu> iIh tiM Mito
10. Cim «Mli Fvnvnliii im Pt- nlidu: unir m fin», £at. 1, « hip:
TI- Sftrm ftatt «'lulrmwH gli ««'■-*-•.•—««■""»•—' •!"*•.■*-
Wftnki: nM i ru>nin«< I* JinnMi ptr T6 . Irmrwin wl (non il) pfAtMrft.
aMMt'* pi* (Cmmu in l^ìnnM (tir i* 7S Tonia'miiitdirtrtléM—ilmi.
riden. E ■ dir. <1 .fra, *><'*«||> i»tla (kkladMiv ^k uib.-, tcsbì rft •!■
««■I"»! yull» ma a i—w iHihi>ii I 13. «glJa eaer mmvt.! dai,
tfc* l« tttMt flwhm duHw flniudii. nnl'A twn in imi» fn le c 11 «adi
72. il nralifr wvrww; ■sali t MI* baln.
'^^^ìh
CARIO DKIIfOSBTTIMO. |45
Quale colsi, eh' ò si presso al rìprazzo 86
Delia quartima, e' ha già V onghie anorte,
E triema lotto pur guardando il rezzo;
Tal dìvenn* io alle parole porte;
Ma vergogna mi fér le sue minacce,
Gbe innand a buon signor fii flerro forte. 90
Io m* assettai in su quelle spallacce:
Si volli dir, ma la voce non venne
Com* io credeUi: Fa che tu m* abbracce.
Ma esso eh* altra volta mi sovvenne
Ad altro, forte, tosto eh* io montai, 95
Con le braccia m* avvinse e mi aosleane:
E disse: Gerion, moviti ornai:
Le ruote larghe, e \o areoder sia poeo:
Pensa la nuova soma che tu haL
Come la navicella esce di beo ioo
In dietro in dietro; ai quindi si tolse;
E poi eh* al lutto si senti a giuoco,
Là *v* era il petto, la coda rivolse,
E quella tesa, come anguilla, mosse,
E con le branche i*aere a sé raccolse. i05
15. ripre%zo, o rihreuo, àteeù
ftà triMita • kctlimmtA dì drati rbe
fnitm r«CHM <Mli leUrc <^arto.
M.«»1b dito» «4. ^wwto vcrto ■ l«fg«
•■: Omaiétt^lui c'kmH frmm il Hr
p9mm. Ls via In. apft«f^Mla a buoni
W, tra di ahri ilI^Dr«mx. 2 eilrod.
PralUai, M il malafSfM di Bt>o pnMea-
MiflHl t^hm m À\ì/e «f>rai di iri^ailo.
17. pmr gmardunito U rn%o, lo-
kaiala ■ guardar t'oMibra. K difaiti
• Al fcs la ^artMM , ■U«rrli« a' ••-
WMi a mammt» d«lla rraiiMioo drlla
■Iva, la aala «iala dt>ll* noibra aa«le
(iaaiar ramfrircio ppr l'a^
dai Irrddi» ebr ala pfr as-
E aaa tal tvm^uttmr rapfire-
tà «aliala lo aUia dì Dante
ili fiali dal faMo rW r»nvriM vagii
ha. f«na • mrwtis Ikal lai. mito
li lf«a «ai kaaai iraifi mnreiim o mmn'
à» «ai fai il «Miro 0rrsxm a a^
I» aavar ^i »rnlM«4li ira
raabraataaaana/rZ
d«l«Mto.
aa. faralr parii^ parab ÀtU. Por-
§tr§ ha ancora il siipiificato del r. dir$.
so. Ma vergogna «e. Qni Dante
taalc fara iaUadere cba da Virailio io
^•al pania era riaaprnvarata dal prato
timora, e che di ciò ebbe qoella varaa-
gaa che anni render forte il aarro in-
naazi a fraaro e valoroao aignora.
VI SÌ9iMi dir «e. laCeadi; ndli
dire aiai (• du tu «ri mkbrami; bm
la voce nella paara non feona ìntan,
oanic io credHli che ? emaaa.
95. Ad mkro: ad «lira hÌMifiia o
pericolo. La \n. ad aUo, aagaila dal
Caata e aptrfjata • a pia alto Inogo,
óoe nelle cerrhie •aperiorì a mi oara
che porti nn nunlo di dira Inllo Inori
dell' nao. — fmrle ae. Gnolr. a int. : Tor-
tcmeiiie mi avvinM colla hmeeia « ai
aoatenne.
MI. Le mote imr§h§4e.: i nrì aiaoo
larghi. — ioseen er ttn pncv, la diaecta
aia oMiqaa e Inila, a loTQn tpìraia.
102. $i amfl a gimotm. TkmA dba
r nerollo è a gioi«o qnando è in kwgo
ai aperto che et p«to vcdgeni #raw|aa
Tvole. e lihi-rammle apatiara.
405. r «eri • $è racaniat . i|aaiCa
n accorgo.
^
I
Maggior paura non credo che fosse,
Quando Fetonte ablundoDÒ li TreDÌ,
Perché 'i ciel, come pare ancor, si cosse:
Né qoand' Icaro misero le reni
Seni) spenoar per la scaldata cera,
Gridando il padre a lui: Mala via tieni;
Che Al la mìa, quando vidi ch'i' era
Nell'aer d'ogni parie, e vidi spenta
Ogni veduta, fuor che della Qera.
Ella sen va notando lenta lenU;
Ruota 0 dììicende, ma non me
Se non ch'ai viso, e di sotto n
r sentia già dalla man destra il gorgo
Far sotto noi un orribile stroscio,
Percliè con ^li occhi in giù )a lesta sporgo.
Alior fu' io più timido allo scoscio:
Peroccb' io vidi fuochi, e s«nlii pisnlì;
Otid' io tremando tutto mi raccoscio.
E vidi poi, che noi vedea davauli,
Lo scendere e '1 girar, per lì gran mali
Che s' appre^isavan da diverbi canti.
Come'l Talron eh' è stalo assai soli' ali,
Che, senia veder logoro o uccello,
i l'nioai di cbi annU. Bi ddlg »l do, ■ il nbnlnr dalli dubti
CantoXVIi rriùr nolaiulo iuta fiftira hriHt il ti», Cit two •*aaa i
m. U cM, ««U pan «. È »■
ttmia I* Dululogii che Li li* Itilrs ip-
pwÌH« in dtlo ijuiiidD il cirro dvl le-
l<, mal (oidato di Fcliwl*, cmh. àai
UM onaUi pirli di <uu ciclo.
Ili il padre, Ucddo La tatnli i
«gal sola, chi urdiba IniiBiìa narrarli
a a, ItU-n di D.uU.
4 <2. riia fu la Mia. ani H qnalla
qiii pai prcndgru ftt la
luuw sLa già cidna.
-DicÌD, Hrapilii (baia l'av
lacand* dall' alla «r In ip'in laii'
arìij Don vada aleana ciiai inuii
b.aili nana a ouiw a mano m
ridi poi tt. E m'aatawi
lemrfiwa cli'la tacau, pw
li al naardu olio, a al nd*
gran nuli, ciM da'!»
iinr p<H dfl girare. parcbA i|Daati mali
i23, togero diccn il rìcbiuw dal
CANTO DEC1MOSETTIMO.
417
Fa dire al llailcoiùere: Oimè ta cali:
Discende lasso, onde si muove snello ìjù
Per cento mote, e da Inngi si pone
Dal suo maestro disdegnoso e fello:
Cosi ne pose al fondo Gerione
A piede a pie della stagliata rocca,
E, discarcate le nostre persone, 13S
Si dileguò, come da corda cocca.
^^ ^ riè «a Mtmnento fatto di peone tool jMiiire facendo cesto nrarolte.
452. Dal n» nuustrot dal fako-
niere die lo biuiiiìmIiA. — jèUo, tristo,
di Bai talento.
454. À fieie a pU, raeeote rasen*
te. — della tlagliala rocca, della tco-
aceaa rocca, dee ddla roTÌna o balco.
456. eoflie da corda cocca. Cioè ,
eoo quelle cderità che dalla corda
caco la cocca. Qui è presa la cocca ^
"die è V eitramtà ddla frecda che n
adatta dia corda, per le frecrìa stesM.
* Boda dì u' tlo« col girar del qaale il
fclfwitn lod ndneiaareJtaao falco.
^MBecetfcr logoro o meecUo, aenta
lyttoi t ^ taur richiamato, né d'ofer
fS^Fa dire ai fakonterc. Sot-
tiMndi : rime a èosto, tonloeM a /al-
«Mrr dolmle gli dice: chìmh tu cali
■npivda!
430. Ditctndc lacto ce. : diacen-
^ lineo a fod loo^ donde sodio
CélBBTO DECODHOn'AVO.
Militiìlt, > $cm^mrtiH ti ékH gmm /k$H «fcwfaH < immtmnùl, tm
# pmmitm mmm ipteU él fimuMgMti. St rmgiomM tm futMo Cmmf dMt fHmt éut
rmmm étUtt ^mmti somm pmmM m colpi di imffU per mmm dt^étmami i raj^Uai; m0U*til'
I M I» j«riw ftf mémtmtori g U fmmmàm Uuimikien,
Luogo è in inferno, detto Malcbolge,
Tatto di pietra di color ferrigno.
Come la cerchia che d* intorno il volge.
Nel dritto mezzo del campo maligno
Vaneggia nn pozzo assai largo e profondo, 6
Di cui suo loco dicerò 1* ordigno.
Quei cinghio che rimane adunque é tondo
l' JUcéof^Op perde composta, si*
1 UUadifirlra di color fcrrU
^- La c«B. TitUo di pietra tdico-
4. M drillo sesso, nd ^osto
od
%ii» ■ qwalo fkm ripiano d'anime
i- faaag$ia ini ^ozso, è carato ,
i. tm mea, ■ode lei. Aa o^niralo
a tue Imogo. Cos) i nostri antichi dice-
Tano lutto ciò, iovece di con tulio ciò.
Anche i Franeni osano aoa ùmile dissi
qnaodo dicono queiqué wtrt invece di
en quelquc pari. Alcnu Codd. henne
suo luogo diccré, ma non tanto bene,
a parer mio.
7 C^' cinghio che rimarne adun-
que ce. Coslruisrir adunque quel cfn-
gh4o, ^dla fascia di terra, c^ ri-
inane tra il poixo e il piede della
ripa, è tonde.
Tra '1 poi?.o e 'I pie dell' alla ripa dora,
Ed ha dUtinlo in dicci valli il fondo.
Quale, dove per guardia delle mura
Più e pii rofl^ì cingon li rasldli.
La parie dov'ei «od rende G^ura;
Tale imagine quivi farean quelli.
E come a lai torlezis dai 1^ sogli
Alla ripa di Taor mn ponlicellii
Cosi da imo della roTÌa scogli
Hoviéo, che recidean gli argini e i Tossi
Infimi al pozzo, c-tie i lronr»e rarrogli.
In questo luogo, dalla schiena sco^i
Di Gerion, Irovammoci; e il Poela
Tenne a sinistra, e io dietro mi mossi.
AHa TR»o destra vidi nuova pièla;
Nno\'i tormenti B nuovi Trustatori,
Di rbe la prima bolgia era replela.
Nel fondo «^no ignudi ì peccatori:
Dal n
I
Di ià con noi, i
9. rfiilmla, trooifirUla. lo idouiii,
«atrv di (p«ia orraixlD «iin|M,
r oltiTO cerchio, v tnre un impio nnoo
dll imU ■ •■»» tihrpaim di mi»
•fiBU £ tiKèap[ielliU M}ia,^BUÌ
dcn <li tniidnlrnU L4 ^lft,il colar
(«TttBa, la prurpHlr bk^l^, rhpprqirn-
l>a*1a durMia it<l cni<r> a !■ rap* arti
a (ratidi>lEnli,ah( p«n/WiadiMM S<M-
■MMfwVHWil (A |>»[il ;«■>).— taUi,
Jal lai, valium, ign luoghi chìuii da
Ut-iì.Qutlt, dm^ ptrgUKrdÌMK.
, CaiIr-QaaljIgHrariRdi.uaalct'tipirUa
' A* f rcacnU U4 d»u jhìi i pjfi taui
n)fHl1a parla, ^od Italia di larrww
al Hiaa B.
M^ic ìUIlt porta •!■ lai
Mtiieaém (Kiuii dw ■■■■• óa»
. la ripa ailuBi dalli r»ulai«sat i»\-
r Pimo Sella pMrMa balia proccJcano al-
l'enian veri*
1 -1 volto.
1 pas.«i magi
;iorÌ:
nuli lugiioai
™ii,
<h( allratcna^
,„o eli arE-mi .
iifnai
, Ì«.mo .1 ™,.
Mib-alt rbe gli
■Iji cha partoo
d'una
>i dalli
™t4'
t!l. thti. d
afro' 0 rarrn».
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-riiwogH. gli
it vixi.
21. rtplrl;
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"0 e"". »«
ripio
■a, lit.
26. 0.11 in»
ini il Iella drl
la prii
IMtr.S'iaai-
CANTO mtCmOTTAVO.
149
V)
35
40
46
P^éd
Come i RooMn, jm reserdto moìto^
V anne del Gkibbileo, so per b ponte
HaoBo a paflear la gente modo tolto;
Che dair nn lata toni hanno la fronte
Vene *l eastetlo, e vanno a Sani» Pietro,
Dair altra sponde vanno verso 1 monte.
Di qua, di li, so per b saasa tetro
Vidi dunon cornati con gran forze.
Che li batlean cmdelroente di retro. (^)
Ahi come faoéo lor levar le bene
Alle prime percossel e già nesswio
Le aaeonde aspettava né le terza
Mentr* io andava, gli occhi miei in uno
Faro scontrati; ed io si tosto dissi:
Già di veder costai non son digiono.
Perciò a figorarlo i piedi afl^:
E *1 dolce Doca meco si ristette,
E assenti eh' alquanto indietro gissi.
E quel frustato celar si credette
Bassando '1 viso, ma poco gli valse:
Ch* io dissi: Tu che 1* occhio a terra getto.
Se le fiizion che porti non son talea,
Yenediro se* tu Caccianimiro;
Ma che ti mena a sì pungenti salseT
i tadattori p« ancato faggira I Coil aacba il Laadi-
B*. Beo? eouto da Imola iatcrprata htr»
tm, calcagna. Ma il Lami iotaoda per
larsa vctctcha ; conccbè , lacooda lui ,
far Itnmr U bètf «goifiNclMrabba ^ara
tttteirar la pelte. Io starei cogli antichi.
40-4 1 . Mft fino Furo scotUroii, do4
B aconlra:ono in uno da' peccatori.
42. Già di vedette.: non tada co»
alai ara la prima volta: o, panai aTcrl»
▼cdata iltra volta.
43. a figurarlo, parrìcoaaaearìo.—
I piedi affiisi, fermai i piedi. Altri lag
ga«o • gli occhi affUti; ma l'atpranion^
the aagna, awco «t ritlette, a il testo in
Daaai, favoriscono la laz. nostra. Il v. 44
COBI si le(;ga od codice Fnillaiii: B 'I
dolce duca tuio ti H ritlelU.
48. Tu che F occhio ee.: ta dia ab-
batai coai sabilaroantc gU ocaU a larra.
49. Se le feuio» ec.: sa la fattoza
che porli, cioè cba bai, mom iomo faìf
i§, noa ingannano.
54. ciba li mem^ qval fdla ti ba
fio
FotoreUo moUo, cioè par
■ hJIa ^a^ ^^^^^^^^ >
H. l'flMMdilG<»èèas0.nd 4300.
--«ifir la^MKa, di Casta! Saot' Ao-
loUa, hanno
^BaNfazio Vili
il Mia di Castd San-
par I» Mago caa odo sparli-
■a «Mate ordina, eba dall'ana
Jiodli da
traqndli
I, rivolli «arsa 'I wumU,
Giardaoa, cba ai veda
al aiattlavato
ma
in-
SI. as pmr Im Msaa Islro^ ao per
■ Uda fama* dk caUr ferrigna.
n >i il' di aalara cba aadoa-
~*lvaaMa Mr aè o per altrai.
ST. lemmr Ir èana. lavar le gamba.
1: aU natta li larevaaa frcUola-
DELt INFEENO
Ed egli s me: Mal yolenlier lo dico;
Ma sforzami la tua chiara favella,
Cbo mi fa sovvenir del mondo antico.
r fui colui, che Id Ghii^la bella
Condnssì a far la voglia del Marchese,
Come che suoni le sconcia novella.
E non pnr io qui piango Bolognese:
kmì lì' è qnMto luogo lanUt pieno.
Che tonte lingue non aon ora appreM
A dicer sipa tra Sarena e 'I Beno:
E se di ciò vuoi fede o testimonio.
Recali a mente il nostro avaro <«no-
Cosi parlando il percosse un demonio
Della stia scuriada, e di^e: Vìa,
Boffian, qui non son femmine da conio.
Io mi ragi;iun5Ì con la scorta mìa:
Poscia con pochi passi divenimmo.
Dove nno scoglio della ripa usria.
A==ai leggieramente quel salimmo,
E volti a destra sopra la sua sch^gia,
1
I
FoodoUQo li puni/mli lalH? Va\acga
Fu qnati Obino II, a ini il lologoB.
horì dtlli porti di S. Himiate in Bo-
DBÌ «mia li p~niy.iiD »a billìlura <
«.lap.r»qli».Mr.,,in....gr™.
0 par averm Jnan.
eoo penio i malhttoii, era chiamai.! It
57, Catwrt*»ti™lee.Coni.EoM
d Darri la Utni- 1 eundalou Brialfai
S»tU.«Sela. Dant«, parlind» q»l ad
<i«m-ii Dolonia, chiama con [...ma
Dolo li Bolognai mt\ Idi^bo H'Intema,
lutf da di«.rai il fatto dalU fibiigla.
6U-ii| CisIsnKlJiipHee.tJHBaa
pniiili.CM-. e)i̫Hiu> BtnvaniHu da liBiJi
1.M1 laol. i B..I<>En«i tba offlì mw». a
^1 BiKTaccio.
SS.lntHcUara/Waira Ltefalara
parlano .llordialello,lD Bologna,»^
favilla che nll ricorda il mondo inl'.co,
t in gnwiala la firrlli itilira, e in sai^
aioio. — Him aoH ora inipnte^ BOB aa»
■<. dira.noD aono asntfalte ■ dÌr«lffB.
tholtro la araiimr drllr lol», por «ì
ta di quel di.Mto.— lni5M«da-J JA-
Italiana «pralicn di Rulocna. 1, a anali
lu : *4«> aae.li dna Cani ln'«aaU «iada
(«• p«r II d(.l«ia dp|l« patrie mtmo-
Boloi^ia eoa une dd tao larHiatia. S
rìa naoTBoa In ipiriln ad «ergli mmo-
atifria che l'i Poeta do.o «..n ada-
piiNabi. Voglio notare rh, aoc' oRgl io
molli laoiU diconai Mt modo Ìr.«>eo
coi F.onDtÌDÌ contro Arrigo hI 434t .
CS. temiuàa. atrbcia dì o«Ì>,
. i R«Ui di ,...l.n,,.a<.rl.. Ora n«i
.laflila.
e().;tnn«ÌHd<i«»>b>.ciaÌdaforTÌ
foprà menala rDlbanagEiondo.
•ara per raoetia pon iionla nom* anrht il
se. del Marehm. Il Marrliru pn-
TI. .B*.jgia, inl.l'a.pro(D.^ll^
Eliatodopao dello «.glio/
Da quelle cerchie eterne ci partimmo.
Quando noi fumino là, dov' ei vveggis
Di sotto, [tN dar passo agli Elèrzali,
Lo Duca disse: Àlieadi, e Ta che feggia
Lo viso in te di questi altri mainali,
A' quali ancor non vedesti la (accia,
Perocché son con noi insieme aniiali.
Dal vecchio ponte goardavam la traccia.
Che venie verso noi dall'altra lianda,
£ che la forza RÌinìlmenta scaccia.
Il buon Maestro, senza mia dimanda,
Mi disse: Guarda quel grande che viene,
E per dolor non par lagrima spanda:
Quanto aspetto reale ancor rilienel
Quelli é Jason, che per cuore e por senno
Li Colchì del montoii privali Tene.
Egli passò per l' isola di Lenno,
Pbi che le ardile femmine spieiate
Tutti li maschi loro a morte dienno.
Ivi con segni e con parole ornate
Isilìle ingannò, la giovinetta,
Che prima l' altre avea tutte ingannale.
Lasciolla qnivi gravida e soletta:
^■hnlaww. S pirtimiiD dil ciniiiiln
ciiv«Ìjv«cb«fiiiBillDrB*vpo(i tiUo,|ier
• ndu* io lioH retti di pnnle in pdnlB
73. dov' ft vaneggia, cioc dure la
vtffio ImtLo É |wi di fHHiÉd Ittcì^ pavi-
r<>atl*dliÌHrlo(uat>iiD£]ìt(i!n '
TS-T4. JlUtuH. »{f« -
ettfeofia {di faggini.»
nritili ia naia di «nirrli di taec'i.
' " rd ndon
li.-' fa
«U-anèio If'wtutitpih
79. la (roi^la: dot la Iraeóa dal-
ui : traeHa iinl itìr fila, uhiera.
St . £ por dolor. E per aniiits unii
oWe, nm> ;ti •■ Tede oden d« tf ,
rio». 11 che dimialn li feru dd U '
,i .nlm»o»a vini» d« nuli; onde «I L
m. i»Uo n'è I-uIéU In mieitk «A I
he.pn.r«rh...nel,e«.hi«W.Ì« 1
enndiài mytifalf dolor di LwuMt .
K6. Jamn. Giuwie. dMnpì il itila
'ora ni Celdii, papgll dell' Aù-V
87. fhii. neh.
»3- Uarililf fHBmtniipittaU.Lt ]
duna, di I.Diiua »ti|^M Ji VdMr* M. i
03. Jn/ileln^on
fati* I* pritai doitrinn (he * !■ fere; ipoHrU, e pneia l'abl
pit «otto, «Inns 127, •wndnl'illra. 93. Cht prima te
n. nriitU tua raa m> te. P>- ■•«> prìoii ingannala I* oaààia I
ncAè «NMdo aodali Gnuia per li me- mite di Lcduo, iilfando il p«dr«
liaim direiwna <■!"■ noi, non abbiiino 'l'oanle, che dia niHoge nel tempii
fvMl* TtJtrii ìb lacci«. B(RD, e l'ainU a fuggire.
in
DELL* IUFERNO
Tal colpa a tal martirio Ini condanna;
Ed anche di Medea si fa vendetta.
Con lui sen va chi da tal parte inganna :
E questo basti della prima vallo
Sapere, e di color rhùe in aè assenna.
Già eravam là 've lo stretto ralle
Con l* argine secondo s* inrrodcchia,
E £& dì quello ad un altr'arro spalle.
Quindi sentimmo gente che si nicchia
Neil' altra bolgia, e che c^l mur^ sbuffa,
E sé medesma con le palme picchia.
Le ripe eran grommate d' una muffo
Per l'alito di giù che vi si appasta.
Che con gli occhi e col naso facea zufb.
Lo fondo é cupo sì, che non ci basta
L' occhio a veder senza montare al dosso
Dell'arco, ove lo scoglio più sovrasta.
Quivi venimmo, e quindi giù nel fosso (*)
Vidi gente attuffata in uno sterro,
Che dagli unum privati parea mosso.
E mentre eh* io laggiù con l' occhio cerco.
Vidi un col capo si di merda lordo,
Che non [«rea s* era laico o cherco.
Quei mi sgridò: Perché se' tu m ingordo
Di riguardar più me che gli altri brutti?
E io a lui: Perché, se ben ricordo,
Già l'ho veduto coi ca|)clli asciutti,
f rio
fO^
i;o
Ili
i20
96. Ed Mek$ di Medea te. E li
Mnitce pare d'ater Mdutto Medea, la
figlia d'Oela re dtf'Colrhi, ch'egli dopo
aver fatta gravida abbaodonò.
97. Con lui, cine «m tiianone. —
cMdtkUU parte i$^anna, éoè chi in-
ganna con faUe pn imene di none.
98. talU, h'>l;;ia.
99. che in tè aitamna. Àttannare
Tale iirìngerc colle lanne. (Jui per me-
tafora cbioderc in aó , a Goe di iormen-
Itrt.
400-462. la 're lo stretto eaUe, ove
rangn&to paaaaggio dc'coacateniiti pmili
«' iBcrociacol •emodn ninm, e di quello
fa jpaUi^ àoè appugjpo, ad un altro arco
aha valica anii' argine tento.
405. ii nicekia, li rammarica aoa
mcsaamentc. Kicckiare dicesi propria
mento dei gemili rbe nasda la
nelle doglie del patio.
406. yrommaU, ineroatalc, fem
dì nna gruma.
407 Per r alito di già A0 ti ti
appaMla. Per reiala>i«me deaaa che rie»
dal fondo, e che ai «tlarra, maai paala,
alle ripe o mura laterali dnla bòlgia.
40K. Che eim gli oerki et.:
tristo CMlfire uffendrra inùeme il
e gli orchi, come e proprio di lai
d'eealarinni.
i*) Ailnlatnri
444. dagli uman prirati, cioè èm
ceaaì che tono nel nnatro mcHid*. -^f^
rea Mnato, pam a ealal» Imggik.
4 17. Htm parea, non apparì^-a par
la bruttura che lo ricopi-ia ae avrà <W
rica o no.
DELL «inteso
E qirinci sien le nostre visto saiie.
■im li nsiln vtilt mw. qDinla tianno veduto
Cioè ; qIì «chi omtrì (i<D» mj di Hhrlne loogn.
CASTO DECUnOHOlirO.
0 Simon mago, o miseri seguaci.
Che lo cose di Dio, che di lioaUle
Deon esMre Epose, e voi rapaci
Per oro e per argento adulleratc:
Or convien che |)er voi »uodì la Iromba,
Perocché nella lena bolgia siale.
Già eravamo, alla seguente tomba
Montati, dello scoglio in quella parte.
Ch'appunto sovra mezw'l fosso piomba.
0 somma Sapienza, quanta è i' arie
Che mostri in cielo, in terra e nel mal moudivi
E quanto giu!?io tua virtù comparleJ
Io vidi per le roste e |»r !o Tondo
Piena la pietra livida di fori
t . O Simon mago. Coatiii attfr^t
I
».r» dri pr-(i, .Ila « . ..
me nrlrnuno Gas M Canta I u
mipat della Iniia, ■llrihoiiw li pf«-
ciBalccBg»D< d(j d*iadra<ni é' Ititi*.
1 bumIs J* Mi fM> ddfahatdraMielkr* at
CINTO DECUdONOXO, lSfi
D' ua largo tutti, e ciascuno era loQdo. ts
Non mi parén meco ampi né maggiori,
Cbe quei che son nel mio bel San Giovanni
Patti per loogo de'ball«zzatorì;
L' un degli quali, ancor non i moli' anni,
Rupp' io par nn cbe dentro v' annegai a : n
E questo sia saggel cb' ogni uomo sganni.
Fuor della bocca a ciascun sojierchiava
D'un peccalor li piedi, e delle gambe /
Id&do al grosso, e l' altro dentro stava.
Le piante erano a talli accese intrambei &(
Per che si Torte gulzzavan le giunte,
Cbe spezialo averian ritorte e strambe.
rwi largo hilti, di «u* hb- Ì fori tcdiili «■ preti btlleaìvì Jenlr»,
ts. Fata ptr luogo te. Ntl (eopia diiilnca, clic
iì Ua GiniaBui >o F.reuie lulornci la comr biilisli-
bili penili i ardi baltimlorì WnHra eh< io Jicr.
eh* àAia Itffrni: Falli p4r luoghi luorgi»,
à< ballcuatof^, d»è, Hr Hrtir di bti- finii ftn
1iiltriicUilIr>o«iti,ilÌCN)(ui, ■ --''
ilo*Ìaiuggtl»e.: *
•"lOÉ. t* pari ma
eoa-: Falli per luogo
IDE. SuggrUa mie ^
unii irgml. dd pi
£2. /"uor dtlla toce
tDprrchiafii, i:
Hw fiauptr Awga orcpar) tll id«
d'iM MU a («iinn. .la cuiiien'ni in
cu* h^Tja; « a tuco !■ Dirula Adf'ix-
. Iteri» dnùCca
d<ir« B f* U ktUl
•w« /UH MT (NUgM di talltttalarj
ii|Uiiarr(hCc« iftett* : fatti per lueglii
iiliMfMrfa tallanor*. Snoiiilo, ptr-
d.» lilcnodo «III pia parlo degli inlì-
IcuM iBBuaBitmiiKK di.1 lioll»iaiv
■»£( iDlIar* i bamliiiii Balta gian >a-
«a, • W» OKt* dalla caira del popolo
U Jn/Inn
polpa, — «1-.
n'ij aVirX'n
ro dmlro tlavo, a"!»
Ila dal corpo. 0- ■
rsffl
: (li «Uri nù della eiioa.Otlrccbc,
20. U giunU, i Mlli da' pi..
|iiM(a liuuLlicana prfaao «li nliddC
ma parla della ginita, ai rilna ansW
lai boreaola dal Pula, do.adnctiM.
i><ii.*.uiMirn»
ì, Itgamì talli di allttU '
I
I1Q DELL
Qual snoie il fiammeggiar delle cose unte
Muoversi pur so per l'estrema bucna;
I^l era li da'ralcagni alle punto.
Chi è colui, Maertro, che si craccia,
Guiziando più che gli altri suoi coiDwrii,
Diss'ìo, e rui più rosea Tismina succia?
Ed ^i a me: Se tu vuoi ch'io ti porti
Laggiù per quella ripa che più giace,
Da luì saprai di 9è e de' suoi torli.
Ed io: Tanto m'è bel, quanto a le piace:
Tu se' sigDore, e sai eh' io non mi parto
Dal tao volere, e gai quel fhe si tace.
Allor venimmo in su Pargine quarto; tf
Volammo, e discendemmo a mano stanca
Laggiù nel Tondo foracchialo e arto.
E 'I buon Maestro anror dalla sua anca
Non mi dipose, sin mi giunse al rollo
Di quei 'he s\ pingeva con la lanra. tf
0 qual che se', che '1 di su ticn dì sotto,
m.pm-.taUmrnie. — ptrftitrt- 41. rotjenwiil IniM*: Mp«*
M. Ai' cnlroftif «: etili, di'ciit- 42 arlo.ttrttla.tirneapfmtMftr-
ugalGiMalIr p«M<i<lel1(<l)ia,ii»li|wr dii poca ■ pitia liirìi vano i miritìbn.
Miti U miDK 4>'|iirdi inlii ■D'ìniA. 43 (tolto taa anm «. L'aia i
E3. Guiiiands. rtiit igiUiiilu i piis l' Mn ibi >la Ira il Banca « la taaci»,
Ji. — nntiarN. rrl dilli tiiua colpa a IdUihIì; non ni (Irpust dal fiaaea, aal
SS. luaria: fa* itintl clic l« Sin- ^Hmfal
gtaKual rotto, n
rraecF del oitpD cliF iiiTra<«, prima 4S. Arri pinsna em la rbM.
laurini, ni lo ilnHiI». Ncll'lnlrrno ri»* ipin[;»»a pJU dainta «I, «■'!>
h dhMlninita nnb atfoilu luaga, It dMIn. r> in ^atl oiiKla nngalva. TWfi
Bimnia H limila i aiurinra. i leali htane ti pìayrca etUtamm,
S5 riu piit ft*H. che pìft fto'h «ba ì cirtnAirnlalnri ipirgaoa: éma^
..._. . . ■|i„p,ibolsiil'.r- gniiM diilof .Booillagamta-Uiarf
■I cMi'm M aF- Inrni'one id n»ii <lli« clic Da»fMM
ag^flarii pia itmn r pid Jifrailrni in aiiilch( mnlD, hrU la
ilg(ti.IiiKi«l«i<laTrna Ina polrl nai^anl ili'ibliia ■■ *l Mia
l
I
f
CAUTO DECiaOROIfO.
Aoina trisUy come pai commasBa»
ComÌDcia' io a dir, se pooi, & motto.
Io stava come 1 frate che oonfeaaa
Lo perfido asaasaÌDy che poi di*é itto,
Richiama lai, per che la morte OMsa.
Ed ei gridò: Se'tn già costi ritto,
Se' tu già costi ritto, BonifatioT
Di parecchi anni mi menti lo scritto.
Se* tu si tosto di queir aver sazio,
Per lo qnal non temesti torre a inganno
La bella Donna, e di poi fame strasiof
Tal mi fec' io, qnai aon color che stanno,
Per non intender ciò ch*è lor risposto,
Quasi scornati, e risponder non aamo.
AKor Virgilio disse; Dilli tosto,
Non son colui, non son colui che credi:
Ed io risposi come a me fu imposto.
Per che lo spirto totti storse i piedi:
Poi sospirando, e con voce di pianto.
Hi disse: Dunque che a me richiedi?
Se di saper chi io sia ti cai cotanto,
Che tu ahbi però la ripa scorsa,
Sappi ch'io fui vestito del gran manto:
E veramente fui figliuol dell'orsa,
Cupido si per avanzar gli orsalti.
m
65
60
S5
70
47.
pìtatala,
4Ì. i» $ia9m te. Fra i trmMì md-
riq MPoCkkia, 9fn «pMtio. Si ficw
«M fl ■albltorc in bu hmn i
■ fii ai Mod« cb« li a» od prop
pMM !• «ili : fiU«rMÌ potcia ealro di
■ p«M !■ lem per mCTo-
la spcMo V ttsattiao coti Site
' il liMruprc : ■llon i caraeCd
dal gcttwa U terra ipér dte,
¥iaM«te, die* U Poate, fa
daè riterdal , • il frate
B. Atf «< §Héè m. CnimÀm pafa
»bIUm«MÌCte,cha«oiw<l>aate)
iiarfa a'apfmu alla kaea, aia papa
^111, gli dica: ^1» riè 00.
BmHfmimf
U. I» aerato. Qaailofferilte mo 4
<h Wilaaa ■■li«aj|eaia M (utera, di
cW il Poete fiaf|a dateti i daaiiati. In
firlA di ^amta NierolòMpera cbc Bom-
faiio dutea venire all' Inferno nel 4 SOS.
Ora credendolo ivi pinato ael 4500, ne
fa le meraviglie, e dice die il «■« terit'
Co, lo tpirìto di profezia in mi laggafa
l'a%vemre, lo iagannò di pii amii.
S6. tenna « fayaiiiio. Biipiuieia
al creduto BomfaiiA le aiale arti a gì' ìb-
ganoi «tati (rofi alBMao fa daCta) per
giaogere al papato: aebbeoa è mttà
vcràiniU che bmIU dei peeeoti, di
cIm fa aeratato, aieao iovantioaa, •
aliga* adone dd taoi parliceterì nai^d
e delU rakkia gfaibelliaa.
»7. U beila thmnm. Saate CUaaa.
C7.Hr«lcolanitoec.:li praowteate,
dw te abbi ptré, per ^«aatef •com la
ripa rhe è tra l'alln argiae e^actto foade.
70. fmi /If liaol drlTaria. Ifieea-
I» III fa di rara Oraini.
71. Cupido d re. : d oimlia d&aa»
BELL'
Che sa 1' avere, e qai me misi in borsa.
Di »)tto al capo mìo son gli allrì IraUi
Che precedetter me simoiic{;giando,
Per la fessura della pietra piatii.
Laggiù cascherò io ellresi, quando
Verrà colui eh' io credea che la fossi,
Allor cb'io/eci il subilo dimando.
Ma più é 'I tempo già che i pie mi cossi,
£ ch'io son stala cosi sottosopra,
Cb' ei non starà pisDlato e coi pie ro&si-
Cbé dopo luì verrà di più laìd' opra
Dì ver poneote un pastor senza legge.
Tal che convien che lui e me ricopra.
Nuovo lasoD sarà, di cui si legge
Ne'Uaccal>eÌ:eco
n' a quel fu molle
atKtn U rìedma a li paliua degli
dillo coni.= Ck-ti nxi «(ardflwlill
Onim.
72. CJM tu rwmi M.: <H<> n nd
moDdo »;•> in barn l'ottro, il <lei»ro,
S2. dipi* Joid'opra: di pit liid.
< i]u> in igonla baci ha mcHo li ptr^
operira; irpnurt par i[u«r opra ludo
HDi mii.
DOQ imcadi 11 IDI elaiooa cndil* ..-
75-75- Di ,«no ». Cmlmiori > In-
moDllrM.nitndDfgliiUloaialUlo f"
tmdi : Di Milo «1 capa mio. (rolli, ti-
■niDtggi dd ra (non». Si poti d»
rili (iù, tuo flIL ■llri p.pl ci.. f«cro
DiDla pirli eoa nollo oiwn di O-
ncDla V il) ■(•■ HI opiiloli d pciu«
imo«>i ixqlili 0..^, pigili, ii.K«ii,
tlnllo (oro dalli pìilri.
tSIO: don,™ quali •!!«)«] dom
77,«i[ui, BouÌIhLuVIII.
KriTcn pinluiaruieiilc, quiado dot d
7».ÀUl>rell•iof^ci,t.:àot^^a,aio
io iìm: u-lti «ut «odi rillo, Bani-
83. fliorrp-nmn oc. buUi;
fé^t
dilli GuJiscaum , eh.' « ■! pasMlt di
7V.Jfap<àd'll»>pew.M<tpm
Itomi. — lai>:o lesi*: "nn (•wK, •
il «UH di ohe io «u qui «rilDiapri
■ bnainii ì p<«Ii , eht aon uri il
i.i;erirx.
Icmi» d» à ilirii a-mUuo Vili ; ».
SS. /oiM. Ia«D fa r«tl« MMM
(il, Bonirui» ii>i4 qui mm«t ttn.f« di
uurdole por fitora di AoIÌom, n di
ijngl (be is « HW ilXu «i> ; puiebìi «rrì
Brolo ia HO luogo i;l<i>ne<iU V, come
aort* uà taso, totlrì» d. 30 luoi il
S6-S7- cono «ud /il Molloe. lo-
wp^iiia dai piodj ixtuuii, bas^odeii
•orà iodolgoo» Filippo il Bdlo i* di
li luiaai di bixUi ori IMO; a In il
Pronai o pipi CleoKole. Im«a, In
DitU di Buairuio Vili < <|aelli di Qc-
r,l,ra™d,Bo,li,.p,>glii.il l^pUd.
■i. Da*fi», ijuiodo DuWuniotflac-
*tl »n. i»i> «Kod» .gli prol«l«, tic
il n Filippo, ■ cui da>*>i la nu «l«-
ii<mo. Inferi liKilapoatiBnIt MAtì-
SI, Cd' fi iia«'il«-d fttnloijo .
gn.i,t e», diano grindt drlU Cbkn •
d'Udii^ aoa in>pcdi, p«r lo Bono,
qunta polaii, lo ipogfiHiwIO • l>
CANTO DECIMONONO.
Suo re, cosi fia a Ini chi Francia regge.
Io non 80 sT mi fai qoi troppo folle,
Ch'io por risposi lui a que.sto metro:
Deh or mi di, quanto tesoro volle
Nostro Signore in prima da San Pietro,
Che ponesse le chiavi in sua balia?
Certo non chiese se non: Viemmi dietro.
Né Pier né gli altri chiesero a Mdttia
Oro 0 argento, quando fu sortito
Nel luogo cfie perde 1* anima ria.
Però ti sta, che tu se' l)en punito;
E guarda ben la mal tolta moneta ,
Ch' esser ti fece centra Carlo ardito.
E se non fosse eh' ancor lo mi vieta
La reverenza delle somme chiavi.
Che tu tenesti nella vita lieta,
r userei parole ancor più gravi:
Che la vostra avarizia iJ mondo attrista.
Calcando i buoni e sollevando i pravi.
Di voi, Pastorr s'accorse il Vangelista,
Quando colei, che siede sovra V acque,
Puttaneggiar co' regi a lui fu vista:
Quella che con le sette teste nacque,
E dalle diece coma ebbe argomento,
Fin che virtute al suo marito piacque.
4t9
iOi
10»
■Irage ém Templirì ; « trad) poi Arrigo
^•VM Cfli iloMo fatto eleggere impe-
nlorc ; peccato forse d'ogni altro il più
fraado agli oeehi del Pneta, che tante
sperame area potte in qael principe.
88. troppe folle, perchè la mia pre-
ékm noa era per pruGttar nulla.
89. • fuiito metro, di questo te<
9ì.{nprimm...ehe, oYanti... che.
W^96. fMoiitfo /W tortilo ee.:
fundo dalla sorte fa Oicsso nel posto
perdalo dal reo Ginda.
8i. ptoria òen, custodisci con eaa-
tela : 4 detto con sarcasmo. — la mal
follia presa con tao vitupero e danno.
99. Ck'wor H feet ce. Ciò è detto
saeoado la Toee che a qnci tempi corse,
Aa Gita £ Procida desse denaro a
^■cslo papa per ateme aiato nella con-
Mara cne ai ordiva contro i Francesi ia
rilcraM • ia tutta la Sidlia, della «{aala
era allora signora Carlo I d'Angià.
4 00- 1 01 . La rtrereasa delle som'
me ^iavi: si noti il rispetto che Dante
professa al papa coma sommo sacerdote
e Tirano di Cristo. — aneor^ ane'ora,
sckhen tu sii morto.
400-1 4 4 . Dttoi^ fMUtor «e. Di Tot,
del vostro sacrilego abuso, o romani pa-
stori, s'accorse T Evangelista Giovanni,
qaaado nella sua ostasi vide la Donna
clie siede suir acque prostituita ai re
della terra. — Sebbene oell' Apocalisse
si dichiari in parte questa visione^ dieeiH
dosi che la donna è una gran città ; le
oc^ae su mi siede, i popoli da lei domi-
nati ; le ffCle Ifs le, sette monti sa' quaK
è fondata; e le dieci coma, died re, per
che eredrsi generalmente ioilieata Roma
pagana sotto gl'imperatori ] aunostaate,
sreondo la espricriosa interpretazione
del Poeta , colei che tiede tu taeqne
4 la stessa ètila Donna, di cai ha deUo
Fallo v' ai eie Dio d' oro e d' argento:
E die ullro é da voi all' idolalre.
Se non i-li'egli uno, e voi n'orstB ceiilo?
Abi, Coslanlin, di quanto mal Tu matTf,
Non la Ina con^ersion, ma qucUa doto
Che da le pn.-se il primo ricco pytre!
E menlre io gli cantava culai nule,
0 ira 0 cosrienia che 'i inurdes«e,
Porle spingala con ambo le {liole.
Io credo ben eh' al mìo Duca jiiaie<ee.
Con S( conlcnta labbia sempre aliene
Lo auon de le parole (ore espre^ae.
Però con ambo le briitcia mi prese,
E poi I he tulio .su mi s' ebbe al pdto,
Rimoolò per la vi3 onde discesei
Né si stancò d' avermi a
I
tltuiiU il> AwJbtio. b
lidi cb* d,ii;n>l. td .IV
nidi d'i populi (!■ (iqn-)
ind«|niinriil« iti ta- «nti
■hi la prMl1lBÌui«fli (■ h
tMll drll* Mrri ptr r*i>l
fcwl Mnifanlii ^wlli wk
,f
n poi dire rkt i
di qudll iJonti dii Pigini
4IS-II6. JìtI, Ceitmltn et. àbi,
Cc<l«ii(ind,«i»n<ft fMiuor di mttr fu,
»>■ 1'<»riil.Uo aaanno, mt U d>u-
liitnt (vupp-ntU l'iHtipi di f>4iite| ih* li
FttlUiaiMfwSlhiMni * ■■ ■
CAinX) 'DECIIIONO>0. 4 3 1
Si mi portò scmra '1 colmo dell* arco,
Che dal quarto al qninl' argine è* tragetto.
Qain soavemente «pose il carco iòo
Some, per lo scoglio sconcio ed erto,
Che sarebbe alle cajpre duro varco.
Indi on altro vallon mi fti 8Co\'erto.
42t. Si mi porla, doè, Sndiè n'cb- ie,aM«e a terra, ioaTemeote il soave pc
bt aortato. QbtsU ItaiaiM è dd tato so, la mia paraana a hd st cara. — per
Tiruni, ed è la pia aeaipUca. U God. lo teogiio at.; qveate parola rendono
Cam. ka 51 wu portò. La Nìdob. e rarj ragioae del parche lo portasse fin leasù,
Cèèò. Sì BMii; falche altro Sin aieii. a non lo poiàsae appena risalito snll'ar-
129. irmgetto, paaaaggb. f***f * qoaat'ara'ta acabrosità a rìpi-
130-432. Qmkri aomtmenlo oc. In dena di qudlo acaglio, ra cai a fatica
^ laofo, cioè sul colma dal poiUa,#po- . aarcbbaro moatatc le eapre.
CAUTO WKMTVSMBMO.
èoigim, di tèa M rmficms te fMJf* whCmwm miU». mmtltmt fiugr tmpo$tort eh*
rmnt étmimMuim. Bmmm «m< U wìm » U toUo strwwulf sulla mU, 0mda J«w milrttti
IV mirtmAtm, mm p^nmlm métn émvmut m sé. Simo miMùmtt ém rirgUia mU'Àlmm->0
firn /«MM im qmtWmru fmttae*, tm'fuMi U Tthmttm Manto, par ani aàéa origiMa Mam-
Di nuova pena mi convien far versi,
E dar ma'cria al ventesimo canto
Della prima ranzon, rirò de' sommersi.
lo era già di-po.-to tuffo quanto
A risguardar nello scoperto fondo, 6
Che«i bagnava d' angoscior-o pianto:
E vidi gente j.er lo ^ alien fondo ^*)
Venir, tacendo e lagrimando, al passo
Che Eanno le letane in questo mondo.
Come '1 viso mi sre e in lor più bas<Of fO
Ifirabilmeiite ap|>an'e es.er travolto
Arila priaM cMUon ce., drlla mente appallate leimnf, o lilama, voce
, cbe narra di ndora che greca rbe vale supplirotioni.
' , aprafusdati unì bara- IO. Cotme l viso (gli «echi) mi tette
im lor pie boHn. Stando l>attle io huigo
4. 3» «ra già éitmoeto «e. lo m'era elevalA, e lenro«lo sempre ali-orrlii fi»
|ii faal» emm Ciitla 1 aUentiaaa. in «|uella gtrulr, la quale ori satlapefcto
V moUo tutotrio fomào, aloè nel vell'ooc veòi^a alla sna tulU, è OMni-
iwéa che a ma alaule md sooina del- ff^io < be gli cru buegira di abbamarii a
rm«» m maalfava avvpane. lanan rra mano a roano eoe «|aeiia avricmavasi a
oapo a detto landò, c4a aoa li palava lui ; ooda la frase e^airak a dire :
da q«el pvnta. quando essi farvoopii prema, pie aetto
r\ ladofvim. a ma
à-0 mipmseote.: cioè con ^r\ feo- 1 1 . Uirmltilmenlo, io mudo da ca-
tot» cha laMo le pruaisaiioi, — lica» fiaoar mare vigl. a.
«8 D ^^
Ciascun dal mento al principio del rssso: ^^H
Che dalle reni era tornato il volto, ^^H
E indieiro venir gli convenia,
Perché 'I veder dinanzi era lor tolto. n
Fors« per Torza già di parlasia '
Si travolse cosi alrun del tulio,
Ma io noi vidi, né credo the sia.
Se Dio li lasci, Icllor, prender fruito
Dì tua lezione, or pensa per te sles°o, 10
Com' io («tea tener Io vì^-o asciutto, -^^H
Quando la nosira imagine da presso |^^|
Vidi si torta, chu 'I pianto degli occhi ^^^H
Le natiche bag&ava per lo Tes^o. ^^^|
Certo io piangea, poggialo ad un do' rocclii ^^^
Dal duro scoglio, si che la mia Scorta
Mi disse: Ancor se' tu degli altri scìotchit
(Joi vive la pielà quando è ben moria.
Chi è piii sreleraio di colui
Ch' al giudicio divin passion porla? Ut
Drizza la te^ta, drizza, e vedi a cui
S'aperse, agli occhi de'Tcban, la Icrra,
Perche gridavan tolti; Do\e rui,
AnGarao? perchè lasci la guerra?
12. al principio del calta, fin II pirli i pnne in Juo temi divini. Di
dori cDinincia iJ lurHa. rdigiDiM la primi vulu, Ji tomp4t-
13. lontam. •ollila. — ilaUerni, Whm liircundi. Fenimlf aio<l(>ii4H:>
idra. ailPtr>cl>fD,CMluIT:/'n-i»ap«r^
1. alt, n dii* riUrìn a CiiuctM pirtà ti/fieMoIa, òoè.pir Boa nu-
•IM m» 12. urtillirv%H.a«ùfecrndcl*.EaT»
40. parlaifa, piralitla, miltUia to: • Or ti farrbbitapiclimtnpie.'
eh* ÌPipfdÌK«, o (loraa Icninnlira. 30. al j{iulkio dimin patti»mpft-
taso. Se Diotf' 0",elcUoct,lii la. Parlar pattioiu ta:.i He* lafrirr
DwlilaKÌ|ireBdettniUudÌliulai»is, ntW animo. Uude auiil acOM t: cbi
Bai dal l«Bcn qatila ente, (imu te. vìi Fwniodi tnluì cIie iralt Jàpiac—
U [ruUD da ricalarli è la ncrnaainn* doi ipucUj di (Kp, dil Irtnar* JelU na
chi il rBlHHi HDD io aa ihs llin, g che gouliiìt, bu i rei? La Nidob., il God.
ckinil(|U* ordì o di acradcra ilcuDlia- Cari., « qualcha litro haana fWMfe"
dalla parta dai la r«
I
S2. fa ««Ira imagiiu. cioè l'unaii
gva in auclk oaAi».
3S. ai/«n<ti'rBKik<.>d aM dv'maa
37. ttioeehi ro»" ckììma calai
k(, peando nxDla ai tali «[talli, so
28. Q<ti tira U pielà K. Qui
52. ojliinftt 4a' Ttian, tagfesii
l'rlxai, a a<i(lB gli ec.hi dai TAtai.
SJ-55. Anfinnto. Sa» da' arila ra
ra d. qualL ciltii ,ai aaacoaa in Inua «ala
»iiinia alla «uplia ioa, la qiiata Bau
(cuna il wi,r. ' 1 - i'.-- -- ..
lagiiai (■
ilaì- della uana
Io, mini «no al-
CANTO TERTESIIfO.
E non resiò dì minare a valle
Fioo a Minòs, che cìaschedooo afferra.
Mira, e* ha fotto petto delle spalle:
Perchè volle veder troppo davante,
Dirietro goarda, e h ritroso calle.
Vedi Tiresia, che mntò sembiante,
Quando di maschio femmina divenne,
Cangiandosi le membra tutte quante;
E prima poi ribatter le convenne
Li doo serpenti avvolti colla verga,
Che riavesse le maschili penne.
Aronta è quei eh* al ventre gli s* atterga,
Che nei monti di Lnni, dove ronca
Lo Carrarese che di sotto alberga.
Ebbe tra bianchi marmi la spelonca
Per sua dimora; onde a guardar le stelle
E 'I mar non gli era la veduta tronca.
E quella che ricopre le mammelle,
Che Ui non vedi, con le trecce sciolte,
E ha di là ogni pilosa pelle,
Manto fu, che cercò per terre moke;
433
40
45
50
65
^^ftn$-4nè9 talli i Teb«ni gridavano :
^nif (|wf« r«ini, Anfiarao? mi dal
li<«*niif. — • vafir, cioè, al fmido.
M Mffrrrm, abbranca; in ^oanU
^MMan paèaMlrara al rao |indixin|
• il «pplffin da Ini dvcretalo.
Si. fm rUroM cmÌU. cammina a
(Urna*, ili dirrzii»o« CAiiIrarìt al Ttso.
4# Tirttim, «Itm induTJno natiTo
'TiAc. Cnfttai pcfCMat eoo nna verga
4taaryi, • divenne femmina : dopo arilo
il», nlrnmli i medcaioù tcrpi, li ri-
faaaaM, • lornè mMcbie.
43 le, « Tirctia all»ra femmina.
44. «rvofli. avviticchiati.
41. Che, dipende dal prime dal
Hn»4S- — <c wtmtrhili penm§, U mem-
^, 3 amio di mancliio.
H Àrmmtm è quei te. Quest'Aron-
Kn Arnnlo, è «n fomoao indovino te*
Mino, di cai fa meuinM Lucano nella
47. Ch9 «et mofUi di Luni ee. C^
straisci : cb*ebbeper s«a dimora la tpa»
lonca tra biancbi marmi ne* monti di
Luni. dove lo Carrareae. che di aotto ■
2ne1li alberga, ronco, coltiva la terra. —
wmif città distrutta, era situata preaao
la foce della Magra. Ronear§ propria-
mente è purgare i campi dalle erbe no*
cive, ma oui sta noi senso generale di
coltivare la terra. Carrara è sotto ai
monti di Luni.
51 . non gti era la veduta tronca,
cioè : dair alto luogo ove abitava non gK
era impedito di vedere le stelle ed il
mare per le sue speculazioni divinatorie.
52. E quella ee. Avendo eoatei !■
nuca rivolta dalla parte derpetto, le §••
chiome scendevano a eopnr le mam-
melle.
ZA.dilàee.: dalla parte del corpo
or*h il petto. — ogni piloio prlle, tutto
le parti peloso: e ciè a eagioae dello
stravolgimento.
55. Jfoiilu, indovina lehana figlinola
Lik. I. diTuesia, la <|uale, mortole il padre,
^ri veafre f fi a' atterga: accosta il cerea, vagò, per molti paesi per luggire
^{v al vcatre di Tireaia . la tirannia di Creonte, e dal numcT\h%>
F
monir TWm* et mi9 mIojCì
mmm*mLmmm
Lib.
434
DELL llfTERNO
Poi^ia si pose là dove narqu* io:
Ondean poco mi piace che m'ascolto.
Posciaché il padre suo di vita ascio,
E venne sen'a la città dì Baco,
Questa gran tempo per Io mondo gìo.
Suso in Italia bella giare nn laco
Appiè dell* a'pe, che serra Lamagna
Sovra Tiralli, ed ha nome Denaro.
Per mille fonti, credo, e più, si bagna.
Tra Garda e Val Camonica, Pennino
Dell* acqua che nel detto lago stagna.
Luogo è nel mezzo là dove '1 Trentino
Pastore, e quel di Brescia, e 'i Veronese
Segnar potria, se fesse quel cammino.
Siede Peschiera, bello e forte arnese
Da fronteggiar Bresciani e Bergamaschi,
Ove la riva intomo più discese.
Ivi convien che tutto quanto caschi
Ciò che in grembo a Benaco star non può,
E fassi fiume giù pei verdi paschi.
Tosto che r acqua a correr mette co.
Non più Benaco, ma Mincio si chiama
IO
6?»
70
7b
rino comprona partorì Ocno. il qaale
fnodò una città clie dal nome ai aaa ma-
(Ira nominò Manluva.
bO. E tenne ierva la eittà di Bm-
cn. E venne in potvr di Creonte la città
di Tf^be sacra a Bdcco. intorno a Baco
p(*r Bacco vc<li al C. Mll, v. 17 in nota.
(J3. Tiralli^ ora il Tirolu. — fie-
naeo : qiicslu Ugo »p,f^ì dicrai di Garda.
6 'i-G6 Per millr fonti re. Int. : Il
l'<-nnino [alpe* pceiìa'). cioè quel tratto
d'alpi pennine che e tiatìanla e \al-
ramonica , ai bdjvnu ikt mille fonti , e
I redo anche più, ilcll' acquN che poi |*iù
■comleiido va a staijrurr nel di'tlo lago.
VA eccola connc-aione di tutto il disi-or-
so: È iieir Italia (au napello ali Iiirei no)
un Ingo chi* \ké nome Briiaco, il quale ai
Zinnia in (jran patte delle molle i»catii-
i i,';ini del l'anni no, raccolte e condotta
ad easo lago principalmente dal fiume
Sjrca, che tìcn ano corao tra V«| Ca-
monica e Garda.
C7-G9 Luogo è nel mezzo ee. Int.:
nel mi'uo della lunghe/za del lago è mn
lungo ore poHono iegnare, benedirà,
cioè ove hanno ginrbdiziooe i ?aeoTÌ £
Trento, di Brescia e di Verona. Il paolo
comune ove i tre veacovi |ioaaoai hrwrf
re, dirono alcuni che è la dove la acqu
di'l lìuiiie 'liftnal}^ sboccano od lago.
La sinistra di qiicato fiume è dioroai S
Tronto, la destra di Breacia, a il lof»
è tutto nella dioresi di Vcnnu. Altri
notano a Un luot;hi ; né io aooo io gra^
di deiidrre la conlntversia. Gumon^Oi
sia, il poeta ha voluto descrivere il laiO
nella sua luii|;hcz/a dall' Alpe al Hìoat
in CUI sbofi-a, e accennare per qofOo
\ ia le prmcipali ciua trameno alle ^oali
ei giace
70-72 Siede Petehiera ee. Ordioa
e intendi : Ore ia riva intorno pie iV*
jrme,ci< è, e divenuta più bassa, aia- ft, è
situati, l'csi-hiera.bi-lla e fiirte ròcca da
far fnintc ai BreswiHUi etl ai Bergamaschi.
73. iri cimtien ec. In aael loefa,
l'acqua cbe aovrabbuoda nel lago e dw
non può eaacre in eaao conteoDla, o'aMO
e diventa un fiume chtamatu il M'raeia.
76. wittte co, molte capo, eomio-
cia a coirere Irabrccandu dal Iago.
CAtnO TBIflBSIHO.
FiM t Gorerno» dorè cade in Fo. .
Kon moio ha cono^ che trova una lama^
Nella qoal si disttende e la 'mpalada»
E suol dì stata lakva esssr granuL
Quindi peasando ia verefine-cnida
Vide terra nei mezio del pantano»
Sema roltarave d'abitami nuda.
li, per foggìra-ogni consarno oprano.
Ristette eoi snoi servi a fiir eoa aiti,
E viasOy.e vi lasciò, suo eorpo vano.
Gli nomini poi, che 'inlorno erano spartì,
S* accolsero a qnel luogo,. eh* era forte
Per lO'pantan cb' avea da. tatto parti:
Fer la città sovra qneir ossa morte;.
E per coW, che il luogo prima elesse^
ManUna 1* appellar sena- altra sorte.
Già far le genti sua dentro più spesse.
Prima che la roattiadi Casalodi
Da Finamente mganno ricei'esse.
Però t* a»«nno che, se tn mai odi
Ori[;inar la mia terra altrimenti.
La verità nella menxogna frodi.
Ed io: Maestro, i tuoi ragionamenti
435:
so
86
90
05
100
t Gnrmto, castello oggi ddto
T9. ItmÈm, fcMi ■■■■, cavità ii tcrr^
"NowMcCcafwi.
M. Il 'wifmiuéa, o* fa m pacala.
91 frmmm, mal aaaa.
0. la verflac eruàm La tteaaa
IbM». cfciaaala trmdm i^r lo conliaao
^muffmt ài c«<lavrri , tcairaarc aoi-
«é, evacara aaiac é^V ioIrrM , cba
>iaMni£caiaa valeva per sapere
MV mrU, cioè sae arti nitfi
17. aiM corfe vwia, saa corpo
luti* Mr aohna, nt*è nii»rto.
W anmr mltrm mrle E£flra«e Ir
«kà. ^lai aao gli anairhi trarre le torti
f*«Hva «nelle il aaait^ «««ara prc»-
^'lai^aafilii aagaria • 4«llc laUrriara
^Orkòie acciaa Bei sacrific], a ^ «ola
^fca(reft•aaallr«
3.* la mmUim ài CfaUM, MmUim
^ waai 111111 jMssia; hm qvi è
**^*'>iapià Biite di fciocc/tfsia, a
balordaggine. — Di Casaiodi, cioè, di
quri dm Cataiitdit che è castello nel
BrraeioBo, da cui avea preso il cngooma
la famiglia che sigaoreg(;iava allora io
llnolMa II fatto a cui allade è questo:
riiiaaMMSte de' Buonacroaai da Maatava
persuase naliiiosaineDte al eonte AU
bcrtw Casalodi, signore di quella citte,
che doveste lilegtre ne' castelli virioi
alenai gentil uoaùni, i quali all' ambi»
sione di fato Piuamnnte nettevaoo ini-
peilimento. La qaslcosa mandata ad ef>
leltii, Pinamonte col fasore del po|K>lo
tolse la signoria al coota Alberto, e
patte de' nobili oertse, paria sbandi;
per lo che molto venne a sceOMrsi la
pop<4arione della citte.
97 . t assenna, ti avvei la.
98. Orij^taar ce. : cioè, asaagnara
diversa origine alla mia terra ; o, nar-
rarne diversamente l'origine.
9*J. La verità te. G»tr.: Milla,
nrcsona, menzogna frodi la veriléf
cioè, faccia toito al vero; che è qaanto
dira : Boa sia da te creduta.
436
oell^iuferno
Mi son si certi, e prondon si mia Me^
Che gii altri mi sarian carboni spenti.
Ma dimmi della gente cbe procede,
Se tu no vedi alcun degno di nota;
Che solo a ciò la mia mente ri6ede.
Allor mi disse: Quel, ohe dalla gota
Porge la barba in sulle spalle brune,
Fu, quando Grecia fu di maschi vota
Si, che ap|)cna rimaser per le cune,
Augure, e diede il punto con Calcanla
In Aulide a 'agliar la prima fune.
Euripilo ebbe nome, e cosi 'i canta
L* alta mia Tragedia in alcun loco;
Ben lo sai tu, che la sai tutta quanta.
Queir altro che ne* fianchi é cosi poco,
Michele S(;otto fu, che veramente
Delle magiche frode seppe il giuoco.
Vedi Guido Bonafti, vedi Asdento,
Che avere inteso al cuoio ed allo spago
Ora vorrebbe, ma tardi si pente.
Vedi le triste che lasciaron i* ago,
La s{)ola e *i fuso, e fecersi indovine;
i05
flfO
iti
m
101. prendon «i mia fede, oLbli-
fnno così la mia crrdenia.
402. Che gli altri ec : che ì Jucorsì
altmi in coalrarìu sarelibero por me
icn7a luce, come sodo i forboni spealì \
cìdc nulla potrebbero kuU' animo mio.
-105. che procede t che va passando.
^Oj. riftede. Mira col pensiero.
Espreuiooc metaf . , ma che b<>n dipinge
il lavoro della mente neW attenzione.
407. Porge, è nel lenio del Ialino
porrigity atende; cbe è quanto: ■ cni
dalla gola scende la barba tulle spalle,
a cannone del travol(pinvnto.
108-110. Fu... Augure. Fu indo-
ìrinn ni tempo che la (irocia /W si di
mmchi rota (Ironcamento di votata)^
cine talmente spo^linta di maschi (per-
cìocrliè andaroii tulli alla (guerra di
1 mia), eke appena rimaser per le cu-
ne: che appena vi rimaieio i bambini
in culla. — e diede il punto: ci<ic. se-
gnò il niiuiiento favorevole ■ sciogliere
U fare alla nave e far vela.
412-113. Tragedia, così chiama
1 Eneide, pei che è Kritla in veiYO eroi-
co. D'Eoripilo sì fa mconone nel lib. II,
T. 444.
415. che ne' fianchi è cosi pce$.
Spiegano alcuni : che è così amiln», av-
vero che ha l'abito sì attillato, perchè
f*li Scoizesi, gì' Inglesi, i Flammii^U ai
Francesi usavano a quel tempo brevi a
stretti vestinifoti. lu credo cbe Dania,
piutttvto che lu foggia dcH'abitodel ■•>
go Michele Scotto, abiiia Toluto accca
narc la sua persona singolarmente ma»
gra e sottile, di cui è probabile dnraaas
la fama nel pnpulu anche ai suoi tempi.
440. Michele Scolto. Fu iodonna
ai tempi di Federico II imperatore.
417. il giuoeo, V arte azzardoaa a
Tana.
418. Guido Bonatti, indonno for-
livese, fu autore d' un trattato d' a<Ur^
logia, e visse nel Xlil secolo. — Aidem
te, ciabaltinti di Tarma, altro indovino,
ben noto ai tempi di Dante.
419. inteso, applicato, volto il pto»
siero. La Nidnh. oilefo.
421. vedi le triste, le adanrate fem-
mine.
437
CAinO TBNTBSIIIO.
Feoer malìe con erbe e con imago.
Ma Vienne ornai, che già tiene '1 confine
D* ambedue gli emisperì, e tocca l' onda i25
Sotto Sibilla Caino e le spine.
E già ieraotte fa la luna tonda:
Ben ten dee ricordar, che non ti nocque
Alcuna volta per la selva fènda.
Si mi parlava, ed andavamo introcque. iZQ
425. CM «rè« «e. Le maglM nell* plenilamo. Alla Bne èé Canto XI tc-
hnnKt, • iataBtcwM, facevaM «ao demmo aecanDauraaroradel giorno ap-
(nrakre Maa di aatnlli d* arbc • dlu- * premo. Dieendod ora che la Lona (panta
■ifiaìdi «ra. al eonftne occidentale dell' emitfero di
424-127. Mnw il een/lae §e. Goatr. Boom era per tafTani neir oceano al di
€iÌM t li jftNc, cioè la Lnna (fecondo Ik di Siviflia| ed emeodo qnealo il te-
li vdfvccpuiiooe die ■ella Lana, per- condo tramonto dopo il ano pieno, il
<^ W ne auecbie sembrano delincare pnnto con ciò indicato è un' ora circa di
fm m Tolto amano, alia Caino con Sole del aecondo giorno dopo il pleni-
^ f"^ ^* ^■B'jf licna il confine lanio, emendo noto ^e il ritorno della
lana al meridiano è ritardato ogni giorno
di 48 minuti e 46 secondi.
428. ehè non ti noeque: cioè, che
tj gìoTÒ rischiarandoti la iria . Corrispon-
derebbe al noatro modo familiare : Non
li fece male.
429. Alcuna tolta, di tratto' in
tratto. — la §$lta fonda^ profonda,
folla, in cai s' era smarrito.
430. ifllrocfue: voce fiorentina an-
tiq., dal lat. iakr ko€, Tale frat-
UuUo.
4 mMae gli £misferì, e torca Fonda
•••mi sotto Siviglia di Spagna. In
1M« Uogo è indicata V ora che cor-
"*< per r Italia, e ap4*cialmcnte ncl-
fainsatc di Roma. Ei a F Eqainotio
f frmiTcra col Sole in Ariete e la Lona
a LiWa. Qaci4a iamibile ora ai dna
f*rti era st«ta tonda , piena , la notte
àt Onit erro prr la selva, e allora si
lineai Irsnontare del sole. Il viaggio
pv rialerao c(«nincii tramunlato il
^cbcèfaaatodire 24 ore dupo il
CJkXTO TEMTESmOPRIHIO.
« ttUirt émun Im fttt i èarmititri, fmtUi tkt f«mr trmS^f à*%
, • c*r wmmétroim It frmtU « fTMlvfVMi Imlpottm éti Stfmoet tffrum
Jl^tfCM pmttumimrmtmtt si mgtomm im fmssto CmmH. FmMm mttorm»
di mmtimt, atrtmufUMud» §matmm^us t'mrrt»eh$ me m$tir fmor étUm f^
I» 4Smslv ^m ^mMtOtirm tutekett; eomt t^irgtltm ti tMptutt émi àUwM ekt gti
) em Imm f^^ t t cbmc, ■•« pattmd» i Poitt eomtimmmn il tsmmumo p0r to «e*-
rmrm tmltm mM« èotg**, t€ùfUti ém éuei éiavott, prtmt/mm Im 9ia
FmMn tmaftim, ekt il mmggior dimwolc mmitttmdm
Cosi di ponte in ponte, altro parlando
Che la mia Commedia cantar non cura,
Venimmo, e tene\'amo *1 colmo, quando
Ristemmo per veder T altra fessura
Di Malebolge, e gli altri pianti vani; 5
M a fonie im ponte.,, rraim- tomo 'l eolmo, tà araTamo sai panlo
^" F— ■■uio Jal peate della qaarta più alto dell' arco «jitinio.
''- r< t^acllo della paiola. — e tene- 4. fessura, qui sta per foita.
138
DELL' IlfFERIfO
E vidìla mirabilinente oscora.
Quale neir Arzanà de' ¥ìniziani
Bólle r inverno la tenace pece
A rìmpalmar li legni lor non sani,
Che navicar non ponno, e *n quella vece
Chi fa soo legno nuovo, e chi ristoppa
Le coste a quel che più viaggi fece;
Chi ribatte da proda, e chi da poppa;
Altri fa remi, ed altri volge sarte;
Chi terzomolo ed artimon rinloppa.
Tal, non per fuoco, ma {)er divin'arte
BoUia laggiù^ una pegola spossa,
Che inviscava la ri()a d* ogni f)arte.
r vedea lei, ma non vedeva in essa
Ma che le bolle che U boiler levava,
E gonfiar tulta, e riseder compressa.
Mentr* io laggiù fidamente mirava ,
Lo Duca mio dicendo: Guarda, guarda
Mi trasse a sé del loco dov* io stava.
Allor mi volsi come l' uom cui tarda
Di veder quel che gli convien fuggire,
E cui paura subita sgagliarda,
Che per veder non indu.^ia M f)artire:
E vidi dietro a noi un dìa\ol nero
Correndo su |K?r lo s<*oglio venire.
Ahi quanto egli era neirasfietto fiero!
E quanto mi paiea neirutto acerbo,
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30
7. neU'Arxanà. Ali'oni cre<1ono che
Arsene, fatto dalla parnla vfiir7Ìana
nrzeni p«r argini, sia lo ttcsAi* ihr ar-
ginato, e tìgnibrbi oii liiogu rintoil-ar-
gini destinalo alla fabbnraiionf delle
navi. Pensano altri, e credo con nii|;lior
r«|poQe, che la parola Artenà^ e vene-
zi.ìnamente Arzand, derivi dal latino
Ari, ed equivalga alpHltra più citmune
e meglio inU-sa ili darfena.
9 a rimpaimar, di'slinata ■ rim-
peciare le navi malronre
(0 'n quella rect, cioè, invece di
navigare, o prolillandodi i|uel tempo in
cui non li può navigare.
14. volge sarte, attortiglia le eor-
de f doè la canapo di che ai fanno le
corde.
\y tenerw)loee.: il teneraolo è
la minor vela d«'l1a nave : I' artimaM è
la maggiore: — rintuppa, mette lopft,
rappezza.
1 0 Videa Ifi, cioè vedm lo poct.
20-21 Jlnr^eee.:senoncb«{Vefi
Canto IV, V. 2(i) S<'or;;eTa solannile
le bolle che il bollwre interno levirt
sulla ftU|iet-ficie del piceo lago , e wedm
Il pore Inlla giMifiare, e olio Koppìar
delle bolle rìiiv%allarsi.
23 Guarda, guardati.
2r>. CUI tarda, a cui par miiraaoi,
o, che desidera ardentemente.
27 igagtiarda, toglie la gaglìor-
dia, il coraggio.
28. Che per veder ee. Il quale wb»
L«*ne guardi, non indugia però nnntoa
partire. È espresso il fare di coi teme
assalto, che guarda e fugge.
I
CASTO VENTESIMO PRIMO.
Con l'ale aperte, e sovra i pi^ leggiero!
L'omero suo, ch'era aceto e sujjerbo,
Carcera no percator con ambo T anche,
Ed ei lenea de' pie ghermilo il nerbo.
Del Do^ilro ponte disse; a Malebranche,
Eco] mi dej^li anzian di Santa Zita; (■)
Heltetel solla, eh' io lornu per anche
A qnella terra che n'è ben tbroitu;
Ogni uom v'é barattìer, fuor che Bunlaro:
Del no, per li denar, vi sì fa ila.
Ljggiìi 'I buttò, e per lo scoglio duro
Si volse, e mai non fu martino scìollo
Con lanla fretta a seguitar lo furo.
Quei s'attuflo, e lornò sa convolto;
Ma ì demon, che del [lonte avean covcrchio,
Gridar: Qui non ha luc^o il santo volto;
S L'omtTo Ma te. Cmlr.
t*. famiTO dtl' dcmimio
ek' tra aralu i nptrbo. il qua! xmira
tnro ta il pcuin» Aà liarillicrì lurih*-
m «ppuDiUu < lite. L. T«. i.p.rte
d.draai poi la •■■ pam atl I3N.
42 Oli ». pn-fa-dnar. vili /b
tu.l.<,.in,Urn»,cb<.l.at.]..n.ìl
ri» ..1. ti. [K»nd«i *,1u<.qua cba ■
»o aab> It tBKf. mal liirrtlif il fi-
LiKU prr d»un ai far*., ita dal u,
<i monli la nidi tada di alitila Hale
nr»nu p» d<>...n ad.llaL(ill.l»,
37 Drt mnitm ponlf. h il»» cbe
.J «llPran le HHllura re
ial «nfro pimlt. Il di«nli>cli< ira dic
« Ca{ni<i'l»all««c.li>ln'1i:il
ira •> iIbc l-o-h. • ihr icnioa n pv lo
d.moiiii' builii lanini il pHcitore, ■ w
s'^.Sié-i'ixJr
.«Ur p«i indirlr.. «.
43 r<-l<inta/Wltaai>irttUarM^
E ra.i K.»11<> canr 1,. r.v Unii rrrltl,i
cbi.iM<Ì parOrolinntDlt i diateli n-
o .* fu c>Hi Trlnvad inarBuir* (a/'nnyi
•Icali S ^nl* Mpa. ptr i intB di ori
il ladro, inani- t.i il di.%..l..a.l tnaatU
a prriKU'ni in L>i«*yn(tln>bariUinii,
FotnU* il 1FIM )c|g«n> tneo ili>.na-
46 e*«. fi«*ilp«fa(«r«. — «»,
■BfiUc , cnHccfai le parslc (M witni
nillo, ci.ni|.ir||(l<> JD irr<> cDlUachinw
ili III r r"lr,i|.»pni'irifJ' '0 gi"- ^
ponto tovrro M di»»l«i t .'i..l.'aJ>.
rrWw ùUat'iTMcKi.iet^iielnottro
JT «!• id^m:-, K M. i dnntril
pruto te., fi«., niu dal "«To 1.1.1.1.
» qixli L'ra «jiimfiw l'I ponti. (iolQ
3« dfyii Qntlan di Sanli Zila:
m,..V..............„ilj«,nli.. 3
48 Qii.-«iikB6waii*e.(HiÌMl
i<\ìtàtlt di Uirci, che bi prnna aro-
loirìn Sani. Z<i*
^..ril» «brrn» dri dia.oli Hi» il hOÈ
n Ranltiari
3lMe et' ÌB tona prr atithi u.
(h.ar riguard* l'altcggitmulg nr! qndjir
r«.nd.:i<>lt.m..i»,^r.!,a'.ll,a.»ll.
.„1i r^..™,,. . Balla «II. pr«l.-,
Qui si nuoU allrimenli che nel Sercliio;
Però, se tu non vuoi de' noslri graffi,
Non far sovra la pegola sovenrhio.
Poi l'addenlar con più di cento raIS,
Disscr. Co^c1Io convìen che qui balli,
Si che, se puoi, nascosamenie accafG-
Non altrimenti i cuochi a" lor vas^li
Fanno allulTare in meKKO la caldaia
La carne cogli uncin, perchè non galli.
Lo buon Mae.'lnj: Acciocché non si paia
Che tu ci sii, mi disse, giù t'acquatta
Dopo uno scheggio, eh' alcun schermo t' aia;
E per nulla offension eh' a me sia fatta.
Non temer tu, eh' i' ho le cose conte.
Perché altra volta fui a lai baraUa.
Poscia passò di la dal co del ponte,
£ com'ei giunse io sulla ripa sesta,
Slcslìer gli fu d' aver sicura fronte.
Con quel furore e con quella tempe-^la
Ch'escono i cani udilosM al poverello,
Che di subilo chiede ove s' arresta,
U^iron quei di sotto il ponticello,
E volser conira lui lutti i roncigli:
Ma ei grillò: Nessun di voi sia folk).
Innnnii che l'uncin vostro mi pigli,
Traggasi avanti I' un di voi che m' oda.
E poi di ronciglia
40, Sirdtlo, GunM eha piiw omo
■ool d4l1e muri ì] Lurci.
90 iclunontiuiidi'iuiilrigralfi,
i consigli.
Gn, Dopa uno leiffs*^, J
njlie. ch'alena irVnnO t
62. mntf , cognili.
HI . jVoii far «wereMo M , Iti .
52. Poi raJdnb/Polchri'iiltl ri") t^ntrMto ^i JkkoIì, rìrki
l«r« iilAialala ec Le lucì piil, dnpo. cHi: quelli ià tardtlitrl i gai
apprtUo, tUDBo tgiCHn p»r ' "
4.p«M«e. — rafjll.-il "tB»
immli actagl.
et. dai to, dil capa.
ce. J'acir linra /Vwnl^ l'i
oniiin, d'cHCrc impprlfnita.
GtP. Clu di KltUii cititdt «*■ f
Si. «usili, qlli t mI ti
nia ril iMorMnaU.
ST- non stili, non teiigi
iu>dt'tiiiì,(li>iiiii ch'«tau Vma
»netB domtnJi iru' iltn l'«t»«««
72 ^H«, ioinBO, .nulli.
73. II «maiali, u dcttrmìdi.
CAKTO TENTESIMOPRIMO. 4it
Tatti grìdaron: Yada Malacoda;
Per che un si mosse, e gli altri stetter fermi;
E venne a lai dicendo: Che ti approda?
Credi tn, Malacoda, qui vedermi
Esser venuto, disse '1 mio Maestro, 80
Secnro già da tutti i vostn schermi,
Senza voler divino e fato destrot.
Lasciami andar, che nel ciel# è vobito
eh' io mostri altrui questo cammin silvestre.
Allor gli fo r orgoglio si caduto, 86
Che si lasciò cascar V uncino ai piedi,
E disse agli altri; Omai non sia feruto.
E 1 Duca mio a me: 0 tu, che siedi
Tra gli scheggion del ponte quatto quatto,
Sicoramente omai a me ti ri^i. 90
P^ ch'io mi mossi, ed a lui venni ratto;
E i diavoli si fecer tutti avanti,
ì Sì eh' io temetti non tenesser patto.
! E cosi vid* io già temer gli fanti
Ch' uscivan patteggiati di Caprona, 95
▼figgendo sé tra nemici cotanti.
Io m' accostai con tutta la persona
Lungo *l mio Duca, e non torceva gli occhi
Dalla sembianza lor, ch*era non buona.
Ei chinaran gli raflì, e, Vuoi eh' io M tocchi loo
(Diceva l'un con T altro) in sul groppone?
E rìspondean: Si, fa che gliele accocchi.
71. Ch§ UffTodaf cht ti fa egli di Tosrana Io aTcan loro tolto Balla
^•MBa ? dka tboì 7 ot vero, miai ca|{io- gvcrra che essi facevano contro Rita co-
li iapyraaia a pacato l^ofo ? La Crii- ma capo dai Gbibi'lliiii. Ma aweodo |>oi
m taceva CAc9licf>pro(/a7 Eio ul ttalo aaie«IÌNio con forta caercito dai
laa ^«raWr parola le dirrbba il diavolo Pisani guidati d«l conte Gaìdo da Mon-
fea ai «rir aodara a Virgilio, inteo<lan- teleltro nel 1 200, i Lue* beai rba ri arano
ia: a cba gli |*iova qaeat" abbiiccanea» a guardia, axlrclli prim-ipalmeota dalla
li?ad ogM Bado IMO la acanparà. a maocaoia d'acqua, ai arrenderono salvo
BCaato aqpM la Crocea. le parsone. Fan»no perciò fatti uscirà
SI ■ «rAarusi, propriamente vale tf{- a rimandati ai confini ; ma mentre pat-
f^fll; aa ^m per ntroMune è usato a aavano tra le fili* dei nemici, si comìn*
■I aiicare mféoawomi^ imntiimtjuti, ciò da queati a gridkre mppiccm appic
^mrésmào a quelli che ebbe da altri co, per lo che ifuet poveri Lucchesi eb-
foC Bel sa* viag^o. bere la più gran paura del mondo. Diinta
tS. tfasfr». aecoode, favorevole. ai trovò a questo fatto. — putteggiati ,
SS. aMi Imeaaar 9«llo» bob «Mer* faUo patto di sicurtà,
^■■ro la lede data. OS. Lungo, presso, rasente.
94 M.ffen#lrM'<of{d#eCaproaa \02. gliele aecoeeki, glielo aitar-
h|iirastclU dei Pimbì in nva d' 4r chi, cioè il raflio: aceoceart si|*niGca
M-lLaccbca collegati eogli altri GucIS propnamcutc aggiukliire la coida dcV-
1i2
DELL LXTERPrO
Ma quel demonio che tenca sermone
Col Duca mio, si volse tutto pr('^to
E disse: Posa, po:^, Scarmiglione.
Poi disse a noi: Più oltre andar per qac:»to
Scoglio non si potrà, perorcliè giace
Tutto spezzato al fondo Parco sesto:
E se r andare avanti pur vi piace,
Andate9tne su [ler questa grotta;
Presso è un altro scoglio che via foce.
ler, più oltre cinqu'ore che que Totta,
Mille dugento con sessanta sei
Anni com[)ìér, che qui la via fa rotta.
Io mando \erso là di que>ti miei
A rii^ardar s* alcun se ne sciorina:
Gite con lor, eh* e* non saranno rei.
Tratti avanti, Atichino e Catoabrina,
Cominciò egli a dire, e tu, Cagnazzo:
l'arco alla cocca. (rItWf ìnvarìabitmente
per tutti i generi e aumerì, invcoa di
ylieln^ gliela, glirli.
IOr>. Pina, flH l>iiono.
108. Tutto ipezzato al fondo te.
Il tesili punte giace tutto rvttv nella bol-
gia uve cadilo.
I IO. grotta (|ai va inteso per ar--
gine.
IH. Pretto è «n tUiro trnglio te.
Nel Canto Wlll apparirà eMiero kpez-
zati tutti i plinti interheeaiiti i|iit*Hti< doI-
gia Qat^sta iluimne è uhm biif*ia ili Mala-
coda Ei|uesti diaboli della più bH|*iarda
razra stan ni««lto benf tra i liai-attteri.
1 12. /«r, più iiltre nnqu ort ee.
Ceco qai indìeati» ihiaraiiieiili' 1' Bniiu.
il giuron e l' wra rfirreiite i|UMiidit i |*«H*ti
si trovavano in ijui-hta i|niiita bulgia.
Pmneltii eli«* Oeuu Hristu fu urciau nel
pleniluniu dopo 1* rt|uinii/iii di pruiiHte-
ra. ehe lecoiidu l'ii|iiiiione di \arj Pa-
dna\« enne allora il 2r»diiii.ir7ii,|;iiirni»
in mi fu r«ineepitii ; I /// mim kul.
aprilit (dice S. Ag«ihtinM, |ik \\ lìe
Trin ) eimreptuM rrrditur ifuo rt pap-
ina; ma gli annivn-sarj della di lui
morte si nuupiitaiio nuii dal giurno del
mete in eui prupriHiiiente avvenne, ma
dal stiprailili-lto plenilunio, «lie «uid va-
riare ogni aiiiKi Ora dieeiid» il diavulo
che Del preenleule g ornO| rfae era slato
il plenilunio, ti erano compiti 126 an *■
da cbf quella via fa rolla, e «olenaJ'
cos'i arcenuare il Iraun-tu avvenuto al*'
morie del Redentore, e chiaro rke ^'
ai 1206 anni si ag;,niin,7ann I 31 rbe V«
Iradi/iunr ci dire esser trasroraidai/'l^'
eamazwne di lui alla morie , ai b'
il ir>00 nel pjeniluniu di mano, ae^
bene in quell anno questi* eadesafe il S
aprile, giuinii di dimniiira, e la OhicM
celebrasse la paH*|na la iloinmicn doptf-
gnaulo pui alPnra, ell'e preriamwO'
le la i|uaiia ura del |pi>nio dupa il jpk-
niluniii (le IO circa del iiiatliiM mmft
aninnyiii), a eni ag|pnM|teiidoria^aarff.
SI ha Tura nona (Ir tn* pi<iiieri4.|, étn
la ipiale (ìesu llmto muri, rd avvtmr
il treiuulii: il quale più partictilanMal'
si ferehenlii^ tirila M-gueiite bolgia dsft
s««no puniti gl'ipcicnti. ii^rrhè per U
loro in\idia fu uenso il nglino! m iNa
115. di qurtti miei, cioè Ji qwfti
diaviili a me M>|*gelli.
M(>. tene srinrina. Sciiirimmrt 4*
gnifiea proprianienir «piegare uiraria
alcuna ^itbt. Qui , u^ato intransìCi\a-
menttf. o a mudo riOcMiivo, tignifir»
utrir funri all'aria; vale daiMse. v
alcuiiii, per priHurarai snllievu lUl Ih'I-
lore, si iiimtra fuori della pegola.
1 17 rei, noe molesti • voi.
1 18 tratti y traiti, \ieni.
CANTO ▼BNTBSIMOPRIMO. 143
E Barbarìcda -giudi ia^lfidna. tso
Libioocco vegna oltre, eDragbìgnazzo,
Cirìatto sanirato, e GrafTiacane,
E Farlarello» e Robiceete pazzo.
Cercate intomo le bollenti pane;
Costor sien «alvi insino ali* altro acfaeggiOy 125
Che tutto intero va siopra le tane.
Ornò! Macìstro, che è quei cheio veggio?
■Di»* io: dehl senza scorta andiamd soli,
Se ta sa* ir, eh* io per me non la cbeggio.
Se tu se' si accorto come «noli, 130
Non vedi to ch*ei dìgrignan li denti,
E colle cigliarne minaccian dadi?
Ed egli a me: Non vo'che la 'paventi:
Lasciali digrignar pare a lor senno,
Ch*ei fiinno ciò per li lessi dolenti. i35
Per 1* argine sinistro volta dienno;
Ma prima avea ciascun la lingua stretta
Co* denti verso lor duca per cenno;
Ed egli avea del cai Tatto trombetta.
120. la deeinm, i òìmà deBooj q«i fnif<. Così rbpMida Virgilio per ((iiio-
OMriiMti. lare la jMara di Dante. La Ics. lessi è
121. pant. Coti chiama quella b«l- da'm^kiHri Cotlià, ani ci pare più prò-
leota pece per CMere mcoa^ ; pane, in- prietà che nell'altra per li leti dolenti,
f«ee ii pmth, tolto V i. Vedi Canto IV, ehe esprìme un'idea tatù generìea e iu-
f. 127. certa ; mentri* Uegi ri presenta la vera
I2S^IS6. huino mlPaitro eekeg- natura del snnpii/io Del resto, quando
f<0 m., eiaè, iasina all' altra catena di nel Canti» Xll abbiamo accettato senza
Mali, la qMle attraverM totta intera difficoltà Ove i btMili faeean clfetfri-
Ufcwlf ttol— e). Ma anche qui Mala- da, è una svenevole delicatezza torcere
wméa è bàfiard* ; aè si può perciò ere- il muso qui alla medesima immagÌDe dei
4ar aiacera la s«a raecomantlazifma. — letti.
Si «eli rea qaanta pri«rirtè eoo ehìa- 137 Jfa prima ee. I denooj aTTi-
«alc IMM, cioè eoH/i di /fere, le bolge tendo che Virgilio a\etae dato quella
ava ai puoiace la matta betlialitate ! risposta non per far coraggio a Dante,
VadE il Caato XI. ma perchè bonariamente coa\ ercdcs-
188. Se tn ta' ir ee. Intendi : ae tu, se , strioMoo le lingue condenti verso
eama altra volta mi dicesti, sai il cain- Barbarìma , per fargli cenno con qoe-
■ioa. Vedi Canto IX. — ekeggio , at' atto bcffurdo e proprio della can»-
cUada. glia, quanto egli fosse semplice, e come
152. eollf viglia, noè eoa lo sgaar- presto presto gHel avrt- bber fatto vederi'.
^ bieco: ovvero facendnei tra loro co- 159. arra del eui fatto trtmhetta.
i arcU dei cenni maligni. Suono «eraoicnte degno d*accompi«gnare
199. ei fèrnno riè per li letti do- la marcia di squadri si fulU !
CAISTO TKMTESOIOSECOin»».
r vidi già ravalier mover campo,
E cominciare stormo, e far lor mostra,
B lalvo'la partir per loro scampo:
Corriitor vidi per la terra vosira,
0 Aretini, e vidi gir |,'ualdane,
Ferir torneamenli, e correr giostra.
Quando con trombe e quando con campane
Con tamburi e con cenni di castella,
E eoa co^ nostrali e con islrane:
Né già con si diversa ceunamella
Cavalier vidi mover, né pedoni;
Né nave a segno di terra o di stella.
Noi andavam con li dìetii dimonì:
Ahi Sera compagnia! ma nella chiesa
Cd' santi, ed in taverna cu' ghiottoni.
Pure alla pegole era la mia inle^.
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I* potili in un cuicllo di Ufo», 4 >1
lorbì ediipi'ltuoll
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U ma mila ci
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Hpn,i,:n..ll'1nfr™
CANTO ▼ElfTESUICMBCONDO. 4IS
Fer veder della bolgia ogni contegno,
E della gente eh' entro v* era incesa.
Come i delfini y quando fiinno segno
Ai marinar con 1* arco della schiena, ii
Che 8* argomentin di campar lor legno;
Talor così ad alleggiar la pena
Mostrava aknn dei peccatori il dosso,
E nascondeva in men che non balena.
E come all' orlo dell' acqua d' nn fosso »
Stan K ranocchi por col muso fuori,
Si che celano i piedi e l' altro grosso;
Sì stavan d' ogni parte i peccatori:
Ma come s' appressava Barbariccia,
Cosi si ritraean sotto i boL'orì. 30
Io vidi, ed anche il cuor mi s' aocaprìccia.
Uno aspettar cosi, oom' egli incontra
Ch' nna rana rimane, e l' altra spiccia.
E Graflfiacan, che gli era più di centra,
Gli arroncigliò le impegolate chiome, »
E trasf^el sa, che mi parve una lontra.
Io sapea già di tutti quanti il nome.
Sì li notai, quando furon eletti,
E poi che si chiamare, attesi come.
0 Rubicante, fa che tu li metti 40
Gii unghioni addosso sì che tu lo scuoi:
Gridavan tutti insieme i maledetti.
17. flwiifiiii, ^Mfitk. condiiioM. riamarti foor Mia peca aU^appratsani
It. immm, acccaa, «nMÌata. Qai lia'iiiavoli, coma agli avviaaa talfolta
■ièiiaA»prrio«MgliaMa<l*alTalto, cba Tedrti una raoa rìmanar faar dal
•Maia fi ètUiim, hm avrà diciaiBo: paolaiK», innitra per qoalcha eagiooe n
kwtitni eaH* aai|U kalieata. ti tatrano le altra. — ipieeia, aalU tonai.
21. t^mf^tnimUm, ù ÌB|ffiiìao, Spieeimn diceai proprìamanla della
'ift. — ài tmmpmr: di saivara tfaggire daMiqaorì per le apertara dal
Mia IrfliMala , della qoala fato dia li rootieiie. Qai par nataf. è
• daltai Mllaada aopra wato a •igoiScare il ratto faggir dalla
m
34. E mmuomde^m, btendi 9U9 55. Gii mrroneigUò, gli aggrappa
aeir uncino.
pmr €9Ì ■«•• A>pi^f f"«n ^^ M. lomlrm, k m» aoioMla ^«adr«p»
QMrta tiaHiitadiaa a da anlibio, di a«4or qaati aaro.
di MM evideva, a di 5a-59. Si li notai m: parcM a li
parafila. solai linleédi i diavoli alani a la igara
27. fmUrù§Tmm, l'altra tara graa- d'ognan di loro) onaodo faroaa alaUi^
a, cioè la parta pia gì naia dal corpo, a poiché faroa chianiati, Mai oiaata al
90. CmI. laato. -•«olla i MImrU coom, cioa al ooom eoa eoa ciatcano ■
U arca bollcala. chianava.
3£-35. t'M t^tUMT fc. Vidi «sa 41. uuoi, Korlicki .
446
Ed io: Maestro mìo, fh, s» tu puoi.
Che ta sappi obi è Io sciagurato
Venuto a man degli arfermrì sooi.
Lo Duca mio gli e' accostò allato,
Domandollo ond' ei fowe, e quei rispose:
r fui del Regno di Na varrà nato.
Mia madre a seno d* un signor mi pose,
Cbè m* avea generato d' un ribaldo
Distru^gitur di sé e di sue cose.
Poi fui famiglia del buon re Tebaldo:
Quivi mi misi a far baratteria,
Di che rendo ragione in questo caldo.
E Ciriatto, a cui di bocca uscia
D* ogni parie una sauna come a porco.
Gli fé sentir come 1' una Mlrocia»
Tra male gatte era venuto il Forco;
Ma Barbariccia il chiuse con le braccia,
E disse: Stale *n là, menlr* io lo Woroo.
Ed al Maestro mio volse la faccia:
Dimandai, disse, ancor, se più óìm
Sa{)er da luì, firima eh' altri *1 di faccia.
Lo Duca: Dunque or di degli altri rii:
Conosci tu alcun che sia Latino
Sotto la pece? E quegli: Io mi partii
4&
50
63
M
e»
45. Venuto a ma», fcooto «lU na-
ni, in potrre.
48. Ifui te. QM«ti è Giaropolo,
•Tvero Gampoln, oatA ili geotil duoaa
nel Brgno tli Na^arra.
50. TM. iin|irn>crliè ella m' avaa
arvlo cT «n ribaldo, da un trijita a, ca^
tiro nomo, rhe avrà iM'fiij lagurato la
Tita e le tnalanpe ■««.
52. Poi fm famiglia (varj tetti /k.
■lff/to|. GnnuMilo, inwi*n«itt railuln in
povertà per gli srialari|uiiin«'ntì di Bae
padre, fu da sua niMdre piMU» a aervire in
coite di'lrbuhlo rodi Na^arra E questi
l'ebaldo \ I cuolc di Seiaiiifiagiia e «M'oa-
du re di Navarra. Fa iiUidio prinfiiM,
ehiana m guerra ed io pace, protei tor
degl'ingegni e enlliir non liprege^iile del-
la poesia e della moaica. .Mimi in Trapani
nel 1 270, nrntre turnava da 'I nnisi eidla
oasa del aantu «•«* iiasrent L«mIo« icu IX.
53. a far baratteria A traflirara,
abiuandu del favara del mio ùgaure,
grazia ed impi^fai, fradendoffi al M-
gliore 4>rr^reiite.
58 Tra male (Ira crailclì)f«flf0l.
Mod» pniverbiala cba «ifuìfica eaatf c^
lai vipnuti» iu mano di gesta, da evi Mi
riitea rioe%ere che alrano. il Cadiei
al. 3I7U legge Trm wtah arme*».—
iorto^ per ford»
GO. mentr' iu lo'nforeù. llaiiCf«,fi»
chi, io Ui tengo praaa tra la aie bracai,
tra' miei artigli : il che per aimilitadHM
ba il<>tto inforcare, equivalendo ^ocUa
braiirhe a un rure«ioa. INceat medaà-
niaiii<>iite inforcare tm cavallo^ ap»
punì» perrhe cilindrai tra la dne «aacc,
che fiirmann una forra.
63 7 die farcia, lo faccia in brani.
di. or di drgiiaUHrii, Of òìmm
i nomi dagli altri rei.
ttS. IjoHinn, sta peritaKano, e Diali
lo BM alti evolte in questo acnao; ceai
nel Vomito . // noftift««tmo noffri llh
lino Guido MlvnIeftUrano.
CAHTO ▼ERVmilOSBGOlfDO. i
Poco è da an, che flb dì là viciao:
Cosi foai^ io ancor con hii coverto,
Cbè io non temerei ongiiia, né ancino.
£ Libicocco: Troppo avem scflérlOy
Disse; e presegK *1 braccio col mnciglio,
Si eh», stracciando, ne portò an lacerto.
Drai|JM|{Ìliiiiii anche i volle dar di piglio
Gi& dalle gambe; onde il decorio loro
Si voIbb intomo intomo con mal piglio.
Quaod* dli un poco rappaciati foro,
A Ini «^ ancor mirava sna ferita,
Dima|4l|jS IHica mio senza dimoro:
Chi ta«i^d|^ìfÉ cui mala partita
DMliì^ftÉÌBBli per venire a proda?
Ed elfiepose: Po irato Gomita,
Quel di (Sollora, vasai d' ofrai froda,
Ch*ebbe i nimici di suo donno in mano,
E fé lor sì, che ciascun se ne loda:
Denar si tolse, e lascici li di piano,
Si com* ei dice: e negli altri ufici anche
447
70
75
SO
So
f7.tkt IkMU vieimà. Ittleoii :
ML éotaio, doè tolto U p«M.
7a. m§trU, atfctUto.
72. lonrto, la parte ad braecM dal
) ; na Tal* aoflM in ge-
di cai— ^afaia*
n. I «tHi; a lai toIU. QmIì lei.
*fmallinii terti, •mmut pwlarifcila
fMi M>f MWMarto alle naiWM*
74. énuiim, il decriona, il capa
4db i^rìiM, cbe é Barkariccia.
75. mmmrnl fi§li^ con nal viao,
«■ ■■■■eaiea» agiiard*.
7iu nnpf ciiitf fmr9, ac^vetoli !«•
7A. éiwmm tmmm ditmra, ài
^ aalirki : • %m\ a>fwfira iuéìtgis.
7a-a0. Chi fu eolui {\rài i veni
m • 9J) ém emi mmtm frtìim Di
fét «r. UàamA : da rui dici eba li par»
Éai fcr !■• Mala veatara, • ia imI
^Mto. — fl pwrfs, aU'erle dalle ito.
(•• Mietile.
SI . frmU Gmmlm. Era «n frale di
lo. EMendo eoatai raTorilo
da Mine da' Viseooti di Piia,«f«er« di
Gallerà ta Sardegna, aboaè delia graiia
di lai, Irafficaode ad far karatleria di
digeilà e officj, e faceodo altre frodi,
b Serdegaa era a qael leaipo da'Piaa-
ai, ed era di^'iee ia ^aettro fpadieatara,
cioè Cagliari , Logodoro , Gallara e Al»
borea.
SS. di imo donno, dd sa» lignore.
Il trale ebbe ia mio potere i aeBÙà di
Nino, e per poco deaero li laaciè ia 1^
berte, ti rbc di lai ti ledaroao.
S5-S6. e lm$eioUi di piana, Si ea»
ai' et dire. He piano è locoxioae dd
betfo latiao opposta all'altra de fr^
^nnaii, e osta dal diverto nNtdo di
leoere i giadisj e di tbrìgar le canea.
Qai vale : acaxa tdennilb di proccaae,
alla buona. — 51 com' ei die§ aigatSea :
eooM rarronto da tè OMdetiina. Alenai
pcntaao rbe qudla pi epeaif ieae iaei»
dente ei eoai' ei dice , appelli tprdaU
aaente alle frate di pimno atala da frate
Gitmita ael raecoolare qaetto aaa rìla»
tciu di prigioni ; la oaal lucazioae dicane
eti^err kUta del dialctlo eardo, ed otarn
•ac'oggi.
Daratlier fu non picciol, ma fovrano.
U^a con esso donno Michel Zanche
Di Logodoro; e a dir di Sardigna
Le lingue lor noD si sentono slanci»,
Omè! veduta l'altro che digrigna:
r direi sonile: ma io lemo eh' elio
Non 8* apparecchi a grattarmi la tigna.
E '1 gran proposto volto a Furfurelio,
Che stralunava gli occhi por ferire.
Disse: Falli 'n costà, malvagio uceeJlo.
Se voi volete vedere o udire,
Itìceminciò lo epauralo appresso,
Toschi 0 Lombardi, io ne Tarò venire,
Ma slien le male hranche un poco in cesso.
Si che non leman delle tor vendette ì
Ed io, seggendo in questo loco stesso.
Ter un ch'io son ne farò venir sette,
Quimdo surolcrù, com' è nostr' uso
f
•
W Jowono ìd rriilii inprcmn
nnn >i >(tli»D> rnii di p»Ur< delle ror
88:i/B,taB«™.-dDn«.,,.d™,
drlli SirdcRni t Ione ■ oinprdelli bi-
IÌT* siadkili»; il che Aon, d.c mi-
l< itsria di Sardcgni.chu Adcluli fi|>lii
di HlrìlM 111 ut"'^ d, l,.e«duro. <■
Ieri! d. nirnire an kub.
92. f'dfrtCmcHi, dirci «llnoMi
nuU la prìiH niue «yu iiwhIv BiI-
dsU iiKiwrD di GiUnri, dr.ni onilcbs
o,ife.ilc<(iidin.
83 0 sr-l(.™.- !■ «ig™. -od.
■AB* di •rdt.viDU •p<«> Eoi» RrIìo 01.
Kiirrile i plrtw, per dift gragUrml
Undogli ìd d»U> il Gìud.cal. di U-gi-
rirria api d< 111 d«ii>i. — prapoUa,
doro, (ha on li prnvindi |,ÌD «Ini
dalli tmrUl. frr«poii(uj.
■un» àlituiUi >nd< dil •«.• •Ilio il
nb) il MMX dì tolfo di pmwm, rf
iie«rolo par l> pamit di Barbuitaa;
dil »dn n di S.rdf|iiii , cK-fi •
GId.IicjiIì di L.in'.<l.,r<i > di Gnilin, < li
■ ini il rnm« arnM.
riunì» lino .1 I3]<), rp,.,. in »ì fu.
400. •Mo/f InndU, aane, inmi'I
ddlo, i di..ali almi arn.aii dàW M
riibili «Miai. - Ili**. ... f» Mlt», Ili»
» in rP«.», in diafane, dia»*)..
Din in IHMH di lui, llm'Iui i|h«i«
101. Mia torvaikrfrilf.- della IM.
Bitn« Unu mia» di «» E»>». dilli
Vhìì C. XXXIIl.
l
-lOS. Owwl» iM/^lcri e
Di l^re allor rhe fuori alcun si mette.
CagnazEo a cotal motto levò 'I muso,
Crollando 'I capo, e disse: Odi (naHzia
Ch'egli ha pensalo per giltarsi gioso.
Otid'ei cb'svea lacciuoli a graa divizia,
R̻po=e: Malizioso son io troppo,
Qaando prornro a' miei maggior tristizia.
Alichia non si tenne, e dì rìnloppo
Agli altri, àme a lui: Se tu ti cali,
r non ti verrò dietro di galoppo,
Ml) batterò iiovra la pece 1' ali:
Lascisi 'I collo, e sia la ripa scudo,
A veder se lu sol più dì noi vali.
0 lu, che leggi, udirai nuovo ludo.
Ciascun dall'altra co^ta gli occhi volse;
Quel prima, eh' a ciò fore era più crudo.
Lo Navarrese ben suo tempo colse.
Fermò le piante a terra, e in un pimio
450 DELL IlfFEBEVO
Saltò, e dal proposto lor §i sciolso.
Dì che ciascun di coi pò fu compunto,
Ma qoei più, che cagion fu del difetto;
Però si mosse, e gridò : Tu se* giunto.
Ma poco vtLÌse: che Tale al sospetto
Non poterò avanzar: quegli andò sotto,
E quei drizzò, volando, suso il petto:
Non altrimenti V anitra di botto,
Quando *1 folcon s' appressa , giù ^ attufTa ,
Ed ei ritorna su crucciato e rotto.
Irato Calcabrina della buflà.
Volando, dietro gli tenne, invaghito
Che quei campesse, per aver la -zuffa.
E come*! barattier fu disparito,
Cosi volse gii artigli al suo compagno,
E fu con lui sovra *1 fosso ghermito.
Ma r altro fu bene spariier grifu«;no
Ad artigliar ben lui, ed ambedue
Cadder nel mezzo del bollente stagno.
Lo caldo sghermitor subito fue:
tes
150
135
140
123. dal proposto te. Spiegano ■!•
cani: «i icto<«e,8Ì libri ò, Jal pit>po»itfl.
dal JisegDO, che i diavoli avrao tatto di
•cnoiarlo, appena fosse stata sudisfatta la
corìnaità de' Poeti. Altri dicono, che il
proposto da coi il Na% arrese si srìolse,
è Barbarìccia gran propnato , capo, dei
died diavoli , il ouale lo tenea sempre
inforcato. Io preferiscu la prima , per-
cbi è da supponi che B411 barircia si
foife già ritirato con tutti gli altri dia-
voli dietro la ripa. Vedi il v. 113.
124. (fìrfi//>o, di boitojnimantinen-
le. — fu compunto, riiuast* ctmtristi.lo.
123. J/a^uei, cioè Alirhino. — che
eagion fudel difetto, il«-l FmIIo ; cii>è,(be
persnasc di lasciar Ciampnlo in liberti.
127. J/a poco ratte, cioè poco (>li
valse. — rhè l'ale alsonpettn er., che le
ali non poterono fare Alichinu più \rloce
di quello che il ionprtto, la piiuia, fa-
eeaae veloee Ciampolo. La Nidub., ■
qaalche Cod. hanno poco % vnlge.
429 B quei drizzò ce. Alichtno, il
anale discendendo vrrso la pt*ee aveva
petto rivolto air ingiù , lo dri/zò oa ,
rivolamlo al luogo donde si era
130. di boUù, di subito.
432. Ed ti, il Caloona.-^mllo. per
U alaiichexza.
435. Irato Cmieabrimu ee.: Calca-
brina irato eMUroAlickiao éelUi èufm,
della burla ec.
4 .1 i- 1 55 . im9m§kito, noè , dkaidara
so, ovveni, lii'li», coatenU», Ckoqmai,€kc
Ciam|Milo. campane, acampaoan, noosi
lasciale raggtugnere, per aver tm zuffa,
per a\er egli motivo di amifUni caa
AItchino.
I5<>. E mme, e qaanJo.
1 57 . Cittì, tnolo. — al 890 eoMjM-
gno, siipra, o contro Atidiino.
I5H. E f^ con M.... $kérmittf a
si atlMci-ò l'Oli Itti.
4 5U . hntc, cioè veraneala. ^ tp^/^
rier grifagno, sparvien» adilesbala a
pretiare ; e qni meuforie. par valaraM
ed ani ito.
1 tu. Ad artigliar Mi M. «M a
prender l' altro, Calecòrt'iM, aa|ii ai^
tigli.
142. Lo caldo tgktrmiiar «a.-^ 3
caldo della pere fu sfhemitora, ciaè
fa cagione r«e qaelli si igkaraMaara,
•i 8cÌ4iglieMerv. Sghermira è il aa^
Crarìo di jfhermira.
) VLIlieuMCIfiBCONDO.
rlla però di lavarai era niente.
Si svieno invbcate l'ale ^ue.
Barbarìccia eoo gli altri suoi dolente
Quattro ne fé volar dall'altra costa
Con l«lti i raffi, od assai prestamoule
DI qua di là discesero efit polita:
Porser gli nnchii verso ^l'i^iporàli,
Ch'eran gii cotti dentro dalla crosta:
E noi iBKiammo lor cosi 'mpacciatì.
N3 Ma pTi di letaniK.: mi p*mi>«ìeI{.b<Ìi> ptr kct
tpptTlim» di CSI (tlerrEn i
VAIVTO VCMTESnun^BJH».
Tacili, soli, senza compagnia,
ÌT andavam 1' un dioanzi e l' altro dopo,
Comi
i frati r
a in ^a la fatola d' bopo
Lo mio [len^ier per la presente ris«,
Dov'ei [larlò della rana e del topo
Chi più non si pare^^ia ma e ii^sa,
Che l'nn roll'allro fa, se ben s'accappia
Prracipio e fine con la mente (i^sa.
^ it . tatUl..toU it. D;»»cbe *ntL inni^r* ■■■ l»p«. M km** ni i.
'u» dopo rat-
;o>i(«<i frali aa nilibiunJXM nlla ■»» di l«
«ndar l'ana di.ara Hanlt din <,iini* htali dil
■<y ravarv, ^B^w Hupn tHaHuaaa U "" '--- -l^- ' -
raaavftuBaut*, raaa nhr itrond^viiH.—
■..li. t'Bao .litiw dill'allr». frntiè l'ai»
fmaa.-qaal'ainiaBWtiDni.-cMim.dto
wlli J^IlwJ. .Sttf!
\'u.U !*iK-tm if furo tlirwn. ^. Priwipinrftu
I5S DELL* niFERNO
E come l' un pensier deir altro scoppia, io
Cosi nacque di quello un altro poi,
Che la prima paura mi fé doppia.
Io pensava così: Questi per noi
Sono scherniti, e con danno e con beflk
Si fatta, ch'assai credo che lor nói. n
Se Tira sovra M mal voler s'aggoelTa,
Ei ne verranno dietro più crudeli ,
Che cane a quella levre cb* ^li aocefla.
Già mi sentia tutto arricciar li peli
Della paura, e stava indietro intento, so
Quand* io dissi: Maestro, se non celi
Te e me tostamente, i' ho pavento
Di Malebranche: noi gli avem già dietro:
Io gì* imagi no si, che già gli sento.
E quei: S* io fossi d* impiombato vetro, tt
L' imagine di fuor tua non trarrei
Più tosto a me, che quella d'entro impetro.
Pur mo venieno i tuoi pensier tra* miei
Con simil atto e con simile faccia.
Si che d* entrambi un sol consiglio lei.. ao
S* egli è che si la destra costa giaccia.
Che noi possiam nell* altra bolgia scendere,
Noi fuggirem l' imaginata caccia.
s'<ireoppfa,ii ennrronta,il prioripineit 25. S*{o fOMii te. Se io fo«i «M
fino dei dae avvenimmo •opmddctti. •pMcbio , non rìcevorci I' iamiafiM
Primieramente la rana macchinò contro oelie lue corporali seBbiaoie |Nè preate
il topo, come Culcabrina contro Aliclii- di quello ch'io riceva queUm dT^niff
■0 j in fine capitRrono male il topo e la ci<»« quella dciraoimo tao. — imptirt^
rana per il nibbio, come i demnnj per attraggo e atarapuin me qvtsi u pielrt.
la pece io che rettamao preti. ^- Pur mo te. Pur ora m e^
40. teoppia, «buccia, vien fonri. nobbi che i tuoi pemicrì eruBoin latit
43. per noi, da noi. Altri spiegano : •■mili ai miei ; però deliberai di Ura èà
p9r eagion noitrn ; per avere tapettato che tn consigli. Io conaagaana del dal*
che fosse appagata la nnslrs coriotìU. to di sopra, i peosierì di Dania laaill
-15 mài; rechi noia, dispiaccia. no alla mente di Virgilio; a pattili pr^
46. •'0^9u«/fa,«'aggiangr;a^9He/fa- tentijche avevano faccia a attMgiiitnIi
rtè8ggiagnereÌìloafiloperfarm4ta»sa. di paura, enmbioaadoai parlallaaeall
18. eh* egli aeceffa, ch'egli afferra coi peosierì di lai steaia (di Yir|iKa|,
col ceffo, col muso Intendssi : per es- •> risolverono tutti ioaìaosa in ■■• m^
ser Terso di ooi, giunti che ci abbiano, dcsima driiberarioDa.
più eradeli nello straiio, che un cana 51. S'egli é ae. Sa atnaM aha k
evlla lepre che giè tieae col ceffo. ?**. destra costa sia ioclinata eooM all'aUra
Irebbe anche spiegarsi: piò feroci che ^^fS^^ •■ che ooi ^l■Biii■lHl^i^l^ ffà
eane alla lepre contro coi dritta il ceffo, nella sesta, ae.
20. DtlU paura, dalla paura, per , ^- l'imeiginuU etueU^ fisii aa^
aagioae della paura. — e sfava indietro ^* ^* immaginiamo a ' '
imiento, e badafo dietro a me. ««o pv darci i demooì.
CANTO TENTESmOTEAZO. 453
Già DOD compio di tal consiglio rendere.
Ch'io gli vidi venir con 1* ali te^d, »
Non molto lungi, per volerne prendere.
Lo Duca mio di sobito mi prese,
Come la madre ch'ai roroore è desta,
E vede presso a sé le fiamme accese.
Che prende il'figlio e iìigge, e non sf arresta, 40
Ayendo più di Ini che di sé cura.
Tanto che solo una camicia vesta.
E giù dal collo della ripa dura
Snpìn si diede alla pendente roccia ,
Che r un dei lati ali* altra bolgia tura. 45
Non corse mai si tosto iMX]ua per doccia
A volger ruota di mulin terragno,
Quand' dia più verso le pale approccia;
Come 1 Maestro mio per quel vivagno,
Portandosene me sovra 'l suo petto, iio
Come' suo figlio, e non come compagno.
Appena furo i pie suoi giunti al letto
Del fondo giù, ch'ei giunsero sol colle
Sovresso noi : ma non gli era sospetto;
Che r alta providenzia che lor volle ò5
Porre ministri della fossa quinta,
Poder di partirs* indi a tutti tolle.
Laggiù trovammo una gente dipinta, (*)
M. CiénoBCOiiipioit.fCMA, non 48. «pproeeic, ti africÌBa. Quando
aveva mtmr ioiir di «aHIcra, dì pal^ l'aera n awiriaa alle pala ddla mola,
«rai , ^MBta mm c»MÌffio. ka pii Talocilè.
4*-4l a««ii t'mrmlm cv. Caslr. a 40. vioagn» : il TÌTayiio è V attre-
ial.: Kaa ■ tratticoe ocppar tonto dia miU della Ida: ^«i per •inùiitadiDa li
n taaia alaaao «na raaicia. corando chiama con lai noma la ripa, dia è Torio
fi* del iflio alio dH ano podora. della bolgia.
4S. émt€9ÌU, ddU «ma. S2-55. al Ulto iM fimd», al
44-4S. Smfim H dieét «e.; ai A- piano del fondo, ei<>è della feau. ^
Walanè cnlb peiaona volta all' ineè, sul tolU, Mila aommiti ddla ripa.
•Ifncóalaado collo reni por la pf*- 54. Sowruto noi , Mpro noi , ani
4mafinn,la^nalo Inrn, ckinda oIm^ natiro capo. ^ numon flt ara «ofiial-
nt onda' tali dair altra bot^. la, ma non v'ara da temere.— fM
4S. Jnciein, canale per cai icorrano i ^nì awarbio, od equivale a wi: aa
«••aline che vanno e mnover molo. aono altri aMmpj ancka in Dania
47. —li» iarraano, molino fabbri» almo.
«bai tarrtno, a difrrrema di ondU 57. Podar éip^rUnTUdi ae. To-
à» m Ihmo nelle navi eopra Somi, ove glie loro il polara dì aUrepamart i lcr>
r^fai nan ba daecia per cni cada d'alm mini di qnella fama.
«Un ad nriar nella pale, o ali ddU H Ipocriti.
***, ma va callo ctoaM movimcnin So. ^ijrinln: dico il^pfoln, parebè
^U ialatU la lar^Moadd SnaM. gPipocrìU col bd edera della virtn ri-
}
154
DELL* lffFEIl50
IO
65
70
75
Che gh« intorno asmi ron lenti passi
Piaogeado, e nel sembiante stanra e vinta.
Egli avean cappe con cappocri bami
Dinanzi agli occhi, fette della taglia
Che per ti monaci in Cologna hmì.
Di ter dorate son, al eh' egli abbaglia;
Ma dentro lotte piombo, e gravi tanto,
Che Federico le nettea di paglia.
0 in etemo faticoso manto t
Noi ci volgemmo ancor pure a man manca
Con loro insieme, intenti al tristo pianto:
Ma per lo peso qnella gente stanca
Venia si pian, che noi eravam nuovi
Di compagnia ad ogni muover d' anca.
Perch* io al Duca mio: Fa che tn trovi
Alcon, eh* al fotte e al nome si conosca,
E gii occhi si andando intomo muovi.
Ed ira che intese la parola tosca.
Diretro a noi gridò: Tenete i piedi,
Voi, che correte sì per Tanra fosca:
Forse eh' avrai da me qoel che tn chiedi.
Onde '1 Deca si volse, e disse: A^<petta,
E poi secondo il suo passo procedi.
Ristetti, e vidi duo mostrar gran fretta
coprono i bralti loro iriij. Ipòcrita è dal 69. firn /oro inaiewte, nello OMnle-
greco, e vale iimulaiort, matehera. sima dirrrinne ciie andavan cmì.
sa. aumi con iemii patii. Cosir.: 71-72. eravam nmmi Di cM^pa-
eoo poni «Mrf, molti* , l«oli. — giva gmia. Per la leiiterza di quegli ipocrìli.
intorno^ iul per la foiM eireolare. noi . ad ogni munrer d'aneu» cioè M
60. «laura perii giovo po8o:vtiila, ogni pasto, ci vedemmo o loto powMC
por l'aagoicia dell'aniuo.
6-1. Egli, eglino.
62-63. faltedella tagtiam. fatloflì
^el taglio, • foggia , che foni, ai fo ,
il aoo dai monaci di(U»luiiia, cillk d'Alo-
magna sul Reno ) cbe piirtavaiiv cappa,
a guanto dieesi , mcdtu ampie e mcie.
61. fi ek'ògli abbaglia. E un co-
«0
nnove.
74. ai fallo, per qnalchn edAre
aziono.
75. ft andando, cooUaaaiido toA
il cammino.
76. la parola toiea, U nudo Jd
parlare, la parlata.
77. Tenete i piedi: non correlo
itrvtto di seoao, dwvendiw i|ue»to verbo tanto; ovvero arretlate, fermaU 3
riferire al color d'oro implicito nello pasto.
aniooodentì parole : Di fuor doralo 78. l'of. che correte et. A coloro
ton. che ranno ti lenti, pare che l' andanr
66. do Federico oc.: cko quello de*dnc p«ieti sia on correre.
cW Fc«Urioo II aaeilovo ial*ineoliioli di 79. Forse eh* avrai ce. Qnoito è
loM maestà, lebbene Citerà onrn' caso netto porticolarmente a Dante cbo ovcva
di piombo, tarebbero parato di paglia eapresto il desiderio di coooocer q^nal-
in pormooo di qneOe Unlu pia paaanti ciino.
cbo iodosaaviBo gì' ipocriti. 82-85. mof frvr gran fretta DcU
i
CAVITO IBVIiaiBOrERZO.
DriPanÙM, «il mo, d'eaer meco;
Ma tardavali *1 carro e la via stretta.
Quando ftir graati» as^ai con rocchio iùeco
Mi rionrarofi aama fin- parola :
Poi si volsero in oÀ, edlcaan seco:
Costui par vivo. ali* allo doUe gola:
E ^ ai soB iBoriiy per ^al privilegio
Vanno sooverti della giravo stola?
Poi dissenni: 0 Tosco, cb* al collegio
DegT ipocriti tristi se' vomito,
Dir chi la se* non avere in disfiregia
Ed io a loro: F fui nato e oresciulo
Soffra 1 bel aone d'Amo alla gran vil!a,
E son col corpo cb* io bo aempre a^nto.
Ma voi chi sieto, a «ai tanto dii4ilia,
Qoaat'io veggio, dolor giù per lo gnance;
E che pena è in voi che si sbvilla?
E r un risposo a me: Le cappe ranco
Son ^ piombo si grosse , che li pesi
Fan così cigolar le lor bilance.
Frati Godenti fummo, e Bolognesi, ,
Io Catalano, e costui Loderingo
465
85
90
9b
10O
|tt
r«Bte«, €mÌTÌM&, Mgnifiea: ftlmv m^
ili «edv • «agli atti la hnmm intonia di
r Boa poleaB tadiifaga, ian
ial grava mm.
mtMm tmm ftrràh ètea ec.
i»«é, òaè ii fiabara
l'allm
■alaialU «ala cha
fal^ fliaèa
Vmmm fa r
^1
éJim frara éMm, 4alla capfa
S fimmhm. La siala era una Vftte laag»
mmat^pk prtwa i teatini t iGrrd.
flfr. iiflUla; aada a itila.
OS. éBUr: -^ai m ftwmÌ9 il Mara-
étà piaaia; la aaaaa par Vaf-
laUo.
SO. dba ai éfmrilla, cba à fa rtitn
aatealo. Si m«ì la Mlaoa A^arta pa-
rola. La aapfa afulgoraala pareva d'or»
a pnoM «iOa e •■ aagaa # eaawta,
adf «a pÌM»ko daotra e «o aappliiia,
eaaM la iiwai a la parala di fatati tpa*
erili parvaro ■• Unipa wom da nrtòf
ed erano figlie di con iumnm.
lUO. raiMa, calar d'arancia, àok
dorate.
1 01-402. cèe /f |>eW ae. Gba illara
SI . éimtimì : caci la ^•dob. o ^aal- peto fa e««k rtg(4arr (||fenNTe| le bilaaca
cW Cod La Baffivr parte dai leali pare rba dehboa parlarlo (le aima di am
ka éiattr ««, ^m carabW della dciaa iaaaritil.
pmrU aai dicaa Imi aa.. ta-
li aaU Cad. Caal.
alb dal di
paariti|.
108. Frmli G9émU. Frali di «■
ardina cavallereMo ietitaila per uaifcM
leracoalra fi' loladeli'a i ^iaialnri dalla
gÌMliiia. Il kla anno -era di frati di
S. Marta, ma faroao dal piada aopraa»
Hai. Hm» nnni«ti(»oileati,p>rrlièciaiaMaBBCfita
Aimr mollo a^ata e marMa.
104. io CuttUmmo ae.
456
DELL*11«FERN0
Nomati, e da tua terra inneme presi,
Come suol esser tolto un uom solingo
Per conservar sua pace; e fummo tali,
Cb* ancor si pare intorno dal Gardingo.
Io cominciai: 0 frati, i vostri mali
Ma più non dissi; che agli occhi mi corse
Un, crocifisso in terra con tre pali.
Quando mi vide, tutto si distorse,
Soffiando nella barba co' sospiri.
E '1 frate Catalan, eh* a ciò ^ accorse.
Mi disse: Quel confitto, che ta miri.
Consigliò i Farisei, che con venia
Porre an uom per lo popolo a' martiri.
Attraversato e nudo è per la via.
Come tu vedi, ed é mestier eh' e* senta
Qualunque passa rom' e! pesa pria:
E a tal modo il suocero si stenta
In questa fossa, e gli altri del concilio,
Che fu per li Giudei mala sementa.
Allor vid' io maravigliar Virgilio
Sopra cohii ch'era disteso in croce
fOS
no
ii&
420
fS3
Catalano dei Malavolti, « Loderìnso, e
secondo altri, Roderìco degli Andalo.Bo-
lojfnesi; il primo di parte guelfa, r al-
tro ghibellino, eletti podestà di Firema
nel 4266.
405-406. da tua terra imieme
prui. Come tuoi euer tolto te. Fam-
ulo «letti dalla dttk di Firenia noi dae
all'uffizio di conservatori di paea, o di
potetti, eom'è coatome che allo stCMO
fine t'elegga nn nomo solingo, «n «omo
straniero, aolitario, e tenza aleno rap*
porto nella citth.
407-408. e ^«mnio tali re. Quando
qnettì buoni frati ebbero in mano il go-
verno della città, n raanir«tò la loro
ipoeritia, poiché corrotti dai Guelfi tur^
bareno la pace , cacriando « pers^i-
tando i Ghibellini ed ardendo le case
loro, « aegnatamente quelle degli Uberti
«ho erano nel Ganlingo; del qnal no-
mo ti ebiamaTt una contrada pretto Pa-
lano Veecbio, dove i alila la Dogana
fino ai ooatri giorai. — «irar H fmn,
ancora apparisce par le ruiae.
409. 0 froti, ivoitH maii... i aaa
rcticcnn. SappliKasi san km wurUmii.
440. agli occhi mi eone^ éoè ad
Tenne vedato.
444. I^ croeiflMto: «na cha «i
ivi rrocifiiso.
4 16. CoMiglià i Fmriiei «. Qaa-
sti è Caifaaso, che dM« od 8ÌMdMa:
• expedit «I mnui moriaimrkmmfn
populo, • matdwraado call'aaair éà
bm pubblico il suo odio coaCro Geti
Cristo: e a buon diritto ha tra ri'ip»*
criti ffuello stesso sapplisia di ahan ai-
gione all' innocente oppresao.
448. Jllraaertalo, eoa' egli fll-
trarersò aa tempo i pasti dd Uam
di Dio.
421 . il suocero, il sscardaCa Abm,
suocero di Caifasso. — «1 itetUm, palÌMi|
è tormentato.
425. Che fu per UGimieiee: cba
fruttò ai Giudei la distnuione della laro
cittì, il disfacimento della laro aaiiwii
a la dispersione per il moada.
424. vid' io mmrmtigHmr Ff^fW».
Virgilio mostre aiaravialia fona pir
^adla inaolila diversità £ sapaliiiai et
cai BOB polfira conoscere la ci^wBa,clM
il iatracdava coH' istoria dd Cristo.
GAMO V£f«Tfi»IMOTBAZ0. 4^~<
Tanto vilmente nell* eterno esilio.
Poscia drizzò al frate cotal voce:
Non YÌ dispiaccia, se vi lece, dirci
S*alla man destra giace alcuna foce,
Onde noi ambedue possiamo uscirci iao
Sena costrìnger degli angeli nerì.
Che vegnan d'esto fondo a dipartirci.
Rispose adunqpe: Più cbe tu non speri
S*appressa'un sasso, clie dalla gran cerchia
Si muove, e varca ^tntti i vallon feri, i3i
Salvo eh' a questo è rotto, e noi coperchia:
Moutar potrete 8tf per la ruina,
Che giace in costa, e nel fondo sopMrckia.
Lo Duca stette un poco a testa china;
Poi disse: Mal contava la bisogna 140
Cotul che i peccator di là uncina.
E 1 frate: I* udi' già dire a Bologna
Del diavol viq assai , tra* quali udi*
Ch'egli é bugiardo, e padre di menzogna.
Appresso, il Duca a gran passi sen gì, i45
Turbato un poco d' ira nei sembiante:
Ond'io dagf incarcati mi parti'
Dietro alle poste delle care piante.
Tmnto Tilmeni€:eoa Unto ••• per csn Mlire. — « nel fondo ioper^
, p«fCÌoccbè tatti lo calpe- Ma, • rìioTi, t'alia dal foodo.
440. Mal conlava ee., cioè mala-
429 /W«: ^ è presa qvrtta parola Beota c'insegnava il cammino, dìeen-
■laiNÌcneBla per aignificara «par- doci: pnao è un altro teoglio ehe via
Mi • 9mna, fato. — la hitoyna, la rota Ja farcanda
4M. éagti angoli neri: aottint. al- 441 . uncina, piglia coir oocioo.
■H 4 42. r udi* già dire a Bologna. Al
W.S'mpi^reetaun iotioec.^aoì lamento di \irgilio d'estere stato in-
^ ■• allr* di quegli scogli die rici- gaonato dal diav»lo risponde il frate,
4mt|^ argrai ed i fessi purlrAdosi dalla die altro non sì dovea aspettare da Ivi^
y fan ha, cioè dalia circonrereua cbe, come insc^svasi nella Teologia
4d titibia ottavo, oasia dalla ripa ; io- scolsstira ali* Università di Bologna , è
*ns a cIm sedi sopra, Canto XVIII, bugiardo e padre dì falsiti.
**ss II. 446. turbalo d^ ira : per l'inganno
|3<. Saioù tk'a gueelo ec. Salso ricesoto.
<^ H laao è rotto sopra questo vallone 4 47 . dagt incaretUi, cioè da coloro
^^■riyacfili). e per consegaenza non cbe erano carìcbi delle cappe di piombo.
««SI ceparcbia al Tallone medesimo. Qnalrhe testo : dagl' ineajtpali.
4S7. U mina, il monte dei rei» 448. Dietro alle patte ee. Dieliv
1^. le orme segnate dal mio caro maestro.
4lt. Che giate in coste ; poìcfcè Alcnne edixi<«i hanno ptite, cioè ▼«-
^ bUa peode in modo dia si pnè stigia.
/
158 BBLL'UfnUUNO
CAivTO w KMTiairantijjtt».
D€$cri9t rÀtitkUri U $m i JMil», «Mi lutami F'ariM^ « «i*« Ji «^wmm
/M0. Cm rnmtftf étjjkottà « /«tiM mÀK I PomM /bar é^m Hlgim, rifrmàam 9im§arU amg^
0'm'iomo suilm èoigtm sttttmm, im Mi mMIh» <fw iwttiil ««f* 1 tmUfà é'^maU ém fmtUi tratti
»* imetmdumo, # a ima»ù a mmma nmtWi
é*i tmdn saeriiegkt, wm'fuaU Dma$$\
In quella parte del giovinetto lÉno,
Che 1 Sole i crin gotto PAqnario lèmpra,
£ già le notti al uÈbodV^ vann):
Quando la brina in solla terra ÉaaempnL
L' imagine éR^saa sdralt 'bianca, 5
Ma^|ioco dura alla' sua penna tempra;
Lo villanello, a cui la roba manca.
Si leva e gaarda« è vede la camptgpa
Biancheggiar tolta, ond'ei si batte l'anca;
Ritorna a casa, e qua e là si lagna, iO
Come M tapin che non sa cbe ai fiuch;
Poi piede, e ta spera ma ringavagna,
Vcggendo 'I mondo aver cangiala laccift
In poro d'ora, e, prende suo vimailrp^
£ fuor le pecorelle a pascer caccia: 10
Cosi mi fece sbigottir lo Mastro,
I In qmellm frU del gio9inttte 0. ti bmlle Tmm, mt MoMl
flniM (cnaiiiriaiiiio l'enne dal |M^inin dendo cbe tia neiiitto : l' anca i r
di fMinaio trconiU !«• atiU rfinannl, io che è tra M liane» e la coaew.
€■! il Sitle fa >i<tiorAi|Narì« pie ippidi ^ <2. la tpermmMm Haf«ra|av;
aiqoabta i toni raggi, i suoi crin. Il Vh^** '* ii|>erania; ù riaoieu. _
tempo (|«j accenaelo è circe le nclft di eirurifjiae di <|ueaU loniiieae t^Im de
fvbbreio. dice che derivi da gavagna, Toce roai^
5. B già le notti ee. E f ik le Ium- goimla cUe vale cesttltu, emneitro. Onde
gbe Bftlti dell'inverno vanm» fredala ingaragnan «ne ci^e, >er eiallerte
neete dioiinuendo, per divenire «(«bìì nei eantitro; e ineUftirice «cole W^f«*
el ginrmi nelle duiaU. Questo averne vognun cki!«t:bcaeie, per riprtméÉfU^
per I' aveeiarai del «ole verao le linea riguadùgnmrlo . AUn diee che de Gè»
'equatoriale. vaiitM del lei. barbero, che veieve lo»»
4-5. asiempra€€.i ritree, rieepia, »iU», glamiula, si fece il verb«f«»«-
V imaftine drlU neve. filare e gavigmare^ die Mgnìficò pret^
6. Ma poco éura alU tua penna der per te garigne, «aeie per il celle:
tempra, l'uicbé il Pi>eta ci pieRcniò la il ^ual verbo «i uiiò p«»i anche gcoenl-
brina nell'etio di ritrarre e ricopiare mente per preniiere, a/ferrare <|Qel»iea
le neve, be Vidnin ciMilinaare le pera»- coee; omle respres*Ì4iue ringavagnar
oificeiione io tutta le prepnelà, den. la eperunza, non «uol dir ellro che r^
dtfle eneo l'iittunient«i Cf-n ebe ai riet». prendere le tperenie cbe ere fuggile.
Eia, la penna ; alU qnair dire rlif p«H-n 46 Coti mi fece ee. Le cnin|»era-
atta /a fempra, la tmiperalnia. pei- lionc che haute f^ di le «tesso sbi|;Httìlo
che stru(*({eniiiiti prr«tn, non può durar d*^l tuiba.iientu di Virgilio, e piti ri-
luogeoieote e ricopiar le neve. eoufuiuto del vedergli reseei-cnela la
cAirro ▼EimsmoQUABTo.
Qnand* ior gK rìdi si tnrbar 1» fronte,
£ coti toElo al mal gimise lo 'mpiastro:.
Che eome noi Teirimmo al guasto ponte,
Lo Duca a me si volse con quel piglio
Dolce, cb" io vidi in prima a pie d^ monte.
Le braccia aperse, dopo alcun consiglio
Eletto seco, riguardando prima
Ben la mina, e diedemi di piglio.
E còme quei che adopera ed islima,
Che sempre par che innanzi si provreggia;
Cosi, levemio me so ver la cima
D' un itmchione, avvisava un* altra scheggia,
Dicendo: Sopra quella pol^f aggrappa;
Ma tenta pria se è tal eh' ella ti reg^a.
Non era via da vestito di cappa.
Che noi appena, ei lieve, ed io sospinto,
Potevam su montar di chiappa in chiappa.
E se non fosse, che da quel precinto.
Più che dall'altro, era la costa corta.
Non so di lui, ma io sarei ben vinto.
Ma perchè Matebolge in ver la porta
Del bassissimo pozzo tutta pende,
f69
20
26
30
Zò
""■^i A* ■• fMlirc «l'ofai coM tprw-
'■'■li. chi mrlr» pem wcir favrì •
^■Hr UtH frcggia Tvdc tatU la mn»
f^ Uhm , fMTcliè il raitrro m di»
foiiaa m •mr'era.ttmlU dai ra^rgi
*hri !■ bina ch'egli credeva neve.
!■■• tona «jt'mic* aspetto, ed egb
|f>Mdaaaìa«; ^iic»la comparaxiooe,
"An, «aa paè «aar uè piò leggiadra
^ fm aaetirameata Tcilita. — lo Ila-
Il- Mal l0f lo fé. ; eoo «goal pra-
am «ha al villaacllo , givua a me il
Minto, Vimpimiiro.
U. • ^ M OTonlf . date gli ti (eoa
■MMv la prnaa vnlta. Vedi Ganla 1.
21-24. Le krmeeia ajitrtt... e «Na-
te « fifMa. Hi lulae di pcao eoo
mW la kraraa. — éop9 mlntn eomt^
fliaar. N«4a il pregi em* delle coaa:
*Mna la raiaa, ai eaaaiglia seco slaao
M Bada S aalirc per rMa eoo qael
^aa H coHa f elegge I caegaifcc»
ti. K emme pigi te. E rome fa coloi
^ ^Mle, Bieolrc culle maoi opera ona
COM, cogli oecW ae affisa «a' alCn re.
26. rW flmprv par dki m.: lai-
OMnleriir pare ehi ei teaipre proTTrg-
ga alle cose rhe verran di«pa.
M. ftmeAioae, rocrhia grande,
groaia peno di pietra tporgenta —
arHtova. afB^saTa, osacrvafa.
50. ti rtggia, U rrg'va.
51 . Non erm via re. Qaella aoa era
via par la qvale poti-ase andara ehi arcasa
avotit indinao vetta larga r talare, e mol-
to meno la plumbea stola dagl'ipocriti.
52 i'ipinlo, da Virgilio
53. 4i chiappa in chiappa: diiap'
|Nl vale ro^acommla a potersi chiappare.
Qni intendi, dì pietra in pietra, che po-
teasi cktapf are, prendere culle maoi.
51 da quel precinto, da qaall'ar-
gioe eingrnte la fnssa.
56 «orci ben vinto. (Soè: la aia
torve ben sarrbbrro siale vinte da qael-
l'altetra, e non avrei potati salire. Si
noti farei ctafo invece di earei italo
vinto; sertind» la forma lai. «iclui
ettem^ cnme il fotte di sopra, nel v»-
lure dei fkittet latino, foue italo.
Lo silo di ciascuna valls porla,
Che l' una costa surge e l' ultra Bceode:
Koi pur veniniino alfine in su lo punta
Onde l' ultima pietra si scosreniJe.
La lena m'era dclpolmon si munta
Quando fui su, tb' io non polca più oltre,
Anzi mi assisi uella prima giunta.
Ornai convien che Lu cosi li spoltre,
Disse '1 Maestro, che, seg^iendo in piuma.
In rama non si vien, né sotto coltre:
Sanza la qual chi £ua lita consuma.
Colai vestigio in terra di sé lascia,
Qual fumo in aere od in acrgua la schioma.
E però leva su, vinci 1' ambascia
Con l'animo che vince ogni battaglia,
Se col suo gra\'e corpo non s'accascia.
Più lunga scala convien che si saglia:
I
I
39. £at>l*M., Il •Irotliiri didi-
Iodi o li Dolleiu d« poleoU uM-
mi» lille, porla, do^, t « titu i di
W D.It.r., .!« «.
40. CAd'una rolla Mrf< te. Tedi
ullo collr* non c»l *»!»» t,itn. m>
llCinloXill, T. SSiDimU.
•bbiiu. putto ÌD prìndpio- C .Ikrt '
luU dlUtolU «. - Ih IH la pula:
tODlulamenlc leto il conecUo, cbe mtr-
wllMB»>.i>ili<l.ll>.rg1d..i.,,ro.
»2. Onàt 1' «[»»» ficiTt •( Ica-
tCMd». At cui ■■ Hlliai pirtn del u-
mu^'de* Hp'c»'é delti ^v'irti, nt |"»
dnlapwila li dÌ>licDi,Dipnrgii inIuDrì.
43. fi MURI*. ■) CHIUlt.
■lo , chi 11 piioli rallrt «(oilclu m-
Vi. Hftla piima giimla. >l pnm«
prrla dt Mia. nlln l'uajito M b dìo
pmt«, ri.. H. f«i eol.«tì.
ie.duluteA lUpullrt. linci la pU
!u«Jw Ari«lo, S... ni !
|nd>iSf>«aiTcll»a.il.p»-uli pro*e.
40. Sanw la flual. ciò* ««« l>
Coti-. Clit non ti c(?n( l'n fama leg-
quii Um».
f«^ in ph«., ni .l.«do'i«lh. c«l-
S3 rinMiVHilalIagKa, Tip» geni
fr*. L'Ini, btiiactn^e. - Il ck. SLr«.
wlacolo.
■Ili inlcninuti : > irgMudo in pìun» ,
51 Si wI imo gr<i« eor|K> «. $>
ni» Iniicae col tu» luiLuiili 1 |ri>(
««bmU din: lUndo io «io «m a
SS. Kù Wwja Itala te. loleadi;
pit»qii»tinii»l(H«brÌU<te1 ionie,
nim bull di ewro pauilo In iti >pi-
Bà U |»mti torUi» t le «Ilo di.liiuiugi
tn fll ii<«dni . (ptreccb» del faaldic-
aaelli d'I Pnraali<rìv per ulin al l'i-
■hiDB fl ononxno le gnndi Jignill).
[(duo. H«ril«.cnl<>; DM buM KM- ll-
Ut ia, pvftundn che non temprr i dmU
«wrìfiaeledl(i>il&HguÉl.i.a.l ..lun
• d].I.Ii«,.clM>.rt»ol>dec.to[.
i«cù„i.l«eiu.i. "^
CANTO TElfTBSIMOQUAElO.
Non basta da costoro esser partito:
Se tu m* intendi, or fa si che ti vaglia.
Levarmi alior, mostrandomi fornito
Meglio di lena eh' i' non mi sentia;
E dissi: Va, eh' i* son forte ed ardito.
Su per lo scoglio prendemmo la via,
Ch'era ronchioso, stretto e malagevole,
Ed erto più assai che quel di pria.
Parlando andava per non parer fievole;
Onde una voce uscio dall' altro fosso,
A parole formar disconvenevole.
Non so che disse, ancor che sovra '1 dosso
Fossi dell' arco già che varca quivi;
Ma chi parlava ad ira parca mosso.
r era volto in giù; ma gli occhi vivi
Non polean ire al fondo per 1* oscuro:
Perch' io: Maestro, fa che tu arrivi
Dall' altro cinghio, e dismontiam Io muro;
Che com' i' odo quinci, e non intendo,
Cosi giù veggio, e niente aflBguro.
Altra risposta, disse, non ti rendo,
Se non Io far: che la dimanda onesta
Si dee seguir con l' opera tacendo.
Noi discendemmo il ponto dalla testa,
Ove s' aggiunge coli' ottava ripa,
E poi mi fu la bolgia manifesta:
161
«0
65
70
75
SO
57 . Hvagliat ti sìa stimolo e conforto.
58. Leea'mi, mi levai.
60. forte ed ardilo: il primo ri-
guarda fnattoato il corpo , T altro l'ani-
nao j e vale franco, eoraggioto.
62. ronehioio, bprn«iccoluto, aspro,
cfaa non ha superficie piana, ma rilevala
io molte parti. Qualche testo roeehioio,
64-65. Parlando andava: iocam-
inìaaTa e parlavaper mostrar forza ; per-
loebè fai nHito dalla seguente bolgia.
Ta che non tì distingncTa gli ometti.
73. Dall' altro einghiOtC\okt\\*9Ì'
tro cerchio o argine ond'ècinta FottaYa
bolgia, e che è più basso.
74. Che com' t'odo ec. Che come io
odo di qui le Toci de' tormentati, e non
le distinguo si ch'io possa inlendeme
il significato; ovvero, come io odo il
suono, e non intendo le parole; cosi ec.
75. a/figurot discemo.
77. Se non lo far. Se non operande
66. diicofwenewile, mal atta a par- come tu mi richiedi.
lare. Era uno ta ira, eome dice sotto ; e
ii^'ira,aa è veemente, la voce esce inar-
tiedata, e simile pinttusto ad un ruggito
70-74. gli occhi vivi Non pò-
team «e. Quel che avviva gli occhi è la
laee proportionata. Dice dunque cho
per la aearsezza di eesa non poteano
1 aaoi fianger nel fondo t>trt, cioè
79. dalla tetta, dalla estremità.
84 . £ poi mi fu la bolgia manif^
tta. Si avverta che i due Poeti non di»
scendono in questa bolgia, la quale tutta
rìbrntica di serpenti , ma rimangoue a
rìguarHare sotto il capo del ponte m uno
sporgimentodel muro, su cui discendono
per mezzo d'alcune pietre prominenti che
oeNa lare piena attività; onde avveni- ferraono chiamate ftomi nelG. &XVI.
li
I
L
E vìdivi eotro terribile stipa
Di ser[)enti, e di si diversa mena,
Che la [Demoria il sangue anror mi scipa.
Più non si vanti Libia con ma rena; a
Che, se chalidri, iaculi e farce
Produce, e ceneri con anfèsitiena; ^^M
Né Unte pesLilenzie uè si ree ^^|
Mostrò giammai con tutta 1' Eliopìa, ^^H
Né eoa ciò che di sopra il mar rosso ee. ^^H
Tra questa cruda e Irisli^ima copia ^^H
Correvan genli nude e spaventale, (*] ^^H
Senta sperar pertugio o elilropia. ^H|
Con serpi le man dietro avcan legate:
Quelle ficcavan per le ren la coda s^
E '1 capo, ed eran dinanzi aggroppale.
Ed ecco ad mi, eli' era da nostra proda,
S' avventó on serpente, che 'I lrafi*<o
Là dove il collo alle spalle s' annoda.
Né 0 si tosto mai, né I si scri-i'e, loo
Com' ei b' accese e arse, e cener tutto
Convenne che cascando divenisse:
g3.ilips,mn1l>lu<1intinimunlii>lB. Di qnrttv urie sn«i'* di if cpiDlì ledi,
R3. iiuna. ip»>e, <ii»i!;u » tu,.,, ì n.lunliili.
8t. rhelamrMurtsK lat. 1 (he 88 W^t Moto pntllniic , iotondi :
Il rìcordin» Ditrarn mi iHpa. mi gat- ifnnlf « i|diiI' enno in (gnclte bulgia.
ita, ni alleri il itngug per lo ipe- — Pftilmtie tift ifiB ptMfiri. itit-
VMla. OMÌ, ammali.
U.UtixUunivnideiOrfnlulla VJ J'£IÌDpia, din pratiodi d>l-
■mIIi Hrte del auDdo .h* ■ R-iioeni l'Afnc
pMiii eUiBurH» Afrin Gli tlwi Ha- Mh SicontU K.:iHf ìnìmàtn
«hI fow (Tti.*.. ddl'Ar. HM Af gira mer rw*. — M. MVHa di i. Smir |li
dfM*n<«JfirE)iitv,schvDi;a>raei(D iMìelii, eomr H-M. «ih. oérln*mr.
dMrlediB>nliia Ri quntii Libie di'Ku- DI npia. liitrndi, ili Miproii- —
BMÌ ant f*rit il ì'utu triilùnnia lie ani |g >l«w trnu die
U. CU. ■* w- Abbiimn prrririta il In. Irltrtima.
fMrialBiaadqiwlU dille N«lnb. ti~ l'I Udrl.
gnitaddLMnbiriliediICMe.rhrni, DJ. Simia iptrar ptrluflo m.
ehélidri.iaeuli' faritl'nnlutef.an- Smu ■ pere r |.»rl agio, [«n.de nacra-
cri an Itffit*!'» pecibe ultiF el non Jcniii, a rlilmpi* prr (eru ìarieìbìl*.
■ina* •inUai , • mei w cimnellr lutla qgnU : ti creilce eh» le pietre «hiMWta
taniai eapieaU Uni bii.ina lerienli elilruuie ««hh lirU d> raoda* iani-
di fMU Iwi» Ito» Bolle E-liui.» bile A, le piirle.i Hldiv». VxIhì mJ
I duU'uhiibi Fwreatii I><wB>ri>iia U Imose ■••elli di Cdm-
I L ^h «h. • •« wi diw>, tha * U Mr» doli. Ciar. Vili.
■li.l'wt ù'^Hi " ^ iwtir» predM, dilb fwU
MHi<h lidaeillitipe, BtaaùwniMt^^^—
E pti che fa a terra ai distratto,
La oener » raccolse per sé stessa,
E w qpMl medesaw ritornò di butto:
Coà per li gran savi ai confessa,
Che la Fenice nraore e poi rinasce,
(^nodo al cinqiiecentesinio anno appressa.
Erba né biada in sna vita non pasce.
Ma sol d* incenso lagrime e d*aniomo;
E nardo e mirra son i' ultime fesoe.
E qnal è quei che cade, e non sa corno.
Per fona di demon eh' a terra il tira,
0 d* altra oppiiazìon che lega l' uomo.
Quando si leva, che intorno si mira,
Tntto saiarrìlo dalla gnande angoscia
Ch' egH ha soflnia» e guardando sospira;
Tale era il paocator levato poscia.
0 giustizia di Dio quant* é severa,
Che cotai colpi per vendetta croscia !
Lo Duca il dimandò poi chi egli era:
Perch'ei rispose: Y piovvi dì Toscana,
Poco tempo è, in questa gola fera.
Vita bestiai mi piacque, e non umana,
Si come a mul eh' i* fui : son Vanni Pucci
Bestia, e Pistoia mi fu degna tana.
E io al Duca: Dilli che non muccì.
«63
101
ilo
ii5
iW
125
Hi. 4m ^mei mudetmo «e., n rìfeM
fé madtmmo gpirito di prina. — di
m. mm r mtUmm f^Mm, um Vnì-
^■i», mtà quaU poi, Meondo U
Inìì- ■—■ ■ abbniciaU Nota la ir«-
i«É «i ^csto traslato eba il Pla«4a ha
Nto ètbm aamifliatira ch« , almeno
Et aarti etteU» , bao tra loro la
tea «■• a'avvolgnoo fi' iafanti , a
>^«^ aoaeUi preparano ai loro
lai. fecero gli anticbi aoma^ eba poi di-
Tcane eom».
H3. per fona di dmmm: eona
avveniva degli oaaiiai stramaasati a terra
dai deroonj, aeeondo ohe narraà sei
Vanito.
Uà. o d'tdtra opfiiazian: t in
forca di oatnrale preeItnioDe , o altara-
tione del Snido amren, per coi l'aona
riman legato , qnaai fuori di vita, eoma
fi vede negli epilellici.
-•Qb ana daMe ^Utitme fmtee i pra-
«lori di cba ai cirmn<la la Feaiea
Dal r»4o, tutta qooila
ìniuta dal IV libra
/M d'Ovidio, aebbeiia
Pooipooin , Ta-
, Clandiano ad altri,
im9Ì cha aopra
Dal
420. erottia, rìoè
gii cun violenza.
hZi.Sieotmammteh'ffmi.y^mà
Fncci fu baalaedo di aaiaar Faonn
de'LaMah nubile pistoiea*; pai eie è<|«i
nominalo «i«lo.
42a. mi fm dtgnm imm, mxom
nido , aeoondo bii, d'oamÌBÌ BefaiMB a
beatiaK.
427. du non mueci. Il varbo «m»>
eterv, ebe rale ordiiiariuBtaU Vtf «rt ,
dell' llfFEBItO
E dimanda qual colpa quaggiù 'I pìnse;
eh' io '1 vidi nom già di sangue e di cormcci.
E il pencalor, che intese, non s' infinse,
Ma drizzò verso me l' animo e 'I vollo,
E di Irista vergogna si dipinse;
Poi disse: Più mi dnol che tu m'hai collo
Nella miseria, dove tu mi vedi.
Che quand' i' fui dell' altra vita tolto.
r non posso negar qoei che tu chiedi:
In più son messo Ionio, pereh' io fui l
Ladro alla sagrestia de' belli arredi; j
E Talsamcntc già fu apposto attrai.
Ma perchè di tal visla tn non godi.
Se mai sarai di fuor de' luoghi bui,
Apri gli orecchi al mio annunzio, e odi.
Pistoia in pria di Neri si dimaBra,
Poi Firenze rinnova genti e n
Mudtrt. ka qui il ngnificalo di leap-
arredi. Da no doenraanto «mteinpora-
nao paliblicilo dal prolanor Ciampi ti
1. tl>a Vanni Fatn dalia Dulca, Vanni
<|Uf eqniiile a ditti the non ci tcappi,
dalla H'inaa. a Vasai Mironna, pi.loia-
iHt mot, Intoni.
)i , (i unirono per nibara il leiara di
IS8. £ .(.'manda ; qu.lel,« !«(» : B
San I«^po; rha laalarcna di falli il
|[ran furlu, ma che nnn iu«nm lare
130- tv io -I (idi uon j« di M».
pianinxnle. rubili da qniltha mmore
}<M «, la loa lo co>«H»>a ptt \éÌ,„,
ibe inlctcm ; aha la «iuliiii taro tm-
«tar divorai conia K»MI> del dalitU, •
cno» tale, da e»er puoito io allro iao-
fa. — Col moalrariì ignara drlMcrilreo
Fu pmna perderne il capo; a ditlul-
mcnta prato Vaanì della HomM, M>-
alMItta dal Fucc, riene Dania a i><i-
fe.^ la Terill M fatto . i »oi «B.
430. «Mt-infiMt. dQDdhuiniiili,
plici.CIAiKannc aal I29S. LKipedii
QUO «culli qacl rhc di lui ti chiolaia.
di 8 Iacopo di Pialla dora aì cuModi-
t^2. di trisl- ttrgogna. Vi una
»iBo ì pr«i«; arredi , ara abianiila il
Tetarn ; partii è qni doli» lo tagrmlta
(allo, a qaatla i Mi. e unta: Ta uba
diMIi arrrdi.
lui'allra eh. nuca da diipiacare a da
44S-44S. dì KiH al dimagra; «
•IJR) i'oKn •«^xrlg, ( qaNli * M-
apopala, « rauU dall) parta D«a. La
/iTlaiona di PhIo» in Hiancbi a Nari «<r-
IWidailririi.
433. Clu fiia^id'i" fui «. Inlndi ;
Tanna oal 1500: « nel IIOI i Ku-
(ha quand» .1 h. n oii .trailo. Ìl db|^a-
ahi p«l»i.u dl'ainta da. BiancU Sa-
■fra del Farci duo luleTa naiceni da
limora d'inftnit . pnidocch* aranti tn
■mili, rilnipaliti ia Fir*nia, ed aoeaM*-
l'ii. alla parla nera, flcerv <i dx ipnla
nolo al Bando il toa del.Ua a la «a
pani i n* rIÌ dotna di do»r« la qaallo
prevalw alla h'anra, e •cBob il potar*
llIlB rallrgrara an no ocmira di parte,
aliami» alimi alla n> P.ata.a. anal
m Dania, cha pai ,a .p Urrà PirraWa
canihii nella rrpnliMiFi modi di n-
vemo t saiemanli ; Poi Ftrmf rim-
nova gnu > modi, illor. i Neri Ha.
■iMlH rKronl.L.
ranlini drlibtrarono di morer la armi
i BS. tarfro (.Ha JajrriMa da' hlll
conlro Piiioii dominili dalla parla
C^NTO VENTESIMOQUARTO.
165
Tra£:ee Marte vai)or di vai di Maqra, Ub
W è di torbidi nuvoli involuto,
E con tempesta impetoosa ed agra
Sopra Campo Picen fia combattuto:
Ond' ei repente spezzerà la nebbia,
Si eh* ogni Bianco ne sarà feruto: i50
E detto r ho, perchè doler ten debbia.
himt», t per ■•fjpMT ncarem d col- le storie pistoiesi ■vvenoe nel 4302,
kfumto cea Lacca, eletto capitano del- segnilo la resa di Seravalla, la dedizìona
Fi^yraia MarorUollalaspina, marchese di Pistoia, e la rovina in generale di
di Gievafalle in Lonigiana ; il quale parte bianca. Questo è l' avvenimento
rcaaa a por 1' assedio a Sera- che sotto alle|;oria vaticina a Dania il
itdlo inifMirtante de' Pistoiesi, ladro Pucci. — TraggtMwrUwtpor^e.
ìy Tcdnta il pwieolo che gli minao- Marte, il Dio della gnerra , trae, moo-
~ ìaaai e insieme quanta più gente ve, di Val di Magra (la Luni^ana sn-
• , t andarono incontro ai ne- periore cosi detta dal fiume Magra cbt
Ma il Malaspioa, sentito V avvici- la traversa ) un vapor fnlmineo cinto di
^oi Bianchi, «acì loro addoaso con torbidi nuvoli (il Malaspioa circondato
m iaspato , e gli sconfisse iiw dai Neri , che sono come ona nuvola
nel piano ikm è tra Seravalla pr^na di burrasca). Questo vapore ne-
' li , che è campagna Pascià* duIoso sarà combattuto acremente in
kcnte IHfeeiuf, e die il Campo Piceno :ond' egli rompendo dalla
Cmmpo Piceno t cioè Pi^ sue nuvole, menerà tal mina, che ninno
Alla qnal battaglia , che secondo dei Bianchi n'andrà senza danno.
CANTO ir^XTESmOQÌJWSTO.
il PmU m ritmmrdan mtiU ttttìmm holfis, mtdt Cmto Ctmtmum tk» tOftrU
éittrB mi ttttmmiator Ftautt Fmeti, mffotmmd» tkuui^t te lui «i samttrm. Bi^
iUrnstn Ftarmtmi A$ Jutm tmdri éM puUtm» dtimn, 0 él uti dt'
Al fine delle sue parole il ladro
Le mani alzò con ambedue le Gche,
Gridando: Togli, Dio, che a te le squadro.
Da indi in qua mi fur le serpi amiche,
Pcrch* una gli s* avvolse allora al collo, 6
Come dicesse: Y non vo' che più diche:
Ed un* altra alle braccia, e rilcgolio
«Isò ac. Atto sconcio tìchi, che anco su una torre della ròcca
i ia dispregio alimi, mei- di Carmignano, caitello del territorio
pistoiese, si vedeaoo due braccia di mar-
mo che lacean le fiche a Firenze. Vedi
Qio. Villani, lih. fi.
4. mi fwr h tarpi tmi€h§, VoUi
bene alle serpi, poiché fecero eonleflAa
Dd rasto qaest' atto dispai- in me ti desiderio di veder pooito Pan*
^ t JBpii limata doveva nella gara pio bestemmiatore.
* |Mi «MVf aaito ostte ag^i an^ 6. diche^ dica.
Ma i ilio gnaso fra l' indice e U
I. • le li afHciro, a te le indiris-
■|i b fa. PropriaoMnle iquadrmr§
^ «mìm teff , addirUsar$ 9oUé
Mia.' nwcBRo
Ribadendo sé slessB sì din
Che non pelea con esse dare un crollo.
Ati Pistoia, PL<:Loia! che non stami
D'incenerarli, si clie piìi non duri.
Poi clie in mal (m- lo ^eme tuo avanzi?
Per tutti i cercbi dell' Inferno oscuri
Spirto non vidi in Dio tanto gaperbo ,
Non quel che cadde a Tebe giù de' muri.
Ei si Tuggi, che non porlo più verbo:
Ed io vidi un Centauro pien di rabbia
Venir gridando: Ov'é, ov'è !' acerbo?
Maremma non cred' io che tante n' abbia,
Qnante bisce egli avea su per la groppa,
Inlìn dove comincia nostra labbia.
Sopra le spalle, dietro dalla coppa,
Con r ole aperte gli giacwa un draco,
E quello affoca qnaluoque s' intoppa.
Lo mio Maestro disse: Quegli è Caco,
Che soUo il sasso di monte Aventino
Di sangue Tocq spesse volle Iseo.
Non va co' srioi fralei per u
Per lo furar frodolenle eh' e
8. RaaJmdu Bitadirtn
I
L
Ddl'uie, poKÌaclii ntr quc
trtpilUM IMO DhiaJg.
io. thè «oli Monst. cbe ami bU-
biBid, percht dmi dclilMii.
ti. (Cfnmvrarlf «., il'ibbniBir-
ti, il elw pii Bm lii.
43. Poi Chi la mal forw.. pntSè
inferi o«l nula operarci Inni anUmll,
eoi i KÌitli fmimi ili Cilillni, rifug-
iili MJl'igra piiUitH. Suppoaa fiuta,
■ biw eniUrui nal ti.lga li lusi l«ni-
|ii,cki pan Mrli iIfì Piiluimiaìsceiidn-
uroduHltirilidiCatiliiii.cKcralliiD lo
> laro dlHgnrt eviilrn li pilrìi,
Un
ti n'i r«a*r(«: <
lì F«ti'.
tnitaio .
1 0 . Ifiimiiiiu: i In i>^ p( InlM del-
la Tmub*, hI quale inna buu ia pia
ptr lo groppa, m p<r la
'21. nailra tatbia, unirà fonila
£2. diXrodaSa coppa. odia OBCa.
H . E f nell'I B/Toca H. E quel
(oatTuvciiabbrgnaiiualniiqBaita-
pa. <'inn>Bln. con cno Cenlaiiro.
SS Quegli i C«a. Quota taoHiao
■ ^'Virsilù
ma e iada*a Giarp r« dall* filinre
pan«H,<|ìèJaqiH4tapr*rlpiuU.V«li
aC*iiteXIV,tcn.4eaa.£.
le. cht luiB parli pie ttrie, eht
«M dìoi pili pò rota.
(rfT.p< di
nù fari : per la qnale nprtaniMOul*
lo ha errdiilD d'Ila rana dai CanlnrL
28 ftM CD to-iuà fratti n. Km
>a ÉB «iiuuagn>a df|;li aHri CmMdì cha
alaniH nal crrrliiD de'itulentì , ptrcbt
■gli BtAla Cruda nal rubare, mi II tom.
3D, Tir lo forar k. Caca r«bt ìt
Taccile che Ercnle faiceTa pt
la Ataiiliao. » irwBJdt rt
CA?(TO TKRTESIIlOQnmTO. 467
' Del grande annotto, eh* egli Mìe a rìcino: so
Onde cessar le sue opere biece
Sotto la mazza d' Ercole, che forse
Gliene die cento, e non senti le dìece.
Mentre che si parlava, ed ei trascorse:
E tre spiriti venncr sotto noi, .36
De* qnai né io né '1 Dora mio ^ accorse,
Se non quando gridar: Chi siete voi?
Perché nostra novella sì ristette,
E intendemmo pure ad essi poi.
r non gli conoscea, ma ei segnette, 40
Come suol seguitar per alcnn caso.
Che r nn nomare all' altro convenette,
Dicendo: Cianla dove fia rimase?
Perrh* io, acciocché 'I Duca stesse attento,
Mi posi '1 dito sa dal mento al naso. 46
Se tu sei or, lettore, a creder lento
Ciò eh* io dirò, non sarà maraviglia.
Che io, che 'I vidi, appena il mi consento.
'««cafliiiujìarc «innclietrofino aMasaa dannati traMadrì non per farti prìrati
'Htrt , acciocché Ercole non potesse • vili , ma perchè posti nei primi cari-
*'*He e discoprire il furto; ma le ehi della Repuhblice ne distrassero a
'*erW mogghiaodo mero Tana la fro- loro prò le rendite, e s'arricchirono a
*'^n'astato, che sotto la clsva d^Er- danno poLblico. Vedete che bricconi 1
c*i« cadde morto. Vedi la descrizione Queste cose, grazie a Dio, non si sentono
èàUtu'm Tito Livio, lìb. I, e. Vili ;
• il Virgilio stCMo, Eneid.y Uh. Vili,
Hn« 413 e seg.
Sf. • tirino^ in TÌcinanza.
SI. 6tere,m<>taf., cioè torte, inique.
(|nelle parole che oggi si
esriasivamentc in eh€ o gke
Mv«MÌ mche in et o gè per l'affi-
■iti dei 4«es«oni: cosi direvasi, per es.,
' e/f fire in lango di piaghe e fltiehe.
S3 CHene die eento ee. \ uol dire,
étwtkXtne Ercule nel suo furore dcase
• Ctc» ccBlo pertoase, c(«tai non scoti
U deÓBa, poiché era gii morto ai primi
S4. ti perfora.
Virfiilio. — «idH;
passò oltre. Ved
b «■ a valore di eceo, o oppmifo.
b. K : 5|uiadi, • allora. — <re jpi-
HK. Oblili seno Agnèl Bmnellcschi
^^■ÌcvÌm U dice Àgtutio: vedi la
«H M^, Bmoo defili Ahati e Pve-
òs Sciancato de' Caligai , tre cittadini
'HPMfdcvoli di Fireiue; i qoali aon
a' nostri giorni. — wtto noi, cioè sotto
l'argine »ul quale eravamo noi.
38 Perchè nostra novella, per lo
che il racconto del caso di Caco si ar-
restò, Ci>«SÒ.
39. K intendemmo fmre et., e
d'allora badammo pure , solamente, a
costoro.
4 1 . teguilar, arrenire.
42 Che V un ee. Intendi : che al-
l' uno di-'oancosti sotto il ponte, conce-
nette, convenne, fu bisogno di Bonina-
re V altro.
43. Cianfa. Vuoisi che costui fioiae
della fanit(;lia dei Donati di Firenze. —
ditte fia rimato ? Coti dicoce, perdio
Ganfa era sperito trasformandosi in
serpente, rome si ved rè io segoilo.
43. Ui poti ec. : ouenlo è il argno
che si fa per chieder silentio.
48. appena il mi CMwenlo, tppcne
io il credo a me slesae ; ovvero , epoe-
oa posso convenire con me medeumo, cho
il
I posso COI
fatto da
me tedoto na vtto. Ok ér-
468 DELL nmRMO
Com' i' tenea levate in lor le cifi;lia, ^
E un serpente con sei pie si lancia
Dinanzi all'uno, e tutto a lui s'appiglia.
Co' pie di mezzo gli avvinse la pancia,
E con gii anterior le braccia prese;
Poi gli addentò e 1* una e l'altra guancia:
Gli diretani alle cosce distose,
E miseli la coda tr' ambedue,
E dietro per le ren su la ritese.
EUera abbarbicata mai non fue
Ad alber si, come l' orribil fiera
Per l' altrui membra avviticchiò le sue:
Poi s' appiccar, come di calda cera
Fossero stati, e mischiar lor colore;
Né l'un né l'altro già parea quel ch'era:
Come procede innanzi dall' ardore
Per lo papiro suso un color bruno.
Che non è nero ancora, e il bianco muore.
Gli altri duo riguardavano, e ciascuno
Gridava: 0 me, Agnél, come ti mutil
Vedi che già non se' né duo né uno.
Già eran li duo capi un divenuti,
Quando n' apparver duo figure miste
In una faccia, ov* cran duo perduti.
Persi le braccia duo di quattro liste;
Le cosce colle gambe, il ventre e il casso
Divenner membra che non fur mai viste.
70
75
gnifica che il tenso coatrastava in lui
eoU' intelletto, che non potenclo conce-
pire ane com si nuova, iacIÌDa>a a cre-
der fallace la \ista.
49. Com'i^UneOt mentrMo tenca.
50. E un serpente^ ecco che an
aerpente.QnefttVra il Irahrunnato Cianfa.
51 . all'uno, cioè ad AgnèI Brunel-
leschi.
55. Gli diretani, cioè i piedi didie-
tro.
W.tr'ambedue, tra le due cosce.
ti. s'appiccar, t'attaccarono, s'in-
corporarono.
63. Kirunnèl'àUro, cioè colore.
€4-66. Come procede ec. Non altrì-
aanti au per lo papiro, o carta, cui siasi
cppiccato il fuoco, Tedesi andare ionao-
u alla fiamma | on color brano , che
non è per auche nero, e il color hitian
di mano in mano alterarsi e memi.—*
Il papiro è un arbusto egiziano, di dM
gli antichi preparavan la carta.
C8. O me: lo stesso che
Agnèl: dall' accento qui necesaaiM £
questa parola parrebbe che noa Um$ h
popolare alterazione di AngelOf ma n il
troncamento di Agnello,
72. duo perduti, ilue insiema
fasi, l'uoiiiu ed il serpente.
75. Ferti le braccia ec.
ed intendi : Le braccia, di qaattr* Grti
che eran prima, si fecero, diventaroat,
due sole Iute. Lista significa wi Inif»*
stretto peno di checchessia: ma qui vi^
ne trasferita (|aeb(a voce a sifoifiearo li
due braccia dell'uomo e i d«e piadi aa
lartorì del serpente.
CAUTO TBRTBSIMOQUINTO.
Ogni prunaio aspetto ivi era casso:
Dna e oesson V imagine perversa
Parea, e tal sen già con lento passo.
Come '1 ramarro, sotto la gran fersa
De' di* canicular, cangiando siepe,
Folgore pare, se la via attmversa:
Cosi parea, venendo verso l' epe
Degli altri due, un serpentello acceso,
Livido e nero come gran di pepe.
E quella parte, donde prima è preso
Nostro alimento, air un di lor trafisse;
Poi cadde giuso innanzi lui disteso.
Lo trafitto U mirò, ma nulla disse:
Anzi compiè fermati sbadigliava,
Pur come sonno o febbre T assalisse.
Egli il serpente, e quei lui riguardava:
L* un per la piaga, e V altro per la bocca
Fumavan lorle, e il fumo s' incontrava.
Taccia Lucano ornai, là dove tocca
Del misero Sabcllo e di Nassidio,
E attenda a udir quel eh* or si scocca.
Taccia di Cadmo e d'Aretusa Ovidio:
469
so
S5
90
95
'^ ffmi frimaio otpcUo ee.: ogni
•ipHto dell' ODO « étiV litro
^'owttrto, perduto.
T7. pertersa, perrertìta , confoM.
71. • tei, « in tal forma qaal'io
'WdamiU.
'9 mmmrOptptnedì locertola. —
^frm ftrtm: fenm par derÌTato dal
Im. fmm^ « vaio hoUore, ardore. Al-
<M k aaaloodooo eoo ferzo, lat. fé-
fili; aa io pcaao col Gberardini che ia
flipatroso aia dall'altro diverio.
M. Ù^ éTeamieular, no'gioroi che
iSdbèaalU cottollaziooo della cani-
•k cioè mI aolliooo. — e4tngiando
■ift «. : aa per pasaare ad altra tìepe
%!!■■ la via , aeoilira una folgora
Q. r«p0, la panca.
S. M aerpmUUo. Qneat' à il tra-
AoMla Fraocaaro Guercio Cavalcauti,
»i ■ ékk all'«ltÌ0o Terao del Caato.
^tmm. latcadi mccuo d^ira.
tt. f fMpll* p«rff «e., cioè il bcl-
■*. par cai il falò naare alimento nel
86. all'un di lor, intendi a Baoao
degli Abati.
8d-90. thadigliaoa. Pur come
ionmo o febbre l'astaliue. Il mono de-
gli aspidi e di certi altri rettili produce
u realtà il acono, a cui poi tnccede la
morte. — eo' pie fermali , fermo aa i
piedi.
93. il fumo t'ineoiUrava^ percioc-
ché dall'uno passava neiraltro scambie-
volmente, ed operaTaii cosi il muta-
mento delle natura. In questo fumo
adunque s' accoglie V intima sostenta
dell'individuo.
95. Del misero Sabello ee. Costoro
forooo soldati di Catone, i quali paaaao-
do par la Libia furono punti da serpi
valanose. A Sabello per la puntura si
diatruaM il corpo, che in breve diventò
cenere : a Nassidio si gonfiò in modo, cba
la eoraua scoppiò. Vedi Lue., lib. 9.
96. ii ieoeeoy cioè si lancu dall'ar*
eo; ani par metaf. vale ti wumifuto,
VJ. Taccia te. Ovidio nel 5^ delle
Mtetamorf. narra come Cadmo figlio del
re di Fenicia Agenore , e (oiidt\ioc% &
I
DELL IKFGiUrO
Che se qadlo io serpente, e quella in (oole
Converte poeiamlo, io non l' invidio:
Cbè duo salare mai a fronte a fronte
Non (raamulò, si eh' ambedue le forme
A cambiar lor materie foaser pronte.
Insieme si risposero a lai norme,
Glie il serpente la coda in forca fesse,
E il feruto ristrìnse insieme l' orme.
Le gambe con le cosce seco stes^
S' spfHCCsr si, clie in poco la giuolara
Non hcea segno alcnn che si paresse.
Toglioa la coda fes.*^ la Ggura,
Che si perdeva là, e la ^ua pelle
Si farea molle, e quella di là duro.
r vidi entrar le braccia per l'ascelle,
E i duo piò della Gera eh' eran corti.
Tanto 8lluni;ar quanio accorciavan quelle.
Poscia li pie ditetro ia'iieme aitarti,
DivenlaroD Io membro che 1' uom cela,
E il misero del suo u' avea duo porti.
ungiiln in HTpcBlt ; a Ini !>• ì Ldini dinira ttiUgla orr
kidw><Mlttr>«. P<r-
I cW Ovidio
la Xt ira A,
quella dia t
Umatarìa,
Mli nmapBur» gli usi a|li >Jtn «u
4DI.I-MU, ditlaai
•t*aadfvrniar«)iirdi
tu. £ 1 l^riut. I
lalminl.
' In lorg. che i
0 poco d'ora la
Ii«aia
ar.(l«rnt.ra)
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ani» din, al».
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5erpai.lL.
r«<.N Mirar Jatweù»
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tdni» Il
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m dol Wltla.
113
dk' (TOH corti. InlnJi ì pia
J.^a.li,
li animili toa».
..pp^i^B.Vi
corti dMnVdi
HI.
■»dla, cM la dt«U ima»
dall' OHI,..
tipilM.-ipia
dIddMItfWt..
ut!
S U -iui-. .
M tm --«»
■nuia itrt tatilu atto purli t
; i pMll. Coé Dduliro, DI
CàmO TENTESIMOQOINTO.
Mentre che *1 fomo 1* uno e 1* idtro vela
Di color nuovo, e genera il pel suso
Per r una parte, e dall* altra il dipela,
V un si levò, e 1* altro cadde giuso.
Non torcendo però le lucerne empie.
Sotto le qoai ciascun cambiava musa
Quel eh* era dritto il trasse in ver le tempie,
E di troppa materia che in là venne.
Uscir gli orecchi delle gote scempie:
Ciò che non corse in dietro, e ai ritemie.
Di quel soverchio ié naso alla foccia,
E le labbra ingrossò quanto convenne.
Qoel che giaceva, il muso innanzi caccia,
E gli orecchi ritira per la lesta.
Come face le corna la Inmaccia:
il\
430
126
130
■vtic|iBW iwpfttti— 3rret«iie. Te-
^ '• fÈt%t» BMlamorlofi la pcrpctaa
)*nfiiMliiua dell« norw, cone to-
fn U ^10 il Po«t« : il srrpf , o lu-
<*1iliMj fa BBciubro tirile delle gambe
nati; e Fsome fa gambe aerpertìoe
UaeiCBe bipartito ; e co^) nel resto.
III. Memtrt che 'l f^tno te. Meo-
te^H foiBO èk il Culaie del aerpe
iI'hw, c quello delFoomo al serpe;
«■i avrpeste genera il pelo umano,
aalrt b loflia all' nomo cbe diventa
arpe fa.
Ut. Uptl «tao. Il pelo per la su-
iU. £'••, il serpente rbe si can-
ai il MBao. — V mitro cadde giuto.
L'mmB à alene p<*r terra nella ma
421-123. U lue*rM empie. Sotto
bfaai ee. Generalmfnle per qucRla
ihanw •* intendono sifnifirati gli oci-bi
iBli 4c4l' nonio che deli' animale, per
kwà gaardatura reeiprnca si mutarono
Fa» acir altro. Ma il R*'«^tti dice
ée MB ia fona del guardo si operava
li inafinniariiinf , ma si per le due fn-
■■i carretti cbe a vicenda dall' uno
•iF altra penetravano. Lucerne empia
), ascondo lui. sono dettr per
la piaga delP uno e la bocca
aada il fumo asalava: la
Ci ImmÌw non caiaarono. ancba dopo
Fan ti Irvi a V altro cadde, di rima
l' ana all' altra, a d' ineofr>
trarli le dna caalaaoni, aotto rattiviUi
d^le qnali aiaacmio ^dna cambiava il
ano musa, o la ana fMicia primitiva. Può
darsi, dirò io, cfaa la mutua trasfor»
mazione si operasse per T azione riunita
del guardo e del fumo, a che il Poeta col
nome di Iveeme empiè abbia voluto ai-
gnificare del pari a gli ocebi a la aor-
gente fumosa dalP uno a dall'altra. Vadi
Uv. 9leaeg.
124. Quel ck'€ra drilio, cioè que-
gli cbe era divenuto nomo. — il tratte
ia ver le tempie, ritirò il mnao aar-
pentino verso le Impia, aceorciandalo
aaeondo l'umana forma.
423. E di troppa laateria ee. In-
tendi : E del ao^erchio della materia on-
d'era composto il muso serpentino, e
che venne verso le tempie, si formarono
le orecchie.
120. gli orecchi delle goie tcem-
pie, dalle goie cbe prima erao Ksee,
da cui cioè non sporgeaoo gK oraocbi.
Altri, tra' quali il C4«ta, leggono: le
orecchie delie gote teempie ; e spiegano
le orecchie teparmte, tporgenti dalle
gote, come uHko le nmane, a diflaraata
di quelle dei serpenti.
427. Ciò che non corte ee. Onella
parte drl muso serpentina cbe naa e»>
irò nella teaU, reato fnofi a fanaara il
naso della farcia naana.
430. Qìftel ehegiaeeBOt aioè Paona
€^ va trasformandaai in serpente.
432. face, fa.~ fciNMtcWK V
E la lingua, ch'aveva unita e presta
Priina a parlar, si fende, e la forcuta
Nflir altro si richiude, e il Fama resta. 13^
L'anima ch'era fiera divenula,
Si fugge sufblHndo per la valle,
E l'altro dielro a lui parlando spula.
Poscia fli volse le novelle spalle,
E disse all'altro: 1' vo' che Booso corra, f«»
Com' ho fati' io, carpon per questa calle.
Cosi vidio la sellima lavotra
Mutare e irasmutaro; e qui mi scusi
La novilA, se Bor la penna aborra.
Ed avvegnaché gli occhi miei confusi <-*>
Fossero alquanto, e l' animo smagato.
Non poter quel ruggirsi tanto chiusi,
eh' io non scorgessi ben Puccio Sciaocalo:
Ed era quei che sol de' tre compagni.
Che venuer prima, non era mutalo: *B*>
L'altro era quel che tu, GaviUe, piagni.
IS3. 1 la fortula AdCoItmee. («erti IritlpuBto uri btrticalui £ l*r
gUKrpcDle.'~nrùJ»'Hdi, ■ iti bollii più eh* DCll'illn, p(r <*
— Tttla.trtn: mftaioUiaci»- l'uiime g«iirji* h* inFtitrta ^iul<*'
••ulu il IDI) nuapitaendi. rit«He. JIt<'rra * da ahorran, it0*
— i.-j ._ •! L_.,__ jo„„ ji aberrart. tcdubitU V* ^
0, rami) in ilirt Bir«l« à iti* v>MÌ*'
jii •■«•■■
AÓ^rpartand/npufa-fii
rie. UXIriiqH
>lDnB*- uni fiorito Altri hi ipiefalv, aUfP
LIPuil* rari per ntlUr torra, lupafaM-
ÌDlH)iKl«iaiiÌ iti lulln *IM ad iMIt.
■nenie llb. BdaimgiMrU, v<|t»iIlDaf*i.
li pDM ita, magalo, •hiueid dall* •>•
ncuro- alUiiU, ilopi'lalii'.
117. lapin ckiuii, linls uam*
1M. Salirò «e.: àot mW d>
vino tono* di «>rp«t« tert Bmm té
bellicn. Qmtdi i mmt FnnoMetar
eia CeialuBli GonicitiM, wriw il ■•
(nra A Vii d'Imo delta Giirill*. Htf
piagni, poitU ftl TewlelUddUBBW
CANTO TEIfTESIMOQUINTO.
173
W Cmleaati tmnmù meem nolU dei rAliffbierì, oè ertdo che da tutte 1«
noi «liitiQti. — Qi«slo ranto delle tra- aDtiche e moderne letterature doìm pro-
(Imurinoi è eoo dei piA solenoi mo- darsi aoa descriàone di ak Wu eri-
natala della maraTigUoaa fantasia del- densa.
CANTO TEivn»inasE9T#.
ftr ffi i^trttml massi, «ft* ia^fmrtmù s€^m m semsétn, rUalimm I Potd sm lo seogUo; ptr
^fmmsmà» M i»t gimmgme sàTMumm Mgim, BUm ^Imsds é'buuumsrmàUt Jtnuumsllt,
rma MTstttm éUtùUs, « 9tmsmm él ssst dtiuéa In ss mm psceators. Qmuts il supplitlù éi M
riva'* rsUmi émmmm «oa mstmti s fmdMsmH tmuigti, Mmwmsmti dtmtn m ummjlammta fortitU W^
»iéi I CUsm, Imdtrittm Fìrrilia, psr eomfim$$r» mtPJImmmm, Ui pmrUm m qiustuMm»^ t me hm
'«Mt éMs smm infsUta iMVif asJow.
Godi, Fiorenza, poi che se* si grande,
Che per mare e per terra baili i' ali,
E per lo Inferno il tuo nome si spande.
Tra lì ladron trovai cinque colali
Tuoi cittadini, onde mi vien vergogna, 5
E ta in grande onranza non ne sali.
Ma se presso al matti n del ver sì sogna,
Ta sentirai di qua da picciol tempo
Di quel che Prato, non eh' altri, t' agogna.
E se già fo<«se, non saria per tempo. 10
Cosi foss'ei, da che pure esser deei
I.Cediaf. È ^oesUno' ironia piena none. Tra questi danni si possono an-
'ttarma e di dispetto noverare la ruina del ponto alla Car-
2. Cht per wuire e per terra batti raia , F incendio di 4700 rase, e le fo-
cali*: cka vai famosa per mare e per ruci discordie tra i Bianchi e iNen,eoae
km. tutto avvenuto qualche tompo dopo l' im-
S. t per io Inferno il tuo nome magtnata visione,
ii epmée. Perciocché in qnasi tntti i )(-9. di qua da pieciol tempo^ fra
flinAf S eaan s'incontrano de' tuoi àt- poco tompo — ^t quei, sottint. aintua
'"'' eota^ o t' avvenimento di quel ee.
40. non taria per tempo. Non sa*
rebbe presto abbastonza , mentendolo
ta da gran tompo.
4t. Coti fott'ei ee. Intendi: es-
sendo fatole che quatti mali drlla mia
, e si perversi li sof- patria accadsno, fossero pur eglino ao-
caduti gih ; perciocché, se ri tordano, io
ne avrò afiaono tanto piò grave, qnante
pin sarò presso alla vecchiezza, a mi te
disavvrnlurc sono assai pia temenlal^ifi
ed angosciose. Questo spieganoon où
par di tutte la pin conforme al cnot*-
sto, e che rilevi un piò giasto eoneetto;
i-
4-4. diafsie eoiali Tuoi eiUadiml:
tqm nnaainati nel canto precedcnto.
'-aàdir «< vien vergogna^ E tu ee. : i
fHft sa laa vergogna a me perchè fio-
iwiao cas'aaBi, non fan troppo onore
• k^li gcscn
7. Ma if prtffo ai mattin ee. Ma
^■■••dolB io, che di qnestu tuo p^
^tm e morate djs«>rdine sentirai in
danni , danni che li
nrdeoicnente non che i
teMii, te terre stesse del tue domi-
^; li te WM profezia pin vera e piò
*n%dail sogno che si fa soIPsurora.
^ ^ A(tts seeeodo nn' antica snpersti-
pemucchè in generale è vensatmo che
la giovrntn ha in se pio valide armi che
la vecchiezza contro le ittntwm ^mi^W
Che più mi graverà , com' più m' iMeSo[
Noi ci parlimmo, e su per le scalee.
Che q' avean Èlle i borni a scender prìu,
Rimoniò il Duca mio, e Irasse mee.
E proseguendo la solinga via
Tra le scheggio e tra'rocchi dello scoglio,
to pie senza la man non si spedia.
Aliar mi dolsi, e ora mi ridoglìo.
Quando drillo la menle a ciò eh' io vidi;
E [NÙ lo 'ugegno affreno eh' io duo soglio,
Perché non corra, che virtù noi guidi;
Si che se stella buona, o miglior cosa
U' ha dato il, ben, ch'io slesso noi m'invidi.
Quante il villao, ch'ai poggio si riposa,
Nel tempo che colui, che 'I mondo schiara.
La faccia saa a noi tien meno ascosa,
Come la mosca cede alta zanzara,
Vede lucciole giti per la vallea,
Forse colà dove vendemmia ed am;
Di tante llamme lulU ri^ilcndea
I , dinw ddli
Bi.SÌn^Jij^.l«^| P«|. ^ J!
)!., mi tu d.1**
« nutm* invidi, aw
toni, •pifinif
print imi la ili •■
ttadt dinnntn, tolge II riuln ( Bui*, ^»
•la aurals rìfliviiia* 1 auMrita )1
Po<^ ilala rHordtniadi qurltWnA
Doll'alla» tKitgia.ahtora'.ppar^olit
deiriiiiriids ( d(i ti[itt, ck* fvn ka
Ina, aaJar riil ncilt Iona dal lailri,
Vadl Gaal* UlV, icn» 70 a h^b.
^». U pie mia la man non ri
Jalsra • apatrito in •«Ikoia
il. Spthta •ntffito »
CANTO TENTESBIOSESTO.
L'ollav» Mgìa, si com'io m'aooorsi,
Tosto che fot là Ve H fondo purea.
E qoal colai che si vengiò con gli orsi,
Vide il carro d' Sita al dipartir»,
Quando i cavalli al cielo erti tevorsi;
Che noi potea si con gii occhi seguire,
Che radesse altro che la fiamma sola,
Si come narolelta, in si salire:
Tal si movea ciascuna per la gola
Del fosso, che nessuna mostra il furto,
E ogni fiamma un peccatore invola. (*)
io stava sovra *1 ponte a veder surto.
Si che s^io non avessi un ronchion preso,
Caduto sarei giù senza esser urto.
E il Duca, che mi vide tanto atteso,
Disse: Dentro da* fuochi son gli spirti:
Ciascun si fascia di quel eh* egli è inceso.
Maestro mio, risposi, per udirti
Son io più certo: ma già m*era avviso
Che COSI fQ<vse, e già voleva dirti:
Chi è in quel fuoco, che vien si diviso
17^
36
40
H
60
tt. Ià'99 a fètido pmrta. Ih dorè
^tf^Tr% , àvmin ti «^«vm il foodo.
ai. k fmai colui ce. In quella
niM fàm odm «e. ^a««ti è il profeU
... '— '« ■»>■■ o ttMto b«rref|r]fiiit«
wm» larM di pctoUtiti fannulii , li
e al «M» m«li-«lirf uarimn*
narrhia due o si rbe
di que' mmrhinHti »br^
. — fi «engiA si teniiirò
SS. Wiétii emm» ce. \'uW il earr«
, «««il* il pntfMa p«rtaU> ••
ifc»>«4uiiè L t«n-ra.
sa. ffrorai, è «in<f»p^ di ìfpvroH,
I già di lcv«roiin. co«h' nitri eretl«.
S7. Che noi poleo oc.: rhe r«irchio
I p«i>v« firn v««lrr0 né Elia . uè il
I, aé i ewaUi . ma «ednra tal*-
r ìm s|ilcod«ire ari fiiiico.
#, Tmi oc. la c«t'>l \\%\-% \ il tei
dal ^ai del verso S4 I ù «Irtta
r«%8oo per X as<-rtur« del
oaaraaa cliinileTu ia
Miaa eioatraTt il
ftlaatTa il pacca-
n Caoaiflicrì fraadolend.
45-44. twrìo^ Sioe.: ritto ta^ piedi
(bob pia carponi), a coti dal ponte
aporgeadooii cvUa paraoDa falla bolgia,
eM tfc.
45-4a. «rio, ariato. — allcfo, at-
tento.
47. Dentro dtf fi^otki, deatra ai
fuochi , alle fiamme.
48 <f« quei eh' fgK è liicefo, di qnd
fuoeo dal qiialf é acceso.
49 per udirti et. : doè Parerà a^
to le tor p nile fa che io sia più certo.
50 m' era ooriao, m'era aecerto,
o m'era miniafrinato. E il partie. tronco
del \erbo arvisarft V'ha cki orenda
avtrùo p«r luNite, in ««-bmi di opnrione.
51 e gùk wUra dirti E già «CaTa
per di*maii«iarti (•|a«4 rhe segve).
52 Chi è in qnei fmoeo ae. Chi è
ÌB qnel fu«ie«* che viime di«bo nella taa
cim4 , IO quella gniM cbe aarvrTa la
fiamm « d^l rogo di Elende e dn Poli-
nice T Kaccoota Slatio cba, aBBcado stali
5>*sti IO «n roedesiiMO rafo i cadaveri
ri dur fralrlii nemici, la fiamma bi-
Sa leiidfNi) d e«le «e(pt>» c«-iae l'ocKo loro
arasae anoma dopa la morta
476
DELL* IlfFERlfO
Dì sopra , che par sorger della pira,
Ov* Eteòcle col fìratel fo misot
Risposemi: Là entro si martira
Ulisse e Diomede, e così insieme
Alla vendetta corron com'all' ira:
E dentro dalla lor fiamma si geme
L* aguato del cavai , che fé la porta
Ond* uscì de' Romani il gentil seme.
Piangevisi entro l'arte, perchè morta
Deidamìa ancor si duol d' Achille,
E del Palladio pena vi si porta.
S' eì posson dentro da quelle faville
Parlar, diss'io. Maestro, assai ten priego,
E riprìego che 'I priego vaglia mille,
Che non mi farci dell' attender nìego,
Finché la fiamma cornuta qua vegna:
Vedi che del disio ver lei mi piego.
Ed egli a me: La tua preghiera è degna
Di molla lode, ed io però l' accetto;
Ma fa che la tua lingua si sostegna.
6S
6.1
6S
70
54. miso, messo.
56-b7. L'Uste e Diomede. Quosti
doe famosi Greci adii ali contro i Troiani
ordirono insieme molte frodi a danno
duMoro nemici. — Alla vendetta cor-
ron ee.: come corsero insieme a sfo-
f;are la loro ira, cosi ora corron per la
fossa dentro una medesima fiamma •
|iatìme la divina vendetta.
58. E dentro dalla lor ee. E nella
loro fiamma, dai medesimi Diomede e
Ulisse, si piange l'in{;anno pel quale i
'JVoiani furono indotti a ricevere entro
lo mera il gran cavallo di le(|no, dal
cui ventre uscirono i guerrieri che Troia
distrussero.
51). L' aguato del earai, ehe fé la
porta. L'insìdia del cavallo, per cui,
Troia aperta, i Greci v'entrarono, ed
Enea coi eompafjni ne usci , condotto
dai fati io Italia per fondarvi un im-
pero eterno, ed eaaer seme d' un popolo
magnanimo e glonoso. Quanto eoocetto
in quanto poche parole t
<H . Piangeriti entro ee. E in quella
lìamma piangeti pur da loro U frode
Ser cui Deidamia anche morta ai duole
'Achille ^ perche per essi fu da Ini, eoe
ilto in oui'lla corte, mandelavi delt
Ire leti per sottrarlo al fai* dhe
V attendeva a Trma ; ma scoperto per b
sposo, alibandonata, e pei • Polh
posposta. Era Deidamie 6glia dì '
mede re di Sciro. Di lei iddi
AeJiille mentre veatito da do3Da
occul
madre leti per
scoperto |
arti di Ulisse e Diomede, lo eai
alla guerra , e il fato fu pieno. Dì q[ut
remore nacqne Pirro.
63. E del Palladio ee.: e yì ■ ra>
il fio dell'aver rapito ai Troiaoi Peft-
gie di Pallade Minerva. Era fa
Troia sarebbe stata sicura dai
sin tanto che quel simulacro fa
custodito entro le sue mura.
65. astai ten priego ee.
quanto desiderio e quanta iostaosa e^o^
coglie in questo modo iogeono e ÌUM>
liare.
66. raglia mille, cioè wmfia per
mille priet^i.
6j . Che non mi faeei ee., cbe um
mi nieglii di aspettare finche li fiiBBa
bipartita ec.
69. del disio, pel gran deaiderio.
72. ti tottegna, n estenga dal pM^
lare.
CAirrO TBlVTÉllllOSESTO.
<T7
Lascia parlare a me, ch*i'ho concetto
Ciò che la vaoi; eh* e* sarebbero schivi,
Perch* e* far Greci, forse del tuo detto.
Poiché la fiamma fu venuta qoivi,
Ove parve al mio Duca tempo e loco,
In questa forma Ini parlare andivi:
O voi, che siete duo dentro da an fuoco,
S* i* meritai di voi mentre eh* io vissi,
S* i* meritai di voi assai o poco^
Qoando nel mondo gli alti versi scrìssi,
Non vi movete; ma i* un di voi dica
Dove per lai perduto a morir gissi.
Lo maggior corno della fiamma antica
Cominciò a crollarsi mormorando.
Pur come quella cui vento affatica.
Indi la cima qua e là menando,
Come fosse la lingua che parlasse ,
Gittò voce di fuori, e disse : Quando
Mi diparti' da Circe , che sottrasse
76
SO
SS
90
73. he eometUo, Iw comprato , ho
Toa«lo «dU aia »mU.
74-75. €k' tf tsnhktro iehM M
!■» étU§. Perchè adrfocrcbhcro forte il
km parian: 4'calrar Icco io parola.
La ragaa èi éé vica faori dal caotcato
wmèmmÈ». Paata aaa area rapporto
aiaaaa aaa fatati Eroi, par potorai ax*
loro ana ^BModa.
ara Grata. fA ahbitai Tedato piò
■la paiaa Badi tpiriti l'affetto
• U %mmo Jeiraotica favella
farfi parlerà. Cook , per dtare
~ 4ct UaU, Vesedieo Cae-
Hrtarrageie df41e tot eoipe:
iUr h éieo (rìtpoaile). Ma
Im fuc tkimrm fateiU, Che
ir dH 9èando mntieo. Né
palava ia eooipeato di eie vaatarti
Bcratàato fama eoo alca-
■ tara aoai a alla loro aa-
, uà iaipegaarli coti per gratiia-
■
d
ad fai di rartati di rìtpoeta. Ila
• polca hea farlo Virfilio; e lo fa.
7a. mmdi9i: è la primitive lenni-
ahe •• laltr di piaata dal lai.
te. T^mtritmi ài vai: vale
aa ia aicriCai vnetra frana.
a2. fli miHvtrti, iataodi r Ew^,
ia f ani araici • di alila allo a t«-
blime : la chiamò altrove alta tragedia.
84 . Dove ptr lui perduto a morir
§ii$i. Dova da lai perduto ti andò a
morire ; cioè , dove amarrìtoai aodè a
inira.
85. £4» vMigoior come. Finoa Ao
la cìnta maggiore della Samroa bicorne
aie qaclle m ctii ti nasconde Oliata,
Bomo piò famoao di Diomede.— /lam-
wta antica. Coti la chiama, perchè
molto tempo era corto da che Oliate ara
morto.
87. eoioé quella. Inleodi /Camaii.
— affatica^ ■R>^-
88. Indi la cima ee. Qaindi dima-
nandu la cima citme te fono le lingua
ttetta ddio tpirìto che perìatae, ce. Ed
è appunto la lingua rhe di dentro co-
manira alla fiamma oad moto, conta
fadrcmo al principio drl Canto teg.
04-02. Circe. Famota maga, hai*
Ktaima dflia pertoiia, le quale mntava
i tuoi amanti ia bestie. Alcuni Gred
amiri di Ulitte furono ceti tratformali :
per la quel cote egli vmnto a Id la ea-
ttrinte con minacce a render la forata
primitiva a' tuoi compagni; ma praaa
egli tlcAto d'amore, c«io ceto Id ti rì>
nate nn anno. •— gottratee Me, cioè
m teaoa naacaalo.
il
Me più d' un aimo là presso s Gacto,
Prima che si Enea la nominas^^
t\k dolcezza di Bgliu, né la pìéta
Del vcrdiio padre, né il debito amor?,
Lo qnal duvea Piioclope far liela.
Vincer poterò denlro a me l'ardure
r.h' l'ebbi a divenir del Diundo esperto,
E degli vìzj umani e del valore:
Ma misi me per l' allo mare aperlo
Sol con un legno e con quella compagna
Pieciola, dalla qual non fai deserto.
L'un Ilio e l'allro \ìdi inein la S|«(:na,
Fin nel Murrocco, e i' isola de' Sunli,
E le allre che quel mare inloroo ba^a.
lo «'compagni eravam vecchi e lardi,
Quando venimmo a quella Toce stretU,
Ov' Ercole segnò li fuoi riguardi,
Accìorcbè l'uom più oltre non si metta:
Dalla man destra mi lasciai SHiìtia,
Dall' altra già m' avca lasciala SetU.
0 frati, dissi, die per cento milia
Perieli eiele gionli all'occidente.
:
I
*
92. M prtsifi a Carla, ct<>t prtw di l*±. • Si>i<l*i
Gul**C(po J'Au.u GotlMdiktil ìlBÌ,l>l>. Mli, «.W.
nooKJiEBH.elis m •ILn)r •«Blinn t03 driirl», ■bt>u>.Wito.
■tu anlrlu u »ni.ntU Caùla. IHS (' hk Ut* ( l' aU» Snn
tt-96 Uè dùitaia di li^io tè. il Ui4.lw>wa tWIi I'um< l'allr* &-
Jr.i>.ii i.ì pJu y\\.Z,t«"«^ì' r'P- j-infi. Hii*Sp<ii-*.<<' '*'•-
frìtta it\it ifipiilUuwu i hbU dUli i06. travili tKtki t iarélM fa-
ài alluri CMiii •!> t^m runuuiia mth» hBf
•5. 0ti ttoMa p»lr^ Ai Liurfi. |ii«ii.l^ >l Mi<l>i«rr.«».— (-{ al.
tao. miti wtt tur ralla «Mn ui liitt>natliMHMii Iiokvnfd'biàl*,
■pirla. jUnn. d MnliUn*»., pi. . „•>« il miA 4W(a in *[<M, ■ 8
■pcrta, f<ò ipUHM. |»Enlinini* .lei swiiK Ctlpt in Eiin>p«. Nat* il Cai*
min IsDiD, |ifr nii ••rcblii «Lmiia ika in It-war» ckiamud Mig^^réi
utiur* laruKnilu in CiaiU. i Mm-Bi aka diiiJaMi > laiu, ■ i fd
fui. lompaiima « ilMai gananl- « li cnlnn» (ha AtandaBa U lk^
ataU ft fwtiHiHii, UJlatr \- i, if. HO SMIU Eiiielw,
emiart* ia ■^llr parala ta«>» gli III Sitla OgRi t •laU* ObK Ak
UltfU . a » iitmmi u u».» Hrtko- Jall'Alou •■ la aimta di «ìliiltina.
lèra<Mtkai> .fiialU „) XIV wala III '» frali, ■ IraMlli : mM* ■(
at M(U rwH«a toLliiam. alia ar Jia, crinainila.
•jni or K Ujii'sE'»! clu menu |»>tn 113 olVtrtWiUt. <Ìat«lli^^H
CIKTO VEimpUMMesTO. 179
A poesia Uoto picciola vigilia
De'voslri Bensì, ch'i del rìroanenle, jts
Kob vogliate w^r l'esperienia,
Diratro al Sol, del monilo eenu gente.
Considerate la vostra aeaoenza:
Falli non toste a viver come bruti,
Na per seguir viriate e conosoenia. iio
Li miei compagni léc'io si acuti.
Con qnesta oraijon picciola, al cammino.
Ch'appena poscia gli avr« rìlenoU.
E, vetta ooMn poppa nel mallioo,
■ De' remi EMemnm ale al fólte volo, ^ 4»
Sempre acquislaodo del lato mancino. *"
Tolte le sleDe già dell' altro polo
Tedea la notte, ali nostra Unto basso,
Che non sorgeva Ator del marin snolo.
pinque volte racceso, e tante casso, 130
Lo hme era di sotto dalla lun*,^
Jtf. hn tliontrati eravara neiralto paSM,
~~ji^^ Quando n' ^|iji;irve ona montagna bruna
■Éb mèinUìt M DDiir. FiiiiFmo. Krv |> In Emo rigattia illi UT«| al
Ili^lT.^fwMarir C.>i.iMÌ«i: MI*»!*, allttcMiigliii* lunii.
■MBf liate « fartta |..Vc...li cffilia 426. M Ut» mandM, cM iM»
^^r^tn urna tt ^«ni. ,.<K i liu i U pèrle U fiAt Mlatlio.
^,i„«.>i>i»l1 :... .1,. ..„., whìb- 12lt. wriM la maU4, riai, i« *»
p- r--: . fKIra* Jmdirollt, •BiJlt BntM.— (tia»
> nr. dil itr* InU tu» «. Vii4 dire eh il
■s4a litiu fitm di rtliquo ttl\ mjar palu WIInlIriaBilt irDiII id «Mn fi
rupii fnu« ^fi iiiiitfo fmifl dfl>f« il «nltv dr1l'ariit»alc di ^Jli fuK*
|icfan di ttdrrt e di rnotirrrr I «ni- ^ deirOr«*ii« di« il uii^lorf lì bwt-
■faiw lin«tr( THla d'ibililnn'l, cbt ~ ti il eh* npnin rhe iiu pHHla
nnaWnMi illnn.— itinlnotSol. riqniUn «I ■••«•*•« t«u il pala
Hi* da annlr ib m.lrrU. tSU Ciifw collr k. Caifit «II*
Ita la «oKra tnMia, (iet li ri «ri liuuìi plrnilaaiii tcin.|iia Titta
tfàlk dcU'BB*g*T«lr>Dalan. il aeiilaDle. — Musi nanrila.
1M prr *r»a>r rinate ( eMa> 131. Lo laaw ... « Mila rfaUa
«nM.prr (UrKlrrdll'iniairtadtlli lau. BivnJn la Ibbi ■nnipaitir
TÌ>U. a Mia c—aawM dilla oh, aa- cwa * aiuiitinata ■ a^l'tnitlfm
M *ma ari™» pariort a arti' inlrriBra , aanndaAl d
131. Ac'fe II •mi. eiat, ia U Sola li aa.rda a d) It ■ di «*. lU
M»T^Baai a nlali i aliai caoipafai >m p«... >tdrrl. (fcr ^Hada Jfal*
114. iiJ«altÌM. JTafKMila^ 133 iif«r alla pMM, mCI* ili*
ama aaaiteu, •aJ^d«lto''di ^ iTft^K» Jrllr Caùao* d'Emd*, afe*
pa. fai il l-.>ala chiù. l'aH* KBa. (M
tu. Dt'rrmit lamdi : nari» arda* r panflHH.
■a i rasi nlaaamala, aana K ali I» »3'I34. wu
480
dell' UIFBKIfO
Per la distanza, e parvemi alta tanto,
Quanto veduta non ne aveva alcnna. i»
Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto;
Che dalla nuova terra un tortx) nacque,
E percosse del legno il primo canto.
Tre volte il fé girar con tutte l' acque.
Alla quarta le\ar la poppa in suso, 140
E la prora ire in giù, com' altrui piacque,
Infin che *1 mar fu sopra noi richiuso.
eenda delle fertieoM onde del mere.
440. Ailm qmmrim letmr te. Sap-
plìeci il ff del vcrao aolec^enle.
AAA eom'altrtU piaòiue, cioè, eo-
■0 ■ Dio pieeqee. Pere dko qveeto
parola aiaiio none da ■■ eeiio scnti-
■mbIo di dolore del bob arare egli ,
meoirt riiee, coneeciolo e veaereto il
Tcro IKo, il cbì Bone bob eoa perciò
proferire io qBeeto iBOg*. Che l'Ita-
ceaee parine aavigaBdo par l'Ocoano,
lo dinaro PUbìo e SuIìbo.
Per Im disUnaa, Una moBtagoa che
per la gran distaoia à apparÌTe acvra.
FofM Tuolei oui accenoarc la monlagna
dd Porgatom, che Dante inunagina
neir emisfero e noi oppoeto, e di cbì
parlerà in fine di questa Cantica.
436. tornò in pUnto: si sottin-
tende la nostra ailegmxa. Vedi qnel
che notsmmo si Canto XXIII, verso lU.
458. il primo tornio, la parta anto-
riore, la prora della navB»
439. con tutu l'oegat, àoi a so-
CJkXTO VEHTESHHOSElTan.
jtrtm/lMito rltacms» ti tmm mccMMy
m rUtmni «adi* per pMm, <•«•• ck« éi^fii mmmM éi Mamtmtmm. Pnmét Dmmi» m
éiifmtm mtVuttkuètm ééthi ipùuu, pngm st^fan U mmm éitmL È H mmt§ GmUm dm
die marrm ctmf» tim dmmmmto ftr «a fndmUmf» é sttUtimat tmsigU»
tufaaio mi.
•
Già era dritta in su la fiamma e quota
Per non dir più, e già da noi sdn già
Con la licenzia del dolce Poeta;
Quando un* altra, che dietro a lei venia.
Ne Tcce volf;er gli occhi alla sua cima, 1
Per un confuso suon che fuor n* uscìa.
Come *l bue Cicilian, che mugghiò prima
Col pianto di colui (e ciò fu dritto)
4-2. drtfla in tn, e quela: cioè, non fece dono a Felerìde tiranao di Sieilia,
direndugli che ae alcnoo gindiaBla b
flKM-te vi fusee poeto eotro, Br-^aÌBdì
fatto fuoco sotto , I* BOBio nahÌBiB
avrebbe uicsao maggiti siiBiiglÌBBti B
tinelli del bue. Il larenno foco l'oapari-
mento sopra l' iniquo artrSee, b il lem
di rame mugi^hìò col pioiilB^ cioè c^B
grilla dello slesso Perillo. — * • cid /kl
drillo, e ciò fu ben ginato.
. — • — — — -.- — r - <, ^..-w, ...._
piasi sgttavs né mormorava. — Per non
dir più : perciocché lo spirilo avea ce*-
salo di parlare; e dal parlare appunto
naaeeve Pagitaiinne della fiamma.
8. Con la lieemia te.: con la li-
cena di Virgilio, che prima lo aveva
invitato a dire.
7-8. Comt'l Ò«M ec. Penilo artefice
•tenieae eoatmì un toro di rame, e ne
CANTO TERTESIMOSETTIIIO. 4^1
Che Payea femperato con sua lima,
Slogghiava con la voce dell* afflitto, io
Si elle, con tutto eh* e* fosse di rame,
Pare el pareva dal dolor trafitto;
Così, per non aver via, né forame
Dal principio nel fooco, in soo linguaggio
Si convertivan le parole grame. '^ a
Ma poscia ch'ebber colto lor viaggio
Sa per la ponta, dandole quel guizzo
Che dato avea la lingua in lor passaggio.
Udimmo dire: 0 tn, a cui io drizzo
• La voce, e che parlavi mo lombardo, so
Dicendo: Issa ten va, più non t* aizzo :
Perch* io sia giunto forse alquanto tardo.
Non t* incresca ristare a parlar meco:
Tedi che non incresce a me, e ardo.
Se to pur mo in questo mondo cieco r5
Caduto se* di quella dolce terra
Latina, onde mia colf» tutta reco;
Dimmi se i Romagnuoli han pace, o guerra;
Ch* r fui de' monti là intra Urbino
4S. CmI ftr mom «mt «e. Itleo-
«Mi ff ^OfWlf ffWNf (cioè U Mrol«
■dia Gammal bod
CiiumJì d9 pràia adU fianmia fora*
aa • «M mmàe aacirBe, ai «mvertHrano
4m mtm Ifaypiaygio, cioè ari liogaaggio
ed ffaiM, aaaia od ■onnorio eoa la la
44. Httl wrimHpio vaia lo ataMO
cfct àa ptimipio o ini pHuri^. La
JalfBli parola a4flai|«e b«hi aveao aal
fffiarifia via aè foraaie nella fiamaaa.
far aaa aaaera aIaU aarora divita «lai
ialo ed farlaola. La In. <la ani pr»>
wdta è Mia Nidob., dei Gdd. Pai. •,
«7, • d'allri Irati, ed * più chiara dal-
r ahfa émi^rimHpin dgl fmoeo, thè par
«anaUa a dira la atraao.
le. calla hr aiaffio, praaa Q kra
aa^MBaala aa par la feamaia.
17. rf—dafi fiiel ftHsia, daada
«■M fatala alla parla taperiora daHa
ydla vikraiianc alivaa ch'alia
dalla Kfifaa la lor Ma-
i,adl'aaeirddU
20. dke pmU^i wM UmUrdo.
Fona la roea ium, ora, (formata par al-
lÌMÌ, come mi para aiasi detto aocÌM al-
troTc, dalla lucodona latina {p$m Jbora)
ara a ^uel trmpo piò apcdalmaola dd
dialetto lombardo. Se pure aoo ai vad
qni prender la parola lMn^•ftla 0^1
lato teoso d' ttelioiio, coma aaoad a]i-
ticamenta.
21 . non Vaitxo, aoa ti aedCo, aoa
ti tlimdo. Ovvero, aoa U atostica dar-
▼aalaggio con grati aeeaoti porcile piò
dica.
21. 9 ardo, appara brado io ^la*
ata fiamma.
25. ptir aio, par ora, ora di p^
eo. <— > circo, buio.
26-27 Ccrra £afla«, par farm
Ifaliaiui, dHU doUt per affHto di pa-
trio. — onrfe mia eoipm ec., dalla qaala
io veanì «loagipù cdle mie aqlpa: eoo
che acretioa d' emere aa italiana, a aftr
vìmoIa e peccato ia Italia , a lana pie
ch'altro per amore d'Italia.
29. Ch' <><. pmlièio fd. itTftmh
U$e.,éoèét Mooic Feltra, crttè padt
anpra un monte tra Urbino a la aorgaola
del Tercrc. In questi daa versi fiadir
48»
dell' UfFEAlfO
E 1 giogo di che Tever si disserra.
Io era ìngioso ancora allento e chino,
Quando *1 mio Duca mi tentò di costa,
Dicendo: Parla to, questi é Latino.
Ed io eh* avea già pronta la risposta.
Senza indugio a parlare incominciai:
0 anima, che se* laggiù nascosta,
Romagna taa non è, e non fa mai,
Senza guerra né* cuor de* suoi tiranni;
Ma palese nessuna or ven lasciai.
Ravenna sta, com*è stata molt*anni:
L* aquila da Polenta la si co%'a»
Sì che Cervia ricopre co' suoi vanni.
La terra che fe già la lunga prova,
E di Franceschi sanguinoso mucchio,
Sotto le branche verdi si ritrova.
E *1 Mastin vecchio, e 1 nuovo da Yermcchio,
Che fecer di Montagna il mal governo,
30
35
40
45
iìca la soa carìoaiU dì Mper n«oT«
de' Romagaaolì, eitendo alato Roma-
gQOolo ancor egU.
51. ingimo^ Terto la foaaa.
32. mi Untò di eotlm. Mi toccò dal
fOMÌto legfcrnienir nai Gaoco.
33. qu€MU è lofino. cioè Italiano,
a cai puoi parlare, esKcndo dtlla tua oa-
nona. Ciè appella per oppmiziooa a
Sari rha fa detto al vrrao 73 e aeg.
ci Canto prcccdanto in propoaito dei
Greci.
37. Romagna lua non é, a non fu
mai €€. Sempre nel cnure dei roma-
gnooli tiranaì è diicurdìa e mal taleato;
ma guerra aperta qod rra id Knmagna
^nando icaai quaggin. — Il Guata leggeva
ne non fu nuii, ed annoiava * • ne aenta
accento Tale e; alla nual vocale tal*
volta per far coot4>nio rurecchio p«inii
innaiui la », come fece il Petrarca : te
gli occhi tuoi ti fnr dotti ne cari. •
— Ma in tal ca«i il ne altro non aa-
rabba cha la congiun/iona dei ProTcn-
ttU nf , cha vale la noatra e.
41. L'aguiU da Polenta Prvnda
l'aquila, an&a da*Puleulani, in Inogo
dilla Eamiglia toro cha aigiioreggìava
Bnvcona a Cervia. In aoaito tempo
l'era aignora Guido, amico al nostro
PoeCa. — Alcnni teati portano là ffeo-
ta; ma l'Idea dall' aqnìla polenCana
cha ai cova aotto lo ^acioaa ali Raven-
na, mi par pii o^na di aigniScato •
più poetica.
43. La tarra m. Porik. QHado 3
eonle Guido da Mmilelaltro ara
di quella citU, Martino IV
Irò Ini un eacrcito compoalo ia pma
parte di Kranccai. La àtlè aaalH
lungo asaedìo, cha oni i dotto Set,
proKaj finché par le arti dolio
conte Guido fu fatto aangnii
dei Franerai. Ciò avvenne nel i!
43 Sotto U èrameké taréi^ emè
aotto il dtiininio degli DrdclaB, dbe
avevano per arma «n letmcios venie,
dal meno in tn d* oro, e dal maum m
R'n con tre lìato verdi e Ire d'eroL
'era allora signore Sinibaldo.
4G. S 'i MoMtin vecchia m.: laM
Malalesto padre e figliuido, mgaeii A
Rimino: ani chiamanai oMUlMI, enai,
cioè cmdeli tiranni. Sono detti 4a TAn-
ruechio^ perchè qnrato cnttalU h è^
gli Ariraìncai dimato al prieae de'llal^
IcaU, che da qoeUo pei a'iiham il I»*
Iole.
47. Monlagma: ■ohifii
lieie rimineae falto
rìre dai MaUicata, come cape de*fihl^
bellini in quelle
CANTO TOmsIMOSETTIIIO.
li, dove sogHon, fon de* denti nochk>.
Le città di Leraone e di Saelerno
Coodoce il lioDcel dal nido bianeò,
Cbe mota porte dalla state al verno:
E qoella a ciii il Sano bagna il fianco,
Coli con' ella aie tra 1 piano e *1 monte.
Tra Ciraonia ai vive e stato franco.
Ora chi ae* ti prego che ne conte:
Non esser doro più eh* altri sia state,
Se 1 nome too nel mondo legna fronte.
Poscia che *i Aioco alqoanto ebbe ragghiato
Al modo SQO, Tagota ponte mosse
Di qoa, di Ui, e poi die cotal fiato:
S* io credessi che mia risposta fosse
A persona che mai tornasse al mondo,
Qoista fiamma stana senza più scosse:
Ma perciocché giammai di qoesto fiNido
Non tornò vivo alcon, s^i*odo il vero,
Senza tema d* infamia li rispondo.
r Ali Qom d* arme, e poi fu' cordigliero,
483
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66
60
66
4S. /te É^émtt MMdbto, lai
I, CMt Wf Mi! I loro f^jpou* —
. CtmiuitUHomeeL HdMnlo
IfloaetlU tm-
II, b ab Tmm è «■
b ém» città. — miào ^m fifoiCai il
Ckt wmim fmrU m.: cbc CmìI-
la wpf ■ UflM del
Sl-Si ff fMfa «e. lBln£ Gacu
SaaM Savi* : ■ ^■•lU g«in
i« Ira il piaiM e il «laait,
fra la liraaaii* « la bWU.
■aaiaii b IfàfrM. mm s'è
Sa 2al CaaCa 1. Mrcaè per cata
a'abva a « aabliU : il
f ia af^NfOf ca# araipi
abpraitraacIPi
^riè^h 4all*arti^.
«par aacbrv.
■ 55. cht ne eonU» che ci
cIm ci dica rhi la ae*.
5Ì. |»té cA'alIri f<a «fato. lat : aa-
gii apirìti pfgeedaatuaiaaia iaUrragati.
57 . 5« 'f aoaia «aa m. : aaa'i il ooma
taa faccia Iroata, aaatraalo aU' oblio ;
cioè, eoai poasa il tao aoaM darara laa-
gaaMato aal aioado.
58-59. ra^yMalo Ài wod« mo,
cioè fatto il tolito romora dM fa b Saai-
aia afilala «bl voalo. B braa «{aetto
mgghimn è orodotlo imi frtawlo dello
apirìlo alla laBaata rìaordaaia d'aver
macchiato il glorioaa aao ooom aaa
aa' opera iadegna .
so d<*colal/lalo,iBaadèeatalfa-
ea, eaai parlò.
SI . ciba mia rÌ9pó§tm (éU9 ae.: che
b napondeasi a peraona che Coaae per
rilamare al oioado.
parate /laaiaia «e. Qaeato
Boa darebbe pia crolb; doè,
b ni tarerei.
SS. Scasa Immi «Tln/kaiia. per-
chè ^ue»la itoB TÌaiia che da delitti a
braMara pel ad.
S7 caMffffirfra.daède'frati Fraa-
caKaaij che d dagaaa di corda.
Credendomi, si cinlo, hre ammenda:
E cerio il rreder mio veniva intero;
Se non To.-ise il gran Prete, a coi mal prenda.
Che mi rimise nelle prime colpe;
E come, e quare voglio che m' intenda.
Mentre eh' io Forma Fui d' ossa e di polpe.
Che la madre mi die, Topore mie
Non furon leonine, ma di volpe.
Gli accorgimenti e le coperte vìe
lo seppi tulle: e si menai lor arie.
Ch'ai line della terra il suono uscie.
Quando mi vidi giunto in quella parie
Di mia eia, dove ciascun dovrebbe
Calar le vele e raccoglier le sarte;
Ciò che pria mi piarei-a. allor m' increbbe,
E penlulo e conresso mi rendei,
Ahi miser lassol e giovata sarebbe.
Lo Principe de* nuovi Farisei
liB. CTfdendnml, il e
63. Bttrla ilcrtdrr*e., <
■MitaiB* hTcm-
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pi «gli MBÙ,
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11. Chi mi
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72. f«r<,
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79. M«urr
DiKMc lame, <<
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Bj. mi rendei I
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BipiilirA •*(•(■■
7«.Ck'<|Antfr..-clialil>m>dill«
' )l. C«far fe rrl« te..- dot, l>-
i«rc.tnl«>de<ttBaak
<utiFafÌKÌ.iÌùma
rcliliddU Corta Ri>
miglieBU dà PariMi
GAino TKlfTESIlfOSETTlllO. |
Avendo guerra presso a Laterano
(E non con Saracin, né con Giudei;
Cbé ciascoo ano nemico era Cristiano,
E neseono era stato a vincer Acri,
Né mercatante in terra di Soldano),
Né sonflno nficio , né ordini sacri
Guardò in sé, né in me quel capestro
Che solea far li suoi cinti più macri:
Ma come Costantin chiese Silvestro
Dentro Siratti a guarir della lebbre;
Cosi mi chiese questi per maestro
A guarir della sua supertùi febbre:
Domandommi consiglio, ed io tacetti.
Perchè le sue parole parver ebbre.
E poi mi disse: Tuo cor non sospetti:
Finor t' assolvo, e tu m* insegna fiire
Si come Penestrino in terra getti.
Lo ciel poas' io serrare e disserrare,
Come tu sai; però son duo le chiavi,
Che il mio antecessor non ebbe care.
185
90
«5
100
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•e.: iTMiclo
eoi ColoQDcti, i
• Sta GioTanai
i
9 mttmmo m. : • ocmno d«ì
■, ràsrfiU U fc«i« erifii*-
M, OTB Mate ad «iHignart Acri io com-
ftfài ^Saraeni; « Bca«aBo aTCTt
racila ai Sararaai aMilenaii, par iTÌdità
41 faalagaa, vattavaflio e praTrigiooi.
Va la aaa gaaiia era eoi Meli, coi figli
Mai. Vadi ^aaala bratta, qatnt'aaipia I
9I<«91. Jfè aoaiaio ufieio ae..* aè
^ alla propria difoitii poa-
ìértàt^mè agli ardtn
lini Mcn, oè a fMal
al cordooa, all'abito di
Sm Pfaaeaaca, dd aoala io ara Tcatilo.
n. U tmm Hmtt t€,: cioè i frati, Ì
^adi A Mal aardaaa n dafooo. —
pie WÈum, par la coaCiaaa oiortifiea-
b«aa dalla caraa a aar l' ewrcixio della
«irta, di cai ^mtììù a sìoibolo.
Mm aawi C9$imUÌM ee..* eoaM
San Silveetra papa (il
eaiCa aalla cavaraa did
I firaUi, a Saratta, fr fogiira la
■8ia«a rfac bccvaei ai Crialiaai)
ilatb* dalla lebbra il gaanMc, awl ac.
Onesto paragona par il dagolara aaii-
tratto delle idee eoa induca, rieiea aaa
satira aeutiaima. Del rarta, lebbra a
Uèbr§ diesar gli antichi al aiagolare,
coese portm e porte, 9emm a vena. Mia
a «sfe sa.; onde al pldr. le porti, la
aeii< ee., eòm'oggi dicesi «atlaa vefie,
«eaieiUa e tewtento ed altri.
96. wutettro, in antico era siaam-
no di «e<iteo.
97. deUm tua mporbm fèkèro, deb
dalPodio roiirtale rbe egli portava ti €»>
lonnrsi, g«'nersto ds superbia. — Ffè*
bri eoa dhienule da Ssnt'Ambrogio la
sregolate passioni : ftbrit nottrm tupor-
bia r/f . febrit noitra tuKwrim e§l, oc.
99. ebbre, cioè, da briaco ; da «amo
faor di ragione.
\ù\. Finor, fin d'ora.
402. PenaslWiM. la terra di Presa*
ale, og^ dilaniala PoUttrimm, Papa
Bonilasio aveva InagaaMnta aawdiala
invano ^aeaU fartcna ; par lo cba M
dispose ad averla per inganno.
405. ChoUmio omìommr. Papa
Cdestiao, che non ebbe aara qadla balla
cbiavi , avendo rinnniiata la teda
filicele.
486 dell' iRTEBlfO
Allor mi pinser gli argomenti gravi
Là Ve '1 tacer mi fti avviso il peggio,
E diali: Padre, da che ta mi lavi
Di quel peccato, ove mo cader deggio,
Lunga promessa con 1* attender corto
Ti farà trìonfer nell* alto seggio.
Francesco venne poi, com* io fu* morto,
-Per me; ma un de' neri Cherubini
Gli disse: Noi portar; non mi fiir torto.
Venir se ne dee giù tra* mìei meschini ,
Percliè diede il consiglio frodolento,
Dal. quale in qua stato gli sono a' crini:
Ch* assòlver non si può, chi non si pente;
Né pentere e volere insieme poossi.
Per la oontraddizìon che noi consente.
0 me dolente 1 come mi riscossi,
Quando mi prese, dicendomi: Forse
Tu non pensavi ch* io loico fossi !
A Minos mi portò: e quegli attorse
Otto volte la coda al dosso duro;
E, poiché per gran rabbia la si morse,
Disse: Questi é de* roi del fuoco foro:
110
f»
110
m
(06. gii mrgomumti jrmti: gli ir-
fomeoti «atDre«-«li ; oob ìb tè medai*
mi, BM ìb ^Bantorbè ««niviBB 4«Ua
bocca del tomlBo pontrfiee.
107. 14 'M 7 tioetr m. lotcnai:
mi pimer, n' iadanero, ■ pariarr.
dappoiché il lacar» bm fk «trrifo, mi
parìre, che foese il p«'K(nor iMirUlo, •
per la diaabhìdieata al capo della Chi»*
•a, « per il pericolo a cai io poteva «•-
aere «poeto.
440. Mjmnga prowuum, proBMtler
molto. — co» i'aUèmder corto, cob
mantener poco o ooila la parola data.
4H. trionfar, òoè, de'Coloano-
ii. Poiché il conte Goido già fattoai
de* Frati Minori ebbe conaigliato Boni-
faiio di prometterò aaaai e di OMole-
■ar poco . il papa Gnae di euer mooM
a pietà de'ColoBoeai, • fece loro aapcra
che, ae omiliati ai foaaaro, avrebbe mt*
donato loro. Voaoti a Ibi lacnpo anB-
Iro cardJBaU. amiloMnlo chianModod
paecatori • domandeodo perdoBO, fa*
rooo coaforlati di ogni buona iperaBia,
ma COB questo cba deaaero Prenetla ia
e1 papa ; 3 jaala, ^aicU lUbe
I, feccia diiure a nediBcaraBd
Cita del Papa.
etico VCMW>«* JnPr
Baao del
ottenota,
piano, Bi>ffliaandola
412-113. fi
«la. San Francesco vana*
dermi.
115. Bwtebfnl, servi.
i\7.DalqmmUinqmm,imfm^^
camiglio d4tu, sino ad ora. — alali fK
sono •' crini, cioè 1* ho aampra taails
pe' capelli, Tho ovato in nio potare.
449. peniert t volerà: panini èà
peccalo e volerlo.
424. comemlrisrocal. GM, dal*
rìnpnoo in coi s'era riposala di fBslh
blsa aasolBfioae del papa. Altri «ode
no si(*niBrata ouella arooaa asatafialf
che produce nelle membra ■■• aabili
paura.
423. Tm non p9n»&ti oe. T^ sai <
saresti mai aspettate ch'io faari ih basi
logico, a sapetei far si balla
427. M fmoeù /toro.- M
che farà, che nasconda agli aaaki
gli spirili che tormcala. vedi 9
prec., versi 41-42.
CANTO YKIfTESIIIOSETTIMO.
4 SI
Percb' io là dove vedi son perduto,
E A vestito andando mi rancuro.
Quand'egli ebbe il suo dir cesi compiuto, 13C
La fiamma dolorando ri partìo^
Torcendo e dibattendo il corno agate.
Noi passamm* oltre ed io e il Doca mio
Su per k) scoglio infine in su 1* altr* arco
Che copre M ^so, in che si paga il fio i'>5
A quei che acommettendo acqnistan carco.
tato mai peiwlrar* u mistero di corte
4 29 . Vfflito, cioè, il raTToho in que-
lla BafliBM. — Mt rmciiro.soflro, poso;
•MOTO où rammarieo. ATTortirè i noTO-
Bi a Boo crederò istoria H colloquio che
m qveato Canto ai legge tra il conte Ooi-
do e popò Bonifano. Vm naa mera in-
▼OHMMO dai neBici di qnal ponteico,
b ^■>b piarqna al Poeta aegniCaro o
fOMM—onto abbellirò, tema troppo
cara» dal Toriannile; ooneioiaiaèliè oè
papa Boaifano foico tale da a?ar biao-
mm di qMÌ anggerinenti dal conte 4hn>
do; né il conte Guido rou aemplico da
cwiloia Talida l'aatoluiione d'un pe^
màm da larù, né tampoco lecito il tra-
fir F parate o la coaciema per limora
od naMfVo. E ioaimcotc, quando tutto
db tea «fvaaalo, neanao avrabbo po>
di tanto obbrobrio por l' una jwrte e prr
l'altra. Laonde il llnraton scnste su
tal proposito : • Probroti huiut faci'
norù norralitmi fldem adjungere n».
«IO probut «elil. qmod faeiii confinx^
fimi BonifaeH mwmli. •
153. posMumn' oUr§, andammo
ataoti.
435-136. fi pmgm ii fUt À quti
cbo ncemmeflMulo re. Si db la de-
bita pons a quei che jconwicl/eiufo ,
disunendo, cioè, gli animi congiunti
per vincolo di netnra o di anùeifia o
simile, «e^iittlatft «orco, ai fan debi-
tori alia divina giuslizis; ovvero, ag-
gravan d' uà gran aarico la loro co>
scienza.
CJlIVTO TEmrESIMOTTAVO.
M étfwnm mi antUU i^mmt»» étUm momm ^atgim, éom
0 éi fHigwM émrummi mHI' umtamm fmmmgtui. S»mm «i«i
>r«. I» fturi», «MM mrmmm me umru « M rumtémi
m «fftM/CM/v. St rmgmmm et Mqi pénmmmggt tkt /a
pmmm i ammbtMfH di
rm mgtme m tuumoié di'
Chi porìa mai pur con parole sciolte .
Dicer del sangue e delle piaghe appieno,
Ch' i* ora vidi, per narrar più volle?
Ogni lingua per certo verria meno
Per lo nostro sermone e per la mente, 6
5. Per lo no$tro termnmM : spie-
gano alcuni : per ca(;ione dell' idioma
nostro volgare, non sufficiente, povero.
Io però intemlerfi più largamente:
Per la natura stessa dell' amano lin>
gnaggio, che, pin o meno, resta sem-
pre addietro all'intelletto. E consuona
cnn quel che Dante stesso scrisse nella
I. Cbl porla mot jmr ee., chi po>
trabba mai anche con parole BdolUt cioè
sciolte da metro , ancne in pmsa, in cui
il paaaiaru ■ spande tanto più libero ec.
i. Ch'i'orm vidi. Giungendo sulla
Boaa bolgia. — f€r narrar pia 9oUe,
aacbo rÌMeoadoai più wlte a raccontar
la coaa fm viepiù awtterla in loca.
e hanno a tanlo comprender poco Sono.
Se s' adunasse ancor tatla la gente.
Che già in su la fortunata terra
Di PngAia Tu del suo sangue dolente
Per lì Romani, e per la lunga guerra
Che dell' anella Te si alte spoglie,
Come Livio scrive, che non erra;
Con quella che fenlio dì colpi doglie.
Per coDlraslare a Roberto Guiscardo;
E l'altra, il cui ossame ancor s'accoglie -9
A Cepersn, ii dove Tu bugiardo
Ciascun Pugliese, e là da Taglìacozzo
Ove senz' arme vin=« il vecchio Alarda;
E qual forato suo membro, e qua! mozEO
Il Sìc^ì* t il Pegli*, ddle quUmni
Alofin impcnloR di CniUDIianf nli m
lilla (ignorc. Gii ■nane uJ tUTI
t S E r cUra «e E md i{D<trilin
gfnlt tti« perì n»1li piiinfl btUft^tit in
Munrrcdi re di rngiii e Sicilia mCuii
r tHletlefliim fAdemiu, quilnu i
d mttaiit duiHil . • — ( per la ih
6, poco imo. pou upuilh : la li
9-12 /u dd iUfl fonrfur dnhnit
Per II RoMMl. cia« >1 dnlH dille tue
ferite, a del ito iingoc >n>na dai Ro-
miD> nrlle urie (^rrre che (ersn In
loro. Vtdi I. Siorìi B'>n»Qi. — per la
Belli i,Bile la t.ll* ilrigx de'Uomaai
d*l1e din dei uVil^'rìV'tao'bJle o't
iHAndè ■ ClrtJi^ne pur ■egna di vìILoHa
ir> nocgi* • oi™o , "eroBie eonU Li-
vie. • rui dil Poed ri ik qnl lode di
18. re* furila : riot, »({ diliHHM-
iFuruae {[li «Ericoltori spin* pe'ciB-
pi , «, •rcondo il ntlonH lan, qattfc
unno che >aiia di Crnliiai , i» rueil
gano e npnngono io itoelefaa u» ani'
(ero. — U don fu iHgiaria te.fMtt
deve «etti de',„i«,p,li V.fi^ A,
■.e>n gigrelo fede * Uintredì, VA-
l,ii>dnD.r»>e , e li delterv . tM».
IT. ia Tagllaetiise, pnae n|K»
«d.»
Wlandere
»re<
1.
RenleUnol-
tìl«IÌH d.'S.r»
■e
Hoberlo Gvi-
wu4*
lnl.ll«
« H
rd» duu di
Notaiadif, eoe
*'
I. Dee Mni'anne ei
Dipese del Ir«la re Miatredi. — Jj
<b.- «lirdn di Velieri »t.lÌM ti
UKnintiElikrfCoHo,
dvuD iirìDiinicn,rbe di«t>nUa«l« ad <^
eeulo era e inieu ■ far boi^H. brft,
hcubiId il eowglie diinglì ttt» e«lh
CerradiRo: e perete ani d «lice A*
llerdn viue «ii'irn.e. Pb ad IKt.
«9-21. j; fiiol forato te. 8*, i*
CAIVTO TEFrTESIMOTTAYO. 489
Moflfaraflse, d'aggnag^r sarebbe nalla so
n modo della nona bolgia sozzo.
Già veggia, per mezzoi perdere o lalla,
Com* io vidi DQ, così non si pertugia.
Rotto dal mento insìn dove si trulla.
Tra le gambe pendevan le minugia; 25
La corata parevate *1 tristo sacco
Cbe merda fo di quel cbe si trangugia.
Mentre cbe tutto in lui veder m* attacco ,
Goardommi, e con le man s* aperse il petto,
Dicendo: Or vedi come io mi dilacco: 9
Vedi come storpiato é Maometto.
Dinanzi a me sen va piangendo Ali
Feaao nel volto dal mento al ciuSetto:
E tutti gli altri, cbe tu vedi qui,
Seminator di scandalo e di scisma 35
Fot vivi, e però son fessi cosi. (*)
Un diavolo é qua dietro cbe n' accisma
fial«, • ■Mfriwi chi m mo
trafonto , chi moaoigmrtbbé
# ifViMf liart, Mrebbe oalla
■M» d'c|MflMrc; mod n p<^
re eoa ciò rappreMUtar»
•chifaaa ad ambila dalla
C4à «ffia ee. CattinÌKi:
•aa ai partapa ««yyte (bwtla)
eoili*) Mtuii/ (la parta
la dioaiui dalla bolle)
|b parla di awA (ood<i dia «la
• dilhdd mrnnW), cmHevidi
n#« 9wUo (spaccato) dai wu%l9 M-
4aw ai Irà/la. 4
r»ia
la, ciaè Sno dova
^ara chiaaa ocll'iotcatioo.
£a mrmtm pmrttu, ti vadea la
. — - fritto, lorda, felenta.
ém Imi 9«éir m'mUaeeo, ni af-
li aadi. EapretHoae torta, vara ,
Slacula, coaciaMÌarliè
«a cba l'adcuonc dalla
alP ahirtla cha fi coolnupla.
. Macca. DUmrtmn %alr aprirà,
la lacdM, Ir coiea ; ^oi figara-
' ; perriè iateudi : vaA
m^. ,jaM aoao liilla aparto
■al vcalra.
l'arff CMW atorptoto re., cioè
r ègaaito aalla ONiubra Maometto.
Xaaawtto parto di to Bcdcsimo.
Qoacl' impoatora nae<pia alla Mecca nel
5tì0, mori a Medina nel 653. Rimana
di lai 00 famoco libro detto il Koraoo,
cha eoaliena la eoa Ic^ a la soa reli-
gione.
52. J/i, genero ad apoetolo di Mao-
flwlto, portò dopo la morta di lai molli
cembiameoti o«l borano, ad è oggi ve-
•erato coma capa di ona ealto di Mao-
BctUni.
55 icandmio, sto qoi per disewdto
o scompiglio. ~ tciima è dal greco, •
vale srìiitura, dieaidio, aM par lo piò ia
cosa di religione.
(*) Seminatori di scandato, di sci-
sma e d'ereftie.
56. far viti, cioè fnrooo maitra
TÌsaero. Aironi Codici : far tmiii. •— >
Ognun vede cbe chi diviM gli animi dia
creo fatti per essere uniti, chi ruppe to
aailk rdi.'itiM, o la civile eoneordia,
■Mi ita bene d'esMr diviso e mtto nella
itetse sue membra. Questa diviaioDa
pare a malilanento jproceda qoi aao
molto regitls e giuilino.
37. cccicaM. Dicono alraai dM «e-
cùiaara e latto da scùiaa a cha vato
fendere, t<|u«n-iare. Ma in pacato caso
parrebbe elie si dovesse leggere asci-
fina; e roti di falli l«gc* il Cod. Caet.
Ma occÙMara derida dal pro^eomU
Si crudetmenle. al taglio della spada
RimetieDdo ciascaa di questa ritma.,
Quando avem volta la dolente =<trad3i
Perocché le ferite son richiuse
Prima eh' altri dinanzi li rivada.
Illa tu (Ili ^' che in su lo acoglio muse,
Forac per indugiar d' ire alla pena.
Ciré giudirala in »u (e lue accaso?
Kè morie il giunge ancor, né col]a il meda.
Rispose il mio Maestro, a turcnentatlo;
Ma, per dar lui <aperienza piena,
A me, che morto son, convieo menarlo
Pur lo Jukrno quaggiù dì giro ia gira:
E qnesto è ver cosi com' io li paria-
Più fur di cento che, quando I' udirò,
S'arreslaron nel tassa a riKuardarini,
Per maraviglia obliando il martiri].
Or di a Fra Dolcin dunque che s' armi,
Tu che for^ vedrai il sole in breve,
S'egli non vool qui tosto seguitarmi.
Si di vivanda, che strclta di neve
Non rechi la vittoria al Noareiie,
Cb' altrimenli arqui^lar non Miril Iwo.
i
u
É
SK-Si. ai lo^ù érlU $p»da Hi- ii Fra IMtl<t K-mla wHìm. 8
diaoBUB Punì ^um* |i*n4li piKtiHH nib*»li>pwin>k>iriB|Mi,tBitian4iM*
dilli grra pjtiii, jan f* ^j«^{, un hmuiIì iW Nan«TH. tpf1»al» S
CATETO T£HT£S1II0VTAV0. 4f4
Vokhè rim {mó per girsene sospese,
Maomello mi disse està parola;
Indi a partirsi in terra lo distesa
Un altro che forata avea la gola
E tronco il naso infin sotto le ciglia, 65
E non avea ma che an* orecchia sola,
Restato a riguardar per maraviglia
Con gli altri, innanzi agli altri apri la canna,
Ch*era di fuor d'ogni parte vermiglia;
E disse: 0 tu, cui colpa non condanna, 70
E cui già vidi su in terra latina,
Se troppa simiglianza non m* inganna.
Rimembriti di Pier da Medicina,
Se mai tomi a veder lo dolce piano,
Che da Verrello a Marcabò dichina. 75
E fa saper a* duo miglior di Fano,
A Riessa Guido ed anche ad Angioleno,
Che, se T antiveder qui non ò vano,
Gii tati saran fuor di lor vasello,
E maz7.erati prosso alla Cattolica, so
Fer tradimento d* un tiranno fello.
Tra r isola di Cipri e di Maiolica
Cioè M Fra Dolcino avoM Cagnaso , oooratìaiìnii fH^NMMoi dì
4k «ivari, «na aarrbL* lieva Fan*, i aoali «U Malalntiiio, aMllartlo
■•vartaa 1' avcroe U tiranno di Kimim», lii«iiiffati a «mira a
parìammlo cim lai alia Cillidica, tarri
fwtr Adrìaliro Ira Riniini e Faaaro , n
p«iaero in viaggio prr mar* \ « qaaado
lurtHMi giunti {ireMKi la Catlnlira , dai
cimdiitkiri della na^a, acruiido che il ti-
ranno avea ordinato, forano aoBtgali
nd mare.
70. vasetto, vaareflo, aiTt.
80 maztn'ati, afTofjati io nnrt.
Mazzera diciin!ii quelle pietre chi rf
■Udcran» alla Inniiara f)i «oi il varl^
MOSMTore, gettare alenilo IO Baaracoo
Boa pietra al citilo
82 Tra r iaf>l« éi Cipri èe Gpro,
ionia drl Mniliiirranco la piò orienlaU.
Maiotiem . Mamnea , la maggiore dello
l»ii|r Balfan. che «onn le pia orcidco»
tali del Mi'dilrrraneo. Perriò intendi:
da una iMri'Uiila all' altra dc^Uediter»
raneu. Nelluiiii mm vide mai cooimei-
tere falli» m grande ne da rnmli oè do
gente mrgotira, rine greca, che acmpiV
tuoi coi»i'ggi«r« pel Ueditcrrtnco.
O. fii^«p«rflrrie^.Qnfndi,at.
ftoo A faggini, pi4ie a lerm il piede sik
i|awMrca«pi«r«ilpa*aa incuoiiiieialo.
ea ■• cào , pia rlie , «e ano cha.
iS. mmmM%i agii mttri, pnm« d»>
fi ollrì.— Apri tmemnmm ee.. «oè la
|oU che aro di fuori ioMO-
Tl. fa tarmo teMna. in Iiolio.
n. Fior ém Mfdieimm Lo.. doHo
lMiodiS*4«ìno, pnala uel territnnodi
U^^a. 3 ^aolc a«nima discordia fra
A mmmim drllo ano teira, e tra Guido
diF^ealo e Malale^tion da Kiiiiim.
T4. lo émirt pimnn, eii« U pianoro
é Lanhardio, cW dal dialrHtu di Ver^
oA noi tratt* At doecrnto e pia miglia
«Mw. m obbaaao, buon ITarcoAd.
ortHI* aggi dtfUvlIo prwaii lo uianoo
oao d Pb BOrtlc lor«.
7t m' éma migttor éi Fano : mr».
Mr Gwdo del CoMcru, ed Augivlellu do
492
DELL* IlfFERTCO
Non vide mai si gran fallo Nettano,
Non da Pirati, non da gente Argolica.
Quel traditor che vede pur con V uno,
E tien la terra , che tal è qui meco
Vorrebbe di vedere esser digiano,
Farà venirli a parlamento seco;
Poi fora si, eh* al vento di Focara
Non fora lor mestier voto nò prece.
Ed io a lai: Dimostrami e dichiara»
Se vaoi eh* io porti su di te novella,
Chi è colai dalla veduta amara.
Allor pose la roano alla mascella
D* un suo compagno, e la bocca gli aperse
Gridando: Questi è desso, e non fovella:
Questi, scacciato, il dubitar sommerse
In Cesare, affermando che il fornito
Sempre con danno 1* attender wfiferso.
0 quanto mi pareva sbigottito,
Con la lingua tagliata nella strozza,
Curio, eh* a dicer fìi così ardito l
Ed un eh* avea i* una e i' altra man mozza,
Levando i moncherin per 1* aura fosca,
so
95
iOO
85. Qwèì iradilor ee , cioè Halate-
ttÌDo, cha vadetulaoieote eoo un occhio,
cioè cbe è deco d' un occhio.
86. la terra, cioè Itimino, éha, U
quale terra . tal è qui lateo, tale , ano
spirito, che è qui meco, vorrebbe ec.
il che TI è taciuto per elisM. Il nome di
qaeato tale ai dicliiara in appreaao.
88. Farà venirli. Gì' inviterà ■ to-
DÌr con eiao luì a parlamento, come è
narrato nella nota al verso 70.
89. Poi farà si. Poi farà a) che
eaai noo avranno più bisogno, come
hanno gli altri naviganti, di far preghiore
a foti a Dio , acciò che gli scampi dai
tento di Focara , cioè quand» surUa il
Tento dì Focara. G>n que^la forma di
dire il Poeta ha voluto signilìi-are che
Ualatestino li farebbe soninici gere nel
mare. Focara è munte della Cattolica ,
dal qtMle svfGaou venti borrasooai.
90. ptfeo, prego.
93.^ Chi è a»lui dalla veduta ama^
rm: chi è colui drl quale dìveati che
Terrebbe eaaer digiuno di veder Kimini.
O , pia lattei almenie : a cui fa amaro •
cagion di gnai PaTar TadaCo qwUa torà.
96. a nonfaioeUm, a non poè hTal-
lara : aark detto in appraaae il panhè.
97. ieaeeialo, canla àa Roaa. —
U duMar $omwiaru ca.. daè affinar
in Cesare il dubiUra.la narpl— ittnJa
3 naie egli era aa ubbadiaaa al Sanala
eponando il coniando, o ramala 3 la-
bicone portaaaa le armi contra la film
par mantenersi nel poterà.
98. affermando eh$ U /bratta ar.»
cioè, affermando che cdni A» ha lolla
in pronto , cui nnlla manca a
a fine nn' impresa , aempra chfca<
dal ritardarla. E tradotto il tana
di Lucauo : a ToUe morof, matmiittm'
per diffmre paralit. • Hian., Eh. I,
V. 281.
102. Curio. Curiona^ cha,
Lucano, diede il mal consiglio a <
e che qui in pena del ano dclilla ha la
lingua tagliata. —db'a dicer te. Caalrai-
che fa ardito a dicar coak a
404 . { moacheriii , k
quali è stata rcdsa la
aria.
dalle
CANTO TENTESIMOTTAYa 193
ti
Si di 1 sangue facea la feccia sozza, los
Gridò: Ricordera*ti anche dei Bfosca,
Che dissi, lasso I Capo ha cosa fatta:
Che fìi il mal seme della gente tosca.
Ed io V* aggiunsi: E morte di tua schiatta;
Perch* egli accnmalando dnol con duolo, no
Sen gio come persona trista e matta.
Ma io rimasi a rigoardar lo stuolo,
E vidi cosa eh' io avrei paura,
Sanza più prova, di contarla solo;
Se non che conscienzia m' assicura, ii5
La buona compagnia che Tuom francheggia,
Sotto r osbergo del sentirsi pura.
r vidi certo, ed ancor par eh* io *i veggia,
Un busto senza capo andar, si come
Andavan gli altri della trista greggia. i20
E il capo tronco tenea per le chiome
Pesol con mano a guisa di lanterna,
E quei mirava noi, e dicea: 0 mei
Di sé àceva a sé stesso lucerna,
Si db# 'I MMMM «e., comeebè
dbt 4ti Boonarini grondara,
lafaeda.
. Duo della famìglia de-
allrì Taffliooo , di
il ^oala aiutito
BooodalmooCe
ì par Teadicara l' onora
•fliae da cmo Booodel-
fl mala avendo promano di
■■■ UMÌnlla di ^ella famifflia,
ba di ana donna della
èli Panati, tfeeè nna Sgliuola
falla acceaa la prima f a-
rdBa in Piranse. la quale
in Goelfi e GJiibellini.
nel 4215.
117. Ctf %A tma fattm : aoaa fatta
laaifn, cbè, porla a na eiilo. Qnanda
Il «an ina falla , pai ai accomodano.
K iMrtn pfwariw ai valse D Moaea
dagli Amideii propo-
il Bnvodeli
^K
nrSv
lifflia, e
del BnondeJflMmti
detta città e ron eeaa
cfca &i 1/ wuii «esie
HO. duol con duolo ^ doè il dolora
delle p^ ne dell' inferno e quello che a
lui cagionava il ricordarli che per quella
discordie erasi estinta la sua stirpe.
m. wuMa, fuor di sé.
•f (3. aoret paura ee. : cioè temerci
di essere tenuto bugiardo narrandola
«oto, cioè iOfua Uttiwumi. o altra
prove cbe faressero fede al mio detto.
4 4 5. 5e non cbe la coscicnxa («nella
buona compagnia che, fotfo fothergo
d$l ttntini pura , doè affidata nella
propria innocente, rende l'uomo fran-
co) mi assicura. Bella sentenza, nobil-
mente espressa, e d'ogni parte vwa^
che una buona cosdenia è più forte di-
fesa air nomo nelle contradiziooi e nella
avversità, die argomento qualunane, a
per lei sola è sempre impavido in faccia
pur della morte ; mentre l' uomo falsa
e reo si sente minore di tutti, ed ha se-
guace eterna la vile paura.
122. Peiol, doè, pendolo, sospeso.
423. Orna» oimè.
424. Di tè faceta te. : degli occhi
del suo capo , che egli portava in ma>
no , valevasi come di lucerna e guida ai
passi del proprio tronco*
i5
49i dell' iin'EBSo
Ed eraa dao in uno, ed uno in doe:
Com' esser può, Quei sa che sì governa.
Quando diritto appiè de) ponte Tue,
Lerò il braccio alto con tutta la tosta
Per appres^rne le parole sue.
Che fero; Or vedi la pena molesta
To che, spirando, vai reggendo i moKi:
Vedi s' alcuna è grande come questa.
E perchè la di me novella porti,
Sappi eh' i' son Bertram dal Bornio, quelli
Cb' al Re Giovane diedi i mai conforti.
Io feci 'I padre e 'I Gglio in sèi ribelli:
Achitòfel non fé più d'Absalone
t2S. EdnMndMK. Inlcndi
■TUO dai pirli d'Doino,upi> ab
lo iddio,
<2T. ttiriirn appi) ^tp«il*,
pit del poDlc, lolto noi ippuulg.
139. /■«- apprtiiartw K.,
■ ppreiiA ìt tmti perrhi iroitftprn i
pii di noùa la fuatt eh* di qc
oofI ctie (ulti uperULo 4Ì ««Pi toBpi.
inchE nel MonUien onltco li n»-
•ella Xltuuaincitmat- • Ltgtni della
banlt dal re (ioiiiw n«ng|iaBde col
padre percontiglÌDdi BerlRBedal Bor-
nio ae. • Ed OD oltimo Codio della M-
HnB Comaudia, dia i Dtil* Bibrwttca
Ealane , perla a
d«. canta di Gnitnna i M Poi
okt'ridachejli accorgiiamlidi
~ m datui lunga alli
inaU ■ Imni «ioti
L'inlaliH liixana fa eolio dalli
■biondella rìta, e Bcrlrano li
io na naalnaima elegia.
(SS. Ck-ol Ae Ciovtnu .
- i mal tùmbrlt. i
, i eatliii oMMtaB. Af
chi il Cini» XIXIU, I. Ifl, m^fm-
rieri. — Allrì Cod. nul eoafvrft.
tSS. tÌMH. •)» lal» antntf.
■emiri Cuti Pcirarea dÌM di mni
-■fai
liad pnaaiiclit mila, lo prgrimoa il- IST. Arltilcfil lum /h pi*
Inlri latlerali^ il RaioDoard, il Pareoli dircnamcnie da me opnA, in I
D^le II
CANTO TEirrESIMOTTATO.
Edi David co* malvagi pnngelli.
Perch'io partii cosi giunte persone,
Partito porto il mìo cerebro, lasso!
Dal soo principio, eh* è *n questo troncone.
Cosi tf osserva in me lo contrappasso.
406
i40
•rfd , teaiaaodo in loro Bnnidin o
gtiio. Lctteroloiootopoi : • Io feci dot
fodro « ed f(liodMoeflùci,ooino AeU*
lofdeolleMO pcrfi<ioMtigttìoai,oo'fluil-
• AomIooso.
439. fmrHi, imà.^fkmi$, eos-
44a. a «lo oiroèro, 3 aie etrrel-
lo, eoo tetto il copo.
444 . IMMioprMSpid: intonai dal
cko Doole cbiomo principio dal
lo toario allora «ai»
▼oraalmenta a^wto dd gran maettro
Arìatotilo. fl qvalo dica aaaere nel cuora
il principio dalla vita , e l' officina do-
gli apinti ritali, do'^ali ri forma in
gran parte il eanrello.
442. lo cowfrappMfo, rioè la legga
dol tagKooo, la qvalo per eattigo fa tof-
friro al driinonanto lo aleaao mala che
agii £boo ad altri ; eonlroppoaco, equi-
Yalo a oonlrasMiififra, la quale ap-
ponto nel Vangelo è promeasa a tatti :
a im 91U1 monaiira moliti fkteritii, ro>
wmiitlmr 9oHè. ■•
CAin# TiaramDioifoifo.
• te fMir i'mmmtmm l Pofti, mw pmuUI f ftUaiwi, Si trmOa Im
fdUmnm i mHaKt «m Jìiktmiat < OmM giaiHwt ptr tarrm ttumUkH,
Fmrim Dumta mk OHJfttit^m é^jùnt», « hwiiiwii fé
La molta gente e le diverse piaghe
Avean le loci mie si inebriate.
Che dello stare a piangere eran vaghe.
Ma Virgilio mi disse: Che pur guato?
Perchè la vista tua par si soffolge
Laggiù tra I* ombre triste smozzicate?
Tu non hai fatto si ali* altre bolge:
Pensa, se to annoverar le credi.
Che miglia ventiduo la vaile volge;
E già la Iona è sotto i nostri piedi:
%, %ÈtkriéUj incappato, cioè , di do-
Ibmm «bbovo, di lacruna, accnmolatesi
liooo. Anche Catello
owllof , Wncfaè U a'intoo-
cbo di lacrimo.
»^«torf a fimtgtn oc., era-
( d* «no rfogo di pianto . Aif
ko le ««e dolceno, 0 triato
looonobbo.
4. rat pmr gmmUf che cota ancor
1?
10
5. ii ioffolge. Questo Torbo riano
dal latino tuffuleire; perde intondi : ri
poaa, ri appunta.
6. «moxstcato, mutilato, tooociato.
8. annoverar U trtdi, le ombra.
9. volgi, gira, ha rcntidue miglia
di circonfereoza.
40. B y^'d U Imm oc. è noto che
no'nleniloniì la Iona sto anirorinonto
al lar della aera , e nello Zenit a moa-
laootto, e che per cooseguenta ri trot%
DELL ^^■peR^o
Se tu avessi, rìspos' io appresso,
Alleso alla cagion perch' io guardava.
Forse m'avresti ancor Io star dimesso.
Parie sen già, ed io retro gli andava.
Lo Duca, già Tacendo la risposta,
E soggi Dgnondo. Dentro a quella cava,
Dov'io teneva gli occhi si a posta,
Credo che nn spirto del mio sangue pianj::
La colpa che laggiù cotanto costa.
Allor disse '1 Maestro; Non si franga
Lo tuo pensier da qui 'nnanzi sovr' elio:
Attendi ad altro, ed ei \i si rimanga;
Cir io vidi lui a pie del ponticello
Mostrarti, e minacciar forte col dito,
E udì' 'I Dominar Geri del Bello.
I
■InmindìiiUHipeiilatMlItiilir.diai IH. tata, boa, taau.
<|unta dire lollo i D«l[i pwdi. Ha co- 19. Miapotla, àtitiéftmM,m
nit dll plnitnDÌo, tha h li nnlK clis (Biutll.
il Poeti fi rilroTi par la Klfi,iÌDii al SO. unipÌrloJrtmliitamgii*,atr
pania qui accenniU, è cana un ^lor- ipirita mio canHAEDiiKa.
DD, pillala (ri la lei'i a il mDnla , a 21 . ^ ealpa te., ewè la *•)•• t
impiriiila I Mrearrer l' lofema dilla è liD(rÌD pnliLU.
parli lina alta noni bolgia; tModo 2:1-23. «on it franga Uila»f^
Dola, percU l'ibbiimii iiverlilD litro- (icr te. Spiagana «IcaBÌ i naBi'iB|ii.U-
TS, eli* la Inni dopo il ido pieno ri- liiei il loo peoiiara ■ rigaird*«iW.
tarda ogni ciomo più di Lrc ifuirli d'ori lo perà ttm di opinione che ùpaKiéi^
* lenire il iDorìdimo, a illrettanla por mM Hlomì il liw pnulere ■ W. E
sa Menila che nrl cnn preionli II Ibdo qainta ilw dipingo il fa
■n al Nadir, ulta i piedi dai Pueti, nicole, rka <|Uhi an ranr
VB'ora drea dopo nenogiomo, proto lull'obictto, donda poi ti ri
la. the Ih ii(m cadi. di
^i In non ied>. Più leali ci
14.
IS.m'avrttliaitar tolta
lUn, il fon^minni qui
• «li» eli a'
di Iure , ronrandevino il rijtaUm «1
rifrmf". di ■*• "">'• «IM»» f»
]. Da moda limila ■
Tiri ampi. l)° l'oda limila ■ qMiU
r ibbiini •edita ai Canto XI, (. 4M
ire Chi lolo Btlilamia MiM* ainCM.
«o 2G. MoiIraTli, cioè noatniliitb
Dco allri tpirili ,t'ftiti»cattrfitTUcft4iU.
Hotendolo urne ti l' Barn* idirafo <4«
iM7. Parte len già it . CetlnUò Dinieòa allnii.
•d inloadi: lo ll»a. Vinplii., parla, 27 E udr 'I, t l'adii. — G*n' fi
blanla, ten aita , ed io (li indtia dip- Elgflio di Ballo «lo d' Alighiero biute
tra f*MBdogli II liipMU. di Diulo. Ha Diala diati aden i» M
ì
CASTO TEATESIMOHOnO.
Tq eri allor sì del (ulto impedito
Sovra colui che gfi Lenoe Altaforle,
Che nou guardasti in ìà, si fu partilo.
0 Duca mio, la violenta morte
Cbe non gli é vendicata ancor, diss' io.
Per alcun l'he dell' onta sia consone,
Fece lui disdegnoso; onde sen gÌo
Senza parlarmi, si com' io slimo;
Ed iu ciò ro' ha el fallo a sé più pio.
Cosi parlammo ingino al laogo primo
Che dello stx^lio l' altra valle mostra ,
Se più lume vi fosse, tulio od imo.
Quando noi fummo in su I' ultima chioslra
Di Halebolge, si che i suoi conversi
Potean parere alla veduta nostra.
■llraBglioil'&lifiUi
Lamenti saellaron me diversi
Glie di pietà ferrati avean gli strali:
Ond' io gli orecchi colle man copersi.
Qual dolor fora, se degli spedali
Di Valdichiana Ira 'I luglio e 'I «eltembre,
E di Maremma e di Sardigna i mali
Fossero in una (ossa talli insembre;
Tal era quivi, e lai pti7.io n' usciva,
Qnal svolo uscir delle marcile membre.
Noi discendemmo in eo 1' ultima riva
Del lungo scoglio, pur da man sinistra,
E allor fu ia mia vista più viva
Giù ver lo fondo, dove la ministra
Dell' allo Sire, infallibii giustizia.
Punisce i falsalor clie qui regùtlra. (*)
Non credo eli' a veder maggior trislizia
Fosse in Egina il popol tulio infermo,
Quando fu 1' aer si plen di malizia,
Cbe gli animali, ìnlìno al picciol vermo,
CascBTOn lutti, e poi le genli antiche,
tS, Lamtnliiattlitrtmtc
bolgi-. — pvr da wi
•llrclliDli itn]! di (ernU
4e. Ouat dolor fora.
il llmenlii; ofpnrc, ijailr
T".',;
t Mh. ^
bolipnaa l'IUtli
lìii •rtBa I* iute
pxM In Più «
in*. — SardigAo:
. In qnnli iBogbi,
s. — cht fili rrfUIra. i
■of» il fui ti mumlB pm
'BoUiaKUrn anali tal
u più ngi
33. rmllimarira.
V irgi», dtl ntAia éì «thhtìgt.'
SI. Dillitageieoslia. Diluiti.—
luRfo, ftnbi lnr«MBl* tali* Is dicci
ini rìpi. rt, fu pBiilMu ik ftnit ftrVIalm»
n, fu pKiilvau ■!
nrddl'l,.!. cb(
k,»«*ii^
CANTO TZHTESOiOirOlfO. |9a
Secondo che i. poeti hanno, per fermo.
Si rìstorar di seme di formiche;
Ch* era a veder per quella oscura yalle s&
Langoir ^i spirti per diverse biche.
Qoal sovra '1 ventre, e qaaì sovra le spalle
L' un dell* altro giacca, e qoal carpone
Si trasmutava per lo tristo calle.
Passo passo andavam senza sermone, 70
Goardando ed ascoltando gli ammalati,
Che non potén levar le lor persone.
r vidi doo sedere a sé poggiati.
Come a scaldar s' appoggia tegghia a (egghia,
Dal capo a* pie di schianze maculati: 76
E non vidi gianmiai menare stregghia
Da ragazzo aspettato dal signorso.
Nò da colui che mal volentier vegghia;
Come ciascun menava spesso il morso
Dell* unghie sovra sé per la gran rabbia so
Del pizzicor, che non ha più soccorso.
E si traevan giù 1* unghie la scabbia.
Come coltel di scardova le scaglie,
0 d* altro pesce che più larghe 1* abbia.
M. Si rUtorm- «., «oè, ti nor*.
4i miUmi di formidM. B b-
ftb tkm GMf • n prìcgbi d' Emo (ratfor-
mmm k formickt di Egioa in aomioi :
dt éè f«H« il MOM di Mirmìdoni ai
Mpifi S ^mII'ìmU. Uùpiin^ ia graeo
•MiblMwica.
9$. Ch'wtéUr. lai. : di qoello
im «B M., • camipoDdc « fma§gioT
trtttaim, 9»È» ? trai a«pra
M. Bieké: bica vale aiieclilo di •»-
fidiyo;aperaataini<MuiBawccluo
i7. Qmtl »o9n 't 9§iUr$ «e. Gli
ééUmkA^At aoUraao adoparara Balla
Iva taM arti il aeroirio ad altra ma»
lam ma aaai paea aoCa, arano aofgaUi a
dUrana ^ a aagnataaiaiila alla
Fiafa ù Poda cba ancha ia
laa paatti aen peaa aìjiiigliaali
• «aaHa cka tbbara tivaado par cagio'
Si Iraaawtaaa, caaibiaTa
-aarpoM , perchè aaa avaa
• • • t*
I IB pwdl.
7^74. a ȏ poggiati te.: appof-
ftlMfi.
Wndia
giad fianco a fiaaeo, arrero achiaaa eoa*
tra aehicaa, aoiaa praaao al fuoco ti voi-
Udo aao contro Fakro, perchè ai aoatea-
gano, dna piaUi, o teglie, a fina di
riacaldarli.
75. tehUoKU, croate.
77. dal tignorao, dal aigner aaa.—
ra^oixo, del lai. barbaro rggattmip ita
qai aervo o moczo di etalla.
78. Né da eoUi. Né vidi mai
ghiere ceTalli con lenta prestesa
colai che dendera d'andeni a
mire.
79-80. a morto Dtfftmgkit, cioè
il graffiare dell' anobio , che , a aomi-
{[lienu di denti, ucereveno le cerai
oro.
SI . eh* naa ha pf& ioeeorto, che
non he meggiorey o altro rimedia dia
aaener ranghie.
82. £ «i Croraa» glè Fftmghie «e.
Coatmiaci : B V unghie ti iraooem già
ia teabbia (le croate).
83. Cotne eolUl «e.: come il ealtella
trae le aquame del peaca chiaauto acar-
dova.
0 m che collo dita ti dìsmaglìe,
Cominciò 'I Duca mio ad un di loro,
E che fai d'esse talvolta tanaglie,
Dimmi 3* alcun Latino è Ira cosloro
Che son quinc' entro, se l'unghia ti basii
Eternai mente a cotesto lavoro.
Latin eem noi, che In vedi si guasti
Qui ambodue, rispose l'un piangendo:
Ma tn chi se', che di noi dimandasti?
£ '1 Duca disse: l'son nn che discendo
Con questo vivo giù di balzo io balio,
E di mostrar l' Inferno a lui intendo.
Allor si ruppe lo comun rincalzo;
E tremando ciascuna a me si volse
Con Dllri che l'udiron di rimbalzo.
Lo buon Maestro a me tulio s'accolse,
Dicendo : Di a lor ciò che tu vuoli.
Ed io incominciai, poscia ch'ei volse:
Se la vostra memoria non s' imboli
Nel primo mondo dall' umane menti,
Ma 3' ella viva sotto molli soli,
Ditemi chi voi siete e di che ^nti:
La vostra sconcia e fastidiosa pena
SS. I[ diimagUe, li diimigli. Di-
ITuagliart ttle rompari > ipiccor» le
iui|>Fie I'ddo iltlj'allro. Qui, pur linii-
liladin*, [(iidcrli aroa, (lauirii<i ià
brtnì coll'dnjjhii. La pollg i toBàJo- pei
S7. iht (ai ietti lanaglie. ■ l<
Strm|[udB li «rag tri 11 pollica «l'in-
JJM, ■ lInppBiida. l'ii
n. Ulima. lltìitBv.
89. tt J'iMjrAta H. Il H Illa ifm .ne
^nlo il cAt inprocitiio o it cari. ( ti
tpiBgl: Bui ti liàsli ctrrniiDvDIa i'aii-
flbii a polirli (nllm. Noliiì il hIs ••!
US IMipo t U coDieaitiua di iiuala
latarii. E « «iiiideri poi tulli intii-
polnlo pmendre ifilì owbi DMlri ìt
iiHiggiini l' an.
o uulirelLiincnlr, pcraefr
tOI. Fwli È 11 «n .
IU3. Si. QuaU partki
qoiptrglioj
ilngn dilla meoli nniana a
mando, tiot ntll* Urrà dai ii
ÌGÌ. tutto motti toti^^r a
iOi.iKntiipanfHli, Dua
1DD. tyuid- JrriiD.Uiiv
CIMO VEHTE5IM0N0.VO.
Rispose l'nn, mi fé mettere al fuoco;
Ha quel perch' io mori' qui noti mi mena.
Ver è eh' io dissi a lui, parlando a giuoco;
r mi saprei levar per 1" aere a volo:
E quei eh' avea vaghe/ia e senno poco,
Volle eh' io gli mostrassi l'arte, e solo
Perch'i' noi feci Dedalo, mi fece
Ardere a tal che 1' avea per figliuolo.
Ma Dell' ultima bolgia delle cliece
He per alchimia che nel mondo osai.
Dannò Minos, a cui fallir non lece.
Ed io dissi al Poeta: Or fu giammai
Genie si vana come la Sauese?
Certo non la Francesca si d'assai-
Oode l'altro lebbroso che m'intese,
Rispose al detto mio ; Tranicnc Stricca,
Che Beppe far le temperate spese;
E Niccolò, che la costuma ricca
I
fini toM DD certo Grìnolin» Mhhmi-
inciHii l'art, artb. al denstailla fceal-
Un..|il....prD.I. a», di cambiar, i»
lolin, prDPDiH d'iuugotrl) a un S^-
nc«cU<inal> Alòtro. », •«ondo Mr\
oro i nHIilli.
4!l> aati ftllirncn Itti. I«l.r,ì
«.ti, ilicrto; U , «le d. privagli .K.
dMU, • .g»t .«uri»! dì «ocre ìa-
ganaa, eoaie il TOCOIO tba ìngintU-
G»B<(o, la arcuò al tacnodi SloDo
mcote mi lece irJero.
122 al «.»<>. di.'! poco uno».
423, Cerio m» la Francata ri
Kofo fu knoalo tÌio. Qaaìt mMù
d'almi. Non i >i Tina dì erin laogi, ■
» lidia a « «oBtrarie al divino ipirìto
Rren pene, la nllioii IraocMj cioè
oioIlB la Binca per agnhinnra alla To-
Jd Tu|tU , Kn» , i TtTD , laa bruUa
nili dei Sinni.
124. l'aJlro letftniii): Cepacebia,
ilchiini<ta ■ laliilor di mttilli.
r»l. t »dda lanaliinio, ni D dia de-
bito ■ Mdelloriaielode'aiioìiBiaiilri.
<H. «a fwitc. Ini.: ma la u-
Icouneieiciolicqiiatnri. V.jn.inGoo
aici''"-"-""™"""'
126. I( (enperale: per ironia: 1*
tceeuiie, fmodile.
414. cubila, molli euHotlto.
127, B Niccoli Dicono che eotluì
IO. farUper eeulleou inleuJo-
fot» de'Soltmbcni o dt-Bomipori dì
tui la magia.
Sieo.,ach..i.>ndi.«dÌd.raDBo.i
iit.notfiti DeilalD. cioè noi tKÌ
t dflicili cipri elle tIkoJ*. Dm ipc-
cie di «rrotlu, dot* •u'i pimcii giroliiii
Toltra eomt DtJ>lo,chr ptr t«t!P" <<•■
UberioU dj Crdi urna d'ali le brac-
cia a leToir in allo.
417. iht ra«a pn- |t!il[i»(a. Il
ll'uHn») ricca. Si hiuno <trj looalli
itM<Ho Ai Siena li leu»! Allora conio
di Folgore da 8. Cmigocno diretti a
...figlinolo.
I<g. ahhiMia [dal gr. x-,:^i<i,fn-
b,i(.l. ..=«..
DELL ISFEBNO
Del garofano prima discoperse
Nell'orto, dove tal seme s'appicca;
B tranne la brigala, in che disperse
Caccia d'Ascian la vigna e la gran fronda,
E l' Abbagliato il suo senno proferse.
Ma perchè sappi chi si ti seconda
CoDlra i Sanesi, aguzza ver me l' occhio
Si che la faccia mia ben li risponda:
Si vedrai eh' i' fon l' ombra di Capocchio,
Che fal^ì li metalli con alchimia;
E ten dee ricordar, se ben t'adoccliio,
Com' i' fui di natura buona scimia.
là ii Sirai, imt <|uel-
r abbaglialo ina M
\tiiaU.
lakaltitattofliaU
133. turili Hemda CU là ki
loiieirì^ e ditFanfro po'rri.
d-Jinsn te. fa
mmiiiiiello
IS3. tflt li riipotiAa. I
f pondi il dfiiJcrìo cb* liii
■»nDÌ. Onu , mpandi li tq<
gnaula fntida,iÌBÌ,iiit:
cbe ••«• di Tifnxidl b
no, cutdls iB riacl diSteni. —
òafUala, ali» pmuc uihu. .
penHoo A» ÀUigliato lii iggiu
Biul« Icgguaa E
ro OHilnffallan.
CAHTO THKNTKSmO.
Nel tempo che Giunone era crucciala
Per Semelè conlra 'i sangue (ebano,
1-2. fiiwvnif rra truerìala Ptr in odia dalli gclow (^nnaM, <W mm-
rllolli|ii*l«(Miiw.Si'iiirlo nibilc di li - -
ieri Chw, «perdi
Ulai
^
CANTO TJUSlfTBSaiO. t03
CcNBe mostrò già una ed altra fiata,
Atamante divenne tanto insaso,
Che vagendo la moglie co* duo ^li s
Andar cercata da ciascuna mano.
Gridò: Tendiam le reti, si eh* io pigU
La lionessa e i lioncini al raroo:
E poi distese i dispietati artigli.
Prendendo 1* mi eh* avea nome Learco, ìq
E rotolk), e percosselo ad un sasso;
E quella s'annegò con l'altro incaroo.
E quando la fortuna volse in basso
L'altezza de* Troian che tutto ardiva,
Si che insieme col regno il re fu casso; n
Ecuba trista misera e cattiva,
Poscia che vide Polisena morta,
E del suo Polidoro in su la riva
Del mar si fu la dolorosa accorta.
Forsennata latrò si come cane; so
Tanto il dolor le fé la mente torta.
Ma né di Tebe furie né Troiane
Si vider mai in alcun tanto crude,
Non punger bestie, non che membra umane,
Quant* io vidi due ombre smorte e nude, (*) u
Che mordendo correvan di quel modo,
I. CMMmoiIrd «e., eoin« pia folto
làim
ì. R« di Teb«, ek« Gìa-
MH fan diwuUr forìoto di goÌM, ch«
éttmtnmàmi cf li ma Ioo sia moglie ,
PcrtMlt io collo Loarco • Il elicerla tuoi
ffiaUlli, lo erode ano liooetM, o fol-
I frid^ : T^mdUm U reti u.
t. &rU§U, le Booi violeote.
11. MNft F mitro teeareo, eoa Ale-
i , càe •? ero ia collo.
44. cfto ivilo «rdico» doè che ar-
ém di fan ornai ooaa anco icolleraU ,
OHtfa^aeiladirajtiro Elooa a Meoelao
momanU «rodi Sporta.
IS. /Il omtiù, tu ottJnlo • dialratto.
II. Bemkm, Moglie di riianM», dopo
foMÌdio di Troia fa loUa prìgiooieracoD
■H aw Sfiiaoli dùamata Polioaena ,
il* i Croci avioarooo aa la tomba
fàfàSU por pUearoe Toaibra. Ecoba
prigioniera Teno la
■ icootrò fu i lidi della Tracia
Bel eadavoro del aao fidiaolo Polidoro,
càe ora itolo niorto da PolinBeatoro;
ood' ella per gran didoro aiiso altiiaiaio
grida. Intorno alla morto e trasforma»
zione di Ecnba in cagna, vedasi Ovidio,
JfdM».. Ub. XIII, Terso la metà.
2\. le fola «lento torta, lo travolso
la mento.
22-25. JfaaidireAeae.Manonfnr
mai veduto forìe né ia Tebe né in Troia
andar si cnideli oootro alcaao, né sì
acerbamente ttranar bestie aon che
membra aaiane (nomini), ^anto enideli
e furiose, vidi due ombre ec. <^nno sa
che in Tebe e in Troia le Fune ehber
molto che fare. La Nidob. e le odia, a^
gnaà leggono: Qtutmt'io vidi fo duo
ombro , che bisogaerebbo spiegare :
0 quanto cradeli fidi U Fano imper»
Tersero in due ombre, ee. La prima Us.
però porge aaa fraaa pii farne.
(*) Cobtraffattorì delle altrai
SODO.
Che il porco quando del porci! si schiude.
L'nna giunse a Capocchio, ed io sai nodo
Del collo l'assannò, si che, tirando.
Grattar gli Fece '1 ventre al Tondo sodo.
E l'Aretin, che rimase tremando,
Mi disae: Qnel rollello è Gianni Schicchi,
E va rabbioso altrui cosi conciando.
Oh, diss' io lui , se l' altro non li (ìcclii
Li denti addosso, non li sia fatica
A dir chi é, pria che di qui si spicchi.
Ed egli a ine : Queir è l'anima antica
Di Mirra scelerala, che divenne
Al padre, fuor del drillo amore, amica.
Questa a peccar con esso cosi venne.
Falsificando sé In altrui forma;
Come l'altro, che in là sen va, sostenne.
Ver guadagnar la donna della torma,
Falsilicare in sé Buoso Donati,
Testando, e dando al teslamenlo norma.
E poi che i duo rabbiosi fur passali,
Sovra i quali io avea l'occhio tenuto.
ir .li /«.
Httamorf. Il Gero Ghibellina lide jxn
Kccuue la pimle.... Bac IFIomlia)
jlfjrrrJia i«Im(«(I uipiaiit Cinjrra
palTJiampltauttxailiiuiut. Cpiit. ti
Arrigo.
40. Quitta a peccar ft.: cMln
cbe leaj;i dd comico, non >Im nur a
nyiglia, itloo li oihira icrtmeole i
tifica del Poco». — il /ondo (odo, d
il duro terreno di quella bolgi*.
51. rireliH, GrinoJìno.
52. fallMo. E ooint the ai dò
(«li lutili, cbe eredoDii errar ditpeni me « tm inganno.
ptrl'irìi, e in>|iiielir< le ibituioni de- 42. Come l'oUro. do* ìl aapnd-
[li uomini} fui pari lì cbiiml iw detloGitnai£cU>«hi. Dicoao efaaenlw
'aninu irreqoieli e nolcoU di Ciani limiiHa dal lilla il ladoiir* di B»»
StkiteM, che dieuao «lere italo de' Donali, ed entralo io laogo dì <|BrJta.
Cavilcaoli di Fireou , ihi1i»imo ocl « Gnu»! Uuota moribondo, delti in le-
enalnttire le fienane. itameulo In tulli icijoll a ltBI>|;|ie di
33. eDd CDOcfaiidD , detls ironin- Simuoc Doniti nipote del muto, pai-
mCBle, Tale: mi ttiapanda. & modo loita primi con eoo niiwt* ùi pnn*
limile all' accitma del Canio SXVIll ,
del buono ullic.0 una limola onlla.
TIMO 57.
r onore dflli maiidri di lino», e ebu-
rallro. l'altro lollrtto.
B9. /Wr del drillo amore, oonlro
VcrTion,iB«lo»Mroi.ÌM.— loll*»-
«nlM, ininle. Della hul pauiooe di
" ' *i!'dal!^ll''ùlì^<!^'li>'l^^l
Km pel aupadreCinin ledui il pi»
cioè, outcvudo le forme legali ftnhi
t» r»»H>M ia Ondio, Ub. S dell*
ttmtc lilidiM.
CANTO TREinrEsma
Rholsilo a guardar gli altri malnati (*)
I*YÌdi QD fetto a guisa di liuto,
Pur ch'egli avesse avuta 1* anguinaia
Tronca dal lato che l' uomo ha forcuto.
La grave idropisia che si dispaia
Le membra con P umor che mal converte ,
Chel viso non risponde alla ventraia,
Faceva lui tener le labbra aperte.
Come r etico fa, che per la sete
L*un verso *l mento e V altro in su riverte.
0 voi, che senza alcuna pena siete
(E non so io perchè) nel mondo gramo,
Dias'egli a noi, guardate e attendete
Alla miseria del maestro Adamo :
k> ebbi vivo assai di quel eh* i* volli,
E ora, lasso 1 un goccici d* acqua bramo.
Li ruscelletti, che de* verdi colli
Del Casentin discendon giuso in Amo,
Facendo i lor canali freddi e molli.
Sempre mi stanno innanzi, e non indamo;
Che r imagine lor via più m* asciuga,
Che *l male ond* io nel volto mi discarno.
La rigida giustizia che mi fruga.
Traggo cagion del luogo ov' io peccai.
M5
60
55
CO
65
70
(1 fùàSf^Um òeìU monete.
41. fidi «e. Int.: TÌdi ano dio. tvea-
4 il Villo od il collo tearni, oa atsai
IM» par idrofwio il Tootro , iTrobbo
^ilitHiUoata Jiooeirittnunento di
<*dt fkc Aiwini bnto, se il no eorpo
^ ilrio inmto preaso V inforcaUira
^«H». n finte ìnTatti ha la cam
■Mra Miti ntta in OHido dm t' aaaomi-
|ha ano fraaM pancia.
M. hur ek'tgli, solo cbe egli.
SI al éUfmim, coa'i ditproporaoDa
li mmkn , ingraaiandono alóuM , od
Ara dHHfrandoM.
Si. «MI fmmor «e., a cagione del-
V^Mwa aln in eatti?a ieotema eoavoio.
Manali gnaate « eorrompe gli naiori.
ML Cht'f 9i$o «e., cbe il volto non
^ Mite pronacriona col ventre.
n. r«m Pnao de' lalM. — ri-
«HH.firelte.
grùwto, mondo dal do-
64. mae$$ro Adamo, Breadano,
die per rìchieate dei conti di Romena ,
die è nn castello ani colli del Coaen-
tino , falsificò la monete . e per ancate
delitto fa preso ed abbmoato nd 4280.
62. io fòM vi90 te. lot. : ebbi,
mentre TÌasi, abbondantcmento di tutte
le coae cbe bramai.
67. e no» {filanto: percbè queste
TiTt immaginaiione m' è date a mag-
gior snpplixio , come dice di sotte.
69. %l mali, V idropisia: ontfe, per
cu : mi dittamo , perdo U carne , o
mi aaaottìglio nd TÌao.
70. mi fruga, mi castip, ormo
uA ricerea severa , mi perseguo.
74-72. Tragg$ eaalontc. Ini. : dA
frcacbi e molli canati od Casentino, o? e
io falsai la monete, prenda cagiono
ondo maitar ffà I» fìiga^ cioè ondo
fami eaalara pia fraoncnli i seapiri. te-
nendomi aempre quelli presenti aU'im*
maginazione.
A meller più gli miei sospiri in fuga.
Ivi è Romena, là dov' io falsai
La lega PDggellata del Balista,
Percfa' io '1 corpo suso arso lasciai.
Ma s' io vedessi qui 1' anima trista
Di Guido, 0 d'Alessandro, o di lor frale,
Per Ponte branda non darei la vista.
Dentro e' è 1' una già, se l'arrabbiate
Ombre che vanno intorno dìcon vero:
Ha che mi vai, e' ho le membra legale?
S'io Tossi por di tanto ancor leggiero.
Ch'i' potessi in cent'anni andare un'oncia.
Io sarei mosso già per lo sentiero,
Cercando luì tra questa genie sconcia.
Con tulio ch'ella vol^e undici miglia,
E men d'un meizo di traverso non ci ha.
Io son per lor tra sì falla famiglia:
Ei m'indussero a ballerò i (ìorini,
Cb'avevan Ire carati di mondiglia.
Ed io a Ini: chi son li duo tapini,
Che Itaman come man bagnata il verno,
l
74. La liga tuoncllafa et., cir>l il
UH di n.Ì,Br>, BOB di PM, *J cqniTilt
Atri» d' oro, eh» a<c.i d. boi rum
.»npoII.«.
B.| . lo larti mtiK. mi uroì mMo.
l»r. dì gigli., d.l ^,..1 fi... .„. lir,.
pB«i,.0.t. Boll. DHD.br. ; D od ««i.,
atUlliel- — KltgtllnU. impr>nltll.
Uir.».
IT. C»(A.. Jl».afldr<.. »Pli di
SD. Con (uttoelk »bbep«.— «tb
Bmuaa. — dJJarfralr, del loro fn-
volgi, eoi la tallii, rio è lappINi dal
lello, A, ditano « chìimtHe Arbi-
gnln del pirltiile.
87.Bimir«nmaio«.,tIo*oira
78. Per Foni» Branda. Il piscerò
d'pn n»^D mieli» di lirnhu».
di leiler loftoro qui mirCDi pili» non
Si Ira H fatta famislia. in .pa-
MOg.™ idh qscllo rii polirmi diaeLire
•"r°"d.nnnl.
SO. coTBlt. Canto i !■ toiIìbhI.
ri IBII] hinoo cndals cKs iini w «xenni
titamt pine doll'onói, < adopnti
■ Fonte BrtDdi di Sieda; n» il a-«t-
licrl inlesdg ccrliracnte di gn' lilra
5'«ro.-m«,tì,lfa. t.1. foodai <»
Ponti BtiDdi cb'trt deiilro il caildin
<|BÌ «goilici la porte M rame 0 n-
a Banpai, a l< coi ÌiDai.,iig., comò
nilTo biuo «rullo mt^oltU aD'oro.
Ji»M»li>.i«.,.l. »a.pr.iUon
F.DO al lól 1 troriiDio cko Dante «api-
•r pnniiro di l«i iJi* ardo di uu.
loTi di ImiflOBle preoa t «nti di Bo-
T9. rma. l'onìmi di beo d«i »d1I
D,™. tì™.,lr.>l.«l«»..dB»,Be
di Ro>»aa.
,*I-J4>I«. Inailo d.l1ir>oBn,.
qfloll fpnca.
dtlli idropiBB.
B2. CA« ^iiBian rrnnt man M Lo
B2. Ugglm. .gii-, .p^dilo.
iTipomnFnln dell'aciiaa cbi BTTiene
Ki.«i.'«.ela,qBllp»,ip.r,B*a
p» il «loia della mano <b* lo lui ba-
GlIfTO T&ElfTBSmO.
CKteando stretti a' tuoi destri confini?
Qni li troTaiy e poi volta non dierno,
Rispose, qnando piovvi in questo greppo,
E non credo che dieno in sempiterno.
L' una ò la felsa che accusò Ginseppo; (*)
L'altro ò il felso Sinon greco da Troia:
Vet febbre acuta gittan tanto leppo.
E Tnn di lor che si recò a noia
Forse d'esser nomato si oscuro,
Col pugno gii percosse l' epa croia :
Quella sonò, come fosse nn tamburo:
E iBastro Adamo gli percosse il volto
Col braccio soo, che non parve men duro,
Dicendo a Ini: Ancor che mi sia tolto
Lo muover per le membra che son gravi ,
Ho io 1 braccio a tal meslier disciolto.
Ond' ei rispose : Quando tn andavi
Al fuoco, non Tavei tn cosi presto;
Ma si e più l'avei quando coniavi.
E r idropico: Tti di ver di questo;
Ma tu non fosti si ver testimonio.
167
100
iOft
iiO
icfl'arM intoriM molto freddi,
CMBc «a forno-, il thè neirettoto
I. — Il faonrt dà dae ni-
Mri «• cflilto ddU {thhf , COMO dkt
irtloalT.M.
•I toc Itto do-
it. (M M irotai, • po< «e. Co-
• iiiiaili cot'i: Qoi li troni
fHBiA* fHVtileaddn ia qartto greppo,
6 f« t «Jr allora) Tolta aoo dìoroo (noa
di fwl lao|o\. — Qf*Ppo
rÌM , agliare di fowo.
Aduno chiama qad
•gli giacerà Terameoto
Mie Mia ripa, o perchè il latto della
halpa, paaiaadi Torao il eaotro del
aar«éa,yraaaBtevaappaiilo l'idaa dHoi
M. éimm, cioè neao dot dar volta.
Wf. te /iilt« «a. La oagiarda ■(►
t*) Falaiicatari dd parlare, o ha-
giar« • calaaaiatori.
ft. Simon ffaco: colai che iagaooè
Priamo a la iadaaaa a rieerere dentro
lo mare di Troia il caTallo di legno. — dm
TVoia, 000 indica ^ T origine della
perMma di Soono , ma aolamente della
laa rìoomanaa : va aatóateao il partidp.
nosMio : con che ti Tiene a dire che non
aTCTa altra celebrità che il tradimento
fatto a Troia ; della «pai eoaa Todroam
che Sioooe ti offende.
99. leppo , forno ponoleota.
401. fi ofciMno, il oacaramenta , il
diaonorerolroente.
402. Fepa, la paacia. — «rote, rata
teta, irrigidita eowu cuoia. Dal lat.
eorimm i ProTenaali fecero eroi, doada
il Dottro croio.
405. eh» fum pmr9§ mai dwro: il
^al braccio non parrà man darò dd
pogno di Sinooo.
408. a tal mntiir, a tal oopo.
440. ÀI fiÈoeo, al topplino dd foo-
eo: «OM VmH te.: neo areri il braccio
coi'i pretto, coaì spedita, paidiè ara
itretto fra i tacd.
444. Jte Hat., ma cod^ ma btaa>
•amente e più lo areri tpedito qaaado
batteri la moneta.
SOS dell' iNTEBrio
Là 've del ver fosti a Troia rìchiesio.
S' io dissi falso, e tu falsasti il conio ui
Disse Sinone, e son qui per un fallo,
E tu per più che alrun allro dimonio.
Ricoidili, spergiuro, del cavallo,
Bispose quei ch'aveva enfiala l'epa;
E gioti reo, che lutto 'I mondo ssllo- lìO
A le sìa rea la sete onde lì crepa,
Disse 'I Greco, la lìngua, e l'acqua marcia
Che 'I venire innanii agli occhi gì l'assiepa.
Allora il monetier: Cosi si squarcia
La bocca tua per dir mal come suole; US
Che s' 1' ho sete, ed umor mi rinfarcia.
Tu hai l'arstira, e i! capo che lì duole;
E per leccar lo specchio di Narcisao,
Noo vorresti a invitar molte parole.
Ad ascollarli er' io del tutto fisso, UO
Quando 'I Maestro rai disse: Or pur mira,
Che per poco è che leco non mi risso.
Quand' io 'I senti' a me parlar con ira,
Totsìmì verso lui con tal vergogna, ^m
eh' ancor per la memoria mi si gira. jÉH
E quale è quei che suo dannaggio sogna, ^^^|
Che sognando desidera sognare, ^^^
Si che quel eh' è, come non fossa, agogna;
Tal mi fec' io, non polendo parlare,
l\i. Li'tedtlt:trie.,\ìiimcVr\»- Ini.: perla •opnJdclli (ebbn mU.
nmlirlchinedlffiinirsiirgliciniTcrìli IS8 E ptr Itctar e
I i]all fide i Greci iTcaeru ctnlrnlla il • li ijicHlila ildl'ic:i|ni
gr>neii»llor)ileEiin,« p< '' '* ' '■" - --= '-
lailn il monda per quella cbi
:rH» Virgilio.
423-123. < ratqua marcia ti
, 136. daimagaio. danna.
ÌM. cu, p«nÌDccbe. — «i n'n- 438. 51 che quit Me t.: AAt
fartin, mi rìnnpie «d inerowi. doidiri ■rdonlovecir eb* qncU* ikt
427. rarivra-raidor TeLfile per jiur tingno, lii tc-(^, qBM cka ttbt-
c*i tini. — »it etpQ tht H óuolt- (iiimoBla dsb Iimm U|«.
CAirro TREi<rTEsnio.
Che disiaTa scosanni, e scusava
Me tuttavia, e noi mi credea fere.
lIagG[ior difetto men vergogna lava,
Disse 1 Maestro, che '1 tuo non é stato;
Però d*ogni tristizia ti disgrava :
E fe ragion eh' i* ti sia sempre allato ,
Se più awien che fortuna t' accoglia,
Dove sien genti in siroigliante piato;
Che voler ciò udire è bassa voglia .
«09
140
i45
140-144 . € «CMOM Me «e. Si
■m frr la il«Ma sm coafwiaM.
442. Mmgfiar diftUo «e. Cwirn.
wà : mtn TcrfOfM Uva iBaggi«r diftlte
cbt mam è sialo il loo.
444. ^ofiii Irtifisfe «8. lai.: lavali
étSr mmmo ogni trìttcna, li racMOiola.
445. E fa ragion at. Cotlr. a mi.:
a M altra valla arvinia the Ibrtana fae-
totfiim (li accotli, li faccia capitare) ovo
Iona fcntl m timiglimUe piato (litigio) ,
fa r^i^iofi (fa conio) cha io ti sia tempra
•litio.
448. è baita 9ogHa, è gotto inde-
gno d' una menta alavala a à' nn mia ta-
guaet. Memorabila iaaegnamcnto !
CAliTD TREIiTESIlIOPBlllIO.
■If M!fv» fr%fé»m» I PIma' w%no U mtUrm éM'ttUnm MrtkU, do»* m-
mi tt «al* mi ava». TariM /lana* mtlm ap»mdm éi m$9 tUam» i Giganti,
é patuma sunmm. Omù éi vntti, ntkiem da réffiiio, togUtt, trm Ir
« Ugttrmtmtt li pmm $m fuUim» rifiam àtU'lmf^rw^
Una medesma lingua pria mi morse,
Si che mi tinse Tuna e 1* altra guancia,
E poi la medicina mi rìporse.
Cosi odo io, che soleva la lancia
D'Achille e del suo padre esser cacone i
Prima di trista e poi di buona mancia.
Noi demmo '1 dosso al misero vallone.
Su per la ripa che '1 cinge dintorno.
Attraversando senza alcun sermone.
Quivi. era men che notte e men che giorno, fo
4«S. Cas wmdtima fìngiM, cioè
^mBs a Virgilio. — fffia mi mon%^ ini.
^M n^BBvavaro. ^^ a r^^ ^^ iRaMciHii
■i ifaarw, a dafo mi rkoafortò.
4^ CmI crfe <0 attera raceaolala
4igb «lìcK fatti.— te landa ir JcMI.
le ac Namna i poeti che la lancia
4'Adh9a, cka prima Cu di Pelao mm
ptdaa, eraaM wta di tanara la farìla
«. rrium U èH$ia ae. Ini. letta-
: di aaltiffa, a poi di bnaa ra-
gtlo : a me taf. di ferita a di rim^Uo.
7. demp» 'I do$90 «e., volgemma
le tpallc al mitcro vtUoae, cioè d par*
timmu della decima bolgia.
a-9. Su per ta ripa,... Jlirarer-
•aiuio. Ctmmintndo tttraTarto la ripa
che cingeva quella bolgia , ad avvian-
doci al ccolrti deir ottavo cerchio , attia
al putto, taiiM aicim jermona, teuta
far parola.
i 0. Quiti era wten ehenaiU ee.: to'
r^be ttatocowa il crepotcolo dalUiM^.
14
«te
«BLL ' aHEmo
Si che *1 viso m* aadwra inurazi poco:
Ma io senti* sonare im alto oorno»
Tanto eh* avrebbe ogni toon fatto fioco.
Che, cootra sé la sua via aegaitando,
Dirizzò gli occhi miei tutti id un loco.
Dopo la dolorosa rotta ^ quando
Carlo Magno pardtò la santa gista»
Non sonò si terribilmente OrlaDidoL
Poco portai in là volta la lesta.
Che mi par\'e veder molte alte torri;
Ond' io : Maestro, dì, che terra è questa?
Ed egli a me: Però che tu trascorri
Per le tenebre troppo dalla Itingf,
Avvien che poi nel maginare aborri.
Tu vedrai ben, se ta là ti congiungi,
Quanto il senso af inganna di lontano:
Però alquanto più te stesso pungi.
Poi caramente mi prese per mano,
£ disse: Pria che noi siam più avanti^
Acciocché *1 fatto men ti paia strano,
Sappi che non son torri, ma giganti,
E son nel pozzo intomo dalla ripa
Dair umbilico in ginso tutti quanti.
Come, quando la nebbia si dissipa,
Lo sguardo a poco a poco raffigura
Ciò che cela *i vapor che i* aere stipa;
15
•0
30
35
44. t7 vtfo, U ▼isU.
42. alto tomo, corno £ alto, di
forto ouooo.
43. Tanto eh'arrebbe ec. Tanto
alio, che an tunoo al paraf^n di qurllo
9Teh\it pareo /{oco , di laiigaida voce.
\ A. Che, conlratè §e. Cuotniiaci:
^^ ^ii occhi miei teguUando, argui-
^'^t.^^ /a sua via (cioè la via che faceva
tuooo per veoire agli oreochi di
'^1^ C9ntra ià, io dircxìoae contraria,
_ tffoh^{em» occhi mici) totalawote al
Qgo dtmtle qaol aaooo venivi.
46. doioro$a volta, h-roiiM^^oa-
.alla , «lovo per trodimeato di Geno
^^ooo tructa«li treoU «ila oooiìdì ivi
igft'tat* ^ Carlo Magna.
47. I« tm^ta f«i(a, cioè le f«n(o
40tpretap qaalla àoè di cacciar* i Mori
^la Spaym.
i8. Aon«o«4«l«f.NwraT«rpnio
che il suono del corno d* Orlando in
quella occasione fa adito da Carlo !^a-
gDO alla distanza di otto miglia.
40. volta. Alta altre ediziooi.
23. dalla lungi, da langi.
24. maytnare: troocamenlod^tm-
maystiare. — aborrit erri. Da abor^
rare, per aberrare, andar langi dal
vero, ingannarsi. Vedi C. X\V, v. IH.
25. te tu là ti congiìtmgi, te ti ao»
«osti là colla p^rttma.
26. ihMnto a tento ee. b^mdi dal
senso della viste.
27 . te tteteo pumgi, cioè slfaaola te
•tesso, sffretta il pnsao per vadar pra*
sto da vicino le cose che di qui mal di-
secrni.
28. earaméisle, con dimasIrtfioQa
d' affitto.
56. '/ vapor che VatratUpm è la
«sMtet ohe isfitti non è altro cIm «•-
CA5TO TJUUITESIMOPRIMO. Ili
Cosi, forando l' aura grossa e scora,
Più e più appressando in ver la sponda,
Fuggéini errore, e giugnémi paura.
Pcrooché come in su la cerchia tonda ^o
Monìereggiun di torri si corona;
Cosi la proda, che '1 ^ozzo circonda,
Torreggiavan di mezza la persona
Gli orribili giganti, cui minaccia
Giove dai cielo ancora, quando tuona. 46
Ed io scorgeva già d* alcun la faccia,
Le spalle e il petto, e del ventre gran parte,
E per le coste giù ambo le braccia.
Natura cerio, quando lasciò l'arte
Di sì fatti animali, assai fe bene, io
Per tor colali esecutori a Marte.
E s* ella d* elefanti e di balene
Non si pente, chi guarda sottilmente,
Più giusta e più discreta la ne tiene;
Che dove T argomento della mente 65
S* sggiugno al mal volere ed alla possa,
Nes^un riparo vi può far la gente.
La laccia sua mi parea lun^a e grosita.
Come la pina dì San Pietro a Roma;
E a sua pro(Xjrzion eran Taltr' ossa. 60
Sì che la ripa , eh* era perizoma
fm Mfwo itipaio, coodcaMlo, dal
17. ftrmndo: peortraodo, trapw-
II. Fmggémi. . . . giugnémi, «tanno
fv/hyyjrmi e giu^jnUmi. rxoe mi fuif-
R ai fiagoia idairaiilii|. ytuynirrl.
Jnrv d' averle crrduie timi %i «iilc-
|Mta, • •■b«Btra\a in iiiirlla ««Te la
■■ridì^«nia(M4rì. — IUUmI Sluanl.:
rwfgimmi errore, e fresrr ami paura.
6#. «MM m ni (a rrrehia Umiia^
^■B wH* roliriiiir mura rlir l'arrer-
». Maal^egipfKif , r»«lello ile' Sa-
ilónl» ioturno di torri che gli fan
11. Coti ia proda tt. G>fttniÌMÌ:
b di •rrìbili gigafiti rui (iiove ec tor-
nai ts di Otarna la perifina la prodj
Ai òffiiad» il pu0«i ; *w^\% fai eao tur^
■i U ipiMida CbO la luvtà drtla loro
Ai(«nwaa.
A%.EpfrUto»UgikamboUhrae
eia: f«l ambo le braccia legato, cime ti
fedrh in «eguilo, giù lango lo cotte.
50. animali^ mootri bealiali.
53. Aon ti pnUa, c«otÌDU a pr*>
darre.
51. lane tirna, do la tieoa, m la
giudica. — disrrela, giadiiioia.
55 l'argomento della ntanta. Àr-
gomrnUt k>f>iiìlira geoeraimeote mnxo,
{RiIruMrnlo, per uperaro cbotcheaaia.
L'argomento dtUa menla, è la a«a
forra iiitel lettiga e il rafioeioio.
5U la pina di Sampietro La gran
pina di bninru che una «otta era poala to-
pra la mule Adriana in KiUBa, a cho oggi
è Di-Ila arala dell' Apiide di BraoMote.
CO. E a tua pruportUntt a a prò*
pon lOne della farcia.
01. peri^iiM, «oca greca, cba pro-
priamente V 4 le « entimeolo cbo da ' la ci*-
tura dikceode alle gioovcfa'a*
Dal meizo ii
I, ne mostrava ben tsnlo
Di sopra, che di giugnere alla irtiìoma
Tre Frison s'averian dato mal vanto;
Perocrh'io ne vedea Ironia gran palmi
Dal luogo in giù, dov' uom s' affibbia il manto.
Balel mai acnèch zabi almi.
Cominciò a gridar la fiera bocca.
Coi non si convenìen più dolci f^almì.
G 'i Daca mio ver Ini: Anima sciorra,
Tienti col corno, e con quel H disfoga ,
a 0 allra passion li tocca.
Cercali al collo o irover ' '
Clio '1 [ien legata, o anima confusa,
E vedi lui che 'I gran pelto ti doga.
Poi disse a me: Egli slesso s'a
Questi è NembroLlo, per lo cai mal colo
I, dind» (II* 1
uppinniMlu ilrll's, éilnH.
W.Mlmi. doètanaali.
71. Timit
77. pM- lo ni noi tttt.Ta^-
CANTO TRElfTESIlfOPRIMO.
213
Par UD linguaggio nel mondo non s'osa.
Lasciamlo stare, e non parliamo a voto:
Ghò cosi é a Ini ciascnn linguaggio, so
Come il suo ad altrui, eh' a nullo è noto.
Facemmo adunque più lungo viaggio
Volti a sinistra; ed al trar d' un balestro
Trovammo l' altro assai più fiero e maggio.
A cinger luì, qual che fosse il maestro, 85
Non so io dir, ma ei tenea succinto
Dinanzi l'altro e dietro il braccio destro,
D' una catona che '1 teneva avvinto
Dal collo in giù , si che 'n su lo scoperto
Si ravvolgeva infine al giro quinto. 90
Questo superbo voli' essere sporto
Di sua potenza centra 1 sommo Giove ,
Disse il mio Duca, end* egli ha cotal morto.
Fialte ha nome; e fece le gran prove.
Quando i giganti fer paura ai Dei : 95
Le braccia eh' ei menò, giammai non muove.
Ed io a lui: S'esser puote, i' vorrei
Che dello smisurato Briareo
sciando fotte 1« ttrtne intcrpreUxìoni viaggio te. Anelammo pia lungi vol-
cbe fi ton date ■ onesta parola, dirò
che eofo è uneope di eototo, cioè cogi-
tato, che, aceondo l'nao degli antichi di
frendera dcnna rotta il participio per
«oatastÌTo, Tale quanto eogHamenio o
pcoaìcro. Potrebbe aocho derivarsi dal
prorensale cui, idea, pensiero. — E il
tnal eoto di Nembrot tu quello di al-
zart aaa torre fino al ciclo per non
arare a temere i flngelli di Dio.
78. Pwr tm lingitaggio ee. Non sì
«sa jmre, solamento, un linguaggio,
coma ai nsara ne' primi tempi del mon-
do, ma dirersi linguaggi. Eral Urrà
tabu uniui; e poi per la matta impresa
di costai, ibi eonfusum ett labium wii-
Tinm terrm. Geo.
80. Che coii ee. Int.: poicliè egli
noo comprende il fardlare d'altrì.come
ocaaan altro comprende quello di lui.
84. anidlo è Wito. Dice l'abate
Lanci che quelle roci a incito é noto
debbooe intenderai a nullo di noi dna,
a Virgilio a a Dante. Io restendarei an-
che a fotti qnelU che han creduto d'ia*
tendarlo.
82. Foemaio adunqìu pi# Iumqo
geodo a sinistra.
83. ed a/ trar d'un baUttro, e a
un tiro di balestra.
84 . TrotamtM V altro ee. Trortra-
mo l'altro gigante molto più fiero a
maggiore.
83. A cinger ItU ee. Coatr. : non so
dire qual fosse il maestro a cinger lui \
qual si fosse l'artefice che lo legò.
86. iuccinto, sotto cinto, cioè, cinto
sotto la catena.
87. Dinanzi Valtro. Int. il sinistro.
89. 'n tu lo teoperto, cioè, su
3 nella parte del suo corpo che restava
iscoperta fuori del pono.
90. Si rattotgeva ee., si rol^a
fino a cinque giri , o con cinque gin in-
torno a quel corpo.
94. toU'ettere sperto ee., rolle
fare esperimento del suo potere contro
il sommo Giore.
93. ho eotal merlo, ha la pena me»
rìtata, C"** niiplU 'l' Misere strcttamcnto
Itsato.
94- )8. i'iaUe, Briareo, due gi-
aanti , che pia degli altri si mostrarono
torti e audaci nella pugna contro Giova.
ft4 bELL* INFERNO
Esperienza avesser gli occhi miei.
Ond'ei rispose: Ta vedrai Anteo:
Presso 'di qui, che parla, ed é dìsciolto,
Che ne porrà nel fondo d* ogni reo.
Quel che tu vnoi veder, più là è molto,
Ed é legato e fatto come questo,
Salvo che più feroce par nel volto.
Non fu tremoto già tanto rubesto,
Che scotespe una torre così forte,
Come Fialte a scoterei fu presta
AUor temetti più che mai la morte;
E non v' era mestier più che la dotta,
S* i' non avessi viste le ritorte.
Noi procedemmo più avanti allotta,
£ venimmo ad Anteo, che ben cinqu' alle,
Senza la testa, uscia fuor della grotta.
0 tu, che nella fortunata valle,
Che fece Scipion di gloria roda.
Quando Annibal co* suoi diede le spalle.
Recasti già mille lion por preda;
E che se fossi stato ali* alta guerra
De* tuoi fratelli, ancor par eh* e* si creda,
Ch* avrebber vìnto i figli della terra;
100
10&
Ito
ììb
iSO
iOf . « dùcioUQ: perchè noo loUi
contro GioTe.
i 02. nel fondo d'ogni reo, cioè
d'ogni reìthf nel fondo dell'iufemo.
105. Quel che Cu tuoi reder, cioA
Biiareo. Dante forse si mostra curioso
ili Tcder questo gigante per ateme letti
la grandiosa descrìyinne del suo Mae-
sti o nel X dell' Eneide.
405. pmr, si mostra, apparisca.
100. rubetto, im|H'tuo8o.
440. B non t'era mef/ier «e.
A\ rcbbe bastato U stila jiaora {iadollm)
a farmi morire, senza oisogno d'altro
pi r pai te del gigante, sa io non l' sTeasà
visto legato.
\ 13. mlle: mUa è nome di una mi-
sura d' Inghilterra , eha eorrispooda a
due braccia fiorentine.
144. SonMm U Uilm, cioè sema
computare in questa misura la testa. —
fuor della groUm, fuor del pono.
M5. mtUa (érlunntm c«4lf. U-
ctao Suge che il luogo ofe SdpioM
vìhì Annibale sia alalo un tanfo il r«*
^o d'Anteo. Dico forlmmmlm, pcrehè
in essa terra, in Africa, la forlnna ■»
strò suo mitere , o perchè teatro di fpi^
tunose vicende. In lai senno ai vidt
natalo questo vocabolo al C XXVlll,
v8.
4 16 di gloria teda, pn«hè al-
l'aver disfatti» Annibale a Zama, Seì-
piiNie ebbe gloria, e ne credile l'alsao
nome d'Affricano. — rnin, ondo.
447. éiedo le àpalle, ù toIoì ìb
uga.
4 19. alta guerra, perchè lerrìbi^
mente grande e di grandi.
420. anror par ch'egei crtàm m.
Pare aurbe che si creda oer alcuni oc.
(^lucftla idea , e la precooeotc dei pi^
dati leoni, sembrano tratte da Locnao:
a Ferunt eimlat raptoe kmkmMm k»'
N^s. • E ■ • Calo prppreil Qw&d SM
PkUgr^i» Antaum nutulii «rvif. ■
Il sujierbo fa prc^o alla lodo; o par-
óè \irgilio è largo di qnelU aw ' '
per disporlo ad essergli compi nconlo.
42i.t/ly/ide</olCfTa, gli
CAIKTO TEElVTEiilHOPRIMO.
SI 5
Mettine giuso (e non ten venga schifo)
Dove CocHo la freddura serra.
Non ci far ire a Thno, né a Tifo:
Questi può dar di quel ohe 'qai si Inrama: ab
Però li china, ^ non torcer lo grifo.
Ancor ti yuò nel mondo render finna;
Ch'ei vive, e lunga vita ancora aspetta.
Se innanzi tempo grazia a sé noi chiama.
Così disse il Maestro; e qnegli in fretta i30
Le man distese, e prese il Doca mio,
Ond* Ercole sentì già grande stretta.
Virgilio, quando prender si sentio,
Disse a me: Fatti 'n qua, si eh' io ti prenda :
Poi fece si, che un fascio «r'egli ed io. <I36
Qoal pare a rigoardar la Carisenda
Sotto il chinato, quando un nuvol vada
So>r' essa si, ch'ella in contrario penda;
Tal pan-e Anteo a me che stava a bada
l»N Inldli figanti . che , come «lieon*
le lavele, hnmm Salinoli della Terra.
122. MtUin§ fUiio «e. Celaci già
d fndb le mtm le oc iocresca e nea
iadifBwel, ere il frwMo strtnge , ag-
gkarcia, u faine Cicito ; e non ci fare
aaiara a richieder di qaesto favore oè
Jmm me Tito (Tileo), od altro gigaale.
m QmggH può dar ee. OiAm»
tuec ai aaealrano dctidrrnsi i dannati :
d'aver aolitia dflle cote del numdu; e
d* eaer richiaBiati alla memoria drgli
•oanaì. Volti cummeoteiurì ban ere-
ttalo che ni drbha intenderti della pri-
ma enea, m cai M dice cbe Dante p«>lea
a«d«farlo : e eie per la ragiuae che del-
r altra ai ^rla dopo- Auear ti jmò
uri mmi^ rendrr fama. I» t«ino d'opi-
uwoe che la cona che aaMilalainente ai
Ce aperve ad Aoleo per meno di l>ante
aie U fama apprcmo il mondo; e che
il «trae aopra riportato, ooo aia che
«iella I
Ila. U frif; il >
/•, diccei di chi ••perhameale e
■rate diapregia
I2a. ff luiiga rito et..* ed aapetta
di nt art «aceri laogo tramo , poiché
è • Mene il carae degli anni aam.
429. 5f fMMMti fra^ et. Se Dia
per eaa grazia a aè noi ehianui dalla
vita mortale poco dcdderahile rispetto
all'eterna. La morte, quando n vive
ia aaa Inala eocicià, dove V nooio od^
sto ha eempre la poggio , è aaa vera
grana di Dio.
131-152 JLe aum disten te. Co>
stmisci: distese le maoi, dalle anali
Ercole seoli grande stretta, quando fotte
con lui.
135. Poi fece fi «e. Poi fece in
modo che foeeimo da Anteo abbracciati
ambidue qoaii in un fascio.
136. laHicnda. oGsrisenda, torre
in Bologna, ciisi chiamata dal nome di
chi le fece iniialiare, e rlie ogjp è detta
la tiirre mnzaa KMa è multo pendente,
e perciò pnò sembrare a chi ftta sotto il
soo rfttMiloI il san pendio), guardando
in ali«» qnanilu pama alcuna nube in di-
refuioe contraria alla saa iaclioaaioae.
che non la nube , ma la torre stessa ai
m«<va e derhmi : similmente par^e qai •
Dente ohe Anteo si chweaae. Cioè, par-
vegli che il gigante, che gih si chmava
per posarli, steaee per cadérgli addoaao,
non altrimeali ehìa nel deaorillo caaa
aembra a taluaa che aia per cadere la
Carisenda.
139. atee* a 6a^«e., badava, alava
attento a vederlo chinara.
246
DELL 19fF£RNO
Dì vederlo chinare, e fo tal* ora
Ch' i* avrei voluto ir per altra strada.
Ma lievemente al fondo, che divora
Lucifero con Giuda, ci posò;
Né si chinato li fece dimora,
E rom* albero in nave si le\'ò.
140
440. e fu taParm ee.i e fn no dkk
mento, che ec. : ò modo uiUtiMimo.
442-443. che ditora ec.: che eem
in bè e stra/ÌM Kucilcro con (ìinda, e eoo
lai tutti i traditori .Cili<i<leirioferno poe-
son chiamar»! in certo mudo i dannati.
Con aimil metafora ditte al Canto XV III,
▼. 99: Equetto bctii della prima valle
Sapere e di color che in tè assarra.
4 A A. Ni ti chinato ee. Né ponto si
trattenne egli co«i chinato ; ma ti alzò,
•i tifcce diritto sulitamentc, e parve co-
445
me «n* antenna di nate. — C^me i gi-
ganti «botarono bestialmente della fona
e dell' intelletto per levarti contro il
loro Dio da cni l'una e \* altro a%'can ri-
cevuto , coti il Poeta ha con molta con-
venienza meato qnetti ribelli e traditori
di Dio a guardia del pozzo ove eoa pa-
niti coloro che tradirono i vincoli pia
tanti delP amanita.
445. Ecom'alhero in nave tiletò.
Èqaetto nn di qnei verti che dimottraoo
il poeta pittore: e quetti vineoM i tccoJi.
CAIVTO TltElVTESIlflOSECMmDO.
L'mnm dtt nono «erdUo 0 um pmuimttUù di àttrUiimo glumuf forma f imito tlmgm^ma Cmitt^
0, tomt il t^m éi MatthU::*, p*mda 9trm U ttmtn. È éùttiUa in qtttunt tpmrtumfH wnc— Wd,
«A« « twmum» datte divene taumttami dei dmmmmti, 9 i» «Memi* di eui è pmmMià mmm a^ttu di
tradimento, ouim di quella frode pm d'ogni ohm Stanale eko n msa im aotof» tmi imititMem «■
UKfo diritto mtlm mottrm fodo. Net primto, dt$ dm Cauto uteumi* del f rateilo st f><«i« Caiaa, momm
i trmditon dei proprio smmgmet mei oeeomdo, eàe si dice AntfOiin dal irommm Amleomen. the i
fiialeke manto ètonco oemdè Trotm m» G'oei, stmmao i traditori detta patn,i, o del proprio
mot tenoi, tàe dml traditore del giam Pomtpeo g'tHhiola Tw!«iiira, 1 traditori degli aama : w
Jtaalaieate, amatalo GiiMl(«ca dal tnsfe Giuda, quei the traili oto i I019 èeaejmttori e sigmmri.
la quatto Cmmtm si pmrfm di oarf traditori della Calma e d'alenai mlin drirjmtrmmim, ^m m
Dante tomo mmmiifettmt» imenire trmoerem Im gktmtaa mttoiamdo*i al «eatro.
S* io avessi le rime e aspre e chiocce,
Come si converrebbe al tristo buro,
Sovra '1 quel pontan tutto I* altre rocce,
r premerei di mio conretto il suro
Più pienamente; ma perch* io non 1* abbo, h
Non senza tema a direr mi condnro.
Che non è impreca da pigliare a gabbo,
4. S'io affetti. Int. : te dalP italica
lingua mi fotterodate.— azpre. da «co-
fere, non altrimenti che frutte acerbe o
di cattivo sapore. — ehiceee di r«nro e
cupo «anno da metter paura. Vorrebbe
dunque il l'oeU nn lingvaggìo forte a nn
tempo e imitativo, perchè la tna deacrì-
zione foate piena, e tpiratte anebo etA
tuono quel terribilo cba deotra egli
tentc.
2. al tritio 6«e9, al trìtio peczo,
• fondo infornale.
5. forra 'l qwil pontan, tu cni 1*0^
poggiano, grafitano «icoume tal loro
centro, {e rocce ^ cu*è le ripe de*cercbj
iufemaii, o i balzi infeniali.
4 . V premerci di mìo coneeito ii tu-
co «e. fio esprimerci, io ritrarrei OMglio
il mio concetto.
5. non l'abbo, non lo ho. Dall' ■■•
tiq. «6frere o ffòerp.
7. dm pigtiaro m gabbo, da prcB-
derti por gTUo<<o, per itchem ; na è «^
aa tena t di grave difCcoltà.
CANTO TRBNTESnCOSECONDO.
Descriver fondo a taUo Toniverso,
Né da lingua cbe chiaiiii mamma e babbo.
Ma quelle Doddo aiutino il mio verso,
Ch' aintaro ÀnAone a chiuder Tebe,
Si che dal faUo il dir non sia diverso.
Oh sovra tutte mal creata plebe.
Che stai nel loco, onde parlare è duro,
Me' foste state qui pecore o zebel
Come noi fummo giù nel pozzo acuro (*)
Sotto i pie del gigante, assai più bassi ,
Ed io mirava ancora all'alto muro,
Dicere udi'mi: Guarda, come pasri;
Fa si, che tu non calchi con le piante
Le teste de* fratei miseri lassL (*)
Fercb' io mi volsi, e vidimi davante
E sotto i piedi un lago, che per gielo
tn
iO
i5
20
S. Duarinwr fémào 9€., Jciuir—
] Imi», àoè il centro di qvetU sfera
Gè è ietto, corno alCroro no-
r, ■■conio il •ittrma tolemaico,
f . Kèém fJMiMi che diiami flurai-
•M • èsMo: Bè tale che po»a efTet-
tHfaeaa «aa Uogua barolma. E cosi
jtnmmtU poloa éu» il Tol^are italiano
« fso' tiBfi; P"iB* che Dante lo er^
anso • i|«aUa iraodcna e nobiltà che
«iéiaflaoMlsoo poema . Jfamma e teMo
%mm f od pocrìli, ou poste a far contra-
ilo eoUa fravitb dell'argomento, e a fi«-
ififimrc f|«Él cbe sopra ha detto il Poeta.
4e. ila guelfe Donne (le Mose così
^anauie perchè si|rnore e dominatrici
4efii ■■ani affetti). Nel forte impegno
opporfnaamsnti ÌAYOca le Muse , cfao
non asaadierangli d' aiuto.
4 1 . Cfc'csHtoro An/Umete. È favola
al snooo della lira facesse
I stasi del monte Gtcrooe, a
che gasili par loro medesimi si nnissero
U ava di Tebe. I
ofMn lo ss, oeao gli nomini selToggi e
ami , aansaefitti e condotti alla tita
per U Cam della parola, t par
racmoMU atti imitili.
n. Si tk§ émi (mUo t9 , akcfaoln
■i» MraU aicmo pan al aabielto.
è9: • plabt, a torba d'anima sofra
laalIraalMaaM aall'iafcrM, dì-
• I
44. Che ttal nei loeoj nel aie detto
fondo dell'Inferno, o eentro dell' nni-
Torso; ofiflle parUàre è ^mtù; di cni è
roalsgevole parlare cooTonientemente.
Questa apostrofe ci intoona la dnraoon-
dirionc e sopra d' ogni altra spaTontosa
di <|aeste anima . a descriver la qntla
mancano meni alla lingna.
45. He*, meglio. — %ebe, eapre.
J) Primo spartimenCo.
7. Solfo ipiè ee.: in quel svolo
pie bssso di quello sul quale il gigante
tsneira i piedi.
48. at/'a/lo nHim,cibè, all'alto nm-
ro del profondo pozi o, ove erano stati da
Anteo deposti. E il volfforn a rimirare un
passo pericoloso da eui siamo usciti feli-
eemente, è cosa ben naturale.
49. Guarda, come patti. Le parola
sono dirette solamente a Dante, o per-
chè l' ombra che parìa si è seeorta eha
^i solo ha corpo ; o perchè, vadeadolo
intaso a tutt'altro, temeva cne pestaaaa
o lai o suo fratello, eh'erangli i pie vi*
etai. Sono queati i due fratelli Alberti,
come vedremo.
n Traditori de'proprj parenti.
22. Perch'io, ner lo eba io.
23. ìM iago, eheper gitio, an la|o
cha per esser aelalo ae. Il lunga abito
del Vizio rande finalmento il eaora darò,
tre4<lo e insensibile affatto anche ai pia
saitti affetti di sangue, di patria, d'ami*
ciria, di ricoooacanaa. Gd jk i\ucÀa V ^
218
DBLL' INFEKlfO
Avea di vetro e non d' «equa sembiante.
Non fece al corso sno si grosso velo sa
Di verno la Danoia in Aasterìcch,
Né 1 Tanai là sotto M freddo cielo,
Com'era qaivi: che, se Tabemicch
Y'ì fosse su caduto, o Pietra pana,
Non avria pur dall' orlo fatto cricch. so
E come a gracidar si sta la rana
Col muso fuor delP acqua, quando sogna
Di spigolar sovente la villana;
Livide insin là dove appar vergogna
Eran l'ombre dolenti nella ghiaccia, 3>
Mettendo i denti in nota di cicogna.
Ognuna in giù tenea volta la faccia:
Da bocca il freddo, e dagli occhi *l cor tristo
timo grado ed il profondo deirimqvìtt.
Son dim(|Qe bea paniti nel ghiieeio t
nel centro delle terra i treditiiri dei pa-
renti, della patria , defB amici, dei ne
aclaltorì.
25. JVen fue «e.: dee, non fece mai
alle toe aripie ti groesa coperta o trih
•la di ghiaccio.
2G la Dmtoia, il Dannbia. — te
Au*tBrieeht noè in Anairìa.
27 . Tanni la lana, o da il Don ,
gran fiume che negli antichi lenipi di-
tideva l'Enrona dall' Asia. — iotlo 'I
freddo cielo, tnt. : sotto il clima fred-
disaimo della Muscovia.
28. Tottmiech , monte dtiadmo
della Schiavonia.
29. Pietrapana, Petra Àpvuh
na, altro monte aitiaaimo nella Garf^
gonna
30. jmr dall' Orio ^ nemmea dal-
l' orlo, dove il ghiardo è più salitile, e
prima che altrove si itacra. Il Lnmbai^
die dopo di Ini altri lrgg«ioo (hterichi;
Tamhernirhii rricAì.Qui si è tenuta la
liiione antica, come quella in eoi la pa-
rola erieeh , con più oidenia esprime
il suono che fa il ghiaccio qnaiidu si
spena. Ecco presso a poco una dì quel-
le rime aspre e chiocce che il Poeta de-
siderava.
32-53. q^amàotognaet. Qui il Poe-
ta vnul significare la stagione e l'ora : cioè
il pi indpio della state, qnamlolaTillaMi
fpigela ; e l'ora della notte, quando
Tillana sogna sovente di spigolare. Ge-
neralmenle d sogna la notte quel eh*
d ha mollo occupati nel giamo.
34 . Lixide nut» ìédtma^c. Il Cesta
spiegava questo lungo coaì : • Le ambra
dolenti. le quali stavanocolla testa fuori
del ghiaccio trasparente^ d vede^ana
esser livide sino all'angumaia, imtim là
dote appar rergogna. ■ Io perà
che la (rase {asili là dorè mppmr
pagna si;;nifichi sem' altro «ino
/accia, cbè nell' altra parte iataaa M
(Imts la rergogna, ww quanto io mi
•appia, non appare. La limitariims pei
Itno alla faccia riguarda non giè la li-
vidura, ma r immersione di qoella
anime nel ghiaccio, l'alche io cigliai
SCO e spiego rosi: • Inttc livida dd
freddo, Tornire dolenti
vano, fitte nel ghiaccio dno a aa
parie i)o\e si mi>slra vergitgna. a t
molli fiiieiTa. piutlostochè il prapt'ia ?»
(sbiilo faccia, ha usato Dante «mìIb
piTifraM, pnrrhe cosi veniva aana aé
aicenaare il line dt'ila di\iaa giaatida
Ui'l lasciar funn del gliiardo tatla la t^
sia a qnvi traditurt. IM (rflti,
esili viTg4igna , tcUiTon basso il
isf uggire quanta poaaono all'
ae.-tcenza.
56. MeUemào i demH
fare ai denti quel aaono cha aaal farà
la dcitgna quando batte la
riore drl becco coli' inleriora.
58-5'J . Da bocca ce. GisIrvHÌ m i»
CANTO TBKIfTESIHOtKOIVDO
Tra lor testimonianza ai pn>caoria.
Qoand' io ebbi d* intorno alquanto visto,
ToMnii a*{nediy e vidi dne ai stretti.
Che '1 pel del tapo wmao insieme misto.
Ditemi voi, che si itriiyle i petti,
Diss'io, ohi «ettt. E qoei piegaro i eoDI;
E poi ch'ebber li visi a me eretti,
Gli occhi lor, ch'eran pria por dentro molli,
Goorìar sd per le labbra, e 1 §bìo strìnse
Le lagrime tra essi, e rìserrolli'
Legno con 'legno spranga mai non cinse
Forte cosi; ond* ei, come doo becchi,
Cozzaro insieme: tant' ira li vinse.
Ed on, eh' avea perduti ambo gli orecchi
Per la freddura, pur col viso in giue
Disse: Perchè cotanto in noi ti specchi?
Se vuoi saper chi son cotesti due.
La valle, onde Bisenzio si dicbina,
Del padre loro Alberto e di lor fue.
D* un corpo uscirò: e tolta la Caina
Potrai cercare, e non troverai ombra
»»
40
46
60-
bb
h
i
: in ^wHa frale 0 frr^o n ff-
itaiiMMMBza, o fa fede di «è p«r
, cwè roa lo •batter de' denti ; o
, • l'iolenio di'Iore , m p«-
rfH •cebi fMiS di pianto.
pt9§mrm i rulU, li piegarooo
■taawnd.«i V mn daU'al-
mofff , aniifli aolo
, •, pr<>fni di laerime
47. M ftrUImbbrn, par che debba
~ migii orli dtÙ€ jmlpebre,
MffcW ttàtm il graa freddo duo avrcb-
Wr» potalo le lacrime aver teinpo di
■fcdwiilt labbra della b.«a Vero
è eW alna Codd. baimo 9M per fe liié>
èra. «•■ dM ccflo a' iodirberebbero le
ddb b>«co^ na oal eiioeetto
é pie forile , w pt-
M, t pia fona.
4S ^n€$M, tra eaai oerbi. L'adii
4 li dol 1948 ba trm Me. cbe
da BOI Mfoita.
I Corvo
, por laarro na*
55. pmr 9ol Vito te ghie, cootìnaaii-
do a trfMTf il copo baeso.
54. m noi ti»péeehi, cioè ti affilai
in noi. Ma se ttava eoi viso baaao, coinè
potea tedere m Dante lo guardava! Il
gelo Ini te §li f«*ee da fpi'cdiio.
56. ìm ralle , onde BUentio iidt'
ehimmj è formata de' contrafforti che
nella dirninne da lett. ad o«ttro •condo-
no dairApprniiiai» di Monte-Piano e di
\ernif», le quali bram-lie proluogaodo»
si , a dt-stm |ier Moote Giavello fino t
Mnnteliiirlo.a uniiitra per Munte Coc-
coli e la (laUana , prendimu in marzo la
pianura e la «Ila di Prato; e por ^oo-
•tu trailo «ppiintit corre il Biseiutio.
57. Alberto: Albirto degli Alberti,
nobile fit»reiiUtt». — di lor /«e, cioc fa
pf laaeaaione d' Albei to e di luru Suo e«ai
Aleeaandro e NapoleiHic , c(iali di Man-
gooa , che mortu il padre loro ai diero»
no a liraBnefigiaro le terrò iotumo , a
finalmenlo tenuti tra loro in diseordia
per caipmie drll'ereilili palerai , V aao
ammalerò l'altioa tradi<iiealo.
58 . H'uH rorpo uteiro : nacquero dà
ana Ktca»a madia.
2S0
DELL' INFERNO
Degna più d'esser fitta in gelatìna: eo
Non quelli a cui fu rotto il petto e 1* ombra
Con esso nn colpo, per la man d*Artù:
Non Focaccia: non questi che m* ingombra
Col capo sì, eh' i'non veggio oltre più,
E fu nomato Saasol Mascheroni: 6i
Se Tosco se*, ben sa' omai chi fu.
E perchè non ini métti in più sermoni,
Sappi eh' i' fui il Camicìon de' Pazzi,
Ed aspetto Carlin che mi scagioni.
Poscia vid' io mille visi cagnazzi {*) 70
Fatti per fireddo: onde mi vien ribrezzo,
E verrà sempre, de' gelati guazzi.
E mentre eh* andavamo in ver lo mezzo,
co. in gelatina. Goti oomÌM per too nipote, per rinioere erede l'arri-
'* '* '^ *' * '" M ; oude a loi fa U(*Iieta le letta in Fi-
ischeiTo il (jelato Cocito dove eoD fitte
le anime, rauomigliandolo a oaella vi-
▼anda ■ tutti nota che dai cuocni li pre-
para con brodo glutinoso congelato. Ta-
Iodì, a cui pare ioopportano lo tcheno
ìd materia cotanto scria, dicono die
gelalina sta qui nel sem|ilice senso di
gelo. Il discorso di costoro tornerebbe,
se fosse Dante oucgli die qui parla ,
ma egli è il traditore Camicioo deTax-
ai ; e a lui, loquare e petulante come si
mostra , non disconviene questa idea fa-
ceta e burlevole.
64 . Non quelli ee. Mordrec , il ana-
le essendosi posto in aguato per ncddcre
il proprio podre Artù re della Gran Bre-
tagna, fu da lui veduto, e poscia tra-
passato con una lancia a modo, che (se-
condo che narrasi ndle stone cavallere-
sche) per mozio la ferita passò nn raggio
di sole COSI manifcslamciite , che Girllct
lo vide. Perciò il Porta dice : a cui fu
rotto il petto 9 t'ombra, doè fu rotta
dal solar raggio quell'ombra che il pet^
to faceva sopra il snolo.
63. Focaccia. Focaccia de* Cancel-
lieri , nobile p'istoicse, il quale mozzò nna
mano ad un suo cugino ed uccise un sno
zio: le quali crndelti dictlern prindpio
alle fazioni de' Bianchi e dc'Nen. — udii
^eiti ee. Intrudi : non questi che col
capo mi sta dinanzi, si che m'impedisca
il vedere più oltre.
65. Sattol JUatcktroni^ liom-
Itno, nccisorc di nn suo zio. L'Ano*
Qimo nota : s Questi, essendo tnlorr d'nn
renio.»
66. ben (Ui iaper dU /k. il testo
VÌT. e il Coà. Fior.
67. E perchè ee, : e perchè ta non
abbi occasione di farmi parlare più di
quello che io vorrei.
68 Cam icion deT Paxzi. Mcsaer AI-
berto Camicioue de' Pazzi dì Valdamo,
il qnale a tradimento occiaa mcascr
Ubertino t^no parente. Vaij testi : Stppi
cfc'i'zono.
69. CarHii.Mcsser Carlino ae*Pai^
zi , di pai te bianca , diede per dcDarì , a
tradimento, il cartello di Piano di Trevi-
gne in mnno de' Neri di Firenze, per coi
molti furon morti o presi par dei ■>>
gliorì usciti di Firenze. Vedi Gio. Villa-
ni, lib. Vili, 33. — the mi seagUmi, cba
mi scusi , che mi scolpi ; porcM avendo
egli delitti tanto più g'''^^' ^ ■»■*( i ■■
confronto di lui apparirò ^naai i
eente.
70. visi cagnazzi t visi Inld
nazzi e morelli pel fi-eddo.
{') Passaggio all'Antenora.
71. rtòresso, orrore, apaiinlo.
Propriamente nòrezxo è il nriridepre
cursore ddla fi-bbra.
72. de' gelati gumxxi, degli gtosn
gelati , perchè tal vikta vii lirhiMiin
alla memoria l'idea orrÌMlo di foegi
sriagnrati.
75. in ter lo wtetw or. lateaf vo^
80 il centro della terra , al ^nlo tallo
le coae gravi tendono p« loro ntori.
CANTO TAENTESIMOSECONDO.
ni
k*
Al quale ogni gravezza si rauna,
Ed io tremava nell'eterno rezzo;
Se voler fti, o destino, o fortuna.
Non so; ma passeggiando tra le teste,
Forte percossi il pie nel viso ad una.
Piangendo mi sgridò: Perchè mi peste?
Se ta non vieni a crescer la vendetta
Di Moiit* Aperti, perché mi moleste?
Ed io: Maestro mio, or qui m' aspetta.
Si eh* i' esca d' un dubbio per costui:
Poi mi forai, quantunque vorrai, fretta.
Lo Duca stette; ed io dissi a colui
Che bestemmiava duramente ancora:
Qual se' tu che cosi rampogni altrui?
Or tu dìi se*, che vai per TAntenora
Pércotendo, rispose, altrui le gote
Si, che se fossi vivo, troppo fora?
Vivo soD io, e caro esser ti puote.
Fu mia risposta, sé domandi fama,
Ch' io metta '1 nome tuo tra 1* altre note.
Ed ^li a me: Del contrario ho io brama:
Levati quinci e non mi dar più lagna;
Che mal sai lusingar per questa lama.
Allor Io presi per la cuticagna,
. E dissi: £' converrà che tu ti nomi,
0 che capei qui su non ti rimagna.
T%,9tirÉUrmo rwuo, io^nel luogo
I «^n. • il 9ìn è' ogni altro
4bl npgio • àéi eaUif del sole.
7C.J^MSr/bM. OCmm abp»
S Dm, etcMfiira Mt; • nero cato.
li; peeta. Cotlui che qui p«r-
Jfgti Abati , 6ureatiao , di
fer tradinieoto del quale
reno Moatap^rti quai-
adi Caoto 1 , nula al
75
so
S5
90
95
19
• cruiear U vendeiim EH
; at lo ooo nem ad ao>
3 «attigo aba aicntai pai
kntm • MooUperti , qaati
^•alU cW qui MMteiifa.
O Sicàrat^ae. Sicà'ioaMa
£ wm ètàkmikm tm è tesato lotanM la
dii aaifi fuado egli ka mvm
S4. f IMMlaMIflIt, q«8Dt0.
90- A, efta M foni Woo, ce. Bocca
M pensa che Dante sia un'ombra; a ma«
raTÌglÌMÌ della fona con che egli fa par-
coka«> dui piatii di Ini.
93. Irm l'altre noU, fra la altre cosa
da me o-'Uite quaggiù par fama niaoM»-
rìa nel mondo de' tifi.
95. lagna^ afflixione, Bolcstia. Pro-
priameolr aio che dà cagione a lagnarsi.
96. «ini snt luiingar te. : osi mù
noi vaoef o piuttosto mtalaeeorte e poeù
desile lusinghe , peraoccbè quelli eh*
giaecivno in questo fonda non cercano
faina, ami desiderano di non easera n^
minati. — per qwetta Immm, m quaatn
cavità , in qaesU valle.
97. per la euti€agnm te. • cioè pai
capelli della culic«giM, aba è la parto
concava e deretana dal capo. Stando agli
a capo ripiegato, era quella la parta cmè
più cumoda prcaaata^asi a Denta.
-SI) dell' niFEBXO
Or.d* egli a me: Perché la mi dischiomi.
Né ti dirò chi io sia, né mo^trerolli,
Se mille fiate ia sol capo mi tomi.
Io avea già i capelli in mano avvolti,
E tratti glien avea più d*ana ciocca,
Latrando lui con gli occhi in giù raccolti:
Quando un altro gridò: Che hai ta. Bocca?
Non li basta sonar con le mascelle,
Se tu non latri? qual diavol ti tocca ?
Ornai, diss* io, non vo'che tu favelle,
Malvagio traditor, eh' alla tua onta
Io |K)rterò di te vere novelle.
Va via, rispose, e ciò che tu vuoi, conta;
Bla non tacer, se tu di qua entr^eschi,
Di quel rh'ebbe or cosi la lingua pronta.
£i pian<;e qui l'argento de* Franceiichi:
l'vidi, potrai dir, quel da Duera
Là do\e i peccatori stanno freschi.
So fossi dimandato altri chi v* era.
Tu hai da lato quel di Beccheria,
Di CUI segò Fiorenza la gorgiera.
100
10»
fio
115
i^
100. Perchè tu mi ditekiomi, per
disrh ioni inni «bc tu faccialo, quantun-
que lu mi riilura raU«i.
lui ni mostre rulti : uè ti mo-
strerò rbi iu mi sia, aIzMudo verso t£ lo
fsccia.
I02. Se milU fiate ee.^ cine ^ se mille
Tolte tu mi |N*rcula sul rapo. Diiiite por-
coaae co piedi ci»iui rlir tavella. \vdi il
verso 78, al qualf il «eisw prt-tenle li ri-
feriirr. » Uima»9, vale prupr. cader
giù roii tuli* L Iwi/a drl |Miiprio prao.
iti5. cuyli occhi in giù raeeuUi,
cogli «irrlii ftriuprr banM.
Il>7 iomar con le masreUe, rinè
liallete ìo*h'ìiii> pel rr<>dtlti le iiia!«crlie.
luti eks piii fattile , il leato \iv.
« U VhI 2.
H 4 . />! quel ek^ebbe or ee. , dì co-
lui rlir teste fu ai pruoi» a UMoiEtikiarti
il imi» ni tuie.
1(5. tei piange «e. Quegli di em
porlo liuera, e Uuiiw» da iKuH-a Cremo-
B«ae . li quale , per deiiHru (inerliigli dil
conte Guidii di MMifurlv «Hidiitltire del-
l'eaercit» di Kraiuno, non gU enntese il
pauu nella Tullia, coui' era obbligato di
fare , riacndo sloto posto dai GhiboUiBÌ
e da MjDircdi nei luoghi Tcno ParoM
■I punto per «Mtore • Carlo d'Aagi*.
Qua .che storico nega questa corrvàoBC
di lluiiso , na l' affermano il Malcapiai
e il Villani.
117. U àat€ i peeeaioH
fmchi. E immIo par quesèo
tbe min tu diiuiice iu buoaa a
tura , cbe sropei lo , quasi a
c«d|ia , svela altri rei suoi pari, 6 fa i
bcir umore mottei;(paiKÌu.
1 19. furi cit HfcrAerfa.QMilifoai
Pavia ed abate di \alluuU»roaa , al fa9è§
fa tagliata la te»ta, per eaa
certo tialtato cbe fgli fa
Gufili in favore de' Ghibellini in Pii
la, Ole fu mandalo legalo per papa Alea-
Sandro |\: il quale poi adagaato par
quiitta Bn<Lce e srauualosa aaioaa da
Fioreiiiioi , uilerdinse la lor» cillh. Fa
detto am be rbe il Ih-celicria saa fant
reo dell' opponlogli dcliUo.
120. lagorgierm e aa aoUaralla di
bisso u d'altra tela linea Bolla Saa. Qv
è prosa liguratamcutc t aigaificara fa
gola.
126
130
CAKTO TftZirrESlMOfiECONDa ttS
Gianni del Soldaoier credo che sia
Piò là con GumUmb e Tribtld^o,
Ch' apri Faenza quando si dormia.
Nói eravam partiti già da ello^
Ch' i* vidi duo ghiacciati in una baca,
Si che r on capo all' altro era cappello:
E come '1 pan per fame si manduca ,
Cosi 1 sovran li denti all' altro pose
Là *ve '1 cert'el s' aggiunge colla niKa.
Non altrimenti Tideo si rose
Le tempie a Menalippo per disdegno,
Che quei faceva 1 teschio e V altre cose.
0 to che mostri per si bestiai segno
Odio sovra colui che tu ti mangi.
Dimmi 1 perchè, disa' io, per tal convegno. tS5
Che se tu a ragion di lui ti piangi,
Sappìendo chi \-oi siete, e la sua pecca,
Nei mondo suso ancor k> te ne cangi,
Se quella con eh' io pario non si secca.
121 . GiMni del SoUanUr. Gio.
«Mai S«Uaaien , di parte ghibellina.
^^àmÈém i Gliìkclltni tèrre il goveroo <li
■H»t*GMl€,« li tradì, •'•roiMlè ad
«■ì 6«rlf , 6 feeesi privripe del iMovo g(K
Pi watai dicel'ApoMiiao . • GiaiK
SaUaMri di Firenct, cuendo
di fa— aa, e— raiatoriodi Tri-
de Zaabraai della della lerrt ,
I «Ha lara parie gbibellioa aili B»>
raeaia. • >ar] CMiiai
itt P«* là. pia prvMo aleMitr».—
Qatiti è qael Geno traditnre
— ), di e« lanlA diee l'Ari»-
iM» , • ]pr| ai IradioMnlii furono tagliati
• MHi àà ■ori ìb BoociteaUe tocal»-
10.
H dormU, di aitta
CV r Hit, qaaado io fidi.
»• §m mmm èaes. La baca io che tlana»
•Mali da* apirili è la cavile cirrdare
«Ila afartÌMeata eÌM divide l'AnteBera
latlora, d^lla Tolmnea che laK
■adialaMeale ama. poiché l'aoo di
«■InA la patria, Valire l'aMciiia.
B dunque aon confinanti, e in loro^
Cocfsaa le dna rlaasì.
123. er* cappello ^ cioè aUvagli
•opra qaaai come cappella.
427. ft mamfoca, laC.a nnagia.
428 'I Maraa. «ulai che aUva col
capo ttipra l'altra daanato.
430- 1 34 . IVdfo, figliuido d'EoM) re
di Calidunio, e M4fnaJiftp»Trbaoo,eaaa»
hattereao inMcioe prewe Tebe • reato
reno aaib<>due mnrtalmrolr feriti. 1v
doo, aii|»ravvivr«do al mio aeaueo. C»
eeai reraro la testa di lai, e per raabia
lati rmae.
435. per tal ranaefno, par tal ea»
Teoiiooe, a tal pottow
150. ti pimugi. ti lagai, ti daoli.
437. «^««apeera, ilaoopaeeala
feribdi te.
458. ancor io U ma emm§i: aa*
rli'io aa nel OModo li rieaipsnai ; ti
reada il cambio della Isa curtoM in
rJapwdermi ; e eie eoi far pabblieha la
lae ragioai . e i Uirli di lai.
438. 5e qmfUa ar. . sa la aia 0»^
gaa Dt n ai areca, cioè, ae io aaa di»
vaefo aiata par
«14
dell'inferno
CAIVTO IVEMTESIIIOTKIUMI.
Dtff CMiif UìoUm» 9d€ VMigkUri mOPjatftm U ntteomo dtOm
fMlMfi mtllm TolvmM, • dm fimm Alberigo éifUo^MH gU h mmttivm ff
tm iifUta gtuMtixim prwttd* «Mlm cài trmàum emHim tktmlmt é*mfféè.
La bocca sollevò dal fiero pasto
Quel peccator, forbendola a* capelli
Del capo eh* egli avea di retro guasto.
Poi cominciò : Tu vuoi eh' io rinnovelli
Disperato dolor che '1 cor mi preme.
Già por pensando, pria eh* i* ne favelli.
Ma se le mie parole esser den seme,
Che frutti infamia al traditor eh* i' rodo,
Parlare e lagrimar vedrai insieme.
r non 80 chi tu sie, né per che modo
Venuto se* quaggiù; ma Fiorentino
Mi sembri veramente quand* i* t* odo.
Tu dèi saper eh* i* fui '1 Conte Ugolino,
E questi l'Arcivescovo Ruggieri:
Or ti dirò perch' io son tal vicino.
trmiks /««. Psum
10
ih
2-5- forbendola, ocUaDdola aicth
Sili. — Del capo, di cui diste alla
e éc\ Canto precédeale.
6. Già pur pentando, tolo col re-
carmelo ora davanti al pensiero.
9. Parlare e lagrimar ttdrai in-
fieme. È lo stesso cuncelto che fu
espreseo da Francesca da himini ia
tfwA %erto : ■ forò come eoiut cJbe
piange • dice. • Ma si ossenri il gran
Maestro che non scambia mai tono, a
sa adattar l'armonia alla natura dc^^
affetti e delle cose che rappresenta.
42. quand' V i' odo: accenna aldi-
scono indiriizatogli nella line del Canto
Sreced. ; dai modi del i|uale e anche
alla prooaniia lo distinse per Fioreo-
Cino. Anche FarinatOf nel C. X, v. 23,
La Ina loquela li fa tnanifetlo ee.
43. Ugolino dei GIterardcschi conta
dì Donorstico. nubile pisano e guelfo,
d'accordo coU'arciteM-oTo Kugtiieri d«>
gU Ubaldioi cacciò da Pisa Nino di
Gallura, nato d' una sua iglia^ che te
■e era fatto sagnoro. e sì posa lu luogo
ai lui. Ma in seguito l'arcivekcof o, per io-
ti^ e per odio di parte, e più che altro
par Tcndicara un nipota alatogli ucciso
dal Conte, con l'aiuto de-Oulaodi. dt^
UDondi e de' Lanfraocbi, alsaU fa cr»>
ce, con molto popolo furibondu, al
^uale aTfa fatto crederà, a sctitudn ai-
cani era taro, eh' egli atcsaa par daawa
rcndute alcune ctftclla ai Fiarsotioi •
Lucchesi, Tenne alla case del Gaota, a
Ltto prigioniero lui, due aaoi figUaaU,
Gadda e Uguccione, a i auoi Ira aipaHy
Dgolino detto il Brigata, Arrigo ad Ab»
aclwuccio, li fece rinchiudere nalla twra
dei Gualandi alle setta tic, dora, dopa
aìcan tempo sottratto loro u «ba, faraa
lusdsli erudel manta morir di fame, D
signor Carlo Troya reca molla ragieai a
proTsri- clic in guasto orribile falla Hflv
dveacof o ttuggen non cbba mila aalna
che DmiiIi' f>li dà, ma che è da aacay^
Dame massimamente il coala Gwdo da
Mootefrltro lurlle cui mani era allora
il reg;;imento di V'tu. — II Cadica
Vatic. 5449 ha; cft* C fwi Caede U§^
limo.
45. perch'io fon «e.: parche io auM»
ora caci molesto vicino di costai, cena
tu vedi. La ragiona di «peata ficÌBaBia
è stata accennata nella aola al T. 425
dal Canto precedenle.
CAIVTO TBENTESIHOTERZO.
Che per reflétto de* goo'mai pensieri,
Fidandomi di lui, io fossi preso
E poscia morto, dir non é mestieri.
Però, quel che non puoi avere inteso,
CioÀ come la morte mia fu cruda.
Udirai, e saprai se m' ha offeso.
Breve pertugio dentro dalla muda,
La qual per me ha '1 titol della fome,
E in che conviene ancor eh* altri si diiuda,
M* avea mostrato per lo suo forame
Più lune già, quand' i* feci *l mal sonno,
Che del futuro mi squarciò il velame.
SS5
25
46. ftT réffèUù 4»' $w^ mai pen-
fieri: i wmi • mótf peotiari ertno !« in-
>tifaii<Hii della t«a f<ioii«, 6 il dend«-
n« ddla vcodetU.
47. Fidamdomiaiui.'MàrtV'tn-
cavto odi' aaiicuia che qael prete die-
ffinalatore eVt dÌMoatrate, né piò peo-
•ava ali* iogiana ; aia chi la fa, la acme
■«Ila rcaa ; e chi la ricevei nel marmo.
48. Itr «M é siecKeH, perchè tut-
te a mmd^ le te.
49. mei eh§ non puoi tmer§ <iile-
m, pai elle arreasto nel aegreto della
22. Breve ptrUigiOt pìccola Sne-
^ln.'—éemtrodmUmmuda:òkmmu-
dm fmi chiwo ève Ici^onn gli nccelli
e wmdmn, cioè • amter le pcDoe. Ed
era «aa ^Mato aeoie chiamata la torre
£ cai ■ Mrla,jperrbè vi si teiM'ìrano a
wtmémrwU fme della Bepubblice ; fiu-
eàè per 9 fallo chetai ti narra aeqaiatò
i aaaM di larre delia fame,
14. memjgm,... eh'aUri $i chiuda.
Gè era bea ladUed arvenire nel dfile
e ael farore delle faiiooi, di
N la darete.
Pie Utme già : etoe^ erao paa-
aaÉ me •cei delle mie prigieoia : e ee-
eaMa dia aarra Gio. Villani, dall* ago-
ala al sano dal «SSS. Alcani Codd. e
iaveee pia imme; ma hi-
arer hca p4«o lame per
Imooa, che è coolra-
ite del roaleato, o?e
U Cuotc re de»to immamMi
la éimamt; per U che è ehieru, che
laaade il Coole faceva il mal toono, e
*ra focUe il hnOlo eegoo, era TaltiaM
parie della ootte , oè perciò poteva pri-
ma di esso aver veduto più lume per
lo spiraglio della torre. 1 sosteoitorì
della leaooe pia lume a' appoggieao a
certi frammenti di Storia Pisana d' un
contemporaneo pubblicali dal Murato-
ri, dai quali si rileva che il Conte coi
figli stette rinchiuso dapprima in altro
carcere , da cui non fu trasforito nella
torre dei Gualandi die eli' arrivo del
eonte Guido de Montefeltro, quando fa
decretata la, sua morte per feme. In
questa adunque non potea aver veduto
più (iMie, non etsendovi rimasto die
quanto tempo durò al digiuno. Ma a
ciò potrebbe rispondersi che Dante, gia-
dizioso trasceglitore delle dreoetaote
nelle sue deeeriiiom . non ha stfanato
d'alcun interesse il rilevare queala frat-
laaione , ed he imroeginato che «a da
principio fosse il Conio rinchinso B^a
muda dei Gualandi ; e che la verità ffo-
rica non è stala da lui in questo toatitt-
tielmente alterata , perchè ala aempra
fermo che il Conte fu detenuto in aaa
oscura carcere, e che dopo lungo tempo
fu prìveto degli alimenti. Kitengasi edon-
que Biruramente la lea. pM Isaia, ari
abbia l' altra per un de' soliti errifli o
aaecenterie de copisti.
27 . Che dei futuro ee., doè, eha ai
rirelò il futuro, faveto •ego* è iauM-
ginalu dal Poeta con grandiaeima arte,
perche |ier eseo s'enticipe riofelidlh del
C«»nle per l'apprenaione ddle inmiaeiiti
sue sventure, contro la quali non aTreh-
be potuto accitgliere alcuna speraota:
tanta fede a' avea nd fogni dd mai-
tino.
\h
DELL INFEtlNO
Quesii parei'a a me maeslro e donno,
CscciantJo il lupo e i lupicroj al monte,
Per che i Pisan veder Lurca non ponno.
Con eagne magre, studiose e come,
Gualandi con Sismondi e con Lsiifranclii
S' aves messi dinanil dalla fronle.
In picciol corso mi pareano stanchi
Lo padre e i figli, e con l'agule scane
Mi parea lor veder Tender li fiancbi.
Quando fui desio innanzi la dimane.
Pianger semi' fra '1 sonno i miei figlinoli,
Ch'eran con meco, e dimandar del pane.
Ben (le'crudel, se In già non ti duoli,
Pensando ciò che 'I mio cor s'annunziava;
E se non piangi , di che [uanger suoli?
Già eran desti, e I' ora trapassava
Che 'I cibo ne soleva essere addollo,
P'I io sentii chiavar 1' u
U. <^« ec. Caini che istDilo ni
fttm che (oiae tipa (marllrv) ■ «-
IBOH (AnMo) di ani lui Ih Ai gaia.
23. CoMimdD. in lUa ili aanrt
Il tttpo <m bàpieini. Sippnnc cIh <la1
■ofMr* à tdii (ninwli •ilHniLi ddibi
Hfuilan (ulimmlu di (iiih. Il Conia
«n luilln, U iDibe piun* (bibilliDC ;
fModi il f rio» è Ggunlo irl lupg ; b
Écsond*, ptr rantripp'sln. nrlltngn*.
39-10. al moNlt.SinCialiini'i/Vr
(H per «i , MK-ndo Mia In Pua e
n dubitava:
di sono
I . Àllrì mM ItlifwneBta
inda ciò chi al mia *
i. Cté rMH dHlf. Si M
tT timTiKlo dubhiDd» ìIm
CANTO TABIfTESIMOTEfiZO.
AD* orribile torre; ond* io guardai
Nel viao a* miei figlinoi senza hr motto.
Io 1108 piaogeva: si dentro impietrai:
Piangevan elli: ed Anselmucdo mio
Diase: Ta guardi al, padre: che hai?
Però non lagrimai, né rispos' io
Tatto quel giorno, né la notle appresso,
la6n che 1* altro Sol nel mondo oado.
Come un poco di raggio ai fa measo
Nel doloroso carcere, ed io scòrsi
Per quattro visi il mio aspetto atesso;
Ambo le mani per dolor mi morsi.
E quei, pelando eh' io *1 fessi per toglie
va manicar, di subito levorsi,
E diaser: Padre, assai ci fia men doglia.
Se ta mangi di noi : io ne vestisti
Quesie misero carni, e ta le spoglia.
Queta'mi atlor per non farli più tristi:
Quel di* e Talbro stemmo tutti muti:
Ahi dura terra, perchè non t* apristi?
Pueciathé fummo al quarto df venuti,
Gaddo mi ai gittò disteso a' piedi,
Diee&do: Padre mio, che non m' aiuti?
Quivi mori: e come tu me vedi,
Vid* io cascar li tre ad uno ad uno
Tra 1 quinto di* e *1 aesto: ond* io mi diedi
i eieoo a brancolar sovra ciascuno,
E due di' li chiamai poi eh* e' fur morii:
Poscia, più che'l dolor, potè il digiuno.
tn
60
66
60
70
76
11^ Ji«0S p<aiife«« te. Io Mo pò*
InifiHfm, fcrcioccliè il d^Ure ni
U • nato t aodk di
IS-J7. ti i0 àeérti Pwr.^mmiiro
Mm~ U i«p«Ui ttàer M ^««tlfo vol-
6 k iiMM mm i«MfÌM , • dalli lor
■cnUila oùa «e.
41 . Màimtrt Pmdnu. A •• laTita
#4. Qmtta^wni,'m MÌetat.
ribaiBa.
ìTomIcW CU: Edàm: Ptdn,
ftuàè mm mentir
70. Qwnimunri. lolMdi atl la«|o
ove cadde. — tu vedi è dm Cod. di
Savcaaa publdicati dal Fcrrantt, •
fi è ptà cofaM cka oalla ctHUM wd
tedi.
73. Già cieco ae. Par HMMaan
d* alinieoto c«Modo a lai vaaaU aaaa
eoo toUe le fona d«t tciui aoco la vitta,
•i dirda a braocolara , cMiè a aarear te*
•tando colle mani iolaraa fte li 4m^
hn di quella torta.
74. Bdmedriiekigmaiee,Efn
daa di'dopo cba larooa OMrti i—finail
• ahiaiiiarli (
oa a
pabo
lore.
di aoMM* patara* a a tfafo di d^
7». Pafcia, pi^ càci dolor ,«t Vriu
Quand' ebbe detto ciò, con gli oec'hì torU
Riprese il teschio misero co' denti,
Cile Turo Rii' osso, come d' un can, (orli.
Alii Pisa, viloperio delle genti
Del bel paese là dove il «I suona;
Poiché ì vicini a [e punir san lenti,
Aluvasi la Capraia e la Gorgona,
E racciaii siepe ad Arno in su la foce,
SI eh' egli annieghi io te ogni persona.
g pU et» il dolon I aoslFa- ri degli doidìiiì ; n» dare
!»ildÌEÌDiioiBDÌrmi. EcMt ••--•-• ..-■.---•.-
nel digiuna pi
jponui' — Che
i1F»MiaLhi<ti>lDli)rtr
ani dfiidirìo dell* fila Iriantamlo
palmo dnlorB, lo ipiiig«i«o a man-
r du mnrli Bgli , do» la rr»ilo , non
iDjMr liiDTBTtiiniglianacbaiia uo-
ai apifaDlo.pDlMH
:»ri»craJa,q<ii
.UlmldrcHliTijudi
ni;na|!li>ni*, aJdis pie*, •
urna Ri uni*, ai
ti» { Hi i diri
^adcl il quella d'IUlU. Uh
ad«0(|ueduMÌl«ÌnioBa,*i»i
bio r lulia. Il Coati ■ ilcn
BIOBÌ di qurili pirtiulll U, ci
a> più lil
ebbi il G
Ili prtCD comprati, diierrebbi il Conia
l' (lira padro da qatl cba te
I. nuBi pìA inaonìa
;< d'I'ilii. HanaUi
ini (le il liulitvnir
Inimo, ambe arr il >m
,a Dtl Canio H dui Pt
min 93, laddore to lou; t «ri Caa-
lo XXV il irno IO, Sr la tndiOa ikr-
na gli diifir^o,,.. laddove lu *j*. Dtl
CANTO TREIfTESIMOTERZO. S29
Cbè 06 il Conte Ugolino aveva voce 95
D'aver tradita te delle castella,
Non dovei to i figlinoi porre a tal croce.
Innocenti facea l'età novella ,
Novella Tebe, Ugaccione e il Brigata,
E gli altri dno che il canto snso appella. 90
Noi passamm' oltre, la 've la gelata (*)
Rovidainente nn* altra gente fascia,
Non volta in giù, ma tutta riversata.
Lo pianto stesso li pianger non lascia.
Et duol, che truova in su gli occhi rìntoppo, 95
Si volve in entro a far crescer l' anibascia:
Che le lacrime prime fanno groppo,
E, al come visiere di cristallo,
RiempioD sotto *1 ciglio tutto il coppo.
Ed awegna che, si come d' un callo, 100
Per la freddura ciascun sentimento
Cessato avesse del mio viso stallo.
Già mi parea sentire alquanto vento;
«Off, trera ftmt. Non
ecria • provtlo il tradì-
It. fflé fioretta. 11 tig. Carlo Troya
i Mpoti del Coote non erano
iC ita matella , poiché cia-
i caai ara ammngtialo j ma che
i fiotUm gfi ha finti giovanetti per mo-
ver fiè «■qpacmona. Ciò Mrh Teriaai-
mm f mm io voglio avvertire per iatm-
namtità paivnni, che Vadoltseenza, che
vnfe MarcarìaBento di vita, e che è detta
alIrÌMeali «fé mottUat fecondo i prìn-
àfi M DhI* nel Convito (parte IV,
CM. IM) ai estende lino ai 25 anni.
•f . ir^Vffla Tebe. De a Pisa il no-
ae di —ava Tebe, perocché Tebe ebbe
di éuk cmdclbMma per molti
fatti dc'snoiritttdini. — Vgu^
t • O Brig^tm : il primo era figlinolo
dfl Oate, Feltro nipote.
M. B§ttmliriAiO€€. Anaelranccio
e Godio lafro Bomisati. — appella.
fi. U §etmim, il gelo, la gbioeda.
n Pamangio alla Tolomeo.
ti. JlvoZZoflieiife, dorameato.
fS. JViHi «olio in gié ee. : noo «alla
(amo voHo ia gitf eome stavano qjtéXk
daflo Casa t dclfAntenora | ma nvcr-
sata topina per maggior loro peoa| non
potfodofti occultare.
95-06. B 'l dttol ee. : la lagnma^ U
doloroso umore, die trova sugli occhi in-
toppo (impedimento) d' altre lagrime
gelate. — ti volte in entro, cioè ri-
torna iadietro accrescendo 1' ambascia
air afflitto che non poé sfugarla col
pianto.
97. Che le lacrime , onesto tema-
rio è la spiegazione del preced. —
fanno groppo, fanno no<ln, si agghiac^
ciano, ed impedisrono alF altre lagrima
r uscita.
98. tUiere di erUtallo. ìUiire
chiamano i Francesi l'aportnia dell'el-
mo, per cui resta libero il vedere : qui
donane visiere offre l'idea di dna cti-
stalli incastrali nei fori dcirelmo.
99. il coppo f cos'i chiama la c«TÌth
ddr occhio.
400-103. Ed tttvegna ee. Coatni-
zione : ed axtegna che , sibbcne , Per
la freddura (pel gran freddo) eiaeeun
tentimrnlo Cessalo avesse..., <lal/o .
cioè abbandonato avcaae stanxa, tolto si
foase dal mio volto, ti conte d^un
eallo^ siccome ogni sentimento ai toglie
dalle parti incallite del nostro corpo ì
aoD ostante giti mi parct ce.
130 DELL iNFEBIfO
Perch' io: Maestro mk), questo chi muove 7
Non è quaggìnso ogni vapore spento? i05
Ond' egli a me : Avaccio sarai dove
Di ciò ti farà V occhio la risposta,
Yeggendo la cagion che *1 fiato piove.
Ed un de* tristi della fredda crosta
Gridò a noi: O anime crudeli iio
Tanto, che data v'é 1* ultima poeta.
Levatemi dal viso i duri veli.
Si eh* io 8fi)ghi il dolor che 'l cor m' impr^na ,
Un poco, pria che'l pianto si raggeli.
Perch' io a lui : Se vuoi eh' io ti sowegna, 115
Dimmi chi se'; e s* io non ti disbrigo,
Al fondo della ghiaccia ir mi convegna.
Rispose adunque: l' son Frate Alberigo,
Io son quel dalle frutte del mal orto.
Che qui riprendo dattero per figo. i20
Oh, dissi lui, or se* tu ancor morto?
105. Non è quaggiuso ifgni vapore
ipento f La cagione «lei vento è il ca-
lore del sole , onde aooo tollevali i va-
pori. Perciò la domaDda : mone tpento
ogni vapore f cqaivaie a qneat' altra :
000 è questo luogo privo dell' attività
del sole ? e se è privo di qiest' atti%itè,
oad' è che «pira il veoto f
106. Àr orcio ^ prestaaaeola.
408. che'l fiato piote ^ cioè, che
produce, manda, questo vento.
IH. l'uUima p ila, la piò profoo-
da stanza dell' Inferno.
4 i 2. dal Vito, dagli occhi. — { duri
veli: COSI chiama il ghiaccio.
H3. m'impregna, mi empie, mi
fa gonfio.
114. Un poco, va rt-ferìto a f foghi
del verso innanii. — pria che 'l pian-
to et., qoaoto starà a gelare il ouovo
piaoto.
1 16. «'io non ti disbrigo ee. Finta
imprecazione che Dante Ti a sé medesi-
mo. Int.: se io non ti ili«>brigo, cioè se
non ti traggo 1* impaccio del gelo in-
tomo a^li occhi , che io possa andare ti
fondo di questa ghiaccia. Lo spirito che
ascolta può credere che Dante imprechi
t aè steÌMa la pena di coloro che sono
sella ghiaccia : ma Dante reramenta ii^
tenda dell'andare alla ghiacdt ia ^el
modo che aveva visitati gli altri Inoghi
d'Inferno. Onda qui. a pnaia viain, ri>
correrebbe il detto della Q( '"
Chi ha ■ far c«ia T
No* Toul «iMr
HS. Alberigo. È (|anli AOcrift
de* Manfredi , signori di Faesa. eia
feceai de' frati gaudenti. EsaeeJa m. di-
icordia con alcuni suoi conaorli . • W^
mando di levarli dal mondo, laBa £
volersi riconciliare con loro, a licooviéè
magnificamente. Al recarsi ddlo fratta,
secondo che egli aveva ordiooto, mA-
rollo alcuni sic.rj che ucciaaro Malti da
c«nvUti. • Alberigo Vi nna iodiaaBrdM
con Manfredo e col di lui figlio Albcf^
gheUo...Gli convitò al CasteTdiCMtlt:
gli sirarj uccbero lutti e dna : o fii Òè
nel 4285.- Tonduzzi, Star. diPé
\Ì9. lo ton ee. Allndo al
delle frutte, che fu segno dall' <
sione de' suoi consorti.
«20 Che qui riprendo cEcflffO
per figo. È questa no' espreHioao nio-
verbiale che «i|*nifica : ever ricomkialt
con osora del mal fatto : riavcra il oaolt
per uno. — figo per fico diaaaro g^ t»
tithi, come anUgo per ««lieo» ptth
genia uer piaeenia ec. , <
pia dolcezza il e oel g
121 or f e* tu ec.: or to' la
CANTO TltEirr£$IMOTEaZO.
Bd egH a me : Come il mio corpo alea
Nel mondo so, nalla seienzia porto.
Colai vaniaggio ba quesla^Tolomea,
Che spesse volte l' anima ci cade
Innanzi cb'Alropès rooasa'le dea.
E perchè tn più volenlier mi rade
Le invetriate lagrime dal volto.
Sappi die tosto che T anima trade.
Come fec' io, il corpo suo l' è tolto
Da an dimenio, che poscia il gofrerna-
Mentre che *l tempo eoo tntto aia volto.
Ella mina in sì fella cisterna;
E forse pare ancor lo corpo suso
Dell'ombra che di qna dietro mi verna.
Tn M dèi saper, se tu vien por mo ginso:
Egli è Ser Branca d' Oria, e son più anni
Poscia passati eh* ei fn sì racchiuso.
r credo, diss'io lai, che tu ipMnganni;
Che Branca d' Oria non mori unquanche,
S3I
126
i30
i36
140
<mt ^Mtti altri? Il Poeta ft maravi*
fimdm^n^t» donaiMla, pokbè tapera
ckt frate Alberigo era ancora fra i vivi.
1 22-123 Com4 U mio corpo, coma
flia il «•• cm-pe nel inuade. io n«n por-
lo, omo W, frwnsM. o<4izia alrnna. -^
i$m do tUro per f tore, rome dea So
aafY pe^ w&ro.
IZ4 Tatal tomlaggio ho questa
: qiiesla l'nlnnMui ha sopra
git alln errdjj d Inferno qnnli* privi-
di«tincinne, rite ea. E detto
••• eerta irt>aia amara 11 Owta
U paraJa rantaggio nel >«>»•
di ioproppiu, ed aacloda
I2&->I26. Che tpette volte oc. Int.:
rW ipijaa Faoima rade qoagpià innanii
cW Airopoa, wm «Ielle li e Parrba ,
WÈOOtu io eoo , le dia r urlo colla reò-
ai«M dello stallia della nta. — Dicctt
^Tpo7i9^9 perrliè iwm ptflest oerii.
Ì27 mi rode, mi rada.
I2f trofìe, tradisra
iae-4r>l HenrpotuoVèMioDo
fom éieommio InfefjnoM inventione f per
rm m vengono a dichiarare demoni in
torme amena i liadiltm drdi amia. E
ti \ asgelo par anco nota che inìroioU
Soiamo$ in Judom.
182. Mentre eho, doè,Coo a che:
— il tempo suOf il tempo cb« dovati
star eonginnto all'aniint: — Imito sin
9oUo, sia compiuto.
433. eisterno, pano.
434-435. R forte ee. Int.: e forse
(dica fttree . poicha ooo araodo aciensa
del proprio corpo , né anche V ht di
quello d'altri ) pare.... «imo, cioè ti fa
veliere su nel mondo il corpo di quel-
V anima , che éi qvM dietro «H ter»
no, che di qua dietro a me sta oal
verno , nel ghiaccio.
136. pur mo giuto, par era, ia
quokto m mento , qu8gi;in
437 Branca d'Oria, genovese,
che urrise a tradimento Michele Zau-
che «no suocero , per torgli il giudicato
di l.of(o«loro in Sardegna. Questo Mi-
chele Zanrhe fa posto dal Poeta , come
vedemmo , nella holgia da' barattieri.
Vedi Canto X\ll.
438 ch'ei/tfflroecAfsifo.chaPaiik
ma sua fu rac« hmsa in qnaata TalooiS.
440 haii mori im^iiaiieàf, non
ro"rì mai branca d' Oria era vivo nrl
1300. e Dante tinga qai che I' anima di
lui ffKse neir Inferno disgiunta dal cor-
po suo fiosseduto da nn demonio, il
qu le maog a>a , beve\a e vestiva ^aoc
tn
dell' INFEBrrO
E mangia e bee e dorme e veste panni.
Nel fosso SQy diss*ei, di Malebranche,
Là dove bolle la tenace pece,
Non era giunto ancora Michel Zanche,
Che qnesti lasciò un diavolo in sua vece
Nel corpo suo, e d*un suo prossimano.
Che '1 tradimento insieme con lui fece.
Ma distendi oramai in qua la mano:
Aprimi gli occhi: ed io non gliele apersi,
E cortesia fu lui esser villano.
Ahi Genovesi, uomini diversi
D^ogni costume, e pien d*ogni magagna.
Perchè non siete voi del mondo spersi?
Che col peggiore spirto di Romagna
Trovai un tal di voi, che per su' opra
In anima in Cocito già si bagna,
Ed in corpo par vivo ancor di sopra.
14Ó
i:o
ibi-
wiy mostrando d'essere lo stesso Branct
d'Orìa. — unquanehe, uoqua ancora.
^141. B mangia e bee ee. Nota eo-
me in qaestu verso si citano tatti qV in-
dia] d'una Tita aniraale, nessuno della
Tera vita dell'uomo.
A 45. Che questi ec. Branca d'Oria.
446. e d'un mo prof jt mano, e di
un ano conjpunto. Dicono ch'ei fosse un
soo nipote, che l'aiutò a commettere
V omicidio.
430. B corUiia ee. E questa mia
scompiacenza e manciinza di parola fu
una giustizia , anzi nna geniileua , se
si guardi quel peggio che meritava un
uomo SI scelvralo. Egli è secoudo quel
dettato :
Bende gia«la il lra<1ìnunito
Chi (rtilitca il tra<iitur.
'1 5 1 - 1 52 . diversi ty ogni costume.
Vuol dire diversi in tutti i costumi dal-
l'altre genti ; strani dunque , « singo-
lari nella vita e nelle usanze. Se si leg-
gessa uomini ditersi disgiunto dalie
parole d'ogni eoslumet facendone due
gnalificaziooi , uomini diversi verrt'b-
e a dire uomini di strana natura,
diiumani; così chiamò Cerbero /lem
diversa: • D'ogni costume sigoifi.
chfielibe, senta carattere, pieghevoli
ad ogni costoroe buono o reo secando
l'utile, cbe san bb« il itoìvrponoi «lei
Greci. -Tp/en d' ogni magagna, pieni
di tolti i perrati, guasti internaoieiite e
corrotti. E antica la mala fama dei Li.
guri. rane Ligur.... neguidgmmm pm-
trias tentasti lubrieus artes. E: Band
Ligurum extremus dum fallerà fkim
sinebanl. Virg , Aan. XI.
454. eoi peggiore spirto te,, dnè
con fritte Alberigo faentino.
455 per su* opra, in pana di m
opera infitme.
4h7. Ed in corpo par tino; per»
ctorcb^ un demonio fa in Genove le mn
veci. Narrasi che Dante recal««i e Ge-
nova vi ebbe nna fattiva aecnglienfa ntr
opera spenalmenta di Branct d'Onn,
che gli airzò contro quanti eran nemm
dei prinripj ch'ei professava; •nd'cfC
lo serve qui da par ano, e non cen-
tento a Ini solo , si sf<«ga anche eenir*
tutta la nazinna.— Il Bosselti cre^eckn
Branca d'Oria, favorevole da prima ed
Alligo quandoentrò in GenovanellSII,
si ooiase poi KgroUmeote eei GmU.
233
Tktti
gif, érnié*.
CAmra vkkmtesuioqijarto.
Im tUMtla «Mbm Mite Ctudéem t tradttoH. Jppatiihne di Lucif*n,
éémrithmt. Jpfnri mi folto pth dH corpo di imi, wmnmmo i Pmiì il ctmtro t$m-
U wmnmrto iT m nueetto, M^fono m rhedtn U sMlt netf mitro mmUfero.
VexQìa Regis prodeunt Infèrni
Terso di noi: però dinanzi mira,
IHsse *1 Maestro mio, se to *l discerni.
Come, quando nna grossa nebbia spira,
O qnando 1* emisperio nostro annotta, 6
Ftf da lungi nn mnlin cbe'l vento gira;
Veder mi parve nn tal dificio allotta :
Poi per lo vento mi ristrinsi retro
Al Duca mio; cbè non v*era altra grotta.
Già era (e con panra il metto in metro) io
Là, do\'e r ombre tutte eran coperte, (*)
E trasparén come festuca in vetro.
Altre sono a giacere; altre stanno erte,
Quella col capo, e quella colle piante;
Altra, com* arco, il volto a' piedi inverte. io
Qnando noi fummo fatti tanto avante.
Ch'ai mio Maestro piacque di mostrarmi
La creatura eh' ebbe il bel sembiante,
digno o maeehina eottruila ingegno-
iamenU. Cosi si legge nel Giamboni : «7
raecontamento dei feìTamenti e dei <)i-
ficj della legione.
8. Poi per io ve»(o.* quindi per ri-
pararmi dal vento.
9. altra grotta, altro laogo ài-
feto.
{*) Quarto spartimento. Traditori
da' loro bcoefalturì e signori.
42. E tratparin ee.: cioè. • tra-
sparì va no, come trasparisca oel corpo
del Tetro nn fuscellinodi paglia o di coaa
aimile che vi sia racchiuso.
45>44. Altre tono: eoa) la Nidob.;
la com., Altre stanno. — erte, ritte.
— Quella col capo: ini.: ita erta eoi
capo, cioè , col capo all'ioaù : e quella
sta erta eolle piante; colla gtmbe al-
l' ìnaà , capovolta.^
45. inverte, rivolta.
4%. La ereaiwra ee. Lodfero , cfaa
l.éifkia, adifiiio. Difieioedifieeh prìma della tua ribdiiooa tra bcUia-
mrnta, «aaroi |li antichi a denotare or- aiuo.
I. rexiOa ee. / veitUli del re
d'Inferma eeeono reno noi , cioè inco-
aÌBcsaa« a moaCrartì a noi. Questi ves-
tali aaoo la grandi ale sveotolanli di
Locilv». Va tre prìma parole tono il
piùctps* d'ao inno con che la Santa
Chiem caalta la Croce, trionfale insegna
di 0. Criale , e strumento di nostra sa-
lale. La «se Dante non a profanai ione,
■e per richienarna ad un confronto tra
i imaéaeèj Cristo e Lucifero, quegli
aaiee 4egn «omini e principio di vita,
«•eali pfimo di tutti i traditori, e autore
r egai «oatro aula.
\.§aim'l diteemi, te ta diacemi,
ae !■ eeerai Lucifere.
4«#. Comse (uoiaciloapcr del v. 6),
«■ale 4« lastevo apparisce ai nostri oe-
ns «B wH» dbe, cui , <l «mio gira,
«ieè,«B — linn a vcttte. — epira, a'alnj
per V eialaiione dei vapon
I
Dinanzi mi si tolse, e fé ristarmi,
£cco Dite, dicendo, ed ecco il loco
Ove convion che di fortezza t' armi.
Com' io divenni ailor gelalo e fioco,
Noi dimandar, lettor, eh' i' non lo scrivo,
Però eh' ogni parlar sarebbe poco.
Io non niorii, e non rimasi vivo:
Pensa oramai per (e, s' hai fior d' ingegno.
Qua! io divenni, d' uno e d' altro privo.
Lo 'mperador del doloroso regno
Da mezzo '1 petto uscia fuor della ghiaccia;
E più con un gigante io mi convegno.
Che i giganli non fan con le sue braccia:
Vedi oggimai quant' esser dee quei tulto
Cb' a COSI fulta parie sì confaccia.
S' ei fu ai bel com' egli è ora bruito,
E conira 'I suo Faltore alzò le ciglia,
Ben dee da luì procederà ogni latlo.
0 quanto pane a me gran meravìglia,
(Jttando vidi tre facce alla sua testai
L' una dinanzi, e quella era verniìgliai
Dell'aure duo, elio s'aggiugnÈno a questa
Sovresao'l meizi '
li. Dinami mi li toJM , rloi Vl>^
SB. offiti ImUa, -gai iHiH c« p»
gUio, dwira cui li eri Dui* ripuUa ■
(ni ti piange.
Mt;«ddT.»lo.
58 irf /■«fcaKamalMU. Cr*d*-
IO. mu. Con qoala nome, cbe U
ri rhr Ir Ir* [.<» di di»n« olM^
riTal< dinoo > Fliilone , (M>n» Iwitc-
iy la un morii «. Iiubu quelli
l< ir. p.ri. JM, T,rr. .]l«i «.foil',
■ lui cA( tiri* lianort («Ih «fm
ricBc pw "ni lorlt e lobai pimi.
2i far i-i^n«,, i«.Qlo d^ iog.-
d'otù» VmiiL(lidi.ului™(«nf.U
sunlc gli Eurupn : Ir* t»ii>dù • |Ì|III
LMi. ID tntdo cIkI» I' t>u.'pt dotali,
[■lui! * di^u., t l'At.,ci . ,W'Hn.
""'ai. £<M0 < daUr» tntn. cìot di
owrlodi»»:»»»-»»!». ot.i...
SO-St. A !<»«». ).9.-j|un»«-
L* Bi* iiiIiH* H «iiinna più * quvJli di
■Un •ui.cli..' cJii , pHillùMa tkt Mlb
1» ikgwM, rt. 1* .Ui»r. d.. g...D[Ì
^uV.i>*-"'l'll'>-"™"«"-«u?>^.
W yrf/\t H W »». S. B fa 11 bd-
.IHEtiSiSi
Ib, ««ri> >ri * ItuUo, CHt,M rgii lo l»U
3tr^'.'*'rk.Vi"™.!ni!i T^
il oMdo .i«iod« ito.i« .^H« il». M.
mal* di Ini proccd».
^l.^2.4(w^Mw■(««««•.8«ln».
CANTO TBEKXESIMOQUARTO. 235
E 8i gingnéno al luogo della cresta.
La destra mi parea tra bianca e gialla;
La sinistra a veder era tal, quali
Yengon dì là, onde*! Nilo s'avvalla. 45
Sotto ciascuna uscivan duo gi^and' ali,
Quanto si conveniva a tanto acoello:
Vele di mar non vid' io mai ootalL
Non avean penne, ma di vipistrello
Era lor modo; e quelle svolazzava, 00
Si che tre venti si movién da ella
Quindi Cocito tutto s'aggelava:
Con sei occhi piangeva, e per tre menti
Gocciava il pianto e sanguinosa bava^
Da ogni bocca dirompea co* denti 55
Un peccatore a guisa di maciulla.
Si che tre ne facea così dolenti.
A quel dioanii il nordere era nulla
Verso *1 graffiar, che talvolta la schiena
Rimanea della pelle tutta brulla. 60
Queir anima lassù che ha maggior pena,*
Disse '1 Maestro, è Giuda Scariotto,
Che il capo ha dentro, e fuor le gambe noena.
Degli altri duo e* hanno il capo di sotto,
Quei che pende dal nero ceffo è Bruto : 65
Vedi come si storce, e non fa motto:
i3iffmmio4éWnn% • dell'altra tpalla
NffrvaM tetanlneote le altre doe fac-
<t, (W, MOM ia «n ponto coniona ,
•iJbvHM t rnmirti tot vertice del capo
«v'é la craaU. Dk la crcaU a Locifero
la aaperbia , di mi quella
il eriitat tol/ervoe' La-
agilm.
49 #f Id. ùndici NUo ^awaU
4«H' EtioDia , ora dai monti
«•da il Nilo nella tottupaata
frile.
9#. ifiowrtf, in tenae tmtit..
wm, diWttcva. Il Cod. Fior, a il
^•f ìb •« lùmeUfa.
M . SI db« Ira mmM. Qneati Ttoli
lana aaa ai»fcolo da'tro ? ia j generatori
del tradiMwto a d'ogni altro mala, Su-
\, tmmidim a Jmmritia.
5S. wuuimlU: è anello alrnaaMlp
et dna legni, nno da'qnnK
a» cnMUcitèneirtltro,eii
osa per dimnapera il lino e la canapa a
nionilarla dalla materia legnoaa.
S8. J quel dinanzi, a quello cba
era nella b«cra della faccia cba atava
daTsnti, il mordere erm nulla, nnllt
erano i murai a paragone delia graf>
fiatora cba gli oavano gli artigli di
Locifrro.
60. brulla, nuda, spogliata.
62 Giuda Seariolto tradì Tetenio
sacerdote Gi>sn Cristo suo benefattore •
maestro: Bntlo e Canio ncciaero pm>
ditiiriameoie il nforroalure a rettoredel
romano impero, 0 Cesare. Edrceocbit-
ro ancbe per questa ioTentiona il pia
Tolte esposto principio politico di Datt«
te: il papa e l'imperatore. il primo nella
sua qoaVilè di vicario di Criste , P al-
tro rome moderatore del ovile goTemO|
sono oovcssarj alla apintoate e tempo-
rate felici (k dell* Italia a del mondo:
cbiQOijuc per laoto ■ questi ai oppone o
f 36 DELL* iXFERPfO
E r altro è Cassio, che par si membruto.
Ma la Dolte risurge; e oramai
È da partir, che tutto avem veduto.
Com'a Ini piacque, il collo gli avvinghiai;
Ed ei prese di tempo e loco poste:
E, quando Tale furo aperte assai,
Appigliò sé alle vellute coste:
Di vello in vello giù discese poscia
Tra 'l folto pelo e le gelate croste.
Quando noi fummo là dove la coscia
Si volge appunto in sul grosso dell* anche.
Lo Duca con fatica e con angoscia
Volse la testa ov* egli avea le zanche,
Ed aggrappossi al pel com* uom che sale,
Si che in Inferno i* credea tornar anche.
70
Si)
ft forza, è nemico pobblico , è un tradi-
tore di tutte le umtne e divine leggi.
67. membruto, cioè multo compiei-
so nelle membra. Tulliosrrive nella tem
Catilio.: ne€L. C«iSni adipem perfime-
icendum. Dante forse fu tratto in errore
da questo luogo di CÀcerone, atti ibtiendo
la qnalitk di L. Cassio a Cajo Cassio.
Questa osservszione è di monHÌ|Tnor Mai.
De rep. Cie., C. 2, Gap. 20, p. 8$.
68. jlfa la noilt ritwrge. bntiarono
noirinreroo che lo giorno se n^andava,
ed era la seconda sera del plenilunio:
(punti al centro, rUurge la noUe; dun-
que è questa la terza sera del detto ple-
nilunio di marzo, che nel 4300 essendo
avTenuto , come già si disse, la sera del
2 aprile, la notte che qui si accenna è
la sera del 4 (allora lunedi santo). Si
osservi che Dante essendo sceso neirin-
femo dall'emisfero d'Italia, ha s«*gna-
to le ore secondo il meridiano di Roma
sua capitale: ma girato l'Infernudi cer-
cbio in cerchio sempre a sinistra . giun-
ti verso il centro dove i meridiani si ta-
gliano, si trovò sotto r emisfero di Ge-
rusalemme, la quale è a sinistra o
levante dì Roma ; il perché volle qui ac-
eennar l'ora corrente di questo emisfe-
ro, per poi confrontarla con quella del-
l'emisfero opposto, dove colloca in mezio
alla acque la montagna del Purgatorio.
74. poste, opportunità.
75. Tra l folto pelo e le gelateerO'
ite : tra i pelosi fianchi di Lucifero, • il
groiao ghiaccìodel Oocito medeaimojdcn-
Iro al quale profoudavosi Lucifero. —
Avvertano i giovanetti die Virgilio scen-
de gin lungo il corpo di Lucifero cooii*
ti scenderebbe per un albero, o un moro
perpendiddare che presentasse degli «im-
picchi , mandando innanzi lo gambi* ;
aennoochè giunto eoi piedi oiratUcca-
tura della coacia , dove Dante ha inbaa-
pnato il centro dalla terra , rivoltaodo-
ai con molla destrezza, porla il capo do%e
aveva i piedi , perchè non ai tnlU più
di acendere . ma di aaliro.
76. là dove la coscia ee. : cioè ap-
punto dove la coscia di Lucifero si p>oca
sporgendo in fnvri dai Gancbi. Coatnu-
sci * quando noi fummo iu sul groMB
deir anche (dei fianchi), U dwvo appuBlo
la coscia si avvolge , ec.
7$^19. con falicaeconangoteim... .
Volte la testa ec. , cioè si capovobt eoo
fatica per essere nel punto della to*-
ra , ove la forza centripeta caacodo nel
tuo massimo grado, i corpi trovano WM
roaistenza gruiidissima a sta?conciM.
SO. com' uom che saie ee. Salirà
perchè avea passato il centro ddlla tn^
ra , dopo il quale non più ai può
dere, ma bisogna di neceaaità o
re o salirà. Dante però auppoocva die
per uscirò dell'Inferno dòA'eù
opposto , ai doveiwe andar aeoipra
déodo ; ma come vide Virgilio ekm Vfi'
Itliaodoai ao sa al polo di LadlBro m^
iTa|Doa riflettendfo troppo a ^ael capo-
CANTO TREKTESIMOQUAATO.
A nienti ben, che per colali scale,
Disse 'i Maestro ansando com* uom lasso,
Conviensi dipartir da tanto male.
Poi osci fuor per lo foro d* un sasso,
E pose me in su 1* orlo a sedere:
Appresso porse a me V accorto passo.
V levai gli occhi, e credetti vedere
Lucifero com* io V avea lasciato,
E vidi li le gambe in su tenere:
£ s* io divenni allora travagliato,
La gente grossa il pensi, che non vede
Qual era *T punto eh* io avea passato.
Le\ati su, disse*! Maestro, in piede:
La via è lunga, e il cammino é maWagio,
E già il Sole a mezza terza riede.
«37
85
9a
95
Toljrrn che area fatto , credè cba lo
riroofiaccMa per la ria dHI' loferno
■s'altra volta . i» infermo i'credea lor-
mar mmehe.
82 Àtiùnti ben, cioè a! mio rollo.
85. 9«r io foro d'un iosto: altra-
Tcno il foro di qacato tcfiglin i ferico che
foraa man il nucleo drlla Terra, • che
•*c8leaa««aaoio la Giadecca, stava La-
nCero, colla parte tuperiore oeil' emi-
sfero koreale , eoQ* mferìore nell* au-
strale.
87. Àppreito poru a me ce. Dna
«pief jàooi trovo date a qauato laogo.
L' asa è : a Oniadi caotameote motae .
' 3 paaM verso di me ; cioè , mi
acroeto tolt' orlo Juv' io sede-
s V altra , dando alla voce ap-
presso il senso di appreuochè^ dO'
porhi^ viesaa fard sapere che Virgilio
misse a arder Dante sopra auel sauo
tfojpo dkg gli ebbe porto, fatto fare,
fneifmem'to pano per il corpo di La-
niero, lo per^ considerando , riguardo
afa prÌMa, A» Virgilio uscito del foro
•'ti tatmo ova snae Dante a sedere, non
r^fcva caMrss dilangato da loi , e la
Taaifh cW, aodia rìb sopposto, avreb-
ie ^odroggìanlo di oceorfodato al ano
pnao; Cy ^oaolo alla aecoada, parao-
faam . ao ooa ridìcolo, soperfluo del
t4tlo Si solare ciie qoamlo lo pose a so-
Wt ave* |iè litio il passafilo , mea-
rc di ^rsfo e Boo d^iltro si è psilato
( "i veni prrcrdenti ; sono d* opioiuoe
Ta.
dia il verbo porgere na qui osato ael
senao di mofCrore. fkr vedere. E di-
fatti, dopo cba Virgilio lo ebbe chia-
mato a considerare l' accorto poffo
lungo il corpo smi»arato di Lucifero ,
Dante alia ^li occhi, a conoace on in-
ganno in CUI era.
8S-89. eredeUi tedere Lucife-
ro ee. Perchè, coma sopra si è det-
to, avea creduto dì ritornar par V In-
ferno.
00. B tidili le gambe ee. I «in
piedi di Lmifero sopravansavano v aa-
saì la sapcrficie dal aasso.
91. Iravoj^lùsto, coofoso.
02. La gente groita. La paaisna
idiote^ e ignare delle leggi che gevar-
nano il mondo.
0«. E già il Sole ee. Il giorno è
diviso in quattro parti uguali: torUy
sesta, nona e vespro. Mena tersa è l'o^
tava parte del giorno. Avendo dotto Vifw
giliu pur dianzi nell' altro emiafero, alM
risoigcva la notte, è naturale eoo in
nae»iu «lira dnpu alcuno oro che èaeorM
I utiava parte del giorno \ poiché mentia
all'uno cinisfero il sole si aaacoodavay
veniva a mostrarsi oeir altro. So il aola
tranii'Otava quando il Poeta s'oppi»
glia\a a Lucifero per % arcare il eanlim
ttrresti'e, nell'altro emisfero dovoa so^
gare; ma fatto il passalo, aworfa
che è giè mva* tersa , cioè an' ora a
nievzo «li Mtle : dunque un'ora e meno
ha duralo quel posssggio.
938 DELL* llfFERNO
Non era camminata dì palagio
Là Veravam, ma naturai burella
Ch* avea mal suolo, e di lume disagio.
Prima ch*io dell'abisso mi divella, 400
Maestro mio, diss* io quando fu* dritto^
A trermi d* erro un poco mi fevella.
Ov*é la ghiaeciaf e questi com*é fitto
Sì sottosopra? e rome in si poc* ora
Da sera a mane ha fatto il Sol tragitto? iOó
Ed egli a me: Tu imma.^ini ancora
D*BS8er di là dal centro, ov* io m* appresi
Al pel del vermo reo che *I mondo fora.
Dì là fosti cotanto, quant* io scesi:
Quando mi volsi, tu passasti il punto ito
Al qual ai traggon d'ogni parte i pesi:
E se' or sotto l' emisperio giunto
Ch' è contrapposto a quel che la gran secca
Covercbia, e sotto M cui colmo consunto
Fu rUom che nacque e visse senza pecca: fi5
Soi trag(Ho?Qut»U JnmanJt fa fìant*
non perchè T«dt il tote, come gofla-
nentt qualche eumrntatort oftti, ■•
per aTerffli «letto Virgilio: E $ié U
Soie m Mfsza lena riedg, die bm
iapra combinare con quel che «vra
07. Non era camminala et. Lk « v»
eravamo noi, non era via piana ed egi*
volo come ne' pataffi. Camminata , di
cavasi enticame ate la gran eala nri pa
Issi, Della qnale si paiapgr*iava e si {•«•
cavano altri esercii] La Tanca daratH
dai poeti per dipartirai dall' Inferno, r inteso poc' avanti : Ma la
la dìfRcoUk deUa via per tornare a rive- iurge.
darle stelle, posaonosignirieare gli sforri 4(17. m'apprtii, tùA il Bafi: k
grandisKÌmt a il coraggi» che ai richiedi»- eom., mi preii. mi attaccai,
so p4»r lasciare il visi» e i>p«Tar la viitii. 408. ranno reo. Lucifero :— eftt*/
•8. burella, ai disse ana caviti sol- mon'to fora, darai la lam naatra è
terranea senza luce, derivalo il termine forata , oucata al centro,
da 6«ro che gli antichi dissero per buio, -i 09 . cotaMlo, tanto tempo,
carne paro per paio, ed altri. K turo 411 Ai guai H traggom at. ìtàteaiì
ahiamasi in alcun laogo, secondo che 0 ceniro di*lla gravitaiioiia.
mi vien dettop qael foro per coi si 442-145 ÌT ac* or aof Co rimile*
•aende nelle miniere. Si chiamò anche rtoec. Esci giunto sotto Pcnìalaro calo»
kmrella la prigione; e ano' i>gQi in Firen- ate op|Nisto a qnello noatro, ehm a pàtà
laè «na via cosi delta • ressi* il Palazzo dì volta copre lagno» jceeot^ torro),o
dagli Otto, dove apponlo erano le carceri, sotto il più a1t«t punto del ajoalo aM>
09 éiiagio, scarsità; e qui piollu- sfero, o grand* trctt celealo, fa oeciao il
sto difetto, mancanza. Crisio. Immagina il Poeta eka fiaron-
400. éeiV abiiio mi diveiia, mi lemme aia no«ta nel punto Mote M-
■lacchi, mi diparta da qneslo fopdo. l'emiffero boreale il ado, aocosdo k
4#l . gnando fktt dritto, perchè fin idea di quei tempi, abitato; a ehm Poaà>
aliare ara rimaato a aedere a« Porle sfero opposto, V australe,aio latto maag,
del aaaao. Cranoa il ponto oolìpodo o OofOHkah
402 arro, arrara. me, sacvia'alzalaoHMtafatdolPirp-
lOS. Da iera a mane Ao fatti il torio.
CAlfrO TRBfrrBSIMOQUARTO.
Tu ^i f "piedi ki m pieciola spera
Che Filtra feccia fa delta Giudecca.
Qal è da wniy^qmindo di là é sera:
E questi che ne fe scala col pelo,
Fitto é ancora» si come prim* era.
Da questa parla cadde già dal cielo;
E la terra die pria di qua si sporse,
Per paura di lui le del mar velo,
E Tenne all' emisperio nostro; e forse
Per fuggir lui lasciò qui il luogo voto
Quella che appar di qua, e su ricorse.
Luogo é laggiù da Belzebù rimoto
Tanto, quanto la tomba si distende.
Che non per vista, ma per suono è noto
D' un ruscellelto che quivi discende
Per la buca d* un sasso eh* egli ha roso
Col corso eh* egli avvolge, e poco pende.
Lo Duca ed io per quel cammino ascoso
Entrammo a ritornar nel chiaro mondo:
E senza cura aver d* alcun riposo
«39
iiX>
US
i30
135
144-4 17. Tuhmi • piedi te. U pie-
db «pcn o sfera m mi Dante teneva ì
, «ra il aaato sferico , di cai sopra
•lU oola S5;il «inai sasso dalla
•MMta faadato di ghiaaiio far-
li «arto spartimeDto dd uono
, Ma aolo q«i iJ Poeta ebiama
44t. é^flMU. è da mattina
4S4 . Dm fuMta perle cadde gik te.
Piafe DiaaU eoa nna purteottiM fanta-
■•, cW Lacsfcr* cadcaae eolla testa ri-
waa dm ^••11* eaisfero si (|nale or ai
Jtfiaa^ • ••■ tasta «eemrn/a , che spriv
laaJè %m al cestro della Terra , che la
Tarn. prÌMa sporgentes» nell' emisfero
p. iaipmuita a (|uella vista, rieo-
0 m apana dall' emisfero op|>osto,
graa parta d^ maro che «juasto
ia priaa tatalaMala copnva , corsa ad
mìwàm ^vella ; a che il tratto intemo
di Tanni per cai afii pasaè, prea** par
mm di aererà , ncorac ia sa , a U'ca
••ala ■atBfaa che s'eleva salle ae^aa
adT— Mfers aastrala
%TyJÌ^.^9rf^fWM9e Coatr.
f ialiBdi: Fcnc qadU terra (la moo-
Jagan dal Pargatorio) chr si vede nat-
f caHafara al ^aala aodiamo, par fa^
gire il contatto di Locifero , UuHò qui
il luogo 9oto...., 9 jtt riàtnot ai lan-
dò fuori con grand' impeto da questa
pritfonde aedi , e soria in an monte. —
Se dunque la montagna del Purgatorio
è osata dalle viscere della Terra av-
strale, la caverna in cui ora i Poeti ti
trovano deve essere ben vasta. Del resta,
nulla di piò (jraodioso di questa imma-
gine delia Terra che fogge di qui di Ih
come persona smarrita per lo spavento.
127-128 Lwigo è laggiù ee. Qui
è Dante rhc parla dal nostro emisfero:
Laggiù , egli dire , è una cavità che
taoto «i estende oltre Lucifero, quanto
è alta U tomba, àoè la caviti dell'In-
ferno \ rhe ben può dirsi la tomha di
Satana e di qnd che son morti eterna-
mente a Dio.
I2'.i-I32 CKa non per ritto re.
Int.: che per essere oscurissimo non fi
fa noto agli occhi , ma agli orecchi pel
suono di nn ruscelletto che guM, in
quel luogo , disrenda per il foro d' un
sasso che od lunghi secoli ha roao ed
perenne corso, ch'egli enwilge, ch'egli
mena tortuoso, e poco pendo, ed è
t«>ro inclinato (onde chi va lungh' case
a non diflidl salila) — Forse <^c%\»
S40 DELL* INFERNO — CANTO TRENTESIMOQUAHTO.
Salimmo su, ei primo ed io secondo,
Tanto eh* io vidi delle cose belle,
Che porta il Ciel, per un pertugio tondo:
£ quindi uscimmo a riveder le stelle.
ruscello ci tuoI tignificare , che qnanto
di reo è espiato nel Pargatorìo ta a de-
putitarsi nel regoo del peccato.
io7-\o%. Tanto eh$ te. Costr.:
tanJto die per «m pertugio tondo, in
cima alla earema, Ì0 9idi parte delle
cote belle, che U deh porta in giro nel
tao moTÌmeoto.
FINE deli/ INFERNO.
PURGATORIO.
\ò
DEL PURGATORIO
CAUTO WMMMMlB*
dTmm
rmdia étl mm»
ekt frm Iwv
U Pmtt «MM ^pw mt£Uo étttm t9U$rrwmm tatenm $t mmi
«M* puristimm é spUmtUmu et faitmmtiuùm tt$tttt é mm teaoMniM
ItaMMM^ p^tm m gmmnUm é4t iMfv, taatat FlrgUto ém imi, étf
fmat €àt fmr éomm mirjtmmm ftnU fotmst «OMtefio m vltUmn
n menu dd Pwplarìo Mcigmito dalP aeqat dell'altra Enwfflfo figura u
> tronco in cima , nUoroo al «|imI6 t'aTvoigooo nudici ripiani circolari, com*
^ ri il nolo dell' itola. I primi quattro cofttitoitcono V Aniipwrgalorio, doTo
••■ tratleooto , finché siano amoieaM alla espiazione , «inattro sorte di anima i»>
g^ifinti. Gli altri sette formano il Purgatorio, e in aascnno di eiiì ai porgi
«M de* sette peccati capitali. Sulla cima, in pianura, è la sempre Tenie ed
imfuissims selva del Paradiso terrestre. I Poeti salgono di cerchio in curalo
per ecrte scale , che tanto meno divengon lor faticoee quanto pia i' tTamao*
la - —
s. ot«r
nriguteiie
iacf«e«e tei
Per correr miglior acqua alza le vele
Ornai la navicella del mìo ingegno,
Che lascia dietro a sé mar si crudele:
E canterò di quel secondo regno,
Ove r umano spirito si purga, fi
E di salire al ciei diventa degno.
Ma qui la morta poesia risurga,
0 sante Muse, poiché vostro sono,
E qui Calliopea alquanto surga,
Ffr iorrtr fmigUor otqua : al* nitè travagliaU dare nrenderc per |i»>
nere alla libertà e alla pace. QimìI^ k
la conversione dal visio alla TÌrtà , la
mortikcazione d«lle prave inclioaiiuaiy
e U scMigliamenlo dell' uomo veoehio ,
tantorbè più nnn viva che la vita dalla
ragione e della gtnstizia.
7. lo tnorta ftotwia: morta, parche
cantò della oiurU |rnU ; poeaia Imhia
a eoovenirnte ai tristi luoghi d'iaferaa.
— ri$wrgo , si faerta al<|uaBto liala; é
Teata dei colorì della vita.
8. «oslro fona, cioè deveio a rai,
o eooa vf«ira, dacché tatto alla
che significa : per trattare ma-
rno dolnroaa, meno spavenlevola
qwlla dell' InferM). V Infermo k
il canto deU'ira, il Pwrgmiorio le
deU'aaore e della sprransa. Alla
le lodi iì Dia,
e al raecepriccio una soave aMliaroaia.
I. mmr ai ermdoU. Cioè U gih da-
ifkiio §ipur§M.
•al senso proprio è 3
lÌBie che URciroa del eotw
Dio purgano le reliqma
finché dfveniin drgne di aa-
al ciela. nel senso allrgnnco il Pufw
figura la m che la aanra
9. Coiliopto, o Calliapa^ Muaa rha
praiieda ai versi eroici egruTi. CmU4of$
con quel Goono,
e seutiro
Lo colpo (ai, che disperar perdono-
Dolce color d'orientai zafTiro,
Che s' accoglieva net sereno aspetlu
Dell'eer puro infino al primo giro,
Agli occhi miei ricominciti diletlo,
Tosto eh' io nsci' Rior dell' aura morlS:
Che m' avea contristalo gli occhi e il (lello-
Lo bel pianeta ohe ad amar conforta.
Faceva tutto rider l' oriente.
Velando i pesci '•h' erano in sna scorta,
lo mi volsi a man destra, e posi mente
All'altro polo, e vidi guallro stelle
I
•ÌfDÌ(ÌH a beliawa. Nr[
lieiiilcri tuiet aipri t ckiocet. Tulla ti
iDDgu IBS. — gnaulo (uiya. ■'(Ini
uipoi»;iiHfDnel'aprauun(at9lwlllO
KMiXrdinC
ll'IxK
'ù fiutato dilla I
49. Lo bel pianeta te. LtticìU il
21. Velando ipiict. Ini. eoi «un
lerani pHiiii ili luì, • t prec«<l(rii
"* 23. lo mt (Bili a nan dtitra
.ni» nel «.«Kn vmakn, d» ulf il-
aidw, • (■»«, • Mrrvn ni CHUipii
«Ut prMBUlllMI ilflKiriilU.
<IS. Dtki teiar te. Un tiulo tulan
Mrl* ìleant Urn iMll'iUra Buiùtn
di niiniloH» vnloni. tclu4ÌM(h«
ma ildlr Ar io toniw di inicc lì 1»-
d.iiiu iwlta <'Mi*llni>H» Uì (OBUan,
chiiniiU la Croe* Jtl Sud, cka WK
lm„a> (liwrilUi nel cKnlii)* éi lUv
' cbc itU» 'muaitrtl
CANTO PRIMO.
Non viste mai fuor eh' alla prima gente.
Goder pareva il ciel di lor fiammelle.
0 settentrional vedovo sito.
Poiché privato se' di mirar qnellel
Com' io dal loro sguardo fui partilo,
Un poco me volgendo all' altro polo,
Là onde il Carro già era sparito;
Vidi presso di me un veglio solo,
Degno di tanta reverenza in vista,
Che più non dee a padre alcun figliuolo.
Lunga la barba e di pei bianco mista
Portava, a' suoi capegli simigliante,
De' quai cadeva al petto doppia lista.
Li raggi delle quattro luci sante
Fr^iavan si la sua faccia di lume,
Ch' io '1 vedea come '1 Sol fosse davante.
Chi siete voi, che centra '1 cieco fiume
Fuggilo avete la prigione eterna?
Diss'ei, movendo quell'oneste piume:
Chi v' ha guidati? o chi vi fu lucerna,
Uscendo fuor della profonda notte
245
25
30
35
40
'naMgÌBaxiucie del Poeta , che le finse
próu per dare an maggiore abbellì-
aMirto a qsel delo totio il quale , ne-
ernie che ep.li poeticamente immaginò ,
^0f«a irÌTerc felice l' amanita se si fosse
innocente j e poi ner farlo
lo ielle anattre rirtù cardinali che
il principale onore della
••(■r*, cM veramente ornavano
i'aosM Ssdiè inoAceote duro nel luogo
der* Dm I' avca posto , e che nella sua
dìeecMlcoa divennero sempre piò dif-
fai e rar*. Il eootesto, mi pare, favo-
haee ««eata optaione.
%i. vitto., -«//a, per vis/e dalla, alla
bt — friwM gmUi sono ehiamaii Adamo
ed Cm, prefapjtori del genere umano.
Si. ffito, regione. — ttdow»^ pove>
re, Miaera. privo d'no gran bene, per-
diè •■■ raUegrato dal raggio di quelle
stolle.
SS. Cam'io dal toro tgumrdo /Wt
Teatorliè io mi fai distaccalo
4d rigaardarie.
80. U Carro. Chiamasi Carro TOr-
>,ceatelUiioaa viciaa al polo
Dica cha era sparila^ perchè dt)
luogo dove era noi potea vedere, re-
stando quello sotto rorinonte.
51. fofo, tutto solo o solitario.
52. in mtta. all'aspetto.
57 . delle quattro luci, cioè i raggi
delle quattro stelle sopra nominate che
lo ferivano in farcia. Ciò eonvien molto
bene col significato rhe abbiam dato al-
le quattro stelle nella nota al verso 25,
giacché niuno dei Gentili splendè di
quelle virtù più di Catone.
59 eome'lSol fouedanmntéTÓoèj
lo vedeva sì risplendente, come se avesei
avuto davanti il sole.
40. coiiira 7 cieco fiume^ cioè eon-
tro il coiYo del tenebroso fiume. Intendi
il ruscello sotterraneo^contro il corao del
quale risalirono i Poeti a riveder le stella.
42. queU'onette piume: cioè, quel-
la venerabile baiba. Piuma per birèm
è traslato d'indole latina. Imparata
tum eum veniel piuma iuperhim, disse
Orazio : e anche oiiaf te è usato qui nel
senso latino di degna d'onore.
43. chi ci fu lucerna: cioè, chi vi
fu guida, e chi vi fa luma ad igaiÀT% ^
iaoghi teoebroti d' Interno ì
DEL PURGATORIO
Cile sempre nera fe la valle infernaT
Soo le leggi d' abisso cosi rolle?
0 è mulalo in Ciel nuovo consiglia,
Che dannali veoile alle mie grotieT
Lo Daca mio allor mi die di pìglio,
E con parate e con mani e con cernii
Reverenti mi Te le gambe e il ciglio.
Poscia ri.ipose luì: Da me non venni:
Donna scese dal CìeI, per li cui preghi
Della mia compagnia costui sovvenni.
Ma do eh' è (uo voler che più ai spieghi
Di nostra rondizion com'ella ò vera,
Esser non puote il mio che a te si nieghi
Questi non vide mai l'oltim» sera.
Ma per la saa follia le fu si presso,
Clw molUi poro tempo a volger era.
Sì come i' dissi, fui mandalo ad asso
Per Ini campare, e non e' era allra via
Che questa per la qoale io mi son messo.
MoslralB ho lui tutta la gente ria;
E ora iniendo mostrar quegli spirti
Che purgan sé sotto la tua balia.
Com'io l'ho tratto, saria luogo a dirti:
Dell'alio scende viriti che m'aiuta
Con ducerlo
Or li piaccia gradi
<l
edcr
IctnlB, ami
u LtUat gli («lem «eir( di lul-
50. E tim parn)< m. Dipinge qat-
I. Jlircimtf aùftn.ìti U
'"VJi
60 CIttmBllopiieoltmpait.IaL:
!•, Xllndf al HHi iniirriBeiila f*r la
ifIxH WilMlCiiiInl JeH'lM/kiiia.
CANTO PBIMO.
«47
Libertà v« eercando» ch*è «i cara.
Come sa chi per iei vita rifilila.
Tu 'i sai, cbe non ti hi per lei amara
In UUca la morte, ove lasciasti
La veste eh* al gran di* sarà si chiara. 76
Non son gli editti etemi per noi guasti, *
Che ^jnesti vìva, e Minos me non legii;
Ma flOB del cerchio ove son gU occhi casti
Di Marzia tua, che in vista ancor ti prega,
F operi ddla legge • alla eootempla-
fioM dal tara, tapaodo che aaaato piò
faaita aarpo aaii alata noitiato nella
Tita praaanta, tanto pia diverrà bello a
gtorioaa oeHa fatnra: 5eiiitiuiUir in
ignoMiUtUt twrg4t hi gloria. Il primo
Catone è tipo del kiano a forte attedi-
ne, il Mcondo del perfetto crìatiano ;
ambedoa Toglioiio la lilftrti , ambedae
la iMtria : ma il primo è tatto
71. Libertà 9m eeruatdo. Dna
di libeHà aia aafaaado DiB»
^1 d|t i« dìckiarafè ealle ava parola
■^^cnme. Ei diee nel Cm^milo : a Li-
^ è il eono l%ero della Tolontk
«^ tMnira la legga: il lil«ra arbi-
tra è il fik^To gindÌM Mia raloa-
*^| • 3 gi«i£iio è libera , aa ^ pel
fi** move r appetito, a nnllamente
M ^ill' appetito prareaata. • — Poi
•^MoMTtkia: • L'amaM g««ara.
<ÌMe mamimameiUe è libera, i|oand'è
Mtt* il monarca ; • eoo quel rbe legne.
^mI deoene Dante eoi ano poema pro-
«trere tale aUto di eeae in Italia , cbe
nmi dornaoue la tirannido, cbe tpcsio
■mappe l'aaMme e il pannerò dei riUa-
iat, a M libero ad ognnoo l' operare
la yirti. Iwtptro e «trfè nel ai-
di D«BCa ai danna la aNoa team-
UeTalmenle.
n. fte'la«<ac.Qnirir|niafama.
gala cbe il veccèio a e«i mdirinava
li parala, ara Catene Ctieenae, cbe non
wtiaapiniiiian alla territà di Berna
aa ne Ceee tiranno.
n. Lm «atfr ae. : il carpo Ina cbe
nel di del gindisio nm-
aentro fi' inmgnemanti
ba peata in qneato Inago
taancide. ilacaatoranan
ebe CmUme non è qni cbe
■M ignra dell* anima fatta libera par
del eorpo,
Platone cbiamb la aalaanià
U etani doaiea, amatore
ilare ealdìabna daUn eirile
ilmenie la «ila per
dal tirenno. Il Ce-
latta anaforico JonM ed amiiettla in aè
alena» la carne, ncr non aenrire ai cor-
rotti eppetilà di lei, ed caaer libera al-
patna ; nm u pnmo
nel tempo e anlla terra, il aecondo guar-
da neU'etemitb ed al cielo. Egregia-
mente adunque è poeto qoesto Catone
allegorico a maestro ed esempio delle
anime cbe vogliono liberarsi dai tristi
effetti della natura corrotta per divenir
deane di Dio. Dirò poi cbe aa il monta
del Pnrgaloria ai riguarda da on Iato
eanM S^ra del politico riardinamenlo
deir amenità e meao all'aeqaiato della
aivila libartè, malto a nropoaito ai pane
F IHieenee a maeatra di quegli nomini
ebe vi ai avviano , sieeeme qnegK cbe
BMetrò in tutta la ana vita eome a' ami
Tarameato la patria , e conto non poma
eseere libertà dorè non è virtù. B a
questo riguardo non è poi per niente
assurdo qnel ebe ^ afferma dal Poeta ,
ebe il corpo di Catone apparire lumi-
neaa nel gran giorno ; cfaè quel giusto
giudice, cbe rendere a lutti il suo, se
non dsrk sii' eroe lelino la glorificano-
ne degli eletti, non lescerè sena onore
qurlle eminaoti sua virtà cittedine, cbe
laato debbon canfamlara i codardi a
falsi aristieni.
77. ChiqmMèÌ9Ìio$: pareecbè né
ceatui è ancor morto, né io aaao airiii-
femo, coadanneto e eastrelto dalla san-
tansa di Minee.
79. ékt imnUtm m^eor a pr§gtt, la
quale pera cbe ancora ti preghi eome
•aa Tolta ae. Mania era mogue di Ca
^V ^^^^^^^H
34S DEL POH
^
0 ganlo petto, che
per tua la legni:
^
Per lo suo amore adunque a noi ti piega.
Lasciane andar per li luoi selle regni:
Grazie riporterò di
te a lei.
Se d' esser mentovato laggiù degni.
Marzia piarque lanlo i
4gii occhi miei.
?«■
Mentre eh' V fui di là, dìss' egli allora,
jCM
Che quante grazie
volle da me, fei.
■1
Or cbe di là dal mal Gume dimora.
V
Più mover non mi
puù per quella legge
TI
Che fatta fu qiiand'
io me n' usci' fuora.
BO
Ma se donna del Ciel ti muove e regge.
Come to di, non e'
è mcstier lusinga:
Bastili ben, che per lei mi richegge.
. -M
Va dunque, e fa che l
u costui ricinga
. lì' un giunco schietto, o che gli lavi'l \ì»
Si che ogni sucidnme quindi stinga:
^^H|
Che non si converria 1
i" occhio sorpriso
D' alcuna nebbia andar davanti al primo
Ministro, eh' è di quei di Paradiso.
Questa isoletta intorno ad imo ad imo,
l.:0
lon*. il qu.1. Il cM id OilDuIn per-
ilo — fluond'ioman'tuc
i' f^ra. In-
mcglia, del
Mani* torut l CilBne « lo prrgA i tu-
T, S'JB e >rm. — AniF CaHmt i Ignri
dall'anima affriacil. dilli oilcrli, »•
91. luiiUfO, bliodima
Bla.praghic
03 Tie\egst, nùàtj^
84. rfring-, cinga.
U&. W un fiuvn ichiiUo. dì na
r.dÌiMhailC™rtW, lral.lV, 28.
ElKn<^opulita,tcn>aCugl>a.
Qgrato ghin-
ai.are ioudu
80. Ornila fHlloi in molilo thi
•lliiTBi) di Ulta la Ditaratl ■ aitili
diliiKFriltadiliialUi. lai
ocrcdapiol-
InlotimbolDdiquallannii
Mi«pit3hf-
«rift
«olnia d' ixlm» «Ile laci
1 ddll raiio-
^ aS. pi.rHh»ti.ll< ntnl. pir li
oa Idi Dia. chat oppaiu
■11* lapar-
^B lallo giri Da' <i<ialì »IIo la Ina lulorìU
(urd D ilU «aparba otti.
lanoDS aallc
^H (ipnrganol* anima.
aioli. ot^ui«.i.D«.i>i.£
: Holo poi tlia
H 80. rfiM, »n. prìoixila.
l' Mmilti i la ba, Jdl' adÌEÙ> trl-
atìano.
^ BR dal Mal fumé, nrhrrmh.
H. ^(ndl, di l>, dal 1
rflO— l'.-B-
8ft-(H) Par iwlla teffjf Che falla
sa, tati .ia.
f». Qn«i' » la lena di non aeiiUr
«. jDr;irÌ.n,iofpKi«
; Italo 'gtuB-
pia iKatU di «ma • di uopa, o d'ai-
1 In. tn» larrina. Catnn», iuinn aIlF|;0'
%r datanti allumo
'«. A»CB.><
^ fi«mM<.. dopo 1. jr,n laparaziooa
.ir.i,E^lo cha •adrano ali
'iairoHo dal
PBr|,.lorio,
^B noHa pi<r JVon.-...- n>. rgli^Da» in-
m. aUmatdtmo,
mlpiiibu»
^B tendi Bt noia cha Jl erro a U «Ai-
lm«-
L
_^|
CANTO PRIMO.
249
Laggiù, colà dove la batte Tonda,
Porta de* giunchi sovra M molle limo.
Nali' altra pianta che facesse fronda,
0 indurasse, vi pnote aver vita.
Però eh* alle percosse non seconda. ìqò
Poscia non sia di qua vostra reddita;
Lo Sol vi mostrerà, che surge omai,
Prender il monte a più lieve salita.
Cosi sparì; ed io su mi levai
Senza parlare, e tutto mi ritrassi HO
Al Duca mio, e gli occhi a lui drizzai.
Ei cominciò: Figliuol, segui i miei passi:
Yolgianci indietro, che di qua dichina
Questa pianura a* suoi termini bassi.
L' alba vinceva l' óra mattutina, il6
Che fuggia innanzi, si che di lontano
Conobbi il tremolar della marina.
Noi andavam per lo solingo piano
Com* uom che toma alla smarrita strada.
Che infino ad essa li par ire invano. i20
Quando noi fummo dove la rugiada
Pugna col Sole, e per essere in parie
Ove adorezza, poco si dirada;
Ambo le mani in su l'erbetta sparte
1(13. €k9 faceU9 fronda : le foglie de , o ti ra dolcemente ibbaMando.
^iiakoio di TuiiU e qualche Tolta 445. L'albavineeval'òrtunattuti'
40S. aUe pereottt non teeonda,
""* Nde aotTcnente tenta nunpeni ,
'"■•bO fianco.
^H. rtddita, ritorno.
407. LoSolvimottrerà te.: il to-
*'" li ■ettrerà, tì inaegnerk il luogo
^^pM^cr* dotete tul monte talita pia
'■''t. Cm «netto gli aTverte che dero-
"^pnra il monte trcondo che lo gira
'l i4i da lerante a ponente.
4M. tu M< ktai. Fin allora era tta-
^itaÌMeckio.
4447ì»9MoedU«iii<rfr<sz«i,^«a-
* «ikmt dirgli : eccomi qai ; io aon
M» mìU t«e iNraoda.
4i8-4i4.Kolgiaii0ÌMr«ol9Ìmic«,
màmU Vm ia «per miglior prononna.
Cai étmà ptUmmei, Mdrwid ee. In
mlien aalca farai qvealo ramhiamcato
aaihe tata l'afSiao dà prooom*. <—
ékkinm ti^tuoi termini é!wtt; ditcca-
fui. óra tta per aura, che tignifica ven-
lieelio, e anche ornerà, come le tocì da
lei formate di orezzo, o reiso. Lo Stroc-
chi nolo che in Romagna la Toce óra
usali anch' oggi per ombra. E cosi leg-
gendo e interpretando ti ha nn belliJs'
timo concetto: l'ombra maltotioa , o
dell'ultima parte della notte, che fugge
daranti all'alba ohe TÌttorìosa l'inral-
sa ; dove in parte è imitato Virgilio in
quel Terso : H'tmenUmqus Aurora
poh dimorerai umbram. La lez. ora ,
lai. kora, dk poco aentOf e doro.
447. // iremolar della marinet. E
imitalo anche qui il TÌrgiliano eplendei
iremulo tub lumine poniui»
422. Pugna eolSole^ reabla al ca-
lor del tole.
423. Ove adore%ta, dote è reno,
ombra, alla «|iial« ti teale tptrare più
Creaco il Tenticello.
424. tparie, dittoM.
DEL prHG*TOItlO
Soavemente il mio Maestro pose;
Ond' io che hii accorto di su' arte,
Porsi ver tei ie goance legrlmose:
Quivi mi tece lullo discoperto
Quel color che l' Inferno mi nascoi
Venimmo poi in sol lito diserto.
Che mai non vide navicar sue acque
Uom, che di ritornar sìa poscia e^iterlo.
Quivi mi cinse, si'come altrui piacque:
0 maraviglia! che qna! egli scelse
L'umile pianta, coiai ai rinacque
Subitamente là onde la ^'elsc.
Uliu
417. Din {«{rimuK, Iihm pi
eh* il Podi finge tarn per-
ungiitdA alti *ci(n« ddl'iltni
<S2 Oom. cJm iff r
CANTO »>EC-OXDO.
Già era il Solo all'orizzonto giunto,
Lo coi meridian cerchio coverrhia
Jerusalem col suo più alto puiilo:
\-S Gidrrail Solt te. Si nppuni lartstonU il fui aurl-Han «rrdWa M-
ibiDoniladgiiiblii* il ino arisonle, vn-rMs CcnualmnM nf I tuo p4è «tlii
U.ita>l^in»li>[Vii,riir*qMHulre Ccru»lrii.m«. On iitmia il l>««i,
' ' iD pia din pualD. Qut- rbt il fol* tinmiinilo >r* pnnlo «l-
il mfriJiam, pinete l'anaaau wiikanl* il Cinilll— t
no M luogo dM e*r«r«Aia. ciò* «pn, maBli|Da dd Pir|ii«ri«), liwH ai ti-
Axndn n|>n> nu su anonoU iole ttl [ri ' '
'■ 'o, tiMni(«lo,d«dir« dt
CAUTO SECONDO
E la notte che opposita a lui cerchia,
Uscia di Gange fuor colie bilance,
Che ie caggioB di man quando soverchia ;
Sì che le bianche e le vermiglie guance,
Là dove io era, delia beila Aurora,
Per troppa etate divenivan rance.
Noi eravam lunghesso '1 mare ancora,
Come gente che pensa suo camimino,
Che va col core, e col corpo dimora:
Ed ecco qual, su '1 presso del mattino.
Per li grossi vapor Marte rosseggia
Giù nel ponente sopra 'I suol marino;
S5«
io
ib
4. ckt oppoiitm «.. che ditmetral-
■■te 9ff0èU al mIc cMfc V tmmUrìo
■te OH è Gcnualemmc. Qm rtrehim
■CMfir«|ir«tiUonio la trrra. La uoUa,
cvni è penooifirata, non è cha l'oai-
In Mli tara opporta al sole ; ed è
(Wt cba te il sole sorgeva di Ik , la
MltipaDlave di <jaa.
I Oteim di Gmnge fmor te. Soppo-
MjMMida la f eagrafia de' tempi tuoi
(^eé Sonerò Bacoae, Ofm» «k^im,
^. 4), rae roriuoiite di GrrtKalemnM
M la aeridiaDo dell' Indie Orieotali,
Vpiirale per lo fMMaGaogc, che atiirre
■ «s. — co/la bUamcB, col srgna della
ttra. Canado il «ole , accoade cba il
Nrti ka «aliato, giunto all'ortnonie
AfiaraaalMBflM ad acgno dell' artr te,
cW 4 aegnu della libra foaM
»paBlo ma cs«o ariete, e pro-
ra il Bf ridiaao inlerteca il
, e cbe quindi da eaao
> li ■Ile aargfaia dal ti«itge oella
■lipoda ai MMiote drl l'urgaliv
ria baoa ato a rrttilieare le o(>im«iat del
fatte aaMi pia etaile cognitioai cbe «ira
a kaoBO io falln di grtigralia, e iierrbé
•paso eie fmk fare da ae, e parrLè alla
MrfKgaaaa del leali* Milo importa ri>no>
Mr» Mal che il Pwta cnnleTa , naa
fari «fcr oggi Meglio m aa.
f . fmmmdu §mt€f^im , eieé qaando
■ b pie laoga del gi«rrao. La imiIIc tie-
■I Wm» il aeo Wnebroao enuafrno il
•vgi» Mia libra |fer lo apatio drl tem-
po dba è émi Mlttiaie iemale al aolntiKÌo
flitfta, cioè incba le «otti vanno •ceor-
< ; • imane priva del detto aegna
(4tltaiil¥ii aMiva faa alP iema-
le, cioè par loUo quel tempo cba le notti
K allungano.
7. U HauehB § le vermiglie guan-
ce ee. Qui ti vogliono aignitirare i tra
diversi colori cbe app^iiono io ciclo pri-
ma del naacera del sole : cioè il bianco
dell'ora matlatioa, il vermiglio dell' ao-
rara, il rancio cba precede di poco il
soie. Legijiadra immagine, di allribaira
air aurora nei diversi suoi tempi i co-
lori propr) delle varie età degli nnmioi.
42. coi core, col desiderio.
43. tu'l presio del wmUino, sul-
r appressare del mattino. L' svverbio
presso è qui vasto culla |M-eposiiiona ,
rome se fosse aa noma. Si potrebbe an-
cbe dire un modo dittico ds supplirsi
ccisi : §ult ttra che è pretto mi tempo
dot matttno. Del resto didsoM simil-
mente «//' ineirea^ nel mentre ac
14. Marie roteeggia. <jucaio pa-
nata roiMggia piò o meno secondo la
magfpure o minore spessena dei vapori
che liicirrooilano. Ora, l'appresserai del
mattino, romiensaaduai in quel tempo
per la (n'acuì a i vapori, e il trovarsi §ul
snolo wtarino ia ponente , dove i va-
pori SI levano in più abboodansa, e non
•uno imbiancati dall'alba, come lo sa-
rebbero in oii«fnte, sono circostante dia
ci*ntrib«i«rono a fai lo pia roaat'ggiare.
45. dm ntl ponente: due volle gli
astri appaiun» tul snolo marino: d le-
vare, e al traiiioiilare. Qui ■ vnd ncH
tara il pantw io cui l'asli-o prrdpiia nrl-
l' oroam* occidentale mentre in orienta
ata per sergere il sola. Invece della com.
Giik nei ponente, per ìetùanmmwmEk AvV
di. P. Punu, U Cad. CuAi»a!l. \>. VS
I
953 DEL FUBGATOmo
Cotal m'apparve, s'io ancor lo veggiB,
Va lume per lo mar venir si ratio,
Che 'l mover suo nessun volar pareggia;
Da! qual com" io un poco ebbi ritrailo
L'occhio per dimandar lo Duca mio,
BividiI più lucente e maggior TaUo.
Poi d' ogni luto ad esso m' appario
Dn non sapea che bianco, e di sotto
A poco a poco un altro a lui n' uscio.
Lo mio Maestro ancor non fece motto
mentre che i primi bianchi apparscr ali.
Allor che ben conobbe il galeotto,
Gridò: Fa, fa che le ginocchia cali;
Ecco l'Angel di Dio: piega le mani:
Omai vedrai di si Tatti uiìcialì.
Vedi che sdegna gli argomenti umani,
Si che remo non vaol, né altro veto
Che l'ale sue, tra liti si lontani.
Vedi come l'ha dritte verso 'I cielo,
Trattando !' acre con l' eterne penne.
Che non si mutan come mortai pelo.
Poi come più ,e più verso noi venne
b> Qitl Htl fonrntt: ail t boom lo.
pcrcht (hi i tul lidn oMidcDUla, co
<Et Ttdora Rli uiri >ul luol marìnii, eh
uoU'wa doJ tramniila m f<,nnu; tà <
bl«r« etn pirasuni ili emc rilibili ■ noi
a colar* Ira' ipali e pei quali lorìia.
te. Colai n' appone. Ini. : tao.
autor la teggta. Ini. : euri pcnw ii
veJarla aorara an'ullra lolii. CiA ini
jiorbrabbE l'aecrt denli eliUi.
30. pN> dimandar re. : luta pa
rlunaDilara i Virgilin tba tmaa ^ue
ai . Kieidil pii lucenti se. .■ per
c.a rat
allrs bian». L'altro hiancg,
fa a!
"la.lS^àeH'al'iH"-""
'26
Jfnnra che. aia aha. — ap-
pariff
al>.B.p<«aell.».rial<a«.
ddioa
della n
diF. Vitbmedi^^luUapnna
400T.
daqnei
Ca mi •iaii UK wnaa ebbro e
«Ila. I^IU gli altri Codd. t
z:~.
nperin- ToK.
t( gaUatto, ciò» il aHcUa»:
ilD»l
ralor. della ^alaa o nan.
SS
tati, oitln a larr).
S9
piVSfl f,m^ni.cb.ld.di
ri,p.l.
SO
u/rei-i«.ci<«iuio»UidÌI>io.
61
B2
velo. <>^la.
53
Ira liii ri tonimi. q«af tu
aioi adtaira e a ainiilra d' nta luaa ,
ap)iirìvuio in Igalaaania, ar>M la hi-
dttliatc «li dì Hn ingoio, Jalla coi Tao-
niilero, da ijiirlla dalle iliarM.
5-1. drilli: tliile, elstiM.
SS. IVal/aiiitn, agilawlii, nii
•mj^
CAltfTO SECONDO.
L*iiooel divino, più chiaro appariva;
Perchè Y occhio da presso noi sostenne,
Ma chinail gioso; e quei sen venne a riva
Con un vasello sneiletto e leggiero,
Tanto che i' acqua nulla ne inghiottiva.
Da poppa stava il celestial nocchiero,
Tal, che parea beato per iscripto;
E più di cento spirti entro sediero.
In exitu Israel de JSgypto
Cantavan tutti insieme ad una voce,
Con quanto di quel salmo è poscia scripto.
Poi fece il segno lor di santa croce;
Ond* ei si gittar tutti in sulla piaggia,
Ed ei sen gì, come venne, veloce.
La turba che rimase lì, selvaggia
Parea del loco, rimirando intorno,
Come colui che nuove cose assaggia.
Da tutte parti saettava il giorno
Lo Sol, ch'avea colle saette conte
S53
40
45
60
53
^ L'wttl divino: coti chìamt
' ««Ho ilato.
39. Perekè , per la ovai eoaa.
. ^0- eàMMtl ee. : il caiati, cioè ab-
^Pacdiio.
^^.TMeito, naTÌcella.
. ^. T*i, ch4 pareo, apparirà, per
^P^, ■unifest.. mente , 6eaio; qoaai
«■tene: • fli ai le(rgera scritta in froote
**'^*~ ; • o, appariva nel ano
acritta la beatitadinc. —
: farim beaio pur de-
'B'iMl; àwmàm por ai trae un aualche
**■*. •— iteripto è sccundo 1' antica
*H^., cW per lo pie aerbara alla pa-
'^ iiaai doMcod originali.
4$. §tii§r§: dicooo a lami che f#-
"^ Ila mi per aedieiio, mutata la
* ■* r per la rioM. Ma io ^o cbe qne-
j^ «•«• mm Me caaer altro che il perf.
^ttitrw, 8Mero, frappovtiivi no i per
*^HMe liawfie ài pronunzia, e*«iM
■••■e apeMo £ Eae gli antichi che
^■■ra k&Uiero, ptréiero; e noi tal»
J*i Hitra o éiero re. C «edtero ha
^il NcU, rigaai «laudo raaooe'gik
"^o^j par aaMre oaai i|aeaii apirìli
riiliallarÌTa,alaraa altaUai par gel'
H. Qaeata salma è bea adattato a
coloro che escono dalle miserie della
Tita, o a chi dal peccato rborge alla
ffrazia , che di ciò appunto è simbolo
r uscita del popolo d'uraello dall' Egit-
to. Difutii anlicamenle nuesto salmo si
cantava dolio Chiesa nel trasportare il
corpo del defunto alla chiesa. E Dante
stesso licI Camrtto,)ipie{;andoil principio
del salmo In exitu Israel, dice : • ipi'
rittm^menle s'intende che nell'uscita
dell'anima dal peccato essa si è fatta
santa e libera in sua potestate. »
!»2-55. selvaggia Parca del loco.
Parea piena di quello stupore che mo-
stra l'uomo s<'lva(Tgio che viene in luo-
ghi da lui non mai veduti. 0 aemplice*
mente: nova, peregrina.
54. assaggia, ascolta, o Tede; traa-
lato dal gu»tu agli altri sensi.
55. Uà tutte parti, vaol dira die
era chiaro per tutto.
56. Lo Sol, cV ovea ee. U capri-
corno è discosto dall' ariete, ov' era il
sole, 90 gradi, o un quarto di sfera.
Adunque, se il capricorno era passato
di là dal meridiano, tanto doveva il sole
essersi le\uto fuori dell* nHente. Krano
insi»mma circa due ore di sole. Vedi nel
Canto 1\ la nota al vera. 7. — colle
saette. Essendo , secondo le favolo ,
^v ^B
^^^^^H
^^^^^^^^^^^^^H
JS( OeL rUEGATORlO ^H
Di mezzo '1 ciel caccialo il capricorno, ^^|
Quando la nova genie
alzo la frorile ^^H
Ver noi, diiendo a
noi; Se voi sapele, ^^
Ho^traLene la vìa d
i eire al monte. en
E Virgilio rispo.^: Voi credete
Forse che siamo aperti d' eslo loco,
Ma noi som peregrin, come <oi sele.
Dianzi venimmo, innanzi a voi un poco,
Per allra \ ia, che fu si aspra e farle, «
Che lo salire ornai
ne parrà gioco.
L' anime che si fur di
me accorte, |
Per lo spirar, che i ^^^
0 era annir vivo, ^^U
Maravigliando dìventaro amorU; ^^|
E corno a measflggier, ^^^
che porla olivo, ^^H
Trajrge la genie per udir novelle, ^^B
E di calcar nessun
si mostra scbivo; ^^H
Cod al viso mio 3' allìsar quelle ^^M
Anime rorlunate rutle quante, ^^H
Quasi obbliando d'
ire a farsi belle. ^^M
Io vidi una di lor trarrcsi avante ^^H
Per abbracciarmi e
'on M grande aiTctlo, ^^^H
' Che mosse me a far lo somigliante, ^'
0 ombre vane, fuor che nell' aspello 1
Tre volle dieiro a 1
ei le mani avvinsi, so
E tante mi tornai (
'on esse al petto-
Di maraviglia, credo.
mi dipinsi;
il Piwtl frtait intn d» nggi d<'l-
aliiu bDU *i Imin di DaaU.
1' VP* 1* M.1W dell- iUn>. Lucida kla
71. 7V,sw,, «T«r..
WM, AiiM Lmrnbo i -Un r.iBÌ.—
72. E di «['«.. ditu-rtlo.fi
(OiM, elii»r., ■ i™«, priKchr. ci|wrle
il(l«Jr<.ril OhJ- foegitli.— ri wMlra
B(l eofllnv il khih. AiifIh' Uiaiiodi»
*2. iperli, prdln. <-i>iHW->nli, cIm
!<>»••' l»»*, con» OKiroa <MI* H>o
dilli».
79. 0 <»*tr( HM 0 *■>«• (b.
«pirli 'bM ioar: a pM •i*r>, m> !■
ddh iTrlf •Un di wiiRdla ti liM di*
l«i..iii the «. i.r.Ì«r.«T. .ui pu eh*
l-al«n>.*a.k....i. ^•l^l<•r(^>•l du-
«•Jri ni-gl» nd fnniisls.
eS. /'•r aflracu: ^Ì*t*...<. l'il-
■1 P..*l. lu. no» l> J.4* , li aw»
Arto, uibri t Irrnbila; «u •liiini
•■eh* 1. «1.. Hi CiiiUi 1 d*ll'tiir*nig.
Uli rht > frinì.
06 fiùa. <i*o tfmt-
SO dMraa/rninundaBWHl:
«8. P«- lo .p«W. P« il «KB.
■«i«d,li.H*
82. IH maratù/lia. creta, m. &t-
1.
CAUTO ìboqndo.
Percbò Fombn sorrìse e si ritrassi»
Ed io, seguendo lei, olire mi piisi.
Soavemente disse, eh' io posasse:
Allor conobbi chi era, e pregai
Che per peHanai qa poco s^anesUsse.
Risposemi: Cosi com* io è aiaai
Nel mortai corpo, cosi t* amo sciolta;
Però m* arresto: ma ta perchè vai?
Casella mio* per tornare altra voUa
Laddove io son, fo io questo viaggio,
Diss* io; ma a te come tant* ore è tolta?
Ed egli a me: Neasiui m' è fatto oUraggio,
255
S5
90
^U meraviglia. — wti dipinti. Poeti-
^ * ver* «prewioiie , pirrcbè 1* amano
^1*, tranne quel dcgl^ipocrìtii ai aliA-
h 'die interna afTacioai.
t4. pùui, aptnai.
fó. Soatemente , con dolca moclo.
""^poMMe, Cfaeaaai dall' inotila afor-
'*'ubracciaila. Fa questa la primili-
Tl tcraùnationa di toAlo l' impàrf . dal
^- che ai feea dal piò che perf . lati-
no , ieltooa la coua. fioali ; ai clie da
<f iiraa, per ea., ai fece Ì9 ammst§ ce.
19. JVcf mortmi turpe: cioè qaaod'io
*8 aaita al corpo. — coai l'omo «cto(-
kf eaai t'aoao ora cba aon dn eaao diviaa.
91-92. Cateilm. Erceileote moaieo
iarcalMo, dai canto del quale traaira
iMiiao duetto il Poeta amictsaioio di
ha, a dM por di amica aaprva. —
fer Icrmmrt aiira voltm Laiéovt <a
tmu iolaodi : io fé qaeato viaggio per
ÌBMraro • beo Tivere, e poter tornare
«roiirs 90Um ao qaeato loogu ove ora
aaao, caoè in Pnrgatorio. Alcuni apio-
rto : por lomare altra volta od nion-
Ik Mv« io aooo ancora io prima fi-
Ik Ma qnaato concetto è miaero e vano.
là riafvMorrkbe troppo a propoaito alta
fatta da Caaella, dia lia
a Dania gik coooactnto tah
tm vivn: fMarrkè «««\ cioè, perchè fai
li qpmin mggiof Oltre<-hè t caprcaai»>
m milrm no/In didùara ahbastaoia che
il rìtarao non paè riguardare il pnnM
nrcbó egli non ae n'era mai ao-
'> d'altra parta, pie d'ana rotta,
•— naiammta al r. 16 di qaeato niedn>
Tale ad caaara degli aUUi. Quanto alla
diffieoitè eha poirchW farai contro la
mia apiegarione, par la parda taddatt,
la qnal para aignilìcara no luogo lon-
tano egnaimcote da chi parla e da chi
aacolta , qoesia cada quando ai aa , co-
me altrove accaonu, dm il laddo9t tro-
vaai naato de antichi aerittori , e da Dante
medaaimo in altri laogbi , per il aem-
plica <fo«e. Vedi |]i^,C.XX\llI,r. 80.
93. mn « le eomt UxmVora è tolta?
Per qoal ragiono ti è atato ritardato di
laotoil p ma aggio al Pnvgatorìo ? — Qoe-
ata doiiiamla ci fa oiinoacere dia Caaella
ara morto ém molto lanapo ^nande giui-
ae al Pnrgaloho E In nanaatn S Ini al
Poeta c'inaagna, che qnei che nanoma
rieonciliali ean Dio, per pnaaaen tà Pnr-
galoriu onn vengono alla foaa dd Tara-
re ; ma che V Angdo iaalìnotn n tr»
aportarli anila «oa ne^iorlla , pavnde
primi qndb che vnolo , ed altri nella
ano gwalieia laacia ad altro tempo ; ohe
a lai era «lato negalo pin vdla il pn»
aaggio ; ma che noalmeole noi tampa
del Giobbi leo avemio T Angdo fatto g^
tia a rfainnqne ne lo richicao, avon rae>
adto lui poro meolra ai atavo deaiaon-
meotegnardaod» il mare. Nonotourrarà
eh* io avverta che lotto eie è on1»ian
liono noetica fuor dello rr adonta entto-
lira, che n«*n ritarda
Canto, caprime Dante il deaiderìo
i» mtaroar in PnrgatoriOj il che eqai-
dei morti il luogo
la Sonono è Idia dolio miiolagia,4a ani
ai anirot-tleche le anime aiano pan ni
no Irattenola anilo Slige prima S
tragittale alf altra ripa, verao em tai^
dono drsioaameote la mani . Vedi Bn* , VI|
y. 5l3aarg.
256
DEL PUEGATORIO
Se quei, che leva e quando e coi gli piace.
Più volte m* ha negato esto passaggio;
Che di giusto voler lo suo si face.
Veramente da tre mesi egli ha tolto
Chi ha voluto entrar con tutta pace.
Ond* io che er* ora alla marina volto.
Dove r acqua di Tevere s' insala,
Benignamente fui da lui ricolto.
A quella foce ha egli or dritta Tala;
Perocché sempre quivi si raccoglie,
Qual verso d* Acheronte non si cala.
Ed io: Se nuova legge non ti toglie
Memoria o uso all' amoroso canto.
Che mi solea quotar tutte mie voglie.
Di ciò ti piaccia consolare alquanto
L' anima mia, che, con la sua persona
Tenendo qui, è affannata tanto.
Amor che nella mente mi ragiona,
Cominciò egli allor si dolcemente.
Che la dolcezza ancor dentro mi suona.
Lo mio Maestro, ed io, e quella gente
Ch'eran con lui, parevan si contenti,
Com* a nessun toccasse altro la mente.
M
100
10Ó
110
iU
97. Che di giusto voler lo iuo ti
face. Percioochè ^Angelo fa suo volerò
tld giosto voler di Dio.
98. da tre meti. Il Gìabbileo avca
■Tuto eominciaoiento ■ Natale, primo
giorno dell'anno neirantico stile roma-
no, sebbene la bolla di Bonirazio Vili,
che formalmente e solennemente I' an-
nunzia od istituisce in perpetuo, sia del
22 febbraio del 4300; che antico era il
costarne dei popoli di concorrere al se-
polcro dei Santi Apostoli ogni ceotesi-
m' anno. E i tre meei tono appunto Io
s^ìo che corre tra il Natale e il ple-
nilunio di marzo, epoca, che aopra ab-
biamo stabilita, dui viugfjio di Dante.
99. con tutta pace» paciCcamente,
senza opposizione. Va riferita al verbo
ha tolto.
401. M'insala, lat. intrat talum,
«ntra in mare, e si fa salsa.
405. Qual verso d'Acheronte ee.:
chiunque non va all'inferno. Fingendo
Dante l'imbareopar il Purgatorio alla
foce dd Tevere, dunoatra la sua ortodot-
sa credenza che non si dh salate tmorì del
grembo dulia Romana Chiesa. — 9er$J
d'Acheronte è lo stesso che verso Ache-
ronte; o verso la riviera d'Aeharonie.
408. che mi solca quctar ee. (il m
è pleonastico) che solea mettere in cal-
ma le mie passioni , acauietare l' ai-
tato spirito Chi non sa la maravìglioaa
potenza della musica ?
410. che con la sua oersomm cr. :
che essendo venuto qui col peso del no
corpo, ce.
442. i4mor ec. È il principio d^ona
canzone di Danto bellissima e tutta Elo-
sofica, che lrova« pur nel Conrtlo da
lui dichiarata, e che pare fosse alata giù
da Casella messa in musica. L*araore di
che nella canxoncsi parla è tutto intel-
lettuale e divino; e però conTcaiente a
questo luogo.
4 17. Cam' a nessun loecaua «I-
tro u. Int.: come se nesann' altra co-
sa, tranne il dolce canto di Caaella, oe-
cupasse la mente, foaac nel peaeìero de-
gli ascoltanti.
CANTO SECONDO.
tlSH
Noi eravam ioUi fissi ed attenti
Alle sue noie, ed ecco il veglio onesto,
Gridando: Che é ciò, spiriti lenti? ise
Qaal negligenza, quale stare è questo?
Correte al monte a spogliarvi lo scoglio,
Ch' esser non lascia a voi Dio manifesto.
Come quando, cogliendo biada o loglio.
Gli* colombi adunati alla pastora, -12S
Qneti, senza mostrar l'osato orgoglio,
Se cosa appare ond'elli abbian paura,
Subitamente lasciano star l' esca,
PMt:hè assaliti son da maggior cura;
Così vid' io quella masnada fresca ^30
Lasciar il canto, e fuggir ver la costa,
Cora' oom cbe va, né sa dove riesca:
Né la nostra partita fo men tosta.
121. fiuiff «tome. Alenai Codd. orgoglio, eoglUndo, mentre «olgono.
qumi rittmre,
122. mi wumU^noè^ ti Porgitori*.
— « ofogiiarxi lo icoglio, ■ spoglittrTÌ
!• teom, CMè a OMadanri della Misura
V^cccati, ^fmr§^nì.SeogUo nel signif .
ài ■ÉPflHBeato o seona , è vece aiUica.
I2i. Cowu quando ee, Coatr.
gU colimbi adunoH alla
^pt*li, $enxa motlrar l'usalo
biada o loglio, te te. — Futalo argo-
glia, intendi quel brio, quella petto: ola
altareoa che d'ordinario mostrano ai
fatti animali.
430. quella matuada fretta , cioè
qaella compagnia di fresco giunta ia
anel luogo. — matnadat non avoTa aii-
ticamento il senso odioso cbe oggi ha.
433. (osto, spedita, pronta.
CAUTO TERZO.
ìJUlm rirgUim, s'imemmmimm cm «mp mrf II memi». Gimmti appiè
■Il wiilM/o Wmw «Ma «ria t€tndm U ripa, mépmm mm tekitm
9itm0 mtts ttr «ofM. JpprttsmtUi tkétdomo md t*M, gii ttmfié» éi m^
«f MOgm U mmtte: « wttmirt p»r I .m 099UQ é ^wM iMnim» iméimm, urna di fMf.
iftttm mthJUieitn ptr Hmmfnéé r$ et StetUm: M fiMl* mmrrm m Imi Im mm mioru,
a mm» appf» ài fMSfa hpm §naa tnumuUi f m< tkt mm^
di SmUmCàitm,
Avvegnaché la snbitana ftiga
Diitpergesse color per la campagna,
Rivolti al monte, ove ragion ne fraga;
^•àeaegnaikitaiukitattafuga ee, ragiana eterna, o, se ruoi, la stessa rih
"■^tas la rcpenlioa a veluce fuga di- gioM nostra, la coscienaa del doterà a
Y^Vm di qaa cb là questi spinti del giusto, ne ^mga, ci punga, et sUmo-
f*j*SHipafiM, tatti rivolti al muo- la. Vedremo al Cauto XXI, ?. 64, cbe la
**• la SOM mm^ mi 4m«ìbmi ila Virai- anime libere ouiai dagl'inganni dei sensi
a delle passioni sentooa an imperiosa
bisogno di pagare alla giusiisia etema
per meno di raartir) il dcb%\oW«^«Oaft
n
. . r; — — - — - -.^.uaai da Virgi-
""ìmò ma gli accostai maggiormente.
' •( moiilt, eoe ragion me fruga: al
*•■*• ^*lla purgazione, al quale la
I
I
lo mi rìslriii'^ì alla iìila compagna :
E come sarc' io Mnia lui corsoi
Chi m' avria Iraliu su per la montaen-dV
Ei mi parea da ^ «lesso rimorwi
0 di^nila'ia roivienza e nella.
Come l' é picciol fallo amaro morso I
Quando I) pieìl) suoi lasciar la frcltu.
Che l'oncslade ad o^-nj alU) dUmiiga,
La meWti mia, che prima ora ristretta,
Lo inU'Dio laUitrfd, si rome vaga,
E dititli il viso mio inronlro al po^^,
Cile inverso il cicl più atto et didla^
Lo Sol, I'Ih! dietro riamme^iava roggio,
Molto m- era dinniizi, al'la lìgura
Cli'uieva iti me de' suoi roggi l'appoggit
lu mi \olsi da lato (.*on paars
I
I alla/tdiie
(Ita J^jygli* dlmun
di|i<iidnilnlwnt<, cii
di Cimi» du ■ Inr I
, IS'JJel \XM irì l^r.. 'tt il
t/'»ii<la.
ijifiol «..-il riBji» Mviìe.tbt
■•Ir ^niiJi. t pm allui
2^r;.■Tr^
càKlIl. I( npriMi.w Ji Cjtl^iH, la
l<lei MI' «■.«>.. Ih» •■■!.«•
13 la JnlMlu nlUrgA AlUrffl
{■ni IiHm — timtir H^a. »mr bi>-
' fi* ifniulv (> <piii pfBaki Ji'l
'""»l*"l'
r.i..d.l*.l|M
1.1 Pfura, e
CANTO TEBZO.
D* essere abbandonato, quando i* vidi
Solo dinanzi a me la terra oscura:
E '1 mio Conforto: Perchè pur diffidi,
A dir mi oominciò tulio rìvoUo;
Non credi tu me lece, e eh' io ti guidi?
Tespero é già colè, doV è sepolto
Lo corpo, dentro al quale io fooev' ómbra
Napoli l'ha, e da Brandizio è tolto.
Ora, se innanzi a me nulla s'adombra.
Non li maravigliar più che de' cieli,
Che i' uno ali* altro raggio non ingombra.
A sofferir tormenti e caldi e gioii
Simiii corpi la Virtù dispone,
Che rome fa non vuol eh' a noi si sveli.
Mallo è chi spera che nostra ragione
Posrta trascorrer la infinita via.
Che tiene una sustanzia in tre persone.
Stale contenti, umana gente, al quia;
259
SO
25
:>0
P"»^ io fidi tu tnr* oscura toh
HMoiir) liinami a me, io mi tolsi
^ ^ tou pauru ec , leuinitlu d' r^
^ Mtflo abbaaJfimUi 4a Virgiliv, di
• •oo trdevi» Tombia
22. £ l mio Conforto : cos'i chiama
•«ili». -~ pw , auct^ra
S. Iiiffo rtro/ffi. ri« olimi a me eoa
Ito qaal «li rbi «'i.ffende d*al-
ìa. I cipero é già colà. Se nel Par-
li avlc era levatn da p ù dì due
•«, d*allr«IUatt* d»«eira esser t. aiiion-
kt» • Grr«»al«maic , pani» anlipiidu ;
ta Ìb lulia, tanto oe< idcntale riguardo
• G««MÌcaiwe, BiHM-a^a onora al tia-
■•'do; pcrebé ponendo Danti- la ritta
Il Uumm a 45 g: adi all'itcrideiite di Gè-
rwilfiiK , la difrrirn/a tra le due
dtLi «lanc ad esktri* di tre ore.
27 Dm Brandivi» è lei/o. D.i Drìo-
fiii, 4vf e awri ^ ii u'ii», fu tult» il corpo
m».td ora é in ^a|M•li
2U fik tht de'rieti, più di <|uel che
lati Bara^tfli de* celi.
Sé Che l'imo all'mllro raggio ntm
imaiWikrm.CtMT e mi ehe l'ua»,V nu
ir i|nali, non <iiyom6r«, a«*o im|HMlì-
ar». raggio, i r«gf*i luniiai«i, all'iillio
chìo «vM-iidv tulli |triTrff inii'n't 'Ij-
31. A sofferir m. Questn discorso
di Virgilio è diretto a pre\eoireuii'(ibie-
EÌoiie che il discepoKt avrebbe potuto
fargli, conie mai corpi cbe non fanno
onbra ed intangibili possano esser ca-
paci di tormenti n.ateriali. Vi risponde
ejiegianienle > ir|;il:o, e vi rispose pri-
ma S. Ago tino i-vn due parole . mtrit
trd reri* m'ulix.
52 la Virlià , ronnipolenu di Dio.
3>> rof.:a Iratrorrer et. Stolto
è rolui die |>cnHii di potere eoi sao finito
intelletto noestignr !«• vie deirimineoao,
couipreuflere cioè i modi che tiene Bit»
1' operare on Dio, uno nella snatauza ,
e trino nelli> |iei-sone, rbe è qnantu di-
re, inroni|ifriM bile nelU sna r»>eiica.
37 Siale onlenti .. ai ipiia. Se-
coodu Ai-ihtiii:le 1 1 diiiimitrazinne è di
due so: te ; luna ediila pT**ptfr gwod,
ed è (|utindo ilimostrahi a priori, cine,
quando |;li f ff. Iti si detlueono dalle cn-
gioni : 1.1. Il a e tirila quia e « potterio-
ri, e<l e i|Uiindo la cagioni diiuosli ansi
dagli «•ffrtli Ini dunque' slate eonlen ti,
o aioniiii, al quia, noe a qneile dimo-
slra/ioiii rhr ki pouono ricalare deg'i
rffrtli , pei liliali li %iriii' in f*«j;ni/iooe
Jr!lr ra;;i«>m Miro, e non pr(Siim«>tr d'in-
ti-nili'r«' più in la di quello elle i fatti \i
mo-iti ani» j che ciiA:a le enw wi^nm^ «N\«
Ch( fé potuto averle veder luKo,
Mestìer non era pariorir Jlaria; -^j
E disLar vedeste senza frutto
Tal, rhe sarebbe lor disio quotalo,
eh' eternalmenle è dato lor per lutto.'
Io dico d' Aristotile e di Plato,
E di molti altri. E qui chinò la fronte;
E più non disse, e rimase turbato.
Noi dìveaimmo intanto appiè del monte:
Quivi trovammo la roccia si erta,
Che indarno vi sarien le gambe pronte.
Tra Lerici e Turbia, la più diserta,
La più rotta mina è una scala.
Verso di quella, agevole ed aperta.
Or chi Ra da qual man la costa cala.
Disse 'I Maestro mio fermando il passo,
Si che posM salir chi va senr'alaf
E mentre che, tenendo il viso basso.
Esaminava del cammin la mente.
Ed io mirava suso intorno al sasso,
Qa man sinistra m' appari una gente
D' anime, che moricno i pie ver noi,
" ' ■ n lente.
■•^i^^
CANTO TERZO. S6t
Leva, dissi al Maestro» gli occhi tuoi:
Ecco di qua chi ne darà consiglio.
Se ta da te medesmo aver noi puoi.
Gaardommi allora, e con libero piglio
Rispose: Andiamo in li, ch*ei vengon piano; 65
E tu ferma la speme, dolce figlio.
Ancora era quel popol di lontano,
r dico dopo i nostri mille passi.
Quanto un buon gittator trarria con mano;
Quando si strinser tutti a* duri massi 7o
Dell* alta ripa, e stetter fermi e stretti.
Come a guardar, chi va dubbiando, stassi.
O ben finiti, o fià spiriti eletU,
Virgilio incominciò, per quella pace
Ch* io credo che per voi lutti s^ aspetti, 7S
Ditene dove la montagna giace,
Si che possibil sia i' andare in suso;
Che *1 perder tempo a chi più sa più spiace.
Come le pecorelle escon del chiuso
Ad una, a due, a tre, e 1* altre stanno so
Timidette atterrando l' occhio e *1 muso,
E ciò che fa la prima, e l'altre fanno.
Addossandosi a lei s* ella s' arresta,
Semplici e quete, e lo 'mperchè non sanno:
Si vid*io mover, a venir, la toila ss
''•4 Cmaulommi. Il Cod. Est . dice :
^^tHé al torà. E par Irtione pii gia-
«'•, pcrrlbè iafalli Dante l'avrà lovilalo
*_ leardar la srlii^re cImp % eniva vene
•<i lira. — (911 iii,fro pigiio, con volto
^nara, eensa dnbUena.
CS. ek'H vnigon spiano; onde
kiffo lcnp«ai perderebbe ad aipel>
CO. fnmm Im tptme, coorerma la
C7»60. Anctiraermquei pt*pol ee.
r«èrU \irfilioebbe detto Anéimmo in
té, «r., i dac poeti e* ovviarono e fecero
■•«ll<> pnaai tH' incirta vene le anime
t*-^ Iftoiirta aoeevMo ; perete dice
«be «Mlle, dono t naillo paaai giè falli
4o ini cdnVirplio^ erano lontane Qménto
giiialer trmrrim , lancorebbo
tww MMinioCm.
'7«-7l. fl'AiH mani DelT alim
Tif, •c'' Bporgeati aeofli del monto.
72. Come a guardar ee. La dubi-
tante di <|oeat' animo naacera dal vcdoro
quei doe cbe «ndavano in aenao contro-
rio a loro , o M allontanavano doli' in-
gresso del Purgatorio.
75. O ben finiti: o ben morti! •
molti io grazia di Dio!
7C. dove ta montagnm gimc$, devo
piò dccliina o è men erta.
78. Ckè 't perder temjpo ee. Qnan-
t'uno è più avanti nella rogniiiono dello
coM, tanto pi» apprcna il tempo, cbo
trova senipre breve in confronto di ciò
cbe gli rimane a imparare e fare per il
ano prrffrionamenlo.
79-84. Come le pecoreMe. CU non
tonte la leggiadrìa di qneala timilitadi-
ne, benché tratta da coaa si aoiile t cik
mniief Tamtum, follo la penna di Dan-
te, ds medio snwiUs «ecedi'l Aontrlil
85. Si vid'iomower. CooCr. a iat.:
Tal yid' io allora moverti per venir ven*
tot DEL PDKGATOEtO
Di quella mandria fortonala allotta,
Pudica in fiiccia, e nelP andare onesta.
Come color dinanzi vider roda
La luce in terra dal mio destro canto,
Si che l'ombra era da me alla grotta, 90
Ristarò, e trasser aè indietro alquanto;
E tulli gli altri che venieno appresw).
Non sappiendo il perchè, fero altrettanto.
Senza vostra dimanda io vi confesso,
Che questi è corpo aman che voi %'edete, 9»
Per che il lume del sole in terra è fesso.
Non vi maravigliate; ma credete.
Che, non senza virtù che dal del vegna.
Cerca di soverchiar questa parete.
Cosi 1 Maestro. E quella gente degna, foo
Tornale, disse, intrate innanzi dunque,
Co* dossi delle man facendo insegna.
Ed un di loro incominciò: Chiunque
Tu se\ COSI andando volgi il viso,
Fon mente, se di là mi vedesti unque. 10&
Io mi volsi ver lui, e guardail fiso:-
Biondo era e bello, e di gentile aspetto;
Ma r un de* cigli un colpo avea divisa
Quand* i* mi fui umilmente disdetto
D* averlo visto mai, ei disse: Or vedi: HO
K n.ostrommi una piaga a sommo il petto.
noi U prime inime Ai qorlla ({r^f^gia (of^ < 02 Co'dasii drUe «mh ce. C**!*-
tiinata : — inia • ^roiife rhiamim^i vitci cl«ll< mani farrotle fiuegiM. due
negli carrcitì e nelle coiupagiiie le fil« s^Rikn crnuc si aoul fare ad tlcttoe, p«r
dd^aiiti. aerennurgii che %eiifa alla noatra volta.
Vi. tutor dimmi, (|oei eh' erano 104 cotiaii<.'«iido,acgiiìUiid»p«rt
avanti a|]li «llri. ad amUre rome raf-ciamo.
8'J-!)0. dml mio dnlro tanto tt. 105. Po» ment§ re. La battagliaci
Vaol •gnifirare rb' rgli avt'va il «ole a Donf\enlo, inraiMarfrediaiorkyanwtt-
inanoinaiira,* adnttra la filila «limpul.i ne ael 26fi-blirai«il2U6,eDanteiiacq*t
del m«Hite, che ap; elU grotta, siao alla nel aiiig;;io del 1265. Nonpnlaa da»qM
nuale ti eiitendr\a la «na ombra. avercoooacint* Manfredi. Ma caatwntl
94 Semxa roitra dimonén Snnpa- ano alupere , e nel deaiderio di parlar*
ntle di Virfjilio all' anime maravigliata, con cbi putea p«»rtar nel moadeavavedì
96. Per rhe, per lo che.
99. di Boterehimr ^ur$tù p4urrte,
di aarmonlarc qneala r<i»ta rbe e (|aasi
■0 ainra, tanto o aeogliiM e ritta. 409. ■fJ'Mlrfi'irfrffo ■iaa1iliiHÌMÌ
lui, non guarda coai per miaata l*alk
eha pelea a«er Danu; ad i eie ka« M-
larale. — ae di /é, cioè,aa nal m^mim.
101 . Tomefe, inii'ndi iadirCra. — OMOHide invece del coiwinaeMifiifal».
iafrefe j«r«nsi * modo elitiico, che Ut. maommoU «elio. Bel li
vale: entrata ia seatra connpagnia e an- p:è alle del pelle, e dote il pelle
date ioDanti.
CAKTO T&RIO.
Poi di9w sorridendo: Tsoo Manfredi,
Nipote di Goi4ansa imperadrìce:
Ond* io ti prego che quando tu riedi,
Yadi a mia bella figlia, genitrice
Deir onor di Cicilia e d* Aragona,
E dichi a lei il ver, a* altro si dice.
Poscia eh* i* ebbi rotta Ja perwmi
Di due ponte mortali, io mi rendei
Piangendo a Quei che volentier, perdona.
Orribil furon li peccati miei;
Ma la bontà infinita ha sì gran braccia.
Che prende ciò che ai rivolve a lei.
Se *1 i^a^rtor di Cosenza, eh* alla caccia
263
1(5
120
^'2. ÌSmmfrtdì Fa ftfliiiilo mIv-
"'"R FHrrieo II.
113 CflffAii:«, Gglraolt di Rnii-
V^ re di fUrilia e mt*^\w d'Arriso fi
'«•II.
HS-416 mU Mia figlia. CmU\
'^iiNBrCmUnifeninr U Bnnna,r fu
■*8'i« di PiHro re d'Aragona, <(ai*llo
**' «rnipò If f^nlia dfpo il fnninto
^«rr» nei 1282. — gmitriet Det-
^•aw di rieili; cioè madre di Fe<le.
'W' r di larc»pA ^ il primo dei qaali fa
'v 'C Sirilia e l' altro d'\ragonaf am>
Ma« eoor^di i|a*** reami. Cmi rhio-
Mao j pie degli eapn<ilorì. \la il rfa.
■if Carlo Trilla nel «no Veiirp aite-
t&rin ài àmnte naserra non eaaera
Mm poaaibiir rhr il P»eta Tideur biaiii-
■ire ì irateili d'Ailonso nel Canli> \|I
di ^«eala f.antira, dicendo |V<>di ivi,
r. 1 19) rW DÌnn di loro ponedea del
ffvlafijio miiliore il^l padre, qnandogli
■mai par* avanti nella medratma ran-
tira Ifriati Quindi il giu<lirìnao enlieo
m rondare a tlabdire prr giu^tisnima
e— ■^frtfa. rhe (|iie«ta lode e al «olo
|i««i«Hlo Alfi»a«o, il quale col padrt
guerraegiè mntro Carlo d*An(<iò per la
dif^a drlla Sirilia Coti nota il Coala J
■a •{ue»ta «piegarione appagherebbe di
pie «e aH'epara rbe \lanlrrili qit parla
•mi Caaae già OKirto da nove anni il pri»
■■»;enito di PiHm Ili , AIIoimo L'Arri-
vpbrnr penaa cbe mm aia nmtradisinat
Ira W l«di cbe ni danno ^m a lampo a
Fc«leiW«f « i biaaimi cbe dì Uro ai Iff-
gooa Bel YII di queata medcaima Cai^
lira, e nd XIX del Par.j poiché chi li
loda ^i è il biro avo Maonrodi, al cai
oatarale affetto ai oandooa il eonaiilo*
rarli dal idto miirliora, a chi li biaaiiu
altrove è gindiea imparaiale a acvaro di
HAtM la loro eoodolU. Miaero dileaa I
Alrao altro penaa , rbe' Manfredi parli
qoi ironieoniente : na dov* è in tuHo il
contrulo un argno che ne farcia acro: ti
di queata ironÌH T Dopu tolte «foeate opi-
nioni, erto la mia. t^Hiando Manfredi
cliiama la »na fi|>lia genilriee deitonar
di CiWfio ff d'Armgnnu, non intenda
già di enromiarr gì' individui nati di
lei, dei quali punto non <i nrmpa. ina
rutile i^allare t'anore étl tamgyr iin
periale, di rhe per lei^ uuilaai in ma
triimmio col re Pietro III, ai ooliilita'
vano i due troni dì Sicilia e d'Aragoni* .
E rio ai troverà ben d'arrordo rm pri^
eipj di h^ntr, eKNllatnre eootioon del-
l' rmper.i|Hre e dell' im|iero.
H7. f'ffifro ft dire: perrioctbè a
gìiidif are arriMid*! le appariMite e l'opi-
nìi'Ue de'pin. si «arrbke iii>l(o dannato.
I ì'.ì l'i i/ue punte, di due fei ita.
121 Orrihil furon §e. Aveva ro-
itui menato vita diiwolula, e fu drtto
che pei ainhirifine di ri>f*no nmdi^c«- ti
proprio padre Feilnìro 11 ed il fi mI>-IIo
Corroilu Ma iiuniti fatti, te cono «.tati
un tempo rrednli, non ton pei è tanto
certi . rhe O'tn ne ne p<>«M dubitare.
424 ilpatf0rdiCn$emsm.Ér L^ar>
riveaeovo dt (^oaenra fu inviali* da pupa
Clemente IV al re Carlo per moverlo
roniro Manfrrdi L' arrivranivo legalo
del papa dava la carrìa a Manfredi io
Di mo fu messo per Clemente, allora
Avcf^e in Dio ben letta questa. laccia,
L'ossa del corpo mio sarìeno anidra
In co' del ponte preitso a ficnevcolo,
Sotto la guardia della grave mora.
Or le bagna la pioggia e move il vento
Dì fuor dal Reitno, quasi lungo il Yvrde,
Ove le trasmuta a lume spento.
Per lor maladkion si non si perde.
Che non po?«a tornar l' eterno amore.
Mentre ctie la speranza ha lìor del verde.
Ver è che quale in contumacia muore
Di Santa Chiesa, ancor che aIGn si [}enla,
da questa ri|hi in fuoro
Star li conv.
flil»iJoj1i«ntTaipapot-;la antl
ilcncaS*!» Milapiniihiiroi li cute che
vemisn» li potere di CiirLofl'lii||iòilo|io
(l|li (wa pirlc >I pipi. B aulm ra
dgiiniie the enii [une leKitla Kupprla
CsrvltH... dtprimiliU tabaruM tvo-
eiapred. ««ai.M. runelo-pirll»
r«. parU«p«. /«.«l p.(r™ p*
lni«, «1 d* na \E«ATIOyB palw
ipM prtrgtàiM. Ju«, ..roftrBrio»
43 1 . Di /«wr dal r«iio, fuori dà
uinini del llriae & Nupnìi, panhé.:»).
tiacniveii terre de le Oiirte al ii *o-
le. elle uocapgue noirlv furiti trm di
mmoi K... CUmenli Irstuml'Ifl.
126. Jtai4 in Dio bm Ull» attt-
tta farei: N»u ù .ccnat qui .Ic.ini
ere ScriUare, vm* ■ cemcDlilr.ri pro-
Wdi ««>>« iiidiirreti e ta eoa retibU
•ifie: HM li vaol nuterf avi gcnrriila
»ge<u le ..na«ie!
delie eh* MUe le dinne SiriIlHreenii-
cioè le Ih» puute «nu «Mtanii di
«ulaMM* il V»|cl. full..» iD Uki et
■uni i ee puro no» ti ittoum i|tii il rile
di eopre delle pulllie . .Itile •eiidel-
le 1 ■pirìlD.dJetH i proli |Hii ebe|ll .Uri
devere 1 «n, • eoa cai eepuvoUÌ f»
B'drvKiu ì rhi^riei .< lungo dcdiMM.
\^^V«,Ma del c<.f^ m.-o tr.
SecMdi cheetm il V.ll.ei.iioe •eil.i .1
Va U KiHuuiii.» loru lci.4 d.-'p.pi,«
fé, f«M wppllil» in lu-B" iicn., n.
HDD ù pavé rinupi'r.ra Elicili io eeea i
a P>» dei poale di Beneveak., o«e .opre
fior di tper.Dte, tli. vi ò tempre, n»-
|iUal* «M pJFin, onde .i tace wie
iraodc Ber. di euei. Di ancet» luni«
furSM di pw diHpprllile le dtlta «m
0 di ùvcil»
CANTO TERZO.
Per ogni tempo, eh* egli è stato, trenta/
In sua presunzion, se tal decreto
Più corto per buon prìeghi non diventa.
Vedi oramai se tu mi puoi &r lieto,
Rivelando alia mia buona Gostansa
Come m* hai visto, ed anco esto divieto;
Che qui per quei di là molto a* avanza.
r9 4i tonpo Irfnia Tolte ina[npor« H
parilo ad qule tìim prcMQliHMaiiieiito
»e«iiUma>ia ili SanU CkicM. Coatr.
^rr itp^i iempo ih'tgUè iiaio in tua
frtpuniane, trgnta t«nipi.
MI. per bmom prie§hi, per pre-
i^'-ft eOicaci, per f «elle de* titì alla
(wit.
S65
140
iÀS
444. 9tlo diyido, cioè la proibì-
rione éì entrare n Pnrgatorioy te dod
pMiafajl tempo itabilUa agli tcomii»
Dicati, come aopra è detto.
445. Che fai per f«et di M ee.»
imperocché qiri per le preghiere di
quelli che lofto sei moado, molto ti
guadagna.
I
CAliTO 91JJLRTa.
là 4oM llm mU H stit, «lUraM* f P:H ptr ftrU fé mmgmstm 9aU«, m
' «rf primi» hmlM». M éeémO, Sfi*§m U Ka* Umutr» mlfslmmmo tm ctgkmt 4H
' !<■■• tf«r «*. Fmtmf pm MofM ptnmm mmni «If '«R»fw éi m «wsm, « meeottmOH m
^««'». nm mi rdUtldvi U pif/u BHitfms, im cui àattmét dk« là mm U mima di e
Quando per dilettanze owcr per doglie,
Che alcuna virtù nostra comprenda,
L* anima bene ad essa ai raccoglie,
Par eh* a nulla potenzia più intenda:
E questo è contra quello crror, che crede
Che un'anima sovr* altra in noi s'accenda.
E però quando s* ode cosa o vede,
Che tenga forte a sé 1* anima volta,
Vasscne il tem[X), e 1* uom non se n* avvede:
M. QmmA ee. Coalr. : Qminéo
^n<M9 fi fmetoglie bttu md alcuna
*v«ÉMifr« ftr dH9Umn%€ •rrero per
^»9Uf, eke, c«i, le qoali, egèa tirtii
c^«pr«Mfa,|Mrf dbe ee.;che tooI dire :
fialide l'aaima soiitra , per piarr«oli o
p«r dilag<aa impmutHii hrfvule per
■od» di qaakvaa ddle Mie rirlét o ,
di cm ^MoiM delle eoe polense uà
aaina ai rarmglie bene, ai
eaa petenaa «ide le viene
• dalare, pare allora che
li Pawrcine d'egai altra laa
ffacaM. 9m miwtk • polnaa dell' aa».
■a a* iila»daa0 feacralmeole le facoltà
ftr tm «pera. Ora qaeato latta cendeda
caair* f arrart di calare ehe penaano
r nell' nomo tre anime ; perchè ••
àè fusae vero , potrebbe accadere Am
mentre vaa di queato anime è inteu
alle Uaprcaaioni ehe le vengono da an
aenao, àn'altia attendeaae interameoti»
e umiiltincaiiipnte e ceaa o ad opera-
fioni del tult* straniere a qodle oaJ'è
oecap.iti l'altra anima.
é. ehe Mn'aiit ma «ovr'aflrcee. Dice
«m'anima $<wr' altra, perchè quei tali
filuaoS pongmifl «na di queat' anime nel
fegatosa vegetativa; an^altra nel caora,
la aeMiti«e ; la tene nel cervello, Ilo-
tal letti va. •—«'aectiufa: bella HMtafara,
per caà l' aniau vien ceasiderata saea>
ma vaa iamma vivifieaala.
9. Vas$ene il tempo re. Li MaiaMi
ti^Ù DEL rURGATORIO
Ch* altra potenzia è qaelìa de V asrolta, fO
E altra é quella rhe ha V aTiima intera:
Qoefita è quasi legala, e quella è sciolta.
Di ciò ebb* io e<)perienzia vera,
Udendo quello spirto, ed ammirando;
Che ben cinquanta gradi salito era t>
Lo Sole, ed io non m* era accorto, quando
Venimmo dove queir anime ad una
Gridare a noi: Qui è vostro dimando.
Bfaggiore aperta molte volte impruna,
Con una forcatella di sue spine, t<
L*uom della villa quando Tnva imbruna,
Che non era la calla, onde saline
Lo Duca mio od io appresso soli,
Come da noi la schiera si partine.
Tassi in Sanleo, e didcendesi in Noli: 23
della «lurala nasce dalla socc<*«None nel i4-i(t.UdeHdoqueUnipirto,tdaBh
iHMtro inte'lello della serie delle ilivenie mirmnth. PiHrhè V9mmirnndo iodica
idee, e dalla perceiiooe dei me rhe si U fona éAV allraiinae deU «ll« tmt
ricoDoace idenliro io quella soeniiaiMie, ■dite e la irapitrUnf a lor», o ia aacl-
dalla quale roi'^arìaino la ronlinuaiitme V atteniione appunto e emmirar""
della nostra esistfoxa. Ma quando Pani- dell' udire sta la rajpooe dell' inu
ma si Gasa intensamente sopra una e<K rato correr del tempo, oni»co intii
^«, non pensando alle idee cor fra taulo citme il Vel'nlello e il Landino, le roa
8nrc4>don^i In lei, lascia fn^ire ioav- «dm^o ed a munnmf/o, e •p:ego* aiea-
vcitita una parte della durala, e non Ire stetti ad udire pieno di raaraiiglia
esiste per lei rhe nn solo punto. quello spirilo . Chi, pemerhè il s«de dit
10-12 C/^'a/lrapr»(ms:arc.Perrhè pneo avanti rh* io lo incontraiai era a
dltra polenra è quella rhe ascolta ovede poro più di trenta |p^di, lo vidi aet^
quella ikiLi civia che ha tirato a sé l'ani- quanta, rhe mi parve un momento. Egli
ma, ed altra è quella che V anima ha avea dunque paiwato in quel colloquio
intera, cioè non occupala. Qimla non più d* un ora, ed erano già tre ora e
en^ondo in quel momento altiva , non un terzo di sole II Cn«ta ron;«innjjeiid#
opeiMUilo, è come li*|;Mta, mentre quella diversamente le parole, inlendi-ra iar^
spie(;a la sua Titraa libera neh' eserrixio. ce: «mmtraiwlo rhe ti sole era at.;
Cos'i m-l caso di Dante, la «uà anima certo con meo felice senteoia, a pia
era tutta raccolta nelT esen-i/io della storto perioilo
viitù uditiva al parlare di Maurreili, e 17 o/i una. ad u lavora, onilai
intanto riniane\ano inetti le altre pò- 18 Qui i tnttro dimando,
li*nxe. come la riflfuira. Va mi-mora- qui è la calila di rhe voi ri dinandarte.
lira er. , onde m-n s'arror(teva del ìedi Canto III, verso 76.
Ii'nipo che passava, non si ricnrduva più 19 aperta, apertura. — faipmiaa,
(i«'l luogo dov'era, di quel chi> era da (a- serra co' pruni
re ce In somma il vi-n» si è, rhe l'anima 22 la ratta, è pmpriameole Papar*
è una, le sue pi»lenze o virtù sono più, tura rbe ai fa nelle siepi, che dicevi per
e dir quando e^aa con alruna di qneiila lo più enfiala. ^ <fi<me, pmrtìm§, aaoa
potenze ed organi relativi attende far- «afie. parlie. interpi«la la «, c«inie««-
teoieiite ad alcuna ci«a, le altre p«ilania ne, i faae, per 9ae» ttm$: eooinai, pmr'
a gli Mliri oi^noi diversi rioungooo (ì, tafi, ta, ita. 1
saoaa operare. 25. Vani fu 5mfao ««. Vw4 dirai
I CANTO QOARTa |67
I Montasi sa Bismantova in cacunac
I Con 0860 i pie; ma qai convien eh* aom voli :
I Dico eoo 1* ali snelle e con le piarne
Del gran disio, diretro a quel condDUo,
Che speranza mi dava, e iacea lume. 30
Noi sale\'am per entro il sasso rotto,
E d* ogni lato ne stringea io stremo,
I E piedi e man voleva il sool di sotto.
Quando noi fummo in so T orlo supremo
Dell'alta ripa, alla acoperta piaggia, 36
Maestro mio, diss' io, che via feremo?
Ed egli a me: Nessun tuo passo raggia;
Pur SDSO al monte dietro a me acquista,
Fin che o* appaia alcuna scorta saggia.
Lo sommo er*allo che vincea la visla, 40
<W— Ili liflgfci S Jlirik a fatSetw ic- bero, ma loretva eoi fi locliì le prode.
«N^lli avrà vadali, ma ch'egli erta n. B piedi t wtan ec. E il calla
Hill fffco di ««elio cba salir à»wm , tra ti arto, cbe a salirà d era d' uopo
bitocn erto ed aa|>asto ; e eha par non V adoperare le mani , non clia i piedi ,
^pMi ■luii, biaognava avema il desio cioè andar carpone.
<"'lfi w avrà, a il conforto di qaella 3^1. Per arto tw/nremo, di sopra.
^ •< irta.— ÀMfao, cillbs««n Boato davcsi intenderà la riraunrerenza dei
*d bacalo d' Urbino — Sitli, città a piano parallelo a quel della basa, che
f^f^ tn Finale a Savona nd Ganova- sarrlibe l'orlo mforiore odi sotto Cbia-
Mi^Mita in baaso Inogo. ma poi alta ripa V imbaHamcDlo della
31 McnloMÌ 9€. , cioè montasi sn- montai;Da vhe s' eleva nn buim tratto per-
^ Ifcsmantova : — im emrwmà , fino pemlicolarraenle sul piano , quasi nn
■HFalla «d aspra soa cima. È Disman- gran muro, e in capo al quale i Poeti
Ims aa' altissims montagna nel tarrìt^ son giunti por nn' ioca^atnrs nel masso
àsdi Irggio in l^imbardìa. alquanto inclinala.
t! C9» €Mió ipiè: col sola ■tais 35. alla »eoperta pioggia, cioè allo
VBMdi « scoperto donio del monte. Dunque la
29 aamdoUù, alcnoi prendon la pa- via per cui OMiulavano era cosi ad< len-
irla wméalla per nome, nel significalo Irò nel moiitr , iba non vedwauu la
i aaM^oflisrf o scorta, lo lo prendo pi*gfp» esterna
fn •• parlaripio, ed interpreto: Gin- 3C. rhe ria faremo? prendenmo s
ficnc cha ma nomo voli, com' io vola- destra o a «iniftira? o, dove andremo?
ri, dal desio eanéotta dietro a colni 37 Senun tuo pauo caglia . nuf
cbr mi laoaa sparar la cima, ed era guida dar pssso m dietro, sll'ingin bsd^
si miei paesi. l«a purgaziitne delle pa^ di non ladirtreggiara, rbe nel cammino
j. la coavcraiaao, e diflìcila, ma aoa dalla virtù un i-smo indietro per \i|:è
* impossibila a cbi voglia eoo faraiaiia, d*animo e un fiillii enorme a una rovina.
ad abbia Taialo dalla grazia. SS Pur imo al nunU.. arqui-
31 . pm mUra il sana raiio, pel tla, mugu^dagoa pur sempre insù \er»o
finiul* scavalo nel sasso — saJavaai, la rima — aequi»targ usasi aorb' oggi
MI' aali^ §mUre par mlin in alcun luogo della T««cana in smsu
Im itrama, doe V asIrsasilA, la di talire
§pamàm 4è naair lacavala caoticfa. Cib 3SI «ag^ia. cioè, cbe sappia guidarci.
vad Sra cba ara ansi strallo il pa»- 40. Lonimwtoee. lui. : la sommila
IW di quel monte ara alla si , cba U vista
V. la co?la superba più assai,
Che da mezio quadranle a centro lisla.
lo era lasso, quando cominciai-
0 dolce padre, volgiti e rimira
Com' io rimango eoi, se non ristai.
O lìj^tìuol, disse, ìnsin quivi ti tira,
Additundoini un balzo poco in eae,
die da quel lato il poggio tutto gira.
Si mi spronaron le parole sue.
Ch'i' mi srorxaì, carpando appresso Ini,
Tanto che il cinghio sotto i pie mi fue
A seder ci ponpmmo i^i ambedut
Volli a levante, ond'eravam salili,
Che suole a ri^iardar {povare altrui.
Gli oechi prima drizzai a' bassi liti;
Poscia gli alzai al Sole, ed ammirava
Che da sinistra n' eravam ferili.
Ben s'avvide ìl Poeta, clw io stava
Stupido tutto al corro doila luce,
0\e Uà noi ed Aquilone inlrava.
Ond' egli a me; Se Castore e PollaM
Fossero in compagnia di quello speccliio,
no. E lulln il T. 86 : U poygi- mie Più
duutitmiipenim gli atchi miti.
ilnila i ma ulruraiBlu («(intla di die
di BM tìid niiibil*, delU il lrt|pii
3 Dalli. Allori tbt qunli liili tini
ci aa(ilri>nM trgn un «iji^ei i
1* tetta tn éiUil più TVptria,
pia cria, Clw éamnzn iue-''--
KgiuiliitaqadbdnifCliE caoMUcUa
M. CU (WihM.^iMròaeA» il n-
Incart, brpiicnr, ( colni cki prU
if é|Ula. r ftri Knpn li « nli* cm
IHl-3?.>"!imaW
c.Iat.!*d«n
f nuprnaili mvrtvigtia in vtJar«,«>nil>
«•(tffln
r1i« l'io
s Ji *B
««.Skill"
laai di ^a dal (rv|iìrd ile!
, mie ai mlf (lrtr« ■ il..^'
00. Ore Ira uni ftl j
lo ekt accada ntll' «tuilMÌa a»
D apprtno lui, u
r il CHij*io «e,, (noi
paalp appailo ^ditrt
lont, — Obi, pgii
04. Ca$tar*t
CANTO QUARTO. 269
Che sa e giù del suo lame condace,
Ta vedresti il Zodìaco rabecchio
Ancora all' Orse più stretto rotare, 65
Se non ascisso ftior del cammin vecchio.
Come dò sia, se '1 vaoi poter pensare,
Dentro raccolto imagina Sion
Con qaesto monte in sa la terra stare
Si, eh' ambedae hanno un solo orizzòn, 70
B diversi emisperi; onde la strada,
Che mal non seppe carreggiar Fetòn,
Vedrai com' a costai convien che vada
Dall' un, quando a colui dall'altro fianco,
Se r intelletto tuo ben chiaro bada. 75
Certo, Maestro mio, diss' io, unqnanco
Non vid' io chiaro si, com' io discerno,
«o1«, perdocchè quello astro pia che al- cogliendo in un solo pensiero ?« dia
tra crcalara riflette ila sé la 'noe del mente, pensa che il montt* Sion (sul
sspTDio Fattore ; e ciò è 8fco»do le dot* qsale sta Gerusalemme) relativamente
tnoe dì Dante espraise nel suo Conv(' a qaesto monte dol Parlatorio è sopra
9Ìo. Vedi Tivtt.ul, Gap. 44. la terra sìlusto in maniera, che ambe-
68. Ck»§n§gik del ino lume rtm^ due i monti hanno uno stesso orìazonte
émee, A$ porta il suo lune a vicenda a differenti emisferi , cioè V uno ha le
ndr emiaferio superiore e nell' iiiferio- sue radici diametralmente opposte a
rt ^ OTTero che illomina i pianeti e sopra quelle dell* altro. — orixzàn , Felòn ,
• tutto dite. son formali secondo il nominalÌTo gre-
<t 6>. D§9§dr€MlS ce. La coatf Ila- co, e sì posson considerai-e corno tron-
riaiii deigaroÌM è più vicina airorso che cementi di Orùsone . Pelone; meor-
fadlai defi'arìete; perciò se il Siile fosso tre Ortssonfe, Fetonte, son formati
■latoin gemini ioTCce ili essere, come egli sui rasi obli i|ui. Ci»s'i dicesi rimofeone
ora, !• vieto, si sarebbe veilnlo il sole, e Timoteonte , Carene e Coron-
« il pasto Mio todiaeo ntbecfhin (ri»s- U, ee.
aoeg->aDto pà roggi solari, so^ rubene, 74*74. onde fa strada ee. Onde ve-
cooBO dioo Virgilio), rotare piò vicino, drei come la htrada, che mai, cioè mal per
più «frcflo, all'orse, a meno che il detto lui, o per »iia Kvenlura , Pelon non seppe
oolo ooB nadase fuor del cammin vee- carreggiare o scorrer col carro (questo
ékàOp doè fuor dell' ccliilii-a. Se stando è la linea dell' eclittica) , eimvicue che
il aolo eolio Zodiaco al ponto et|uinu*iale vada dair un fianco a eottui (a qucato
comporÌTO o Dante cosi vicino all' orse, monte del Purgatorio), quando va dal-
aoasa dobbio se fosse stato in gemini V altro fianco a colui (al
gemini V altro fianco a colui (al monte Sion).
il tropico di cancro, avrebbe ve- Coi («f, ctilui, lui, si trovano e da Danto
doto lo Zodiaco rotore infucato più medesimo allro\ e, e da altri acrittorì
prcaM ai settentriooe, essendosi o quel del tiei-enio, riferiti pur anco a coao.
tempo ocoatato dall' ef|uatore per quaai 76. unquaneo, unqo' ancora, mai
24 gr. vano di osso polo : quindi al l'ur- sin' ora.
golorio aarebbesi mostrsto il «ole nello 77-78. A'onrid'fo ee. Cnstniisdre
2odtoeo di tanto piegoto verso il setteo- intendi : non vidi mai si chiaro là dove il
Crìooo, qoanto o Gerusalemmo ai vede mio in|;rgno parca manco (cioè uoo in
dbbaaaato verso meixod'i quondo trovasi teai mai si bene cosa i he pris mi paresso
olla fioe del SHgittario. superiore alia mia capucità), com' oro
et(-70.I>eiilro raeeuUo ee. lot.s rao- diteci no, che il mez/o icichio ce.
170
DEL PORGATOBIO
Là dcn-e mio in<!;egfio parea manro,
Che *1 mezzo «erchio del moto soiierno,
Che si chiama Equatore in alcun* arte^
E che sempre riman tra *l Sole e il verno ,
Per la ragion che di, quinci si parte
Verso scttentrion, quanto gii Ebrei
Vedevan lui verso la calda parte.
Ma so a te pia(«, volentier sa|irei
Quanto avemo ad andar, chf il poggio sà^.Q
Più die salir non po^^on gli occhi miei.
Ed ej;li a me* Que-ta muiitai^ne è tale,
Che sempre al cominciar di sotto è gra^e,
E quiinto uum |)iO va su, e roen fa male.
Però quand* ella li | Mirra soave
Tanto, che*l suo andar ti sia leggiero,
Come a se<-onda giù 1* andar per nave;
Allor sarai al fin d' estu sentiero;
Quivi di riposar l' affanno asftetla:
Più non ris|»ondu, e questo so per vero.
E, com*e|;li ebbe sua i>arola detta,
Una voce di presso sonò: Forse
Che di sedere in prima avrai distretta.
SO
»
90
79 ti iKezzo cfrrkio, ciuè il crr-
cliio che i>tf ili mnzo ai liopici. — dei
molo tupemo, del |iia alt» cielo gi-
rtntr.
80. inaimn'arlt. in astroniHnia.
81 . tra 7 5tiff e il rtmn (juamlo
il 8olr xta «lalla parlr lirl tr<>piit> «lei
capriconio è vrrnn in «jat-lta ilH caii-
C o, e (juando vta ilalla pai ti- drl ti-o>
picii drl canrri* t irrnn in i|uflla dH
rapnromo; ptrció I ««pinliTr eftt*inprr
Ira il sole e il >rrDo, tiapiie il di del-
1'ef|iiiiiofie.
K2-84 quinci ii parte ec iiilpndi;
tanfo si kiMm quinri. •!•• f|iii*st«i tiii<nlr
Ti'reo «etti-Dtrioni'. quatttn yli Ehrei,
rrdi'^an lui jartito. iliM-i»stti. ilal turo
ni«*ntc Sion trrto la rahln par le, rute
dal lato di in «^mp, ionio \hvr rrdn«-
no, inlviidriidu drl ti iìi|mi ih cui a%r«ou
finta ilrlla Dirtna Comtmààim. Chiv»
Irasr però. |Mitirbbe in ^«alcho Boóo
•«Hilmere aneli*' la l«i. quamdm — IW
la raginn rke «fi Uaotr si o
cbe nel Pui|;«li>riu dove il aolo lu
aariaiiienir iHi«trar«i nio aa inf ip-
ptn»!*' a «(nello ebe timo imIIo triTC
abitala. i|naii«lo ba brn intraa cbo 3
HHHitr di SitNi e il PuripaUiiW
OD cfHiiunr i ri/#«Mile e ti vtraa
UU E i/«(iN I* mtm più r« Mi- Il
•eOM» iiioriilf n'e limilo tarilo agl'v-
eipiriiti la «la dflla virtù e fatieoka, ■>
a misura rbr un» vi ai avaafi, ai fj
piana. I* liiiiMT piM r«il diìrraiee aofia-
i-i>rf e UH bisti|Mio «Irli* amnia L'Anlald
B qtmftl» piti ra rn,€ men fa
V& QuifM di ripvMmr et I
pm|M«ili %aiiii« bpiiili air ofiolle
crrM-ptilr ani ore - il aido arraatam aal
là il loro reipifi, pniiiN drlla fatai di- ea ni iniuu della perfrtinue 0 Vii darei»
sperftione La Ir/unir qummlo da me dietro, e on de'»r(;ni d'coaar pffrf«lla
leQuita e drl Kuli e drl l.^odino; e fu nella «irta • il dilrlto rba aellS f»>
gi^ additala ciiinr Diifjliiirr della co- rarla si aente. ~ Qairi. ia ^«al !■»
niufir qtiandn dal ili I' Punta nelle go, o, alliira
tue Tilt '/'r roxmnyiri/.rAe per l'i nielli* 99 in priwm : ÌBto«dli • prima rbc
CANTO QUARTO.
AI sQon di lei ciascun di noi si torse,
E vedemmo a mancina un gran petrone,
Del qaal né io, ned ei prima s'accora.
Là ci traemmo; ed ivi eran persone (*)
Che si alavano alP ombra dietro a! sts?o,
Come I* Qoro per negghienxa a star si pone.
Ed an di lor che mi sembrava laseo,
Sede\'a ed abbracciava le ginocchia,
Tenendo *1 viso giù tra esse basso.
O dolce Signor mio, diss* io, adocchia
Colui che mostra sé più negligente,
Che se pigrizia fosse sua sirocchia.
Allor sì volse a noi, e pose mente,
Movendo il \\ìSO pur so per la coscia,
E di5se: Va su tu, che se* valente.
Conobbi allor chi era; e queir angoscia,
Che m*avacciava un poro anror la lena,
Non m* impedì d'andare a lui: e pomicia
Che a lui ftii «punto alzò la testa appena.
Direndo: Hai ben veduto, come il Sole
Ddir omero ì-iinistro il carro mena?
Gli atti suoi pigri , e le corte parole
Rfosson le labbra mie un po'O a riro;
Poi l'ominriui. Bc'larqua, a me non duolo
Di te omui ma dimmi, |>errliè assi.^o
Qiiiritta se'Y attendi tu isf'orta,
«71
iOO
\Vb
110
il6
fio
:ìó
^ ■■ $HtmvAm Ugfpero V •■dare io tu .
IM. m uìmmctna, ■ inaou manca,
«ùbira
n Qui sUnoo CI 'loro rlie per abi-
(>*i« wdulcnra iiiilii|*i4ri«n la lar* eoa*
*<ntaa« al fip dflU %ila
ioS mtggkiemx», |ii|;riila.
114 CArcr 1^19 risia /Tuicr «e. Cer-
\ dM la puMtuia, i niiivimriili e il
■h4a M parlate «li aunlo «pinlu tiinu
■ili. cW •• pi];rìxia ■•«ii' pristina, non
Ansile ne fari*bb« alliiuMOli. — ti*
furkia. »< rrfla
143 M"^€mdo il rùo te.: mo-
'nda I'kvIìi--, Cloe «corrmilu snla-
't^la c«llv »giiarilu tu per le coare,
-•<lf Biio prenderai la fatica Ji le«ar
j5 lal^-ala
144 eA« fc'ra/mfr, t-hc %n biavo,
«ì^c hai buoaa Irua; w««ìto, rbc punì.
IIS.1I6 • qwM' •ngnKim, Càe
m' atarciara ee K la falica liurat a ìm*I
iiiiiiiUrr, i-lir mi farv%a tatlora celfn-
eil aff-iiiiii'^o il mpiro.
11 'J- 12(1 Hai ben redulu, «e Gò e
dello prr iuimIu irriMirio : e<l e da na-
trr«a:e che la drritii>nr ai Btrliirqaa è
aecHodo i|iirl cbr Minlr par la più ar-
Vfnirr; rWcbì ba perfctlammlr rbiara
la cii(*nMir d'una rtiM diaprez/a e irtide
anelli chi* rrrtano oclia niarav ijlia
Qui-kl'at%crlriiira e di l>«nle niedrtimo
Del secondo didla Httnarckia in piio-
cipio
12.% -124 ttelatqua fu un ecrel-
Icnte f^bbiiratiire dì i-ctre e di mUfÌ
ikiruiuenli iiinsirali, ma o nio pi(;r:H«i.
DIO — « me non dìtole Di U ornai,
piiirhi* li « |;.;ii in luiii>o di <>«ltu/iiiiii*
12'* Qmìilta, e awi'ibin di luo-
gti, e «jle qui
172 DEL POBGATOBIO
O por lo modo osato f bai riprìso?
Ed ei: Frate, 1* andare in sa che porta?
Che non mi lascerebbe ire a' martiri
L' angd di Dio che siede Ìb so la porta.
Prima convien che tanto il de! m* aggiri
IN ftior da easa, quanto fece in vita,
Perch*» indugiai al fin li buon sospiri;
Se oradone in prima non n*aita,
Che svga sa di cor clie in grazia viva:
L' altra die vai, che in ciel non è ndita?
£ già 1 Poeta innanxi mi saliva,
E dicea: Vienne ornai, vedi eh* è tocco
Merìdian dal Sole, ed alla riva
Copre la notte già col pie Marrocco.
IV)
ì'ii
126. lo «0i« umU, aoi l'uata
lai pì(rrisia.
427. cheportm? cke ■ip^rtaT cba
giova?
4 50-t 31 . e*« tanto <l dcf vi'iyyi-
ri. Il tempo è aiiwala dal valgar dei
deli : ecco dwi(|«e il sewe IcUcnla dì
qaekto puao: conviene chn il ciclo
m'mggiri, mi giri intono, fnor della
porta del PBr|alorìo, gwnwto fèet,
S tanto mi giri intorno in \ila ; onia,
e farcia tanti giri intomo • mo, in
questo luogo, qnanti no foce dnranto In
mia vita mortale.
434. Ch» tmrgm iu, che ardevi •
Dio da un'anima io alalo di graiia;
chi i peocatori non potaoi ■orìtaro ni
per ti ni per altri.
457-158. 9§di €h'i tocco M^ri-
dtan: cioè, vedi che ^ni è mc/^i»-
giomo.
4B8-I59. od Mm riva Coprt la
noiU ot. So il Min tocca il meridiano
della montagna del Purgatorio, potia
noi mono dell' emìsrcro anstralc, deve
oaMr mena nolto a Gerusalemme, pnnlo
aniipodo, il principio della notte a Ma-
rocco, dio « annoilo ani cooSne c^yh
dentalo drl noalro emisfero, che rione
ad cfBor l'orientde per il Purgatorio , e
P aurora diil lato opposto, dui al G^n-
ft. — té ottm rjr«, ini. al cctufiDe.
— Copro eoi pU le, significa: cnnincìa
• moTero il p. imo paaso venendo ad
oacnraro l'emisfero io cni éiaio, aMotrc
U solo a'avuBa ad iUnaùnmv l'oppoate.
CANVB 91JI1ITO.
PnMéméB f RiMfftr A Mmw rimemarm»m ài umm mHHtmd'at éi zittii t I fMtf. «9*r»
•M «/i «w» namrm mw «m ptr i&nmn mtl pnmt m&mém, fii ai mlf^amm iatmmm ^atmt
• rwtniarti mt tén mmginmii. Irmaemrmt^m tési fmn kt àon eurma amtmm, im malti és
wMamim, ai ptmtuwmm a paréamMfmm mt a»f» mmici. Jmcùf éat Ctuaaim, Bmmtamu é*
ma$aftttn alm Piaém Summ MvrMw pmnietUrwaaiaa «f Fmu ti mtaàa datt* Im
Io era già da queir ombre partito,
E seguitava Torme del mio Duca,
Quando diretro a me, drizzando il dito»
Una gridò: Ve*, che non par che loca
4. Fi^, dU non par oe.» vedi cbo aotlo, eioi nella più l>assa parto. Danio
Bob pare che il raffgio dal sole risplcn- ere in basso loco rispetto • Virgilio che
Ja d sinistro lato odia poraona ckt i di gli andava inuand salendo n ombIo.
CAKTO QUINTO.
Lo raggio da sinistra a quel di solto,
E come vivo par che si conduca.
Gli occhi rivolsi al suon di questo motto,
E vidile guardar per maraviglia
Por me, pur me, e il lume eh* era rotto.
Terchè 1* animo tuo tanto s'impiglia,
Disse *i Maestro, che l'andare allenti?
Che ti fa ciò che quivi si pispiglia?
Vien dietro a me, e lascia dir le genti;
Sta, come torre, fermo, che non crolla
Giammai la cima per soffiar di venti.
Che sempre Fuomo, in cui pensier rampolla
Sovra pensier, da sé dilunga il segno,
Perchè la foga V un dell* altro insella.
Che potev' io ridir, se non: I* vegno?
Dissiio, alquanto del color consperso
Che fa r uom di perdon talvolta degno.
E intanto per la costa da traverso
Yenivan genti innanzi a noi un poco,
Cantando Miserere a verso a verso.
Quando s* accorser eh* io non dava loco.
Per lo mio corpo, al trapassar de* raggi,
Mutar lo canto in un 0 lungo e reco,
E^due di loro in forma di messaggi
Corsero incontr'a noi, e dimandarne:
Di vostra condizion iatene saggi.
1^73
iO
15
20
30
S. ém rimiitra, pendio aDdaTano
cai lalt a ^Uitra. Sa fermaliti e ▼cito il
mi tmtii lUi, Tedavaoo il tole la-
atla loro «niatra, alzatisi a rì-
mtnétmà» il canuBÌiio sa per il moata
a chiaro cka dovoaoo aTarlo a daatra,
a F aailira a' «aislra.
€. Beommvimo ee. lol^odi : a para
cka «ava a qoel modo cbe eogliooo ao-
Uh% cka kaaoa corpo matariale , dia aaoo
mi.
9. Fvr Mf , jNir m», cioè solo, folo
■a. — cfc' ara rollo, cha ara rotto
daH* oailira dal corpo mia.
4f. t^impi/flim^ a'iaipacaia.
42. f< pifplglte, ai mormora; è
laraiao imitativo, cba rappraaaala •■
partara filo a aatlo vaca.
4i. rmiyoffi^ cioè sorga, fartto-
|1«a.
17. 4m tè iOmngm U taglio, vaia a
dira, s'allootana dal fina, dal propotito
a cai nùraTt.
48. P9rehè la foga ae. Perchè l' uà
peotiero foprevvenieota intoilat am*
mollitoe, rcDrime, la foga, T impeto,
del primo. La mente divisa in più pan-
•ieri è meo forte ad agoaoo,
20. del color $e., cioè tinto dd
rossore che Tiene da vergogna.
21 . di perdon talvolta ae. : dico
lolcollc, e perchè vergogna non sem-
pre nasce de nohii cagiona, e perchè non
in tutti può fare hoooa scosa al fallo,
ma sola nei giorani e negl' inesperti.
23. Ecco ({nei negligenti che sorpre-
si da morta violenta si rivolsero a Uio.
27. In im O lungo: iatericiiooo
di meraTÌglia. — roeo, p*rel^, io «m
forte pertnrhaiiooa d'animo si altera
p«r snco la voce.
30. $aggi, consapevoli.
E'I mio Hae-^lro: Voi potete andiirne,
E rilrarro a color che vi mandoro,
Che il cori 0 di cosmi è vera carne.
Se per veder la riia ombra riplaro,
Com'io avviso, assai è lor risposto:
Faccianli onore, ed esser puù lor caro.
Vapori accesi non lid'io ai loslo
Di prima nolle mai fender sereno,
Né, Sol calando, nuvole d' agosto.
Che color non lornaascr suso in meno,
E ginnti là, con gli altri a noi dier vo'tn.
Come schiera che corre sema Treno.
Questa gente che preme a noi, è molta,
E vengontl a pregar, disse '1 Po^'la;
Però pur va, e in andando ascolta-
0 anima, che vai per esser lieta
Con quelle membra, con te quai nasce-li,
Venian gridando, un poco il passo qnetd.
Guarda, se alcun di noi unque vedesti,
Sì che di luì di là novelle porti;
Deh perchè vai? deh perche non l'arresti
Noi fummo t;ià tulti per forza morti,
E peccaiori iniìno all' ultim" ora;
Quivi lume del ciel ne fece accorti
Si che, pentendo e perdonando, fuora
Di vita uscimmo a Dìo pacificali,
il. e rilrirre, t rpKrltn., rìfc-
nt(, •, «HI» par diciiioo, rappri-
54, fn-vitftrw., a tagìnn d
HrCmnarDiis. Cos'i il Coi). Paegul
(Iw ibc I* com Tataro.
3Ì Cam- io ùVtitB.ci^itt' io t
«
mrno «pnia di Irmpo. «nc'*KÌ,pH
40 iuta. Inlfi
nal n...odo d^ rirt, , htk •> rb. ■ pn.
JimoBo nuo ti «.ffeninre. • (««Ila
Ioni w hcriano prrQfaien ■ Dia.
ST-S9. Yapcri Kfni *e. Int.: ia
18. «p«o «;««■. *wl*.fcr
mali DI) piw.
M Psirt, inqurlptintodinHii
— lymt dtl tilt ni frrt wnrff, 1
r\at'nfm che iiL Talta khw ckianiiti
•Idia ndnG randere PaiMm. dal ris-
ii-, Bt al cairn dai isla io ganUn «ui
fintit divin* CI te rawf dare.
K-ST. a Dh patìReali m. : nior
A* quelli fititi n« (vaa.aer la io
«li in gruia .li Die, il qidt sn M a»
CAUTO QUHfTO.
Che del disio di sé veder n' tecora.
Edio: Fercbé ne' vostri visi guati,
Non riconosco alcun; ma s' a voi piace
Cosa ch'io possa, spiriti ben nati,
Voi dile, ed io farò per quella pace,
Che, dietro a* piedi di si fatta guida,
Di mondo in mondo cercar mi si foce.
Ed UBO incominciò: Ciascun si fida
Del beneOcìo tuo sema giurarlo,
Pur che '1 Toler nonpossa non ridda.
Ond*», che solo, innanzi agli altri, parto,
TI prego, se mai vedi quei paese
Che siede tra Romagna e quel di Carlo,
Che tu mi sie de* tuoi prieghi cortese
fai Pano si, che ben per me s* adori.
Perch'io poesa purgar le gravi offese.
Quindi Ivi' io, ma li profóndi fori,
Ond' usci '1 sangue, in sul qual io sedea,
Fatti mi (tire in grembo agli AnIeBori,
175
60
66
70
7S
d crada, col gran desiderio cba
•kkìamo dì Ted«rio.
58. Perchè, per quoto. — gmaH,
gmordì otteoUmeote.
Sl-«3.«r io fiarò. od io loro tatto,
W9 U gi«ro por qaollo poco cIm mi m fa
ro £ flMMO in Boodo. Qooota
cho DooCo cena, r abbiamo dotto
voMo, •rimiefom— >o è la paco
Mi'aoimo elio oca pai alerai orafa
paryarla dal Dooeoto o dai «ìq :
è lo poco pobblico por il «ivilo
0 cbo dove OMoro ol>
Àé «itorao dofli
aUa firtÌBoa INo.
S4. Eé ««• oe. Qooati è
ad fami! citlodioo di Faoo, cbo Uo
▲ooVUl d'Edo Sfilo d'Obino II fo
mMo «oaidooa w Oriaco, vula dal Po-
dÉoaao, mostro andava poleslè a Mila-
M. n OM odio coslro iaoiipo dd
lano. Atto Vili auirì tal prindpio
dd^SOS.
66. Pmr eh$ 1 voler uonpoita ee.
loteodi: porche impotenia ooo renda
▼aM la taa praferto di far eooo obo d
piacda. — La aonfotia o HBp«lam«
cbo aadodcaio o oooollomo il baco To-
kio doirAlicbìerì,po«oa naaeoro da Dio
aoo penDetteote ; o di qoorto farao to-
rnea qaell' anima.
67. On^lo^ot. nCod. Aotold.: Ed
io, eke aolo.
68-69 .^iirlpMio ac.Qod paaaa
tra Romafoa a il Rcfoo di Napoli
fovrrMto da Corlo 11, ciaè il kMfo dova
è Fano. È yarto paaaa la Marco d'An-
di toi d'
ddFoppoaifiooo oba ontrti
■le di Bolofao looomtoi^
disvilo
mttkf^ dm olr— i molli «iidoncoi cbo,
•oa e— taato « tatti, Imrio andar ea»-
7i. ben per ma f'«iarl,doè oaa
fervora ai ori, d prcfbi pormo.— » éo»,
in alato di frarin.
73. Qmmii, daè d'ivi, di fsd
paeao.
74. te «Mi omI to aodon. lotoBdl :
noi anale w, obo ora aono apirito nd
avewaado.AUndadropHm
Ira yielto. Por vondi
laco da' and dea ri ami
Mnflan ¥i
lo
te tm Vo.
da
andavo potcatt a Hi-
fno ; od ora to did-
di oolorn cbo
laana acda nel
Irwod'Empadorto.
75. tu srantào ^t§9Ì Atdnori* nd
territorio de' Padovani. Àmienmri por
DEL FOBGATOBTO
Là dov'io più sicuro esser credea:
Quel da Esti il fb Tar, che m' avea in ira
Assai più là che drillo non volea.
Ma 9' io Tossi fuggilo inver la Mira,
Quanti' i' ftii sovraggiunlo ad Oriaco,
Ancor sarei di là dove si spira.
Corsi al palode, e le cannucce e il braco
H" impigliar si, cb' io caddi, e li vid' io
Delle mìe vene farsi in lerra iaco.
Poi disse un allro: Deh, se quel disio
Si compia che li traggc all' allo monle,
Con buona pieble aiuta il mio.
lo fui di Moniefeltro, i'son Buonconte:
Giovanna, 0 altri non ha di me cura;
Perch' io vo tra coslor con bassa irontc.
Ed io a luì: Qaal forza, o qual ventura
Ti traviò si fiior di Campaldino,
Che non sì seppe mai tua sepoltura?
Oh, rispos' egli, appiè del Casenlino
Traversa un' acqua e' ha nome l'Archìano,
Che sopra 1' Ermo nnsce in Apcnnino.
Là "ve 1 vocabol suo diventa vano
SS. BuBmcont6lu6i\\ttQ\-i<^U-'lr
il n»1> hndii PidD>i.
Guido di Uunlflcilra. Su moglie Mt
Ti. « [1 far. f™ Tir* V «nldJio.
nome G.oonp*. %!! combine ìn Cui.
T8. iuai più li tt-, d« olir, i
pildino coalro i GaelG ■ ii la mocU,
Krmini deli, pn.titii, 0 ■■ di lì di
Oli 11 ino udiiere iud Iu «■ lr«nlo,
f il TiHonIn rb< gli mrlte m bota il
quel che «vfui inrrìtalB.
79. ^ta folli Malto (MW la
JfiTV. L. Min i un Iihir» uIIo rìte
Bliin». b.^1 r»lii qsHlo tilU d'tnM
d'ui> r.Bil( thi^ «ce dill. Br. DM. rug-
gMido jxr li, non iirrtl.* inconliilD
Amini, « i Girli di FirMBe, ■tmuim
qnrl pinliDO clic lo liDDislìò t lo tra
■ rI> Il di nurtitv del 12)1» • Cote-
pr<ul* dei .irirj d.I narvhw.
noiiHo P.1 pi.n» di Cimpildioo in Ci-
KntiDO. Gli Aclixi «CD «miiiditi di
Qoiudo mi ridi iddwo incelici.
ti. datttlipin'.ànèJp^rtì'rìn.
citlk,.d.d^.o<.cont.. lGu.lG,.',«H
B3. Certi elpaM» IntFo.lh »■
>rtf« iì hggir or» Il W.n, uni «.
reil» 1* liltorìa , iTcìDo ■ capo Amerigo
di ««boni; aderì »d tai^lri'iotdtU
St.DtfUmUÌÀt: iol.d.lna-
. e.»llo if -Ciro Alighieri- L. Rapab-
ffatch-iiciidtlleniietfne.
SS. IM, H qud dina. Il n doq
«DI rhia» in Oliar dì Saa Baniabi ■ li-
89. esUrf. Idi.: d.^B>« itnttì
ptrenli 0 • alici.
d<»<>ddl.p.K'..»...cidHI..t«.SI.
87. fan 6Mnd pMaIr, eoi con
96. erma, l'eremo di Canaldoli.
ftvt di pieU (ii.ii.n..
97. U'cerc.. Ikdoieperdeilna-
CAUTO <JUUfTO>
Arriva* lo lòrato nella gola.
Fuggendo a jpMo^ e sanguinando il piano.
Qoivi perdei la vista, e la parola
Nel nome di Maria fini, e quivi
Caddi, e rimase la mia carne sola.
r dirò 1 vero, e tu *1 ridi tra i vivi:
L'Aogel di Dio mi prese, e quel d'Inferno
Gridava: 0 tn dal ciel, perchè mi privi?
Tn te ne porti di costoi r eterno
Per ima lagrimeita che '1 mi toglie;
Ma io hrò dell* altro altro governo.
Ben sai come neir aer si raccoglie
Qoeir amido vapor che in acqna riede,
Tosto che sale dove '1 freddo il coglie.
Ginnse quel mal voler, che par mal chiede.
Con r intelletto, e mosse il fame e il vento
Per la virtù, che soa natnra diede.
Indi la valle, come il di* fu spento.
Da Pratomagno al gran giogo coperse
Di nebbia, e il ciel di sopra fece intento
Si, che *1 pregno aere in acqua si converse:
La pioggia cadde, ed a* fossati venne
lonini. Cliiaiiiè qnel diavolo il
tanto intelletto a smUafara In
ToloDtè aviila solo à\ Janni,
interprati nal wtai voUr cito fmt
tMd§ coir {«toJlalto (die
m
100
iO&
no
116
aoAAniMno,
oaa «nona MT Amo.
lee. f In ^nrato ot., a il mio paiw
iavnfrt aal SS. Nona ai Maria.
4M. aofn, abbandonato dairanina.
4M.0 f«f I trtmfnno, cioè TAnfolo
MFUfirno, il Danooio.
405. O l«dM dai, at. Intonai :o
in do'aalaali, o venato aal dalo, par^
cM ai orni daO' anima ai eoatoi?
4ii. fatomo, aiaè la parto atorna,
4et! dfir«*ro, aaU' altra parto,
ed nano. — fonamo, trattamanlo.
4eé. In ^n*to tomario è acacritto
a andò onda ai larma la pioggia.
4ie. tk§ im nofun rSd§ , Am
mala
la parole), credono iodiaato
^ il qaala volendo per ano i
il mala, aempro lo atoaia nal ano
inlellalto; o giwmȤ apiagano
latara
▼aito
■iinii
144. io9§'lfr9Uoat9§lÌ9,é9k
■•Da fradda ragiona dall' aam.
442. Cimut fmtt mnl nofar, aa.
Intendi: U già detto Aneal d'Infamo
finatf . aacaaaiè, alTinteliaito ^nal ano
mal volerà gm mamfcato, €h$ jNir mnl
tMtÌ9, dio calo carta di nnacara agli
1 4 3-11 4 .a motM il /Vmm ae.Cealr.:
a pir tm 9itià dto mm «alwin iUié,
moaaa ae.; aioè : a par la potenm dM
l'angdica aoa natnra gli aiaao, maaan
U omiaa ▼aporaàom a U Tanto par an-
aaitefo no temporale.
415. Indi In ««dte.Caatr.t HH,
€oméU di/kipenta, cnparMilMè-
Hn tm Mite ém FroUmagm mm al
pinmi fiogOm
44i. "
fiaa U Vaiaamo aal
pm» giog: emè fino alTAi
417. Intenlo, aenao ai
il cmlnm eotUrmsU a'Omtio,
Voktmtm notte ai Virgilio.
dbdU
Di lei ciò elle la Iciru non Miffcr^:
E come a' ri^i grandi si convenne.
Ver lo nume rcal Unto veloce
Si ruinò, die unita la ritenne.
Lo corpo mio gplaEo in m la foce
Trovò l'Ardiian rabeslo; e quo) so?pin°«
Nell'Amo, e sciolse al mio pollo la croci',
Ch'io Tei di me quando il dolor mi vinse:
Vollommi per le ripe « per lo fondo;
Poi di sua preda mi coperse e cinse.
Deh, qaando lu «arai tornalo al mondo,
E rijio^U) della lunga via,
Seguitò il terzo spirito al secondo.
Ricordili di me, che son la Pia:
Siena mi te, dl^^rcccmi Blaremma:
Salai colui che innanellata pria,
DJ-ip0j:ato m'aves con la sua gemma.
121 S cerni ■'riti grandi «
■UH chr <
E quana» q lieti' «c<|Ui li fu eoneina-
15S-ISe.Sa(nefiMcfeMii.i«l-
lult pria K. : Caalr. e Ini. : colui lo la
1 nini con Hnl'imptto «no LI mi lis-
«> d'Ang, eh> et.
ehi pnma avaa atnlti r andlB d' aa ak
1r.>, cioè, ma gU laJ.ri.-La Pia b^U
par la piogpa.
tie.itiolu<iImi«FMatù.:tàiìu
>hoi : a rinaala ladaia di lai era al.U
h «lie braccia, dalle quali, mocuda, b
■pMala da nn Nailn a PagueUo Pao-
arca Calla crm upra il pcUo.
BHctiiocbi tisnnr i,ì Caakd ddU Fie-
127. U datar. Int. deiDÌapHeall,
li i. l'er quale aatuie, ih'is riraia
parcaiaUHrieane.U».
gnor HepcU], lu^tui tara la 1m컫
139. di IM predo, ,ioi di (erre
■ d'allrspredalou cinipi ucliuopa*.
dei C«l. PiigQiali dinmam rt' nt^
»a«io-
iS*.St«mmih M. IclniJi; Siam
pure dal C.»la,e chcDcll'inaiemadrlla
BÙ di^. l natili, a in H.i-«nii» (ui di-
ri.ae.prB..a.i««■..-. Saio-cala.
lla e» u EÌon» d' eital. alla Goeilra,
diloitiuagemmaloanall.. t ^ell.
In da Dii famiBlioRlieniiiU per le gamba
[rcddo e atralO vano. — C«t aaeala
a getUla capai»lla anlla alrada par or-
ni.^0 di dira aal>> «iM t.. il Paela d
dipc del marita e!» l'alibe ii toapalla
dà aa ceona dri nipa wgralaeoB rht
fadailem.— Il giixwe par eui U fia
lo irellcLDlo lUicilD roaJuw il niirul-
li- 11
■ taBabivai; ìaìqaitk de' f»
rì9
ejkmrm srarrai.
rirgWm. fft§» amgmmnàm
,0im fmM'orm utramm
QoMMb'si pwto il giuoco della sara^
. Colui elle pente si riman doioDia
Eipeteodo ie volte, e tristo impara:
Con r altro se le va totta la gente:
Qaal va dinanzi, e qiial dlretro il prende,
E qnal da Iato gli si reca a mente.
£i ttoa 8* arresta, e questo e quello intende;
A evi porge la man» più non fa pressa;
E cosi dalla calca si difende.
Tal era io in quella turba spessa,
Volgendo a loro e qua e là la fiaccia,
E promettendo mi seiogliea da casa.
Quivi era V Aretin, che dalle braccia
Fiere di Ghin di Tacco ebbe la morte;
E r altro che annegò correndo in caccia.
Quivi pregava con te mani sporte
fO
io
9 ^am^jjL ■ni «gli altri.
S-a. Si' rimwm doUnU, rnntM m1
laof» M |ì«0M ripetendo U tolU, le
ififianwiti dei dadi, cioè ri*
■ •|etUii^afarn«oTÌ tiri. —
4. Qmtméio tifmrU te. ? ^anda i no, par vaodicara il (iralal isa, faoM a
(giooao «Im n fa can Roqia, ora H. Bciùncaaa ara adilara Ji
Bota, e a lui cha ladara io trilNioala Cai*
to« iacoDtro, l'ocdaa , e, trooca^ajU la
latta, aoo aiaa ti parli dalla datla aittè.
Quasto Ghino dopo aiaara stato liiflfa-
aiaste il larrorc dalle Uaranma Sanasi,
a dalla ttcaaa Corta di Roma a on ri-
; a impara, ciò cka aa- balli Radieofani, ckc fece as aido di
■Mflia aapar priou , a yoI- ladi-ooi.fi riconciliò con BonifanoVIll,
i mmfSm. ehe gli donò una gran priorìa, a di qndla
4. &» r«lfre, col Tincitara . la I«ca cavalìera.
4 5. £ r«/fro th» omm§ò cormu/a
focaeeia. L'Anonima nata a qnoita Ina-
ia : • Qoeati fu aa giovane ek'ebba namr
Gfvdo de'Tarlati d'Arana, U ^aala alta
«Btfli • avi il riscìlara porge la mano, teaafitla di Bibiaaa f« molla paraagailalo
££fii ^aaldm eoaa dalla Ma viaaila, a agiato da quelli di Boodiaa. AilaiM
li^fa«do, a qnaUi panapwtaadaio, lag-
già nai fiame Amo,a qmri anB«|è.» Sa-
«....i^, 9 1*^9 amando viraria del j>o- caado qaaaUatarìa leparala «arvviitfoài
4ailà m8iaBa, ima morirà Taeaa, 6t- acacia defoaa apiagani fomwrfa —»>
laUodi filma di Taeea d' Arinalmifa , «tato, o «alla aaccia aba ai darà ,
f M H raas • wmkU, la prega a
dilm.
7 Bi, noè il rindtora.
%• Àt¥Ì pmr§9 la m«ii m. Intendi :
• am U riscilora porge la mano,
~ qnakba eoaa dalla laa viaaila,
pii.
18. rjreHa. QMrti è M.
W IWiaa da Tarrita aa» nipote,
rabata alla strada. Gbi*
aleni, a il Costa Ira fBaati, api^
I ffiTiiMla «al imt tm CMiàa;
DEL FDKGATOltlO
Federigo Nmelìo, e quel da Pisa
Che Te parer lo buon Marzocco forte.
Vi<li Coni' Orso, e 1' anima divisa
Dal corpo suo per asilo e per ìnveggia, jC=
Come dicca, non per colpa commisa;
Pier dalla Broccia dico: e qui provveggia,
Menlr'è di qua, la donna dì Brabanle,
Si che però non sia dì peggior greggia-
Come libero Tiii da tutte quante ti
Quelle ombre the pregar pur ch'altri preghi,
Si che s' avacci il lor divenir sante.
Io cominciai: E" par che tu mi nieghì,
Beta. Miri! di Briliiale, tHonJt mo-
glì( di Filippa, prcM in odia ipinls mi
Diilro probibilmentB per l' amare eh' ti
partiva al Egli eha U n ireti atnli pel
precideaM iHlrìnanìo eoa Inlwlh
d' Aragona. Mi qiul fate il dcliiio ap-
pi4loBli BOB ai aa con «lima. CI Ui-
chcltl dica th« t^i •«■>>& 1* regiiu
IO CofDpai;nk, ioia narra
,,li«™™:.P.,..,..,l
jiroili'iH, mi pfrlo (.iiuTthiii de' nemici
S. Fediriga fioviUo. Fu Bglii
— * gutl da PUa .- Pari
HiiEi>aidaI>ÌH.C«lsi[ii
Il acflli ScD-
cale per li gola nel 12;il.
l'et*.|B'wM Cglio, ed (»n& il parco-
SO. iwtgtia, iniidli, d.l proreo-
in doppio s.
■oilcuaichxpiDmwli viriàcrUliaua
•il» al panladi indire a baciare la mano
dell' «icidi. rialrodi DiDiedi» che
.loia, Il eh. per .noi r.lli . p« anr
V .icMorc dì Farinala la M. Becdo da
cr»piriloall> rovina di qacll'ÌiiM(«ato
tlaprena.
non »n polli io ^e;|ia ptggiort, ùi
19. ConfOriB. llcuni cndooo eo-
aloi della tamiclia dr;U Alberli, a elio
23. ■ui^ldffM.-ìd.lloRla-
^iiiDenle al lonso d.l'eta il Paela Kn-
il rtjlio» Sflinolo del eenlt Nipotean.
21 pn-d, perUl Mio.
Alberta di H..|«>i .onna.-r»..M
26. che prejiaf par. lo (joalì pre-
JIUMtc! raoinia di Pier della llrw>
fireno the altri (cioè ali nomini abo
(ia, diTiia, lepinla dal prnpria eorpo
«oovi.il P"ci.i,H.DÌQ.-p»r,.n.
t" natia a per iotidia Pierre de la
bnu» ara diIo in Tnrrni d' uni «cura
ch'e.0, «mele altre.
ST.Sl.bai'aoaen'.ùch.a'alTrcia
("Dilllia. Ph eUrorga del ra San Luìp,
il loro purgar» d. ogoi raliqui. di pee-
« aolio niippa m l'Ardilo {iuua a
ette.
«noia ptlenu, che lolle il face» per il
28-30. JPparrfce !• «iiitojA* «.:
eoa eeoaiilio, QBiadi Pioiidii eorligia-
*' pan ebt lo, o Virgilio , Ine* che ri-
CANTO SBSTa
0 loce mia, espresso in alcun te^to,
Che decreto del Cielo orazion pieghi ;
E questo genti pregan pur di questo. \
Sarebbe dnnqne loro speme vana?
0 non m* è il detto tuo ben manifèsto?
Ed egli a me: La mia scrittura è piana,
E la speranza di costor non fella,
Se ben si guarda con la mente sana;
Cbè cima di giudicio non s* avvalla,
Perchè ftioco d' amor compia in un punto
Ciò che dee Foddis&r chi qui s* astalla:
E là dovMo fermai cotesto punto.
Non si ammendava, per pregar, difetto,
Perchè il prego da Dio era disgiunto.
Teramènte a cosi alto sospetto
Non ti fermar, se quella noi ti dice,
Che lume fia tra '1 vero e 1* intelletto.
Non so se intendi: io dico di Beatrice:
Tu la vedrai di sopra, in su la vetta
Di questo monte, ridente e felice.
Ed io: Buon Duca, andiamo a maggior fretta;
Che già non m* affatico come dianzi;
tSI
30
3S
40
60
•foi mio dubbio, mi nicgbi
ì, «pragMOMoto, in alcon tetto
(Mi Vàf VI MVBneide) , ebe pregando
m ritgbi, ii caofi, il Toler'del aalo. De-
9um (mia Dmum pecU tptrtan pro-
M . fT^gtm pw di quetto, pregan
aie ■•■ aalaata cba ti pieghi il decreto
A Dio ; o, prcgaa aolo di questo.
K. O mom m'iU deUo (mo «e. Op-
par •«• bo ben inteso il too detto.
M. è pUmm, cioè, 4 chiara.
SS. non fmUs, noa erra, bob è epo-
iTckè «ine M giudieSo non f'm-
wmttm. lat.: cbe l'aito gindicio divino
Boo rìnetto del tao ri-
man «• ; ovtwo. osila è tolto alla già-
M filKo.
ss. PmtààfiÈOtù d^mmor «e..* perw
I la ctritè dot ginsti di qaetto non-
, db pragaao per le anime pnrganti,
b •■ p«ato de che eate deroao
• fai Mio tempo — PorcM. .. .
, 80 coamia, o, ccnpiendo.
. f* mimlULt Ba ttallo, ttaoia*
CMMSfab
40. Elàec.f doè adi' InlerBO, doro
io introdacera la ^illa a parlari a Pn-
liunro («odi il verto latino recato fvi
topra alla nota 28). — fvmmi tolmto
pùmto, doè affermai, preanadai ^bo*
tta maadma : cbt bob è do tperaro eko
prego abbia efficacia oc.
44 . Nomi wmmendav ee.: la prt-
gbiera bob aveva virtà di aaoBdart lo
anime dai P^^^t perchè colai cbo pia-
gava era iiiigianto da Dio.— per fr§'
gmr, per vie di pregare, por praabicri.
43. rframoBle è od toaao ed €#>
m» lat , e vde aia. — a cael allo oa-
ipeUo ee., a tk profoada, a si eoUilo da*
MtaiioBe BOB ti acqaetaro dd tatto.
49. CJblaaM/lae*. Modettomeola
Virgilio, umbdoddU ragioao a dotta
aataralo ftlotota, rimaada per alflatla
qaettìoao l' doBBu a Beotrìea, cbo rap*
preieoto la adeasa £vÌBa , la teolagia|
al laaie della ^ale TaaMBa ragìoaa d>
trova «ad vari cbo iavaaa
corcber«bbo.0ad'4
B€mtrie9, la rìvdadoaey è il faaolo cba
tta di meno tra l'nmaBo wtdietto o
W
DEL rune*! OR IO
E vedi ornai che il poggio l'ombra gella.
Noi andercm eoa questo giorno innanzi,
Bispose, quanta più poiremo omai;
Ma il fallo é d'altra Torma che non stanzi.
Prima che sii lassù, tornar vedrai
Colui che già si copre della costa,
Si che i suoi raggi lu romper non fai.
Ma vedi là un' anima, rbe a posta
Sola soletta verso noi riguarda:
Quella ne insegnerà la via più (osta.
Venimmo a lei: 0 anima lombarda,
Come ti slavi aliera e disdegnosa ,
E nel mover degli ocelli onesta e larda!
Uila non ci diceva alcuna cosa;
Ma lasciavane gir, solo guardando
A giiifi di Icou quando si posa.
Pur Virgilio si trasse a lei, prei^ando
Che ne mostrasse la miglior salila;
E quella non risposo al suo dimando;
Ma di ooslro paese o della ^ila
C'inchiese. E il dolco Duca incominciava;
Maniova.... E 1' ombra, lulta in sé romita,
Surse ver lui del luogo ove pria stava,
Dicendo: 0 Mantovano, i'son Sordello
0» Hita l'oDilitl dove Doi liims. 1
\\n« dclli TÌU-
fMli HlillBO il moDU ddlt p.U c.ric.1-
00. p(Sto,(«. piùl»l.,pièiF^
diu.
Dulc, ibiiro t cbt il BDPle do.c.i B'I-
61 0 aRinia iMthinIg «. fe -mt-
urt l'tnJin otl h«t« «le wi «luiiii-
tì, un. scUnuì-M dd l'o«U, ■ «.
Iri' .iti lomn aflia «lunorU il (nti
54. cb non .(ai«(, tb. a-n pf Hi:
JlltMUinrt, Ai propr. tilc dtlenoi-
E«k..piril..ch."r.«»U»ta«ìdÌM
iMrt, gMicart. Tile i lo dalorrt
3*i UUoi.
qui * (hi .pT«ia « Whifl »■ WU
seai-i, dotitw!..
il. la nmiptTiun fili SMultaf,-
"°^. • pollo. BuMifnl.- KkU otl-
G7. Pur, uo «[«Di* ^Balli m*
TO.fdrffiiRd. 4«l«niUt> 1.
l'/«/«^C.IXIX,..lO:£P«-Jol*
mtatltiKdii lì a foUa lllH lornU
72 JfmrMd. .,Q«i il •««•*■»-
iu !>(■•>• *«> •Icuoì C«td. ch4 pftta
■p«<i. Voleii din : Uiniai* mi fa pa-
in tutte di tkt pDUla; di noa Irepi*
ini . IBI r. ÌMmM« dall' «.bn. —
liUla Ih $i nmilK. à^ At d* prioia
t*«li:(d«<>d>..«<.p.!im.nù,io
TI. Sordilh, daTownlI d. Uà-
CAHTO SBSTO.
tll3
Della tua terra. B 1* un V alliu abbneciava.
Ahi serva Italia, di dolore ostalo»
Nave senza noecbiero in gran tempesta,
"^ Non donna di Provincie^ na boedeUol
Quell'anima gentil fa cosi presta,
Sol per k) dolce suon della soa terra.
Di fere al cittadin sue quivi tela;
Ed era in te non stanno senza guerra
Li vivi tool, e Tim l'aUro si rode
Di qnei che nn muro ed una fossa serra.
Cerca, misera, intorno dalie prode
Le tue marine, e poi ti guarda in seno
S* alcuna parte in te di pace gode^
Che vai, perchè ti racGonctaase il freno
Giastiniano, se la sella è votaT
Sena* esso fora la vergogna meno.
Ahi gente, che dovresti esser divota,
E lasciar seder Cesar nella sella.
Se bene intendi ciò che Dio ti nota!
76
80
86
90
tm, b «eetlUato «r«f«Ur« àtli XIII
Mob, • BeovMiito da Imola lo chia-
■itacha •90^%Ui€ÌpmdentmiUt§t
mriaHi. • San calabrì gli amati di lai
la aoralla d* Eizaliao da
re. Ahi tmr^m ÌUAim. Q^me è ana
dal Poata, «Im al Tederà
MaaloYanà acooffliani aaa tala
i TiaauU r oo dair altro
», noD p«è freoara il dolora
t Pira, paMando lo alato d' Italia a quei
aaiak dàaordÌMta a dinto, a i cit-
odiaiitiai EaroaaoMDta , a aongia-
nA aallt laafau nùoa. È qvasto «no
dkPpià ipla«d»di tratti dalla Divina
TI. ìftmitnum «oacMcro ae. Ghia'
PlCalia oavaaciaa oocehiero, poi-
i ■•■ ara gofarsala dall' imparatora,
iim wèM tirasBÌ tribolata, a
anaraavolU.
7a. Nmm dommm, boo «fBora.-
èmrédio, QMata parala è ^i aaala nel
)€M i LatimchiamaTaao
pièaaaai cka ilaaaipuea
isloroo alle rÌTa. L'Italia è cireaadaia
d' ogni parte dal mare, aaWo che a aat-
laolrìooe dove aorfOBa U Alpi. Q«aida
daaqaa, fool dire, i p«pou cho aIaD
loofo i doa narì^ e poi quelli che aao
fra terra, # poi U guiaréa im tm».
SS. ChM 9al,9e. Batfigva l'Italia a
ueavallo. L'impcrator Giaatiniaaa, li-
Uvata nel leato aocoU l'Italia dai voli
per OBora di Beliaano a poi di Naaala,
▼i oraiaè on naoro fovama . la die •■
•adica di leggi cIm intilolè dal aia bo-
■M, a iperaTa di rialsarla all'antica
gloria. Ma raocoociato il frano a onaato
caTallo (int. riordinate le leggi), aebbana
■elti ateaer la mano par tenerlo , non
fnaMi onpredachalainiaraaiaaarif-
ae. 4ofee fM«y dofee noina.
•a-ae. inlomo dmU$ prod§, doè
90. 5eiif'eM0^ aansa
91-93. iMfaalab ae. Aki ninla di
Chieaa, €k$ dùwntU «taar tfennln,
ohe dorreali attender aalo alle aaaa di
religiena, e leeciara il Mvema dei po-
Mli a Ccaan , Se ftaM talaMK aie da
INa U ««In, aa hai intaaa il pracatta di
Crialo nelle Serittnan: miiin Citerà
quei ch'i di Cnmn: U mia ragnn mam
l ài fatti» wmdai mimm «ha wMUm
par CriUa, H wmtùUt a éimi aam-
InwtCaN* ae«
DEL FU AG A TORIO
Guarda com'esta fiera è falla fella.
Per noD esser corrella dagli sproni, sa
Poi che pone?li mano alla predella.
0 Alberto Tedesco, che abbandoni
Costei eh' è fatta indomita e selvaggia,
E dovre.ili inforcar li suoi arcioni,
Giusto giudicio dalle stelle cangia IK
Sovra '1 tuo sangue, e sìa nuovo ed aperto,
Tal che il tuo sucrassor temenza n'aggìa:
Che avete tu e il tuo padre solTerlo,
Per cupidigia di costà distretli,
Che il giardin dell' imperio sia diserto. i05
Vieni a veder Monlecchi o Cappellelli,
Monaldi e Fllippeschi, uom senza cura.
Color già tristi, e coslor con sospetti.
Vien, crndel, vieni, e vedi la pressura
berla dil HO BÌ|Mili Gioiinni d'Jtnilni
nel 1 308 l^l> rKU» di uiiilcra ijli nuli
ngioDe cov imn «corrnit <»|[ii «proni nhilrttlLiiì: qainJJ forte la id^giio drl
di (ipKi «VDJcilart, di OD iuigiiraiDra Poeu.
Mpinli. 102, il tuo (VMtMor, noi 'Ddi-
SS. Poi tht paatili mano atlapT*- tir* Anìga VII, di cni per ao IcfDfo
Alla. Prtdtil» D hridtlla. * iveììa iperìHim-dio alle «M d'iul'i.
' Villini, lih. VII, 4
nnlaoga: .plgtial
frne. i regnare
Ori duaqua si rqi
ngonua id iid a
olla, a av>]l() DoD
I
4 0 J. il giardin Mf «perla, iim
<iiia,aii'>EÌ«>a, l'iMlia.
t06. MtmUtthi 4 CapptlhUi: m-
L r.iii'K<i<GhilH>lliaed;Va»«.
pctHiia por qnalo a
iBsdMimi, ut ìuata
gerle, Il
<n. 0 Alberiti Ttdllto. Aibtrtg
d'Aoslril figliuolo dtll'imporitora lli-
dolla d' Hebìburgo , il prìiBo delle tua
i' Aailrìa, la della all' impara mI. pei dea
CMBotaig a 1299; Dà mii lolle pu. Jiicordi
100. Giulio t(wlÌcÌo,r,«i, ti
MOtiga. P» che «ncnai, a moda di
biit, tlU OUKtg lieleaU elie ebba
ai Filinpsihi mi icapàua ili r>-
De. Il Boti iolaDde: catara Eràti
liceodi nella loro
io: oBfUi Bel laro allita anara
in gli ani degli allri. la prtff
[""""a.
CANTO SESTOt
tèU
W tuoi gentili, e cura Vnr mi^agne, 4io
E vedrai SantaGor com'è sicura.
Vieni a veder la tua Roma che piagne,
Vedova, sola, e di' e notte chiama:
Cesare mio, perchè non m* accompagne?
Vieni a veder la gente quanto s'ama; iis
E se nulla di noi pietà ti muove,
A vergognar ti vien della tua fama.
E se licito m'è, o sommo Giove,
Che fosti in terra per noi crucifisso,
Son li giusti occhi tuoi rivolti altrove? 420
0 è preparazion, che neir abisso
Del tuo consiglio lai per alcun bene.
In tutto dall' accorger nostro scisso ?
Che le terre d' Italia tutte piene
Son di tiranni, ed un Marcel diventa isi
Ogni villan che parteggiando viene.
Fiorenza mia, ben puoi esser contenta
Di questa digression che non ti tocca,
Mercè del popol tuo che si argomenta.
M firfcMtarì od tio partilo, daMnoi ratora dall' anÌTano, del padre d'agii
fìuatizìa, wmt&r j/iilri».
12 Mas. O d frtpmmiam te.: •
eoo qaciti mali cba ai fai aofTrira proM'*
ta odia prufondiU da'looi ooMigti akaB
beiM im IfOlo scino, Mparalo,- loalaa*
dal Doatro inlendere?
4%. tm MareH. Farooo a Rana
di aoesto oome aomini aagnalalianaM,
fra I quali eolaì cba aapognè Siracia, 0
V altro che ti oppoaa alla Uramuda di
0. Ccaara. itm-cMlu$qm toquMX. L«-
cano. lib. I, ▼. 513.
426. OgnitnOanu. Ogni aoao dì
413. Vedati, perchè abbandonala contado cba prenda parla Balla faiioni
lava lo coma contro rantorìlà '
emrm ìor MogngiM^ l^rcndili
dai lora mali ; informati, CMO-
idli laro piagha, i loro bisogni.
444. A rcdrcf SmHtmfior, Santa-
im è ^M contea nella Maremma la-
aaa. Era Indo imperiale ; ma allora
perla neglige nia dell' imperalore a il
Imla falerno di qnei Conti, |Neno di
• di nibane. — com'è ticwro.
., aome ci ai vive bene. Il
Cad. Slurd. ba noma ti cmrm, cioè m^
■^è gatanMU.
I, cbe aei per la direi ione
affla Uomo mania. »- tote, daseiia
d'ama aiata. — cMéma, grida, dal
145. fieni •«fdarae., di cba odio
ai aditna Ira laro gl'Italiani.
l4ft-4aOM«effofli'd:queifaipm-
to è diritta a acaeare la troppo ardita
Som U fliuK oc. — • fommo
Cima. Caak cbiama Gcaù Crialo. Vero è
chi li iirala è profana per eaMr del
cakm MalaUica , om il Poeta fileeofo
Baasdali ba miralo alt' idea vara cbe
fi ala aaCta, dall'ente creatore e moda*
le, prcaome di dettar cenno agli altri,
e Tool reggere a tignoreggiara. Gib è
detto contro te gomte nmooo.
428. afte non fi foce*, è detta iraal-
eamente perrbè rirenxe^ all' appaata,
rìgnardava pia rb' altra città.
429. fliefcdp in grafia.— ti Affi»
Il bea ragiona , ai bea aravfada
Domigli, nella eoa daBbararia
Ed è delta irameamenla. Altri laa»
gono «'«rgomenln, doè, oi «iute, f'iì^
gogna, percbè tali diaordini
in le.
tB& DEL PDRGITOIIIO
Molti bau gìostìzia in cor, ma lardi srocrn, ix
Per non venir seniu consiglio all'arco;
Ma il popol luo r ha in sommo della bocra-
Molti rJfiman lo romnne inrarco;
Ma il pO[>ol ino sollecito rLeputide
Sema chiamare, e grida: I' mi sobbarco. iS6
Or ti fa liela, che in hai t>en onde:
Tu ricca , tu con pare , tu con senno,
S' io dico ter , l' eOétlo noi nascondo.
Alene e Lacedemona, che fenno
L'antiche leggi, e furon si civili, tiO
Fecero al vi^er bene nn picciol cenno
Verso di te, che fai lanln sottili
Pro\-vrdl menti, cb'a meixo novembre
Non giugne quel che tu d' ottobre fili.
Quante volte del tempo che rimembre, >*6
Legge, monela, e uRci, e costume
Hai lu rootalo, e rinnovato membre!
130-132. Moia hmt gimtàia in 136. Or lì fa (tela « Pnirgai
rorfe.llnUi probi cMTieÌlUilÌiiiei|iiÌe l'ironli: cM lu lui ttn ntdc, eia*,
•llroT* inlndo» it giinlo e ragllHW il eba lu bai l»ii ri|;iiiu Ji tillrgrarlì.
fìniln; mi primi di dirtriittiin, pH- lóT. Tu vieta M. Etto i tri flm-
prnatt, o islla toma pabblka, per li- riccho», li p*», !• «picim- Pran-
■wn d'HTir* B piiuiB brer, • Urdi nn li prìnit , «pnllulto , rigricullun
il papui Ino, D Fiirnn, non hi biu^oo tione «.; li ttm gli ilndj oBmti i
BÌiMtiia*a^uiliiD«ir urBonicnla i kn la MO. /Unm (I dt'If. (bberoii m
fi'wMtt» lulU lotAni: ti drlibeniio- «llenti ordini di gotrmo.
ni, pnaBiuit dnrili cb'^li dì« di 141. Pietro ■! Dnrr »fiw ee Fc-
gÌBiliiioi rno K lii rcMRioiM puti- erra «n pimi futa allo drilli drll*
" "* ' " mora di tili , Vino di 1(, io pingnoi di
™.-|rl- lo«.
U3. ttUili. notili il utt di iiiHiti
iifiilralan. d' ing»n"oi^ , « ài p«o durcK.li
• .ironMIa- Ì1J-N4 cK'»mnioiiottmtrrtc
iif- QoiiI PuclBliwitl'iniaia.fprr gfudF
iti) diiJrgnn pri^ro«pc in tprrli rìvprVTr'
■■D- ri. — /Ili, ordini.
Ul iti. M limpa tSt rimtmtrt, àoi
F«jv boIId IpBf io dfl IflOpD , dvl i^atlt bij
CAIVTO SESTO.
W7
E se ben ti ricorda, e vedi lame.
Vedrai te somigliante a quella inferma,
Che non può trovar posa in su le piume.
Ma con dar volta sao dolore scherma.
160
148. ««....Midlì /UHM, M hai chiaro liatiniia comparazione, e d'una per-
3 luM dalPmlelletlo , M ragioni. fetta convenienza I — ieherma, npa>
454. con dar «o/te» col Toltard ra; doè c«rca difeoderri dal sao do.
ar dalF una parta or dall' altra. Bel- lora.
CAunro semaio.
iVp* l9 OH» mteùgUmat mt mmtitHÈdlif, 9àt S^rdtUo «m smm gnut Sùrprmm eké fuggii #
nrfili», 0 Itttaméi lui ma Imago tUrmm. Riekiutm fmindi éml «awmw PmHm d'mUum imdixioptr
taUn pm tptéUm mi Pmrgémhm, gU jé «//kv « gmiàmt mm ttatné» Helmo M tnumomtù d«t gim mo,
U tmdmm i« mmm wmUtmm tmiwmtm mèi otoM» p0r im pmuar U mmttt, Stmmno Im f ud luogo mme-
tiuimm «Mi pfimapt tao tmWotetipmH dti mumémmi bttrmmdimtmH n$tr*mromo mWmltimo il ptn.
év M Dio, rmi$ mimi mo mééUm Smréttim,
Posciadié r accoglienze oneste e liete
Faro iterate tre e quattro volte,
Sordel si trasse, e disse: Voi chi siete?
Prima eh* a questo monte fòsser volte
L* anime degne di salire a Dio, 6
Fur r ossa mie per Ottiivian sepolta
r son Virgilio; e per nuli' altro rio
Lo ciel perdei, che per non aver fò:
Cosi rispo-e allora il Dura mio.
Qual é colui che cosa innanzi a sé :0
Subita vede, ond'ei si maraviglia,
Che crede e no, direndo; eli* è, non è;
Tal parxe quegli, e poi chinò le ciglia,
È umilmente ritornò ver lui,
E abbracciollo ove *1 minor s'appiglia. f6
I. VteogUenxe. Allude agK ab-
kractiaiiieflAi di >irgiIio e di Surdello,
di rht al rerm 75 del canto pree.
S fi frofxe, cioè, s' arretri.
4^5. J^rima eh' a quetio monU §e.
Prìna dw la anime degli eletti ireni»-
aaro a viiriBeani in queeto Inof»; o,
prioiaeiic «focato montr divrniaae la ria
par andar al cielo ; il che Dante avppoea
arv«n«to dopo la morte di Gcaà CnaCo,
aaodochi prima il delo non foaae aperto
ti mortah , • la pnrgaiiooa ai facaaaa
altroTo.
6. per Ottatian tejwlU: par cura
di Ottaviano , che , a «vanto difi , U
fece traspoitore da Bnndiai a Napoli
'7. riOt reità.
t. per fum«rvr fé, per non arar
creduto eovivrnMUleOTeiila in Dio a «a*
Tentare Riparatore. •
14. riiomò ver M, parche, e»
m'ha detto, ae n'ara diaeoatoto dopc
gli amichevoli empiemi.
15. ove 'I minor fappiùHm^ cioè ai
piedi, o ai ginfKthi. Al Canto Xll,y 180,
radeai Stazio che Già 9i ekhienm etd «è-
kraecimrHpicéi Mmio DoUor. Pren-
iearegenvM, uwipUeii genma,tnyìtmo
^^F ^HI^^H^^H
988 DEL PURCtrOBIO
0 eloria de' Latin, disse, per cui
Mostrò ciò che potea la lingua noslra:
0 pregio eterno dol loco ond' io Taì,
Qual merito o qual grazia mi lì mostra?
S' io son d' udir le lue parole degno, M
Dimmi se vien d' Inferno, e dì qual chiostra.
Per tulli i cerchi del dolente regno,
Rispose lui, son io
di qua venuto:
Virtù del eiel mi mosse, e con lei vegno.
Non per far, ma per n
on fare, ho perduto li
Di veder l'alto Sol che tu disiri,
E che fu lardi da i
1)0 conosciuto.
' Luogo è laggiii non tristo da martiri.
Ma di tetidbre solo,
, ove j lamenti
Non suonan come |
;uai, ma son sospiri. W
Quivi sto io co' parvoli
i innocenti,
Da' denti morsi della morte, avante
Che fosser dall' um
ana colpa esenti.
Quivi sto io con quei clie le Ire sante
Virtù non si vestirò, e senza vìzio 3&
Conobber 1' altre, e seguir tulle quante.
Ma )« tu sai 0 puoi, alcuno indizio
Dà noi, perchè venir possiam più tosto
io Viriplio, in TdcU» t ■<a •Un. Si >>i>li
rrliRiane d..l t(k> Dio , < MODde «urlìi
26.' fallo Sei. Iddi».
27. the fa tarili ia mt amoteiu-
neri il idiiiibo Pndt.
(0, noè ><>lo dopo morte.
il eléchr pena Ut (fiif iw ueilra.
ag. da «arlirf, prr «gione di
H Intendi 1. t.liu., cb. ««.no [. p.r-
^^ lire pia tneit t toa piò ■rtnt.i tbe
H \ \rpL. L M,„, H,!,a. perrht ti».
H nuJoRti «litbi ll,li,BÌ..{i;«i gì..
3!l. Ila di tn*bn »b «e. Vwp
ìie prri. ».« gli .Itn aamini TÌitH»
o groHli , >U in 1i'.so illuuiMt*. Vedi
iicioi..i\ drirm/fr».
IIIM <l« r*piiUr>i Unnifra. MU !■-
53 JellHWUM lelpt, dot dil
liu llngu, più cht nri munii ir\
II. l.ilo il g.'.m un..n«. Om,u in
Adam prcciKMTUiil. — fittiti, dai pai^
) M »F>lo .fa. l. p„lt
(ic. del .cbu l.lino aim-. libmli,
purgali n.rl'ii^H d<l bmoimo.
5*-3S. cht U Ut »*!( 1 tri* *c.
^B Ib**' F""' <l>^ÌrEÌii>rr1iS«rd<iL|a.
^H V.Oimmitttimd-hfenurc,
Ini le<rr<irliil«log)cfae, r»l*,^«-
^V cM: 4lm»ii.>ln>i ^'Inr^n... xliin-
nnii ccorìli. — ■(nuam'iip.tHri
^H mi il •Mi »iTt>H> ■• ncinto di n»< In-
1 lenstiNd IcgiforfivHtrMiwIra.
d-.,.-! «„.. '^
». raUn.milelenrtàdMioM
25 Aon pn- far « , ni. n»n uit
KOHid., 1. l<-,.|jf Biiiinl* e II ctnl*.
S8. fW n«i, di « poi.
CAirrO SETTIMO.
Là doire il Pai^torio ha dritto inizio.
Rispose: Lnogo certo non e' è posto :
Lìcito m'è andar soso ed intorno:
Per quanto ir posso, a guida mi t* accosto.
Ma vedi già come dichina il giorno,
E andar sn di notte non si pnote;
Però è bnon pensar di bel soggiorno.
Anime sono a destra qaa remote:
Se 1 mi consenti, menèrotti ad esse,
E non senza diletto ti fien note.
Com*é ciò? tà risposto: chi volesse
Salir di notte, fora egli impedito
D'allrai? ower saria che non potesse?
E il baon Sordello in terra fregò 'I dito ^
Dicendo: Vedi, sola questa riga ^
.Non varcheresti dopo *1 Sol partito:
Non però che altra cosa desse briga,
Che la nottarna tenebra, ad ir suso :
Quella col non poter la voglia intriga.
Ben si poria con lei tornare in giuso,
E passeggiar la costa intorno erranflo.
Mentre che l' orizzonte il di* tien chiuso.
Allora il mio Signor, quasi ammirando:
Menane, disse, dunque là 've dici
M9
40
4&
60
66
•0
99. iriilo imixio, Tcro prìnrìpto,
b, «re comincta Terameotc. Ciò dìee
perchè finora ti erano trattanti dora
lUa U aniau non andia ammeaaa hi
Fargatorìa.
40. mam t^è poiio, non c'èaMa-
Seala.
42. Ptr fiMmlo ir peno, fin dota
■it pai «a^o inoltrarmi. — a guidate.,
doè, per gnida, come gnida m'aeeoiB-
pagno a te.
45. Ptrò è bwm tt. : però è kena
pcnaara ann bel hwfoper paaaarri la
uoUa.
47. SéI mi contenti, te. Abbiamo
accHa ^eala leiione del Cod. AntaM.
con» pie ekfanta della lagnenla dia
danna ahra adinoni: St mi eon»tt^
ti, rii wurrò od ttm,
A^.fn ritpotlo, aoltint daVìrgilia.
SI. orver feria te. 0 atieriebba
cb'ei non ne averne in aè il poterà? —
Convinti dalle ragioni dell' editore ro>
mano, abbiamo preferita ^aaela ■«..«-
ne alla comune , cbo è la segnenta : •
non tarria che non potette; la gitala
Teniva ioterpreUta , o non toUrù , 0
no» tatirtbie, per non poterò ? Da «•-
ter faceti in antico tatrt, a qvindi anr^
re, il che avvenne anche in altri Ttrbi.
54. dopo'l Sol pmrtito: A aola è
«mbolo della grazia di Critto , la qnaln
maorando , non pnd l'aomo far an |
nel cammino deUa cristiana parfc
Puè ancbe significar la ragioaa ilh
nata dalle scienze per cai aolo pnè e
aegairsf il miglioramento della toeiatk.
57 . Qnetlm eoi non poter ee^ QnaUa
tenebra eoW impolenaa di cai è eagiaM
rende tanza efletto la faglia cba eia»
tenna arrebbe di aalira.
58. eon lei, cioè eaUa taBcbra aoC-
tnma.
•0. Jfemfff éke Fmigionie ee. In-
tendi : mentre il tola tla aotto V
fante.
\^
I
290 DEL PUBAATORIO
Ch'aver ai ptò diletto dimoranda
Poco allnngiti e' eravaoi di liei,
Qoand* io m* accorai che M monte era scemo,
K goiaa che i valloni sceman quici.
Colà, disse qoeil' ombra, n' anderemo
Dove la costa foce di sé grembo,
E quivi '1 noovo giorno altenderemo.
Tra erto e piano era un sentiero sghembo.
Che ne condusse in fianco della lacca.
Là dove più eh' a mezzo muore il lembo.
Oro ed argento fino e cocco e biacca,
Indico legno lucido e aereno,
Fresco smeraldo in l'ora che si fiacca.
Dall' erba e dalli fior dentro a quel seno
63
70
S4 diHH, di n.
65. era tcemo, era iBctTato.
66. A guitaehtifttMtmiee. Come
le Talli neir «iiiinfenu da nei tbftalo toi^
mano incavamento.
68. face di iè grembo, fonna ia tè
ttesia una cavità, un 8«*ao od monte:
t'ilitfrna. Qutrala cavità , come ai Vfdrà
in apprnao , e rircoadala anteriurmeirte
da un Irnibo , da no orlo rilevato. Vedi
la n»ta 72
70-7 1 Tra erto § piano ee. Il CnaU
spiega : tra V cria costa e le strada pie-
na j per la quale caniminav.inio , era un
sentiero <il»li<|uu , lortnueu, mi eentiero
tghemèo , rbe d cunduwi* alla N|iMida
della lacca, due drlla camita supniddtiU.
Ma Ira erto e piano putrflibe enni ai-
gnifirare porle rrl». p«irfe ptono, qaali
so({lìiino fsarr le vir a travrrstt i m<Niti. E
qoesl» mi pare il verno vero. — in /kliH
eo delia laerm, all'uno de' lati di i|Bflla
cavita riicdiare; ad una delle cklrcmità
deirwrio rhe le rircunda rsifiiiH mente.
72. IA dove più ek' a messo ee. ,
cioè, là d<ive il Iruibu chi* cii i-oudv quella
Iacea mmore , vnhi manco , e i ilevatu la
m(>tà aif ni» che negli altri |Miiiti di eaao,
di guiu che nel dello lat» la diocesa
ebo cunduce a qwd «eoo e diddeaima.
Ma per intender bene la fi|pira di que-
sto lutigli, immaginiaiiHi che il miuIo del
girmie in eni liovanai i PtHfti, a vm eer-
to luogo e per una piccola estepiinaa
a'arvnlli, e fonm una cavila, il eoi fondo
dcriim paaau passo al mtHile , a a'intar*
ni alquanti» nel fianco della soprastaato
pandica. Gò iauMghiato, eoraprend^-
raoM dia dal lato medio oppoalo al mon-
te la ptceula valle è aeopèrta e aenza ri-
paro aleoBo, ma dai lati di fianco TÌeoa
ad evere eome dna spomle o argini, i
q«ali hao la loro maggiore allena dove
81 «uiscono cid mimte, e di mano in
mano diminaemlo andranno a perdersi
nella parte anteriore della valla dov' è
l'apertura, a d'onde eomincia il andò
ad avvallare. Oi a si fissi l' attcnxione sa
qnd de' due lati della valla , nel qaala
aoao ì Poeti: il pante intermedio Ira
l'origine di queirargioe o apooda, a
rastremila di esso, sarà quello ove P al-
latta dd lombo amore a awssa, cio4
toamUee per wtetà. Se da qaeslo aaa-
losi pniceda verso il prindpio delrar-
Talloiiiento, e sin dove la spoada Boa
ba che riiTa tre paMÌ di «Itefla, saraaw
al lutiffi» indicato dal Pt>eta , dooo p^
A' a tmnut muore ii iembo.
75 «74 coeeo: ««cola d'aa fratiea
oade gli antichi tiravano aa bd
^biacra, iiialeria d'un colora
aimo. die si ottiene eoa ano
ne diiuiica. — /a4ico Ugno «e. .- faaalo
è forse l'ebiino.
75 Fretro «maraido. lat. : ame-
raldo dflla uià fre»ca e pia recealo sa-
aarlicir — ta l'ora eh* §i fio€tm, cioè
m quel pantu die ai distacca peata da
peno lu c«ital paniti la sua »aperfiria è
pie liacia e di pie hi'l verde. Il God. Po^
giali U.:ge allóra dba fi fimrem,
7a. doniro et qwel wemo, ia qaella
valleiu.
CANTO SBTTUIO.
Posti, cmnin sana di color TinlOy
Come dal suo maggiore è vinto il meno.
Non avea par natura ivi dipìnto,
Ma di soavità di mille odori
Vi foceva un incognito indistinlo.
Sah^ Bfffma in rat verde e in su' fiori
Quindi seder cantando anime vidi,
Che per la v^lle non parean di fuorL
Prima che *1 poro sole ornai s'annidi.
Cominciò *ì Mantovan che ci avea volti,
Tra color non vogliate eh* io vi guidi.
Da questo halxo meglio gli atti e i volti
Conofrerete voi di tutti quanti,
Che nella lama giù tra essi accolti.
Colui che più siecl*alto, ed ha sembianti
D* aver negletto ciò che far dovea ,
£ che non muove bocca agli altrui canti,
Ridolfo im()erador fa, che polea
Sanar le piaghe e* hanno Italia morta.
Sì che tardi per altri si ricrea.
%9\
so
86
90
95
7T. citffim. Int. di qneIR oggetti
£ il M crfarv èi sopra rammentali.
7f . «OM «re* fmr natura ae. Na-
tan BMi ■ era contentata di solamente
di|wngiiayiel terreno di oo' infinita ira-
rfetbdÌMMnjBn d4*lla««ia«e fragrama
di aiDr «dcrt vi airea creato un rumpo-
•!•,«■ aiat», «mtii(M«ffnlo, incognito,
pcrdiè Balli avea di timile con qneln
dcNn MaCra terra.
aa Qmtméi, dal Inogn ore cogli al-
tri tf« vcnntau — 6alrr Rt^na r nna di-
Tota aatilana in lode ilrlU SS Vergine
At InCtnaM canta dopo il divino nfficto.
Oneat* mmm appartcng«>no pare alla
qanrii ciane di negligmii: tdlamenla
kanao aa Inogo distinto in rigvardo del
loro grado prìncipeiiro.
84. Or per fa ralle te.: cèe per
Mgiaaa dclfa cavili della valle mm ri
pofaaaa tadare dal Inogo. fuori di ana
valle, dal qaale noi erav«m venali al
fianco della lacca. Vedi il verso 74
a5-87 l*HBia che 'I poro $ole te.
InlenA : il Mànlnvami {SiirJcllo) ehe e{
•reavAlM. guidali eoll,c«tminrtò a dira:
aoa iiagliaM eW ia vi gnidi tra rnlnro
prima Ac qael poeo di ginrnn che rì-
Bana, fieiaca. lliaa«o/H a cagioaa del
cammino tortaoao, a che qna a 11 ttì'
geaai, pel <|nale gli avea guidati.
90 TAen^l/a lama ce. Suttinteodi:
meglio che min ctinosrereale se faale «^
coHi fra rasi già nella lama, cioè nella
ralle ; pi>irhè ivi qndlc anime die pri-
me ti ofTiireU»<>ro agli occhi rnstrì,
T* imprdirclibero di vedere le altra cha
stan dietro.
91 ■ ekt pie tlctTallo. Coma impe-
ratore. ^ ed ha iemhiamti Cuti la
Kid. meglio a paierniiochrlacom.e/<(i.
93 rke non muore 6ocra, cioè che
non canta Safre Aeytiic, coma gli altri
fanno
94 . Midoifè, di Habsborgo, il padre
ddr imperatore Atbrrto d'Austria ; del
qnal Ri«lulfo dice il \ iflant, lib. VII, 54,
che se avesse voluto passare in Italia,
sema contrasto n'era aignora. Bidolfo
mon nel IS'.tO.
96 51 cAe farrfl te.; t\ die il
•occorso die altri volesse recare ali Ita-
lia sarfbbr tardo. 0\«cro: ti cba tar-
di, fuor di tempo, essendo ella ornai
aorta dt* Ile sue piaghe, altri tentare di
ricrrarla,di gnanria. E nsato, coaie al-
trove, per pia rvidrnza il pretante ti ri-
crea por il fatare ti rierttrd. E fttrta
DEL FDBCMOniO 1
L'altro, cbe nella vista lui conforta, '
Resse la terra dove l' arqua d3»«,
Cbe Molla in Albia, ed Albia in mar ne porla:
OUachèro ebbe nome, e nelle fasce
Fu meglio assai che Vincislao suo 6g1io
Barbuto, cui lussuria ed ozio pasce.
E qnel Nasello, che stretto a consiglio
Par con colui e' ha si benigno aspetto,
Mori fuggendo e diiìlìorando il giglio:
Guardale là, come si batte il petto.
L' altro vedete e' ha fallo alla gnaocia
Delle sua palma, sospirando, letto.
Padre e suonerò son dei mal di Francia:
Sanno la vita sna viziala e lorda,
E quindi viene il duo) cbe si li lancia.
Quel che par si roerabrulo, e che s' accorda
Allro
di Ani^di barbi MUcI
iiiba
I
«»™'*"Ili.«lia a- . •
■an II soglia, «111 aa ne la, * tOBtkiH
a^Kltar* Gnclti rwl folilliili (an gin 11
Vnipa IM I* riparti, nidaira putini,
>oa lolla; Arrigo micia, bob pi>l«.
9'. tht Ulti» villa Imi cim/'Drìa.-
alwni<alradÌeoi.I<»UrlD.
)8-«l. Reiu la Urrà h.. cìdì li
llulUD'Hul<1»i,riu
JiNiivaiT«,>)>llt>ilCi
l-ri|D 01
«■«(uggirBiPam-
cUiando far --■-"-
Francia, cbe bi per ilraina il mUo.
106 comt ti tali* il pillo, li M-
gioMdi ,iù tidillil «no 110.
107-IOS l.allra, cioè it Mpr*Ì-
dotlo Arrida III re t< Nifim. — la
falla alla oianeia ce .- mpiniida il
r.llo .ppuiTBi- di "■• dell, «w pitM
alla dDincii' Quoto à alla di cbi t
L
^Otl-^a'ì.e luat faia. Inlandl
bhI'' iperboli, dii dmgliitiiìMofii
■ao ii|[io V^yio'd'
nlli
t'hiama Filipmi il Srllo, ed * «fro-
lli . li latHia, gli IrapiMa, |U b-
4I2-M9. (^ e** farti wtm.
CAUTO SETTIMO*
tn
CanlaDdo con colai dal maschio naso,
D*ogni valor portò cinta la corda.
E se re dopo Ini fosse rimaso iU
Lo giovinetto che retro a Ini siede.
Bene andava il valor di vaso in vaso;
Che non si pnote dir dell* altre redo.
Jacomo e Federigo hanno i reami:
Del retaggio miglior nessnn possiede. m
Rade volte risarge per li rami
L* omana probitate: e qnesto vnole
Quei che la dà, perchè da lai si chiami
Anco al Nasuto vanno mie parole
(Non men eh* all' altro, Pier, che con Ini canta), m
Onde Paglia e Proenza già si doole.
Tant* è del seroe sno minor la pianta, '^
4\9. Jmeomo m. Intendi: Jocomm
e Fcdtrìgo. scinoli di PiaCro III, h^wam
ì rMmì •olamcDto, il primo l'Aragona,
l' altro la Sieilia, ma naaiva di loro poa*
ùada reradiU misliora, cioè la Tir là
patema. Il Bnti ha: ma*l rttmg^Ì9
wtiglior.
42M25. Rad» aollé ritwrg§ «e.
Rada yolte 1* umana probità dal tronco
•ale nei rami, doè rada Tolte dagli ati
paaM ai nipoti ; e mietto Tnola Dio,
perchè da mi ti ektawU^ a Ini ai do>
mandi, che è fonte d'ogni TÌrtè, a da
cni ado ?iana all'anima la vara nohil-
tk, U Tara grand<va, non dai nateli, «
né dai tnperhi titoli.
424. a<JV(u«fo, detto disopra, cioè
a CarloI re di Sicilia. — iiti§ parole. In*
tendi : intomo ai figli degeneranti.
125. ck§ eom M, cioè, con
Carlo nasuto.
126. Onde Puglia: cioè, per
Ha a Pm
Pietre III. che In £
membra: in coronato
p.— 1.^1 4276 : ebbe in moglie
figlia di Manfredi, ed oecnpò
éofa i faBMai Teapri. Sa ne è
mtka altrota. — che Raccorda
ìtmda, che canto te Sahe Regina
•aW dal maachio naso, doè con
Orla tradì SiaiUa. Credcai per alami,
», aaaottdo che è più o meno
, ai poasa argomentare la
• minore fona firila.
144. Vagni valor te. La corda
dilli ai lombi . come notammo altroTo,
è mabole adla Sacre Carte di alcuna
fisti prolmaate , e per lungo oso fatte
fwd sntare. Onde qui si tuoI dira che
aiW, Pietro HI, andò cinto d'ogni
■amara di Talora , ebbe ogni virlà.
444.£tf gtoHnetto. l'ielro 111 ebbe
Cifra figlinoli : AlfonsOf Jacopo, F^
go e Pietro. Crede il Coste die il
gieTUMlto aecennat» sia Pietro, che non
aneeaaM in aK-nno dei reami patemi : io
paiòion d'aTvisocbe yoglia dire d'Alu»a>
ao, il primogenito, che n«l 1285 soceea-
aa al padre nel regno d'Aragona, e mork
seau figli nel 12u4 nella fresca ctè di
29 anni. L'eapreasioae fot$9 rimato fa-
voriaee, a parer mio, queste spiegan«»na«
4 17. di ra<o in voto. Int. metefo»
rie., di padre in figliuolo, di re in re.
448. Cito non ti pnote dir te. Il
che non si può dire cmere aTtanoto d^
gli altri ercni.
giona del qnal Cartel. Pugli. «. .w.,^^
la si dolgono del mal governo che na
fanno i dlie«*ndcnti di lui. Int. Carlo II.
427-129. Tante del teme ee.Tauto
la piemia, il generato, Carlo II, è mi-
nore del generante, Carlo I, quanto Co-
stenu tt Tante anc'oggi (poiché nel 1 50#
ara sempre viva) di marito, pia che aoa
aa na Tanteno Bcatrìca a Margharite;
doè, tento peggiore è Carlo II di Car»
to I, quanto di costui fu migliore Pia»
tra III. Insomma t* è tento dÌTarìo ta
bonU tra Carlo il e Carlo I, quanto «a
t94
DEL PmUSAIOftlO
Qatnto, piò che Beatrice e Margherita,
Grostaaza di manto ancor si vanta.
Vedete il re della aemplioe vita m
Seder là solo, Arrigo d' Inghilterra;
Questi ila ne* rami soci migliore necita.
Quel che più basso tra costor s' atterra,
Goardando in suso, è Goglielmo marchese,
Per cui e Alessandria e la soa guerra m
Fa pianger Monferrato a il Canavese.
n'era tra qnctl' oIUom • Pietro IP Ara- bsooe ra, il ^ale feee gran coee. Qne-
fona. Pietro d'Anneoa ebbe in niof lie
Coftanxa Bglia di Manfredi; e Carlo I
d'Aogiò fa marito da prima di Bealriee
Sglia del conte Reinnndo di Provenia.
e poi di Margherita Sglia dMInde dncn di
Borgogna, rorae il Poela ba nominato
eoa) queeU dna prinripi per le loro con-
torti, volendo moetrarli ancbe dal lato
deUe Tirtà deoMalicbe e delle fentiUna
dell' enÌDo, di cai le aMgli aoao per
l'erdiaario migliiiri giodia. Molti eo-
Bentatori. tra* qnali il Ceaia , crcduno
ebe Beeinee e Margberiui licno le dne
Sglie del eonte di Pioverne meritate,
la prima, come a' è dettola Carlo d* An-
«ò, r altre e Sen Luigi fratello di Ini.
Ma eam' entra qai San Luigi ? Altri la
anppeaero le mugli de' due Aragunen
Jacopo e Federiga ; me eltrecbe ai fa-
rebbe ripetera al Poeta nn eooceUo gik
eannzieto di «opra, aappiamo dall' iit<^
ria cbe mtiglie a Jecopi» fu Bianra, e a
Tederigo Eleonora , nglie ambodne di
Carlo II.
\Z\. Irrigo. Arrigo III d'Inghil-
terra, figlinolo di Giovanni, fn tfmulica
■omo e di buona Cede, a padre d'GJnai^
do I , cbe , ticcome dice il Vdlam , fa
af Arrigo fn poeo alto alle cose dt* I go-
verno, tanto cne il tuo regno fn turbale
da tumulti e da aedìiioni, e nel 1258
i baroni , ebe aveano alla tetta il conte
dfi Leiocater, gli ai ribellarono, ed ri ne
reato vinte e fatto prigione, finché il
figlio Io liberò e gli reatitni il trono. — >
Sed9r ié toi». Dice aolo per eianificAra
dM i ra di semplici eoetamà e li bnou
fede tono eeaei rari. Gfaccr Ié 9ot§
legge il Cod Poggiali.
i32. ka... migliore «arite. Intea
di: è più Mire di Pietra e di Carlo I
nei enoi rami, cioè nella ana pref i^ ;
porohè Odnerdo tno figlio fa gran prin-
àpe, ed aggiunie all' Inglnllem il pti^
cipato di Gallea.
453. Quel ek§ pie batm «e. Gi-
glielmo , miircbeae di Monferrato, per
Don ewrra di aengne reale è ^ poeto
più bantu ileyli altri. Costai fn niaae da
Snelli di Alessandria delle Peglia, e lia-
binso in una gabbia, dove mon ik d^
lorc nel 42u2. Sego) onindi ana goerra
crndclr ira gli Alessandrini ed i figlinoli
del niarcliese, ot^lla ijnele cbber la p^
gio quei del Muuferrato e del Caaavese
ékie suatcaevan la eaaaa dm lem aigoori.
CJkXVO OTTAirO*
riM* !■ strm, « émt ^«««fi sttmémm 4mt Ci0f m fuarMm éettm vadt Arf màUtm ttrft
mHU imstétmlm. Ntllm ^usié tmoUrwim fr« ittmkrt • Tarn, natmatee rjhgàitn Ihmét^f'i-
tt et Pisa, mm «Mi M trmmtma ai^ummm fmftmmmmém B»t'^ m fwwi» ttmifo tt »«ft, • ffM Jl^
M rfi avMaia* rpMNi, • «at sttm mmttm rf«U* «ft I» fmtmitm. Dstm «è. mmift m Dm0r Cm/^
Miimi^'ud^iad*mé»mmu99 4«àamifmmfmUà niyrft il IW«« Mo ■• MTammim rfl
mC«
Era già T ora che Tolge il disio
Ai naviganti e intenerisce il core,
1-6 Era già Form te. Coelr.: Era già fora che volge il ditio e imiem^
CAlfTO OTTAVO.
295
IO
15
Lo dr e' blu deuo a* dolci tmid addio;
E che io novo peregrìn d* amore
Punge, ae ode squilla di lontano,
Che paia il giorno pianger che si muore:
Qnand' io incominciai a render vano
L* adire, ed a mirare mia deir alme
Snrta, che i' ascoltar cbicdea con mano.
Ella gianfo e levò ambo le palme.
Ficcando gli occhi verso l' oriente,
Come dicesse a Dio: D* altro non calme.
Te lueii anie si divotamente
Le osci di bocca, e con si dolci note,
Che lece me a me oscir di monte.
E r altre poi dolcemente e divote
Seguitar lei por tutto l' inno intero,
Avendo gli occhi alle superne ruote.
lentN», cMÌccbè rtità quello per me an
MDMivano.
9. Suria, «laUii ia piedi. Qnrlle
aiiiaie, rtmie è drtto, MdnaiM in sul
vci d« e ìd MI i fiorì. — chgVmMeoUmree.,
che rolla meno Cereve eeono alle altre
accittrcbv i' ■«ciilU«eere.
tO. Sllm gi%tm»t^ éìt do) iaeieflw;
• Uro, rd allò le mani : è l'aUefgia-
laente di clii prrf»a.
1 1 «erw /' f»Heftli. Gli •■liehi cri-
eliaai, orando la nuile, volgevaoo la bc-
eta
4t nuore mi ntniganli. Lo <H (ta
faci gìanifi) eh^hmn dello euLlin adnM
maM,eeh»pumgeémmereilmnrop0-
fw§nmm,m edw ec. llepMMrrdi>lla luee,
i dorano én latto il rrratii fa ai che le
imai|ÌBÌ drilc eaae piò rare rìtiinmio
^ìfemme •ll'amnio. l'errìò dirr il Pnela
Af ««fseirora (1* ultima di>l iptirim)
Af lalaBcrnce il rvure ai dh vigenti ,
dartaadvTi il drtidrrio dr|;li amiri a
wm kaa detto addio ^elto kiraao di ; e
cW panffi d' amore il nmHIo viaa-
èmtUtj nné fti fa arutire un m4*lanco-
■■•• Jaridtna «lei laonati runijiniiti ed
aaìcì, «V ode da Innfp il ««uno di al-
ana cmipaoa. La rampane a r«i si
eval aeminare , è <|ueila * hr invita aU
rjw Mmrim della «ira. e rlie vera-
■MSCe adita in qnaUlir «iistiin/a i|uando
•fin eaaa ti lare, e l'ofiilira s'a«aii/a,
pare cW pianj^ il gi«»rno die finisce,
••de ai aolilano «iaiulantr s'ereri^are
la BiettiEia, e il dnidcno lidla tara pa-
tria ■ Cile Mie^ ita, rhe incanto di pitraia I
C q«i ti ncAi come l'AlijbHni Don Milo
lìipilla ffrligieaamente i dnmmi fMla
S. Cfciaw , HM anca le pie erede me e le
di«i4e unaeinanfa, da cai a tempo ta
trar partito per ìulareaMre il c«ere dei
•«•« leggilon.
7-a mrmdrrtmmVmàirw.CMk^
t Doa adir pia eoaa air una ; o qaaado il
■io «dito non fo pio efleCtn da •■•ao
alcano, a cagiuae del tn|iraTTeflulo ti-
poi
a i|iiella parte doade nasre il ade,
•'he (■•cieiilera\ano il aole orteate
eoRie nimlitilo di <ì*iii Criato, hatoratore
della natura aniana rorroltadal peccalo.
12 wm emltmét noa calmi, noa mi
raro d' altro che di pacato biìmIìco
orirmte,
13 Te lurii mnU, è V inno che si
eanta ibllat^ieM nell'ultima parte del-
ruflinn«li«imi, che direM rumpieta.
17 />er ImIIo/' inno intera. La pr^
ghiera rontenula nella aeconda alrofa
dfirinoo fio Olio eoBvrnivaai earto a
•luelle anime libere timai dalla earm-
Dfiue della materia ; ma lo faUM etia
per ^lei rhe «iino ancora in vito.aap^
riatmenle pei grandi, che viveooo, co-
ni'eoii un it'nipo, tra gli agi e le daliiie,
tiioo più e«p«>»ti agl( aMalli dello ipirito
di losMiria Ma %rdi Milto la noia 19.
18. cfieiafNnie mole, alle roiauli
flfere rrlcvtt, al rii'Io.
Agniza qni, letlor, ben gli occhi al vero,
Cile il velo è ora ben tanto sottile,
Certo, che 'I trapassar dentro è leggicj
Pvidi quello esercito gentile
Tacilo poscia riguardar in eue,
Qoasj aspettando pallido ed amile:
E vidi uscir dell' alto, e scender giu6
Due angeli con duo spade aETorate,
Tronche e privale delle punte sue-
Verdi, come foglielle pur mo nate,
Erano in te^te, che da verdi penna
e iraÉn dietro e ventilale.
L'un poco sovr a noi a star st venne,
E l' altro scese nell' opposta sponda,
SI che la gente io mezzo si contenne
Ben disccmeva in lor la testa bionda;
Ha nelle facce l'occhio si smarria,
eDifioU dclli vuiiHiB (he urna p<r D4r
rirli ; pircioccUilMDwnuiriliili ou
(icilmrtilc li put psiulrtr*. Ui dil
I
TcnkurB ■ ilihutuls dijli uultì dd-
l'inlcroili urpeoU, cb'igii ftrttim
Ilio IcEgc il CoiTacL
37. pHralf dttU fwib (m D>m
priY.!» .d.ll..piiule .ne, P.r .igo.fir«.
ella li gmUitu ilimiii, ilijli quili •sdii
■ìitiliBlo iiueilt eplilt, HDD t mù dii-
Derno dice, che nella dae >ped» .pan-
qai topn sp»U. Straudo lo» hl»-
leu degli engeli »bo Gfarali i rìmtdj
utlilt. ebe Hiui ODI t>iI> dqIId ■roU
UDO ■olaintDla foEire. <■«> tpooge-
> peDetnU* * hcilg pMMr olirà Hon
tntrlJrla, • ipp<ll>rii o«t kidjiIki ko-
re. E ti tugano »ll' ocaiiona, aiutale
w iMI> IvIUra. Me qnnu u cbiimie-
Anteli.
nkb* « Tolet Ironie il ptl ■•li' uo».
28-29. Ttréi tt. Tmlì tm* in
B ohe UH Ji sia nelDrelt clioanErlira
vt$U, dica «m h(l modo portin, iaien
di dira: Tardi a>e*aiio la teili. Ttllt
il Idton cb* «Ilo le dt»n.i.^. <he w-
p* iti diiflio one dotIr.n. o o» .roso
(>1»r. por «,,1. ~ tome fottiMp^r
fat Btntttv fetilniiHile, twnds l'it
legarnneiuiieiint >l »»» propr»! E
U inda, come cieuuD ea, a dabolo
«Mio UTOmuo 0 biU'e irmele uii
nlaiieiw illa «h Jiiio», il pcricDli:*!
reuu e ennlurler doelle aoiiBa.
2U-3D. cto <b verdi pni Pfr-
«ni. Aé prìKipi, »ll. p.Je-B^tila,
qMl <ha «'dcurìia di loro i>,:lla •«[■
MU drl Piipse Iorio.
etnitt C«i™i«tieinlcndi;C*« IrWx
dulro pcrniit < cmlilola da «rJt
ptnKt. oio*. (ba Iraexui di'ira bal-
M pie«ia»p*i;«iuloM.,tÌ(^«pi-t-
«ule a agiUK per l'aria dati* loro
lud.. umiltDenlc gli aaucli dil cÌoU cha
tcrdi ale.
CANTO OTTÀTO.
Come Tirtù eh* a troppo si confonda.
Ambo TOgnon del grembo di Maria,
Disse Sordello, a guardia della valle.
Per lo serpente che verrà via via.
Ond' io che non sapeva per qoal calle.
Mi volsi intomo, e stretto m' accostai
Tutto gelato alle fidate spalle.
E Sordello anche: Ora avvalliamo ornai
Tra le grandi ombre, e parleremo ad esse:
Grazioso fia lor vedervi assai.
Solo tre passi credo eh* io scendesse,
E fui di sotto, e vidi un che mirava
Pur me, come conoscer mi volesse.
Tempo era già che l' aer s' annerava.
Ma non si, che tra gli occhi suoi e' miei
Non dichiarasse ciò che pria serrava.
Ter me si lisce, ed io ver lui mi fei:
Giudice Nin gentil, quanto mi piacque.
Quando ti vidi non esser tra' rei !
Nullo bel salutar tra noi si tacque:
Poi dimandò: Quanl'è che tu venisti
Appiè del monte per le lontane acque?
897
40
46
50
65
1$. Com» vir(* «e. • Omnti «e»-
tmtuptrmuUa cofrumpil «e»-
• 4ÌM knsMUXt. Ona troppo viva
■■ troppo forte odore, no toooo
gagliardo ce., offendono il ro-
• organo, e ne confoodooo la
, vitiva, olfattoria, acustica ae.
87. M grembo di Maria, cioè da
fati laago del ciclo, ove siede Maria.
WÈtfira di poritè. — Vedi il tuolnugo nel
.. Canto XXII.
sé. Ptr lo ierpenlé, per cagiona
M acrpenta. 0D4e iropeoirgli di far
inaile anime. La valletta
ita di o4loroai Cori umbuleggia pro-
baUtnaatef com'bo «ccennato, la tem-
perai dgnoria; il terpé, le inaidìe e i pò.
ricoli d'ogni maniera che la circondano,
•ad* apeiao impallidistono i aavì prin-
2* qnaado pii lo fluito volgo gì' lovi-
. — 9ia via, cioè subito subito, in-
coatanenta.
40. perfual eaUi.Sottiataoiì: do-
Tcaar venire.
43 c/la /Uklc apoi/^. alle tpidla di
Tirgilio, nel quale io confidava.
43. E SordtUo ancho: cioè, a Sor-
dello di nuovo parlando diaaa. — ao-
vaUiamo^ cioè, scendiamo nella valle.
45. Gfaxioto fia hr «e. Grato as-
sai fia loro il vedervi ; puiebè ali uomini
illustri ffodooo di vedere a ai udirà i
poeti, dai quali possono ottener fama
nel mondo.
48. Pur ma, solo me.
49-51 . Vaer t'annerava ee. ini. :
l'aera si oscurava, ma non tanto cIm
non mi dichiarattet facesse chisro,
lasciasse vedere cto che pria serrava,
eie cbe prima teneva chiuso, impediva ,
doé lo scambievole riceooadmento.
55. Giudice Nin. Nino, della casa
Visconti di Pisa, sladica nel giudicalo
di Gallura in Saniegna, capo di paria
guelfa, nipote del conte (wolino della
Gberardesca. Fu egli nel 1288 cacciato
di Pisa, e mori in seguito guerreggian-
do contro i Pisani. Dante lo avaa cono-
sdoto air assedio del caatallo di Caprona
Bal42UO.
57. per le loalana aciiae: per si
lungo traii9 d' acque , cioè dalla foca
^98 ABL POEGATORIO
Ohi dissi luì, per entro i luoghi tristi
Venni stamane, e sono in prima vita.
Ancor che 1* altra si andando acquisti.
B come fo la mìa risposta udita,
Sordello ed egli indietro si raccolse,
Come ^nte di subito smarrita.
L* uno a Virgilio, e l* altro ad un si ro\^
Che sedea li, gridando. Su, Currado,
Tieni a veder che Dio per grazia volse.
Poi volto a me: Per quel singnlar grado,
Che tu dèi a colui, che sì nasconde
Lo suo primo perchè, che non gli è guudo,
Quando sarai di là dalle larghe onde.
Di a Giovanna mia, che per me chiami
Là dove agi* innocenti si risponde.
Non credo che la sua madre più m'ami.
Poscia che trasmutò le bianche bende,
Le quai convien che misera ancor bramì.
Per lei assai dì lieve si comprende,
del Tevere Coo al monte del Pvgtlorì».
Vedi Canto II, T. 100 e erg.
58. Oh ! disti lui, per •miro i fiw-
ghi tristi §e. Non ptr l'tHide ch« to
credi, ma IraTenanau 1* Infero** giiinii
Jni stamane. Voh! è on'esclamaiìoue
i maraviglia peoatodo al cammiao da
Ini fatto.
59. in primM vila, nella vita mor-
iala.
CO. Ancor che Valtra^ ancor cbe
l'altra vita immortale, ti andando, fa-
cendo questo ^iaRgio, aeqnitti, mi pro-
cacci, in \irlà delle cuav rhe imparo.
62. Sordello ed egli §e. Sordrllo
non s'era per aocbe accolto che Daota
ara vivo.
66. Vieni a reder te. Vieni a t^
dere che cusa Iddio {ler sua grazia vol-
le, citte che an nomo veoiaae vivo fra
l'ombre de' morti.
67. grado, riconosrenra.
6'J Lo tìio priwM perchè, cioè la
tna prima cagione, o ragione di opera-
ra. — che non gli i guado te Inten-
di : ti che nun vi è rondo di guadare, di
penetrare sino a qnel perthè, — gli
vale ri.
70. di là dalle largho onit, di là
dal va»t(> mare che ciroiniUi il uivota del
66
70
76
no\ cioè nel BMwdo, aell'*
tfarfo abitato dagli nomiiii.
74. GioKomnm, figlinola di Nino del
Viscouti di Pi»a e moglie di Riccardo da
Camino, Trivigiano. — cKeporwttthim'
mi, che per me preghi.
72 Là éote ogrimuiotinH te. In-
tendi : U su nel cieiOf ove è aacultata la
voce degrmnticcnti. Benvonaloda Inii !a
alla paiola innocenti chioaa : poiché ri 'a
era fanciulla e vergine. Forse fa data in
moglie a Hicrardu dopo il 4300 a dnpo
'la morte di*l padre suo.
73 la sua madre: Beatrìco Sfar»
chesolta, moglie di Nino e ptiacia di Ga-
leaziu Vibcunti di Milano, il matrlino-
oio di Bi'utrice col Viacooti avveuna
nel 1300 Bcatiice aveva allora S2aooi,
e Galeazzo soli 23.
74. Solevano la vedove cnifer>i il
capo di bianche bende in segno di cor-
roi'cio. InU'udi dunque: trtammìò lo
bianche bentie in altre di gaio colore ;
passò dallo stato veilovile ao altre nor/e.
75 Le quai cònvion che miurtL
ancor brami, per non trovarsi troppo
J>ene col nuovo marito.
76-78 Per lei oMMoi di lieve te In
qneslo ternario morde cou bel nui!i> 'a
leggerezia a incottanxa delle donne, m
CAirro onrA"TO.
QmdId In llBimiiiiia feeco d* amor dura,
Se r occhio o il tatto spesso nel raci-ende.
Non le farà si beila sepoltura
La Tìpera che il Meiane^e accampa,
Com* avria fatto il gallo di Gallwa.
Cosi dicea» segnato della stampa
Nel soo aspetto di quel dritto zelo,
Che misarata mente in core avvampa.
Gli occhi miei ghiotti andavan pure ai cio\o.
Por là dove le stelle son più tarde,
Si come ruota più presso allo stela
E il Duca mio : Figliiiol, che lassù gnardeV
Ed io a lai: A quelle Ire fecelle ,
Di che il polo di qua tutto quanto arda
Ed egli a me: Le quattro chiare stelle
Che vederi staman, son di là basse,
E queste son salite ov*eran quelle.
Com' ei parlava, e Sordello a sé *1 tra<ise
Dicendo: Vedi li *l nostro avversano;
E drizzò *1 dito, perché m là guatasse.
Da quella parte, onde non ha riparo
La picciola vallea, era una biscia,
iqQ
80
ti
■Ìp9 !• fii 3 prwraie • il ncmm pr»-
irit ■! pmmCo « al lontano
Lfl riperm rke il Mrlmum me-
ì. La vipera che il \ ÌKcuati mrtte
mI MOipo ^1 MIO fudii E iMilii die sa
i HBolcrì ai aciilpierc l'arme della fa-
■iglu a cai apparlcooe il lepiilto Or
b vipera ral aepnlcro «li Heatrire alle-
ritaaJo il avo ptico am«tre «lU nieinnria
M piiaa marilo, a la ooo tinppa coo-
aanita, aarebbe alata men bello orna*
■colo cbe il gallo , rh' avrebbe rantalo
!■ aaa voHorìla miMlestia e fi-deltà. II
àmìtnte marito ti «ppflU alla Icnba ,
ftrAè aolo ooalche tempo ilopo la loro
■•rie ai lìoJica il ìraro de' potenti, a ai
ai tf golfo, ttemiM dì Nino do*
éki di Gmllura.
91 irgnato deUm ttmmpm, improBO
■d folto dell 'impronta ce.
aS. di quei dWflo telo ««.: di qael
gìsalo Belo rbe avv«in|>a, aia eoa ni-
fva, rome asola ia culai rho parla
moaao da ragiona o da virtù , aao da
ira o odio.
85. ghÌ4>tH, cioè aridi.
ae Pur là, aolaoMaU là. —dora
la atelU ee., ami vano il polo aatar-
lieo, ove t'Hpporenlo nviduaiooo dri! ;
alella, faccndiai per iapaiio pia mi: •
di qoelln IO eha ai firano la alalie f <-
ÒBo aireoaainro, è a»aai loota.
a? . si €»m9 mola, ce.: sicromc 1^
parti della ruota rhe sono piò pnai»o
mll» cfcto. eM»e all'aac, d peraa.
89. quetU Ira fmeeUe. (^cOc sua a
U alfe dell' Endaoo, della Nave « 4. 1
Paarc d' oro. Alteforicanteotc po<4«iaii
^arste tro atdic sigailìrare le Ire «ittti
teolugKbo, cbc si mtatraa la aera, par-
cba fucata è pia atta al raccogliiiK iito
a alla conlemplaciooa. L'altra «{a^Uro
riguardano la vita operatÌTa, e pere si
vadooo al asalliao.
87 Da qitM» pmri» anda ■»• ha
ripara: laieodi la parie oppiala al
■onte, oasia la parla aalariorc d^lla
vallette Vedi la Btite 72 dd Caato pra*
cedrate. Allegor. . il teotelora ci aiaa!a
taospra dal lato o<«tro pie daboK. , a
doada siaBi oicao dilieai
300
DBL PURGATORIO
Fono qnal diede ad Eva il cibo amaro.
Tra r erba e i fior venia la mala striscia,
Volgendo ad or ad or la testa, e il dòsso
Leccando come bestia che si liscia. ^
Io noi vidi, e però dicer noi posso.
Come mosser gli astor celestiali.
Ma vidi bene e 1* ano e T altro mosso.
Sentendo fender l' aere alle verdi ali,
Foggio 1 serpente, e gli Angeli dier volta
Soso alle poste rivelando iguali.
L' ombra che s' era al giodice raccolta.
Quando chiamò, per tutto queir assalto
Punto non fo da me guardare sciolta.
Se la lucerna che ti mena in alto
Trovi nel tuo arbitrio tanta cera,
Qoant' è mestiere infino al sommo smalto.
Cominciò ella, se novella vera
Di Valdimagra, e di parte vicina
Sai, dilla a me, che già grande là era.
Chiamato fui Currado Malaspina :
99. Forst qual, fon« tal*, qval* degli •ngeli alla bncM^ianjBi leve
10^
10S
ilo
iti
fa quella ec.
400. la mala ikitcia ee., la langa
• trista biscia striadaota.
401. Volgendo «e. Il ?nio ai Tasta
aenpra di forma e di atti lastng^iieri
par innmiani oel cuora.
405. h noi vidi «e. Intendi : Non
fidi coma gli angeli si moaaero , pcrdiè
io era intento alla biscia , e sì inatanta-
nco fo il loro lararsi; ma li fidi già
maaai e volanti.
404. gli attor te. L'aatora è ne-
cello di rapina, e dà p«r la caccia alla
aerpi. Qni chiama i due angrii con que-
ato nome ^ per significare la rapidiik a
la forxa cun che disceudef ano a fngan
la nemica biscia.
405. Jfn vidi bene oc. Con questo
Terso esprìme mirabilmente la TMocità
da' due angeli.
iùS.alU po$t€, ai luoghi otu prima
arano postali. — if/utUi, eguali, a pari.
109. l'omòra, cioè V ombra di Cur-
rado, la quale era stretta a Nino Gin-
4àM enando ei la chiamò dicendola:
SUp Cnrrmim, vieni a vtéer «e.
gli oochi da doaao. I Codd. Yat. 5190 a
Antald. leggono con migliora aroMmia :
Fnnto non fk da megnmrdariXMtMim.
412. Se la lucerna «e., cioè, at 3
luoM, la diTina grana illnminanta.
415. foiiUi cera, ttntt coopan-
dona del tuo libero arbitrio: mma In
cera è alimento del luma, caak la fe-
dele corrìspondenia dell' ooom
aoe e aocresce la grazia.
114. ai totMoo tmaUo, al
ddo. Lo rhiuma imal$o, perchè ^pa-
rìaee ai nostri occhi come un bello aButo
aaurro. Ma foi-se si potrebbe anco inten-
dere della ama del monte sasaltata d'en*
be a di fiorì, come si vedrà a aao laogo.
115. «a noce/la «era. Com mI-
rioffnio, COSI nel Purgatorio imma-
gina Dante che le anime non abbiano
alcuna n<itizia delle cuae che nd mondo
avvengono di presente; e ciò per afcr
frequente occukione di dir qnd tka aenta
de' suoi contaniporaod.
410. Valdimagra, distretta ddla
Lunigiana.
4ì7.ehegià grande là era: t&oh,
410-111. per lullo qneltaiiaUo dm già ìa qnol luogo io era potente.
Punto re.: qaaalo darò qudl' avalla 118. CAiaaialo /M Currado Ma
CAUTO OTTAVa
304
Non «m r antico , ma di Ini
A* miei portai 1* amor che qni raffina.
0 ! disti lui, per li vostri paesi
Giammai non fui; ma dove si dimora
Per tutta Europa , ch*ei non sien palesi?
La fama che la vostra casa onora,
Grida i signori» e grida la contrada,
Si che ne sa chi non vi fu ancora.
Ed io vi giuro, fl^ io di sopra vada,
Che vostra gente onrata non si sfiregia
Del pregio della borsa e della spada.
Uso e natura si la privilegia.
Che, perchè il capo reo k> mondo torca,
Sola va dritta , e il mal cammin dispregia.
Ed egli : Or V&, che il Sol non si ricorca
Sette volte nel letto che il Montone
420
iU
430
Di in ObtaiMM MalMpini tì*
Tcilt Bel Xn secolo nascoTt ma Corrt*
èmy A9 aUmaì •Corici disUoipiooo «ci
M«e éì Aniieo, morto nel 4230. Qm>
flfi cU« avattro 6gli : Moroollo, nar*
cWm ék Malano; Manfredi, marchcia
£ CpTigallo } Federigo, marcbat* dB
filifrailea. a Alberico. Da Moniallo
di Molauo, morto nel 4285,
Fraoccachino, presso il naala fi
«aoii* Dante nel 4506: e in Molano,
M vaecUo Castello, si mostra ancora
■a nato di torre cbe cbiamasi la larrt
éi MkuUt, a lì pratao nna casa rba eoli-
aarva aampra il noma di lui. Da Man-
froéi maraiese di Giovagallo nama
Mandlo H, quello cbe nel XXIV dal-
V infèrno è detto il Vmpor di Val di
Jfafm. Da Federigo di Villafranca aa^
qmm Corrado e Obìzzino. Questo Cor-
rado, cIm morì nel 4294 , a fa padre di
qoella Spina di coi narra il Boceaeeio
in osa soa novella, è Terìsimilmanta il
personaggio col quale parla ora il aa»
atra Poeta. D* Obmino poi nacqaera aa
tètra Moroello a on Curradina, cba
soM> qaai gioTani Malaspini per coi
Dania aadA ambascia torà al Vaacafa di
Looi.
4^. the qui raMna, cioè, H mjl-
nm, ti raddiri%%a. Vale a dira, cba dai nt
lerrcoi oggetti si rÌTolga a Dio cba sala
i èa amara ; o , se raoi pia aaapliea-
menta, ti purifica della cama a dal
aaagaa , a dÌTanta tatto apiritnala a dì-
fioo.
422. Giammai non fki. Intaodi:
prima del 4500.
425. eh'H non tien palati? cioè,
dia essi non sisno cbiarì a famosi ?
425. Grida , celebra. — i tignori,
i marcben. — laeoiUrada,U Lonigiaoa.
427. t^io di topra vada, coaì ma
riesca di salire in cima di qaesto moala
par andare al cielo.
428>429. non H ifregim Dal fré-
gio dtlla torta ae. Non ba ponto aar-
doto o noa si spoglia dall' aatiaa lada
di liberalità a di guerriero Talora.
450. Uto§ nminra, cioè, la '
coasuetudina, i baoai costami
in quella casa, a ona aeaalleata
aisiooa di natura.
. 454 . perchè il capo rto ae. laC:
qaaatanqna il capo reo, cioè il papaBo-
nifaiio Vili, torca il mondo dal camaùaa
diritto, dalla TÌrtò, co'saai tristi aaaai»
pj,ac.
455. USol te. Intendi : il aaU aaa
fi rieorea, cioè non ti riuot tàtrà, ntm
tomerk aetu Tolta nel aegoo dall' aria>
ta; cba è qnaato dira, aoa paasanMaa
sella anni, eba aa.
454-^55. mlkUad^a MantO'
^ 00.: il letta ebc il Moatooa ricapra,
è qaal tratto di cielo cnmprasa Ira'aMi
piedi, ora s'imnMgiaa cba il sala
al principia dall' aaoo a ricoricami
3tS
DBL PVBGATOIK)
Con tatti e quattro i pie eopre ed inforca, i»
Che ooleata oorteee opinione
Ti fia chiaittn in mezzo della tosta
Con maggior cbiovi che d' altroi sermone ;
Se corso di gindìcio non s' arresta.
436. Che eotetU ef<rfeté «0^ Ae- farti d^odi,c{oAeoB pia etrti arcomea-
^jtmna ale benriicciBeclMl>aBtc.dtvrt li. —db* é^ rnUmi strmon», che dai
ricefere a ricevè dai MalaipiDi, Yadi raaeoqti alimi ; ebe è quanto dira : na
la ooia al t. 448. proverai au la tteiao la vi'HU.
437. Ti fia ehiavaim, iochiodrta, 439. 5e eor«o di g«tid<r<o ce.: doè,
cioè iniprena, pcnMM. aa Boa ai arreata o aon ai muta il corao
458. Con mag§iar càtwfpcaa pie dcfli «vanii gik atabilili ia cielo.
VAwwm inolia.
Suirmmrùrm ii Putta wimto étM» atmmtkr%%m «'i
«wm: éopo IM puilt iwfhmÈm ai irwmm fa ^mm
««wffWMalo, Ifl éiMàmér, «rf ^Urama amàadm im
éé ha In aagma umm aùtitnota »r-
*^irtmaanm «af ama rtrgHia, dm
alta parta, aa* amét rmtmér am A^^
•ma W taOa framtt, a éM$agU aiaaaa
La concubina di Titone antico
Già s* imbiancava al balzo d* oriente,
Fuor delle braccia del sno dolce amico:
Di gemme la sua fronte era lucente.
Posate in fi>;ura del freddo animale.
Che con la coda percuote la gente:
4 . U cmirwMM di TiUme è l' Aa-
rara. — Il Owta , seguemlo la apnai-
vioac di varj aBticki eiinifataluri. credè
qui deacritta l'aarora lonara maalrao-
tcai ad ar^no delUi Scorpimia aU'aria-
zaiilc del Har|^tnn* rirra la tre ora
dalla Dotta, qnarla del pIcnilMnio. llPe-,
razxini, e do|io lui il rli P. Punta, paa>
Mroao dir Ihinla abbia parìal« drfl' au-
rora del maltioo cbr apunlava cui a^
gHo dai Pesò aull' ortntHite «r Italia
odia qoale scriveva, quao«U nel Purga»
lurìo, in cui si trovala, era vinna a
eaMMÌrsi k Ima »ra della notte Ma
eoMiJarala nel cootealo m Pana ebc
l'altra apii*ganone, ano na resta la
meale d' ■• sagace letturv pienamenta
appagata ; nod'io , laa< lalair da parla ,
aiiraeao I' «atea clw rredu vera, iiMa-
aaci iaaaaei non ka< mmiIim dall' insigna
oaalnNiMMiPk^if
dal gitala, dopo aver q«t, colla aanrla'
l
di ini, diabiaralo il teaCo a parte a pan> ««•<«
Uf riferirò anrba par diatoaa la parab
ia ine del Canio.
' 2 (^tdf'Imèteneatw.'kiaKarfBO-
itra nel SUI» principio Paaran. ^- •!
èarfxo «f'ortanfa: inti>ndi nel paato M-
l'onrnte, sairorinonte io cai trova»
vaai all«ira il P<«eta io eoaipogaia di
nei nobili apinti di cai aopra ba pai^
ato.
8. del tuo doler «miro: cioè di IV
tooe 8tiMr4»,o\«en* di <U*f.ilA,clie,ÌBVa^
ebiatu l'itone, V Aurora si feca annca •
traase in cielo ai sooi piaceri.
4. IM gernnu, di t»te1le.
5>6. #*ofle in /f^raae..-f|araalin
p#aee, animale a !ian|>nr freddo, a cfca
pr m4e col la riMla . a% endi» in casa la aaa
maggior fona Quando il sole e in Ariate
vedevi io oriente sai far ddraarora la
coatellarione dei Pesci Ancbe aetl* fa/,
ai* annunna Taonira ed modeaiiaa a^
gao : Cht i peteiguiznmn tu p0r T^fH-
CAltTO ROSO.
E la notte de^pMS^ con dw saia^
Fatta avea duo nek looo or* eFavamo,
E il terzo già ebiaava in ginso l' ale;
Quand* iu che meco avea di quel d* Adamo,
Tinto dal sonno» in en l'erba inchinai
Là Ve già tatti a cinque sedevamo.
Keir ora che comincia i tristi lai
La rondinella preaso alla mattina,
Forse a memoria de* suoi primi guai,
E che la mente nontra pellegrina
Più dalla carne, e man da* peosier presa,
Alle sue vision quasi è divina;
lo sogno mi parea veder sospesa
Un* aquila nel eie! con penne d* oro.
Con Tale aperte, ed a catare intesa:
Ed esser mi parea là dove fòro
30a
iC
ib
20
7. E U motte ^potH, mm cM
wmh, «e. Altro tegno a far chiaro mag-
giatBMato ch« oMiMMTa meno d' un'ara
al levar del aoU Dell'oriziunto dove i
F-c6 ai trovavano. 1 paaai cud cai ael-
l^afàaeti* di prìaiatera la ootte aala
al ■aridiann, aoan la Ubra^ oppueCa al-
PàntU ia coi età il aole, io ie»rpitm§
§ 1 tmfiilario. Ora dirrndu il P«»eCa
cfca émm di furati paaai oraa gii (atti, a
cfcail teeso chinava giù l'ali, s'inleoda
ahe la tiara e lo «rorpÙMie avraa
già il OMridiaoo del Porgat«irio
id# ia onidriile, e che «ul ^«er^
ttava allora il sagUtario \i\ terso
dalla aoil<>) già voltato pia della
ia accideate. 1» tale atalo della
calaata, p<«ti doe i tre laiiieati a^
ail'aecideate del mrndiaat» «otto cai
iaa d'eaafre il Piifta, voi vedrala
alPanaate di eeao i PeMi foon deH'ona»
aaata, iaihiaocati dalla laco del aula ia
ariate che vico loro dietro Al Caato II
ha detta che il sole av«« eacetala éi
■Mwa U eiiio, ci«*e oltre il meridiano,
ll«apHeania,e là ahhtaa aotatodi'»'
raa ama ora di aola.
Da qael che a' è detto fla ^ai a^ia-
BMf^o cono a falt4» ala. Il C»>
vieae dietro al Sagittaria: aa
yiide y Sogittano ha paaaotM ialaa^
il ■cridiaao, tfiaaia I Aneta, ia
ata il aola, ^uaado il Caprie«*nM avrà
tarh tatto foorì delforìssonte in orìaate,
a avrein due ore di sole.
S. mi loco oo'ormommo, doà ael-
l'aeiaaoote del Fai-gatorio,dì cai Sa dal
{trinci pio del Canto a'è fatto a daaenvart
a eoadiritine attronomica.
1 0 <f< qwei d'Adamo, il corpo frala.
1 2. fiillt e ctn^ttf, cioè Daata, Vir-
gilio, SonMIo, Niao e Currado.
13. NolVof §e., p«icu priaa dal
lavar del »t4e.
1 5 a niem«»ria de'nmi primi gu&t.
Alladr nIIn n«*t« favola di Pmgna.
16-17 peUrgHna Piti dailm cor
ne, noe, qunti divma dai a^nai, i qaali
eaaendo •«•piti inhi le recano le imprct-
aitNii degli <»bi«*tli. e ooo le danno ae>
caaiiioo di pcotare alle coae eaterae^ai^
che ella rimane, per cosi dire, tutta eaiK
centi ata in ae tteaM. A';giangaai che ia
qaaH'ora e anche naturalmente pia li-
bera, mem* a|»gr8vata dalla aialcna, par
la fatiaai difreolioae.
IK AUetuevieiomee.ÈéiwImm,
iadaviaa, alle aae vìmooì, cioè preveda
il faturo dalle mtr ateaae viaiooi. Era fra
le eaperatmoM degli aatichi, eaaa ab*
hiam aolatw aorho altrova, che i aogai
aal far M giamo, fwaaara ^paii rivtla
new del faturo.
ia.20 aoapaaa Oa'afaOsfiafcM,
librala m aria aa l'ala eoa.
21. 14 dame ee., aal moala Ida, aat
anch'caao fatto il aao paaaaggio, l' Ariala Gaanuade fa rapita a parUta m «aia
304
DEL PniOATOBH)
Abbandonati i snoì da Ganimede,
Quando fu ratto al sommo concisloro.
Fra me pensava: forse questa fiede
Pur qui per uso, e forse d* altro loco
Disdegna di portarne suso in piede.
Poi mi parea che, più rotala un poco,
Terribil come folgor discendesse,
E me rapùise suso infino al foco.
Ivi pare\'a eh' ella ed io ardesse,
E si r incendio immaginato cosse,
Che convenne che il sonno si rompesse.
Non aìtrìmenle Achille si riscosse,
Gii occhi svegliati rivolgendo in giro,
E non sapendo là dove si fosse.
Quando la madre da Chirone a Schiro
Trafugò lui dormendo in le sue braccia.
Là onde poi gli Greci il dipartirò ;
ss
30
35
da GioTe trasfomito in aaoilt. — Nel
ratto di Ganimeda timbolri^giò la aa-
pìenia degli antichi qael rapimento con
che il primo Vero innalza talvolta gli
animi nostri alla conlcmnlaiione di sé.
E anche il nostro Poeta vaìcndmi di qne-
ate fidare Rapieoteroente interpretate, a
adattandole pia apccialmcote ai anoi
lini, vaol dim<.>strare i maraviglioti ef-
fetti della eelette graxia in colai, che
diataccato dalla materia, anela al primo
Vero. L'aquila aimbologgia Lucia, aenza
la qoale non è possibile all'anima isoU
levarsi a Dio: il sunno. l'aAtraziona
da'seosi ; l'ardore nella sfera del faoro,
l'amore onde l'anima neeeasoriameota
s'infi<imma verso il sommo Vero, che è
fmre il sommo suo bene, una volta che
o ha conoaciuto. Il monte è ùmbolo
della contemplazione, e dell'elevazione
dell'anima al disopra di'lle cosa terre-
ne. Cristo medesimo sceglieva un monte
per rivelar la sua yloria, un moute per
insegnare la più aublime dottrina, aa
monte per far \a sua ascenaiuDe al cielo.
Anche gli antichi poaero la presenza di
Giova ao un monte, au l'Ida. Quest'Ida,
nel concetto del l*i*eta,è U Santa Ghieaa
di Criato, di cai è acritu* die è fomdata
iuìla cimn da» wumli, ed eMoUata m
UUU i eolU, a dove nnirameale Id-
òu U copia di aè alla anima ; a daa-
d« nnicamente ne traaporte al cielo.
24. al iommo ameiitcro, al aoa-
nin conaesso dei numi.
25. fiede. Fiedere reìt ferire ; na
qni dal Poeta è usato metaforicamente
nel senso di piomlm, •* Mwente • far
preda.
26-27. Pw qui per uto. Solo an
questo monte , donde altra fella ebbe
uso di rapire al cielo la gente.~t fona
d'altro loco ec.: e forse da altro tee*
disdegna di portare in alte ed pie,
colPartiglio, w sue prede.
28 . rfce , pt'A rotala «w pòco: die.
fatte votando nuche più rote, porlH pim
giri. Il Cod. Caft. legge ehg relesfs.
50. tn^no al foco, cioè, fino alh
afera del fuoco, rbe . secondo V antiai
opinione, era sopra il delo ddl'arìa,
ed immediatamente sotto qnelio ddia
luna, col quale finge il Poeta ebe eeo-
fini la cima del monte del Pnrgatiirio.
52-53 . e H l'inrendio immmginata^
aognato, foue, nn fece ser.tire il suo ar>
dorè, Che ee. Gian pittore ddla natnrn!
57. da Chinme ee. Arb.lle dalla
cnatodiadi (Ibirone, aotto Pedncmieae
dd qnule era alato poeto. In lrafo.';nto
e portato mentre dormiva dalla modft
Tati ndl'isola di Sciro; donde UliaM*
Diomede lo trasaero per eeadnrie aUl
gnerra di Troia.
CAUTO Noif a
Che mi scoss* io, si come dalla feccia
Mi (figgi '1 sonno, e diventai smorto,
Come fa l' nom che spaventato agghiaccia.
Da lato m'era solo il mio Conforto,
E il Sole er'alto già più di dae ore,
E il viso m* era alla marina torto.
Non aver tema, disse il mio Signore:
Fatti sicnr, che noi siamo a buon ponto :
Non stringer aia rallarga ogni vigore.
Tn se* omai al Purgatorio ginnto:
Tedi là M balzo che il chiude d'intorno;
Tedi r entrata là 've par disgiunto.
Dianzi, nell' alba che precede al giorno.
Quando l' anima tua dentro dormia
Sopra li fiori, onde laggiù è adomo.
Venne una donna, e disse: F son Lucia;
Lasciatemi pigliar costui che dorme,
Sì r agevolerò per la sua via.
Sordel rimase, e 1' altre gentil forme:
Ella ti tolse, e come il di' fu chiaro,
Sen venne sufo, ed io per le sue orme.
Qui ti posò: e pria mi dimostrare
Gii occhi suoi belli quell'entrata aperta;
Poi ella e il sonno ad una se n' andaro.
A guisa d' uom che in dubbio si raccerta,
E che muti in confòrto sua paura.
Poi che la verità gli è discoverta.
305
40
45
bO
SS
€(l
^
40. Che mi teot^ io. Queite parole
si rìforlaBo al verso 54. JVo» mitri-
mgnU ÀtkiUe ti riteoste..., eJba mi
MOff* io. — fi eom$ , toatochè, apiNioa.
— émilm faccia, perchè ivi piò che al-
trora ai mostra il sonno.
48. ehe tpatentato agghiaeeia, a
tm ai gda il sannae per lo spavento.
45. si mio Conforto^ Virgilio.
45. {| Vito m' era atla marina tor-
te : il trovar» volto al mare, faceva sì
1-ba ■Clio egli potease rìcoooac«ra il
l««go «T'ara, non vadeado cba ciaUtd
48. iVòfi f f rtfigar re. Goè, la
re, e ti coofurta di baoaa aperama.
51dla paura il cuore ai ristringe, rios-
piccditee, e nella sperania si rallarga.
31. ìà 'te par disgiunto, evo
esso balso par diviso èa un'apertura.
55. dentro, dentro il tao earpo.
54. è adomo: aotUoteodi il emah.
55. iMcia. È la stessa nomioata acl
Canto II deirinf., simbolo dalla Grazia
illominante.
57. Sif eoiik, %\ adeptrando.
58. t'Ulre gentil forma, le altro
anime. Forma eorporie fé ehianaata
Fanime per sentenza da' teologi sai <
ailio di Vienna in Francia.
64. mi dimottraro, mi
fono.
65. eUa e U eanno. Lacit, a il
sanno die t'aveva fin allora ocanpato.
"Od una, ad nn tempo staaM.
64. db* te duMo ce., dw ddlo
stato in^aieta dd dabbio paan alla eer-
tazza.
306
DEL PURGATORIO
Mi cambia' io: e come senza cura
Yidemi il Duca mio, sa per lo balzo
SS mosse, ed io diretro in ver l* altura.
Lettor, tu vedi ben com* io innalzo
La mia materia, e però con più arte
Non ti maravigliar s* io la rincalzo.
Noi ci appressammo, ed eravamo in parte.
Che là^ do\'e pareami in prima un rotto,
Pur com* un Ebsso cbe muro diparte.
Vidi ana porta, e (re gradi di sotto.
Per gire ad essa, di color diversi.
Ed mi portìer che ancor non iacea metto.
E come l'occhio più e più v' apersi,
Yidii seder sopra *1 grado soprano,
Tal nella faccia, eh' io non lo soffersi:
Ed ona spada nuda aveva in mano
Che rifle(i6\a i raggi sì ver noi,
Ch' io dirizzava spesso il viso invano.
Ditel costinci: che voete voi?
Cominciò egli a dire: ov' é la scorta?
Guardate che 'l venir su non vi nói.
Donna del Ciel, di queste co e accorta ,
Rispose il mio Haestro » lui, pur dianzi
Ne disse: Andate là, qui\ i è la (.orta.
Ed ella i passi vo>tri in bene avanzi,
Ricominciò il cortese portinaio:
Yenite dunque a' nostri gradi innanzi
Là ne venimmo ; e lo scaglion primaio
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07. Musa cHra, mom Tìiini'e-
tadfaM ch« era eavMtt dal mio imhU
taM.
7U7a. • ptrò etm più mrU «e. Nm
li aMTavigliare, se io cerco di sMlaoere
€00 piò arto, cnn piò Inai bom ttile,
la materia tublime di che favello. Que-
llo hMakameoto di tlilo « è già veduto
•allo deaerisioae del misterieeo eogoo :
a lo vedremo pare in appraaio ofm
falla cha la maif*ria lo aaiga.
74. rotto, rottara.
75. femo, llnaara.
io. aaprwitf, di sopra, pie aUa.
81-82. Fai mtUm fmeeim m.. aioè
Irimaale lamiooao aalle Caecia . eba io
MB Ir» iofèni, cioè naa potai latra
gH oeahi in lai.
84. ith' io dirivutu: mt
aaeHe parte il o^jo, U vieta, |^ oaey.—
MMMmo. perehr ne restava abbagliato.
85. eottinei, di eaoli, dal loofo ore
liete.
86. o«'4 faMortofdaè: uv'èrao-
gelo cbe so«>| eaMi« taartt alla asìme
che veagttno qui 7
87. fMm mn^'; MBfiataafioBa
di dii«^>to, o Don vi ooeeia.
88. di queste eoio «Marte, cioè,
caoaa(>evole delle leggi di qBealo laogo.
9 1 t* pani «Offri in bono mtmigi,
vi aiatj a preaefiiira lalioaiMala il vo-
stra eammioo.
85. m' nostri grmdi immm»xi, avin-
talavi a questi nostri gradini.
94.IiiMV#mmm9ae.UGod.Cact
CANTO NONO.
Bianco marmo era sì piiiito e tenK>,
Ch* io mi specchiava in esso quale i' paio.
Era il secondo, tinto più che perso,
D*iina petrina niTÌda ed arsiccit,
Crepata per lo lungo e per traverso.
Lo terzo che di sopra s' ammassiccia,
Porfido mi perea si fiammeggiante,
Come sangue che fbor di vena spioda.
Sopra questo teneva ambo le piante
L*Angel di Dio, sedendo in su la soglia,
Che mi sembrava pietra di diamante.
Per li tre gradi su di buona voglia
Mi trasse il Duca mio, dicendo: Chiedi
Umilemente che *1 serrame scioglìa.
Divoto mi gittai a* santi piedi:
Misericordia chiesi, e ch'ei m* aprisse;
Ma pria nel petto tre fiate mi diedi.
Sette P nella fronte mi descrisse
Col punton della spada, e: Fa che lavi,
Quando se* dentro, queste piaghe, disse.
307
96
iOU
i06
liO
là ci trwmmo allo temglion
». La p«>rt« tiniboleiygia h «•
ll« coofcasione ; ^i ««11111 di
< colore, le diiposHnom nwowarie
per C4tntrgiiir« la grana
gì«alì€c8xinne. Lo sralino bianco
I la itncerità eoo rhe «ieviioii aco-
•I «arerdote le colpe : lu tralino
timt9fikekeperxo,r'uìè piùcapnd«4co-
lar Baiw,a d'mnm pietm arsictia.rptr
l# Ìmm§0 € per trmern crepata, ai-
yàflaa b cootririoDi' del more, per mi
fìaaa a apenarti I» sna antira durnza,
a 3 latto e ramarituitint* dell'anima
■ala neordama di Din o(Te«o eoi pec-
aala. Il tento finalmente, rbr para di no
fiammeggiantf e aanipiigso, il»
V amore di Di», che runir fiamma
aacaaderai nel pemtenlo. aeodo
che m ragiitne di qni'ilo ai rimHtano i
panati . dimitaa iunt et peeraim ami-
te, fiiofi<aiM dilexit mtUium.
96. ^mai$ f paio, quale io appa-
M. Vwnm petrina, è* ona pietra.
Ito f* amanmttieeia ^ è aoprap-
paala , ovraro, ala o aorge qmai mai-
§a, a tutta d'oo maaso, su gli altri due.
404-105. in tu la taf ita, Cha mi
tembiara ee Ciò indirà il fwndaManto
inenociiaa«* dalla Giicaa alabilila aalla
ferma pietia.
406. dt ha/orna ragiui: rifariicila a
Dante.
408. efce 'I frrawia acao^lte; aìoè,
cba ap a la terralura.
1 IO. MUerieordia «MaH, §ai'9i
m'apritte Om il Cd. Fior., il Bar-
tiilin., ei Pai 2 e 67. più rhiaraaacate
che la roiniiKe : Miteritordiachieti the
m'apriate IM rrstoaoa qui acoennati
quegli alti di umiltà e di rontriciooa eha
il peoitrntr «niprtme oel Cmnfittar.
4 12 Sette P. Sodo sei aetla Pai-
gnificate le marrliie , o le aiolo ioali*
nacMini , rhe i aetl** pceroii capitali haa
laaeiato a« ll'an ma di Dante, o dai aaii>
▼eftil» mattano in geoerole, aoeba dopo
la «aeromentale aafM»i«noiie. o cIm dao-
bnoo «a^ar lavate od aoa ad una par la
trmporal neoilenaa, ooho lo opara aati*
afattone dal aaceo aaiaiatra ianpoale par
ciaamn per rato.
415-144. Fa ékatami or.: ciaè,
adepera in guiaa cka aiaoa da la lavate
queste piaghe.
Cenere O terra che secca si cavi,
D'un color fora co] sdo vestimento,
E di $ollo da quel trasse duo chiavi.
L'una era d'oro, e l'altra era d'argento;
Pria con la bianca, e poscia cod la gialla
Fero alla porta si t^ti' io fui contenta
Quandunque 1' una d' esle chiavi falla.
Che non si volga drilla per la toppo,
Diss'egli a noi, non s'apre questa Lalla.
Più cara è l' uno ; ma l' slira vuol troppa
D'arte e d' ingegno avanti che disserri,
Perch'eli' è quella che il nodo dìsgroppu.
Da Pier le teogoi e disseml, eh' io erri
Ami ad aprir, eh' a tenerla serrata,
Pur che la genie a' piedi mi s' alierri.
Poi pinse r uscio alla porta sacrala,
Dicendo: Inlrale; ma fac^^iovi accorti
Che di fuor torna clii indietro si guata.
I
I
IIG D'antolnr forali.: àoi, ni-
nieatemrBtc, e<l t'if molli irle cJ
cchile del mctuiiBn cUro et» il «in
■(ti. leni. Chf lii qDBii chiite, lo
intimcntB. la nueilo colan, dia pure
i qDiil delti lUSt con coi il ucenlDlc
c-rp«d- ™lp™ dilva «; EJ •••'
i rniflci» )■ iiu Brilli « 1. n>»li>»
..bJ^Ì pn» il .do oi.>re ili* lìiU dei
nMfiont. per cui d.ll'ibiU iinrdilc
li di-urri il cuore d 1 p««ibinli pra-
rati delti iDÌB», per rai « aaittt ci
pcccitora iJ implunr culle liciine la
lliiiaiUi,»dr>pdiie>l<'i»l<w>M,*(li
-wdofM. (( piaiu/Ue; minUIH alU-
rii, atpmrgiie tm cinere.
Dorili cbiif e è ben pia diKi^ a tsI-
42U. Ftet alla porla fc. InWndi:
«nii the l'illri, pen:bi «p prWc-
Ite» ilU porlo qiidllo che io Joidirt-
ti;BÌo*, l'epriM.
Jel«.»ni»nin., «porB-'lIn»»
(ha D»» t'icaniiii w i ■'bri; yt/Hn
d». — t-MB d-iut <M»( *e.: !■
un CBore Mc<^ dì cir.U e pioodi Dia.
chim d'iniMto, ttatii» tBlli Hti bdo-
.ibri uliehì,rig>i<ie. 1, «itnu ^.1 ^
optr* OBfl che t i-ia tcibro, di «ddi-
tuurcli .ifitel proiUKc.
ttMO», anelli d'un li •» iiil.,rìlk.
IH. Cìu no» liclfa driUa: o
l2T-t2U. e d!«rmi.eK'ÌOtTTÌ tr
ella io oriì onii'. |itull.<il<',Bcl fir iruui
*l pecrtl^B, wfl'B«lTcrlo, cb.a Ir-
•irii idcuir b dkcmiaii* par diriati e
il pnilnl. > Dcdicu le .M pii(i«, «
darla KrrilD nei tacci d«l pecetta, par-
diiporto. — lappi. Hrrilan.
l50,/'oip.'iMa»e.QBilclieBÌÌÙone
133. »;ì.. p.»,. porli.
hi alla parlf .«croio .- . il &«]. Vili-
riaa 5<3<J, atta varia Itmla.
<3|.|2» PÌU'araèfi,M:tiad\:,
d'ora ii|B>li(iBlc l'iuioriU diviBi >li
132. Cll«Ji/i.tfrlorM«e.lBM.«n
CANTO NONO.
309
E quando for ne' cardini distorti
Gli spigoli di quella regge sacra,
Glie di metallo son sonanti e forti,
Non raggio si, né si mostrò si aera
Tarpeia, come tolto le fa il buono
Metello, por che poi rimase macra.
Io mi rivolsi attento al primo tuono,
E, Te Deum laudamwì, mi parea
Udir in voce mista al dolce suono.
Tale imagine appunto mi rendea
Ciò ch'i* udì va, qual prender si suole
Quando a cantar con organi si stea:
Ch'or si or no s* intendon le parole.
i35
440
U5
m Tolft eoo qulcbe afTetto alle
^ abbajodonate. Il med**
6 G. Crìato dioendo, cha cbi
la au nano all^Mnlro e ai Tolla
è atto al r^oo dei eieli.
488. iWr «a'eonfffM distorH, ae.:
«aMlo ar arrolicro, o giraron sai ear-
484. GU tpigolt di quella regge,
Jliff Tale porla; e gli ipigoli ioqo
certi pntooi di metallo che nelle graodi
aarta laogoo laogo di bandelle. Dice il
LtmdSmo: • Le gran porte non si eolle>
gas* m gaasbcri con le bandelle ; na
m aMB^io di bandelle hanno certi pon-
laai ; ad ia luogo di gan;;beri hanno un
coocavo ia che entran questi pontoni,
ed à aa ^elli si bilica la poita in for-
aa cba ai apre e serra >
4S4. Non ruggio si ee. Allude ai
veni eai ^ali Locano descrive lo stri-
dora daOe porte e il rimbombare efae
fero la rape Tarpeia allora che G. Ce- le parole cbe io adiva, onala si soole
Mro apogliò con violenza l'erario, re- prender, cioè ricerere, dall' adito imh
p^^aate in vano Metello tribuno. — atro, quando ec.
JVms raggio fi : suppl . : fecero ul rooio- 444.* cantar con organi : dora
r«,dbeaoo raggio si ec — «4a«aio«frò si canti al suon dell'organo: ~^ elea,
$ì merm, ni fece sentire si upro suono, stia, dairantiq. itera.
487. eoaia ioUo ì§ fu U ènoiio §e.
Come fo riniosao da lai Metello, eba la
difeodava perebè Caaara ooo aotraaae
aal taaoro pubblico. Oa graa teaoro
chiudfva la porta Tarpeia, ma ano ìa-
finitamente pi& grande na aarra la porta
ebe l'Angelo diaehioda ora a Dania; e
la atessa sua groasana a asateria diaio-
slra maggiormente il pregio di db eba
dentro di sé racchiude.
138. rintase maera: cioèy vuota,
o molto sc4'ma del denaro dieeonteneva.
4 39. al primo tuono, al primo fra-
gore della porto che si apriva. Al pri-
mo romor dfella porto le anime parganti
intonan l'inno di grazia a Dio per l'ani-
ma aiunto a salute.
444. Udir in voce ec. Forse vuol
dire : udire Te Deum in parole unito a
melodia.
4 42. Tale imagine §c. Intoodi : tole
impressione facevano nel mio orecabia
Api
IX.
VWtÌI-«L
La concubina di Telone antico
Già g' imbiancava al bnt%o d'oriente,
Fuor delle braccia del tuo dolce amico:
La concubina ec. In qacsti varai gnalara col meno dcHe apparaaie del
c\licntemeDte il Poeto ha Tolato se- cielo il momeoto io cai egli, che oara
340
DEL PURGATORIO
di quel d'Adamo» cioè, il coi corpo «rt
frale e non instancabile come anello
de'sum compagni, cadde tìuIo dal son-
no, e s'addormentò. Questo momento
era quello io cai dt*sta8Ì V aarora, die
Djotc chiama concubina di Titono, por»
die essendo Det^ e non atendo avnto
F accorgimento d'impdraro da Gioifo
pd ano spoao tM* inunortalità ém c^
[erti ancne V etema giovineuo , non
s'era congiunta seco Ini in nofto fwo
e legittime ; talché Titono dÌToone mm-
firn, oaaio decrepito, per età. Indi aof^
ginnfo:
Di gemme la ma fronte era ìueenie,
roste in figura del freddo animale^
Che con la coda percuote la genie :
Con questa terzina si dcscrÌTe che
nella patte in cui terminava Palbdre
seorgevasi un sruppo di stelle laceotì
che Ugurayano la coatcllaiione d'un ani-
male freddo che percuote colla coda ; e
nello stesso momento la volta celeste,
nel luogo oo'erarame, doè, suH'orìz-
lonte iu cui si trovava il Poeta, era in
tale stato, che due dei passi con che la
motte sale «ran gii fatti o trascorsi, ed fi
terzo ckinmra in giuso tornio, rioè stava
per discfnilere. — La difliculti di con-
aliare tntte queste drcnstanre diede orì-
gine a diverse interpretazioni. I più an-
tichi espositori supponendo che il freddo
animale che con la coda percuote la
gente fo5se lo scorpi«ne, e truvando che
la coatellaxione dello scorpione uella
notte dal 7 all'8 aprili- del 1300, nella
quale l'autore pone la sua bcena, era
lungi dal precedere il nascer del sole
ma die precedeva anzi di poco quei
della luna, che sorgeva sul 1 orizzonte
drca alle tre ore di notte, interpreta-
rono che l'aurora a che Dante allude
fosse Tsurora lunare, e che i tre passi
fossero le tre ore notturne decorse. Md
oltreché questa interpreta/ione fa creare
• Dante (li kiia pnipria testa una nuo\j
mitulugia. ha il gra\e inconveniente di
farlo di)rmire prr rirra undici ore, per-
chè in uno dei \ersi seguenti dice apei >
temente, che nuamlo si risvegliò, il sole
era alto più di due ore. Per interpr«^
tare i passi futti dalla notte altri coiiien-
tatari più recenti ricoisero alle quattro
vigilie nelle quiili gli antichi dividevano
la notte, esuppitsero che il terrò passo
fosse la terza «igilia, per cui non pote-
van mancare chi* ilueo tre ore allospnn-
tar dii giorno. Ma Dante disse che la
motte de' passi, con che sale. Fatti
area duo, E il lers-i già chinava in
giuso l'ale, dandoci cosi ad intendere
che i pasti con che Mie erano pi n di duo.
Or se 1 passi notassero le viffihe, la notto
non starebbe ascendendo ohe nd primi
due pasd, mentre cogli altri andrdiho
diacentlendo.
Io non mi arresterò a dtare dtm
interpretazioni escogitate da altri per
porre in accordo il senso delle divorae
tran, colle quali il Poeta deacrìve il mo-
mento io cui cadde sopito dal aoone. Il
poco die ho detto, lo diasi solo eoo l'ani-
mo di far concepire su che versa l'ar-
gomento, ed io che conslitano le ano dif-
ficolUi. Passerò quindi senza piò ad
esporre quale sis a parer mio la ngniS-
cazione dei versi di Dante . — La divi-
sione del cielo in dodici parti è antica.
Il zodiaco fu diviso in dotiid eustdlonc^
ni: gli Bslrologi dd basd tempi divide
vano r euiisferio che sta sa Portzaonte e
quello che giace al disotto c&aacnnoinS
parli per iiie/zo di 6 circoli masaimi che
a' intcì secavano sotto angoli ^nali od
punti cardinali opposti di settentrione e
di nu'zzodi. Le dodiri lunule ugnali, io
che la volta cele>te veniva cos'i divisa,
si chiiimavano nel lin<;uaggioasirolo<nco
case; e queste si contavano numeni-a-
mente pai tendo dalla parte orientale
dell' uriz/onte, divcendriido per l'emi-
sfero sottoposto, e rimontando poscia
d^lla parte ocndentale, ritornando poi
inCue per reniisfiTo mi periore ali 'orien-
te. In questo iikhIh If case contenevano
le costella/ioni, che duninte la rìvolo-
zinne dinrn:i venixiino in ordine soccet-
aivna spuntare Kiiir orizzonte del lungo.
La primi c^ua, quella che conteneva la
co>tella/ione che »lava per surgere nel
momento d»*lla UHScila del Lanihioo. o
del principio dell' avvenimento di coi si
voleri trar l' au ;urio, era chiamata l*a-
scendente o l'oroscopo: qnest'era la
più potente, ed era detta casa di rito,
CAlfTO VCftfO,
3H
k Mcwi^i delle rierhe%%t, la tena dei
fatatili, U quarta de' parenti, la qainU
é^ft§H, U sesta delta ioluU, U miIìbm
èà wimrimotdo, l'ottava della morte,
h Basa dalla rtiigiona, la decina dalle
HfwtÈà, Pandràma degfì «miei, la èu^
ItiMMi dei ntwdei. Secondo che questo
caie erano in quel momeoto occupato
èm cralrUaciooi propixie o contrarie, da
rtclle beaevule o maligne, V infanto era
Ivtauio o sfortunata par rispetto alto
éam d'oggetti posti sotto il doraiaia
Wle rispeltiTa case. Questi particolari
W saraiBeoto citati a sudisfaxione di
carìasità: oaello soladta c'importo di
ihhiivr è la dÌYÌsioaa delta fotta erla-
i pasti, dbe l'astrologia atafa
e l'astrologia durata ancora
il km ai tempi di Dante, e bene spesso
iffi medesimo sa na mostra istrutto.
da poeto, figarateri ora di trovarvi
ieoatemplara la \oltac« lette sulla sera
dal? all' S aprile del 1300, nell'istante
apprfmtf io cui il sole è tramontato dal
paoitf occidentale dell' urizzuoto, a U
E la notte de'pami, eon che naie.
Fatti area aun nel loro ov'eranamo,
E il lena già chinaiHi in giuso l'ale; ec.
È chiaro che la frase con che tale
J-naca 7m pr^etita indeterminato, refe-
nkia 4ito prima metà del periodo n«>t-
taroo, a n«»a un pri-srnti* d«*finito; al-
trinrali il dire die il trizo pn^so, con
che tmit^ efernara ingiutn t' air, impli-
cherehhc aontraddizi' ne Dumine la
Bulle era £ tanto atanz.ita, chr il terxo
passo eoa cui sale, t'alia la nntelhirione
«lei tagidaria, chinaT.i glitso le ali, cioè,
aveva ctimifieiato a piHsare al m<'iidia-
sa, e stava per difendere alla parte
uppofta ia occidontr: Ir c«ist>lla/i«»ni
uè ìm srurpione e della libra, come più
avanzate, aveano fatto i lurn pass^iggi
notte viene spuntando dal luogo orian-
tale diametralmento opposto. La coatoU
laàaoa dall'ariete tramonta col sola :
quella della libra sorge colla notte. Si
ÌBmiagÌBt in altra la volto eelasto , che
c'è davanti, e che s'appogaia sali* orò-
tonto, divisa dai suoi arcali marnimi in
sei parti o lunule eguali : il meridiano
aark nel mexxo : tre lunula o casa sa-
ranno all'oriente dal medesimo, e tra
casa storanno al ano accidento. Di mano
in mano cha la rotaaaaoe diurna della
sfera calcato andrà procadendo, la notte
diametralmente opposto al aoia andrà
salendo : dopo la coataUaxiooa della li-
bra, montorà aall'oriaante quella dallo
scorpione, dopo queUa dello scorpione
quella del sagitterio: aoco io questo tre
coatellazioni che sono ascese l'ona dopo
Poltra, {pausi eatt the ta notte tale. A
questo punto la notte è gunto al suo
colmo nai meridiano j asaa domina tutto
r emisfero che gta sull' orizzonte del
haogu. Oi a il Poota a determinare l' ora
ohe vuole asprimara dira :
«: mrridiann anti-normrnle ; e perciò
•l;<e- d!fi patti, ron rhe tale, fatti atea
«uà net loro nr' traiamo ; rioe, per ri-
i;>ett« air oririoiite in rtii li(>vavasi il
V*-eHe_ e in i-oi ri figuriamo d' esser noi
La ccftt^llariniie di- Ilo scorpione stori
',aiadi diMeiidfndndiilld p: ima casa per
! saMffe al'a sernoda. e quella della 1.-
4/ 'a dalla seci'itda per passare alla trrza
casa all'oecidento del meridiano In tol
posizione della sfrra, alla libra non man-
clieri pio che discendi-re per l'ultima
cav per arrivare ali* orìrzunte ; e quindi
allacostellarione dell' anrte, diametral-
mente opposta, in cui si trova il sole,
non niaiiiucra che di montare per l'a-
scendente, o l'oroscopo, per apparira
luir orizzonte
Volgvtr ora il T(>stro ignanlo all'o-
riente, e lo vedrete già imbiannto dalto
luce d«'l sole rhe s'appressa, e scorge-
rete immerse io questa bianra luca le
stelle dflla rt»^tf|tazione del pesce, che
neir online d*>i si'|;qi prerode quel del-
l'ariet**
G>nqn< »te considerarioni, alle qaaii
siaoH» stali in parte condotti por una via
piana, e dirotta da nozioni aitronomì-
che, panni a«er posto in piena Inra il
concotto del Poeta ; e quindi ose offrirvi
l'iolerpielazione a cui siamo giunti,
ci'me la più veridica e porsoaiiva.
Dil Pn.f. Mossom.
CAXWO DEcmo.
Poi fummo dentro al soglio della porta
Che il malo amor dell' anime disusa.
Perchè fa parer dritta la via torta.
Sonando la senti' esser richiusa:
E s'io avessi gli occhi volti ad essa,
Qaal fora stala al fallo degna scusaf
Noi salivam per una pietra fessa,
Che si moveva d'una e d'altra parie,
Si come l' onda che fugge e s' appressa.
Qui si con\ iene usare un poco d' arte.
Cominciò '1 Duca mio, in accostarsi
Or quinci or quindi al lato che si parte.
E ciò fece li nostri passi scarsi
Tanto, che pria lo scemo della tona
ì. PM, poiehi. — «j(ÌB. »|lii-
43. olialo (IK il pari*, al lata A.-
r.,»gi;.. "^ ^
dk folta. Dwn» ì\ n»ds di eatuni-
2. Cfc. a malo anu/r te., ibc U
■ulo dell* •ninii, rende poco (t«|a<iD-
vli.lKiIu diillr due ijiandtacrp^Hli, f
die aiid*i>no t tinìttns cMi'Dada:
au dinua; pcrriocihe i più l*KÌU-
eoi, clic di miBr) in lauia nht il i ìnl-
«Mi YÌBe«r. d.1l'>ai~rt d.ll. co..
a («to, 1. t»«d. di. ,.»n W i.-
»nlra,ttJ{(ni dall'altro UlocU»
«U'iab'n
A. Smondo la Muli' M-' tM, ù
■ mi tanni dal tootr ebe ali* Ita, di»
13. £ eli fin a. E cìi fu caiìWKi
, d <r. cbima.
cba i o»ir. putì (iinMi d latrii , «Mr-
L 6. OwiJ^ratjQfd.qxilsarebbitì
,J. p.r la «...1. eh. « .^rìo
klltl Kua, diHW l'tvii» dalodii dal-
Ì'url> di ■>« TolLirnii, e la F.ilt nii-
MeJiTV.dÌM<>rd<3l .l33delCintu
LditricolU d« primi pan di iwiitaiiu.
7.JW«»<ipfelrflrHla.polroU<.,
pgrU delli Lidi clie rìmaM MonnU .-
».èh»ri»otetatt.Ul.mM«..
(U*lt prilli* . l«(ar PoriiwiW.—
L< $tr«m, dtilatuna. il Vii. 511» «^
A§ indna e leniva ; atàa, iiHireKa s
altra ejmo.ii, EUmduaucato II ouiolv
riMlnn iTitnidji ara Jdl'on* »u«da,
Oiorno dal pii.niliin.o , dorea la lun;;
•r* Ul-illra , ««..d,. qae.K. tWula
K(r dal »1b. Pi« che d» nrt di mU'
[ It-tl. in aefoittTii (ir qmn-
l-llii dan<|M,lraiin.au.lpo»dilUI.-
P'.o1h « ir.it>iiner«4l'aa|i<lo,<l rai»
E»oadt, tri lU' «tira , HCondn eha ad-
C«rk'HMr.d.U..U.
■odi Mi Im- imi difAciI riMHtM.
CAKTO DECIMO.
Rigiunse al letto suo per ricorcar-^i ,
Che noi fossimo fuor di quella cruna.
Ma quando fummo liberi ed aperti
So dove '1 monte indietro si rauna,
Io stancato, ed ambedue incerti
Di nostra via, ristemmo su in un piano
Solingo più che strade per diserti.
Dalla sua sponda, ove confina il vano,
Appiè dell'alta ripa, che pur sale,
Misurrebbe in tre volte un corpo umano:
E quanto 1* occhio mio potea trar d' ale
Or dal sinistro ed or dal destro fianco,
Questa cornice mi parea cotale.
Lassù non eran mossi i pie nostri anco,
Quand' io conobbi quella ripa intorno.
Che dritto di salita aveva manco.
Esser di marmo candido e adorno
D* intagli sì, che non pur Policleto,
Ma la natura gii averebbe scorno.
L* angel che venne in terra col decreto
Della molt'anni lagrimata pace,
31^;
i:-
20
25
30
36
4$. entma: eoA chiama la feodilara
4à maHa via , aogasU come la cnma
47. Hitri ed aperti, cioè, fuori
Mb BfWetta angntta via.
49»$iramnafSt ritira, ai ristrìD(;e,
«B piaoo air intomo, che fa
girone del Purgatorio.
4i^20. imurti Di noitra via : se
li ^iKiere a destra o a sinistra.
L Daila tua sponda, ec La lar>
4cl ripiano^ o della roroìoe,dal-
F «rWeaterno al piò della ripa che pur
9^, Aa continua a sorgere, era la mi-
man d» tre nomini.
%4, Miemrrebbe, dall' aoliq. aiwii-
nr, iioode poi mitwrre ; V ivtessa ra-
banno forre, porre, indurre ee.
%&. trar d'ale: vale quanto volare;
^ «ffoiSca il trascorrere dello sguardo.
87. eomiee, cioè, quella strada che,
a sodo di cornice , cingeva, coronava,
la ripa lotiopoata. — mi parea eotaU,
Tale a dire, aè pii nò meno larga.
18. Lastù wm eran wtoati ae,:
BOB avevamo ancori dato un pasto per
^•fUa itrada.
29-50. quella ripa... Che drillo
di talila ee. La ripa , che avea mtm-
co, a cui mancava, drillo di salita, pe-
rocche non vi si vedea né wala, né aper-
tura, con che ai dk alla gente drillo, fa-
coltà, di salire, o di passare, è il tratto
del monte clie a'alsa perpendicolarmeo-
te tra 1 primo a il secondo ripiano, e
che Sancheggia la strada su cui aano i
Poeti. Benvenuto da Imola, alla parole
drilltt di talila aveta manco, nota:
directionem adteentut non habebal;
che varrebbe dire : noi» atea dtrexione
o avviamento per salire.
52. Polieielo. Fu celebre scnltora
di Siciooe, città del Peloponneso.
55. gli averebbe f corno, parda-
rcbhe al paragonasi vedrebbe vinta.—
gli, vi, in quel luogo. La Nidob. fi.
Questi alti esempj che seguono d'asiltà
sono una bella lesione alle anima cba ia
qncato luogo purgano l'antica awarbla.
54. L'mngel $e. L'angelo GabrìaUe,
che recando Pannunzio a Maria, ncriò
la pace al mondo, a fn eagiana aia la
porte del cielo, da gran lampa chiusa
per lo peccato, ti aprìsaero.
^^I^^^l
3,( DEL PDR
^B
Ch'aperse il Ciel dal sno luogo divieto, '""^H^B
DìnaDxi 3 noi pareva s
1 verace ^H
Quivi intaglialo in
un atto wsve, ^|
Clie non sembiava
ìmagine che tace. .^
Giuralo rÌ sarta ch'ei <
Jiee=s'^fB,- -«1
eh' ad aprir 1' alto
amor vol£« la chiave
Eree Aneilìa Dei, si
1 propnamente,
Come figura tn een
j si SDggella. ti
Non tener pure ad on
laogo la mcnie,
Di^se il dolce Waeslra, che m'avea
ria quella perle, onde il core ha la eente :
Per ch'io mi volsi col ■
l'i»), e vedea
Diretro da Haris, |
per quella costa , M
Onde m'era colui che mi movea, ^H
Un'altra Ì<:torÌB nella roccia importa: ^^|
Per ch'io vareai Vi
rollio, e fe'mi prendo. ^H
Acciocché foiise a^l
i ocelli miei dispo^le. ^H
Era intagliato li nel marmo xUtsso U
Lo carro e i baci traendo 1' arca santa.
Per che si teme uffirio non commesso.
(ul... p.nl.td,^.»«^.«.l.<..p..
d..p.l..p.ll'<iil«.-f»rfi-i'<iff-
.u, J..,u>IUl.ri.»in,i.l..«>l».
ao^.wlui ckrnj ■»<«>, ÓM»Ì-U»
JI. (t<ttllm.t,i*li,TÌ>
sa iaipaiM. vntU iipn, d>è n-
*2 CT' ad aprir K.: elii m«H
U..L..
SS carrai Virtilit: a.D. pirt»;.
(«i»» mmtn; cl.t »> la prin» pt»
ttU ■««Il IHtJuIu >l >l*l> ■ MIM, «he
sltln. r«.» «Il> J>.lr> d^ l». — f
.11. «.4«.l. .U». f«.i ./^W p»
rit« tN° ^ «1. -.«..i
ti Si mtf tn alio «e U >»
ia l.i. •UoBs>.,u,.|.u. eh* ^w<l* galli
•.ni>l.nM«» i pi*. V MÌl«»t>l«-
!nl..««..rp.n«.io«r,'U,««
"*m" Ji.^«llr b'.W.1.. fr>rri.-
•HtS'"*"
4n punoJwiuogo, mU-«I.
o.nr *»tut*
', "n.°^ putta parli t . J*ll( »■
M t* (arra ti. Qual. •niln'.
^H airtr«.
^L n «lMlif(nl*(Ki.rìii»,tÌriÌ|li
V.I — (nÉr»J« , tr.c<>ti , . 1« .»• d<
^H d<nBÌ(ii<>rl«.nntMI*e..i>i.<KÌi>Hi|.
» Pa-tflf.lIrUM. ilU'Ual
^B rf«fHi<«M.-nÌI..»l.«..,ri..Unr^
!»!>'<»«» »»>t< .1.1 k.il. Ou. w1l>
.{U.b Ui» lu puai p«r «ler «gli auM ili
^H lu;gwMI-»Ma»il.uJH,.ni.^..
^H Ml-$l DktlntamriaSMai,
lucili. I'Aki nel punlD dia itMi p*t
Hh^^^^^^^^^^
CAUTO DBlMa 345
Dinanzi parea gente ; e tutta quanta,
Partita in sette cori, a duo miei sensi
Facea dicer 1* m No, V altro Si canta. 60
Similemente al forno degl* incensi,
Che V* era immaginalo, e gli occhi • il naso
Ed al si ed al no discordi fensL
Lì precedeva al benedetto vaso,
Trescando alzato, 1* ornile Salmista, 66
E piò e roen clie re era in qnel caso.
Di contra effigiata, ad nna vista
D* nn gran palazzo, Nicol ammirava.
Sì come donna dispettosa e trista.
Io mossi i pie del loco dov* io slava, 70
Per avvisar da presso mi* altra storia
Che diretro a Micòl mi biancheggiava.
Quivi era storiata Talta gloria
Del roman prince, io cui gran vakMre
Mosse Gregorio alla soa gran vittoria: 76
adtn, D tnso è : ndl'oecanon* di qutl
(iHfiiUigi «U« mn terribile ««TÌto p«r*
c^ MS» Oli «eorparc nffieio che DÌ4»
Me fli b« afSdato. Forse Tvole accen*
Hn elle ^ietioxiooe e al ritpelte raei*
pece Mie due potestà.
58 lNiiaiixì|>areft genie. Vedeeti
ÌHeori el Cerro UHs mnllitedine di gente.
iO-aO. PmrtiUi m tette eori.Ermni
*9mDmtid$epUmchori. lieg. 2,rap.6.
• rfiie miei tenti: e due tifi miri sensi:
ideeteaei cbe possono essere inetti da
•Da aatfltitodioe cbe canta sono la vieta
e P adite. Ora si tdoI dire cbe quei cori
9nm9Ù bene acoipiti, e si mostravano
M \§rì • vivi aeiratto del cantare,
cbe ■MCteaDo in cuntradizione due
iroai; perebè Pvdito diceva non eoi»-
lena: la vista diceva li, eantano.
Fmeem éieer Fun, invece di /aree di-
cere mii' un, c«>Bie il più regi>lare aoda-
■cotf» avrebbe volato. 11 Bi«f;ioli per
eaalFadire alla Kidob. e al Lombardi
ba volato leggere mi duf miei temi;
mm aon eredo ci abbia rafpone.
62-43 e fii ecrbi eil nato Gli ani
iVTrbber ginrato cbe quello era vera-
■eate iai-enao: Feltro contraddiceva
aaa eenlendo odure. — (enti, si Icao,
cioè ai fercro, legitt. perfetto dall' anUq.
fert per fare.
S4 al 6etiedef (orato, all' Arca santa.
as. TVeaeande, cioè, demanda ; dal
prareoi. tretemr, onde U nome tullori
vivo del villcieceiu (rafeone. — odalo,
■Ito da terra, ncIPatto del saito.
SO. B pivi e aw» dke re David era
io qaell'atlo piò cbe re, per eaaer tatto
taaorto in Dio e moeso da t
cbe re. per l' umiltà cbe ia esao appan-
Dio; e
«-. .«. |.^. . ^ ^^ .. esao ap^..-
f a, Balla ritenendo della regal maeatb :
jpiit ekt re agli occbi della fede ; aiifi
che re agli occbi del mondo. La vera
religione e il secolo non convennero
mai nell'idea della grandetta.
67 ad una tùia, a una sedata, t
nn balcone.
6X. ificol, figlia di Saol e autglie
di Da^id
69. coma donna ditpettota e IH-
tta, cioè, ia aria di duuua adirata, co-
me qaella cui dispiaceva ramilU,ebe,
trearamlo, mostra%a il marito suo.
71 Prr arvitar, per mirare.
74-73. prinre^ per principe, è fatta
sul nom. Utjno prinetpt^ com'altrota
dtMte ferm», Scipio oe. — la cui gram
ralitrv M/otte Crtgorio «e.: la cai aooh
ma virta (di Traiano) e le opera «fregia
e magnanime (cbe a'iateadono sotto il
nome di ralorr, prese la cagione per
l'effetto) moMcre S. Gregorio olla gran
Io dico di Traiano imperadore:
Ed una vedovella gli era al fretio,
Dì lagrime atteggiata e dì dolore.
DiolorDO a lai parea calcata e pieno
Dì cavalieri, e l'aquile dell'oro
Sovresso in vista ai vento si movieno.
La miserella infra tutti costoro
Parea dicer: Signor, famnii vendetta
Del mio fìgliuol eh' è morto, ond' jo m' accori
~d egli a lei rispondere: Oni "aspetta
Tanto eh' io tornì. Ed ella: Signor mio,
Come persona in cui dolor s" affretta,
B tu non torni? Ed eì: CIiì Ga dov'io,
La ti farà. Ed ella: L'altrui bene
A te che lìa, se 'I tuo metti in obbliot
I Ond' egli. Or ti conforta, cbò conviene
Ch'io solva il mìo dovere, anzi cb'io muoia
Giustizia vuole, e pietà mi ritiene.
Colui, che mai non vide cosa nuova.
ijHr|t1iel.bsde1d<
HnlvD. S. Taminlta d'A<
nriiilmlulil>eni>gnr,c
ipkgirìt ÌD Ma» OtlolHO
! Tilc il itmplica («ira ,
. GnniiMaiiiiiB « Ua^
' Ijlin.
.»rf«ol..
Ed una cntoMlla te. Cut m
ili* ijuale rr
H f«r bcóprtrt l' Boiìciil* -. tff t-
■era il ina praprìo IcIìudId. L'affina
«Hi VadarÉ, Amaa^aili^a >e le pii-
«lU M fa («Btcnla. — f ii rra ai JVc-
SU-9U. LalhTii ttiuiUclit fitte.
i i|ual lode , di (juil pra uri a la il
esc the alici oprrerk hnoJoaù (ia-
80, al' Sfalle deffar
neil<(dÌEliaalib«iu lilrtanMpi.QiiBlii
IB.* MCod. ADldd.. t par li oirgliotei
aUT«rtaH«lalRi>aiiidBMMiia|KrÌB-
•apa avvila di •ciIhIo «ri ( d' arfrala
impanala ia dalla t>l*. Vvgagllt ntl-
rara (natia «nipa d'oro), l'alln rdi-
aeni,dia l'miOflKreliU aquile arCgiilo
in d.*pfi d'ora.
•I ■ in n'Ha tt, r«rci , t itictU,
eia tlli Idi li
riiHiBt la t. ,
dolora. U<|uila ni «fon
di quote Egurt liiìtilnnit
CAUTO DECIMO.
Produsee esto visibile parlare
Novello a noi, perchè qui non si tmova.
Mentr* io mi dilettava di guardare
Le immagini di tante omilitadi,
E per lo Fabro loro a veder care;
Ecco di qua, ma fanno i passi radi,
Mormorava il Poeta, molte genti :
Onesti ne invleranno agli alti gradi.
Gli occhi miei eh* a mirar erano intenti,
Per veder novitadi, onde son vaghi.
Volgendosi ver Ini non foron lenti.
Non vo* però, lettor, che tu ti smaghi
Di buon proponimento, per udire
Come Dio vuol che il debito si paghi.
Non attender la forma del martire:
Pensa la succession; pensa che, a peggio.
Oltre la gran sentenzia non può ire.
r cominciai : Maestro, quel eh* io veggio
Muovere a noi, non mi sembran persone,
E non so che: si nel veder vaneggio.
Ed egli a me: La grave condizione
347
95
iOO
i06
HO
il5
fmimA , o b cai n Tedca espr«to il
fiHtrt »• fio qui •* è descrilto. — AÌ0-
•rib m noi, boo iimì Trduto tra doì ,
liato ooo può la nottra lealtara.
. di tmmle wnililadi : di UdIì
L Mper lo Fabro loro $e. E the
oilrali Wlain rhe oTevano , erano an-
dm <Ht| ieaiderabili , a vedere , per
firmiti Ai U aveva fatte, DiottcMO.
4$$. di qua. Il Costa intese cbe
epailt mSm» veniitcro dalla detira di
virgifi* • dii Dante mentre stavano gaar-
iaméo k scultore : ma se rifletteremo
cW Daato fioo dai verso !»3 è possalo
iflo Jostro di Virgilio, e che ora por
fvdcr Voaimo è coslrello a volUrsi verso
di lai, ooncloderrmo che questo anime
vcagMM dUlla sinistra dei Poeti e non
do dmUm. Vedi ancbo il Canto sof.,
v.49.
401. JfunNorora il Voetm, cioè,
Virgilio sommessamente diceva.
4 OS. tugli miti gradi, ai cerchj sn-
periori dd Purgatorio, o anche allo so-
lilo éel cerchio superiore.
405. ter lui, cioè, dal Iato di Vir-
E 'Ho. Il Boti leggo tor hr, cioè ?tno
geoli : cbo pur Touiano dalla parto
ov' era Virgilio , cbo s* è detto ossero
da sinistra.
406-408. Non oo'però, UUor,§e^
non voglio, o lettore, che per udirò lo
grave enndiiinne di coloro che pur si ooo-
vertirooo, iu ti nnaghi, tu li seiorrìsco,
tu li rimuova spaventalo dal hmom prò»
ponimentn di tornare a Dio.
4 09. iVofi aUendtr te. Non por moo-
to alla fonna, alla natura, ai oooslo
peoo dei Purgatorio, ma a quello l^
ad esso boccederè, cioè, alla beatilodiae
del Paradiso.
410. pensa ehe, a peggio, ce.: al
pefigio che possa accadere, questo pone
non potranno durare olirò quel lampo
che Dio pronuocterh lo gran sooteoio ;
cioè, Doo più io Ih del giudiào ooif ar-
salo.
444. E fio» to cfco: nèsoprol diro
cbo cosa mi sembrino; o a che rassooK
jfjiare quegli ogflelti che mi apporiscoao
da lootaou. — A nel ttder vaneggia :
COSI è vano, impotente, il mio vodore,
o tanto incerta è la mia vista.
348
DM. PUEGATOmo
Di lor tormento a terra gli rannicchia
Sly che i miei occhi pria n' ebber tenziooe.
Ma guarda fiso là , e disviticchia
Col viso qnel che vien sotto a qnei sassi :
Già scorger pool còme ciasctm si picchia. (^) 120
0 superbi Cristian mi<«ri las^d,
Che, della vista della mente infermi ,
Fidanza avete ne* ritrosi passi;
Non v'accorgete voi, che noi siam vermi
Nati a formar V angelica forfoda, itb
Che vola alta giustizia senza schermi?
Di che l'animo vostro in alto gallaT
Voi siete qoasi entomata in difetto,
Si come verme, in cui formazion fella.
Come, per sostentar solaio 0 tetto, i30
H6. gii roimleeAM, gli rìpicgt.
447. eh$ i wUei occhi , ehi ucIm i
mia occhi, tanto pia p«rfelti ó^lnm,
— pria n'ebber lemlinw, B'ebber coa-
trasto prima di te\ cioè doveros eon-
(•odere, «roriarsi prima di coooMor la
TCrìU della cosa. Tentione è lo itflito
che tenxofu oggi uMto, ma è più le-
coodo la aua origina.
418. diivUieehia : mHaforiaaweiita
per dittingui. E qnesta parola raprìne
molto bene lo iforzo necessario agli oe-
dn par i«vilapp«r« l'oggetto da ciò che
lo ingombra, aodericoBoacerlo nellt
1*) Si porgali peecatodellaflaperbia.
20. eomecia$emn ai pleeMa: ooMo
che peeo ciaaciin Ma premuto, aehiaccit-
lo. Qacato modo dì Mip|iltXKi heam eon-
fiaoe a chi portò tnopp'alta la tetta.
Alcuni Cod. hanno ti nleehia, rece outa
••eo nel XMII òrW'Inf.t 1* qoaleeigni-
ficherebbe, t'affanna, o gt^mtc, tetto
quel peao.
4Zl. tatti, facchi, drboli.
422. Che, delia vitta «e.: cioè, che
«Beando àachi della meiite , l't pentata
di camminar innanzi, dì aiMlafa a bnoo
fine , a i paiM vostri invece tono ralfo
gradi, aooo e«>ntro ogni b«on fine.
425. a formar rmmgHiem fiarfmi'
fa : la nMaaria a il oianCe detl' nomo eoo-
aiderato nella tna mortai condioooa
flnila terra , dove non è veramente die
nn wrme; e b nobiU tna dettìnazione,
qnando, depoeta la corporea tcorxa, t^
tlirk Tale dell'immortaliti. Dal primo
rìttmo t'argomenta la ttoltezza ddla
anperbia ; Hai trc«»ndo, la neccaaità di
drcondar di virtù qndlo apirito eba ap<^
gKo delle toperba vanite terrene , a ao>
eompagnato tolo dalle opera tna , àm
freaentarti a colui che giadieharà le
giottizie.
426. Che rota alia gMiaia. Int. :
a Dio, o al giudixio di Dio. — tenta
teharmi. Mi piacerebbe qveslo aggiunto
riferito a giutlixia; ceriediè ffotllsin
tem%a sehermi ti|^ifirherabbe ghutiEÌM
contro mi non vi ha rijmro né éSfettL,
Biferito airnn^mo, vorràbbe dire:a«li
d' ogni difeta , e tegoita aoln dalle aa»
ti. — enCometo : ndla erecn orìgine
ha ree 2vro/i«, neutro plnr. Ma ilPea
te, cioè, a divenire aeaiantn angelica,
tpirite immortala, di cui prcaao gK an-"*
ticki era atmbole la farfalla. Quatta M-
liitima eemparaiiune diiwiatra dve ee>
427. in alfe golia, in alle gallar
1^, M leva in ■nprrbia.
428. anlfmiefe In difbiio: sedo
aeolattieo che vale: aiete iuaetti dilalli-
Pecla
V ha foggiato *n i nomi greco-latini ms-
trì ddla terza deci, in hm, oeotepmmm,
dogwM ee.
429. Si eonie «enne «a. Qacslo
tarae è una dicniaraziona ani praaancii»
te, e vnol dire: voi dete ea«e il laiBU
aopra ricordate, la cai fermanooe è
CAUTO OBCiaio.
Per aemola talvolta una figura
Sì vede giunger le ginocchia al petto,
La qoal fti dei non ver vera rancora
Nascere a chi ia vede ; cosi fotti
Yid' io cotor, quando posi ben cura.
Ver è che più e meno eran contratti,
Secondo ch'avean più e meno addosso;
E qual più pazienza avea negii atti,
Piangendo parea direr: Più non posso.
34»
13&
■•nchTol», finché ooo fhingt »é
farfalla, ch« è il tenna di tua parf^
nona.
131 . Per mmuola, iavace dì nen-
sola: uuntoia, chiaoMà dagli archi-
tetti qoal aottryiM dia ragga aoaa eba
•porga fuor dal maro. — «un /If «m.
cioè una figura amana.
133-434. La quot fa dal non
goa laerime Tora. Qnmdi la potenxa àm
poeti e degit artisti.
433. cwra, intasdi, di bao raTfi*
tarli.
436. eoniratH, raeeordaii, ripie-
gati.
437. Satondo eh' antan ptii $ mena
addotto. Suiunt. di peto.
438 ^uol pifk patienta. Voci di-
vtr «e. La qaafa, emnerchf sìa liata, a ra, che tdibmie fuaner più e meon grari
fiata la soa raneiÈra, cioè l' affanno eba i peai, tatti parò o' eran ti fattamanta
I, fa nascerà varo affanno in chi la oppressati, rhr anche chi mostravssi pi&
È noto eba . per la natura della paziente e mrnu degli altri gravato, pa«
ooatra Bente , da unta sciagura si trag- rea dir piangendo : non ne patto piii.
CAunro iM:€iiiioraiiiio.
mtùmg ém ■«• di ^m*U» jtnvM wtJmmti • Pottt m dtstm ftr Im ^<
■Ma4^«M Un» Omòtff df cmA </i Smui^flfum, td è t'Mtgànit
àa rmgtona dtitm 9'imttm dritti mtumdmmm fmma, • mUm»s mm fU
tàt 4lm tm purgmMU0 t' mmium smp^ròiM.
0 Padre nostro, che ne* cicli stai,
Non circonì^rilto, ma per più amore
Ch* a' primi effetti di lassù tu bai.
Laudato sia il tuo nome e il tuo valore
Da o<;ni creatura, coro* è degno I
Di render grazie al tuo dolce vapore.
0 Padre nr.tiro re È qui una 4. if Ino ««lotv, la Im vkià, U
traduzioor spi«>Cata del Paier taa onnipotenta.
r. — I^on eireonscrillo et., non 6 al tuo doUa aapora. Ma Mei
terminato, essendo che rintinito non ha amanaciom detta taa inanità boolà. Per
teraiini ; ms perchè ivi Tsmur tuo mag- vapora, preso ^aneralneota , a* iatco-
gparmante si diffonde verso i primi af^ duoo tolte le dinii«trazioiù della gaa
fatti della tua creazione , cioè versa i aloria si nelle ofton della croaziaoa che
esali f gli angeli ; per lo che splendiina dalla grafia, onde S. ObioN eMte : ^n*-
•■co di maggur luca, che è la dimostra- liat mgiwmt H^ proplar-mmgnatH gUh
àooa della gloria di Dio. Vedi Par., riam imam. Il Conte leggeva cwi la Ni-
Cafite I . dob. e qualche altra stampa: ai Iva aUo
4-5.
Vegna ver noi la pace dal tuo regno,
Chò noi ad e^a non polem da noi,
S' ella non vien, con latto nostro ingegno.
Come del sno voler gli angeli tuoi
Fan sacrificio a te, cantando Osanna ,
Cosi facciano gli uomini de" suoi.
Dà oggi a noi la cotidiana manna.
Senta la qual per questo aspro diserto
A retro va clii più di gir s'affanna.
E come noi lo mal eh' avem sofferlo
Perdoniamo a ciascuno, e tu perdona
Benigno, e non guardare al nostro merto.
Nostra virtù che di leggier s' adona.
Non spcrmenlar con l' antico aworsaro,
Ma libera da lui, che si la sprona.
Quest' ultima preghiera. Signor caro,
Già non si fa per noi, ct;é non bisogna,
Ma per color che djpiro a noi re^laro.
Co^ n^te» noi buona tamagna
Queir onìbre orando, andavan sotto il pondo, j
Simile a qnel che talvolta si sogna,
Disparmenle angosciate tutte a tondo,
i •nnnlK»: • all'alUi Im it- 23. clii non Minjna, ptrdii a>
I udii SjirriSrriKtra lihic pìè r.|iiDi di (iwirr.
ir«(niil(iJ)>(«l<»a>Mli'ai ai ek' di'clri* ■ ■»< <e.. OKÌ, ri
^ nei ad MIO n PrreÌ«nM, toliora in tii>, ««mimiin Jntraa ■>
TÌH)« • noi per Ina brnignr. prr r»|i(nBnp.ti ntll'aHniU.
12. dU-tuni. e
13. la alidi»
ipctidìinn , g«l f«
pprnll|[l.rÌ"HÌbl.oniÌii|i([m; «^ Il m fc»
filMUn CnttMln-lprìi d'OiUbA
• lìam/^nmi tobài et* «■ Vi
19 f'sifiwa. tnla ibbiilDli
Ufgìtr. fMlIntiila.
M. .Vwt •p(fmM(«r m. , nno i
rinonlir*, nini ocllfra ■ rliniala
3l.'*iillaipr»ifl.»iit>nl'*>
pll Unti oioJi la apinnt al malli.
33. Qattf mlllma pTtfhlrra: i
a. nntH'
a fVFl 'hr InlvnlU iJ ni|rna. pioyn-
dort —Itiipgrmnlttc .tliis'ùi'him»-
CAirrO DECIMOPRIMO.
E lasse su per la prima cornice.
Purgando le caligini del mondo.
Se di là sempre ben per noi si dice,
Di qua cLe dire e far per lor si pnote
Da quei, e* hanno ai voler bnona radice?
Ben si dee loro aitar lavar le note,
Che portar quinci, si che mondi e lievi
Possano uscite alle stellate rote.
Deh 1 se giustizia e pietà vi disgrevi
Tosto, si che possiate mover 1* ala,
Che secondo il disio vostro vi levi,
Mostrate da qual mano in ver la scala
Si va più corto; e se e' é più d* un varco.
Quel ne insegnate che men erto cala;
Che questi che vien meco, per 1* incarco
Della carne d* Adamo , onde si veste,
Al montar su, contra sua voglia, è parco.
Le lor parole, che renderò a queste.
Che dette avea colui cu' io seguiva,
Non fur da cui venisser manifeste;
Ma fu detto : A man destra per la riva
Con noi venite, e troverete il passo
Possibile a salir persona viva.
E s* io non fossi impedito dal sasso,
39(1
30
3S
40
45
M
•ppratMNie che ognuno forse ha provato
^ùlcha Tolta sognando , quando d vor^
rcoBiMO aiutare in no gran pericolo, e
••• ii può. Fona a tutti non piacerà
^««ito paragone di un male vero e reale
a u angnato j ma comunque sia , io lo
Muto molto rspressiro.
29. la prima cornice^ doè, il primo
cerchio.
31 . 5a di là tempre ben per mot ti
àiee: sa nel Purgatorio sempre da qo«l*
l'afiime si prega a vantiiggio noatro.
8S. Da quei, € hamno al teler §e,:
óak y ià quelli che hanno la voloiilà
Iraotta , accompagnata a diretta dalla
grasia di Dio , che è la radie§ kmama
da cu aola può sorgere efficace oraiio-
tf'f perctoodie da quelli che della gra-
fia «Ovina sono privi, non hanno la ani-
me purganti che sparare.
SI. Ben li dee loro aitar te,: haa
si devo» dai vivi aiutare quella tfliaM a
lavai e la noCe, la ouc^hie del peccato,
eolle quali vennero dal mondo al Pur-
gatorio. — nola^ vale segno , imprea-
sione rhe resta d' alcuna coaa.
55. gutnci, di qui, da questo mondo.
56. rote, aono chiamati i deli Aa
girano.
57. Deh! te giuttizia et. La parti-
cella te è deprecativa, ed ha il seoao me-
desimo di còti. — viditgre9iy vi sgravi
del peao che vi opprime. — fimttizia
e pietà. Int. la giustisìa di IHo aodi-
afatta per la pietà da' hoooi a fedeli vi-
venti.
59. 9i levi, vt ald al Paradiao.
40. da qual mano, da fual parta;
aa da deatra o da sioìstra.
45. pareo, lento, tardo.
48 iVoii/Wrd«esi<ae..*Ma«fida
da chi TeoÌ8sero;oàsipoCeaparilaaJa
eoa em «tavan quella aninM.
51. PmeibiU ataliree.. àok^ tala
da potervi salirà aa vivo, «hi ha iaea il
corpo.
SI
312 DEL POEGJlTOElO
Che la cervice mia superba doma»
Onde portar convieromi il viso basso,
Cotesti che ancor vive, e non si noma, 1^
Gnardere' io, per veder s* io '1 conosco,
E per farlo pietoso a questa soma.
r fui Latino, e nato d* an gran Tosco:
Guglielmo Aldobrandeschi (b mio padre:
Non so se '1 nome suo giammai fu vosco. io
L' antico sangue e P opere leggiadre
De* miei maggior mi fer si arrogante,
Che non pensando alla comune madre.
Ogni uomo ebbi in dispetto tanto avante,
Cb*io ne mori', come i Senesi sanno, H
E sallo in Campagnatico ogni (ante.
Io sono Omberto: e non pure a me danno
Superbia fé, che tulli i miei consorti
Ha ella tratti seco nel malanno.
E qui convien che questo peso porti 10
Per lei, tanto eh* a Dìo si soddisfaccia.
Poi eh* io noi fei tra* vivi, qui tra* morti.
Ascoltando, chinai in giù la faccia;
Ed un di lor (non questi che parlava)
Si torse ^'otlo *1 peso che lo impaccia: 74
E videmi e conobliemi, e chiamava,
Tenendo gli occhi con fatica fisi
55. e mtm ti ntma. SiUtinl. </• 1$; 66. ogni /ante, ogni parlmU, m/à
ottia, Ji cai la n«Mi Imi «L-iUi il dihmc. aennnm. f^iimiU viire denva à»\ f >•
57 E per farlo yietuti» ce. : • per Ut. fari, |>jirlar« ; ed è eMitrarà dB Ia-
■OTcrlo a cmu|iaMi«Hif di ia« t-k« peno fante^ che diceti del baiiibta* eba
leUo qacntn p<*»«iit«' «Nssn. •ctiii'lii' la lingua; ma qui è saaCa fa
58. Latino ee. Sta i|hì per itaitano. a significare uomo dot fi^ OOmmU 9
Coatyi è (ImbiTto, iJft|iu«lH di 4ÌM|{liel- laigari.
■a AldobrandeM^i de' nulli di Santa- V8 i miei contorti, ^alU Ma
iara, famiglia piHenie nella Marenima Mia «cbialta.
iiSiwia. Fa mctìmi dai Samin ibe Milia- 69. ne/ ima /mmo, nella «Saavwitara.
Tana la sna Mprrliia. m CampagoatMM, 73. ehinoi in giià lo foeria. li Buh
laofo della dflla >t)<i-riiiina. gioii e il Giata crrtlonu cba llanta cbi-
66. giammai fu vttBcn, fu giammai aaaae la la«xia |irr bmiaa craawa par-
Wito tra v«M, n nei %aaln li»t*|{hi. laodontu chi alava tanto pìi kaaaO di
910. alla eomtmmo madre. Int. allaa^ lui; aia a me |»ar pin beli» il avpparra
■■ne origine, per la i|UMle «gni numo ai cke egli ahbaaaanae la fmotc par la aoB-
dm riaa— im 1 1 «gtiale ali altn» «amo, a fnaiunr drl Henlirsi pur agli nmoran dei
— 1 afri biia^oprrnubUta «» per nacbaa» pacratn rbe là u puniva ti durai
tt, cba aoiinc«ar eanMie.be, e dal aaaa. Vedi anche al CauU» Xlll, t. 136.
il. in àiapoUit, in diapragiak. 75. ohe to impaeeia: ciaè, ah« b
•5. eomoiSemoH omm». U Bali: nsparciava. Uaa il praarnto pawhè M
C miei Samoti il tonmo. In figura ancara in ^ nallo aCaln.
CANTO DECIMOPaiMO.
A me che tetto chin con loro andava.
0, disti Ivi, non se to* Oderìsl,
L*onor d*Agiibbio, e l'oiior di quell'arte to
Cbe alhamaittre è chiamata in Parisi?
Frate, diss' egli, più ridoo le carte
Che peaneUeggia Fr^ico Bolognese:
L* onore è tatto or suo, e mio in parte.
Ben non sare* io stato sì cortese 81
Mentre eh' io vissi, per lo gran disio
Dell' ecceUenza, ove mio core intese.
Di lai superbia qui si paga il fio:
Ed ancor non sarei qni, se non fosse
Che, possendo peccar, mi volsi a Dk). 90
0 vanagloria delie ornane posse,
Com' poco verde in solla cima dora,
Se non è giunta dalP etati grosael
Credette Cimaboe nella pintura
Tener lo rampo, ed ora ha Giotto il grido, 9k
Si die la fama dì coivi o<;cura.
Cosi ha tolto r uno all' altro Guido
7». OdkHai, OJemi Ji^kptkhìo ^i 90 poMnde fteemr, eio*, mtmi%
G«IAié|,«ili«^l dotato Ài DriMfio, fa «a io anenra in vita, ove ai pad aomprtift-
«carfWalB ■òwiatra dell» grafia A Cm é&n tm fotfoto.
mmUm Dcr^nnr morii» fmm ariiM «M f 1-92. O XMMm§Urim Àdh wmtm
IBoe. Fa adopralo in aomo da Booifa- fmm. O oiinera e «aoa i.loria della b-
ém\ Iti a wkimmt bWi inaM>m« i-on G««ll«. oultè, delhr Urte, dell' amaoo iogn—.
a^ai . di ^«eff arfe dm aHaoit. a dalle a(*ere per ea»* prudatta ! — Cwm
WÈK9 «e.r «--ot, il m oiaia eoo ■eyuralli poro fnré» re. Qoaiia» p««o «lnw-ofr*
m aorta protra e in uiwiria, tka ia PO- 49 tmllm tima, ai oMoiieoa vira, t^
ffì^ dieeai wniuminer. geta (raa» ulori- ), ae ooii é aouiaggiagÉa
aS-V3 péà ridim le emrUr. L^ffffia- da lampi oerrM, Inolaai dalia artialiiB
dba»el«lora,rwll4i)iiaieilP-fta«apriaM • letteraria p^rfeaiwa ; aa lataaÌBlkiB
il Abtl» cW lerataw» le oiipialora di ai«M«'* o«in ct««linaa uà mner rana a
Froae* B«l«goaaee< Ila %arietè oanDi»* lanctalla! Ivd e ano «erila dì fatto, eh»
■io doP ouhri, o eolle allre bt Ile ^ual là a «NHira dia le MW arti ai arooMM
del'a enoip««f toof e drl «liargno. jw ol lort* ptrfatiiiatmaiu, b alorii dai
«•Arffàoi, dipioff» avi penarllo. poaMti artiali n «a atalÌBaagda , a akì
%k L'mmaww or. : egli ora è laoaCo vira d«ip«i fa dimroliawra obi hi arasti,
•d ■■■dii «laggMir pilUire aW •• «Mi — Del reali»^ lo aietaf«ra è tallo dolFa^
m, od 0 OMr rioMoe 1' «o«ra di avanfi kero . U cai vita «• n aatanaaa è mMf
kero, Il
aperta la via a ben tlipingera. cola doli* rimo «aedo , • lo aorta dal
aM7. Ara nmm tmn'io ttato al aaccorii di
Bli»Botii il* alalo vf«r«do ai 13. Sa non 4 ftéiUtt. So
b riodgrgli ^oeala iBotilalB avlo, aagaiUta. Qiialebe tarto 5f «NI è
I, par il d> lidi ini rW iirl aNfroafar /uta, aiutala ; ad è baooa
profeto a«ea dairrrreffnia«. cMio, AW Vi ttaarl»!
il pt— o il pf«ei4rbret«4|aetl*arta. batti ala ebo wata lapiriatf a padraa
Eé mwtaiT ae. : eiwo, o o noort'oaa dal aaoyo: yi rale aaif»t U pi taH.
aarei io l'argatono^oM odflarcno. 97 T Mw 9ltmtiro Guide. G«id»
324 DEL PUBGATORIO
La gloria della lingua ; e forse è nato
Chi r ano e V altro caccerà di nido.
Non è il mondan nimore altro che nn fiato lOO
Di vento, eh* or vien quinci ed or vien quindi,
E muta nome, perchè muta Iato.
Che fama avrai tu più, se vecchia scindi
Da te la carne, che se fossi morto
Innanzi che lasciassi il pappo e il dindi, ics
Pria che passin mill' anni? eh* è più corto
Spazio all' eterno, che un mover di ciglia
Ai cerchio che più tardi in cielo è torto.
Colui, che dei cammin si poco piglia
Dinanzi a me, Toscana sonò tutta, iio
E ora appena in Siena sen pispiglia,
Ond* era sire, quando fu distrutta
La rabbia fiorentina, che superba
Fu a quel tempo, si com'era è putta.
Caralcanti, filosofo e porta fiorratino ,
oscurò la fama di Guìao Gaiiiieelli ho-
logacse, che poetò prima di lui. Il Goi-
nicdli morì nel 4276, e il Cavalcanli
nel 4501.
98-99. della lingua. S'intenda del-
la lingoa nobile italica , di coi non poò
nefi'arsi che la maMÌma parte è in boeea
del popolo toscano. — e forse è nm!o ee.
Pare che debba inlcnaorai di Dante
medrtimo, che avrebbe oscurato nella
lingna e nello stile i due Gnidi. Ma ▼».
glio arrertire che potrebbe anche ri-
apanniarglisi questo poco niudesto Tan-
to, specialmente essendo a carico d'an
fuo amicissimo; e intrudere in generale
della incostania della fams, per cai dii
A grande oggi può direoir nullo doma-
ni. Vero è che non si nega ai poeti tu-
fiierv tvperhiam qwtiitam fneritit.
Unto più quando l'«l«>gio è posto in
bocca ad altri , e con tanta delicatena
come Otti ti vede.
102. E mula nome. Come il vento
cambia nome secondo la parte da eui
•pira; eosì la fama passa da ano in nn
altro, • or di questo ai celebra il noma
or di quello.
403-408. Ckéfetmam. Qnal nag^
é» fama avrai se sHndi (aepari) da te
fl eorpo già Terrbio, cbe ae foaai moiin
Vtmbinojquandoehiamari pappo il pane
e dindi i denari T cioè : che fama avrai
maggiore, se muori vecchione foa« morto
fanciullo, dopo un corso di anni minoro
di mille, dopo circa noveeento anni, spo*
fio di tempo riguardo all'oternitè pia
corto, che non è un battere di cigUa ri-
apetto al moto del cerchio edeato cbo
più lootuai gira? Il rìdo che gira me •
tardo è quel delie fisse, che, accondoTiK
lomeo, compie il suo giro in trentini
mila anni. La fama dunque, ai eoodndo
5er questo ragionamento, è incarta , o,
opo tutto, raramente durevole ; ondo
Tanto: qnem illum temim tupérbim
esse, ut oitemitatem «ominif ipo
prcBSumatf E s'ancha dopo nillo anni
la tua nominania renga niooo, dPtl*
lora egli è coma aa tn fooii Borto im
culla.
409'i\O.Colui,éh$ddtemmimee,
Int.. dalla fama di colui tke % A lento
posao cammina dinanzi a te, woè tnttn
Toacana. Cuatr.: loscamm kMsi urne
colui ee.
442. Ond' era sire, ddlo qnd
dtlà ora signore. — quat^ fk disarmi^
te 90., qMudo io Montaporti rimoaaro
aoonfilti dai Sencw gli arrabbiati Ro-
rentini.
448-444. dk» superhm ao.» oU •
qnd tompo fn altera, eooao oggi è vilf al
pari di Meretrice.
^^1
■!
m
CAKTO DECIMO PRIMO -
Che viene e va, e quei la discolora.
'"■
Per cui ell'cscH della terra acerba.
^^1
Ed io a lui: Lo tuo ver dir m' incuora
^^1
Buona umilia, e gran tumor m' appianii
^H
Ma chi è quei dì cui tu parlavi ora?
«t^l
Quegli é, rispose. Provenzon Salvani;
Ed è qui, perché fu presuntuoso
^^H
A recar Siena tutta alle sue mani.
Ito è cosi, e va senza riposo.
Poi che mon: colai monela rende
m
.
A soddisfar, chi è di là tropp o'o
Ed io: Se quello spirito eh alteiidu.
Pria che si penta, l'orlo della Mia,
Laggiù dimora, e qua-eu non ascende.
Se buona orazion lui nun aita.
130
Prima che pas*i lu-mpo quanto vu.se.
Come fu la venuta a lui largilji?
^
Quando vivea più glorioso, di.s.se.
m
Liberamente nel campo dì Siena,
.^M
Ogni vergogna deposta, s' affis-'e :
1»=^
1
E li, per Irar l' amico suo di pena,
1
.«•lato
Un fimi
1 i ■inil« il lul.iM d.ll'irba Iruppu (rdilD, dii hi HoppooHI
«■; e il Icirpu ckt mi au luiHrbia, cnlnl monda rttids, pa|i
UmiiMt
n»eimHii.i la diilnigi;e, in L<t liu, olii unpIiriD porU pc
r Mdia-
i(h( lliDtF<li-«>liinl'ciba fin (111 rl'ivio* giuiiiiii.
ib.u'cr.
t itrit, aetrla, (tn ncir 427-132 Si qiitllo tpMlo
K.1M.:
dJlU* If rri.
H Ir min» the itiii lUnu 1 »ntli
li I-orto
tl8. n
' inctton et; ni urllc nel dilla ciui. rIÌ uHifl» ni<>iii«iU <
iella li-
l(y. gran (umor, li lopertii, 1* buon. .,r«ioù. dno fei.uu, a»
a «Ira
"-x;
•alt dFl imo iniina. qniHti pnni cb> hi duhIb b
al*m|H>
•rWR»»! StU«7,i. Fu Sa- tallir « qu.Ili> do imcn (V.
.diCa^
niml* in i
r.«>«™ di p>rl( ghibrlliu , lo IV pMTf.. "■ 130 > Mg.) ; .
«Hot h
P«lM«d.
a il nf B-
lini .II' Ari
lit , ma pow'ia dn Giinbcr- Uni, t nua iiHD.le innirt «u
■à dalla
i.M>, •!».
■io Ai Urlo I rt di Pu|[l» • >i» mori» Unii inni iMali a.
riuoT
«piW.li
pani guKir*. fu MnnliUn o liS pii gtoriou , odiai
»• "«- .^
n.^»<l<
I2('>'J pcHH Calle a Valdel- |ior f|i<"^ ; i" t^i" '■» "* •> l»>*nk ^^
u, ■ li UI
Fa porUla a ««Ira pur lg«u 13S. (' «fflu*. <i pianli tirw> lA^H
"1°^.^^"
Aé.A
.opr. d^ .«
Ioli» .1 go.eni» di Siaai , ■ 136-137- f>n- Irar l'aiRini
n. Par 1
fjK« l.r.
,0„0. 1,bcr.(B<l'l»icUl>l»ddl<p«DI
icb«M-
(2S-I26. Fot ckt,it«:U.— colai .lowa, «ffri.i, «11. prigione i
in cui lo
tM OBL PORaATORIO
Che sostenoa nella prìgìon di Carlo,
Si oondoMe a tremar per ogni vena.
Più non dirò, e acaro so che parlo;
Ma poco tempo andrà che i tuoi vieini iio
Faranno si, che tu potrai chiosarlo.
Quest* opera gli tolse quei conlini.
teserà Carlo I rt dii Paflta, H quali 441. Faroimo ai «e. Int.: facda»-
o'eaigera in ràeatt» dieci mila fiarioi dati a fjM«uil«iU provare tatti i diiafi
4'oro, ai eonduase a diiedrra la linnaina dfUa doloroaa povei tà« e qaanto aia darò
tatto angoadoao e trnnente. Il l'oatill. a amaro il chiedere, faranoo ai che po-
Caet. ci dà qaeata ntOina intorno al- trai intrnd«>re e inlerpretara la perifraai
Panico di Proveniano. Qiti dwm mrmt dal framofif per ogni vena, a a* alla
dominui Senarum, quidam mmi€u$ m beo apfinipriaU alla coaa che ha
tuutdielut Vigna reperii se md eat^ iolaan d'eaprìnicra.
flirtum Curradtni. unde erat in etr* 442 (/ue$t'operagliloUeee.Oée-
eer$ Caroli ipse el malli alti, rìm rìHB«»nile alla domiinda che Dante
\òS. a tremar per ognivena.ìkfola fK ha ffaUa (\edi vano 127-152), a di-
ado, che avea prunaio quanto coati ad ce: Queata opera genaeuaa gli tolse qaai
an' anima gentile il picchiar per eoe- eoofini, o lo liberò da quei ooofini, fra
coreo air a Unii piirta, e fiineaeriveoda cai rìmangitno la anioM di cnloro the
■e aentiva tuttora il brivido, polea crear bawno indagiat» a pratirai. QueaU con-
questa forma ad esprimere il mtndi ini aono iatnro* al oMala del Pargm-
esra. torio aotto alla porta guardata dall'ÀD-
440. i tuoi vicini, i taoi citt«IÌBÌ. gala.
CAIVTO DECOroSECOIVIHI.
ImMiat» OétHM, • emttimmmmtU il mmmm «• ^w J» pmm étl emèm, wtéa Dtmt»
sta pmwimeHtm moti» fmmmu mtm^ é» pumiu $m^réim. Po» mmmm mttmim m Pmttà m
tàt gk gmtds alto «Mto ptr «au « «Mf# mI mcmi#« fynmm», td tm *mmc$Um «al èmtitr étW
da P émllm ff9mt0 dtirjhgkmni md'u «• »mpm/mul0 • Uggmm tà» ptrf
Di pari, come buoi che vanno a giogo,
IV andava io con quell* anima cerca,
Fin che '1 sofferse il dolce pedagogo.
Ha quando disse: Lascia Ini, e varca.
Che qui è buon con la vela e co* remi, k
Quantunque può ciascun, pinger sua barca;
Dritto SI, com* andar vuoisi, rife*mi
Con la persona, awegna che i pensieri
4. Di pari, a paro a para; a S-6 ^1 è buon ee,: qw è ben abi
•oppia, • con paaai uguali. — mme ciaacnno ai ado{>eri, ^««iiliiiifwa^
♦yy >ba 9amna ee., eioè , éalla laata to pia paè a ramminara.
cbÌM, anosa i buoi ^a vama aatl» •! 7. Drillo ee. Mi rinai tm colli
aio|a:aglÌDarl«paaocbaava«a aepra aaoa iu quel mado cbe ai aiiola
iMpalla, ad •• por M
^^^ - . pw palar efm W ftaa oara, a, aba ai costìcm «IP «aa» di
Mwa^ rogianara. caanioara.
*• *•**•* P*»» ■■«■1. t-f. ofettgna eke ( pentkri ee.t
CA2VTO DECIMOSECONOO.
zrr
ìQ
i6
so
n
Mi limaDessero e chinati e scemi.
Io ni* era mosso, e seguia volentieri
Del mio Maestro i passi, ed ambedue
Gié mostravam com*eravam leggieri;
Quando mi disse: Volgi gli occhi in gioe :
Buon ti sarà, per alleggiar la via,
Veder lo letto delle piante tue.
Come, perché di lor memoria sia,
Sovr* a* sepolti le tombe terragne
Portan segnato quel eh* elli eran pria;
Onde 11 molte volte si ripiagne
Per la pantura della rimembranza,
Che solo a* pii di delle calcagno :
Si vid* io II, ma di miglior sembianza,
Secondo r artificio, figurato,
Quanto per via di fuor dal monte avanza.
Vedea colui che fu nobii creato
Più d* altra creatura, giù dal cielo
Folgoreggiando scendere, da un lato.
Vedeva Briareo , fitto dal telo
Celestial, giacer dall* altra parte,
EBtierì ni rimaneMem non cioè , tutto qael piano che foma tira»
pie «hi, soperbì, nttomt erano dianzi, da,t|»orgrnflo fuori della falda del mm^
■M kaaai, amiliati ^ per V effcttit de* ve- te. — Secondo V arliflcin, teoondo il
aapplìci elle in Purgatone ha la mafpniero, unt» nin perfetto, del difino
arti'iiri* Si noti rne gli ecempj d'umiltà
erano M*i«l|iili aulla rì|ta , e qveali di
fain«iM superbia ««tnn delineati ani p^
Timriito . a liiiiKMtrare che gli amila ta-
ranno alla line esaltati, e i aoperbi d*>
prcMi e ciil|H^Uiti.
23 eht fu nnbil creato. Qvaili è
Loci fero, che fu il piò nobile fra tatti
gli spinti creati da Dio.
27 Folgoreggiando^ qvaei folgort'
per la Iure rbe diffondeva all' intorno.
28 Briareo. Gmioi, secondo le fa>
Tolc, fu uno de' giganti figlinoli deUa
Terra che mossero guerra agli Dei, f
Siac<|oero fuliiunati a vinti nella valla
i Flegra- Gtlla promiscuità degli aeaA>
dafanti rìavegliata per le opere aepol- pj aarri e profani volle il Poeta far at*
crali alimob i pii fedeli a pregar per^ noaeere i mali effetti della aaperUt ia
lar*. Dice aelo a'pti, perdio i omni- o^oi tempo, e i documenti eoe la m-
dani gnardano , leggono Ione, e tanna piente degli aoticbi à laactè pnr Mi
iaonnci. miti a fame canti contro il vino Ima-
22-24. 51 tWio il <c. Coà vidi ato Kammenliamod ancocba il Poema
Sa II , ma eoo piò legp,iedita oroMi» di l'elaa sopra il doppio foodamenlo 4all8
figure , /tgurato, quatUo pfr ria «e., nttarile filosofia, e della rivelazione.
44. mUeggiar, allevi >re.
45. lo iefio delle piante: intendeai
3 asolo ove le piante camiuinando ai po>
47. ferrarne, scavate aul terreno.
48- fognato, arolpii» o con lettere
a con emblemi. — quel ek' rtli eran
•Ha. cioè, il nome, la pri«apia, le qua*
Ltà lóro. — quali elli eran pria, legge
3 O^iec Poggiali.
21. Ch» toio a' pii ee. Questa ma>
talora è t<»lta dall' immagine di colui
tho cavalca, il «{naie dà delle celca-
gaa al cavallo, cioè, lo sprona. In-
328 DEL PUEGJlTORIO
Grave alla terra per lo mortai gelo.
Amedea Tirobreo, vedea Pallade e Marte ,
Armati ancora, intorno al padre loro.
Mirar le membra de* Giganti sparte.
Vedea Nembrotle appiè del gran lavoro ,
Quasi smarrito, e riguardar le genti
Che in Sennaar con lui superbi foro.
0 Niobe, con che occhi dolenti
Vedeva io te segnata in su la strada
Tra sette e sette tuoi figliuoli spenti!
O Saul, come in su la propria spada
Quivi parevi morto in Gelboé,
Che poi non senti pioggia né rugiada !
0 folle Aragne, si vedea io te,
Già mezza aragna , trista in su gli stracci
Deir opera che mal per te si fé!
0 Koboam, già non par che minacci
Quivi il tuo segno; ma pien di spavento
la
35
40
45
50. Grave atta terra ee. I corpi
morti rìmangoDO abbandonati eoo tolto
le membra loro sopra la terra, e poro
che gravitìao aovHeua più che i viti.
Però iateodi : Tederà la imiaurata molo
del morto gigaoto opprimere col tao
peto la terra.
31. Timbreo. Apollo fo chiamato
Timbreo da no tempio che i Dardaai
5 li odlficarooo in Timbra città della
'roade.
34-35. Nembrotle Colui rhe fi eoa-
iifrliò follemente di cdiiicare la torre di
Babilonia. — del gran lavoi o^dellagrao
torre. — emarritOt confuso, stordito.
56. in Sennaar ee. Nelle pianoro
di Sennaar, ove ediGcavasi la predetta
torre.
37-58. Niobe, moglie d'Anfiooe re
di Tebe , insuperbita di sua fecondità ,
teodo madre di sette figli e sette Gglie ,
oaò sprejparLalona come minore di lei,
e ritrarre il popolo tcbano dal suo culto;
Gr lo che i figli della Dea , Apollo e
aoa,le Decisero a furia di saette tutta
«MOta la prole, cagione di sua soper-
Ka. — te^iMfa. delineata. — Gli ocdii
éeUnii, sono quelli di Niobo ta'qaali
«ra tasta eaproMioo di doloro
41-42. Cha poi ae. David nel da-
tara dalla morta di Sa«| maladì il monta
Gelboè; per la qoale malodiziona apn
cadde più aopra quello né pioggia aè
mgiada. — Quivi, ivi.
43. ti vedea io le. Intendi: ooa
pari evidenza che il precedeota fatto.
44. Gid mezza aroy mi: oon era an-
cora compita la traaformasione, a tanto
restava della donna da poterne vcderail
dolore. — Àraen», o Aragne, celelMV
tessitrice, giunse a tanta sa|NBrbia dal
ino valore, che sGdò Mioonra a ^i fa-
cesse più eccellente lavoro. Fn dalla
Dea vinta, e suhsno medesimo drappa
atracciatole in faccia, intugli ttraiei,
convertita in raf«no.
45. che mal per te ti fé: che fn la-
forata per tuo danno, in tna naPora.
46. Roboam. Fu figlinolo di Salo-
mone , e re superbo. Il popolo di Sidkem
pregollo perchè volesse dimianira lo gra-
Toue imposte dal padre ano, ad agli ti-
rannescamente : Io le accreaoarfc : aio
padre vi battè con verghe, ed io tì bat-
terò con bastoni impiombati. Parqncata
crodele superbia , di dodid tribè ékm
erano eoo esso lui, nodiei gli ai ribal-
larono, oBoboam pieno di aoapattoai
foggi in no carro a Gernsalamma pri-
ma che il popolo a furia lo caeeiaaat.
47. il Imo tegno ee, Intaodi: la taa
indta figura.
CANTO DEGIMOSECONDO.
Nel'pirta on carro prima ch'altri il cacci.
Mostrava ancor lo duro pavimento
Come Almeone a sua madre fé caro
Parer lo sventurato adornamento.
Mostrava come i figli si gittaro
Sovra Sennacberib dentro dal tempio,
E come morto lui quivi lasciaro.
Mostrava la ruina e il crudo scempio
Cbe fe Tamiri, qbando disse a Ciro:
Sangue sitisti, ed io di sangue tempio.
Mostrava come in rotta si fuggirò
Gli Assiri, poi che fu morto Oloferne,
Ed anche le reliquie del martiro.
Vedeva Troia in cenere e in caverne:
0 IlMji^come te basso e vile
Mostrìlfìi il segno che li si discerne !
Qiial di pènnel fu maestro e di stile,
Che ritraesse 1* ombre e gli atti, eh' ivi
Farien mirar ogni ingegno sottile?
Morti li morti, e i vivi parean vivi :
Non vide me' di me chi vide il vero.
3«9
60
bò
60
65
4f. io émro poHmento, doè, U
tÒM «fi dura materia, istoriata.
9#. J/fMOM. Fu figliuolo di Aniìa-
e 4i Enfile : acriae la propria ma-
irm par Taodlicare Aafiarao suo padre
Àm Iti tradito per la superba vanite di
H di 00 gioiello offerlule da Po-
^ freno del tratlimcnto. Vedi la
ai Caoto XX dell' tnfemo, ▼. 54.
52-S4.Jf(Mf ramo ee Sennacberib, rol*
aBpiibinìiiio de{{li Assiri, meotre oravo
o'piodi di «0 idolo, fu morto dai proprj
aaMÌfflwolì.clie poi ti dettero alia foga.
SS'M. la ruina^ la sconfitta dato
^ Toairi ragioa degli Sciti a Ciro, su*
tiroooo da' Persi. — il erudo
ì. Taflurì eomandi cbe dot bu-
eto età Morto Ciro foaae reciso la to-
aCo , o Eottoei recare oo vaso pieno di
aoof^o onaooy io qoello lo mioMrso
JicHida: aoaati del aaogue, di cbe avo-
ali oolo ooCaoto*
S7.«<IMt, fatto dal lat. tiUrt,
Ofw aota ; bramare avidamente.
M. Bd mmtkt 1$ rtliquU ce.: od o»-
^o lo f roodo strage cbe fa fatta degli As-
airì.— -If ff/tguie del marliro, le tracco
del macello di loro fatto iella foga.
61. in cmttme, in case informi e
roioate.
62-63. IliAn. Dione era la ròcco di
Troia. — eom* te batto e vile oc.: co-
me la effigie tua , ti àegno, ti meotrofo
acaduto dalla superba tua alteno.
64. fliie, stromento da diaognaro,
o da incidere.
65. l'ombre, le figore; nel qool
Benso Tedesi usato ancbe nel verao 7
del Cauto scg. — gli alti, gli atteggia-
roenli, Pespressiooo loro. Questa lei. è
della Nidob. e di varj Codici, e mi pare
migliore dell'altra l'ombre e i tratti.
66. Farien mirar et. Coai l'Ao-
tald. e altri Cod. Indurrebbero, doè, o
maraviglia ogni ingegno che eopoco
foaae odia soa acutena dì coooacero o
di appressare le bellesxe di ooella dU>
fiale imilasiooe. Ovvero : farebbero Mft>
rovigliare il piò sottile ingegno, ooi
che on groaaolano nomo e nuovo « taU
cooe. La com.: Mirar fariena um I»-
gegno toltile.
68-69. Non Me et. lot.: /RmU
chinato giti \g;u)j fincbè andai cbiaato^
330 VBL PUBGATORK)
QatntMo calcai fin che chinato gjvi.
Or superbite, e via col viso altiero,
Figliuoli d* Eva, e non chinate il toHo,
Si che veggiate il vostro mal aentiero.
Più era già per noi del monte volto,
E del cammin del Sole assai più $ff9b,
Che non stimava I* animo non scioltd:
Quando colui che sempre innanzi atteso
Andava, cominciò: ttrizza la testa;
Non è più lempo da gir si sospeso.
Vedi colà un Angel che s^apprcsta
Per venir verso noi: vedi che toma
Dal servigio del di' 1* ancella sesta.
Di riverenza gli atti e il viso adoma ,
Si che i diletti lo inviarci in Jiee:
Pensa che questo di' mai non raggiorna.
Io era ben del suo ammonir uso,
Pur di non perder tempo, si che in quella
Materia non potei parlarmi chiuso.
A noi venia la creatura bella
Bianco vestita , e nella faccia quale
Par tremolando mattutina stella.
Le braccia aperse, e indi aperse l'ale:
70
n
IO
tt
noo vide mrglio di me i casi (dei qaaK
calcai col piedr le imroagini ) dii ad easi
fi rìtmvè prearnte Ma se llunte maravi-
glia PabiliU d«4rartikta oelivnigiare
cou tanta venta e vivesra 4|itcate iato>
rie , OMi n8ravi|rliaino neno noi la fe-
liciti del Pitela nel de»rnv«^ qoeate
76. mUen, attento a de «U mm-
Tettila oferart.
7a Aon i piò Umpo «. Il
piò n«»n conviene che «ineali
•uapi^dnno la celerità del
81 I anertìu tetta, l'ora
dici Mtn le ore del giorno cbt n(m
Ìg«re,che veramente s|iirpno e parlano 'Reamente %**fa chiamate ano «ariello: ft
nei snot versi , come I» pi4reliDere hi
marmo per opera del più grande aciil-
lore.
70. € 9ia eoi rtto aUierm, cioè , e
fia petttn-Dti e a tesili levata.
t\. e non ehinaàt ee. Chi vuole im-
5 arare nmiltà, guardi ft|»ea«o la terra,
ove le saperhe grandette devono aa*
^re a finire.
75-75. Pie era già ee.: avevamo
già, COBI andando, girata più parte della
ice che arconda il moiile , e apeaa
i tempo di ^nello che ai peaaavt
•nÌBo ooalro non «rsollo, cioè, tatto
{■tento e applicalo a cuoaidoraro onailf
Vo<£ U noia al vera» ì del
F.
Canto IV.
dnni|iie la sesia ora avoo eonipilo 3 WEB
nfiìcio, era iiienodi.
83 Si che i dileUi, il «U « M
aia in piacere, in grado.
81 ntm raggiomm, MB ri rii^
eende , mm lnrna a splender*.
85-87 lo era hen ee. Ceatr. • iat.:
io era ben uso drl «no eummomirt; baa
pratico di «|acsio suo nvviao, parckè
piò volte n|ietuto, di non pcroava i
tempo; cosicrhe non potoo portmai
d^iiMO, oscuro, io ouelln materia.
89. Hionco nettita, vaatila di Uaa-
eo. Qui r a|^. bianeo è
aMate a modo di avveriHa.
90 par, ai moalm.— I
MÌalillando. — mattmtinu, tal aattlaa.
CAlfVO DEcniosecoifDo.
Disse : Venite; qui «m preeeo i yrtdl,
Ed agevolementa ornai si sale.
A questo invilo veogon molto radi:
0 gente amena, per volar fv nata.
Perché a poco vento così cadi 7
Menooci ove la roccia era tagliata :
Quivi mi batteo l' ale per la fronte ;
Poi mi promise sicura T andata.
Come, a man destra, per salire al monte.
Dove siede la Chiesia che soggioga
La ben guidata sopra Rabaconte,
Si rompe del montar t* ardita fòga,
Per le scalee che si fero ad etade
Ch*era sicuro il quaderno e la doga;
Cosi s* allenta la ripa che cade
Quivi ben ratta da li* altro girone :
Ma quinci e quindi V alta pietra rade.
Noi volgendo ivi le nostre persone,
334
95
iOO
106
94. À pusU HimUo, a qaMto mio
iariU». Mfoila a dir rAngrl», ««io po-
dii gli aomÌBÌ dia cormpttnilano , par-
ade daa pia ratta aHa auggmtimii del-
l' appatjto the allr tme biuHic lapirazio-
■. La lax. com. À quesUt annumio,
05. per volar «« mata, oata par to*
lari al cido.
te. « paeo venia. Ini.: TÌnla da ao
fefài gloria OBonilaiia. che ni»o é cba
■a Taolo , e dalla altra untaue vaoiU,
~ alarrat
lee CMna, a man deaira, «e. 1a-
BM per lalire • inam* destra
tal amata la cai la di unta dt S Minialo
t^iaaaho aopra la alla di Firritao,5<
^aà BMMlera) Tardila f«iga dd
!, aaaia, a allrnla T iiii|ietaail
il troppo ripiilo raderà del
Bflolo , Per U traiee, per l'aiuto della
tmàa a cordonala, roM ec.
Idi toygiof a, lieo «otto, dnaiiaa.
leS. Aaèaroale IN>nte «opra TAr-
BO, dManiato t*tn da Minger Kubomala
di Maadalla ailaoMa, die lo (ree Cab-
Wicaro eiaeodo polcalè di Fireaaa ad
4137 0.;gi clnaaiaai aiU Craiéa. —
Im èem fmidmta. chiama
Fìroaao, par BMirdora il
gerarao.
104-403. chi i{ fero ad elade H.:
dia forooo fatta al taoipo antico, qnaodo
Firooae era acmplira, né coooaee?a io-
gaooo. Ch'era ticuro il quaderno $
la doga : » aceeooa a due frodi solanni
aonuoeaaa ai lonipi di Dania. Da 'tal
M. Nicctda Arciaiu.ili nd 1299, d'ae-
e«*rdo con un tal M. Baldo d'Agngliooa,
alterò il quaderno. Hi libro pubblico,
atorrondiHie ana carta doiula ai potea
aver la pmva di una sua ingiustitia. E
S. Durante de' Qiiaranionlesi. don-
aiare e caniarlingo alla Canara oel 8al0|
Irasae aoa ditga ddl« staio por far MW
profitto di tallo il sale o denaro , cbt
vendfndo avanzava. Sei XVI del Poir.p
volando Dante nominara i diicaadaeU
di quelito ladro nobile, gli cbiaoM fVfl
the arroMsam per lo Hata.
406. Cod t'alleala #.s daè,oad
par via di gradi la c«Mla dd laoato, cba
aaaai ripida srende dall'altro giroat dà
iopra , ai f a meno faticosa a salirà.
408 Ma qnineé e quindi, etJ ma
dall'aaa odairaltra baoda l'alia pio»
tra raéi, raseau. toeea Tua Saaeaa'
r altro di eolai db% ala ftr fwflc
ilraito via.
409. JVo4 oalfiiidb oc.; làmàm mJk
folgaadad ool fiaaeo daalro e^ iafeii»>
nvamo t fsdl* apertura i maao dni-
ttri.
332 DEL PUA6AT0EIO
Beati pauperes spiritu, voci
Cantaron si, che noi diria sermone.
Ahi quanto son diverse qnelle foci
Dalle infernali 1 che quivi per canti
S'entra, e laggiù per lamenti feroci.
Già montavam su per li scaglion santi, il
Ed esser mi parea troppo più lieve.
Che per io pian non mi parea davanti :
Ond* io: Maestro, di, qua! cosa greve
Levata s* é da me, che nulla quasi
Per me fatica andando si riceve ? 120
Rispose : Quando i P, che son rimasi
Ancor nei volto tuo presso che stinti.
Saranno, come i*iin, del tutto rasi,
Fien li tuoi pie dal buon voler si vinti,
Che non pur non fatica sentiranno, m
Ma 6a diletto loro esser su pinti.
Allor fec* io come color che vanno
Con cosa in capo non da lor saputa.
Se non che i cenni altrui snspicar fonno;
Perché la mano ad accertar s* aiuta, i30
E cerca e trova, e queir ufficio adempie
Che non si può fornir per la veduta:
E con le dita della destra scempie
Trovai pur sei le lettere, elio incise
Quel dalle chiavi a me sopra le tempie: i2i
A che guardando il mio Duca sorrise.
440. Beati p^uperei ee. Vanetto tutto, itaoi piedi verraoDO piiUi{tfmtì^
eoo ch« quello anime laudano rumiltà, dalla volontà non aolo senza iiu fatict,
rirtù contraria al peccato della su- ma con tuo diletto. — tu pimU: M-
perbia. spinti l'Antald.
444. Cmntaron ti, ee. Int.: canta- 429. < etnni altrui ae.: i
rooo con tanta toavilà , che con parola della geoto verso di lui, lo fauo »>
■onsi potrebbe dire. spettare d'aver qualche cosa addewo.
442. /oHJr'aperture, aditi. 450. Perehi , per la qui cosa.
447. per lo pian, per la cornice di 431 . e quell'ufficio mewnpia, a fi
sotto, sebben piana. col tatto quel che ce.
421-426. Quando i P. Quando i 453. icempie, separata. allar|ato
P impressi dell'Angelo nells tua fronte sai modo più atto a trovara la eoaa aba
(simbolo, come s'è detto, delle reliquia ai corra.
iti peecati pentiti) , ora rimasti quasi 434. pur tei, sci solaoMBla.
eallati al togliera del pecrato della 435. Quel dalle ekimi^ ì'àa§Ù0f
ai^ptrbia, radice ed alimento di tntti cba teneva le due chiavi.
~*i altri, saranno^ come quel primo 436. Jdka,al qnalattodiefrctrat
saparbia) , araneeUati del costar colle dita i F restali svila froate.
s
333
CANTO DEcmroTERao.
i^ «alM s4tomd», étm «m fimmgmtù i Pùett, $i pmrgm U peeemt» déWtavUU. Shi» fluite
•"w 9tnUt tf*M Mf eUitio, 0d *MK« f fi «tcki emelu é'um fU di ftrf. Di trmtm te trmtt» «•-
^^»p9rM Mvvfti* dta* mei mot$0 4m SfiùiH tU$tt, dtt witurdam m§run
/imtariiitéi
«MM • smitt. Si mmti/Mt0 aU'JlitèùH Im SamtM St^im,
Noi eravamo al sommo della scala,
Che secondamente sj rìsega
Lo monte che, salendo, altrui dismala:
Ivi cosi una cornice lega
Dintorno il poggio, come la primaia,
So non che V arco suo più tosto piega.
Ombra non gli é, né segno che si paia;
Par si la ripa, e par si la via schietta.
Coi livido color della petraia.
Se qai per dimandar gente s* aspetta,
Ragionava il Poeta, io temo forse
Che troppo avrà d* indugio nostra eletta.
Poi fisamente al Sole gli occhi porse;
Fece del destro lato al mover centro,
£ la sinistra parte di sé torse.
iO
15
S. ittondamtmté, per U Mcornla
vetta. — 9Ì ri9ega, ti ristringe, si ritira
il d«ntro, lasciando intorno a tè on li-
fitmù.
8. dté, ialendo, olirmi di$mcla:
H fUkU oMotre è salito, dUmala, porga
M Baio de* perrali colui rbe vi sale.
Stiemdo inreca d\ talendolo. V'ha chi
cr0d« che possa esaere an'iniitaiìone del
fcinodio latino, osalo <|ualrhe volta io
sflMo paanro. come tidendo, habendo,
per àmm vidttw, habetur,
4-5. toti una eomiet lega Din-
tir MI ii poggio. Chiama cornice, come
l'è detto altroTe, quel ripiano che rir-
c— da, ioga, il monte a guisa d'nn snel-
le, coti... ennie la priwutia, la prioM.
9. pia loefo piega, piega pie pre-
ale, per aver minor circonferenie del-
r olirò cerrliio che gli sta sotto.
7. Ombra «e» f li è, te.: hri, gH,
ama è owkbra, immagine, o tegii#, mi-
taro, Hm si mostri.
•-•. PétH te. Cosi pere, dee. di
qocl colore, la scbicfla ripa \nhieHa
percbè noo tì eoo figure), e cosi pare
la achietta via, come il lirido color della
pietra. Il color livido della ripa e della
via hen conviene all' invidia punita io
questo girone. — Col, è detto olla pro-
venzale per com'el o eom'il: da eom'el
si è fatto com'ii; qnindi per pia fad-
lità di pronnnria si è camniata Vm io
n e fatto eon'l; e finalmente ooi. Se
n'hanno altri esempj in Dante medeei-
Do e in altri scrittori anttehi.
40-42. Se qui por diwtandar m.:
«e ani ai as|>etta persone per dooMii-
darfe se sia da prendere il destro eolie
o il sinistro, io temo forte che troppo
tarderemo ad elejgere la strada, eisf
ta, acelte.
14. Fece dei doitro iato oe, l
Poeti son fermi al aommo della aeolo :
Virgilio incerto del cammioo da pres-
dere si volge al sole, che prcp e MM
0 goida. Essendo passale OMoedi, il
•ole e alla sua destra: daqodleoorCe
dooqne ai volge il Poeta, e per volgisrsi
lieo fenno il destro piede, di cbe
fa centro, e move in giro come oo
paaao il pie Sinistro.
334
DEL PORGATORIO
0 dolce lume, a cui fidanza V entro
Per lo nuovo cammin, tu ne condnci,
•Diree, cene omdur ai vuol qoìnc' entro:
To scaldi il mondo, tu sovr'esso loci:
S* altra cagione in contrario non pronta ,
Ener dea sempre li tuoi raggi duci
Qoanto di qua per on mip:liaio si conta.
Tanto di là eravam noi già iti,
Con poco tempo, per la voglia pronta.
E verso noi volar fnron sentiti.
Non però visti, spiriti , parlando
Alla mensa d* amor cortesi inviti.
La prima voce che passò volando,
Vinum non habeni, altamente disse,
C dietro a noi V andò reiterando.
E prima che del tutto non s* udisse
Per allungarsi, un* altra: Psono Oreste:
Passò gridando, ed anche non s* affisse.
20
u
30
16. 0 dotce htme m. Il wU. ■ c^
il Poeta fa si brlla nreghiera, poi anv*
qai caser figura drlriroperalAre ro«i«-
no, sotto la coi guida a«<li8ntn, come ti
diate fin dal I Canto di-H'Iii/., poè
V «ouiot faoMglift, ttkimào cIm pMiai
Dttote, «Iter virUMta • ttlie« mi ^««U
la. fHinr'Milro, per ealr* ■ ^pM-
tt» llMfO.
20. S' mltrm emgiont «e. lolcndi :
purbò altra eag ione nun aforii a farà
il eoaftrario, i ta<M raggi debbono etatit
•aaipre guida al viatHlNula. bd t quanto
dira : il viamlanla debb« ^ non è Cor»
iato a faro altrinM*nti) cammioafo^ann-
pra d tuo lame, o non di notlo. ■ prvm
te, inealta, fa furia.
22. migliaio, Miglio, cka è no ai-
|Ìi«odipo<M.
24 . per /« voglia, a ctgìoa dalli
foglia pronta, eke ci (ace«a allattiro il
23-27. pmrUmdo..,. eorlml In-
. lutràdi ; ontfarendo in%ili olla
d'aninre, di oarità e d'ofni al-
tra «uiÉ eootrarÌN all'iavidia; cioè, io-
vilaado ad enipi«f« d'aaiora, di «an-
ta aa. L* invidia, cho ^ai ai piuan, aaMt
^ auacanaa di carità o da agowaM»
20. ftiiuiiiiioi»à«6««f. OManraft
n «b. Biondi a «pMtlo laogo, cb« Dante
diitingue ^ai Ire gradi di carità : Dare
tnecorso a coloro die ne tono privi (di
ehe porse un beli* esempio Maria alle
none di Cena, iiaaado accortati della
maaeama dal vino, a deaidartada rì-
apamiar aucUa vrrfofna al padr— di
caaa, ai voIm al figlio dicendo: vìmhi
non hattent^: Porro té a perirala an-
che della nMirtc per la talToan allrw :
raMoOrwtlt IVireretribaiionadlil
par malo : Àmmte dm c«M amia <
51. E primm dka rfel
f* mdiu9, pnna «he qad
gaail«MÌ «la imù, affatto avai
32 r timo Ortcte. QaetU
tono di Pilade, il qnalo, attendi
coadanntto a aMrte Orlala non
tciulo da Ì!!gi»t«i, gn«lò : T SMW (
Vedi Oc., IH mmifitim. Ban a*inlaade
però, cbt» quiete voci n«n «anfana né
dalla Vrrgiiifl. ne da Pilada,cbanon ann
aartoin quel lu<*go; ma aono oHrallanti
latti citati dagli Angeli a riaardaaa a
auell'aaiiue vseaipi contrari alla iari.
dia che eaar là purgano. E gli aMBM
lalanni di fraterno anMira tkm amba u
paganeaimo ci offre,
confiMiMMe «lei maligni
S3. «il mmeke non t'i^fUm, • p«r
Bla non ai toflcraiè.
OàmrO BECIMOTBIZO.
0, disagio. Padre, che voci sob queste?
E com' io dimandai, ecco la terza
Dicendo: Amate da coi male aveste.
Lo booo Maestro: Questo cinghio sferza
La colpe dellt invidia, e pM sono
Tratte da «!»%> corde Mia forza. (*)
Lo fren vuot esanrVòI contrariò suono;
Credo che l'adirai, per mio avviso,
Prima che giunghi al passo del perdono.
Ma ficca gli oochi per Taer ben fi.-o,
E vedrai gitfte innanzi a noi sedersi, -
E ciascun è lungo la grotta assiso.
Allora più che prioM gli occhi apersi;
Guarda'mi innanzi, e vidi ombre con manti
Al color della pietra non diversi.
E poi che fummo un poco più avanti,
Udì' gridar: Maria, óra per noi:
Gridar Michele, e Pietro, e tolti i Santi.
KoD credo che per terra vada ancoi
Uomo si duro, che non foì^fe punto
Per compassion di quel eh' i* \ idi poi:
Che quando fui si presso dì lor giunto.
Che gli atti loro a me venivan cerli,
Per gli Oftbi fui di grave dolor muntor
Di vii cilicio mi parean coperti,
I3&
3»
40
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M>
6^
Si. M ttmtio, 0 app*!» io
se. JmmUm, Parol«4elVM9d«:
gl'iBioiid vwtri.
17. 9f9r%m% fwlifa, «*rr»gi]t.
M-3e. • pef mnm TrmiU §t. E
fmé h99wét éMm fer%m, •««•, flt w»
Iti S dw « CMii|i«Hi« U fer«4i, i
iMè, • gli «MBiitiii eoi i|aali ti
yiwti pcmUmb « s'inàtaiio •
rselWac, t^mnlrmiU, rmvati,
OMiIrari* al litrv %iii*, JaU
I, ciaé, « aalU earttk. Pwé k
trmiU ém tnvnt pi*ir«4W
•ptegarM:
2 Si purga il pMMto «fella
. !• /«mi r««f «fMT «e. Il fi
• kiwi parrattMMrr gÌ'ta<riilÌMai, a^
ffiimm ancrt 4^ emmirmrtm MMna.aiaè,
4ì awaifi lerrtliili 4'inT^
è'ttm paniti. — Vnolusw, ^
tmré.
42. «I patto del pmriom», ckè, •
pie «MU «cala che ami «aannJo Ulta
aMnafula al lento, o«e sta l'AagaU d»
penlima e cancella e«4al pereata.
45. l«nyo la grotim, laago toripa
del girone.
48. JlrolarM..* lividi aanabpia.
Ira drl monta.
51 Gridar BlirheU. AaeaMa I»
LiUnie de' Saitli. rhe ad alla Toai ra-
cita%anM da furile aoNua.
53 ckft per Urrm vmd^mtt
lateodi ; che viva «f^t aooio M
— Anrmi: dal baaa» latiaafcMK
i Fni%eMaali frrar» aaffcay a mtetd.
56 reMtro* carli, mi m vOtix
ehian e diaiinti.
57 nergUteki^iii
lar munti!, r«|u««ale a dira:
dal gra^edidonripiiwiata la lagi mt.
SS. eUieio, ««ala aspra a paagvflla.
336
DEL PURGATORIO
E r un soflRsria l' altro con la spalla,
E tutti dalla ripa eran sofferti.
Così li ciechi, a cai la roba falla,
, Stanno a^ perdoni a chieder 4or bisogna,
E r ano 4ÌP6apo sopra l' altro avvalla.
Perché in aitnii pietà tosto si pogna.
Non por per lo sonar delle parole.
Ma per la vista che non meno agogna.
E come agli orbi non approda ir Sole,
Cosi ali ombre, dov' io parlav' ora,
* Loco del ciel di sé largir non vuole;
Che a tutte un 61 di ferro.il ciglio fora,
E enee si, com* a sparvier selvaggio
Si fa, però che qneto non dimora.
A me pareva andando fare oltraggio.
Vedendo altrui, non essendo veduto:
Perch* io mi volsi al mio Consiglio saggio.
Ben sapev'ei, che volea dir lo moto;
E però non attese mia dimanda;
Ma disse: Parla, e sii breve ed arguto.
Virgilio mi venia da quella banda
Della cornice, ondo cader si puote.
65
70
75
SO
59. io/feria, re{7geTa, sottonera.
60 S tutti dalla ripa ee Intendi :
« tutti erano sostenuti dalla ripa, doè,
tt appoggiavano alla ripa.
6 1 . (1 cui /a roba faUa, a cai manca
la roba per fitere.
62. a' perdoni^ presso le chiese,
oVèil perdono, l'indulgenza, e perciò
concorso di gonte.
63. avvalla, abbassa.
04. Perchè, a^Gnch^.
65. Pfon pur per lo tonar, non
•olo pel chiedere rfl«mosina con parole
di lamento.
66. Ma per la vitla ee.: cioè, ma
per r aspetto, per l'aria espressiva del
volto e^ non meno agogna, che non
domanda meno ang«isciosamente , di
^ello che domandino le parole.
67. non approda, non arrtra, non
||inge a farsi vedere.
68. do9'io, del laogo nel «pule:
•fvero, avanti alle anali. Il Cod. Caet.
Mtkaic,
60. Luta dH eiti di tè largir
MOfl tuole: doè, il ade non vnola es-
ser loro liberale di sé, mostrarsi loro.
70. ti ciglio. Intendi le palpebre.
Non si pntfs immaginare pia saettate
supplizio agl'invidiosi, cbe di encir ^e-
gli occhi che mai non poteron vedere il
bene dei fratelli , e die se n' attrìstarono
come di lorn sventura.
74. eom'atparvieroe. Era costu-
me de'cacriatori di cndre gli occbi agli
sparvieri di fresco presi, pv ^è age>
Tolmente addomesticai li.
75. al mio Contiglio, ■ Virgilio,
ebe gli era guida e consiglio.
76. ch« volea dir lo wutlo, cbe
cosa avevo io in animo di chiedergli,
sebbene mi stessi muto; perdiè pene-
trando egli il pensiert»! non c'eri con
Ini bisogno di pande.
78 f i« òrere ed mrgmio, dei, jporln
•on brevità e con acutezza, conio m con-
viene fare co' archi, i quali Imhm lo
mento mono diatratu di coloro cko for
gli occhi ricevono l' ìmpreaMono do'<
Sestanti oggetti. ^^
79-80. mt 9enia da quoUa
da ee. SUra <*"nq«»« «• • «•«•^^
CANTO DECIMOTEBZO.
337
Perchè da nulla sponda s* inghirlanda:
Dair altra parte m' eran le devote
Ombre, che per l' orrìbile costura
Premevan si, che bagnavan le gote.
Yolsimi a loro, ed: 0 gente sicura, 86
Incominciai, di veder l'alto lume
Che il disio vostro solo ha in soa cura,
Se tosto grazia risolva le schiume
Di vostra coscienza, si che chiaro
Per es^ scenda della mente il fiume, 90
Ditemi (che mi fia grazioso e caro)
S' anima è qui tra voi, che sia latina;
E forse a lei sarà buon, s' io 1* apparo.
0 frate mio, ciascuna é cittadina
D' una vera città ; ma tu vuoi dire, n
Che vivesse in Italia peregrina.
Questo mi parve per risposta udire
Più innanzi alquanto, che là dov' io stava;
Ond' io mi feci ancor più là sentire.
Tra 1* altre vidi un* ombra che aspettava iOO
In vista; e se volesse alcun dir come.
Lo mento, a guisa d*orbo, in su levava.
Spirto, diss* io, che per salir ti dome,
93. S forte te,: • forte Ugiof ara
se io impererò • roooeoerle, per le ori-
rioni che ti faranno e ano prò qaaodo
io rechei 6 nel mondo novelle di lei.
95. D'una vera città. Le città
9§ra, ferme, slabilef dntineU de ùta
alle anime, è il Paradiao. Sa f^ctfM,
terre si disiingaonodiversenesìoniedt-
tedinent e ; ma le anime giuste sciolt*
del eorpo divengono tatto eittadiat
d'ana medesima patrie.
96. Che vivesié in ItaUa f$rt'
grina. La vita presente è nn pellegrì-
naffgio, il cui termine è il tzwmi «Me
fta4«fn«if kie manminnti^itaiem, nd
futuram inquirimus.
400-102. che aspettava Inviata:
cioè, cbo deve sej^no, o roostreva eepel-
tere che io dicessi elcaoe coee. — e te
votene ee., e se elcano mi Toleaee do-
mandare come quell'emme oioetraiaa
d' espcttere, risponderei : leveado il
mento in sa, corno soglioo fare i cit-
eU.
403. per talir: cioè, si cielo.— fs
94. §' inghirtandat si cinge.
88. V orribile cottura, le spavett-
ICTob cadtare.
S4. Premevan ti, ec: sappi, le la-
erima: npiogeveno con tento forte le 1*-
eriase, cfce le sfoneveno ed ascir fuori
èJàa escile palpebre a bagner le gote.
85. eieaira, certe.
86-87. t'aito lume. Iddio. —C&e
si iMa vostro solo ka in sua cura,
cbe è il solo fine de*voetrì de>iderj.
88-eO. Se tosto gratta risolta le
tehhane. Cosi Is divina graxia purifichi
le Toelra ceedenxa, vi lavi ogni macchie
àeì ^ecceto, si che per essa, •opt' eese
noBse, scenda chiaro il fiume della
Ile. Per fiume della mente, il Porte
le loco intellettuale, de cui sono
iUaetrmle le enime digli detti nelle io-
tairie»* di Din. E queste divine Inee
Mie BMOte, prfmio elle anime d«
Sesti, «Bcbe nelle aeicre carie più d' ooa
Telia è eignificete aottu V allegoria d'aa
largo Some che inonde.
92. latina, it^liene.
VL
Se In se' quegli che mi rispondesti,
Fammìli conio o per luogo o per nome.
i' Tu! Senese, rispo^, a con questi
Altri rimondo qui la vita ria,
Lagrimandt) a Colui, che sé ne presti
Savia non fui, awegoa che Sapia
Foisi cliiainalii, e fui d^li altrui danni
Più lieta assai, ohe di venlura mia.
E perché tu non credi cb' io l' inganni ,
Odi se fui, com' io ti dico, folle.
Già di.'Kendendu l'arco de' miei anni.
Erano i ciliadin miei presso a Colle
In catDjio giunti < o' loro avversari.
Ed io pregava Dio di quel eh' à volle.
Rutti fur quivi, e volli negli amari
Passi dì fug^i, e vergendo la caccia.
Letizia presi ad ogni altra dis|)arì:
Tanto eh' io lei ai in ^u i' ardita fiicda,
Gridando a Dio. Ornai più noti li temo:
Come te il merlo pei- poca bonaccia.
107. ripumdjt, riparai».
109. Sepia Fu
I
i
urna n41i ia luUsglu Jai Kum
n fai. €>-*. L •!« ni^l.* <li
di PismoStMu; PhUn. J. (d,
itUiitil Salii* it' l'tiixiiunl. > i
n, ili furi tV « toUt, oti, (k*
u cb* I &.nM ■ (l> «lih GiShUìiu
lU d. Pr..vn>HiH> SaliHÌ ■ dui
C<iirf. \<.»lla, l»(r>t««diì Fh-
IscoT
I F>H«t<U
120 ad DI
Sumìbi, Balli* fi,
•tntlcmi* C**li|>l>
Cwt>|li>«t>lti> ai II
,..gl«
123 Crmt fi il «urlv m
■■■od. Do, ai iti poter pia I
CANTO OEClMOTEaiO.
a39
f35
«:o
ns
Pace volli con Dio in «1 lo stranio
Della mia vita; ed ancor non sarebbe
Lo mìo dover per penitenza scemo.
Se ciò non fòsse, eh* a memoria m* ebbe
Pier Pettinagno in sne sante orazioni,
A coi di me per caritate increbbe.
Ma tn chi se*, che nostre condizioni
Vai dimandando, e porti gli occhi sciolti.
Si come io credo, e spirando ragioni?
Gli occhi, diss' io, mi Beno ancor qai tolti;
Va picciol tempo, che poca é 1* offissa
Fatta per esser con invìdia voItL
Troppa è più la paura , ond* è sospesa
L' anima mia, del tormento di sotto.
Che già lo incarco di laggiù mi pesa.
Ed ella a me: Chi t* ha dunque condotto
Quassù tra noi, se giù ritornar credi?
Ed io: Costui ch*é meco, e non fa molto:
E vivo sono; e però mi richiedi.
Spirito eletto, se tu vuoi eh* io muova
Di là per (e ancor li mortai piedi.
Oh questa è ad udir si cosa nuova,
Rispose, che gran segno è che Dio t* ami;
tni4a in gmoaio, per poca bonac' rAntìpargatorìOf m non l' v.
CM» trtàtado finito il verno • «onta !• avanzare le oraxioni di quel buon ro-
priaMvera, dine al padrone cne te lo mito fiorentino, o aaneee, cooi'allrì fo-
tTcve nddomealicnto: iktmdn», fié «os gì
UO
US»
villa
a muro; a volò ria. È chiaro che il (e-
«flr im tm la (meeim a il griémn m
IKa rìgaardaoo aolameote Sepia ; e eba
ti coofnMilo tra il merlo e lei non corre
cka m rifnardo alla preauatuoea arr**
canza, e al folle iofjanno. M«>lli teati
Mono conia fm il wurim: e eoa ciò ai
noterebbe in generale il fare di pacali
•ccelli cbe aptieoa aendmo in gennaio
iotiepidir Tana, ai i allegrano, a dn-
fvettano a teaU levata, come aa li>taa
mnta le primavera, lo però preferiaco
la prima letiooe. L'eJit. di Ravenna
dal IS48 porta come /a il fmer§9, ma
in non saprei dire an qnale antontà ai
•ppaggi qochta variante.
425-126. MM Mre^òe U mio do-
ver ce. Vnol dire cbe ella non aarabba
431. aetolfl, doò, non endti
gli nerbi di eoeioro che pnrgana U pae>
calo dell'invidia.
452. fptrando ragioni, ragiaohM-
•esdo tutlnra in vita
1 33- 4 35. G/t occhi te. Int : qvando
io aerò m4>rto, pHierò per poco laapo
gli occhi chiusi in qneat» baUo; paiano
poca ò rolTeia che no fatta a INo, ful-
gendoli invidioaanienle a<»pra gli aonnni.
156-158. TrapfMee. Goò, tanta
panca mi prende dd lormento onde qni
aotto ai puotsconci i anperbi , cbe già mi
re di aeotirmi addano qne' gran pcd
laggin. — La tmparUa è gaserai-
mente il % ino delle alte manti j ViimU
dia dei vili e dappoco.
145-144. M l«i mot ae.:aa te f«ai
rba ammeaaa nel Pncfato- cbe io di M. nel mondo de'vivi, ?nia
rio, mk avrebbe nnlla acoutato dd ano a'tnoi congianlà per eccitarli a fregare
debilo, ma tnttora a* aggirerebbe nal- per te.
310 DCL rakoAnmio ^^H
Però col prego Ino Ulor mì giova. ^^M
E chiaggolì per quel che [u piii brami, ^H|
H Se mai calcili 1d terra dì Toscana,
^k Ch' a' miei propìnqui la ben mì rinfaraì. lio
^M Tu gli vedrai tra quel!.
a cento vana
^K Che <:perB in Talumone, e perderaglì
^M Più di speranza, ch
l'a trovar la Diana:
^t Ma più vi perderanno
gli ammìragli-
■ 4M. mi Tinfami. mi rende .ppr«-
W «g l'ini» eongiunli !■ I.y«i> fimi , »
pMlaqoeei'aciiui Diana fuea trotau.
parcbi nella china di S. NieeolA . uno
t«n«.
dei pomi più eleltU della «1(1 di Sie-
HM.lrarwIIagenhp.ifui. Anche
nel XSIX dell' In/wTio tu >l,l.o: Or/-«
nmfondlii,e ricco d'asoBa, che aoc'oc-
,ì™-.« Cr~fe rt«.»- ™« la ■-«..?
V « ch..n.a p«» fiìalu.
cbetpen, per eiere ■eauulati. per com-
pr* n pO'U eeiilelle^lìTolainoiie, Ai
na.ale, e direllori d« lavori «1 p«to
Ti perderanno qn.ld-e.« più cb.il
«ù eui Tenni • t»ni P"*"'" *"' ""■'■
— t fMTderoglt l'iA ài fjHrania : ma
ranno incile la •ila. Il Pi-liU. dal Ci>d.
CiH.'ni'la a onnUi tonfo Oaini OMHi
«{),ewé, tari ìmpreia pia rli.perala,.!-
(tao l'aria mirldiale di ^oel l..«fte, df
lennin habnl wiUm. al cum aBOI
a «nwor l« Oiana, una poli, d'aeqaa
t6(. pnjHer moJaM aero» . »I pluri.
dia i Scacri credevano t"i>e><>i(n le (oro
mum. mn-iimlkr. La eomune leiiaaa
olili, e per Irotir l> qix'r .i r»rronl.
CANTO DEC in09D ARTO.
C'-iiiH r-fi«rt.K ~ii u,K r—'diKH
^„ p^. a«„ r.i„ -'j,-, , „. ,v".»
•A»* alo» »««<«•'. IU-. <a>>'ewM
Chi è roslui che il nostro monte cerehia.
Prima che morie yl
i abbia dato il volo, ^^_
Ed apre gli occhi a
sua voglia e coperchiar ^^H
Non Bo chi sia; ma so
eh' ei non è solo; ^^H
Dimandai in che pio gli l'uvMcìnì, "^^H
B dglcemeoie, si ci
Ile parli, accolo. ^^
Cosi duo spirli, l'uno .
all'altro chini,
1.«nMa,|>r>i.iton<e.
analoaceaire o .i«o,r.. wc«|lim,
2. Prima tkt m^t. prima che la
narta, fe1«|l.ei.il« V aiKu.e J.l corno .li
MWiO.
Ibi , abbiala dato di uvur Tolere .u' loo.
T. Cnil duo iptrli L'una 4 mra-
jVi el«ni.
^rCnidii del Diradi Drrliaara, l'al-
e. attuto, iniprrtlhe, dell'aiiU-
U« me»e( Iliaieri da' Calboli di Ferh
CANTO DEGIMOQUARTO. 344
Ragionavan di me ivi a man dritta;
Poi fer il visi, per dirmi, supini;
E disse r uno: 0 anima, che Otta IO
Nei corpo ancora in ver lo del ten vai,
Per carità ne consola, e ne ditta,
Onde vieni, e chi se*; chò tu ne fai
Tanto maravigliar della tua grazia.
Quanto vuol cosa, che non fu più mai. a
Ed io: Per mezza Toscana si spazia
Un fiumicei che nasce in Falterona,
E cento miglia di corso noi sazia.
Di sovr* esso rech* io questa persona;
Dirvi chi sia, saria parlare indarno; 20
Che M nome mio ancor molto non suona.
Se ben lo intendimento tuo accarno
Con lo intelletto, allora mi rispose
Quei che prima dicea, tu parli d* Amo.
E r altro disse a lui: Perchè nascose 3(
Questi il vocabol di quella rivera.
Pur com* uom fa delle orribili cose?
E r ombra che di ciò dimandata era,
Si sdebitò cosi: Non so, ma degno
Ben è che'l nome di tal valle pera; 30
Che dal principio suo (dov* è si pregno
9. Pai fer li tisi ec. Poi leTtrooo trare addentro nella eams: qoi, »•-
il Tollo. Qoetto è Dttarale alto ch« fan- urortc, aeeamare eoU'inUtUHo ral*
no gli orbi «[«andò vogliono parlar* al- comprendere perfeUamenU.
trm. 29. Si tdebilò, pagò il debito eb»
40- fitta t qui Tal qnanto chiosi. aveva di rispondere.
\2. me ditta, cioè, ne dì. Anche il 50. valle. Int. tolta la eavitè aellt
Petrarca nrllaCani. XII della Torto pri* quale l'Arno scorre.
ma osa dittare in sinnificato di dire. 31-36. CM dal principio HUf «e.
Colui che del mio mal meco ragiona, Costr. e int. : perciocdiè dal prìocipioMa
Mi lascia in dubbio; fi confuso ditta. (d'Arno), che è là dove l' alpestre monto
44. della tua gratta, della grafia ond'ètroncoPeloro.ètì pregno d'aequ.
che Dio ti concede di venir vivo al Por- che in pochi altri fooghi è pi& ; dal
gatorio. principio sno, io dico, So là doffo m
46. si spaxia, va patseggìando , rende a ristorare il mare di qoal dwdB
•corre : è il lat. tpatiari. loi asriaga , cioè alia io vaporo, il ciò*
47. un fiumicei ec. L'Amo, elio lo; per ragion della qoale evaporariom
nasco io ona montagna deirAppennino hanno i6omi le acqoe; KtrMi ft /^««e*
aitaato presso i contini della Romagna , — L' alpestre monte, ond^ è tronco Po-
e detta Falterona. loro, è TAppeonino, che so non fono U
49. Disow^esso, daQn1oogo,o Stretto si congiungerebbe eoo Peloro,flli'è
«la ona città poeta sulle sue rì^e. Dato on promontorio della Sicilia. Lo dieojNn^
altrove : l' fui nato e cresciuto Sopra gno in quel ponto, cioè gravido d'aeqvo,
il bel fiume d'Amo alla gran villa, perchè ne sgoroano due Comi, PAmo da
22. aeeamo. Aeeamare ^sìepona^ ona parto, e il Tertfo dall'altra.
342 DBL rURGATORlO
L' alpestro monte, ond* è tronco Peloro,
Che in pochi luoghi passa oltra quel segno]
Infin là, Ve si rende per ristoro
Bi qoel che il ciel della marina asciuga,
Ond* hanno i fiumi ciò che va con loro,
Virtù cosi per nimica si fuga
Da tutti, come biscia, o per sventura
Del loco, 0 per mal uso che li fruga;
Ond* hanno si mutata lor natura 4 >
Gli abitator della misera valle,
Che par che Circe gli avesse in pastura.
Tra brutti porci, più degni dì galle.
Che d'altro cibo Catto in uman U30,
Dirizza prima il suo povero calle. 43
Botoli trova poi, venendo giuso.
Ringhiosi più che non chiede lor possa,
Ed a lor disdegnosa torce il muso.
Tassi caggendo, e quanto ella più ingrossa.
Tanto più trova di can farsi lupi bo
La maledetta e sventurata fossa.
Discesa poi per più pelaghi cupi.
Trova le volpi sì piene dì froda,
Che non temono ingegno che le occupi.
57. ii fuga, ti caecit, le si fa goer^ 48 Ed a lor ditdegnotm §e. Int.
n come a nemica. f« riHera , die giunta a quattro ■i|||^
58-39. o per iveniura te. : o per circa da Areno torce a pooefila. Il iW
sventurata situazione del luogo che si la con ardita personìCcaxione imniafiaa
malanente disponga gli animi al mio, che Arno volti il muso agli Aretini ftat
o per cattivò alito che li spinga a maU dispregio della luro arrogante asendiiai-
•perare. tè. Il Buti legge diidegnamio,
42 CAe por eWC<rt«ee. Circe fis, 49. f'astt: se oe va^ etgftmiOt
seeeodo la favola, una maga cKe trasm». scendendo , fcnrrendo all'ingià. Il T»>
tara gli aoounì in brvtie. Te quali si pa> relli crede debba leggersi 9m H.
staravano, nelP isola da lei abiuta, • 50-5l.lu/}f«onoi Fiorentini fuef^
d'erba o m ghiande, iat dnnane come la quel par»l« significa /«pi. de* quali è
se dicessa : essi vivono a modo di bestie, propria l'avidità, la rapacità ee. —
45-45 Tra brutti porci re. Per li foua, fiume , per dispregio,
bratti porci intende onei del Casentino, 55. votpi sono i Insani, allora le-
e massime i conti Guidi. Il P«*still. Can. nati per malifioei e frodolenti.
nota a questo lungo, che i Guidi nomi' 51 ingegno «noie il Monti che stia
nabuntur eomitet de Porciano, qui.., qui per ordtyno. e spiega : che bob te-
jnerffo pot$unl vocari porci — D^ mono di rsecr (irese da nessuno ordigno,
firn prima il tuo povero callo, co- — che le occupi, rbe le 80|ierì,le vinca,
Brincia il sao corso povero d'acqae: oppure, che le giunga sprovvedute, che
r Ano. le sopraffaccia : non temono in somau ,
4t. Boioli. Botoli sono cani piecoli, come suol dirsi , trappois che le pifit:
tHÌ a ringhiosi : sotto questa iaimagiBe ingegno» significa qualunque argome»»
ai parla qui degli ArHini. to della mente.
CANTO DicuioqiaAmTo.
Né lamio di dir, pereh' altri m'odm:
B booo atre oosUii s* ancor s' ammenta
Di ciò che vero spirto mi disnoda.
Io veggio too nipote» che diventa
Caodalor di qoaTliipi in snila riva
Del fiero finme, e tntti gli sgomenta:
Vende- la' carne loro, essendo viva,
Poscia gli aocide come antica Mva:
Molti di vita!, e sé di pregio priva.
Sangnìnoflo esce della trista selva;
Lasciala tal, che di qui a mill' anni
Netto stato primaio non si rinselva^
Come air ammnzio de^ fìitari danni
Si torba il viso di coltri che ascolta.
Da qui che parte il periglio lo aaaanni;
Cosi vid* io r altr* anima, che volta
Stava ad udir, turbarsi e fiirsi trista.
Poi eh' ebbe la parola a sé raccolta.
Lo dir dell' una e dell' altra la vista
Mi fé voglioso di saper lor nomi,
E dimanda ne fei con prieghi mista.
Perchè lo spirto, che di pria parlòmi,
34a
65
60
66
70
76
92 eoim aniiem hd9m. lot.
N vecide veediia bcttìa da mteelW.
63. miti di vita, é tè ài pr§gÌ9
pHé«; • m*lti toglit u TÌla, • ■ ti !■
bwMM faint.
64. dellm fritto 99k>a, cioè, di Pi.
rem» , eittk telvaggia • pian di tratt»
}a.mim$etrédidir ÈGmdodd
baca cW profwie • fMrlare col mio vi*
àm lÌBcri éJCMÌhoW.—pmreh'tdlH
m*9dm, ^««itanqae iotit Mroltatnda
fMrfi èmÈ (da Virgilio e da Itaotal.
M4nr. E èiioii imré eottwd, cioè,
tari Imoso, povere a cosini . Mitilo allra
Talto aMiiaw todulu lodata la preposi- tia. — Irt'fto. pnò qui ligniacarai
rinaa avaati i prooooii di perooaa. — > dotumtm, seimguraim.
^mmmr t^mmmetdm, te tornato di Ih 65. UtMeiaia tof, cioi, il diradata
caalÌB«arft ad arerò a mente oael cba di eittadioi, e abbattala,
ara Yeraaa ifirito di profetta ni risola. 66 Ifflio ttalo primaio te,: oal-
Bt. km «foole. M . Fulcteri de' Gal- l' aolico ano Oorido italo aaa tana, aaa
boG, aipola «n Rmierìf nel 1302 aa> ti ripopola come prima,
icaìin podealfc di Firenae, fu iadoiio per W Dm ^mal ekt p^fit^ da qaahn»
deaara da «ad di parie Nera a paria oao parte ; qoal che aia» la parto oada
ivtarc i Biaaebi di qaella citte. il perirolo IoadJeoti, gli mga coatrat
59. Cacrialor di que' Impi, cioè a attocebi lai atoaao, o peraoao cba p»
dei Fiaraaliai cUanalì aopra eoi aoia aaparteonno. Laecio la allra ifirgai la
£ lapi. ai cboai deano di qaealovarao, pariada
66. IM /laro fiwmé, deH'imo, abi- mi aaeota la pia aempKca o la aola Tcrt.
Uto da aoniai fieri e beetiali. -^MH 70. rollr^aaiaNi, doè, maHar Bi-
§H tgowenU, tparge Ira loro la ceatar mari.
aaaioBt a lo apavento. 7S «600 fa parala m $è rueoUé:
61 . Vtndé ta emrn§ Uro : P«fvbè, abbo tirato quel dÌKoraa aaUa Baala,
perdaearojcaaie 8*6 detto, diede molli a niellatovi sopra.
de'Biaocbi ia nano dai loro nemid. 76. parlòmi ^ ioTeca £ parkmmA^
PEL
Bieominciò; Tu vuoi eh' io mi dedtira
Nel fere a te ciò che lu far non vuo'inii
Ma dacrbè Dio in le vuol che Iraloca
Tunta sua grazia, non li ^arò scarso: 9*^
Però sappi eli' io ^a Ouìdo del Duca.
Fu il sangue mio d' invidia si riareo.
Che se veduto avessi uom farsi lieto,
Vi^lo m' avresti di livore spareo-
Dl mia semenza colai paglia micio. 83
0 gente umana, perchè poni il core
Là VE meslier di consorto divielof
Questi éRinier: questi è'I piv^ìo e l'onore
Dello casa da Calbolt, ove nullo
Tallo s' è rcda poi del suo vnlore. t9
E non pur lo suo sanile è fatto brullo
Tra 'I Po e il monto, e la marina e il Reno,
Del ben richiesto al vero ed al trastullo;
Che dentro a queliti termini è ripieno
! COR alitino ilcBiu vstli gli «nif pntpr» diniDaliiiM l'illni «1*-
lidtduea, ietti! ft, miiil*. delti uplxiii^niulrcliitrii il TtdrclwMla
OH (i tari icario, non li ur4 nrll» poMeuicm» dei Irta ipirilHli la
riipaiin. pnn «mr ijnicla , (xHhl io qulli bm
!* imidio fi riaria. Si noli l« li nnu» n* ti di einbr* il h
E. Belli me-
S.Mf.
81
^•i
«■li ibmi deH'iaioiir n<"iavi
rit ftf dJM il Ftwln : Po-clitfi . 0 f
BIMBI, daùderi anHanainciilr qE
«««, per (odert drtis anali i una
dMOo rffwiuorW. <■!»' eacluiM
•MtHgavT I b(BÌ tirnnin D.m aol
B« M Mita ^a puaacneri ad un I
p*, • n HI euo aTtgUn l'intidi;
^H dM un li hannn . ■ .orrcLI
■ncli i a H il ftW CMBralMO
ecoNpl*, toma la rana liiiorar
artiJ!u,l.,..i..J,.'p,i,r,p.„„,
eba la Irltla naluii dill'aDimi rigni
Strillura: Qtàa itmtnttcril ho- •«■» e>d in<lir-D<iitl( 'olooitogli hk-
, ime mtUt. ili diirlli. Il rrrn 1 1 nkirilo clwaogB*
96SI,piTcUpaniÌlei>ntt Ibrai rinii'llalia. a ragsiuoE" 'I l**'* n
•i poaannc |u<l«r< io ciimaoc cDgli tosi la wiiita prr L-ai ai [ifrlectoiM il
lo è il linw ritkUila al c«ro. Irina
riekialiral tratluUa, lono lo arti io-
Untn MolribBiiriiBa ■ buoni coataml
cbiina trmilmllo. ci«* lallinad^ll'iat
gal BOB ora la «>la lamitlla Ja'Colbolt
di» ••«■< prrJulo il prcco d'uà ralla
pcoHri, • ugni giBiilaiu d> eoala-
mi , nia ebc IBIIs il pane cn iabirba-
W. Tra ■ÌPatil monlr. <c. D^
M. dnfrnogti'iCf («mlut.-illuB
CANTO DECIBIOQUARTO. 345
Di venetiosi' sterpi, sì che tardi . 93
Por coltiTare ornai verrebber meno.
Ov' è il buon Lizio, ed Arrigo Manardi,
Pier Traversare, e Guido di Carpigna?
0 Romagnuoli tornati in bastai-di 1
Quando in Bolo^a un Fabbro si ralligna? iOO
Quando in Faenza un Bernardin di Fosco,
Verga gentil di picciola gramigna?
Non ti maravigliar, s' io piango, Tosco,
Quando rimembro con Guido da Prata
Ugolin d* Azzo che vivette nosco; i06
Federigo Tignoso e sua brigata,
La casa Traversara, e gli Anastagi,
95. Di venenoii iterpi , di mtlva* ffna , raifgentilirooo per opere egregie ,
IP coetami. raliignirono ; e che oè pur v'era spe-
96. Ptr eoHivarM ee. Per qvehi- raoiadÌTederliineppreeso. Quando im
voglia tura di lejpalatori o di filoeofi , Bologna un Fabbro iirallignaf QaMtk-
troppo tar£ ormai ai gìangerebbe a mv- do aark mai che in Bolonna ralligoi un
tarli. — ornai: il MS. ddla Cora, ha: Fabbro? ec. Si noti, dopo lutto, che
o ami. questi due pcraonaggi , quando Guido
97. M. Liiio da Valbona, cavaliere parlava, erao già morti.
asaai dabbene e costumato. — Arrigo 404. Guido ee. Fu valoroao e lib»>
Mamardi, aecondo alcuni, nacque in raleaifpiore di Prata, luogo tra Raven-
Faeiiaa, aecoado altri, in Bertinoro: fa na e Faenta.
atomo pnideote, magnanimo e liberale. 405. Ugolin d^ Atto. Coatui fa de-
9%. Pitr Traconaro, fu aignore d» gli Cbaldini, famiglia toacana. — noieo.
Bavcnoa virtuoso e magnifico , il quale Alcune cdiz. leggono voteo. U Loob.
dicooo che marit^ffse una sua uglìuola a oaaerva che Guido del Dura , ia boeea di
Slcfaao ra d' Ungheria. — Guido di cui aono peate queste parole, non avralH
Cat'figma, fa oobilisaimooomodi Non- be avuto motivo di commemorare tra
tefdtre, e aopra ogni altro liberalia- ì Romagnuoli illostrì Ogolin d'Ano,
uomo tciacano, ae egli non foaaa via»
99. O Romagnuoli (ornali ee. : o auto in Romagna con eaao Guido : perciò
Hoaiagnuoli imbastarditi, degenerati I il detto chiosatore legge «ofeo. Eeea
Il Coela, il Biagioli ed altri , pensano la nota dell'Anonimo a questo loop:
cW dal Torao 99 al 402 la frase aia pò- • Ugolin d'Auo fu di Faenxa , e Gnido
■ìtÌTa , e che Guido del Duca che qai da Prata fu d' uno caatelln detto Prata,
porla opponga all' ignavia e alla corrn- del contado tra Faenza e Forlì, li qaali
Boae dei oobili Romagnuoli, il preaeote di bafiso luogo nati ai traaaero a tanta
nagcntilìrsi di due oscuri dttadioi. Ma orrevolmadi vivere, che, abbandonati i
ciA cootradirebbe a quel che ha detto luoghi di loro nativitade , eooveiMroBO
•opra lo stesso Guido, che Romagna era continuo con li predeili nobili. •
tatù imbastardita, e che non v'era più 406. Federigo Tignoeo. NoAilt •
traccia dell'antico valore. All'oppoaloii coatumato Rimincac, ma che ? isao par
laodo interrogativo che abbiam preferi- lo più in Brcttinoro. — e tua brigata :
Co mantiene il diacorso nel primo teno- intende uno scelto drappello d' aoiici
re , e dimostra che più non vedevaoai degni di quel signore.
allora quei belli eaempii di un Fabbro^ 407. La casa Tratermra ee. Nubi-
Jdf un Domenico Fabbri de' Larobertaaii liaaima famìglia di Ravenna. — GK AmO'
li Bologna) e d'un Bernardin di Foaco, slagi furono parimaola di RaTeooa , od
«bc nati del volgo , di pieeiola grmni' ebbero parantela eoo qoai da Polaata.
l PDBGÀTOIIO
(E runa genie e l'allra è diretatal)
Le donne e i ravalier, gli afTannì e gli agi.
Che ne 'ovoglìava amore e cortesia,
{.i dove i cuor son filiti si iUBlvagi.
0 Btcllinoro, che non fuggi via.
Poiché gita se n' è la tua famiglia,
H molta gente per non esser rìaf
Ben fa Bagnacaval, che non rilìgliB,
E mal fa Castrocaro, e peggio Conto,
Cbe di fii;liar tai comi più a* impiglia.
Ben farnnno i P^gan, da che il Demonio
Lor sen gira: ma non però cbe poro
"a d'essi wstimomo.
rChi far lo possa li
Ha va via, Tosco, ornai, eh' or mi diletta
Troppo di pianger più clie di parlare,
Si m' ba nostra rcgion la mente streitd.
Noi sapevam che quell' anime care
Ci sentivano andar: perii tacendo
408. E l'uno... I VMrati.i t'ui» di «mliiiiHre li •nnouM*
t l'dln iìtcruàtroM t dirtUla, dir*- mlltnii. loim.grH p«iKi
1
0 Ugolin de' Fani
e tuo, da che piii non s'aspcHa
{ben «nJiikdt'iD» «lei «', 1* "tlg .
IM UdMHUW lol IMiforpiinlo
, p.droni.
,..»d<.ci»«.br.l. .i>iii«.<l«».i
riBw, Il «ut d'ini^g 1 GgliDoli di H>i-
I.l-b.i,H«,(.,Mp.«,in™-.™.i,
n«dDPiK»ì,<,»i.d*,«d.^>«l.i,.l p..
«'tn nra d> i. olrlci» •dilibn->l>ià.
KO Cì,4 n» -««f'wca «. D.i
unii »tltu« td .Ri ,m.,n < «rMi*
4IS aig «» |»r« K. N. gogdi-
nitlMoK *.^;. D.Eli ■»<» («■!»«■
n«o 1. i™.. C». d,1 pgdr, 1^ ù
M „t,l,.H . d.ll. d».,...
f h' ngg «gt.! ig.. btn* il »«■■ Ig»,
*n. U Jm^ «M, A.m.fn..
Qu-Mo eoM rnds ttgvilg il hnpe tti*
ROHIB*, pWHK di Cdo.
di Gu-lu d(l l>g« <:«>* prgtni..
42l-12S.tr0gl>gdr'f«lDli,ra>^
itìU Umm Cmi..
mo g»b.l« . .i,iiu» d. Flou: ■« A-
i\».p,rwmnjeTTÌa.ftti,<n
W »«<««.,( ptrci* die. il ^.Mg ihg
KOB Hr* cbi pon »n mila «Mm smb-
r*r> 1> glg>>> drlli t.Biiglig dì tu.
pi illrai.
415 flg0MMMl,D'>bìl((er»dtl-
430 MiIrgrtyfn.-UogUnpM.
li Bamig» In Bixniii • Lur». —
d.i...g.>cui*r>d.ll. Vtrjr^td h.g.
thi uni rifflia. ti<« , cbe Bug ripto-
dgg* mUì «iBon , ^■■<i Igronv i (onti
di tai nv (unrniii ■»• (mi. — Cg-
«47. ^«*p«rN-.>ip~d.M|>
iM-Ot. dMtlttmmUric:
I
C4NTO DBRIMOQOABTO.
HI
410
136
140
FaoovMi noi del cammìn confidare.
Poi fàmmo fatti soli procedendo.
Folgore parve, qnando f aer fende.
Voce che giunse di centra, dicendo:
Anciderammi qualunque m* apprende;
E ftiggìo, come toon che ai diJogna,
Se subito la nuvola scoscende.
Come da lei 1* udir nostro ebbe tregua.
Ed ecco r altra con à gran fracasso.
Che somigliò tonar che tosto segua:
Io sono Aglauro che divenni sasso.
E allor per istringermi al Poeta,
Indietro feci e non innanzi il passo.
Già era V aura d' ogni parte quota,
Ed ei mi disse: Quel fu il duro camo,
Che'dovria 1* nom tener dentro a sua mela.
Ma voi prendete l'esca» si che l'amo
Dell' antico av\'ersarìo a sé vi tira;
E però poco vai freno o richiamo.
Chiamavi il cielo, e intorno vi si gira,
Mostrandovi le sue bellezze eterne,
liiruM è* ornai pari* «ra lo fcalpimaata la, parche era amata da Memrio : paté
4^ Matri piaiU , a perciò dal tacere di ostaruU agli amori del oame . a per
fBaDe aSmm eorleti argomentavamo di ^[MaCa eolpa fa da lui eoorertita m taaao.
iaa «Hard BBcaai per cattÌTa strada, che 441. Indietro feci ae.r per ripa*
alar* ea aa aireobero arvertiti. rtrn , come altre ToÀle , dietro la spalla
ISO. Poi , jNMciachè. del Maestro, di coi egli carnmiaara al
131-132. roi^ort /MfTCfc.Costr.: ainntro fianco.
fteg, «aa voce , che y tmiae di eonira, 4 43-4 44 . Quei fk il duro camo $e.,
daè, cW ci Tcaoe di faccia, dicendo : Aw» Int. : aai>l, cioè , lo sparenlcTole aoooo-
eidtrmmmi qualunque mi apprende; di mlle parole, fn il doro, il forta fra»
ueMqore quando ec. no \xùfio^ gr., lai. A-amaai), di cai li
455. Àneidirammi, ncciderammi. parlai innanzi (Vedi Canto pree., ▼.4<ll,
14fr
la jparola dette da Caino dopo che a dia dovrebbe contenere ì'aoma aell
par ÌBn£a chbe nmso Abele. Qaesta gìostitìa. Donde queste vod procedano,
fad fiaardaao alle anime del Par(pito- a il loro fina, si aocconè a qad nadcai*
ria i faaaaCi affetti del peccato ddl'ia* mo luogo.
fi£a. — m^ apprende, mi riconosce, a
ad Irava, au scaopre. La Scrittura:
QiMifi qeÀ teataief me, oeeidei me.
433. fcaf canile, squarcia.
43S-4S7. CoaM da lei l'udir ee.
il aoetra udito ccs«4 di ncerera
da qaella voce : doè, c«iaM
fa "rawata il aaona di quella Toca,
4It. Jf tavro. Coatd , accoado la
445. Jfa voi prendete Teeea. Ma
▼d correte dietro con tutta l'anima ai
beai terreni che il diavolo vi getta avaali
per perderri : e questi sono la cagioaa
ddla vostra invidia, a di lotta la Toatra
iniquilè.
447 E però poco ra/ frano a ri-
dkiamo Freno è il terrore ddla Afiaa
ariaaeca a degli cacmpj; riekiam» i,
come dice sotto, la maraviglieaa data
lavala, fa figlinola di Erctteo re di Ala* dd firmamento , eoa che Ilia a' iafUa
M, ao fhVe inridìa ad Erse aaa aorai- coalinao a staccard da questo faogo.
ti culigi H'iin cbc lede ì
CAKTO DECimOVVINTO.
Qaanlo tra 1' oitimar dell'ora lerza,
E il principio del di' par della spera,
Che sernpre a giii=a di fanciullo scherza,
Tania pareva già in ver la sera
Essere al Sol del suo corso rìmaso:
Vespero le, e qai mezza nolte era.
B i raggi ne Tcrian per mezzo il naso,
Percliè per noi girato era si il monle.
Che già drilli andavamo in ver l'occaso;
Quand' io <¥nli' e me gravar la fronte
Allo splendore assai più che dì prima,
E slupor m' cran le cose non conte:
l-B.^OBNln Ira IWlinuirK. Quid- tlìna tSgnili
iuta; il che inai din cIm bmii-
ra ore *lli Bn* itel gioron. —
ariKa. Uiu pni che la ipcri a
•enpra, a faina di faniiullD,
i_, par aiuiiificira cba mai |iNon-
iDdo che i nwtaint
nilaiira,*»
lo d«l Purgatoci n ara
'.(I MupD che (ir
•ri. doi in llali
1 ■II'sMiJaala, dia duna
di 3 ora.
nsoil tum, prtcnunea-
è per mai «e. Dlaaa il Poe-
11, vrnr>l«,dia aTaada
■ facd* ti i»Dla del Pur.
>r>c cha ilMla ntaoulc gli
I dii'Iro , a tìA 1 amala
■lata Ira l'oriem. a ìt deb
Dode apf ara nanireals dw
moa * ^Delio aragli di av-
ara tarau ponenla. PaUa
il P«(la ■ell'orB del n-
.,«a ,
diqoa
la aaaira. Vaapra al l'urgalurìo
k, M ara patMla dopa il mtttvÀt
1 ■ Oaraulamn», dianatralnaa
Io KiunUilae
perairan ioli
ceanik l'aadi
della Trmledai idngi lolarì.
g. driilianilmania, aKcIaranKi pn
Jirilla Unaa.
<0. ttnlf a ma avarar ea. , imlii
gli cicehi ■((■licalt ilellD iplendan di
«n'illra luta tlm ii aculunae « quatta
del ible. IHrh in apprane theluca '»■
CATITO DECIMOQUINTO. 349
Ond' io levai le mani in ver la cima
Delle mie ciglia, e fecimi il solecchio.
Che del soverchio visibile lima. 15
Come quando dall' acqna 0 dallo specchio
Salta lo raggio all' opposifa parte,
"^ Salendo su per lo modo parecchio
A quel che scende, e tanto si diparte .
Dal cader della pietra in igual tratta, so
Sì come mostra esperienza ed arte;
Cosi mi parve da luce rifratta *
Ivi dinanzi a me esser percosse ;
Perchè a fuggir la mia vista fu ratta.
Che è quel, dolce Padre, a che non posso 25
Schermar lo viso tanto che mi vaglia,
Diss^ io, e pare in vKr nOi esser mosso?
Non il maravigliar se ancor t'abbaglia
La fiimiglia del^ielo, a me rispose:
MeasQ è, che viene ad invitar eh' oom saglia. 30
Tosto sarà eh' a veder queste cose
Non ti fìa grave, ma fleti diletto.
Quanto natura a sentir ti dispose.
■lapiva 4i questo aerrescimenU^ di l«c« catollrica , che è appunto quella parto
•bbagliaotc, di eoi noo conoscea la ca- deiraUì^a che tratta dei raggi della Iseo
gMMW. refralli dagli apecrfaì.
44^^5.feeimÌilioleerhto,6oè,ttti 22-23. Coti mi pmr99 te. Coaì nù
riparo delle maoi alla luce; il quale alto parte di ctscre perc(«su da luco che ivi
ftetf, diariouiare, tempera la aovorckii era ri fratta [rifralta ato qui per ti*
loco, il $a9erchio titibiUt che nuoce fleua), rihatluta diuand a me. Quello
•Ho nato. Vedi quel die notai al ▼. 56 ero luce che l'Angolo ricorevo do Dio o
ed Conio V 1 11 : Come otri m rk'a troppo riflotlt^va «lo «è
tieamfomém. Il focab»!o toleechio è ai- 24. Perchè a fuggir tm mia vi-
ino di paratole , di ombrello. Qui alo fu raita. Hcriocbè i miei occhi fu.
è «alo por airoilitudine. ron presti a suUrarai i quello aploii-
44-20. Comefuaiu/oec. Int.: come doro.
^•OMdo dairacqua o dallo specchio il 25-26. a ek$ non pauo Sthet'
roggio riflewo rimbulza io nutao parte* mar ee.: innanzi a coi non poaao faro
cMo, io mndo pari, a quello con cui adierm» Innto che mi giovi?
^iaceoilo, cioè, formando ran^nlo di ri- 50. Mi f sto, MeMaggero, Angolo,
foaaioao uguale a quella d^inridcnia, — eh* wm taglia, che si salga.
0 H éiparU {tuo raggio rìflesaii), ai al- 51. Toalo tarò ek'a otdarte.: cioè,
lootana, Daf cader della pieira (cioè quando barai purgato dai peccati, of-
dalla lìnea perpendicolare ali orixaon- verrà re.
tolo dcpreiaa fi a il raggio riOesso e V in- 52-53 . ma fieli dilelto ee.: ma li tt-
ódoote) tanto quanto dalla detta lioea, rk, o rit-cwrai, tanto diktto, quanto per
ém iguai tratta, (per uguale spatio) ai al- natura sarai disptisto a riceverne. Quanto
loBlaao il raggio incidente; cooi ec. Lo più l'uomo si puiilica nello spirito, too-
pewpendifolare ai chiame da Alberto to più forte diviene alla contemplaiìooo
Mogao il cader della pietra. del vero, aorgente dei più puri o do' più
2i. arte. Quest'arte o scieoto è la grandi piaceri.
350 DBL purgàtobio
Poi giunti Annmo ali* Angel benedetto,
CoB lieta voce disse: Intrate quinci,
Ad un anileo vie meo -che gli altri eretto.
Noi montavamo^ già partiti linci,
E^BeaH ndtericordes, foe
Cantato retro, e: Godi ta che vinci. ^
Lo mio Maestro ed io solr ambedue
Suso andavamo, ed io pensava, andando,
Prode acquistar nelle parole sue;
E dirizzarmi a^lui si dimandando:
Che volle dir io spirto di Romagna,
E divieto e conserto menzionando?
Percb* egli a me: Di sua maggior magagna
Conosce il danno; e però non s'ammiri
Se ne riprende, perchè roen sen piagna.
Perchè s* appuntano i vostri desirl.
Dove per compagnia parte si scema.
Invidia muove il màfetaoo a* sospiri
Ma se r amor della spera suprema
Torcesse in suso il desiderio vostro.
Non vi sarebbe al petto quella tema;
Perchè quanto si dice più li nostro,
nO
45
50
SI. Poi, poifM.
85. JjiIratefMsiiei, eotnle è» qai ,
ov'è aM tcala leaipre meo rìfida otlU
37. iimei, i\ U.
3S BeaUtc. Parola dì Omì Criita
(Vedi S. BAatlco, rapo 5| , che mi ai
«•Dtaao dall'Angalo mtr lodare ramo-
ra del proaaimo, virtn eootraria «U'ia-
vidia.
59. e: Godi tu che vinci E fo p«r
cantato; Gwdi te ek§ rinH. Cmo le
qvali parole ai iaviu ad nulliire nella
speranza di nn elenio giMlinienlo tkà
•Tré saptttoTineere l'amin proprio, e
liguardare il prosaÌDio cume sé ste»ao.
42. prpdé, prò, gtilità. — prode
acquistar ee.. ricavar vautaggio,i»lniir-
mi ) faceiiilolu psriare
44 . lo spirto di RomuLoma, Gvido
daiDnca.
45. B divieto e cotuorio. Sai» i
▼arsi se e seg. del Canio preerd.
4e. Di $ua mtaggior wuifagmm, di
naggior vino, cbe (• V iu%idia.
47. e perà non s'ammiri, man ù
ammiri da voi , bob si prendi Btrtri-
glia da voi.
48 Sa ne ripremié, oc. Sa ma
rimprovera il mondo dieaiida; • gcate
«niaiia , penlM* pani il eaora là ovn è
atralieri di«iHo dì ronanrtot —- pertkè
men am pimgna, afeiocciiè poi in Par-
gaUiio si abi ia per voi a pàaagcr ■«••
per qn«^U r<il|»a.
49-51 Perchèi'appmdmmoaaAak.i
l'invidio muote ti mimteen (il OMntiei)
a's«ia|>iri, ci<>e, vi affanna, porcile if-
stri d«^iiYrr| si appuntano, ai dirMoao,
e si f<'rniaiio, in «nella aorta dU nani,
de' qua II srrmsfi il godimento ^aasdo
altri nf part«H-ipano.
52 dr/(a spera si^reiiw, del daioy
dM è kfilr df'bfaii.
53 Tttrrtssé, rivolgesaa.
54 fitm ri $artbke al peUa a*, s
cioè, il timore rhe altri partili ipaaiir»
dei neni die deaiderato, moa vi pwngt
rabbr il eore.
55-57 Perekè qumnlo ae. Impar-
docrhe uuantu maggiora è il nnmaan di
colora ette /i (io delu) partedpano di aa
CANTO OECTMOQUIRTO.
Tanto poflBiede più di ben ciascuno,
E più di caritate arde in quel cbioetro.
Io son d* esser conlento più digiuno,
DisB* io, che se mi fòsse prìa taointo,
E più di dubbio nella mente aduno.
Com' esser poote che an ben distfibnto
I più posseditor fÌEKxia più ricchi
Di sé, che se da pochi è poasedotot
Ed egli a me: Perocché tn rificchi
La mente ^nre alle cose terrene.
Di vera luce tenebre dispicchi.
Qaello infinito ed ineffabii bene
Che lassù é, cosi corre ad amore,
Come a Incido corpo raggio viene.
Tanto si dà, quanto trova d* ardore:
Sì che quantunque carità si stende,
Cresce sovr* essa 1* etemo valore.
E quanta gente più lassù s^ intende,
354
60
66
70
bcQC cb« per Mser di talli poè d» ogou-
no cbiamarai noilro. Unto pia ciascuno
n9 poaùcde in paiiicolarv, e piò «e.
L'nnina dei braCi Baiando, aecondocht
pii aotlo dina Dania, tanti apacdii in cai
si rìfleila la lura eterna, ne legnila rha
qnanlti pia creacono in numero, tanto
aafginra ai fa il lama noI ccleate aof-
Maroo, a pia chiara la viaione baalilicn
dì óoackcdann. Qnalcba edii. legga Ckè
p§r fWWiH» ella fona tornareìiba an>
cbaoMflin.
9S-€0. lo fon d'§sier eanlntUt ne.
!• sta adaaao più diginiM» d'aaaer ronten-
toy cioè, pie Inalami dall' ea»er pago, di
imd ék'w aerei sa non l' avocai fatto
Jk«an domanda; a ia magf^inr dubbio
wmm ora kiTilappato. — mi fo$$$ , lar*
■ÌBaB<*aa anlira, per mi fotti.
ei-eS. ditìrUmto, diviM. •/ ^
po$i9dÌÌm' m.: faccia piò ricchi di aà ,
•• tonchi fià • ciaaeano, aa ai divida tra
malli ptvaeaaorì, di ^nel cIm aa faaaa
diilribuito tra pochi.
M-C5. H/lcrfc{.lomi fmrt.aempra,
tattavia, rat penaieru alle ci«e della ter-
ra da cai oon aai atarcar la menta.
66. IH ver* /«re re Dalla mia
ptrnlt, ehn aoa laro di Tarila, rfia*
fUtki Utubn, ti ai genera «onfn-
td erro: a, perchè non aai
nlavarti al diaopra della materìt.
67.75 Quello l'm/biilo m. ld<fio,
bene ìnGnito ed ineftabila, cofi eorn ad
mwtttrtt coaì corre ad invaalira la aoima
inoaioorate de' brali , «ama il raggio
del «ole i Ituidi corpi, ^wgli cioè CM
riflettilo la luce , e le bea a propornoM
dalla carità che arde in aaM ; ai dw Fa*
lama tirtu beatrice , f aCerno aiiil»r« ,
creare tectindw rho è maggiora H detti
calile: lapida qaanla genia piàlMfè
tl'imifwh, dita, an nell'Empireo «i CO-
noace per maina rifleaaiooa d* ■■• !■
altro del lume di Dio che gì' iafiila
(mulMC te lnfefli<;tl,tptegii Benraunti^y
'—'41 pie «' è do bòne mmoro (riaè|
o più vi e della della TÌrtà b«a>
Unt«
talli
liKcante), e pio ai ama. • l'Miort
dall' una all' eltr' anima beata ai ri-
flette , come dall' mio apeerbio nll'tl-
tro la Iure. E p«T ^eata atmilitadi-
ne degli •pei-rhi dÌTÌcne evidootOi dba
Ìiianli più «nno gli «piriti in coi ai ri-
ellr la «irln beatrice . tanto mmiort
e più inteiiM invite cinarono. V«|| ao»
(he «nel rlie s' a detto di anpra alla no-
ta 53 Mi fl d re che falche lealn, mi
che io niHi hn vetluto , ha Icftiian !•-
tende, rhr e bnona variante; a aigoì-
Grhrrebbr è inlr$a IH DÌO , 0 inimi$
nella «firtna ritiont.
35!K DEL PUBGATOniO
Più V* è da bene amare, e più vi 8* ama,
E come specchio 1* uno air altro rende. 7»
E se la mia ragion non ti disfama,
Vedrai Beatrice, ed ella pienamente
Ti torre questa e ciascun' altra brama.
Procaccia pur, che tosto sieno spente.
Come sort già le due, le cinque piaghe, 80
Che si richiudon per esser dolente.
Com'io vole\'a dicer; Tu m'appaghe:
Vidimi giunto in su V altro girone, (*)
Si che tacer ini fer le luci vaghe.
Ivi mi parve in una vi.-ione S5
Estatica di subito esser tratto,
E vedere in un tempio più persone:
Ed una donna ia su V entrar, con alto
Dolce di madre, dicer: Figliuol mio.
Perchè hai tu co^ verso noi fatto? 9<j
Ecco, dolenti lo tuo' padre ed io
Ti cercavamo. E come qui si tacque,
Ciò che pareva prima dispario.
Indi m* apparve un' altra con quelle acque
Giù ynìr le gote, che M dolor distilla, 95
Quando per gran dispetto in altiui nacque;
E dir: Se tu se' sire della villa,
76. non H dièfama, doo li sodili- modi diverai ha Mpaio pratentarci quc-
ifa.Ritpoiide alla ineUfora òe\ digiuno ala htorie di virUiMÌ e di viiioai fatti,
osata da Danta al verao 58. 88-00. Eduna donna- Questa àMa-
79. tpente, tolte dalla taa fronte. ria Vergine, cbe avendo smarrito il san
80. lo cinque piaghe. Le cini|ao divin fijjliuolo, rilrovstulo dopo tre d'i
P'igba rha riuiaoguoo delle sette che nel tempio, come si li'gx' in S. Luca,
iUigelo ti aveva segnate nella fronte gli disse , senza impazienza , anzi eoa
eolla punta dello spaila. Stioo le cini|ae tutto dolreszo: Fili, quid feeisti no-
moccnie dei peccali che rimanevonO| bii iie? re.
tolta vio la superbia e l' invidia. 92-03. E come ea. E coma, dette
84. Cke ti richiudon €C.: che si queste piirole, ki larq or, spari lo visione,
naanono eul duleiscne, cioè, mediooto 94-00. un' altra ce., cioè, un'ol-
la contrizione e la penitenza. tra di>nna. Qut^ta è la moglie di Fisi-
82. Com\ mentre. — dicer, dira, strato tiranno di Alene, lo <|nola do-
-» m' ajìpaghe , m' appaghi. mandò vcnilrlla contro quel giovinetto,
n Terzo girone. che , acceso d' amore verso la figliuola
^
I-i. /e luci vaghe, gli occhi miei, di lei, puhblicaniente buciollo. — con
quo e lo voganti per desiderio dì vede- quelle aeque ee. Int. : con quella la-
re altre cuse. griine che spreme dagli ««chi il duloiv
87. in un tempio. Nel tempio di ^iMimio nacque, quHnd'éciigioiiato|wr
Gamsalemnie. Qui il Pneta vede alcu- yran di*pello, per gran disdegno in ai-
ni esempi dello «irtù contraria al pec- Imi, contro altrui ; in una p.inila, l'ira,
cato dell' ira. Nota quanta fecondità sii ha taUuIta il significatu di eontrm.
d' ingegno nelF Alighieri, che con Unti 97-99. aire <le//avi7<o, re; signore
CANTO DBcmoQuimo. 35$
M cai nome ne' Dei fti tanta lite,
E onde ogni scienzia disfovilla,
Vendica te di qaeye braccia ardite 400
Che abbracciar nostra figlia» o Pisistrato.
E il signor mi parea benigno e. mite
Risponder lei con viso temperato:
Che farem noi a chi mal ne disira,
Se quei che ci ama è per noi condannato? iOi
Poi vidi genti accese in fìiuoco d' ira.
Con pietre nn giovinetto ancider, forte
Gridando a sé por: Martire, martire:
E tai vedea diinarsi per la morte,
Che r aggravava già» in ver la terra, ilo
Ma degli occhi ikcea sempre al ciel porte;
Orando air alto Sire in tanta guerra.
Che perdonasse a' soci persecutori,
Con qoell'aq[)etto che pietà disserra.
Quando l' anima mia tornò di fhori il6
Alle cose, che son fuor di lei vere,
Io riconobbi i miei non £bi1sì errori.
Lo Duca mio, che mi potea ved^e
Far si com* uom che dal sonno si slega,
Disse: Che hai, che non ti puoi tenere; iso
Ma se* venato più che mezza lega
Ma ffia ai AteM, per éar aoM «1- ri apra «Ila picU.— Con fMafTa^pca»,
la ^aala fa gran lita tra NetUmo a Mi- ■ nfnrkea ad gnmdo
■arra. vmieogiiiieimuiaéiBfmfW^ 4 4 5»4 4 7 . Qumio Ftmimm wdm aa.»
ptlièBiaMa le icitnia ricaTeronogran» L'««BoclMMfoa erada la rinooiMMaa-
ara appranaiooi di aoaa faraaaala ari-
diaioM laaa dai 00011111 eha la aMtiTa- aara appranaiooi
^ a di Ik qoetta laea li dilfoia ad alaoti ; a del proprio ingàmio a'aaaarpa
illoauoara il mondo. aolo qoaodo naregliato poò parafasara
'tC^.Ai^ofMtarMfrìspoBdaraalai. lo ioinia|ini tognata (eoa rcataao oaHa
a P ai
407-408. im gÌ€9Ìn$tto. QiMtli h OMOioria) eoo V appnattOBa ririen
S. Silano, dia mori lapidato. — me^ cIm egli par mano ù^ aanri noa pie !•-
der, oeeidara. — forU Gridtmdo m ii, |^ti dal toBoo Ila dcpii abiatti praaia-
rioè, foHenrate gridando Fon aU'id- ti. Fatta qoeata eaondaraiiaM, iolas*
tra: Dagli, degli, Jliorlira, wunrHrm, darai: qiaodo l'aaima aria (eU sai
409. B lui Videa ehinm-H «e. È eoooo ara latta daotrodi a* rietralte)
bella tradaiione del pasao dagli Atti famd éi fmri, cioè toro» aatto 3 '
Apoat. ora ri deKrìfa la lapidarioM di irittaro draeari a riaarara l'iaipraHJ
focato Santo diacono: potUii mUm daOa aaaa di foori, la fodi Taraa
gemiHu te. Vedi al eap. 5. aooo. loriaaoobU chala cosa Tadola .—
441. Jfa (fagli oecA</Wfaf«Rqnni logm, arrori; om «oii /Mf<^ rioè mb
«I €iel porU. Intendi : ma tonerà eaaa- fantaitid, oao ckiaMra^ bm tìmmimA
pre gli occhi aperti e rivolti al aialo. a caaa tara , a dri faUi, cba la alaria
4 12. iW o/la Siri, a Dio. — in racaaota.
tanta guerra, io ri erodela martirio. 490. Cba Ikmi, €k» uom Hpmottmt'
4ÌA. che pietà d%iitrrm,Aaìm^ re :eioè, dia oaniipvoi raggerà io piadL
tb
334
DEL rUBCATOBiO
Velando gli occhi, e con le gambe avvolte ^H
A gni^a di cui vino o sonno [uega? ^^
0 dolce Padre mìo, se ta m'ascolle,
■ r li dirò, diaa' lo, ciò che mi apparve iM
Quando le gambe mi furon si lulte.
Ed eì : Se lu avessi cenLo larve
Sovra la taccia, oon mi sarlon cbiii^
Le tue cogiUizion quantunque pane.
Ciò che vedenti fu, perchè oon scuse ix>
D' aprir lo cQore all' acque dalla pace,
Che dall' eterno fonie son diffuso.
Kon dimandai, Che bai? per quel che (ace
Chi guarda pur con l'occhio che non \ede,
Quando disaniniato 11 corpo giace; i3i
Ma dimandai per darli Forza al piede:
Cosi [rugar convieosi ì pigri, leali
Ad usar lor vigilia quando riede.
N'oi andavam per lo vesjiero allenii
Oltre, qnanto poièn gli occhi allungarsi, I40
Cooira i raggi serolioi e lucenti :
m. Velando gt> DCcM, tckndn t* 133.156. JV«di>Piiiidal,CbakuT
pupille f sili pilpchn, Mautilii flipnhi «. DaoM iinlilK pulBIa <loaiind*r« ■
—arnU gamb€iHm,lle,àot,to»itim- i)«>iand»ti la m- sn t>ani> 120) liu-
ti th> Id iDiliDdo l'incrociHiaa, niiai giani dal mia MiUr MrpmiiBda ■ n-
^0(11* digli ■briicbi > dei HHiDaliDli. cilliale p<r li >ii I Oad igTl la >Tnrte
126. ti lolla, li iapcJila od Ioni cha uun |li diiuiidl, ekakatf pacaci
ntEii*, «1 « lulitdb. Disliig cha iDul dounndirlo Chi sHar-
127-119. St Ih ocrui etnia Ur- dapurcm tacckia te., doè, chi pu-
etnie mattktrt, par inipnìirc clii ti li cba wa pn* icdcr l'uiliriH dell'aoBn,
l<g|iiHÌB Uttn qarJ cIk li opHidcB- > il i|ail oFibia DDQ h* pii foni din-
In di la, la tur coffilatùmi^ la tua iu- dira ^amadu 4ai corpi» è partila 1* loi-
laraa itlitiaDi no» ni MTÙn cAlw*. m*; nwilniia accbiOiiBnì dir ?lttilia,
BUnala j fuonliinfM |«rr> ,
IBIeU pwala.
■'" •V.ptTi
•ntiiHali di pardaas, di dh* a di «-
rìik, dtc a mnigliiBii diai'aciiai rbc
IpCfaa il faaoi «liegaoBa il Lullori
dall' ira: piràordié la bai • la Icgya e
m! Ckt dati' ifarao fml* a :
Dio dij.«
le li dìOapdi
CANTO MCIMOQVUnO. 3ft5
Ed ecco a poeo a poco vm fbnio ferd
Verso di noi, come la notte, oscuro,
Né da qneUo era loco da causarsi:
Questo ne tolse gli occhi e Taer poro. * «45
145. n§, d, ioU9gU§edd, Mipt> mì oltr« U firtt, aoel* U retpiro fa
CAUTO WKìCMMMSBn^.
ttti unm CtrM* tm — mipm fimm • Pomt rf*— wtmpAtà» ^k»fmm épmrgm rim,Um
liptrtki U Pmm mtl émtèi» ém»d0 tmtm twimiMi ptmtU, m éM fiamtH • éti tediati
l»S9MÈtllÌfmit»§mw»mmptt^9mtt»mamé9ra
Buio d" inferno, e di noUe privata
D'ogni pianeta sotto pover cielo,
Qoant* esser può di nuvol tenebrata,
Non fece al viso mio si grosso veto,
Come qoel Aimo cb* ivi et coperse, 6
Né a sentir di cosi aspro pelo;
Che l'occhio stare aperto non sofferse:
Onde la Scorta mia saputa e fida
Mi 8^ accostò, e 1* omero m' offerse.
Si come deoo va dietro a soa guida K)
Per non smarrirai, e per non dar di cozzo
In con che 1 molesti, o forse ancida;
ir andava io per P aere amaro e sozzo,
Ascoltando il mio Duca che diceva
Pur: Guarda, che da me tu non sie mozzo. tf
I. Jfeii9 rin/WiM, buio Mal b nè1ttgwaa,«UMlvap«Tin4«%MÌ
trovai adi' inferoo. M.
2. ml$»fm§r cM», m Xtf^àvf 4-6. if •» te «1 Hip wthm, €^
d ^%ài% Meo, tearto, ciclo; Jovo daedo draiid • nttoii : bob feaa al ■■• dw,
è rariBMrta CmI il Betti. E ^otfeH ai e mm occM, vdod fraaao, aè «pio
par dM daBiidiore tpirgafioiM di ^w^ d aapro « Midlrf^ • coma la Mak d
la «ka aa aa dà «oaoacawalo :• aalto taalira |al iiaai), aaa» yd laaia aa.
«Ma patirà di firllt, mi^ apMa m — aqrrafMia, par aafaitar PaUifaria
traila M eM»wnm fn^^mf éi ald» dd telo, AiaaM io pai tacalia awi a |
It. 0 Capraidooa i^ tatto vaaa •fMa* frati di ^ad fcuaa.
da aafra è dalla aaftt arinifa Irafflil 7. OU f aadMo aa. # par «ka , far
a<aa«la;Matraaa alla B«na priva di la yak aaarU iaipriidiai, f mah
laaaa dialallapar bltioa?ali,laaa> noa fojfarta. aoa |»alè, tiara apartaw
fiaafi la aaraaatanaa di aaa pfafaada S. aajiaK aaria, aaearta.
vaDaaàiaaa tra aMatf, doadaaaaada- 13. fofia, Walla dal kam^, ^
la d vada, la aa acoaMord r aaaarilè aaiara, nolaala, ad aera par aaaa a r^
t P arrara. Ma aa de
prai [ialtirti aaaara aiaiapar adiaia ' 14-15. dka diraaa ^r, cha
Hfido , darà la laca è aliladwiala oMateanaadafa diaaado.— daaM<
^^F'^^^l
■
3-,6 DEI. PUR.
5,»Tonio
m
Io scDlia voci, 0 ciascuna pareva
^
Predar per paco e
per misericordia
L'Acne) di Dio, clie lo peccala Icto.
Pure Agnia Dn eran
le loro esordia:
Una parola in tolti era ed an moda.
ìi>
Si che parca Ira esse ogni concordia.
Quei sono spirti, Maestro, eli' i' odo?
Diss- io. Ed egli a
me: Tu vero apprendi.
E d'iracondia vao
solvendo il nodo.
Or la clii se' clic '1 no-
;tro fumo fendi,
Si
E dì noi porli pur
, come se lue
Partissi oncor io tempo por calendi?
Cosi per una voce detto fue.
Onde il Maestro m
io disse: Rispondi,
E dimanda se quii
icj si va sue.
30
Ed io: 0 creatura, eh
e li mondi.
Per tornar Isella a
colui che li fece.
Maraviglia udirai i
» mi secondi.
lo ti seguiterò quanto
mi lece.
Rispose; e se veder Turno non lascia,
u
L' udir ci terrà giunti in quella voce.
^^■U
Allora incominciai: Con quella fascia.
^H
Che la morte dissolve, men vo suso.
^M
E venni qui [«r la infernale ambascia;
VI
wn ti. m«.D, »>> li d1»di, 0 di-
di. Solerao» gli aolictii dindera
Ul,^^
eii»» Ji nu-
li. Ina, loelie.
pa io Ire epaiì, o lenaiu, che
li tllijl-
Insane calUji o t.l<«h, oe» e i,li.
m. Pur* Aynut UH. Tnlli f«uiii-
t dello
cilTtnn II liirs pi (ghiera roD le iiainla
>l(r<i Wlel^Nola che io qliealo
■dodJc.
di Btnil CVÀtu Agnm Dei, chopn.te-
1. dur.U«ditiJ.;s».»».l
Mll'el-
rituB io leiupa . lono usuili- AantUo
Ire. aDt'iel.T>ilIt.
M Dia i tbiinai» Gnu Cr.ito per la
SO M quinci N.: ae di qa
.Ita e,», ael «.e»)..
l' ir.. Q—O parola .r.=o il prii.cipi.
SS. MMftetmli.Mnii
Mia Fr«glÙB>, la ^u.\.- poi Gn,.. nelle
pnaan.
>lln parai ra»liin,,<Iaiianù6ifr'<i rem.
a. (^'WMi «pirli, «s.tlutel- ti»
51. quanto mi Ita, mia
'mT',
rfl.rtaBUr«,«up.pinl,T
■iodi gliele eenb^e, dead* D.
2*. E d-iracoudiatc. Ini.: lan
leello l B«ire.
rarpnio il pe«.lo .lell'ir., cb., cerne
SS-SG.eKMdarn.Ewilri
u I1.HI.. li lega .'.. eU« Tolu •»» pe^
MM ti I>ii> della pace.
15. ck< '1 naiiro fumo fmti. ci-t.
oJ-SS. Con iMlla fàitiM.
Mio.
*f.: (Hi
tii il rum» in tl.t ow .lame.
eerp..k<ili».lc,;.l.l'.nÌD..,
< the 1.
M.27, e«w .. Iw l-arliui «.
.on.di».l...
Come ae lu fuui «neon nel luunJo rie'
S9. pir la ioknaieai-tbBitia. t(-
^ (in, «te il Innfo ai Diniri fxr fUn-
J
■
CANTO DECIMOSESTO. 357
E se Dio m' ha m saa grazia ridunao 40
Tanto, cb' e' vuol eh' io vegga la sna corte
Ver modo tolto fuor del modern' oso.
Non mi celar chi fosti anzi la morte,
Ma dilmi, e dimmi s'io vo bene al varco;
E tue parole fien le nostre scorte. 4&
Lombardo fui, e fbi chiamato Marco:
Del mondo seppi, e quel valore amai
Al quale ha or ciascun disteso l' arco:
Per montar su dirittamente vai.
Cosi rispose; e soggiunse: Io ti prego 60
Che per me pregbi, quando su sarai.
Ed io a lui: Per fede mi ti lego
Di fer ciò che mi chiedi; ma io scoppio
Dentro da un dubbio, s' i' non me ne spiego-
Prima era scempio, ed ora è felto doppio 66
Nella sentenzia tua, che mi h certo
40. ridUuso, rieerato, raceolto. È
bellMnao mede , porche porU tero
V ìéf d' VB amoroM eastooimeolo in
«■M grana.
41. fittr ieiwtoiem'nto: pafdi4
da Emi • da S. Paolo in poi noo tf ara
pie a£Co caso fiinila d' uà tìto. Vadi
inférmo, Canto II.
48. «fisi Im mòrte, prina cka in
44. mi ftmrco, al paaao, alla aaltlaal-
fl^ altra earehio.
A$: Umbmrdo fmi, «e. Aiarai di-
COBO cho 4M8to Marco fu un Tancnano
aoaco di banta, a abiamato il Lombar-
do par MI IH molto in craaia ai Sifoori
dalla Lamkardia ; dia fu di gran valo-
re, nralico delle corti, ma faàla all'ira.
Ma torta LowUardo fu il casatodt fio-
tto Marco, dicendo il Boccaccio dM oo-
•tui fìt di Ce' Lombardi do Vimt§ia ^
wooto di Corte e Bovio. Alcuni altii
penaano dtet/tmbordo aia quinnanimo
À'itoUemo, parche a Parigi, dova molto
quatto Marco uaè, chiamaTami gcaaral-
aanto ijomhordi tolti gl'Italiani.
47. IW wundo eeppi. M' ialaai , 0
fai pratico dai nogotj del mondo.
4t. km or eimeemm dieteoo «a.; ài-
iUto 6 eontrario di liip.
tinto , ditmdormo a amili ; a oòmò
iotcadi : al qnal talora ciaaenno la di"
eteto, h^ceasato di tondera, f«reo,
di volgera la traccia ; cha è quanto di-
ra: òaaenno ha abbandonato, poato in
non cala quel valora, cioè I oaeato •
rirtuoao operara. Il Boti : B futi vm-
loreutmi.
54 . ffiMmdo fw Mra<, cioè, m1 Pk»
radilo al quale t' iofii.
52. Per fede, per promaaaa.
55«54. mm io eeoppio «a. Int.! mn
io ho neir animo un dubbio tola cha noi
poaao pia eontenera e no aeoppio. -—
éeMro , internamento. — da ma dmè'
bio, per un dubbio: il dm
origine o cagione Oca) dioati
mento teoppimr «folto teie,
biteec. — fTno» me ne tpie§Of^ho
non me no tciolgp, o libera.
55-57. Primo erm icefmpio, ?ef io
parole di Guido del Duca intorbo alln
corrutiona della aodetè, eotrè nai Piata
nn dubbio intorno alla cagiona 4» orn-
ato diaordina. Seotondo ora Marao tam-
bardo lameotara la coca madaaima ,
dica aha è /Uto doppio il ano dnhbi»,
cioè, pranda maggior fona a gli dt
maniera anaiatè , per la aoa panlt, lo
quali lo fan pia certo d'aaaa oarnmiano
aodala, di ne ha udito dira Ik la ^1
cerddo, ad altrora da Guido ; alla fiala
eertana a* accoppiava, andava ofto, il
dubbio tuo intorno al f crcbò
Qui «I allrove, quello ov' io l'accoppio. ^H
I^ mondo è ben così mito diserto "
D' ogni vìrlule, come la mi suone,
E di malizia gravido e coverto; «i>
Kb prego che m' additi la cagione.
Si ch'io la ve^ga, e eh' io la mostri altrui;
riiè nel cielo nog, ed un quaggiù la poDc.
Allo sospir, die duolo strinse in bui.
Mise fuor prima, e poi cominciò: Frate, ci
Lo mondo è cieco, e In vicn ben da lui.
Voi che vivete ogni cagion recate
Pur SOM} al cielo, si come se tulio
SIoNea'e seco di necessitate.
Se cosi fosso, in voi fora distrailo 70
Libero arbitrio, e non fora giustizia,
Per ben, leliiia, e per male, aver lulto-
Lo cielo i vostri movimenti inizia;
Non dico lutti; ma, posto eh' io l' dica,
Lame v' è dato a bene ed a malizia, '&
E lìbero voler cbe, se litica
Nelle prime batlHglia col ciel dura,
51. rflin-la, iimbIìhIb, 4ùeai Imiti, n*,pafla du io't iicà.
M. irrsl^do ■ cattrta. Ini.: non ngiDi», il lumg, ondo il b*at
Xllllt
a ntlUp
., I*
■1 di h-H-
lanlv tot lilla , àoi, w li npoMM W-
63- CU Hi (viu in», n. Ptoc-
(ra..nu t mi>lt Gn di'priai lUu-
thè UIbih him ci» qinu cijioiK
thi «Ile prxc l<nJ«» n|F>M U
pLncb , <■■ ucBÌle riU M rip-U wo>
atlPiaflou itììi ■■olir . pfl climi , «
pr« ii(l«n. Cd UlU {.dilli, iMlm
Ulwii>cl»Ù.HMn(r>«ri.
H' <ii <■». «>■> »gii* ■ «iriì>u. U *
|g(*
^» .k. i <i.ì^.pp(ti>i d«Mi iài
M. ( (ovini ««K..-d.>è,|q mi
«Miri km, per !• lu téli , ài t<~
id.4trìn. di U..I. nei r»i»>la. (ke «fui
wtdilùraUDdu-
•7.roi.lkf.irf(,,™».i«ntì«l
drlu i BiUdIs di SM ptnpri. iitt>,l«
■■■1* fa nawi .BOI ditccnd* nelle nu
Ji wtl. . •«'«■d. ì* ■«>, > Buon,
68-1» MtMH iHlloKnxtH ,no
qnei primi InpCiti • «l.l't* ÌDclia.-
Biomli twar» D»»irì .[(«Ita'd, M.
TI-T2. t nim far* giulitim t.: «
Mmpx [m..rt . diHcer. 4l l>tiM- Qi»
nkbt WKBila (,».(i»., rt. .ir i>p«r>
■In .ignitr. !.« cM» 1 RWln «<»<-
nrBtJ infila: IfaH ilio tutti, pcnM
bw» H|«iUw pr«g»> . .llrgrH», «
_ W-n. torirtiw. bL^ilcid-
ttSM^ di priii .biU, di «lliti MMB-
Pi «., dd qotl, pw. p.& Lrinsl» chi
CAIRO 1>IGIIIOSniO.
869
Fai Tinee tatto^ se beo si Mtrict.
A maggior knai «d a miglior naCora
Liberi goggiaoilB, e <^la cria so
La mento m rd, cbel cid non ba in sua cura.
Però, se il monde prasento diaria,
In voi é la cagione, in ?oi ai
Bd k>to ne nrò or inora spia.
Esce di mano a Ini, die la vagheggia^ S6
Prima die sia, a gnisa di fandnlte,
Cbe piangendo e ridendo pargoleggia,
L' anima sempKoetta, che sa nnite.
Salvo che, mossa da liM ftiUore,
Tolentìer toma a ciò che la trastnlla. so
Di piociol bene in pria sento sapore;
Quivi sT inganna, e dietro ad esso corre,
fio guida o fren mb torce il eoo amore.
Onde convenne legge psr firen porre;
7f . À wmgfUr ftf%u «e.: rfaè, •
^^••^ • • flMINI 0f*Ml 99 '• 9 1
i« Vii !■ awte . h foal* ■•■ ■ogfJMt
•IF ìbìmm 4«gfi Miri, • M ai moTi-
■MBli Mlt oMterìa. Dict iltra«« fl
P—ii Ab la hMtk ^tìm tpirt Mua
FanM Mtlni, prìaapio di Ni
r dal brillo I
9pim, W9ne9 émdi€9i9r9 ,
Quatto tennoa di fpii
par 9 aaa aealiaaa agfirani tiVUrria
tiV fcarfaR . è divaoato agfioiai al
krvMa aaaa «a aaataaBÌiMra ^ai pie M
la ardioarìe TÌMBoa daUa
Mnara.MMa
HBWSa*
SH^ee. Caca ài «Nma 9e. Caalr.:
fasfva cfca momc da lieto fmUon
fama vaImMfH a etd dka fa fraa lui-
te;, «aet di «MMo a ìn<, d^ te •»
anaayas jioaia cMa aiSt a ^inaa ai
(ianatelte, d^ pten^anda a ridmda
farfaliffte Intoadi: L'aaim tetta
acaiffica, aha Milla aa , faichè aolo ap-
praada pai taaai (•enaaaebè paiUaitai
4m Kfto fattora, dal footo ttetM dalla
Mina a dalla Walitadhia, éUm teme
vaIrnMeH, alla fa Hteroa Talaaliari al
piacerà , oppara H voJ^a per ava Mh
tera vana tatto cte aha la diletta), ^p^
•l' aninia, io dieo , atee aempfiaa a mn
dalla BMoi del eraateva, eM la iifh>s
r* I prweato Ball'atoraa idea prtea wm
Irarh dal aalla,.ad èaaaavMpw^
gaietta aba ar piasM or rìda 9tm ifana
fiacada, aaaanda la paniatta aka aate
laMoaa.
W^ • W ^^CCWV ^VNv ^vt SVI MHI
dai aanao, dai Wai tomai, jdaaali te
eoafronto da' celasti, a aMMharafi »-
amia 9mpor9, aaate diletta, a appetite.
SS. QéM f 'liiaaaaa. lat.: aradi^
da trarar la feliotà ad beai a aaHa
aadiefaaiooi di aaaito tonra.
se. Sa faida o fnm aaa teraa
Sa aaa baaaa warta a adacanaa
naa kaaa il saa amara, a aaa valto atoi
iaiiiinito, aa aetoato laaaa aaa W ii>
Taiga al vara eoiaMa.
S4-Se. Oadaaoaaeaaaac. Buia di
ali aaayei ioeUaali a aemr dietoa al
Saaa falaa, aaaveaaa aaidarii raiaa 9
Mae aal f raaa della la«p , a aa»
avara aa ra o aa reggitore , «la
JMte aera ailtadf ateif»
te t0rT9, é9k^ dialiagaaMa, a agU aUrì
addito«a ddla Ten a bea erdlaata aa-
cietb alsaa la pérto priatipak , dal te
gtartifia. Danto ad CSaarOa fatiapi
daa dttà , spella dd tea ttean^ a r al-
Ira dd vtefr «tateapte.
Convenne rege aver, che discernesse
Della vera citlade almen la torre.
Le leggi Eon, ma clii pon mano ad esse?
Nullo: però che'l pastor che precede
Ruminar puù. ma non La l'ungliie fesse.
Pt'rdiè la gente, che sua (luida vede
Pure a quel ben ferire end' ella è ghiotta,
Di quel sì pasce, e più oltre non chiede.
Ben puoi veder che la mala condoUa
È la cagion che il mondo ha Tatto reo,
E non natura che in voi sia forrolla.
Soleva Roma, che il buon mondo feo.
Duo Soli aver, che l'una e l'altra strada
Face» vedere, e del mondo e di Deo.
L' 00 r altro ha spento; ed è giunta la spada
Col pasturale; e 1' udo e 1' allro insieme
Per vìva fona mal
convien che vada;
6T. thi pò» marni BdtiK? Chi [t
dnlo cha dì qanU lì parla più aaUo.
400-101. Ptrth>Ìaa»nUtc.?it-
«<.pi«,, AiU«..,y.To ehiU t.
«^■reT
cLà la gante, cba vada il paMrt.contr..
99. Rumiifar p«ò. ma non ha
Lualnra dai propH-u. miniatalo, p«-
CMgU. f«u. 1J4- ..". proibito
ferir» . f n.1 t^t K-. cioi carrara »>-
I.DMnL« dicira oi brfli laoiporali aa.
!(»- la Mb romfelO. la n.U
rianimf la ia* q»liU del niMiMrt
*i'm,trVw>shÌi, ftua-iVtdivé^oDt
106 l(o«o,(fc««»wnm<MiA./w.
di* in qiDtlo umiDd» Dia joìtyt li-
H~nia tact buono il mondo iu qaanlu
miSe*» At il «IO Dopolo doiea rie»
cbt principaluionla da tal li diffua par
»ni iù Sfondati ci1>a di udì doUri-
t,l.al-|o.;::n.l.lucd.lCi.li.na,i.^.
01, iota» nel nmiiiert; ed winpis
407.i>aaSDlJ.IIpapa,ci>è,«l'ia-
di l»<>«(aptruH.m, Ggurola «ll'tm-
peratora , dia quui dna wU IwBinsi
Skia futa. Or. DauK tool din ebo il
«■•no «corta al popolo, «no par b lii
Pipi. 1*1 p<u(in- cStpraidii, chi » io-
di Dio, l'altro par il baunaca lampe-
tale. Vadi al G>Dlo 11 dcH7V- <"•- •!
nioii liuan* eaidi al popolo di Crl-
d.lltÌH. ruon-or paó; cu ì mai
(. (26. Mi pon crad.,no i giotaoi par
lemporalo dai pipi ; alla ioa molto piA
t'unfhii friu. lommiaiirrtiVTuB-
anlrcbe, ut quola larta lu mai qu<d
nunlo : Neuooo owcrta pii |g liijgi ui-
Dba i Poali . cbi poro ia prau pootOM
Mnli « ««ili , cbe pure >i<li»a e hhh.
■ nm Bi>l>, peirb* mliii (ha licda
109-1(0. ftwrallrofca .««lo,
l'n.o1alilpap.)l.a.rcaia l'aura.
mastra in brada a in cui tulli li iftc-
MtBO, piadict .t, laacina .llimt'
l'impariture, iDlrando iu tuofo di lui.
m«U, ™,.>u t™.. ma (li .aampi
— fi i ffiMla la spada Col pati»-
•oa tulli aonlrari a i|iielle requie ch'egli
rait: cioè, I. pnialt ci.ilo «.Iti .pici-
d.lU) t>«1•k«r».vMa/rMa,c..n■
luilt.
n>a• mala. Quagli elia nauunu <U
HI. Prrctro /una u.: nacMaf
li Totlia «ai acHnaira alla caofuiia-
()« ddla dna pol«ll, eoo hanno «-
confiuo povera g laJa mali.
CAUTO DECIMOSESTO.
361
Peroochè, gionti, Fiin l'altro non teme.
Se non mi crédi, pon mente alla ^iga,
Ch'ogni erba si conosce per lo seme.
In sul paese ch'Adige e Po riga
Solea valore e cortesia trovarsi
Prima che Federigo avesse briga:
Or può sicuramente indi passarsi
Per qualunque lasdasse, per vergogna
Di ragionar co' buoni, o d' appressarsi.
Ben v'en tre vecchi ancora, in cui rampogna
L' antica età la nuova, e par lor tardo
Che Dio a miglior vita li ripogna:
Currado da Palazzo, e il buon Gherardo,
£ Guido da Castel, che me' si noma
Francescamente il semplice Lombardo.
Di oggimai che la Chiesa di Roma,
W
ISO
Ub
442. Perouàè, gkmti, «e. P«ro^
, Boo può V «M ta-
ra. fliMr, eooM do-
vrabU. franata dall'altra.
44»-444.^» «Muto aito jplgo, fé..*
paaì aaata alla n>ifa,se t«<n eoooaeera
u yalitl dalPerba : cha è qnanto dira :
at tmì a>iMtii ■ caa la cagiona par la
■■alt il aando dìtvia è la confnsioaa
dcOa im potcìtè , gnarda ai pcwiim
mèmnà caatnmi, fratto dal disordinato
ff«g|ÌBaalo aitila, a coootci dal mi af-
fada k Baia cagiona. (Sablima docn-
Hla! La prabitè nasca dai buoni
li ; i bnoBi ordini dalla sapiens a a
Ula rsimona: daoaoa mal pranda a
obi kaapMMa a la ntigiona disprasn.)
44S. in ini pm$i§ te. Intandi la
Marea Trifigìana , la Laoibardia a k
44e-447. SoUm vaiare te. Erano
i i rastnmi nalla dette proTÌncia pr»>
aa cba Paderìcall imperatora aTeeéa lii-
pa calk Cbiasa ; prima cioè cba atcssara
MfisBiineismento lo controtarsia lira il
sncardaaic a Pinparo. E non t'Iia dnb-
bio cka k gara cb'abbe la corta raaaaa
a aal qnarto Arrigo o col Barbaressa a
eoa Fadarieo II , furono accompagnala
da tilnperetoli accessi per l'nna parta
• par Feltra , a cba par cesa priaaiaal-
I s'iaCradnssa e s'slimootA la mti-
a Podio tra i popoli italiani.
4 1 S-H 20. Or pud f •Vm-MMiili, M.
Caetr.: Or pud iiewrmmemU ptt&rei
itM per (de) ^almmqw lofcioffa (di
paeeero) per vergogna di mgionare
eoi htoni o a appreetarti toro; po-
roccbè non te ne incontrerà , di qrnali
buoni , sk facilmanto. La kccia aerana
a sicara dall'uomo onesto è sampra
ina rampogna al maltsgio; pardo nan
pnè questi amarna P incontra. D taeto
vit. a PAmbr. 498 bannolKmyioiMr
eo' buoni, d' nppretemrti. L'uaa •
P altra è buona lesiona.
421 . v'en, ti sono. Par far la km
tace plur. s'sggiunge un no alk
nog. Dunque da # si ba *
msnte eno.
4 22-4 23. e j»ar lor tordo ee.: a para
lora cbe Iddio tardi trappo a togiierfi
dalP iniquo e dieordinato auodo per
riporli nella pace del dolo.
424. Cnrmdo dm Polaao, fu ga»>
tiluomo di Breccia. ^CAorM^ fu di
Tratigì , e per la tirtA sua sspra— e
■yoato ii bnono,
425. Guido dm CmIoI, poeto di
Reggio di Lombardia delk nobil fami.
diada'BoberU.cbepor testiaMnknai di
Bantenuto da Imala ricatè malto eme»
ratamaato Danto in sua casa , meaira
errata eauk per la tarla dtià kmbarda.
428. Ff ncsif menk , al moèm
francaea di cbiamar* Lombmiréi tutti
gP Iteliani. — iowipliee, schietto , sia»
Per confondere ìd sé doo reggimenti,
Cade nel tango, e sé bruita e la soma.
0 Marco mio, diss'io, bene argomenti;
Ed or discerno, perchè dal r«(aggìo
Li fijli di Levi furono esenti:
Ha qual Gherardo è quel cbe tu per saggio
Di cli'é rimaso della gente spenta,
In rimprovcrio del secol ivIvaggioT
0 luo parlar in' inganna, o e' mi tenta.
Rispose B me; clié, parlandomi Tosco,
Par che del buon Gherardo nulla senta.
Per altro soprannome io noi conosco,
S' i' noi logliessi da sua figlia Gaia.
Dio sia con voi, cbè più non vegno vosco.
Vedi l'albùr che per lo fumo raia,
Già bianrheggiare, e me convien partirmi,
L'Angelo è ivi, prima di' egli paia.
Cosi (ornò, e più dod volle udirmi.
1. l'ai
> l'iltrs
il». Uiam
181^52. Ed or d|-(»nw K. Ed
onoiiiiipniidci ntr qxil riglon. «clau
[iMlilribódl L«i |l'nrdÌHl>.lliu
B UMnlaUk) dal tiiiartisicnla della
lem di CtsaiB dialrìtallt di t)li> alli
eh* l( rilU dal* ai Lctìiì
nnlf ad kaMlamliiin , i
liàtndiàm. — funnii tu
.d p..
ilGht
ora al
ban padrt. Il ulirìc»
dna d. Uarto, ftr èu-
?liaB
>l DdO
it delia
li|,l....a™B.r.pp„.„
CllllBD«,dirb<UD«>'«
dai tri
.tio^ali ,
parlalo/ GhrraHo da axia» h «.In
liaae TÌrta, d» per la
dùul.
•icoadi
i.a...,b.llia.j»6(li*
a Gala,
d.'lU qaakdi» Vk-y
<rlie >(l
1' dilHI
I3T. M, pwlmdmi Taira, rtw
ands la Taacana , «me dal liii|-Da|:gia
iprtriKt, nai noilnif d'ignorare un
BMia per T««fau natinimo.
140. da ma fi^lit Cala (}iihIu
Hi ptT
lofMieriA
i-na-'
» il lum.
-pr,™
, AtiK
rima cbt
(fli
aiappa
ri«a.—
CtA tornò.
ciot,cnld>tl>.
' iadietiN
iadieW».
1 ckc^i
din
i^codd,
.dipa.
iiichied-,
1, mi pai
».jl.or.
iCorip.
irU;
p»r(b»
brat».
p'ìb';^;';'
Ma.
E1
T,f,ù
rtaddl.
<f.iMà|
€JJnP# WnSCMMOtkEXTMmO.
Ot€iH t PmH fiiàH éti mm/mm^h f JUfkkH
•ir mplftm Bn*
grimiiHnm «Ma
Attmm Fìrj^th, ptr «m ptritr
Ricorditi y lettor» ae mai nell'alpe
Ti colse neblùa, per la quel vedessi
NoD aUrimeiiti che per pelle talpe;
Come, qoando i vapori umidi e spessi
▲ diradar oominciansi, la spera
Dd Sol debilemeDte entra per essi;
£ fia la toa immagine leggiera
In gingnere a vedery com' io rividi
Le Sole in pria, che già nel corcare era.
81» pareggiando i miei co* passi fidi
Dal mio Maestro, osci* faor di tal nnbe,
A* raggi morti già ne' bassi lidi.
O immaginativa, dbe ne mbe
Tal volta sì di fuor, ch'oom non sT accorge,
Perchè d* intomo SDonm mille tube,
Chi mnove te, se il senso non ti porge?
44. MieméiH^ Mtor, «e. C«lr. • émtlùjm^mù aè mA wwm maUm èOU
_ ... k^p«l«t«T«dMniioiialtrì- T«no ^««1 bvìo il FMte rìetvt.
IO
ib
M iMps •ttiwww di nMih
frffietla ck« ka dinon agli «ccb , li-
tmétfA mtm k ipirt dtl toh lq««odo
• • » •• " • • » ••
I laptn mmm • tft«i «ooiiiicmao t *-
ladani) éMmtmiU ttÀn per li ditti
Ttpwi.^ t^ • Imipm, d «Df. ,
' • vmté, iebkrm • M-
7-e. M0mÌm$iÈmimwui§inei«ffU'
m fl». B ^iMii %m ÌBiaMgiM , • rap-
frmmàaòm» aiU taa raoBont dall'o»'
«nate fMMM««, Mrè Mtrn t f^9i^
f% par fNn^ara • witn, a éprarti,
ai aiai mIm il raffia dal aDla, eka fii
ara Ib ili traawoia, aaaada aiitaaia
afe praaa a ' * - - • * -
40. Sì, eoak, a aotal I
42. À'rmffi m»rU m. Vaal
n Paala cIm fueì tmorì del laaM
i ra|gi dal aoIocIm |ià aecoMavaa aaM»
l'annaota, araaa fiè tpaDli alla ladW
dd MoaCe, a sola UlttaHaara la allaft.
Pii cha il fola ta aatta , a pie wmo
ia allo i aaoi raffi.
49-45. Oimmm§kmlhm, a paia—
imaMfiaalifa, a fanlaaa — mt mia
IW «alla j4 «N ^ar, ae. * ai ff«y, «aril
ri l'aaÌMo oaaCra all'alScia da'aaaS,
cka«aa aae ai aaaarft di faal alM aaa>
cada hari di tè , ^nd' aaiW fK ali»>
cU,atkWaa.
46. CMaMaatff, ft <f<
CU è cka ti la aparara, «ka ti lai
falla oMm eiatraitat rakiatto cba ta coatempU, aaaada i
d'aaa f^eiactia di ^aaUa * taaa bob ti parfaaa di iaan laraai
paè arara idea eha ipprii- iaiprfiaaa ?
roan di aaal
afii, laafaaJi. d%Mar dora
STuovelì lume, cbe nel cicl s' inrorma ,
Per sé, o per voler che giù !o scorge.
Dell' empiezza ili lei, che mulo rorina
Nel!" uccel che a cantar più si diletta,
Nell'immagine mia apparve l'orma:
E qui fu la mia menle si ristretta
Dentro da sé, che dì fuor non venia
Cosa che fosse allor da lei recella.
Poi piovve dentro ali" alta fantasia
Un crocifisso dispoltoso e liero
Nella sua vieta, e colai si moria.
Inlorno ad esso era il grande Assuero,
E.sler sua sposa e il giusto Mardocheo,
Che fu al dire e al far cosi intero.
E come questa immagine rompeo
Sé per sé stessa, a gul.~a d' una bulla
Cui manca 1' acqua sotlo qual si feo;
Surse in mia visione una fanciulla,
Piangendo forte, e diceva: 0 regina.
IT. clu mi tiel l'iaforma, tU<
mi* r«U>;t olla. 6^, Uni* la alu,
dieueeel. dai .enei adalla lerriHi.»...
the i ronoilo in ade, t >|aaU luna
S6. Oh CToàfiaa. on aan>« pMl«
Ktndenilo iliU* iltre crlali, a per oo-
tuet» re dì Pi^reit, dd qaala afl- m
JfT di Dio die lo icorgt. Io invi», quiB-
ruedninre IraT» che de lui ara eUla
■•«ai prurfliel».
ti-M. Deltfmpkiia. Jrfl>ni|.io-
lk,i«lri.diPriiEDe,c)iefuni.>Rli<diTe-
37. t alai »..- a Ulc, lul* io !•
ttdevB, ei iDorÌTa, ndla «a tarocia,
fM « wrriU di Filone!*. Qanle dD>
do*, a di.^»,.
FtouBÌBa, per Tindicini dell' ingiù rìi
50. Che fa al dire e ai far toA
rinwoti d« T«eo , toeuro ia p«ii un
Inlaro, cbp rinuerdu al dira a al brc ,
SdinglB dì lui dilanialo Ili, ■ Ji cui
dot pd delii a nei talli, fa Mal |i<i-
l^a en medre , e c-tlo glieli) die-
ito, cmi iwrfello.
Jen in dbn. Senudo U più d«' PmIÌ
Propie fa eonierliu in mndins, Filo-
Ma M. E lotlD chs qunta immiiiaa ti
IMlt io r«i|pinal>. DnnM tl«i. con
™l";p^u"un'l°b*l'.^an™r.^,E;
rnit, MD ULiiiio e Slr.hoi», d» 1.
.ni^Di 11 yd» d'acflua, nllg la aula ai
Bi paugoos or*, Ktsoili) il enliM, «|.
(.^t . - .Ielle iiuela fi Ìa6,ò, Sune ac
M.ni mtmn « Urror. . . t«a. i^-
,i'ir.«odi:;
di,» de prìnui ktll- imiKagint mU
apparve torma, poi Piotai dimiro
alla fai-Uuia. ore Surii- In wtla ci-
M>tnÌM.;i>Ìn.rr.i.ir
n'uM. Qi>ei>lericdirt.adinudì1
S2. ti rMrrltM . ù chiù» e >»■
S4 •iM/-<HiCHilli>-<ì«»la*U>iaia
Mila 1* U.
DgIluoIb dd r* Leti» a di Anela.
2*. rrfflK. ri««ul..
ZS-W. 0 rri/ma. PertU eir
JS. Poi piotv «e., di»«e adii
ira «r. Ù regina luedcc mia, pertlii,
CAKTO DECIMOSETTIMO.
aeft
Perebé per ira hai voluto esser nulla?
Aucisa t' hai per doq perder Lavina;
Or m* hai perduta: i' sono essa che lutto,
Madre, alla tua, pria eh* all' altrui mina
Come si frange il sonno, ove di butto 40
Nuova luce percuote il viso chiuso,
Che fratto guizza pria che muoia tutto;
Cosi r immaginar mio cadde giuso.
Tosto che un lume il volto mi percosse,
Maggiore assai, che quello eh' è in nostr' uso. is
r mi volgea per vedere ov' io fosse,
Quand' una voce disse: Qui si monta:
Che da ogni altro intento mi rimosse;
E fece la mia voglia tanto pronta
Di riguardar chi era che parlava, m
Che mai non posa, se non si ra£fìronta.
Ma come al Sol, che nostra vista grava^
E per soverchio sua figura vela.
Cosi la mia virtù quivi mancava.
Questi è divino spirito, che ne la K
eombttla eolia Tigilit , ni ptr di molU
Taghtcìt.
43. eadd9 giiuo, TeoM oieoa,
ini.
44. Toito ck$ un Imim» così l'Ani.
Ed. R.: U com. il lumt.
45. €h$ quello ee., cIm ^aUo oIm
per tolito ferwce gli ocdù noeCrì, o, •
coi •iaiBo usi.
48. Ch9 da ogni al|ro Infenfo «cs
la ^al Toee da o^i altra attessioBe ,
da oni altro pensiero mi rinaoan.
54 . Ck9 mtti non potm, «e. Nola
qui in generale il carattere d'alia foglia
intensa. C il concetto del lerMiìo i
il aegoente: Fece la mia TOglia luto
pronta, tanto solleeita e impoiiento, dì
Tederò chi oi^ quegli che parlava, cka
quando la Toglie è a tal aogno, mm
pota wmi, non s'acquieta . M «Mi fi
raffronta, aa non tiene a Ironfa colla
ceca o persona bramata.
52-51 . Jfa come «ISol «e. Coalr. •
hit.: Ma la mia TÌHè, o facoltà fiiifa ,
for lo sdegno preso , bai Toluto ctffr
«•«Ila» distruggerti, darti morte ? Amata
ai mtàm por aver creduto che Turno ,
cai era slata promcasa in moglie Lotì-
■it^ isoso alato ucdao da Enea, che
JeaideraTa lo nesso della medesima tci^
57. Jneita thai, ti sei uccisa, ptr
nam perder JLorintf, non potendo td-
lerara cbo andasse moglie el profugo
58. Or m'hai perduta: in altro
■mdo e irreporabilmente, uccidendoti.
— c^ Ivlfo , che pian(;o amaramente
aiRa roTÌna, alla morte tua, prima rbe •
«•eOa diTurBo(che puro avranno poco
lofo quelU d* Amata. Vedi l' jkn.,
Ift. XU).
40. ove di butto, quando di botto,
44. <l Wao eMuto, gli occhi dùosi.
42. Cho fratto guisxa tc^ il mal
so—a, rotto cbo sia, non muore snoito
del latto , non dà subito luogo a aaa
parffatla vigilia; ma riasana di lai
qaaldM cose, e a'adopra per ricoaa
perai.— gasare» che è propriaoMOla
qaeDa aeoleni che fé il pesce per ah»-
tarsi al moto , traslato qui al sonno cbo
meocava univi, come nuiBca, viea
la nostra vista in faccia al aole, cbenaUa
ivela
opprime, e per aovercbio
la sua figara, cioè, ■ fa laviaibiio par
troppa luce.
Via d" andar su re (Irina senra prego,
E col suo lume sé mcdesmo cela.
Si fa coD noi, rome l' nom a fa sego;
Che quale af^pctta prego, e 1' uopo vede,
Malignamente già si metle al nego.
Ora accordiaiDo a taulo invilo il picde^
Procacciam di salir pria che s' abbui ,
Che poi non si porla, se il df non rìede.
Cosi disse il mio Dura: ed io con lai
Volgemmo i nostri passi ad una scala:
E toslo ch'io al primo grado Tai,
Senli'mi presso quasi un muover d'ala,
E \enlarmi nel volto, e dir: Beati
Pacifici, cbe son senz' ira mala.
Già eran ^pra noi tanio levali
Gii ultimi raggi che la notte fegat,
Che le stelle apparivan da più lati.
0 virtù mia, perchè si li dileguet
Fra me slesso dicea, che mi sentiva
La po»^ delle gamhe po^la in Ir^iie.
Noi eravam dove piii non saliva
La scaia su, ed eravamo adissi,
Par come nave ch'alia piaggia arriva.
Ed io attesi un poco s' io uili-^ì
Alcuna cosa nel nuo\o girone;
Poi mi rivolsi al mio Maestro, e dissi:
t
a prrgo.
e. Elgli iiinpcci 70, CM n-an lopra mai te
ll'itfinrU
caini cbfl Fuopivede^ chi
I ilici» Il DHU dw pil «da
Ilo 73 6 tirti mi* «., a ^i bxL
QicsU imuiilrB» otti' t tnrfnm il
4i P..CU, 0 ertcIlD Jilli noUe, •■« Soi^
T(i-7H. Jn(p(*HiiialKa, •lUp-
ea-CS, cmldnnf. (■rmi icbId.—
Btalt M B4alt pvifiri. ^wAÌ^-n fitii
Bri lotabunlur. S, JtaUiu. — mala.
CAIfTO MCmOtBTTIIIO*
T>o1oe odo Padre, di, quale oflhiBÌQBe
Si pvrga qui ael giro, dare seno? H
Se i pie si stanno, non stea tuo sermoBe.
Ed egli a me: L*amor del bene, eeeino
Di svo do^er, quiritta si ristora,
Qui si ribatte il mai tardato remo.
Ma perchè più aperto inlandi ancora,
Tolgi la mente a ne, e prenderai
Akmi buon ihitlo di nostra dimora.
Nò Creator, né creatora mai.
Cominciò ei, Igliiiol, in senni amore,
O natnrale o d* animo; e tn 1 sai.
Lo naturai Ai sempre senza errore;
Ma Taltro poote errar per malo obbietto,
O per troppo, o per poco di Tìgore.
Mentre ch*egK è ne* primi ben diletto^
E ne^ secondi sfc sIbsbo misnm.
Esser non po6 cagkm di mal diletto;
Ma quando al mal si torce, o con più cura,
O con men cbe non dee, corre nel bene,
Centra il Fattore adovra soa ftvttnra.
367
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Dtm§ tmUn «ti. n rtfiownMoto cke
MpW è fin* A WtlÌHÌflM dottrìiM !■•>
eS-Oa. O maimrmU • ^mtàmm m,
Soa» àm atto ^— oro; H —furoli ♦
r«iÌMli^cioè 4*niiB0. n Mlaralo^oka
è ^hBo mI futo oppgfiwo i W« a^
flOMij alla oooCra coaatnraaioBo , aoa
erra oiai. Qoallo d* animo, oiiia ai ra>
gioBO, eha dipeodo dal liboro Tolart,
p«è orrort m tro bmmIì: qModo li di-
rìgo d OMdo cIm n iBotlri aolto aparìa
di koM; qoaado trapawa il OMd* èri
fenroro con che debbooai amare lo aaaa
eraeto; «aando awMa dal farraav d»>
bito proponioml«airta A divani ok»
biota, oano aarobbo ai pavairti^ a^
aoM, al piiiaiii, alla palna, a
Dio.
f7-0a. Mentn wk'M è at.»
oaaato aoMr d' animo è folto W pfimi
beni, cioè a Dìo o alta firlà, a ala
nt'MeoMli, nai torrcai, ri ■■ii..yw,
nas oooadto t tomuM dri oowpaMvato, #
procado aoaoado ■ oroMo, aa*
SO. Btitr non ^mà m^ aaa
da catolo amoro iogw narri ìim aai
rana dilcttaaiana oolM\oto.
iae-IOl.oeaitjPÌ*ciir«t f.T%k
troppo noi boni dcHa torra ; o poaa Mila
vtrli 0 in Dio, cba aono i prioù beai.
lei. Coaira fl Ftit§r§ ca. Aliata,
in tal caoo, Im /ialfara, ra<«M,araaÌara
di Dio , opera eeaira Dio aaa laClaia,
parche a'alloatoM dall'ordÌMo ' "
Quinci comprender puoi, ch'esser conviene
Amor sementa in v
Ed'o
i' ogni viriate,
li operazioD clie merla pene.
ÀiRor del suo suggello volger viso.
Dall'odio proprio son le cose lule:
E perchè intender non si può diviso,
Né per sé slanle, alcuno esser dal primo,
Da quello odiare ogni affetto é decìso.
Rosta, se, dividendo, bene slìmo,
Ctie il mal cbe s' ama é dei prossimo, ed esso
Amor nasce in (re modi in voslro limo.
È ehi, per esser suo vicin soppresso,
Spera eccellenza, e sol per qucslo brama
Ch' el sia di sua grandezza in basso messo.
È chi podere, grazia, onore, e fama
Teme di perder perch' altri sormonii,
Onde s'attrista si, cbe il contraro amai
Ed è chi per ingiuria par eh' adonti
Si, che si fa della vendetta ghiotto;
E tal convien, che il mele altrui impronli.
Questo Lriforme amor quaggiù disotto
«
KH-105. Jmoritmenla il. Amori
pri»ci,ioni,rt.„d'.emvir.ù,™n.
4U. iiiMtlroIiiKO. ndl. t«iri
.Ubo.
d,l naf* allrvi d'.«>l vdio.
i OHM 08. Or ptrchi mai non può
K. Cotlr. < int. : ori ftnU ébb» «m
) 15-116. S f««. E cIÙ .«« io-
Hill» M •»« nbb»ll», ó<é, ièW Dli-
l-ellilo 1 Icrri . «Icllo.
liU di <|iloll't«trt in cui rUJtde, iv-
ne. prrct'oJlrì ttnKMlt. ciot,
lia» chi iBÌU \„ DMe •HlctUil* d'uBO-
ptr lo iDniliarti d' •Icuno m po1«e,
rs MOo Mt. dcnre, dall'oaù) proprio.
■«•]>(»Hni>«l;ir. H miiaiwt.
ioa-i H.B ptTcKt mMndrr et.: •
i20- il «iiitTùro ama, mmi r.l-
(nii d.^pr«.i.D..
121-122. chi pir iHfiwrim par
iliDla p<r lè ( divi» dall'iDL. pniQo ,
c&'*d«il> .■ chi f iBgi"™ ri«T«« pw
dilli pr1n.>c^ÌH.e,d. Dio, .v.ic.a
.:h. .'.«.D.I. irir..-(M-(to, .*id.-
anht, loDliUB, diirodiin II dell.
423. £ Idi . xoKu. — Mm-«*I<,
■timps («riDÌ n<lt. «. niDla it du»
titt, ilio nato uun d* lai Imllo.
ili ehi l'ottfM. Il Cotia iplcgi qutl-
Ui-ilS. JI«W.«.iirfB«''»-— ".
Vimpnmli scr thlrggia, etichi, S>-
•HHBi oroecd» con rtllo gÌDdliÌB, M
IW.tnY»™..* Ir. wrl..-»ii*«.
Diadi lolla. u'LiUi «xUopMli, ti»,
cb( MHDBo dnidcn nuli attitnii
.lgl»ip>rbl,d(|l'>ntid'igii« dagl'in-
CANTO DECIMOSETTIMO.
Si piange; or vo' che tu dell* altro intende.
Che corre al ben con ordine corrotto.
Ciascun confusamente un bene apprende,
Nel qual si quieti T animo, e desira:
Perchè di giugner lui ciascun contende.
Se lento amore in lui veder vi tira,
0 a lui acquistar, questa cornice,
Dopo giusto penter, ve ne martira.
Altro ben è che non fa 1* uom felice;
Non è felicità, non é la buona
Essenzia, d*ogni ben frutto e radice.
L' amor, eh* ad esso troppo s* abbandona,
Di sovr* a noi si piange per tre cerchi;
Ma come tripartito si ragiona,
Tacciolo, acciò che tu per te ne cerchi.
M9
i25
W
136
4tS, éeiV altro, adPtItra tmore.
•^ÌMUnd$, ta ititeoda.
426. €am oréin$ eorrotto^ tuMnclo
poco i MÌoii beni , troppo i tecondì ,
CMM m è dichitrato sopra nella nota
al Ttno 400.
427. Ci&teìm eanf%uament€ 9c.
Parla dal primo bene, dì cai Boezio
dica : Aaie, »l diximua, diverto trO'
miio tomamkir adipitei. Ett enim
WÈemiièmt komimtm veri boni naluro-
Mter éuortm ewpidiUu. — eonfuset'
■Mala, Boa disUatam«nte , o con cer-
tana di cofainone.
42t. odoiirm, • Io desidera (qne-
itoWae).
429. PareM . per Io che. — di giih
fmr M, di giungere a possedere qnel
beaa caafasamente appreso, si sforza.
4S6-482 Sé lento amore ee. Se Ta-
■ari yaatf a è pigro a volgersi a quel be-
ai a aii ae^ aistar'o ; ort ero : se amore tì
tira laalA a conoscerlo, o, conosciutolo,
ad eparara per acquistarlo, questo gi-
risi (ia di qaesta negligeoza abbiate
■fate il dabita pentimento in rila) re
ai db H gaatigo. Qui danqae è punita
Paccidia.
433-435. Miro he% è ec.: tì è on
altro bene che non fa l'uomo felioa, ad
esso non ò, come è Dio, il sommo bene.
— non è la buona JKiiensùi, d'ogni
ben frutto § radice, cioè, la bontè pri-
ma a snslanziale, premio ad origina
d'ogni altro bene, k quest'altro bona
comprende le cosa materiali, buone in sé
stesse, ma inabili a quietare l'anima
nostra, e sorgente di nostra rorina . sa
con cristiana moderazione non si asino.
459-437. L'amor eh' ad etio ee.
L'amore che ad esso bene, doò al
bene diverso dal bene sommo, si ab-
baoilona troppo, è punito ne'tre eer-
chj superiori, ove piangono coloro che
troppo amarono lo ricchezze, i cibi e la
bevande, e i carnali diletti.
458-139 Jfa re me «e.: ma come aia
ragionata questa triplice partizione ce.;
ossia, come dice il Costa : • Ma taccio la
ragioni per le quali coloro che troppo
si abbandonarono al detto amora aieno
ripartiti in tre cerchi, acciocché tu par
te slesso ti farcia ad investigarle. • —
Nell'avanzi niella gola, nella lussuria,
sì comprenJunu tutti i motivi di questo
amore eccessivo.
1^
BBL FOmGAXOMO
€Ainr# ]mcDi#iTAW«.
JUcMmM émirjlmmmt, tfmtm rirgaU Im malmm étW
fmthmt « il <<*«'• mrMrt» étmmmrw $ «mi «(Kp«Cili. Qmiméi
9iem torrtmdo alla $mUm ém Paett, « dm» mtmmmai mah «Un
fmrU
pmrfmmti Vmcmékm
et 9trtù €omtrmnm «f
pttH torrtmdo alla «alM ém PmU, « ém» w—rt m§h aUn neorémm» utmfit «* •«tu cwuna/iH «f
iBfV pteeato. VA^aiU éi Sm Ztmm ammmmtim tristi gami per Jtktm é, Uà ScmUi ,* « étttrm tmi ém
mdmt ttUMO mtcmiU utmfl dti mmti «fftni étKm mméim. fM» rfafo^ Dmtm r mtétrwmutm.
Posto avea fine al suo ragionamento
L* alto Dottore, ed attento gnanlava
Nella mia vista a' io parea contento.
Ed iOy cni nuova sete ancor Inigava,
Di foor taceva, e dentro dicea: Forse
Lo troppo dimandar, eh* io fo, gli grava.
Ma quel padre verace, che a* accorra
Del timido voler che non s'apriva,
Parlando, di parlare ardir mi porse.
Ond' io: Maestro, il mio veder s'avviva
Si nel tuo lume, eh* io discemo chiaro
Quanto la tua ra.^ion porti, o descriva:
Però ti prego, dolce Padre caro,
Che mi dimostri amore, a cui riduci
Ogni buono operare e il suo centrare.
Drizza, disse, ver me T acute luci
Dello intelletto, e ficti manifesto
L*error de' ciechi che si fanno duci.
L* animo, eh* è creato ad amar presto,
Ad ogni cosa é mobile che piace.
Tosto che dal piacere in allo è desto.
IO
tf
10
2. alto Dotiort, profondo nel suo
upor«.
5. Nella mia vista, negli occhi
ibmì. Gli occhi esprimono \ÌTamento gli
•litui dell' animo. — vista aignificn an-
Aaa$patto.
4. muova sete, nnova braaia. —
/Higova, •timolaTa.
0. gU grata, è a Ini molekto.
8. non t'aprirà, non si appalcaaTi.
9. Parlando, di parlare ee. Par-
lindo epli a me, Tolgvndiiroi nna pa-
rtU. mi porse ardire di parlare a Ini.
40 il mio teder, il mio inlellello,
h aùn ragiono.
4f . IMI tuo lume, nella Ina dol-
mento. — porti, o deseritm,
o dichiari.
ì 4. Che mi dimostri amara. CU
m'in»qfni che cosa é qneiramnrOy ti
qnale riduci ogni buono t malo mitim
re, siccome dianzi dicesti. Vedi Ài CtAlt
prec., Tersi 10U405.
47. /lefi. ti Ga, ti sari.
48. L'errar de' eieeU, ài «m-
gl'ignoianti, cioè, che Togliono farà
guida agli altri , e che inacgnant tgti
amore essere laudabil cosa.
49. presto, culla dispoaiàont , •
disposto.
20. è mobile, n mnoTOi o, è prtstt
a muoversi.
21 . Tosto eKe ee. Il Costa sm
4%. La liMi ragion^ il ìaa ragiona- s tthito che dal piacere è atiool
mt|t:
utto •
CANTO DEClMOTTAVa
a7i
Tostra apprensiva da esser verace
Tragga intenzione, e dentro a voi la spiega,
Si che r animo ad essa volger face.
E se, rivolto, in ver di lei si piega, tò
Quel piegare ò amor, quello è natora,
Che per piacer di nuovo in voi si lega.
Poi come il fuoco movesi in altura.
Per la sua forma, eh* è nata a salire
Là dove più in sua materia dura; 30
Cosi 1* animo preso entra iu disire.
Che è moto spiritale, e mai non posa
Fin che la cosa amata il fa gioire.
Or ti poote apparer quant* è nascosa
La verilade alia gente ch'avvera 36
Ciascuno amore in sé laudabil cosa ;
Perocché forse appar la sua roatera
Mfi
oo:
Tcair* ad aìenn atto.* Io ioteDderei:
éoatoebè è desto dal piacerà in mito,
«ieè praaeote, o che agisce sa lui. Ma
■M rimetto ai safj.
22-23. Vostra apprensiva, la to-
atra facullà di apprtrodeie, o iateilettira,
iragg§ inteuxùme da esser verace:
óoè, ritrae imm. gine dMtf obietto reale
/iilemxsoiit rliiaiiiano i filo»
le immagini o •imililudini delle
. Gode il Varchi dice iieirErcula-
melim virtù fantastira si riser'
te iwsmagini o similitudini delle
, le quali i filosi»^ ckusman ora
fpesie. ora ìwvmìììm.— dentro a mai
III spifega. Intendi: la niflie a%aott al-
l'anima, e la s\iluppa, tantoché lichia-
OU ratteoiiooe di li*i.
2S. B sa, rivolto, in ver di lei ti
piif ; e se r animo che si è rivoli» «
^•ella immagine, si piega «arso di lei,
tatt* in lei s'abbandona, ec.
26-27 . qurllo i natura, ee Qvello
«nere e natura, la qual natura lega
tèdi oaovo io «oi io %iriu «lei piaceie.
n prime legame che ranuuo ha c»l!a
oaiara, è l' essere d»»p4»i4u ad amare:
•1 aeeoóde e quando in alto %iene aa
amare, e la oaiura di nuM%o ra tale
aiiim«» SI uiiiM« — Sieet»me
atte eoo
«|li ka detto nel Cenln prfee«lrnte cIm
I amiiio è lcgat«i di naturale aoMire al
aaoMBo bene e alla prof»na enMsrrta-
tieae,percie dice ora che un altro Icf «■
wtiemio naturale delFabimo è V obietto
piacente. C però Che per piacer di
nuovo in voi si lega si potrebbe anco
spie];ar«: mivellauieute , di nmovo, li
forma, naM-e in voi, io virtù del piacere.
28 in altura, in alto.
29. Prr la sna forma, ee. Crede-
vano j'Ii aulicbi che il fuoco foeae natu-
ralmente nato a «alire , pefxwo^è n«a
sepevaoo che l'eria pe^aaae, e cIm cs-
Bendo speciliranieote pia grave della
fiamma , la spingesse olf in a«. La
forma i-oiigiunla alla materia prima co*
sIìiuìm» . serfuJo le scuole , le diYcne
natole dei airpi «peciali.
50. Là dove te.: cioè, aotto il cna-
cavn «lei nel» della luna. La rotan •&•
tjcliilà cie«li-\a che in caao foeae la aftra
eeOM'rvalnce del fuoco.
31 . preso, preso dal pìnccrt di ti-
cane «osa.
32 Che i moto tpiritvk: n fm\
desire non e un molo materiale , coma
quello del fuori» che sele, ma nn asola
spiriluale. e«Hi ebe Tanimo quasi ai trae
alla c«iM aiiiaU , e oon ei p«a lachè
non ha il |M>«H^limento di quella.
5^56 cA'orrera ecdMarfema,
amore r«M*re M*nipi e cuaa lodevvia.
57-5!) ptrorrhi forse et.: m^pa
rocche fot>e la uialena d'aaMre,aiaa,ta
naturai diftpo»iy ione ad antare,eaenpre
buwiia . Mia non e buono «gni aoMire cW
da qaella procede , cuaaa nao è boooa
37t DEL PT7EGATORIO
Sempr' esser buona; ma non ciascan segno
È buono, ancor che buona sia la cera.
Le tue parole e il mio seguace ingegno,
Risposi lui, m'hanno amor discoverto;
Ma ciò m' ha fatto di dubbiar più pregno :
Che s' amore è di fuori a noi offerto,
E 1' anima non va con altro piede,
Se dritto o torto va, non é suo merto.
Ed egli a me: Quanto ragion qui vede
Dir ti possMo; da indi in là t'aspetta
Pure a Beatrice, eh' è opra di fede.
Ogni forma sustanzial, cl^ setta
È da materia, ed è con lei unita,
Specifica virtude ha in sé colletta,
La qual senza operar non é sentita,
Né si dimostra ma che per effetto,
Come per verdi fronde in pianta vita.
Però, là onde vegna lo intelletto
40
45
60
65
ogni figura che t' imprime nella cera,
qaantanqoe la cera sia buona. Per ma-
tera, o wuUeria, d'amore, intende, al
modo delle scuole , la materia deter-
mimattiht oaaia amore in genere; e di
questo dice, che forse è sempre buono ;
ma non è sempre buona la forma de-
Ifmitnanto, ossia amore in specie.
40. il mio seguace ingegno, cioè yU
mente mia che atteolameote ha segui-
tato il tuo dire.
42. m'ha fatto di dubbiar piik
pregno : cioè, mi ha empiuta la monte
di maggiori dubbj.
43. s' amore ec: io l'amore nasce
in noi per effetto delle ctise piacenti che
SODO fuor di noi ; e se l' animo s'induce
•IP atto aolamenle moaso da questa ca-
gione | non ha merito alcuno nel bene
o nel male operato.
46-48 . Quanto ragion ec.: io ti pos-
to dichiarare quel taulo che la ragione
umana può dì&ceriicre inturno a questa
materia: rispetto a quello che la ra-
giona non può, t che per fede è da cre-
oeru, aspetta cne Beatrice lo ti dichiari.
(Di qui si può conoscere anche più chia-
rttMate cnt Beatrice è aimbolo della
ttolncia.ji
49. 0§ni forma 9uttanM,iai, cioè,
•gai aottania apirituale, ogni anima.-—
Forma sostanziale era modo di dire
delle scuole.
50. ed é con lei unita, l'anima no-
stra ha unitine con la materia, col cai^
pò, ma non identità : perciò dica dia è
setta, cioè distinta, da material ad è
unita colla materia.
54 . Specifica virtude hainsi eoi-
letta , cioè, contiene una rirtà che le è
speciale, partic«>lare. Questa epedaU
Vtrtò è, come dice Dante stesso nel Comr
v«o, Vapfidittt d' animo naturale.
52-5 ) . La qual senza operar ee.:
la qual virtù sperilica, essendo una sem-
plice dìsp«>6Ìzione virtuale, non può co-
noscersi né diniostraiVi se non per l'ef-
fetto attuale, come la vita in uua pianta
si manifeslu per le verdi fronde. — osa
che, fuorché, dal iirovenz. mai fve,
come altro volte •bbiauio notato.
55-56. Però, là onde vegna «e. Pe-
rò uomo non sa onde a noi venga lù in-
telletio, rintvIliiTcnza dei primi aaaiomi.
Diceil Gusla che il Gmdillac ha dimoatra-
to il primo, che questa intelligenza ha
origine dai sensi e dall'esperienza: ma
oggi ai tiene per molti che gli aaaioaii
sieno Teritè pure e primitive, cioè prò-
poaizioni evidenti per sé stesse. Ma so
ciò vedano i Glueon , che umi tOAO del
mio proposito tali questioni.
CANTO DECniOTTAVO.
Delle prime notizie» uomo Don sape,
E de* primi appetibili l' affetto,
Che sono in voi, si come studio in ape
Di far lo mèle; e questa prima voglia
Merto di lode o di biasmo non cape.
Or, perché a questa ogni altra si raccoglia,
Innata v*è la virtù che consiglia,
E dell* assenso de* tener la soglia.
Quest* è il principio là onde si piglia
Cagion di meritare in voi, secondo
Che buoni e rei amori accoglie e viglia.
Color che ragionando andare al fondo,
S*accorser d*e3ta innata libertate;
Però moralità lasciare al mondo.
Onde pognam che di necessitale
373
60
•5
10
57-58. Bde'orimi appetibili te. E
l'tiDor* ài qaelU rote che prìmtcri-
iDMto l'oomo appetite* j le quali tooe
ìd Doif come è nelrtp« lo tiùdio, l'io-
dioaxiooe, a fabbricare il mèle. 1 f»ri-
M< apptiiltUi aooo, per cs., la propria
eonacrTuioDe , il piacere , la felicità.
59>e0. f q%àeita prima taglia ec,:
e qMfli primi appetiti , e naturali teo-
<l«ose, non aon rapaci per aè atctsi né
dà lode, né di biaumo.
€1-63. Or perchè a quota ee. Il
CfOatt spiega coti r'* Ora afiiiicbè colli
dctU inclinazione, o voglia, ogni altra
voglia ti accompa(»ni, \i è data fino dal
Toftro naccimento tnrtù (la ragione),
che cooaigtia, e cbe dee tener la ioglim
dell' ataontire , cioè, che deve ttaie in
f^ardia,,accioccbè n^n arcontentiata in-
debitamente. • Il BiRgìoli poi, dietro il
Daniello e il Vmlurì, costruisce e iutar>
prcCa in quest'altro modo: « Ora, è in
voi innata la virtù che consiglia, cioè la
ragione, affinchè ogni altra voglia si
raccoglia a questa vii tu, e questa dee
tenere la chiamo dell'assenso. • Se deTO
dire il mio parere, né l'una né l'altra
di quatte iutcrpretozioni mi appaga:
cbè della prima non so che sento si ri-
«avi : la seconda suppone troppa tortnra
delrordine n.iturale nelle parole del
lesto, lo credo che dando al perM
il tento , cbe dì frequente ha , di ptr
guanto o atrtgnacké, sia piano ogni
co^a. £d ceco qui: Ora, avvegnaché,
sebbene, a questa prtma voglia, cioè
primitiva. i%$tintiva, ti raecogliano
intorno, si riportino, tutta le altre voglia
e appetiti speciali , che possono aitar
buoni e rei, è innata, naturaia,in vm la
virin che consiglia la aeelta, doè la ra-
gione, la quale dee custodire la porla dal-
l'attento, aprendola ai buoni deiidariy
cbiodendola ai pravi Oppure,8etivnola,
ti ritenga il perchè come cantala, aqni*
valente a poicM, e ti abbia il rocoogUm
' non eome eong , ma rome india, nraa. di
raeeogliarB per raeeogliere, il qnala
tcarobio di coniug. ti oaaerva ti ajpaiw
negli antichi Nclron modo o nall'illfo
ti avi è un aento f{lo4tn di quelli vani.
64-66. Queit'è il principio ce.
Questa facollè di seguire e di rinlnnara
liberamente l'appetito {sub U 9rU i|p-
petHu» tuus) è il principio, là OfMÌ0,
da cui si parte la cagiona del vaaira
meritare, secondo che questo libara va-
lere accoglie i baoni amorì, a tigliép
tepira, riffelta, i rei.
67 Color eh* ragionando amimf
al fondo: i filoMifi che penetrarono ai-
denirti la naturi delle eote.
69 moralità, morili dottrina, ìa-
tegnaineoti e regole intomo li eoetniM|
le quali sarebbero alata vana
principio c«'i t» della liberlè dal Talari.
70-72 Onde fw^noni.* onda auffM-
•to rhe ogni ip|»etito lorgeiaa, 81
vt>«ae, in voi per fona di neeaaailb. Vii
liete tempra in potere di contenerla.
874
DEL nniGATORIO
Surga ogni amor che dentro a voi ^ accende,
Di ritenerlo è in voi la potef^tale.
La nobile virtù Beatrice intende
Per lo libero arbitrio, e però guarda
Che r abbi a mente, s' a parlar ten prende.
La Iona, quasi a meiza notte tarda,
Facea le stelle a noi parer più rade,
Fatta com'on secchione che tot t'arda;
E correa contra 1 del, per quelle strade
Che il Sole infiamma allor che quel da Roma
Tra* Sardi e* Corsi il vede quando cade;
E queir ombra gentil, per cui si noma
Pietola più che villa Mantovana,
Del mio carcar diposto avea la soma.
Perch* io, che la ragione aperta e piana
Sovra le mie questioni avea ricolta,
Stava oom* uom che sonnolento vana.
Ma questa sonnoleiiza mi fu tolta
s»
7S-74. U «oMb 9irtà. BcetrÌM
mI momt di moèih9ÌHk 0 li-
arUlrio.
74-77. Ut Iwmm, tr.; cioè, la Imi
cà« tardò a levarei ^oan a nana oittta,
parcbè qvaat'era ta arata arra dal pla-
■Imho ; a gik piò d' aoa volta abbiamo
■otaio dia la lana dopo il ano piano ri-
tarda agni aara di qoaai no' ora il ana
Itfani. Si cIm dnqoa giorni dono il
plemlnnio naU'oqniiiofio, ella ti aitava
^•MÌ CBH|aa ore dono il tramtfnlo dd
•ola, càa Tnol dire arca no'ora prima
di niiiia notte. Sennoocbe e da avrcr-
lira abe Dante è noli' craitfero antar-
tien, dova qaando tramonta il
mI nostro:
li
la Iona
ffuméo ^ tramonta. Coei a
MHM feniì« ad aaaere arca un'ora
prima di metzo gionio ; a in Italia^ 8a>
U «stama go<>gr di Dante , arra
di aola.—Fneas le «le/la « mai
pmrer piii rmde, pardM oaenranda ani
■M Biaifior lame le pia mionia, non
ri ?adcana cbe qnelle di maggior gra»>
fin qna e più là.
7t. Fatta 9om' «m «eecMoN «e.
■e an seoefai«»ne, perchè la luna
aalaata moatrava una delle ana
parli raleadt a Tahra aeama, coma nt
di rana cbe ba il fonda a
gniaa di «n aniafcrin , a ba
paiia anperiore.^-dke fvlto m
arroventato. — Varj taati banao FtMa
eom'ffn irheggùm ek§ tmttn mrém: a
per venti l' ardere converrebbe ae^ia
allo eeheggitme; ma per carta anan-
glianza culla Cgnra deUa lana tam
meglio il geeehitme.
79-81 entra 'Icid. contra l^appa-
rente corso dd ricln , da ponente vctm
levante. — per quetù ttrade, aoè, per
lo todiaco, vera» il fine dd legno daMa
Bcorpitme, nel quale ai trova il aole al-
lora rhr ^viel da l^oma , eioa, gli abi-
tttun di R<Mna lo veggono tramoaina
io quella parie del dclo cba è Irt U
Corsìra e la Sanlegna.
1(3. Pietola Pircolo loogn dagfi
antichi chiamato Andei , ore naeqat
Virgilio. — §i noma pie che tilìaMta^
toeana, è più famosa che la dlU di
liaotova.
84 . Del mio earemr, del carica die
lo gli a>e«a imp(«to di soddisfare alla
mie interrogaiioni. — dipvtUt tfaes li
ioma, erasi «gravato col sodisCanai.
86. «re« rirolta, aveva cooipreai,
riposta nella menta.
87 eana (da raiuiraì, lancggìa ,
vaga incerto di pensiero in pcssiero.
Vedi sotto terso 143.
CAKTO DECIMOTTATO. 375
Siibilanìente da gente, che dopo
Le nostre spalle a noi era già volta. 90
E qaale Ismeno già rìde ed Asopo
Lungo di sé dì notte fona e calca ,
Por che i Teban di Bacco aresser uopo;
Tale per quel giron suo passo falca,
Per quel ch'io vidi, di color, venendo, 95
Cui buon volere e giunto amor cavalca.
Tosto fur sovra noi, perchè correndo
Si movea tolta quella torba magna;
E duo dinanzi gridavan piangendo:
Maria corse con fretta alla montagna; 100
E Cesare, per sug^ugare Ilerda,
Punse Marsilia, e poi eorse in Ispagna.
Ratto, ratto, che il tempo non si perda
Per poco amor, gridavan gli altri appresso ;
Che studio di ben fer grazia rinverda. 106
0 gente, in cui fervore acuto adesso
Ricompie forse negligenza e indugio
Da voi per tepidezza in ben far messo^
Questi che vive (e certo io non vi bugio)
«MVM il («pagn«.0T«, iop^rati Afrtni*,
Petreio ed un fi^liauio di Pompeo, soc-
giflfrè la alta di ll«rda (oggi della Lan-
d») . Non potaa il Puela tra i prvfenaaaa-
fj addaroa «no pie iotignedi proolaita
e initaiicabilitfc nelle nioadaiie farcid>«
Anche Nnttro Signore per inaagMi* i»
prudenia spiritoale ai saoi f«gaaei| aJ*
dotte in esrmpio Tarle fina d'oo todr»
f aHorp per fWni degli iibìcì d»po la airat-
tn che il padrooe gli avea già '
Tedi 8. Lara, eap. XVI.
403 Hallo, ratto, ek$ §9,
preitn, che aeciiicckè 9t.
404. Per paco amor, fot
datia, per accidia.
4eS Ckeitwàio oa.tAaìa
Paiii(»re,di far del kene, allidi peaii
riwoarda {k» riaiooréirffi, rinvar
Caccia rivivere, ia noi lo grana divÌMI.
406. atuUt, ioteoao, ardeote.
40t metto ti rireruco a inéa%ia.
4ev. non ai àsgfo. ae« vi dito b«-
già. Bagiaro è fnrara, faro «• amarne
S*è detto ^indi Aufts oao pOT*^,
dÌ8Cf*rao, che è rooto della cott «bo
qocllo si afferma.
89-90 dopo, dietro. -— a noi i
0ià aoila, era incamminata veraodi noi.
•4. lfOMiioe<fJ«opoee. Fiumi della
Beotia, lango i <|aali gran toi ba di grate,
porforn propino Boero, nome fotelare
dìTvko a della Beotia tutta, correva eoa
facoilo iceiaa iovorando il nome di tari.
92. tauif 0 ài té, longo le loro ri-
aa, ^ fairia^ foriuao diacorrìmeolo.
94 -f6 TaU ptr quel giron oc. Co*
air. • int.: Tal furia e ealca, par f«ol
eh'ia oidi, di color (di accnlioai), cmi
èmam aaiàra § gimtto amor cavalca
^apr«M|, /We«, venm^ooilannatra voi-
Ut tflopoaao por 4|oel girone Falcare ii
potaa, ««dare come il eevallo che Irel-
ttodo deaeri vo eolle gambe doventi ooa
falce. Paragona Dante qnelle anioM •
Usti cavalli an aovalca o aprooa il f<»-
ata ama^a.
400 Maria ae. Intendi: Maria Ver-
gi»o eorao a viaitare S. Eliaabctla eoo
aoBma oeleritl per luoghi montaeai.
404-409 B Cctare te. E Ceaart
eoo tHVHBa eelerita part.toai da BoiM
andò a Maraiglìa, e, qorlla cinta d'aaoo*
dio (qoaalo è il ai ^o onde la p«Me),
376
DEL PUBGÀTORIO
Vuole andar su, purché il Sol ne riluca;
Però ne dite ond' è presso il pertugio.
Parole fbron queste del mio Duca:
Ed un di quegli spirti disse: Vieni
Diretr'a noi, che troverai la buca.
Noi Siam di voglia a moverci sì pieni,
Che ristar non potem; però perdona,
Se villania nostra giustizia tieni.
r fui Abate in San Zeno a Verona,
Sotto lo imperio del buon Barbarossa ,
Di cui dolente ancor Melan ragiona.
E tale ha già T un pie dentro la fossa,
Che tosto piangerà quel monistero,
E tristo Ga d* avervi avuta possa;
Perchè suo figlio, mal del corpo intero,
E della mente peggio, e che mal nacque,
Ha posto in luogo .di suo pastor vero.
Io non so se più disse, o s' ei si tacque,
Tant* era già di là da noi trascorso ;
Ma questo inlesi, e ritener mi piacque.
E quei, che m'era ad ogni uopo soccorso,
Disse : Volgiti in qua, vedine due
Air accidia venir dando di morso.
ilO
ili
i30
440. purché il Sol ne riluca. Co-
me il sole torni ad illumioarci.
444. ond'è, da qual parte. — il
rrlugio, la fenditura del monte, ot'ò
leale per salire.
444. to buca, Papertara per eoi
ai fate.
447. Se villania nottra giuttl-
%ia Heni: se quello che faonarao ae-
eondo il dover nostro, tu lo reputi
4iS. r fui Abate, Dicono che que-
sti tt chiaroosse Don Alberto , e fosse
uomo costumato, ma, come dice il Lan-
cilo, molto rimesso. Il Pelli però ci fa
aapere che un Alberto fu abate della
badia di S. Zeno io Verona ai tempi di
Federigo II, e non del Barbaroaaa,
■'tempi del quale trotasi abate un
Gherardo,
449. Barbaroeta. Federico I, cosi
clùtmato. Avrei voluto prender quel-
l'aggiiinto di buono, nel aenso che tal-
Tolta ha preaao i Latini , di prode, di
téhroto; mt Tedato chi perla, ni
par più veriaimilo che aia detto ptf
ironia.
420. dolente ancor ec.: doleate
ancora per i mali che Federieo le recò,
venrlicandosi della resisteota che quei
bravi cittadini gli oppoeero.
\2\. E tale ha già tun pie ec. In-
tendi Alberto della Scala signore di Ve-
rona , già vci^chio e preaso a morte.
Uori nel 4301.
424. Perchè iuo tiglio oc, Perahè
ha posto in luogo del vero abate dì
8. 2eno un suo ligliuolo mal intoro del
corpo, cioè sltirpio e gobbo dd corpo,
e più storto ancora dell' animo, e oa>
stardo. Questa violenta intmtiooe av-
venne nel 1292, quando Alberto eia
capitano del popolo, e P intnuo abate
si chiamava Giuseppe.
425. che mal nacque, nato illegii-
timanicnte.
432. All' accidia venir ee,: Tenir
dando di morso all'accidia, cioè, mop>
deodo o trafiggendo con eaempj a pro-
posito la ignava pusiooe dell' toctdit.
CANTO DECIMOTTAYO. 377
Diretro a tatti dicean: Prima (Vie
Morta la gente, a cui il mar s* aperse.
Che vedesse Giordan le redo sue. i35
E quella, che l'affanno non sofferse
Fino alla fine col figliuol d' Anchise,
Sé stessa a vita senza gloria offerse.
Poi quando fur da noi tanto divise
Queir ombre, che veder più non potersi, '140
Nuovo pensier dentro da me si mise,
Del qual più altri nacquero e diversi:
E tanto d* uno in altro vaneggiai,
Che gli occhi per vaghezza ricopersi,
E il pensamento in sogno trasmutai. i45
433-434. Prima fue Morta te. La io Sicilia eoo Aeerte. Vedi Virgilio nel
^tolc ebrea, a coi il filar Bono s' apar- V dell' Bneid$.
•e al paaaa^fio, fa tatta per la saa co- 144. Cktglioediipervagheisaee.
dardia e deieiione d'animo sterminata, ehe per taghexxa. cioè, per qaeato vi-
prima die la Palestina, coi il Giordano gare di pensiero in pensiero, non li^
irriga, Tedease i snoi eredi, cioè gli sandosi più la mente in alcuno, i miai
Ebrei alesai, destinati da Dio poaaeaaori oeehi^ mancando a poco a poco V attÌTi-
di qoella terra. tè deli' anima, si coinaero.
456. £ fvelta. ehe l'affanno non ÀÀH. Sii pentamenio ineognoee.
Boferte, Intende di quei Troiani con- filaraTigliaaadeacriiiooadeloomesìpaa-
dotli da Enea, che attediati dalle fati- si ordinariamente dalla vigilia al i
cba del riaggio si rimasero aenxa gloria e dal pensare al sognare 1
CAlVrO DECIHOIVOIVO.
Si étteriM ta imùttHosm mùiomt tàt po€o primtm dtlt'tttm s'offrt lUe ÀUghkH tkt
i Putti sul fiMNiio giroM, </oM te «NMM iiattudo « U Vito rivoU» Ma Urna pimtgmn U
ééWJmmrUki. S'avviitgomo m Jdrimmo F di Cm*a FUteki, tk$ mUt domumdt ééVM^
tkUrt ritfondé.
Neir ora che non può il calor diurno
Intepidar più il freddo della luna,
Vinto da Terra o talor da Saturno;
Quando ì geomanti lor maggior fortuna
4 -3. NeH'ora ee. Int. : nell' ultima V orinonte. È nolo del reato che il mag-
«ra dolla notte, quando il calore lasciata gior freddo non si prora a menanolla.
dal sole in terra e nel!' atmiitfera, tinto ma un'ora circa prima del levar dei
dalla naturale frif^idezza della Terra a di aula.
Saturno, non ha più forza d' intepidmr^ 4. Quando % geomanii. l geomtaCi
d'intiepidire, •/ freddo della l«HM,cioè, (dal gr. yix terra, e /Mcvrif indoiinol.
della notte. Era opinione degli antichi auperstiiioai indovini , preaumerano di
astrologi che Saturno trovandoai nel- leggera il futuro nella figura da' corpi
l'emisiciio notturno apportasse gran calcali e nelle puniaggiatura che alla
freddo. Dice talor da Satwno, perchè cieca facevano nell'arena eolla punta
non sempre questo pianeta trovati sul- di sna verga. Sa la diapoaisioaa dai
3fZ8 ^^^^ POEGATOftia
Veg^no io orienle^ iananzì i^* albt,
Snrgar per via cha poco te sta bmoa;
Mi venne ia sogno tua femmina balba.
Con gli occhi guerci» e sovra i pie distorta ,
Goa to man moodie, e di colore scialba.
Io la mirava ; e^ come il Sol conforta
Le fredde membra cbe la notte aggrava^
Coaìi lo 4g«ardo mie le iacea scerta
La lingua, e poscia tolta la drìxiava
In poco d' ora, a lo saurrito volto,
Com' afldor vooU om le colorava.
Poi eh' ella avea ii parlar cosi disdolta.
Cominciava a caotar si, che con peoa
Da lei avrei mio intento rivoUo.
Io son, cantava, io son dolce sirena.
Che i marinari in mezzo al mar dismago;
Tanto son di piacere a sentir piena.
40
i$
fO
paali legaati loaiìgKam q<— Hi èdh
stelle ehe compongsao il Sue del Mfso
<Ì6ll' AqMrio e il prtnrm o dei Peiri, la
dùaflia^eao il aegwo di4le ■eggier for-
teae. Il Poeta, per ttgoilKare <?•• aiMiTa
forma Tura che precede il giome,diee :
Era l'ora che i geomanti veggono in
cielo la lur maggior fortuna, cioè, che
apparivano sopra INirizzunte l'Aquario
tutto, e parte dei Peaci inmediataoMiila
precedenti l'Ariete ; che e ({uanto dire :
ert TÌcmo il naacere del sole ^ poiehè
il Poeta facera il ano TÌaggto, eoa' è
detto più Tolte, mi-ntre il sole era in
Ariete.
6. Surger per via ehe poco le ita
bruma t alzarsi suU'oriizoiite da quella
parte del cielo che per poeo rtmaB*
oacara ad eesa fortuna, pmcké i raggi
del sole che nasce di là la rischiarano.
7. balbo, balbuziente.
a. teimlbat ibiaBcala, di eolore co-
BM di OMirto.
40. §, Còma U Sol eonfortm: a h
qoella guisa che il sole ravviva eoi aue
attor» M membra ■■tirisEit» dal freddo
dtlb MUa, eoai il mie agnardo ec. la
mmàa UmLué bnrtt. Tee eUeea, e
dw àmen WUa a sedoeenla aelt» il
mmréè ééV «um, è aigmfieato il f^ba
kw, la falicìlà ab* ai npooe «alle mw
I, MI pitcari della g*to a di Va*
die «ilia éarpi ia aè alai»,
l'apprensione, e il corrotta ■oalregia»
disio fa deaiderabyi aMto. Vedi aotta
ti vera» 58.
42. eeorta, agile a aptdita, di btiU
bofiente che era.
43. tutta la drixxetva, le drìnaTa
la persona , che dianzi era aoTra i pie
distorta.
4 4 . • io aaiarrtlo rof to, doè, adal.
bOf bianco, quel di chi è preao da smar-
naieati»ada peare.
45. Com'afiwr uu9Ì:tmk^ to ffaeea
di qnd mlore che tanto interesaa P aoio-
re. Color d'amore, è certo col«»r del>
cato che pende al pallido. Nella l'ifa
Nuova: • Avvenne che questa donna
ai facea d' aa coler pallido , come
d' aoMire. s
48. intentn, attenzione.
49. fireaa. Le Sireae, aecoado i
poeti, aoto abitatnei Ari mare: bellia-
aiaM femmine dal meno in sa , a ad
reato mnetruoai peaci, con false lana-
gbe alleltaoo i marinari, gli addurwaa
tato, a pà gli uccidono.
20. dfwiago, dbrio , fo asdr Ad
vera catamine.
21 . Taalo eoa di piacere te. Coalr. :
l«Mlo aaa jMtna dà ptorerr. tanta atea
piaaavola, a emlir, a anilinai , t d»
mi
CUfTO DECIMONOrrO.
379
Io ¥ilii UliflBe del sqo cammin vtgo
Al canto mio; e qatl roeco s* ausa
Rado seo parte, si tatto i' appago.
Ancor non era soa bocca richiasa, n
Quando una donna apparve santa e presta
Lunghesso ne per for colei confusa.
0 Virgiiiò, TirgiHo, chi é questa?
Fieramente dicea : ed ei veniva,
Con gli occhi fitti pure in quella onesta. SO
L' altra prendeva, e dinanzi 1* aprfra
Fendendo i drappi, e mostravami il ventre:
Quel mi svegliò col puzzo che n' usciva,
r volsi gli occhi; e il buon Virgilio: Almen tre
Yod f ho messe, dicea : sorgi e vieni, 35
Troviam la porta per la qoal tu entro.
Su mi levai, e tatti eran già pieni
Detratto di'i giron del sacro monte,
E andavam col Sol nuovo alle reni.
Seguendo lui , portava la mia fronte 40
Lanilino , pensano che ^t Virgilio che
preo<leTa raltra; e fone torna mef^o
COSI Ve<ti sotto la nota al ▼. SO, e ri-
cordati l'idea rappresentata da Vii^lio.
32 Fendendo i drappi ee., Btrao>
ciaodole ndl' indignazione le vesti iUa
loee della verità . al subentrare della
rajjioae svanisce il prest gio dei seov,
e il vino comparisce nella soa vera de-
furmità.
31-55. fvoM flioeeki. Int. ren»
Virgilio, com'è nstnrale ch*ei fiaceaii
dopo svegliato. — Jlmen tre Voci «e.,
cioè, slmeno per tre volte ti ho chia-
mato. 11 testo Burtulin. porta noa ¥••
riante assai notabile di questo ternarie,
leggendorisi cosi : lo volsi §tt aedi
ed hwon «Mesfro, e mentre Vociò eomt
dieetee: eurgi e vieni; TVovioi tm
portm per la qua! Cu entros Smmih^
vai, ee.
86. Altre edts. V aperto, fmr io
guai, cioè l'apertnra.
37. ermi §ià pioni te.: i protà dal
aacro mtmte erano illnminata dd aelt
giè alto.
89. oHe rmlrpreaegiiivaoo il viaf*
gio da levante a ponente; e perciò è
chiaro che il sole P averaoe dietro U
spalle.
23. !• tolH UUiSO te. Uliase. se-
i peoAj per D<»n essere sedotto
éoà cMle Mie sirene, si fece torare
c«« cera le orerchie, e legare all' albero
Arila mano: donane, o qui il Pofta fa
periva la sirena da mentognera, o per
le aireaa intendendo la v< luttè, allnde.
cmne Seo il Lombardi, alle Insinglie di
Giret,^lle qnaK Ulisse fu vinto e t*>
mite per pia d'un anno oeiramoroao
Uccie. — «Bimnlii vago, navigaxione
errante qna e là . viag'tio senta ceiie
twiae. — La Ics voUi, che è del
B^, del Viv., de' 4 C«d PaUv., e
d' aluì , aà è piaduts pie della eom.
trmaot sagaWa da piò d'nno.
23. s'ama, st addomestica.
28. «ma dotuia. Forse questa doHia
e la aanta Verità amira agli nomini , e
•caiea di falsità e di lusinga Pnè an-
eli'asacr la grasia ìlInBunante, la solita
LflKÌa.
27. ÌAÈmghetto, appresso, vicìae.
28-29. O Virgilio oe. Son parole
Mia SanU Donna. — fieramente, eoa
ferie risentimento. — ed ei, VirgiKe.
88 fmre , sempre, sema pnale r^
moverii ; o anche, solamente.
81. JL'affra er.: la donna onesta
prenfleva V altra. Alcuni , fra' quali il
380
DEL PURGàTOBIO
Come colui che l* ha di pensier carca,
Che fa di sé on mezzo arco di ponte;
Quand* io udi': Venite, qui si varca:
Parlare in modo soave e benigno,
Qiial non si sente in questa mortai marca.
Con r ale aperte che parean di cigno,
Volseci in su colui che si parlonne,
Tra i duo pareti del duro macigno.
Mosse le penne poi e ventilonne.
Qui lugerU affermando esser beati,
Ch* avran dì consolar V anime donne.
Che hai^ che pure in ver la terra guati?
La Guida mia incominciò a dirmi,
Poco ambedue dall* Angel sormontati.
Ed io: Con tanta suspizion fa irmi
Novella vision ch*a sé mi piega.
Si ch* io non posso dal pensar partirmi.
Vedesti, disse, queir antica strega.
Che sola sovra noi omai si piagne?
Vedesti come V uom da lei si slega ?
45
60
bi
60
42. Che fa di iè ee., cioè, che va
colla persona alquanto curvata.
45. in questa mortai marea, in
questa regione de' mortali: marea per
regione è usato da molti anticlii.
46-48 Con l'ale aperte... Voi-
ieei in tu ee. Aprendo le ali e drizzan-
dole dov' era la scala, colui che si par-
lonne, l'Angelo, volteei in tu, ci av-
viò so , Ira i duo pareli, tra le duo
sponde del duro sasso.
40. e ventilonne, e d fece vento.
Con questo ventilare dell'Angelo vien
cancellato nella fronte del Poeta il
quarto P, cioè il peccato dell'accidia.
50. Qui lugent ec. Arfoiinando es-
iire beali coloro che non si stanno ne-
ghittosi negli a[p, e indifferenti per le
cose dell'anima; ma s'aifatirano conti-
nui per l'eterna salute . e piangono le
miserie proprie, e la cecità d'un mondo
pazzo che ride.
51. di consolar l'anime donne
che on giorno avranno le anime loro gioco delia quale ne' gironi ehe
donne, domine, padrone, pusaedilrici, sopra il nostro capo, e ai qnali ora an-
di eontolar, di consolazinoe. È tradotta dreroo, piangono gli avari , i goloii , i
la amtenza di Cristo ; Bea« ^ui /u^enl; lussarìoai, i quali purgano appanto il
fuoniam ipti eonsvlafmnlur. folto bene da loro amato e tefuito.
ì>2. che pure ec: che contiou a CO. come l'uom da lei ti ileget. So
guardare in terra, mentre le Duove
se che si preparano ti dovrebbero far
fretta.
54. Poco ambedue oc. SottiatMi-
di : e.<tendo. Cioè, saliti poco al di
pra dell'Angelo.
55 Con tanta tutpixion , così
spettoso e sospeso. Il Cod. Pogg. «o-
tp&uion.
56. Novella, di fresco avuta. — ms
piega, mi trae a sé.
57. dal pensar partirmi, cioè, ri-
trarmì dal pensare ad essa visione.
58. Vedesti... quell antica flfv-
ga ec- Arceima alla hi ulta donna ve-
duta da lui poc' anzi in sogno, <• che è
figura , come qui dice , dei tre paecati
capitali di che resta a parlare, avarìzia
fola e lussuria. Virgilio prova qni ai-
Alunno quel che già più volte gii ha
detto, eh' eì vede tutto ciò che si pina
nella mente di lui.
50. Che tota tovra noi ee. Par ca-
CANTO DECl&IONOrrO.
Bastiti, e batti a terra le calcagno,
Gli occhi rivolgi al logoro, che gira
Lo rege eterno con le rote magne.
Qnale il falcon che prima a' pie si mira,
Indi si volge al grido, e si protende,
Per lo disio del pasto che là il tira;
Tal mi fec' io, e tal, qaanto si fende
I^ roccia per dar via a chi va suso.
N'andai infìn dove il cerchiar si prende.
Com' io nel qointo giro Ini dischiuso, (*)
Vidi gente per esso che piangea,
Giacendo a terra tutta volta in gìuso.
AdhasU pavimento anima mea,
Sentia dir lor con si alti sospiri.
Che la parola appena s' intendea.
0 eletti di Dio, gli cui sofTriri
E giustizia e speranza fan men dori ,
Drizzate noi verso gli alti satiri.
Se voi venite dal giacer sicuri.
381
65
75
wtm ■kf*, M M ]ib«rt , come ti i TÌsto,
per l»ilMÌo della Mpienza e per la gra-
na, cIm fliana trelano la turpitadiua e
ì daaai.
ei. Bttia te. T\ basti aver cii
Tcdulo, a penta ora ad affrettare il paa-
to, f kalki a Urrà le rairagne,
€2-e3. CU occhi ritolgi ee. Ri-
v«lgi gli occhi air iovito che Dio ti fa
■Malraodoli le bclK-zze delle caletti tfa-
rt dM iotomo egli ti gira. Il logoro è
^«d rìchiaiiio fvUo di penne a m«>do di
■■' ala, cao che il fiilcooiere tuule ri-
chiaotara il falcime. Dio , come altrove
M dieta, collo tpeltacolu sorprendente
dei deli richiama continuo m allo la
Mente e il caer oottro dalla basta a tor-
Ma terra.
54 Quale il falcon ee. Quatta ti-
aHitudine cvrritponde alia metafurìca
parala logoro «tata ne' precedenti ver-
ai. Il mirarti ai piedi prima di proten-
étni è atto oaturale del falco.
65. ei grido. Sultinteodi del falco-
■iere.— ft protende, ti tporge , o ti la
•vasti.
67-6S. e lai, e co^^ fatto.coti diritto,
a pronto. — quanUo ti fende, per tutto
«•elio tpaiio , che é tra le due tponda
étW incavato aoole.
69. in/in dove il eerchiar ti pren-
de, cioè, fin dove si coraincia il moto lo
carchio: all' opp(«to di quello cha fa-
ceto taiendo, cb' era per linea ratta :
il che vaol dire tino alla eomiea , al
ripiano.
70. fui ditehiuto, fai all'aperto,
parche talcodo era stalo serrato tra la
sponde del matso.
f ) Quinto girone.
73. A Ihmtit ee., v. del talmo 418.
Con quetle perule confcaeano quella ani*
me l' adesione che ebbero alla coaa far*
rene, alle rircliezz<>.
76 to/Jrin.... taliH. GÌ' iofiniU
de' verbi, urcmrMovi l'articolo, furono
dagli antichi ridotti a numi , non solo
per il ting. rha t* usa tuttora, nu ancha
per il plur.
77. E giuslisia e tperan%a. Int.:
i cui eoffriri (patimenti) riitcooo ma-
no aspri a supportare nel coosidenra
che lete e la giustixia delle vostra paaa
ed il premio che io cielo atpettato.
78. gli alti taliri, la alta scala.
79. Se voi teniU ce. Son la parola
che risptinde uno spiritai alle paròla di
Virgilio. Sa voi qni venite limrri dalia
pena cha qui ti toffre, cioè dallo altra
volti in gin ce.
ut
XBL PUEGATOftlO
E vo!ete trorar la via più tosto,
Le vostre de^re sìen sempre di lorL
Cosi pregò il Poeta, e si risposto
Poco dinanzi a noi ne fn ; per eh* lo
Nel parlare avvisai I* altro nascosto;
E volsi gli occhi allora al Signor mio:
Ond* etii m' a^eenti ooo lieto cenno
Ciò che chiedea la vista del disio.
Poi eh* io potei di me fare a mio senno,
Trassimi sopra quella creatura.
Le coi piirole pria notar mi fenno,
Dicendo: Spirto, in coi pianger matura
Quel, sanza il quale a Dio tornar non poossi,
Sosia an poco per me toa maggior cara.
Chi fosti, e perché vòlti avete i dossi
Al su, mi di , e se vuoi eh* io t* impetri
Cosa di là ond' io vivendo mossi.
Ed egli a me: Perchè i nostri diretri
90
^
8t . Le vottre dutre ee. Vaol dire :
teaetovi tempre ■ destra: il che facendo
avreblKro aTuto srmpre a dntra l'eRler-
Do del montr. — di furi, per ài fòri,
scambialo, come spesso, l'o in ss.
a4 . Nei portare avtisai l'mitrm no»
itOSto, Ecco come spirgs quettto l«o^
il Costa : • i'tUtro noicotto : cioè, Tal-
tro pi-nsiero n•^enstu, non i^presao eoo
parole. Colui che risponde a Virgilio
nostra e> Ile sue pan>le di sapore che
t due Poeti non erano per purgare ivi
il peccato dell' avarizia , ma dà ladizio
di credere (e questo è il pensiero na-
tcosto) che Dante fosse uno spirite
•ciolte dal corjio. • Ma oueata spiega-
fìone, che è pur di tutti i coineNiatorì,
è vuota di eoni'ettn , p«*rchè eei tamente
h> api ito rfc«' giaceva, eviiie s«ipra ai
dice, tutto volto a terra, e aderente al
ptvim«*nto, uon poteva vedere la nuova
cesa d' un viro in quel luogo, e far c»>
nw gli altri le sue mariui^lie : dovea
crMere n^tuialmente che tutti qoelN
cbe per di le pmsMvano fonerò aniine.
E sa nostre di eapere che essi «tio
TWtavano in quel cerchio a purgar l'a-
Tiriria, gitel'avea già detto Viigiiio rul
dk^andarlo della atrada per pruaefui-
ro il TÌaggio. Il eolo Torelli, eb*io a»|H
pia, ha ben iotcM. Eoao il aenao éà
yerto: nel parlare, o mentre sentiva
parlare, mevitmi, poai ■enle allVIIra
enea che mi era uaseaela, cioè al p«^
IftBle, che atando bine asta io bmi pa>
teva vedere, ma che scoperti aagw-
tendo il snono della vnea. U vaaao 9#
eem prova queata spiegaànoa.
85. B volti gli eedri miiarm. Cmà
leggo col Cod. Caet. e il Fat. 54€. La
com. p<»rta K Vf»W gli otdù m§H
al iigntìr mio; kc. cb'ie laaci*
tieri echi la vuole. — CenqnesU*
ta Dante pregava Virgilio cbe gii
dease di and.ire a parlare n qneU'nnii
87. Im vitlm del éiei; ì
desiderio che ai faoevann vi
Yulto mio.
90 U emi pmroU «e. Vi
pra quella creatura , cui mi foan B^
tare il suono del parlare ; n, cbe in W^
tai mentre parlava.
94 -ftt. m CSM piémgtr m.,ìmmk
il pianto opera , compiace yaMn pn^
gazinne ee .
93. 5ofl/a. affrena , fiui wmggiùr
cura, la cura di pi.ingerc le tnc
per soddisfate alla giustizia divina.
95 Jim. atrio sn.
96. J<M,nelaHMidndni
moni, mi partii.
97. dirtlri, dnni,
CAUTO BBClMOMHrO. 3g3
Rivolga il cielo.a aè, aaprai: ma {Mima,
Scias guod ego fin raceessor Pani.
Intra Siestrì e Cbnrinerì a* adima loo
Una Gumana bella, e del s«a nenie
Lo titol del mio sangue ia soa «ima.
Un n\e?e e poco pie prova' io come
Pesa il gran maolo a chi dal fongo il guarda,
Che piuma «enribran tutte l' altre some. I05
La mia conversioDe,otmèl fa larda:
Ma, (ome &uo fui Roman Pastore,
Cosi aoopersi la vita bugiarda.
Vidi che lì non si quetava il core,
Né più salir potiesi in quella vita; i io
Perchè di que^ in me s' acce^ìo amore.
Fino a quel punto misera e partita
Da Dio anima fui, del torto a> ara:
Or, come vedi, qui ne son punita.
Quel di' avarizia fa, qui si dichiara 115
In (urgazion dell* anime converse,
£ nulla pena il monte ha più amara.
98. Ritolga il cielo a sé, Toglia 405. dk« piuma te. SoUiot.: che
•1 ddo ricolti ■ sé. pesa ti, rlie re.
99. Sciat te,: ci«è, Mppi eh« io 4U8. iavita bmfiarda, inganoatii-
foi avccmure di Tictro. Qanti è Otto- e« nelle •ui* pri>nietM, inquanluebè la
kono dlc'PirMhi conti di Lavagna, poo- felirìU che fa sparare nel pmaeilimeato
tifice ttÀ mome di Adriano V , morto dei beni lerrem n«n naoUeno. E de
•el 1279, ^araota ^orui dopo la wmè dice perrhè né aocbc io q«el pollo » dì
dcsiooo. che aia|*|p<»re non ètulla terra, ai soo
490*401. Sioitri r Chiaveri. Due trovò conientw il suo rooro.
tarr» M GciM»«es«to nella nviera di le- 140 poliefi. <t polie.voea anliipia-
TSBla. ^ 9'aéiwta. 8'av\alla , «rorre al ta, ai potrò. PnUmi il Cod. Puogiati.
baaoo.^0M fimmano, il rianir Lava- 44 4 Porche ee., per la qval etat
fM oéel omo mmu Lo titol oe. : %' aeeeae in me 1* aaioro di qaarta fila
a il lititlo della mia famiglia (i kit- apintuole ed Hema.
■Mta dei tornii di Lorogita forae dai 442 parlata, diviaa.
fiMiad cibo e4la ebbe lnng«i qurl fio- 445-416 {fmel ok'otmritim fam.
■e) fm orna tima . o /f «uà cima, co- GK effetti dei l'avariata nella noola a Bel
wo lofgo Beavcnoio, dti tmo noia ; coora de^i oomini «mnio didiiarati o ai-
doè, aeeuod» ebe «pifgano tolti, preode gnilirati tu /mrga»ùm, cioo, mA aodo
mm primeipio, ano angine, dal none con che si pargaiMti|oi le animo «ommt*
di ^Milo iusM : ovvero, come io indi- fa.ei«>é,chr da t\uvt viaio si coavartiraM.
•arei a apirgaro : e del iuo notmo il Alcuni preiMlfm» il eowooraa ia aaaao di
molo dot wUo imngue fan» wm^tor molto in giù : ma non bona, eba, ehwafcè
CWifo. ama gloria. qiMota idea %rrrrbbe ripetala loata^pii
4tlt-4«M t7 gran mowlo, n moolo aotlo. le «lae parole pmirgatiam o MR-
Mpale. — tome Peto, quanta eoOa di torto Marebbrro V sua adl'akri.
talira a ehi dal fango il guarda , a 417 piit amara , porttoedkè tra
ibi vuol a4«lrorrlo nrlla »aa dignità, a laro nrgalo fio aoeo il veder* il dolO|
I aerVarlo paro dalle brattare della terra. Terao cai ai sealouo taoto ìnKamaala.
P^*^^^^^^!
381
lEL PUB
.„o.,o
^
E vo'ete trovar la
via più tosto.
■
Le vostre delire sien sempre di fgri.
Così preaò il Poela, e
sì risposto
^^H
PoL-o dinanzi a noi
nefn; perch'io
^^H
Nel parlare avvilii
r altro nascosto;
^^H
E volsi gli occhi ullora
b1 Signor mìo:
^^^È
Ond'elli m'a*«nii
con lieto renna
Ciò che chiedea la
vista del disio.
^^^M
Poi cf io polei di me
rare a mio senno,
^^^M
TraBsimi sopra quella crearura,
^^H
Le cui piirole pria
notar mi tenoo,
90
f
Dicendo: Spirlo. in cu
■i pianger malora
Quel, .'iaaza il quale a Dio tornar non puos^i,
Sosia on poco |«r
me tua maggior cori
1. 1
Chi fo^^ij, e perchè vòlti avete i dossi
^J
Al EU, midi, e se
vnoi eh' io t' impetri
■
Cosa di lù ond' io vivendo inosai.
^n
Ed egli a me; Perchè :
i nostri direlri
81, U
\VBilridetlTtfc.\an\ ilire:
«™,: Diri p.rl..B, 0
menlrt wnliit
IcacMvi HI
Bpr><<l»'ri>!Ìlcb<[i»i>do
pnrlor.. .[.ìh.*, ^
RiMiU nllUl»
nulo «pmpM * dnlta l'mlor-
B, riniti par-
Md.lm«ii
Lh-. — iK/'bH, p«dJ/Bri.
"•■""-" P*
•«n>U.io,
II... .e.ler>, aio At ■
iFOpcm Hni-
84 . UH piwlBT» «p&ai' r.U« m-
Und..i1 tHno dtlU>n«. Il •«ai. M
ttothi. Eo
:„ «im. tpn-g. ,,i„l., lu^B»
nmw.
_ ÌIC«U:.
rolIrDMKOrta.-doe.l'.l-
Vi. E volri Ilìaca
Uallm. IM
■ lr.p..»i»r
D DM .-Up, nan .ipnv» fin
Irgl-.. ciJCd.Cnfl. >i
,1 l-tt- SIt !..
K p.n.1. CI
dì che riijHnda ■ Vi.|^lia
<»»..p»rl.SWn(„H.
«*i«^«*l
H ntolr. .1
altJ^nrurb.-tM-eV
i.l«^>rin»
V idotrxni
Don crino per |.iirg.re in
beri»ét,l,f«.At.—€m
■ i1p«»U<
l«ll'Hi'>ili,i»rti -kIrìo
In UnM, p«.R.v. Virjil» d» rU M*»
JicT«l*re
|t 4«»t> * il ftatxtf: 0»-
d«.'di<i«l..r>>n>rl.r'
..-.II'™-.
lOMt.) eh
■ Dani* f-OH ■« «inrl*
ST lt,rula4tl4ÌÉU. > Hf* dd
•oMtaM
eorp.. . Mi >|-.«i> ^cp-
d<..d«io dh. . tM«.
IH »d«Ml
■iOB.. Ar
inntadi
.-U.-..p,rrl„„„.,«,n..
eo UnJpn'sIi
«. Vtadw-
b .rr it>
A. ji,™,, „.,„ *,p,. .i
ai^i.."-
.<>l>».W.....drr.»l..l
l,re!l..,.n-drfp.rl.r.
<;., .b>itll<>-
p.™;-..,
. non polni yririi l« nuot>
«i n«,.„ p.H.r
«M J'sn
Ti» in ^oA kiBio, ( hr to-
91-lH, <•>«•• pilli
1 ::j^L:^
1 l< iiH nitrii' in li II i ifnt
nidioonle At Inlli ^n^lK
■ cb. p.rrii
""m'smIb. .»««
, (M.in«rl>r
■ E M .«<
ih a (iiwie (be «ni Bin
.. 1. Z'^r,
V r««.«>,i
K qarl cnThm ■ pargnr l'i-
^.'.d'i.™" .lirsiu,!
ni. dlTIM.
™ *.ri>», gnd'.t« pi d,iu. Vi, rii» ™i
W J<H..II'.D..
jMii><l.ri» ddl. UriclN p*r jimtaui-
06. M U. liti ««Ida d* .ÌT«IL—
r> il n»r
o. lindo Tar.llLrb'i.t.,^
p»,i>.K,
n inloo. £«M il «gun did
tì7'.KH"'jw.l,
•cbHIM.
CAUTO BBClMOIKnrO. 383
Rivolga U cieloa aè, aaprai: ma iRima,
Scias quod tffo fin tuceessor J^$$rL
Intra Sies^tri e Chhrv^ri a' adlma 100
Una fiumana bella, e del s«a nenie
Lo titol del mio sangve ùl saa <:iffla.
Un mese e poco pin prova' io come
Pesa il gran manto a chi dal fongo il guarda,
Che piunna «ennbran tutte l' altre some. f05
La mia conversione, oimèl fa larda:
Ma, (ome fdUo fui Roman Pastore,
Co8i aoopersi la vita bugiarda.
Vidi che lì non n quelava il core,
Né più salir potiesi in quella vita; i io
Perchè di questa in me s' accese amore.
Fino a quel punto misera e partita
Da Dio anima fui, del tutto avara:
Or, come vedi, qui ne son punita.
Quel eh' avarizia fa, qui si dichiara 115
In I urgazicn dell' anime converse,
£ fìuila pena il monte ha più amara.
98. Ritolga il cielo a sé, Tooflia 405. che piuma «e. SotUot.: che
il delo ri\nlti • sé. pesa rt, rlie re.
99. Sciai ce.: ei«è, Mppi che io 4U8. imtUa hwgiarda, inganottii-
fn saccrsftt>re di Piotr». Qarati è OUo- e« oeJle suf proinetM , inquanluchè la
kooo de'Fieschi muti Hi Lavagna, pno- feliriU rbe fa lorrare nel pmaedimeoto
Icfica col nome di Adriano V , mwto dei l»f oi lerreiM n«o «aoUefia. E &h
oel I27(, «|«araDta giurili dopo la ava dice perrhè né aocbc ia quel paalo, di
«Icziooe. che «af»|if*<>rc nun è sulla tarra, ai aoo
4a0«4ei. SitMtri r Chiaveri. Doa trovò con lento il suo mora,
tarra del Gen«»vesi«to nella nv»era di le* 140 policft. ti po(ie,voea aiitì<|aa-
vaola. — t'adima. s'avvalla fSeorra al ta, ai potea. i*»tfa$i il Cod. Pnagiali.
baaao. — C7iui /Itnnana, il lianie Lava- 441 Perché ee., per la q«M aaat
goa. — e dei iuo mime Lo titol ae. .* a* accese in me T anora di qMgla nla
a il titolo della mia famiglia («liia- spiriluale ed eterna,
nata dei conti di Laragna forse dai 442 partita, diviaa.
poaaeasi che ella ebbe Inngii qurl fi«- 445-116 ijael ek'aMoritim fa§e.
me) fa tma dmm , o fr tua cima, co- GK effetti deiraverkia nella «Mnla e Bel
me \èfp,e BeiiTennio, del nm mewta ; em*re degli aomini tMNie dicbiarali a ai-
cioè, seetmdo che spiegano lutti, preade gnifirati tn /»siry«aton, cioèf wd OMido
avo principio, saa origine, dal none eon che si pnrgaiM*i|M le anima «oMWf-
di queato fiunta : orveru, come io ìhcI'h aa. cit«,che da qui'l viaio si coavartiraao.
•arci a spiegare : a del fuo noma ti Atcum premiMno il eiinvoraa m aaaaa di
Idolo del mio tangue (a eoo mm§§ior «olla t« gin ; ma nun bona, che, «Itradiè
tante, tna gloria. qvcaia idea verrrbbe ripetala laalaqai
4oa-IU4. il gran manin, n manto sotto, le due parale pmrgoiiam a m»-
( capale. — tome Peto, quanto casta di «arsa »tareb4M>ro I' «uà aell'akri.
allea a cki dal fango il guarda, a 417 p<è amara, perciaeaiié tra
(hi vuul sifstrnrrlo nrlla saa dtgnitè, a laro ■«•gal» fin anco il vcdera il cialO|
«erbario poro dalle brattare della terra, ietto coi si seatooo tanto roKaoioMla.
1 ^^^^^^^^H
■
F
Si come l' occhio nostro non s" sderEo
In allo, Hitso alle cose lerrene,
Cosi eÌQSlìzia qui a [erra il merse.
Come avarizia spense a ciascun bene
Lo noslro amore, onde operar perdési,
Cosi giustizia qui slrcili ne liene
Ne' piedi e nelle man ledali a presi;
1
■
E qaanto Qa piacer del giusto Sire,
iti
■
Tanto staremo immobili e dii'Iesi.
m
lo m' era ÌDgìnorchialo, e volea dire ;
Ha com' io cominciai, ed ei s' accorso,
Solo a,scoltaDdo, del mio riverire:
*
Qual cagion, disse, in giù cosi li torse?
Ed io a lui: Per vostra dignitate
Mia coscienza dritta mi rimorse.
Drizza le gambe, e levati so, frate,
Rbpose; non errar, conservo sono
Teca e con gli altri ad una potesUte.
Se mai quel santo evangelico suono.
Che dice Ne(fvt nubent, inlendesti,
Ben puoi veder percU' io rosi ragiono-
Valtene ornai; non vo' che più l'arresti,
Che la tua stanza mio pianger disagia.
Col qual maturo ciò che tu dicesti.
f
140
H8-I
lig.naitt-a^wJnallo.i.on Jim»lri «»r dcliil» d'
sgai Crùliu»
*ÌrìT.'1»,
iiDD»islevè>1<ic<lo. lìilp«.[. UT»crir< ari »a.<iio
poDMfica il Ti-
iiaitrg,
ire. — fila. iMtnl. ttando. oirio .liGnùCrnta,
m.
423.
OHdt npiTarsTdèii Perde, le ur-Jc dell'Anela * G
iunooì utll'i-
ridcr. .d«.r-
■ fi'Sr
tì «Mn mcriliTi*, c<'iue non ^ralrum Iiunin. — ad
unafwiMMto.
■ F»I> «HT
dll fiiulo Sin, dì Dia. 137. Ni<rHi milwnl
■
.fimi* di G(»
■ t».
7DHVa.-|vinacch>al0.D.i>- Crlibi •! Sid ducei p<rr Ir
•rli d>l|-ii>|U>-
■ UBolr.
i»a qn«l'*ll0 qninla r.Huc ]• no io cui Erio» cl.« m.'ll'
cha igli icvi il uuimo p<.a- lera niirìiiKinj. Qui Adi
.L.n» vii* Im-
r»au nule «MI
■ t^<«.
irOpD dulia Chini. sw piroli [it cMiiprt'
Ddi>c> (In tili
V
Sala ucùUwmda , nlo per o»naD muri.., ann a.
1 più d. «IS-
di«,>»pì.
■ «Jir« l> .
HI «u», e nun per ■•dar n». dtr.ni ewix Ctuo della
— >M«for»(r<r>. del win .Ur rìre- gli *" du'iiu qudli re
.«.u»; iiirip
r«>l*.L'i
inin>i»*r«>ruc1i«DinUi'ora idagni lulU ni»lrt dì»
dilunlirpiùaroHllparolD. h lulli iMiHKrvi (d ani
pulaUI* 1 Mii
130.
,uaìctitff«T.
_ 133.
wi riiwiTH- U.wi.dn th. .d W, Anixna i IHo.
^ iivi^^t
.. — dita^.
L
(tu, liei, uà tl»rU M [.Iti, i-ll . Coi «uot noli
ttvtHeU Im
CAlfTO DECIBIOIfONO. 38S
Nepote ho io di là e* ha nome Alagia,
Buona da sé, parche la nostra casa
Non faccia lei per esemplo malvagia;
E questa so!a m' è di là rimasa. 14à
^^^mU: coropÌMo la pnr^aiìoM, eoma 445. B quetia iola m'è di là ri-
^ «iìccsti poc'anii. Vedi il Tersoci. nuua. E questo sola degli altri miei
_ 4A2. Alagia , della famiglia dei conaaDgeioeiè rìmaato io vita.Conqoe-
f^v^ti Fieschi dì Genova , fn moglie di ito ricordo il papa mostra desiderio che
"<>roelIo Ualaspioa march, di GioTa- Alaoia aia mossa a pregare per lui, et-
S^lo. figlio di Manfredi. ieodo ella tale da poter far salire a Dio
443. bmona da ii . huoBa in tè prece Ch9 tytrga tu di cor che in grtk-
iaa« per propria iadMe. Jiim «toa.
CMNTO mSSnEMMMO,
LtteltU Pmpm Aeriamo, « mmHimtmdé ftr fmtl eenkio U «mmmtmc, odomo mH^amlmm rbww
mtemiU mtàiU •am^ et wirtm 9mtrmU aWAwmritim. A M Damtt s'opprttta, • rieàiutaU
«>A< tim • ptnàii §alm MmM ^mii fmM, n'od$ «sttr Ugo Captf, • mimi JUrm iiiwHtiwa mM 9ifJ •
•««(te imi^Èiii étUm «m «iMMifmM. Fa' to «W^TO '«"' ^"" éamtmda, • gii cita gU ttmapj cA»
C« matm A H ripHtm» a tvrar étH atoH. S* ma» d tmomt», « «'«fui dm itM* furU um coatte»
nféBmUaaMOf oadt miUTAUthitH ài ét$u mmpamgnf é*tidtH» di tamoutr la tatioaa di umla
Centra miglior voler, voler mal pogna;
Onde centra il piacer mio, per piacerli,
Trassi dell' acqua non sazia la spugna.
Mossimi, e il Duca mio si mosse per li
Luoghi spediti pur lungo la roccia, i
Come si va per muro stretto a* merli;
Che la gente che fonde a goccia a goccia .
Per gli occhi il mal che tutto il mondo occupa.
Deli* altra parte in fuor troppo s* approccia.
4 . Coiiira miglior nolerec. In Dante ghi (un^o la roccia, Inngo il dono del
erano a contrasto due voleri , o due dcei- monte, i soli tpoditi, cioè, non eecnpali
deij : Fano di trattenersi ancora un pcH dalle anime distese al suolo.
co a Mrlar con papa Adriano : raltro,di 6. Copte ti va te. : come chi cam-
rtKdire alF intimazione da lui riceruU mina sn la mnra di ooa fortena ai tiene
d' aaderaene , perchè gli facea perdere stretto ai merli per non cadere dal Uie
un tempo preiioao. Ma come questo te- che è acnxa riparo. — tiretto, lo prea-
lere era il migliore e il piò discreto , derei qui per arverbio nel aeoso ai rm-
trìeiiA sa V altro, seblx'ne innocente, tenie.
di fodiafare la propria curiosità. Quindi TS.Cki lagente ee.: pMc^ lageoto
le sentenza, rbe on volere mal ai metto che piangendo f.mde fnon insieaae celle
e contrastare, non deve coczare, contro lacnme Ù wml che tallo il mondo oe-
OD volere migliore. eH^ , cioè , V avarizia.
5. Tratti dell'acquate. Parlare tf. Dalf altm parte in faorea.:
allegorico che vale : nariii colla brama troppo si avvicina alla parto esterna del
di sepere non soddisfatta , di Ih , onde monte che è senza riparo, onde non re-
io poteva saper tutto. itova a noi spaiio da camminar libera-
4-5. per li Ituujhi spediti, pei ke- mento da quella.
V,
o
^r 386
^P Maledetta sie lu, antica lupa,
^B Che più cbe iiille l'altre he.'^tie ha! preda,
^1 Per la Uia Tame sema une capai
^M 0 del, nel mi girar par che si creda
^M Le condiiiijD dì qua^iù trasmutare,
^1 Qoando vorrà per cui qne^ta dlscedaf
^B Noi andavam co' passi lenti e scarsi ,
^M Ed io alterilo all'ombre ch'i'Eenfia
^M PieJasameDte pianger e lagnarsi:
^^ E per i-entvra adi': Dolce M«ria:
^^ Dinanzi a noi t^hiamiir ro") noi pianto,
^^t Come fa. donna che in pnrtorìr sia;
^B E seguitar : povera To^ti tanto,
^H Quanto 'veder si pnò-pcr'qBairiOspizìo,
^M 0\e sponesti il tuo portato fante.
^H S^aen temente interi: 0 buon Fabrizio,
^H Con povertà volesti anzi vìrtute,
^1 Che gran ricchezza posseder con viaio.
^H Quelle paro'e m' eran si piaciute,
^H eh' i' mi trassi oltre per aver contezza
^F Di quello spirto, onde parean venute.
Esso parlava anror della lar^'hezza
Che fbre Niccolao alle pulcelte,
IO. antica lupa Lupainllrtapnlli che questi li {naa. Vedi PHCf.,
qui l' itirini, perclit >I> tMim «muli la XXXtll.
inviil'n del it)H.4*. Ho IT. ird la, wllial. fra.
CANTO VBinrESIMO.
387
35
40
Per condurre ad onor lor giovinezza.
O aDÌma, che tanio ben faveile.
Dimmi chi fosti, dissi, e perché sola
Tu queste degne lode rinnovelle?
Non fia senza mercé la tua parola,
S* i' ritorno a compier k) cammio corto
Dì quella vita eh* al termine vola.
Ed egli; V ti dirò, non per conforto
eh* io attenda di là, ma perché tanta
Grazia in te luce prima che sia morto,
rfui radice della mala pianta.
Che la terra cristiana tutta aduggia
Si, che buon frutto rado se ne schianta.
Ma se Doagio, Guanto, Lilla e Bruggia
Potesser, tosto ne saria vendetta;
Ed io la cheggio a lai che tutto giuggia.
Chiamato fui di fé Ugo Ciapetta:
Di me son nati i Filippi e i Luigi,
Per cui novellamente é Francia retta.
Figliuol fili d*an beccaio di Parigi.
di Miri dotò tre fanciulle che per fran die, (H:iU|iditf parla per fona a parte
povertà erano in pericolo di menare con false tns>n(;be da Filippo il Belle
dàaMcsU vita. — ktrgheua, Urgo oeiraqoo 4299. Doagio dieetì oggi
dono.
aS. degne lode, lodcToli CMmpj.
— rinncvelU, riprli.
59. Di quella tita, della tiU moiw
iìtìa^ che fugge com' umbra, e di eoi ho
|ià cotto la metà.
Douai, Guanto GmoA, Bruggia Bro|ca.
47. Potetser, toifo ee liU.: te eo-
tali città aveuero forte toffieienli, -^^
Rf Maria tendetla, te ne vedieLbo la
vendetta. Queste parole di Ciapetta no*
ttranu denidfrìo di>lla aconritia o oae-
40. mom per conforto ee. JioaptT' ciata de' Franei>«i dalla Fiandra, che
dkè io aperi. ravvivando tu la momorìa avvenne nel 4302, cioè, duo coni dopo
di ma ne mei discendei.ti, che essi sieoo l' iramaginaria venuta di D^iDte al l*aiw
per far pieglurre in mìo prò; chà dì gatiirio, a prima che egli tcriveaao U
tott' altro che di morti s' occupan etti. Poema. — n$ fariam vendetta legga
44-42. fonia Gratta, quale qoclla il Damrl!o
di venir vivo nel re{;nu de' morti.
45. radice, princìpio. — «ietta mala
^anta, della mala famìglia de' Capeti
re di Francia. Costui che parla è Ugo
IlagDo doca di Francia e conte di Pan-
S', padre di Dgo Gapctta primo da' re
ipetingi.
44. fa f^rra crvfìana tutta adug*
già: doè, porta noci'vole umhia, reca
gravisaimo Documento alla terra cri-
45. u ut tckianta, se ne coglie.
46 Doafto. Cuaiif/>,f e. Queste toao
alcune delle prinii|>ali citte della Fiali*
48 r^e^^fopercJbfnfo, dtll'antiq.
cluirre o ckeggere. — . a lui che tutta
giuggia, cii»e, a Dìo. che tutto giudica.
Ciyggiare èittti* dal proveniale/ii(/ar,
eonvrilila in g U lettera J
52 Figtimtl fui d'un beccaio e$.
Per et>nvturrrsi qu.iuto sia f^lsa l' lOl-
potazionoddla per taluno al sottro Poe-
ta, ch'egli «bbia altiibnitn (|Deste vile
(•ligine ai Cnj'i-ti a ttf^go dell'odio tpo
ctiutiii Filippo il 6«'llo e Carlo di Va-
lois. si li'gga quel che lascia arnlto sa
tal Oiiiteiia I». \ìIìmhi, storico caHdidit*
»imiif nel lib. 1\ , al cap. 5 delle tao
388 DEL PURGATORIO
Quando li regi antichi venner meno
Tutti, fuor eh' un renduto in panni bigi,
Trova'mi stretto nelle mani il freno S§
Del governo del regno, e tanta possa
Di nuovo acquisto, e si d'amici pieno,
Ch' alla corona vedova promossa
La testa di mio figlio fu, dal quale
Cominciar di costor le sacrate ossa. eo
Mentre che la gran dote Provenzale
Al sangue mio non tolse la vergogna,
Poco valea, ma pur non facea male.
Morìe Fiorentine, e dì Ti apptrìrk cbe rona a sao figlio Ugo Capeto. La soe-
qvella proveoienia dì Ugo il grande, eeaeioae poi dei re fiaoceaidopo Carlo
aebbene dimostrata oggi favuluea, era il Semplice è questa: Baool, o Radnlfn,
creduta a quel tempo dai più. Ed è ere- Lodovico d'oltremare, Lotario e Carlo,
dibile che questo errore nasrene dal- Lodovico. Y, Ugo Capeto, coronato
1* avere avolo la Casa d' Ugii il privile- nel 9S7.
sìo di provvedere la città di Parigi delle 56-S7. taniapona Dimuavo mequi-
oettte da macello, o. come suol dirai , sto: tanta potenza per posetw novi-
il grand' appaltn drlle carni. mente acquisitati. — e ai d'ami t pieno:
SS. Il regi antichi^ intende la di- cioè , e mi irotai sì pieno d' amici, di
naatia de' Carolingi. partigiani.
54. fuor eh' un renduto in panni 58. alla corona vedova ec* cioè,
higi. La storia non dice ug|;i <P alcuno vacante per la morte di Lodovico V,
dei Carolingi che al tomp.- dì Ugo Ma- oltìmo re de'Carlovingi. — di WDÌo fr
gno fosse rónduto in panni diyi, cioè, y/io, di Ugo Ciapetta.
socondo la comune 8|iip|]azione , fosse 60 te taerate otta ec. La atirpc
divenuto monaco. Può ei»»i're che così reale. Pn mie figuratamente le o«a per
si credesse volgarmente al ti>mpo di Dan- le persone ; e le dice locrofe percuè i
le, nato l'equivoco, com'è probabile, re aono Mcraii perla santa ontiono.
dalla fuga e reclusione del re Carlo il 61 -G3 Jfmlre c^ la yrvn^ole «e.
Semplice nel rantello di l'croiine, ove Finché I' accrrsciinmto della potenzt
EM mori. Ma potrebbe anche essere cbe per la dote provenzale non fece la aia
ante colla frase renduto in paimi bigi stirpe aodacf e sfrontata, Poco vaUm,
non aveue per nienti* voluto acn-niiare cioè, non atea gran virtù, ovvero, era
a professione miinastica, ma per pciim» scarso il suo potere, ma almeno noo
è/^i Mellificata I' umiliazione e la mise- noccva ad alcnii^t, si conteneva nel do-
na a cui fu ridotto Carlo il Semplico, vere. La dote che qui si accenna 8<Nio
tome per somigliante metafora si no- le ricchezze e gii sluti, prima, del conte
bina M porpora a denotare lo spien- di Tolosa , che andarono alla Franrìa
dora della foituna e 1' impero* e que- per il matrimonio della sua figlia con
sta supposizione, che nirlierebbe meglio Alfonso fratello di S. Luigi 112*28); poi
d'arrunlo il Poeta colla storia, e mollo quelli di lUimondo ISerlingWrì conte
favurita dalla variante redutto^ invece di Provenza, lasciati da lui per teata-
di renduto, che è di due Cod«l. Mare., mento all' uJtitna di'llc sue figlie. Bea-
del Trivig a del Baitolin. Mj comoo- trice, sposala nel I24a a Carlo d'Angiò
qoe ciò sia, il fatto sta cbe durante il altro fratello di S. Luigi. ChianMii
regno di questo Carlo , morto nel 920, grande quit.tJ dote noo tanto per q«el
Ugo Magno gettò i fondamenti di qnclla die era m se htena, quanto perchè fu
grandezza, che 31 anno dopo la sua alla rata di Francia meno t grtndì
morte, avvenuta nel V56, fruttò la co- acquisti o nsurpaziuoi.
CANTO VENTESflIO.
389
Li cominciò con forza e con menzogna
La sua rapina; e poscia, per ammenda, 65
Ponti e Normandia prese, e Guaspogna.
Carlo venne in Italia, e per ammenda,
Vittima fé di Cnrradino; e poi
Bipinse al ciel Tommaso, per ammenda.
Tempo vcgg* io non molto dopo ancoi 70
Che traggo un altro Carlo fuor di Francia,
Per far conoscer meglio e sé e i suoi.
Scnz* arme n* esce, e solo con la lancia
Con la qual giostrò Giuda; e quella ponta
Si , eh* a Fiorenza la scoppiar la pancia. 75
Quindi non terra, ma peccato ed onta
64. Li comineiò con fona ee.: yenoe in Italia • t* impadronì del re-
SDo di Sicilia a di Paglia , discaccian-
one Mtufredi , cha , morto Currado ,
•e n'era fatto signora. — ViUima fé:
cioè, Mcrificò alla propria ambixiona a
■icnreiza, dandogli morta, Curradiso
figlinolo di Currado a legittimo «rada
di qnellt corona.
09. Ripinte te. Rispinia. rieaceiò
In Propensa medetiraa comiociò parta
con TÌolensa parta con frode a spiegare
la Msa insssiabile cnpìdigis a rapacità,
facendo tristo governo dei Prureniali ,
cba pretto sentirono la difTerama cha
era tra il bnon conta di Tolosa Bm-
nondo a il fiero Carlo d'Angiò. Questa
connetto è torcalo anche al Canto VI del
Par. V, 130 Olii spiega li per da ^«mI S. Tommaso al cielo (a Dìo), d'onda
Uwupo, non avverte al poteia per nm- tutte le anime provengono. Fn detto cba
mmda, che suppone una rapina speciale Carlo per opera di un suo medico fi
fià accennata avanti. È diriìrile del resto aTrelenara onesto santo filosofo per ti-
acfordara tutto ciò che qni dice il Poeta mora di averlo contrario ai suoi desiderj
«00 P istoria ogf*i conosciuta deirefran- nel concilio di Lione; ma anco qnasto
ccù. La Normandia, per es., fu congni- fatto non è ben certo , par quanto ne
sta tadaFilippoAngnsto molti anni avanti
la 4ot» Pru9€n%ale. Forse vuole inten-
dersi che fu ripresa novameiite agi' In-
gìcn che Pavean riguadagnala. E ciò por
sia; mi ad ogni modo se qualche discra*
Sinu pia qua o piò là s'incontri, non
ee far maraviglia, quundo riflettasi
alla gran difficoltà che s'avea in quei
tanpi dì rintracciare il voro delle cose
OTrenute in età e in lunghi remoti dallo
«crittora. Chi leggendo la Ditina Com'
mudia non fa ragione dei tempi e degli
atndj , chi confonde il XIX secolo col
XIV, o s'aggirerò disperato in un labe*
liuto, o storcerò mirtrramente la oito-
nle significaxione delle parole.
05. ptr ammenda Cio(, per fera
Ammendi di nna colpa , ne commise
un'altra. E qnrsto ripete più folte per
dara mngfvior fonte all'ironia.
66. Fonti, Pvnlhim in Piccardia.
€7-08. Carlo. Carlo duca di Angiò
potesse esser corsa voce a f uel tempn.
70. non molto dopo ancoi, non
lontano da quest'oggi.
74-72. «m altro Carlo. Carlo da
Valots, venuto in Italia nel tSOI .—Per
far amotcer §e. InUrndi : per far me-
glio conoM-ere la sui malvagia natura
a quella dei suoi.
73-74. Senz'arme ee.: senza eser-
cito esce di Frsncia, e solo srmato dalla
lancia con cui giostrò Giuda,cioè,iI tra-
dimento. Carlo venne in Italia con eoli
500 cavalieri e con multo cortegno di
baroni e di conti. Fn inviato da Dooì-
fasio Vili i Pi reme come paciero : sotto
aelore di liordìnare la citta, ingannò i
Pifventìni e gli afflisse con ogni maniira
di estorsioni e di crudellò. — pontm,9§'
grafa, spinge.
75. Al icoppiar la panno, Totaa-
4ala di densri e dei migliori cittadini.
70-78. Qnindi ee.: da questa lut
Guadagnn'à, per se lanlo \>ìù grave,
Quanto più lieve sìtdÌI danna conta.
L'allro^che gié usci preso di nave,
Veggio vender sua figlia, e patteggiarne,
Come fan li corcar dell' allre schiave.
0 avamia, che puoi (□ più Tarne,
Poi e' liai il sBi^ue mio a le si tratto.
Che non sì cara della propri
Perchè men paia il mal ruturu e il fallo.
Veggio in Alagna enirar lo fiordaliso,
E nel Vicario suo Cripto esser callo.
Vegplolo un' allra volla es?er deriw;
Veggio rinno^ ellar 1" aceto e il fole,
E Ira noo^ ì ladro
_ 0 il nomo Pitale si ci'udele,
Che ciò noi saii>, mii, senza deorelo.
Jlllflta (in rifiatili, (iUl
|;nr di llnaii | |),iuindu U iiurfui
(ul fordotito (ri'l giàl>«, amt di t>>>ii
cì«l, j f.i (rigi..™ iTiittrìo Ji CtiUa.
Bniiiliiiii \lllTu lUiDneiMiluwl 1303,
per ur.Upi di niin- il Bdlx n ii
I •fir. .<1 <.
7 !■•"« mm f of« «e. E .(- ,
ndcoll fai«ijgf « ufUu «lu lì-w D(rlntiib.>|4i <i>pE)i«ti>Mj.("«u,
CAIVTO rtRTESIMO. 39 1
Porta nel'tempìo le cupide vele.
0 Signor rnìOi qtiando sarò io lieto
A \eder la vendetta, che nascosa 9ò
Fa dolce Tira tua nel tao i<egreto!
Ciò dì* r dicpa dì qnell' unica sposa
Dello Spirito Santo, e che ti fbce
Verso me volger per* alcuna chiosa,
Tanlf è disposto a tutte nostre p^ece, ioo
Quanto il di* dura; ma ..quando s'annotta,
Contrarìo suon prendemo in quella vece.
Noi ripetiam Figmalion allotla,
Cui traditore e ladro e patrìcida
Fece la voglia sua deir oro ghiotta ; 105
E la miseria dell' avaro Mfdà,
Che segui alla sua dhnanda ingorda,
Per- la qual sempre coovien che si rìda.
Del fòlle Acam ciascun poi si ricorda,
Come Turò le spoglie, si che V ira ilo
Di Josuè qui par che ancor lo morda.
Indi accusiam col manto Safira:
mI 4807, nel poDlìGcato dì GtrnenteV. ordIiniU per cornane pcegfcièrt e medi»
E fserto, e non eltio, è il tempi» \u faiNHw ananto énm il giorno — pr»e§
cw ilcffvdclced avtrore PorlmUatr il plai-ile è sccoodo la Icnniiiai. lai.
pUt^th. jM^VM», a co» nei prineipj dalla fingna
f5-M. tmfBtnéenm, et.: tioè, la a' andare ■traCtaroeDte dwt/v. Goal lét-
fnJetta, dir Dascnaa ma crrta na'teM tura il pernio, fo «oea, le gnUé, le
aMrdi ginditj addolcisce l' ha im nelle erocf. er. Qualche Qod. pere bt MUla
•mw cà« ncvTÌ dai peccatori. Iddio notira prece.
■aa anniari isbita chi INiltragigia, per* 108. Rigwutiiam amnastè a trftdi>
cfaè è oiann, e il tao sdegno è tempra- mento per scie di riccbene Sidieo a«o
todalte fiala d'una Tradetia che naa sio e oiarilo di Didonc sna propria ao-
poè fagginrii. Ma qncstr cspmeioni che rella .
acBtooo defl'vea umano, si Togliona in- 106 K la mUeria ieirataro Ifff-
Icrpretare discretamente. dei Si sa the costui chiese grafia agli
fi. CU eh' f tficaa ee. Daslr ha Dei che tutto che loccaaaa si camblaaac
chiesto ad Dga due cose. Pi imamnlt in oro. Fu esandito : e in meoo all'aro
qaal feaae la eonditione di lui : pascià lo stolto ti moriva ni fame.
perchè foaae egli aolo a lodare ({li eaen- 109 Aram t)nmo giudeo, che, ea-
pj di poTcrtè e di liberalità Òli la aa* scmlon, contro il ronieodamrnto dilKo,
da prime
pera da primo che ivi simili eaemm ri approprìaiii parte della preda fatta ndla
lodaranvaolamente il giomo, e clic la citte di Gcnrn, fu lapidato per ordine
notte ri predicavano inveev i gastighi di fTio^oè ihri fotte Àeam ameorm ti
della cnpidigia. — di qaeiTuniem epa- ricorda, il Vat. 5199. E.R-
MI «e.^di Mina Vcrgina. Vedi enpra III lo «orerò, lo rìmprofcri a la
verao 21 «aag. punisca
99. per Amma ehioM, per avana 4 f 3 eoi «larfto Safhrm : Anania e
qualche apiegazione. Safira, aegnari degli Anoaloli , vollero
400. TùmV è ditpoflo ee. Qnri tali ritemrri in aerhi parte del preso di ma
f»empj di poterti e di aslioena tono loro campo venduto, a far credere a
39S DEL POAGATOEIO
Lodiamo i calci eh* ebbe Eliodoro ;
Ed in infamia tutto il monte gira
Polineslor che ancise Polidoro. il»
Ultimamente ci si grida: Crasso,
Dicci, ché'l sai, di che sapore è l'oro.
Talor parliam l' un alto, e i' altro basso,
Secondo V affezion eh' a dir ci sprona.
Ora a maggiore, ed ora a minor passo. 120
Però al ben che il di* ci si ragiona.
Dianzi non er' io sol; ma qui da presso
Non alzava la voce altra persona.
Noi eravam partili già da esso,
E brigavam di soverchiar la strada m
Tanto, quanto al poder n'era permesso;
Quand* io senti', come cosa che cada.
Tremar lo monte : onde mi prese un gielo,
Qual prender suol colui eh' a morte vada.
Certo non si scotea si forte Delo' i30
Pria che Latona in lei facesse il nido
A parturir li due occhi del cielo.
Poi cominciò da tutte parti un grido
Tal, che '1 Maestro in ver di me si fco,
L FicCro cKe queflo ch« gli offriTioo ne spìeearon la testt, e la porlanmo il
otta F iotera aomma. L'Apostolo o« li loro re, che le versò in boccn deipara
^àò , e dennnxiò loro istantaneo il liqneralto, dicendo : D* oro aTetti Mta^
S.
fotaa
•gridò
gaitigo della menxogoa e della aTarìiia. oro bevi.
Vedi gli Alti Àp., cap. V. 1 18. Talor parliam. Qni Ufol«-
4l3>445. £/ÙM(oro fa mandato da ice di uMldisriire al Pi>eUciret la at*
Seleaco re di Siiia in GeniMl«-mme per conda domanda. — l'um allo, ini. ia
«inrpare i tesori del lenpio. Pose pieda alto suono. Talor parla Citmo ailo, il
entro la sacra soglia; ma tosto gli ap- Vatie. 3199. E. R.
parre un nomo armalo sopra no cavallo, 420. Ora a maggior «e., era cm
che, Ini percnU*ndo coi calci , lo co- maggiore, ora con minor forta.
strìnse a fuggire shigotlito e colle maoi 421 . al ben che il di' te.: ai baam
vote. — Ed in infamia ee. Intendi: e esemp] di pu\erlii e di liberalità, dei
in tutto qnel cerchio del monte si ram- quali ani si fa menzione il giorno,
menta l' infamia «li Polinnesti>re. Co- 423. ftWj^acan.ci sollecitavamo.—
str.: B PolinesUtre, cioè il nome di lai, di goverekiar la itrada, di avaniarci
gira in infamia , infamato, per tutto nel cammino. Soverchiar la ilrada,
il monte. Costai fu re di Tracia. De- vool dire percorrerla, giungerne a
cise Polidoro . figlinolo di Pi iamo che capo È il modo lai. tuoerare iter»
gli era stato dato in costodia con pai^ 430. Delo, i&ola dell' Areipclaga ,
te de' regi tesori durante V assedia di anticamente, &ei-ondo che oerra Virgi-
Troia. Ho, errò agitala e natante per la oada .
416 Craito. È qaesti Marea Cras- ma dappoiché fa rìreito di Lalaa^ dM
aa, di famoaa rìccbcua a avariiia. Morì ivi partorì, sì fermò.
Bella sua infeliee spadinooa anatro i 452- /< ifiseoecAiee. Apollo a Dia-
Parti. I nemici tro? ttona il cadavara aa, cioè il sole e li Inaa.
CANTO VENTESIMO. 393
Dicendo: Non dubbiar, mentr* io ti guido. 135
Gloria in excelsis, tutti, Dea,
Dicean, per quel cb* io da vicin compresi,
Onde intender lo grido si poteo.
Noi ci restammo immobili e sospesi,
Come i pastor che prima udir quel canto, i40
Fin che *1 tremar cessò, ed ei compiési.
Poi ripigliammo nostro cammin santo.
Guardando V ombre che giacean per terra,
Tornate già in su 1* usato pianto.
Nulla ignoranza mai con tanta guerra 445
Mi fé desideroso di sapere,
Se la memoria mia in ciò non erra,
Quanta parémi allor pensando avere:
Né per la fretta dimandare er* oso,
Né per me lì potea cosa vedere. i60
Cosi m* anda\ a timido e pensoso.
-1 36 . Gloria in emeeltU. PriBÒpto etm ttmta giurré. IbC. : Non mti alcana
<«3«irinao canuto dagli Aogidi nella ignoranza, se io ben mi ricordo, ac-
liaacita di Gesù Cristo. eompagoaU da tanta gnerra dMmpazien-
457-438. per quel ch'io ee. CoaCr. te cnnoaitk, qnanfara quella cba pa-
«int.: Per quel ch'io coropreai da Inoyo reami aenlire, penaando al tremar del
'?idno d'onde il grido si potè inieodere. monte, mi fece desiderar di aapara, per
440. Come % paelor , ee. Coma i quietare il mio animo. Qnalcba taalo
pnalorì in Betlemme quando udirono legge così : JVu/te igmormtuM wtM co-
qnell'inno. tanta guerra Mi fé, Jeeiderando di
441. ai eompièti^ compieiai , ai sapere ee.
conpi qnelIMnno. Abbiaoi veduto già 450. A'éperma li potea eoaa «#•
parlami, perdèti, fuei, invece di par- dere. Né da ma poteva di anello aeno-
lommif ee, timento comprendere coaa alcana, aloè,
445-448. Kulla ignoranza mai intendere quel ne foasa la cagiona.
CAIinrO W JKJWTUSOIOPRIIIO.
Mtmtn I PmH t'mjfniuuf 9tn0 te setta, ti tmtom» talmtmrt ém Mm*tmkrm db éUtn hm
rmIfM. La qumU rùmlutala dal eprr«M Mamtewmmo, 9 mppagatm éeitt mm étmumée^ palma, 1
sta, la aagUma étl trottar dtl atetu, cM tUa tia^ ad miemmt tata dalla ama alUh
La sete naturai, che mai non sazia.
Se non con 1* acqua onde la femminetta
Samaritana dimandò la grazia,
4-5. La teU naturai ee.-.W nostro gU darò non atra Mete in eterna;
naturai draiderio di sapere e d'ioteoda- nella quel acqua era significata la dB-
re, che mai non può sasiarti sa non per Tina aapieoaa procadaata dhl Dio a
3oelFacqna salutare cbe la SamaritaM condnranta a Dio, nella cai Tiaiooa aò-
omaudò a Gesù Cristo di«po eh? ebbe lamanle può appagarli 1* umano ialol-
dttto: Chi beterà dell^ acqua ch'io letto.
39i
DEL PCKGÀTORIO
BK trtvagHava, e pongémi la fìrtta
Per la impacciata via retro al mio Duca,
Fcondblièroi alla giusta vendetta.
Ed ecco, si come ne scrive Luca,
Che Cristo apparve a' duo ch'erano in vìa,
Già sorto fooT della scpuicral buca,
Ci apparve un'ombra, e dietro a noi venia
Dappiè guardando la turba che giace;
Né d addemmo di lei, si parlò pria,
Dicendo: Frati miei, Dio vi dea pare.
Noi ri volgemmo subito, e Virgilio
Rendè lui '1 cenno cb' a ciò si conface.
Poi cominciò: Nel beato concilio
Ti ponga in pace la verace corte,
Che* me rilega nell' etemo esilio.
Cornei diss^ egli (e parte andavara forte).
Se voi siete ombre che Dio su non degni,
Chi v'ha per la sua scala tanto scorte?
E il Dottor mio: Se tu riguardi i segni
Che quebti porta e che TAogel proffila.
Ben vedrai che co* buon convien eh' e' regni.
5. impacciata, ingombrata dilla afa in. preferiaco alla cornane : #|»fr'
ehi andate fori» f f rimo. otrM to9^
tuona con «arj altri luoghi io cai il Fòt*
ff ^
tw^a delle anime Tolte ingiù.
6. condonimi. Èrimprrf.deH'aa-
liq. eondotire^ dd qoal tempo tutta a
tre le voci sing. per nniformitk di oa>
deonsi finirono anticamente io a. Conr
doleami legge il Coil. Chig.
a. apparve et duo: apparre dom
la aaa reanrrezione ai due diacepoli roe
andavano in Kmaus.
10. un'ombra Sapremo poi chi è.
1 1 . Dappiè, al luolo.
12. Ni ci adéenmno, nk é %^
eorgcmmo. — al parlò pria , tinche
cominciò a parlare: ai per f fu, H»-
ekè.
45. Rendè luil cenno, gli fece
cenno di ringi aiiamcnlu per il corteae
augurio.
4C. AVI beato concaio, Mll'ado*
nania de' beati in Paradiso.
Al. la verace corte, la corte del gio-
dica eterno, corte di TcritàiDoBaoggctta
ad iagaBBo.
A. Come! iiifeoH (e Mrft em-
dmeem forte) re. Coa^ rAntald., l'Etti .
il Marc. 51, i PaUv. 9, 67, il tetta
Vi?., le cdii. di Ful.y Jca. aN«p. Esor-
ta avverte aimilmente che, per parìarr.
non a* arrralavano , né alfenlavano il
paaao j secondo, perchè coai l'andàneii-
to pertodfco vien piano a oalnrala, bos
fratto come ncll' altra lexiooe in cui
a'addensnno senca legame tre iatcrro*
gaaicmi. LVissorvazione dclBiagiult|Che
cuai leggendo si farebbe credere At
Virgilio appena reso il saluto voltasae
fìllanameute le apalle, a si deaae a cor*
rere, è più lepida che vera ; perciocché
chi vieta supporre che, mentre Virgilio
rende\a il buon augurio, Paltr'mBiBra
ai onisse a lui e prose.;uiuero di pari
il cammino? — parie anlaieam, intan-
to andavamo.
2(K f« non degni: noe degni di rì-
ee? er a« iu cti>lo.
21 . per la iva tcaìa, per Io monte
del Purgatorio, che è scala onde ai tale
al delo.
92 I eegni, cioè ì P aegnati anlla
frante di Dante, de* quali oa rìiMiiffvi^
no ancora tre.
25. profeta, dcKoea.
CAPITO TEKTESIMOPAIMO.
305
Bla po^ colei che di' e notte fila,
Non gli avea tratta ancora la conocchia,
Glie Cloto impone a ciascuno e compila;
L' anima sua, eh' è tua e mia siroccfaia,
Venendo su, non potea venir sola;
Però cb'al nostre modo non adocchia:
Ond' io fui tratto fuor dell' ampia gola
D' inferno per mostrarli, e mostrerolli
Oltre, quanto 'I potrè menar mia scuola.
Ma dinne, se (u sai, perchè tai crolli
Die dianzi il monte, e perchè tutti ad una
Parver gridare infino a' suoi pie molli?
Sì mi die dimandando per la cruna
Del mio disio, che pur con la speranza
Si fece la mìa sete men digiuna.
Quei cominciò: Cosa non è che sanza
Ordine senta la religione
Della montagna, o che sia (taor d' usanza.
Libero è qui da ogni alterazione:
ù:
ÓO
40
83 Me po'<»MT ma pnicbe rofri
noè la pam l«arlu>u rlif fila lo alani*
della vita d' ogni uomo. Poi per poìrkè
fa aaat» «bra volto dal IWla, e da al-
tri icrìttorì ; ed è lei. d«ll' Ang. a dì
var| altri Cadd , che lio prrfer.to alla
Com. wta poiché /ai. per pimarmela
b«M coi Boatrì lerrikli graniraalici.
26. tr^ta, tirata, tìlala la eoooe-
cUi.
27. Cloto. Altra Parca cha al na-
acara di aiaaran uuma ìiiinana §■ la
roeca di Larhesi qaclla ^nnume di ata*
■e, daraalvla fìlaiiira del quale \«n|
che duri la vita di ciasruno — impo-
«•«aoprappaoa alia mcia - eompHé,
cioè, nalnage , gìr«aMlu!e intoroo colla
mano.
28. eh' è iua € mia iirorehia-, che
è d*oiia medesima natura die la mia e
la taa, a creata tUI iiio4i>stnio Dìo.
8U. él nostro mudo et .* n<m ioten-
àt oè vede aome noi, poirlié ella échìu-
M nd corpa mortala.
il^. étU'mmftia gnla D'inf^Hmo
dal gran baratro iofernale, di cui \ir-
Ijilio abitava la bacca, rhiamuta a aaa
laaga il llaièa. — per mottrtrli ee.
Sottinl. tt camaiiBb e le coae.
33. guanto 'I pHré menar m'a
«raoto. Finché potrè- aaMrgli gnidfc e
maestro. E fuor d'allegoria: io dorè
giun|;erè la niitorale ragiooa.
55 perthè tuffi: iot. gB apirìti
chr s'a{»girano per questo moalv.'— ctf
una, ad nnn v<icr o insieme.
36 iwfino a'tu'H pie moW, inffoo
aMe radici di esso monte bagnate dal-
l'»»rean».
3T-Ó9. Sì mi die te.: €ib doman-
dando Vir ;ilin, mi iliè si per fo cruna
Dd mio liisio^ colse talmente nel mio
ilosidi'rìii, rhe ao!o prr la sperama che
il» f»itrr|iii di soililixrarlo , esso deside-
rio ffrcw nipn digiuno, meno arido, co-
minciè a i|itir!arsi on poco.
41M2 Taira non è te. Noa tì èeosa
che la rf/t'yionelVl/amontogiM. cioè
il Santo Moiitr, prnvi, che non sia ncl-
1* online e nell'usinza. In ooa parola :
nulla qui awii'ne di nnoto, fuor del-
l' ordine ciin<urto.
43. Libero è qui do ogni altera-
sfolta Qui è libero ^nota il fui accom-
pagnato detr ag];ctiivo (tòera , poidiè
queiravvrrbio rompemlìa qunto luo»
go) da tutte quelle altnaiioni a che ra
stiggetta la terra abitata da;;li uomini ,
come di trmaoti, d! fulmini , di ocb-
bfe ec.
H 39G
r
^V i^bbIo liiiig(icai'i:aL*«i>i
I
Di quel che '1 cieio in sé da sé riceve
Esserci puote, e noa d' altra cagìoDs:
Perchè non pioggia, non grando, non neve
Non rugiada, non brina pìii su cade,
Cbe la scalena de' Ire gradi breve.
Nuvole spesw non paion, uè rade,
Né corrnscar, oè figlia di Taumante,
Che di là cangia sovenle conlrade.
Secco vapor non surge più avanle
eh' al sommo de' ire gradi eli" io parlai,
Ov'ha 'I vicario di Pietro le piante.
Trema forse più giù poco od assai;
Ma, per vento che in lerra si
Non so come, quassù non Iremo ii
4t
ani itgnt di (à per II
ll[lii'iidajiir'>ru, r
uauutìim ionoB *<
t da l<ù (Lll*
Dicdniino. k
r. IH qitt
ptrpai
Ài. granila. griDdìne. No* tram-
Una o nati U Cod. Pogg.
AH. Clu la taUttla «. U hrttt
•»l(lli dei In gtldi t i|iiclli iftoti )■
purla di'l PirjatariD , Jbib ila l'Aida
«olla diavi.
40. nonpalan, bm li FaoaaTedfr*.
SO'SIJV^ corrwMar.ia l(up*niB -
rè'a^iL'hi^ino. Sk^A- la' tatoli . Iri^
leùlo. La diTaai
- Che di le, m
la nfxiilD al T. SS ( Kg. :
da SI aenla ti, the urfs,
t libar» d( ogni ailoraiivpa -.
i«k1 atUrattént, far qBtl tt
ritti* tmttdaèl, éaè riwol
Sreeo vapor, Bof laMB «ti-
rk' (D parlai Ji cU M pillai
la li lU. Trrma furie et. lai.- la ^H«
a Èf M molila >uU<'|>. tu ai tr> gradi >"P^-
lu 11 dalli loivlaltufu far UrtwaBlaaìmo-
«DgD fa. — poM od alimi, ti rìUritn ■ f<*
I ™- p», B..n tAaIrtma.
clalv 96. tu, prr cnla te. Crrdataia
I tk ttfflHU is IWISObilL
CANTO TElfTBSIMOPRIMO.
Tremaci quando alcuna anima monda
Si sente sì, che surga, o che si muova
Per salir su, e tal grido seconda.
Della mondizia M sol voler fa pruova,
Che, tutto libero a mutar convento,
L* alma sorprende, e di voler le giovar
Prima vuol ben; ma non lascia il talento.
Che divina giustizia contra voglia,
Come fa al peccar, pone al tormento.
Ed io che son giaciuto a questa doglia
Cinquecento anni e più, pur mo sentii
Libera volontà di miglior soglia.
Però sentisti il tremoto, e li pii
Spiriti per lo monte render lode
A quel Signor, che tosto su gì' invìi.
Cosi gli disse; e però che si gode
Tanto del ber quani'è grande la sete,
Non saprei dir quant' ei mi fece prode.
£ il savio Duca: Ornai veggio la rete
397
60
65
70
75
S8. Trewìaei, (rema (]oesto moo* bent) •nche priint Mlire al delo. — ma
te , • letteralmeote trema in q%teito non lascia II talento, mt non le lascia
lm§9, libera questa soa foglia , il talento, Fap-
59-60. che surga ^ o che $i mwh patito, cioè, dì purgarsi ; il qual talento
*««e.: ehe eurgm, riguarda le anime ìtt divina qiuititia, al tormento,ìù?ur'
m quel girone, il cui primo mo- galorio, pone crm(ro«oj^/ta, oppone alla
iiBBaate, eome aentonsi purificate, è Ai voglia, di' galire al eieto, appunto come
akara in piedi : cke ti muara Per ialir nel peccare su nel mondo, questo talento
Ml^ 4 ietto qapetlo alle anime degli altri fece guerrM alla voglia del bene:
o«>nrbe allira, nell'antagonismo, I
il ta-
lento si deirriiiinava al piacere; wa,
Boroiuettendiisi alla ragione, mole il do-
lore a re<linlegiare la ipustiiia.
68. Cinquecento anni e pti». Ini.
quelli paMiBli nel cerchio degli avari ore
Biamo ; elle era troppo più tempo da che
li f le quali, non giacendo, purgate
c^ aeao u mettono in cinimino verso
l'alta.— -atei grùlo. Ini.: il grido dal-
l'iaoa €hria in exceleit ee , «eco»-
^, aegnita a accompagna il tremare
dd fliente.
t^-tZ, Delta mondixia'l tot valer
•e. Goalr. a int.: Fa prora d( /(a fliond»- quell'umbra irovaxanì in Purgatorio:
xte (che ranima è monditia) il «o< vo/er ma l'aliio tfnipo l'avea passato nei
(nppliaai folira a/ cielol, che (il qual cerclij addictio. — pur mo, ora sola-
Talerc) Isilto It'òero a miKar contento raentt*.
fataaxa) aorprem/a (invade) l'alma, e 72. che tetto tu gl'intii, cha io
M volar le giova (e il tuo volere, del* prego gì' invii tutti subito al cielo.
r aniaia, ha pieno effetto, ouia le torna 73-75 e perà che ti gode ec, lot
ni fiovamanto il volere) Dirà sotto eo- fuori d'ullegorii :e perciocché l'uomo ai
mm l'aaiflia vuol sempre mutar conoen- eoalenta tanto del sapere, quanto ne è
fi^ fliaqaaato volere è conlrHRiato e vinto grande il suo desideri», non saprei diri'
dall'altro volere di m/)n</arii, e perciò quanto il parlare di quell'anima mi
BOB è aaaolotomento libero che dopo la fece prode (lo slesso che pro)^ mi gio-
pvrgacione. vò, mi recò pifcere.
61-60. Prima tuoi ben; ec. Vuol 7C-77. veggio la rete ec: vo^j^ la
398 OBL PUEGATOKIO
Che qui vi piglia, e oome n scalappia,
Perché ci trema, e di che congaudete.
Ora chi fosti piacciati eh' io sappia ,
E, perchè taati secoli giaciuto
Qui se*, nelle parole tue mi cappia.
Nel tempo che il buon Tito eoo 1* aiuto
Del sommo rege vendicò le fora,
Ond* usci M sangue per Giuda vcuduto,
Col nome che più dura e più onora ^
Er* io di là, rispose quello spirto,
Famoso asMii, ma non con fede ancora.
Tanto fu dolce mio vocale spirto.
Che, Toiosano, a sé mi Irasre Roma,
Dove merlai le tempie ornar di mirto. 90
Stazio la gente ancor di là mi noma;
Cantai di Tebe, e poi del grande Achille,
Ma caddi in via cen la seconda soma.
Al mio arder ftir seme le faville,
Che mi scaldar, della divina fiamma, U
Onde sono allumati più di mille;
Deli' Eneide dico, la qual mamma
Fommi, e fummi nutrice ix)etando:
cAgione cbe vi traUieoe leffatj e pmi ÌD 88. Tante fu éoU$ mU mmIi
ascilo oercliio , cIm è , cuiue t^c «l«Uo , jpirio. Tmilo «lilell^ il mio cani*. àMf
il ialemlo «li tódibCarc alk divint glo- clic nel Cimaiio è iaàm • SUó» tt m^
»Uxia. — « eomr ti uulappia te,: tto- mo tli doUe patU,
me coUl Mie ti apre, cuiue per voi « 89. Tolotano. Stiiie.|»eU iè qa»
cice del calappio : che ciò avviene per la ^i che qui fnveUa. Daole le.tnppoae
pnrgayioae «iropita. toloMno, secundo che a' ««ai Uw|n ti
78. Perchè ex frema, perdiè tremi credeva, e fu rredulu fiooal aaeo!a XV.
(lactto monte. — e di che eongaudcU,t De doe luojihi del libra ¥ ddUa JMm,
di che vi coogratulate, eciitaodo jGIo' opera di Stuio, ai ricava cha fa aipa
ria. Irtanu. Ma W 5flre, per cai ai
81. coppia i da capere. Fa eh' io la patria di Staitu, sua polarua»
rati capate per le tue parole, o mi coiMMciute da Daikte. e«iaa4o alala ■!>
eapiica , intenda nelle tui- parole, per- trovale cvi-e uo t^ulo dopa,
che ec. 93. Uà caddi in tdm ae. lai.: aaa
82. Tito Vespasiano, che ditlnuce detti |K>rfcx.one al Mcoiido pacaaa (d^
GcruiiMlenuiic. 1' ÀekilUide)^ poiché la viìa jmb ai
83. Dtl $ommo rcQt , cioè di Dio. hahtò.
— 9§ntiicò le fora^ teudiiò i lori, le 94-96. .( mio ardor ae. : ^al ala
Cerile «.hi; i Giudei feri'r» a G. C paetico aidoie (unuu prineipio ad
85. Col nume ce. : col nume di Poe- tamentt> le fe%ille Denalrflieàij 4i Witti
(a, il quale è pù diirevule e onora pia divina fiamma che taniì a laali ii^
I* numi! che qualfcivu|lia altro litmt o
tilalo. 07-4)8. tMmma Fwmmi, ni liaa
87. non con fede aneofm, ,nam ptr poeti. — a fumpii nulriea f
•nahe con la fede criatiana. a mi edace alla huaoe poetia, a aii fa
CA.NTO VEMESIMOPRIMO. 3'39
?(Miz' e-sa nuli fcrinai \ìQ>o di dranuna.
E, por esser vivulo di là quando icO
Vìsse Virgilio, assentirei un sole
Più etri' non deggio al mio usdrdi bando.
Volser Virgilio a me queste parole
Con Vigo che tacendo dicea: Taci:
Ma non può tutto la virtù che inu)le; f05
Che riso e pianto aon tanto seguaci
Alla passion da che ciascun si spicca,
Che men seguon voler ne' più veraci.
Io pur sorrisi, come l' uom che ammicca ;
Perchè T ombra si tacque, e riguardommi ilo
Negli oabi, o\e '1 sembiante più si ficca.
E, se tanto bvoro in bene assommi,
Dis6e, perché la feccia tua tesleso
Un lampeggiar di riso dimostrommi 7
Or .con io d* una parte -e d* altra preao: 1I5
L* una mi fa tacer, V altra scooginca
Ch' i* dica i ond* io sospiro, e sono inleso.
féò» ad eanni cbe Mrì<4Ì. — uhmiiimi alU CritteBaf die oegfi ombìdì pik «•-
k fu beUa Toee d'afTetlu e dK filial le- rmei (cioè di cuore aperto), meoo ebbe-
■amia. diacono alla vtilunlà, », non atpetUno,
tt. «m fermai ptio di diammm, per eaternarai. Tatto dèlia volootè.
DOS itabiliì nel mio pensiero airone cu- 109 /o pur torrùi. lo pare, iofe-
sa, laaaiaimaseotenxa, cbeoeirRneìde Moed apertii per natura, non ostanle
MO aveiae il prinripin e l'ispirwnoae. il renoo di Virgilio, a ai bella scena, in-
•100-102 £, per esier rtvnlo re. E voluntariameiiie Ivrì cttUl sorriso, qaal
•eeeosenlirei di pensre un giro dì side, fa talora rkì vuole awertire^ilciiao dì
no anno dì pin clie non deg(*i», io questo Vi lo, e senza cbe altri a^aecoip , di
eailio'M Purgatorio, se avessi avuta la ooalclie e sa ruriiwa , o nuiatrargli
sorte J& TÌverc nvlienipn cbe visse Virgi- d'iverla già nouta edi stesso. Jaimie-
lio. Quwla parlare, rbe stando a rigure core, e prupriaineuli* ìér cenno ciigii oe-
sarebbe «ne stolta bestemmia, è molto ohi, ma può estendersi aiu:be alla bocca,
naturale ali* entusiasmo di Stazio par IH. iVeyli oceki et.: negli oedii ,
Virgilio, e gli va dato quel peso cbe snul ore V «suettu dell' animo, 1* iotemo pen-
dersi luttogioi no a somiglianti iperboli, siero, e la passione presente fk pooe e fa
Ma ripetere la centesima volta, cbe cbi di aè mostra.
non ba a mente il doppio ìntendimeoto 112. E, te fante latoro in berne «t-
dì Dante in quest'opera, non trarrà mni gommi, ee. I^dikse: se lu d<mm condurra
OD buon aenao delle s«e immagini e dai a buon termine la grande opera iutra-
smm YerH. presa dì \isitaje vi«i»i|«esti Inogbi, per-
l04.C«iaifacfteUc«iMÌoee.,cao che ea. JaaonmMre. eondarra
fai tiaa cbe senza parlare dicea: lìaci, .aM, o a eumpmienio.
■ao miaeeprìre. 413 Icsfejo, testé, ora.
105. la tir fa che tuole, la volontà. 114. dimuiirommi, mi fa yeilara
100-108. Che rito e pianto ee. Un- aa Ismpo di riso,
perciocché il riso segue si proiitamcnta 115 d'una parte ed'aitra^ cioè
alia paasiiiar da cui ti epiecMy da cai da Virgilio e da Stazio,
procede (cioè airaUrgraua), e il piaalo 117. omd'io totpiro ee. Sospira «d
400 BEL PUmOATOBlO
Di, il mìo Maestro, e non aver paara,
Mi disse, di parlar; ntt parla, e digli
Qael eh* e' dimanda con cotanta cara.
Ond*io: Forse che ta ti maravigli,
Antico spirto, del rider eh' io fei ;
Ma più d' ammirazion vo* che ti pigli.
Questi, che guida in alto gli occhi mìei,
È quel Virgilio, dal qual tu togliesti
Forza a cantar degli uomini e de* Dei.
Se cagione altra al mio rider credesti.
Lasciala per non vera; ed esser credi
Quelle parole che di lui dicesti.
Già si chinava ad abbracciar li piedi
Al mio Dottor; ma e' gli disse : Frate,
Non far, che tu se' ombra, e ombra vedi.
Ed ei^surgendo: Or puoi la quantitate
Comprender dell'amor eh' a te mi scalda,
Quando dismento nostra vanii ate,
Trattando l' ombre come cosa salda.
i»
m
i:jo
1»
coDtrtslo io cui tono tra il tacere die
Virgilio TQole, e il parlare di che Stazio
mi prega. — e fono itUetOf iot. da Vir-
gilio. Quanta natura, quauto affetto in
qneala acenal
-118. Di, U mio Maestro. Coatr.:
Di, mi ditt$ il mio Maestro^ e tum
ater paura.
424. guida in alto gli occhi miei ,
cioè, ffuida me a vedere in alto ^ o le
marangliedi lasaù.
42S-426. dal qual tu togligli
Porta te: dal quale tu toglieatì ardore
poetico e stile a cantare altamente l« ge-
sta degli nomini e degli Dei. Ho preferi-
to questa Ics., elio si «pnaggia a molti e
buoni Codd., alla com. Porte a cantar.
428-129. ed e$i€r credi QuelU
parole «e. Ed abbi per fermo , caaere
stata cagione del mio sorridere quelle
parole che di lui dicesti, non pensando
eh' ci fosse qui predente.
450. ad abh-aeeiar K fisM, in
segno di grandissimo rtwctto ; ed è là
appunto dote il minor rmppiglim.
434. eh' a le mi scalda, che ai fa
caldo Terso di te.
455. diimento notira vanitmte,
cioè, dimentico che n« aiamo ombre
vane, impalpabili. — diswtemtù da di-
tmentare, che vale lasciar cader dalla
mente, dimenticare.
1 36. come cosa talda, come m fea^
acro corpi.
CAirao VEiirrESiinroi^ECOxuo.
iVW ttmt^» c*v M/fono «# mm» giroM, Stmu9 mmrrm m t'irgtUo ««ai pttetti rmUàam
immgmmmf m fmrtmtonm, • t«m» «i pmynmisM mttm esf miuom» rf«/to /#rf# erutimmm.
m hu mmo99 yiigilio et mtotu fmuU • fumimi pt'tnmmgg* dh* jmo ««f liiaito. Gwatf i
• ìmm mUmmt fmsM m dtMrm, amemmlrmim m* mlètn pieno d*9doi9§t JMM^ éi
M*M« iritmmt mia md uurgmmr tfmptrmmuu
éè
Al
Già era l'Angel dietro a noi rimase,
4. Già tra FÀngel. Il Poeta mm parìr dell'Angelo, il ano fulgara te.;
^-^ qui, come l'altre volle , l' ap- na ai coulenta d'aecennaro die qocfto
CANTO TElVTBSllIOSECQinX).
L'Angel che n' avea volti alRsto giro,
Avendoini dal viso un colpo raso:
E quei e' banno a giustizia lor disiro
Detto n' avea Beati, e le sae voci
Con siHuni, senz* altro, ciò fornirò.
Ed io, più lieve cbe per l' altre foci,
M* andava si, cbe senza alcun labore
Seguiva in su gli spiriti veloci:
Quando Virgilio cominciò: Amore,
Acceso di virtù, sempre altro accese
Pur cbe la fiamma sua paresse ftiore.
Onde, d* allora cbe tra noi discese
Nel limbo dell* inferno Giuvenale,
Che la tua affézion mi fe palese,
Mia benvoglienza inverso te fa quale
' Più strinse mai di non vista pm^na,
Sì eh* or mi parran corte queste scale.
Ma dimmi, e come amico mi perdona
Se troppa sicurtà m' allarga il freno,
E come amico omai meco ragiona:
Come poteo trovar dentro al tuo seno
404
iO
15
20
coM cnao gii «Treoate, • ci porta ho-
s'altro Inngo la acala cha oiena sul s^
flUcardùo.
5. M» colpo rwo, due, 000 da'?
limfc alici, da* quali è dello altra Tolta.
li dùana eolffi parche araoo Impraa-
maak fatta colla punta della spada.
4^. È l'angelo cha canta qodla
Mia otta ^attitudini che raccomanda
Faoiero dalla giustizia ctiolraria al Ti-
no ddravarìsia, cha è madra d*ÌDi-
^«iti. Caatr. a int. il ternario coai: E
gik I'AbocIo na avea dello esiar boati
^«ei a* hanno lor destro a giostiàa ,
aoè| gialli i coi desitJerj son volli alla
^ostina ; a la soa ▼• ci fornirono dò ,
qoasta aantaoaa , colla parola sola <i-
ffmf , dBecndo : Uroft qui f muiiT ^
•Mtea, omettendo eiuriunt, rìsarbato
■■I rtrchio soperiora dei golosi . doTO
ai adirà Brmii qui tstwvM jmMiam.
Vadi verso nlt.yCinto XXIV. Questa Ira.
è dd testo VW., del GkI. Fior, a d'aU
tri aneora da me veduti nella Lanrea-
giaBB,o mi par di tolte la mtgltora. Co-
iBOBemente si le^^e: E qud ^ hanno
m $iuttizia (or ditiro Detto n'titean
Beali, imleiu» 9oH, Con dlio, o io»-
%' olirò eia fornirò. La aoto dalla gìa-
stiiia la opportuno eoalraato colla Ida
caecrandrt dt-lForo.
7. piA lieve, fatto più leggaro par
V altro P cancellato. — foei/U Ofor-
tare dove sono la scale.
"8. /a6ore, fatica : ^ il lai. loèor.
9. gli tpiriti veloci, doè, Yiry. a
Staso.
40-42. iaiora, Àeceto M efrlft.
Amore nitissi» da Tirtooaa cagiaat. Sa
alcuno ama nna persona perchè ia ama-
sia è virtù, l'amato, coma coooaca Pai-
trai amore , è costretto a riamarlo. -—
parette fetore , si paleaassa.
ÌA. é'Moenola fiori poco dopo Sia-
no, e li'dò la Tclia:de, nella ^aie Paa-
tore mi stra giande affesione a Virgilio.
10-17. /^« quale te.: fo fafa ^ala
più strinse alcuno. Fu della aiaggiori
che mai si scntiuero per panoaa ooo
cooosriuta che per fama*
\ 8. mi parran ee.: mi parraa aorta
^«eata arale, pei diletto che ho di aiacr
tcco.
22-23. Coai^ poleo Irocor «e, ixaar
DEL PURGATO* in
Luogo avflF^rìa, tra cotanto °emio,
DI quanta per Ina cura toftì peaof
Qnesie parole Stai io mover fenno
Un poro a riso pria; ptwria rispose:
Ogni tuo dir d" amor m' è raro mnDO.
Veramente piii volte appaion co»,
Che danno a dubitar falfa malPr»,
Per le vere cagion che son nascose.
Lj (uà dimanda tuo creder m'avTpra
E«ier, eh' io to^ avaro in t* altra viu,
For» per qnelta (Cerchia doy' io era:
Or sappi eh' avarizia fu parlila
Troppo da me, e qoesla disrtiisOTa
Migliaia di Innari baomi ponila.
E, se non fijsse eh' io drizzai mia cara,
Qusnd' io inlegi li dove In ehiamc,
Cmcfialo quasi all'omana natura:
Perchè non reggi tu, o sacra fame
Dell' oro, l' appetito de' mortalit
Voltando «eniirei le giostro grame.
ioHngtachrStafififriipiieialt JO-il. frrcM KM
mnrlalli peflara t^il, Mrl J««l*
iiK'iile •' iniirprrli : fuié M« e^f»
.I.J,'LMhlMMl
■ pitiiU: Ih f«M «'uria, r rhr «irliu
F M iwMhii rUiitrvit. ri ujri«qui r*-
fc((w>. Or. MpM IH, Hb. L
f - sa. «4i(iu di iwwr<,*«. m-
[ Ai! «4.n«i..»<, di «.«, io .i»«i.
L hatrkinng pnxiu.
r > iT. <Hnal m<a etra, m nmdi,
n. «r^dfMW, ta gridi , la wlb
■..■'■ Dail. ^uH p""l« ewlintorr»
l>Lf SUlii> (oniprru , Atri f^—J—-
rtt* aiìpìip p*r hnrift4(fn ►pi*'*™'
42 fnftBBJn te. Sf «n» f«^ **•
, rfriiMi «.(»««. i"^;^,2riE
lo*o fiF.1 i.fr K»" " F»W«. *^.'f"
.ri l.,ll'|il-rl,.. [, . it. ■••n .i prt«t^u
CANTO ▼ENTKSIMOflMOIirDO.
408
Allor m'accorsi che troppo aprir l^aH
Potean le mani a spendere, e pentèmi
Cosi di quel conte degli; altri mali.
Quanti rifurgeran'CO* crini scemi,
Per rignorama, che di questa pecca
Toglie il pentir vivendo» e negli estremi I
E sappi che la colpa, che rimbecca
Per dritta oppeeizione alcun peccato,
Con esso insieme qni sDovende secca.
Però s* io soo tra quella geate ^tato
Che piange 1* avarìzia, per purgarmi.
Per lo contrario suo m'è incontrato.
Or, quando tu cantasti le crtide armi
Della doppia tristizia éi Giocasta,
Disse 't Caolor de* bacolici carmi,
Per quel che Clio lì con teco tasta,
Non par che ti faessa ancor iéd^
La fa', senza la qoal ben fiir non basta.
Se così è, qual sole o quai candele
Ti stenebraron si, die tu drizzasti
Poscia direlro al Pescator le vele?
Ed egli a lui: Tu prima m* inviasti
Verso Parnaso a ber nelle sue grotte.
45
60
65
80
65
45. mpHr roH: netaf. tedi. <!•••
taMtk, «■!• «ini tìUargùrii. -^punièmi,
mi pimUi, da pentert.
46. amanti ri»nrg9ram et. Vedi
a Om$9 Vii àtìì Inferno, rtrm 57,
«▼« èu9 che ì prudi (rhi risweiltmuM
Btl A Sade roi espelli mooi.
47-48. Per Vignorantm fé. ttt
PifioriMi dw la prodigalità aia Mcca-
!•; la fwde Ignoranza, tneeeoaBbÌM, t»
fia ai pnMli|o il pentirai maalra TÌfa^
a io vaaCa di omrta.
49-ai . te colpa, efca Wia^aaMi mJ
la ealpa càa diriltanimta è aontrarìt ,
appoata ad alcan peccato, aiccoaw è la
pradifalili all'atariiia, f«t tmm muda
, cioè , aa eooaoaia par la pai ga>
aal laofa atcaao av' è paàita il
io aao cofiÉrai io. Avviene aal Par*
ic Dell' lalenio, dora alanoo
ì piadi^i e fli avari.
95. la «rada mrmi , la pnjpN dai
doa SglinoU di «iacaeta, Eteaela a ^
liaice , eha per empia sala di rafao fi
trnridaroDo.
paccato
sa. DeUmdopjria tHsMm. I*t.: i
dna triati ed empi figli di Gioeaate, dap*
pia aagione dì dolore alP iaielicaaiadra.
97.il Cantar ae. Virgilio , caafara
dalla BaroKca, o aia da' varai |>aatoraii.
8S. CUOi la maaa cIm Staaia iavoca
ad principio dalla Tafcaida. — -
f«al ek§,... leco teato: aeeaadb i
aha alla taeaa; eiaé per la aaala fa
poetiche , le quali aentaaa dalla aa^
daaae pagana.
SO. La ft^, ac., la feda criatiaaa.
6I-G2. ^tiol sole o qwti candd§:
à^è^ foal edeate o qual tarraao hane?
nalaaeàrartm, ti lohar la taacàra dal
gaaCìlcaiiBo. — emmd^m è dal aaiidart
lat, «pleridar ài lacai
as. etl Fwuatcr, a 8. Piatra, aW
la peacolore in Galilea.
64-6a. 7W pWiiaa ai'iavteKl fé.
Tb prìoM (lo ha dtftto aache aa^pra^ai 1^
caati poeta, a poscia ai'illaaiiaaali mp»
praaao Di9. aiaè aeUa viadi Ma, o-ail
anilar dietro a Dio. Per te poeti /M»
par li crtfMaaa, diri pia folto. — op-
404
DEL PUBOATOBIO
E poi appresso Dio m' alluminasti.
Facesti come quei che va di notte,
Che porta il lume dietro, e sé non giova.
Ma dopo sé fa le persone dotte.
Quando dicesti: Seool si rinnova;
Toma giustizia e primo tempo umano;
E progenie discende dal ciel nuova.
Per te poeta fui, per te cristiano:
Ma perché veggi nie*ciò eh' io disegno,
A colorar distenderò la mano.
Già era il mondo tutto quanto pregno
Della vera credenza , seminata
Per li messaggi delP eterno regno;
E la parola tua sopra toccata
Si consonava a' nuovi predicanti;
Ond* io a visitarli presi usata.
Vennermi poi parendo tanto santi.
Che, quando Domizian li perseguette.
Senza mio lagrimar non fur lor pianti
E mentre che di là per me si stette.
70
7S
IO
S6
pretio Dio, •lenoi ipiegano, dopo Dio,
padre dei lami. Li Ice. die eegao nel
seno 66 è del God. Caet. La coniane
era B ftrima te. Si faoda attenzione
agli effetti che Stazio afferma prodotti
in Ini da Virgilio; e ai fedrk eonc i
poeti (parlo dei grandi), aacerdoti ab
antico delia Borale e civile tapienn ,
ritraggono feramente chi ben li atndia
dal vizio, gnidann alla cognizione del
▼ero, e danno anche tpeno PupirazioBe
dei canni. — grotte, gli antri leereti dd
BMwte Parnaao.
69. Ma dopo fé, ma dietro aè fa In
portone dotte, scorte, ittrnite del cam-
mino.
70-72. Seeoi $i rinnova. Sono i
▼erti ttetti di Virgilio ncH' Edoga IV :
Jfogmw ak integro tmelorum im-
teitwr ordo' Jam redit et Virgo m.
Questa profezia tratta dai libri Sibil-
lini è applicata da Virgilio alla na-
tciCa del tiglio di PoHione^ ma ▼aij
aerittori oninarono che Coaae nn eano
al Anno Miparatore. Immagma Danto
dM ancha Stoiie la intendcaaa in qneato
75. J Mitrar ev.Avcadodctlopr^
meciòeh'ioditegn», iaraeafidiraci*
che io etprimo, proeegne ora la metafo-
ra dicendo A colorar ee., ìnweem di di-
re: mi stenderò a narrare pie laifa-
r.
mente. Il disegno adombra la naia, • t
colorì l'avvivano.
7S. Per ti wusiuggi et. Il farbn
gr. ùitovTg > >w , donde la roee «pMte-
M, vale mitto.
79. E ia parola t.,laiopraddaHa
profezia della Sibilla.
80. eoneonava, combinava , ai rv
acontrava con qod che
i Apoatoli. — 5i, cos\,
er lo più IcfiRcsi Si
non troppo bene, a parer mio.
81. «lafa. usanza . I partiópj pan-
tati tanto al mate, die al fam. ai Ma-
roso antic per nomi. Cuak Q deiUmeh
lo, il cogitato , la gelata , la MijMfte,
per deelino, atgitoMiom», gelo^
ffistone. M
83. AMNisIm, imp. «rem
dì Vespatieno, moate la aatendt
cazione contro i Crittiani. f^
Milla ine del primo teeolo.
91$. gmemtrackedi'là 09,^9
tra fui in vita
CANTO TB!fTB8Ill05EC01fDO.
Io gì! sovrenni, e lor dritti costumi
Fer dispregiare a me tott' altre sette;
£ pria eh' io condacessi i Greci a* fiami
Di Tebe poetando, ebb' io battesmo;
Ma per paura cbiaso Cristian fti*mi,
Lungamente mostrando paganesmo:
E questa tiepidetza il quarto cerchio
Cerchiar mi h più che M quarto centeamo
Tu dunque, che levato hai '1 coperchio
Che m'ascondeva quanto bene io dico.
Mentre che del salire avem soverchio.
Dimmi dov* è Terenzio, nostro antico.
Cecilie, Plauto e Varrò, se lo sai:
Dimmi se son dannati, ed in qual vico.
Costoro, e Persio, ed io, ed altri assai,
Ri<«pose il Duca odo, siam con quel Greco,
Che le Muse lattar fùii eh' altro mai,
Nel primo cinghio del carcere cieco.
Spesse fiate ragioniam del monte,
C* ha le nutrici nostre sempre seco.
Euripide v'è nosco, e Anacreònle,
Simonide, Agatone, ed altri pine
88-89. B pria ch'io etmdue$$ti te.
Vasi £re : primi eh' io compoiein il
ftwàm 4oft narro la tpediiioae dai
Gr«à contro Tebe. Alcuni, alando alla
lettera, intendono precieaoienta del IX
li^. doffo narraai qoe»to fatto. È tr^
^Mte ai poeti dire che fanno munto
DUTtan. Virgilio ad etprimaro die Si-
leno narrava la coDTeniooe delle EliadS
in enfani, dice con timil modo : Fum
Phmtkomtiadat muteo eircumdat amth
rm CarKdf f atquo toto proceroi ori»
§ii minai. Ed. Vi.
90. dUmto, oeenlto. — f^'mi, fai-
Bi, au Itti.
91 . iMngaminU moitrando , ia-
per aMlto tempo d'
105
SO
95
iOO
108
99. H qu&rio urtMo , ore ai pa-
l' accidia. ^
95. CercMarrgirare. — ]P<« dba 'I
faarle ccalMmo, pia di qaattro volto
cenf anni.
94-95. IcMlo Jba< 'I toptf^Uo
Che 00,: bai levato il velo che io aveva
^Daaa agli ocdii ddl'iotailetto, e che
mi tofTieva di aoer|ara il baae A ^Uk»
de , «il eh' io ti ragioBo , cioè la verità
delle fede crittiaua.
98. del jai^re aveai MMrdkto,
doè, di salire, o per adire, abhiaoM più
tempo che non abbiaogna.
97. rcreasio ee. Tereniio, Cedlia
e Plento, poeti latini notiaaimi. — Far-
ro, >arrone, scrittore latino famoao per
dottrina e per emdiiiune.
99. in qual vico, in ^aal eontra-
da, io 4|nal oercbio.
40i-40a. eoa quei Greco, Ch§ it
Jfaec «e. Con Omero , coi le Mane aa*
triroBO, pia cb'dtro poeta, ddWra
latto.
404. del aMmie, dd Pamaeo, —
C Jba le «alrùrt aof Ire eempro aeeo,
ove ebitanocuotionemente le Mane, aa-
triodi noi poeti.
408-407. i^ariiKdc. atenieaa, aa-
tìsdmo poeto tragico. Invoca di Amm>
croonio varj testi hanno ÀnUfotUo,
poeto tragiro lodato da Ariatoteto o da
Platorco. ^Siwttmido ed ÀgaUtm, et
tri poeti greci.
106 ML PIJIGATOHIO
Gredt che gii di lauro oniar U fnmte.
Quivi sì veggìon delle genti tue
Antigone^ Deifie ed Argia,
Ed Ismene si trista come foe.
Yedesì cpnlla che roo.itrò Laagia;
Evvi la 6glìa di Tiresia, e Teti,
E con le suore sae Deidamia.
Taoevansi ambedue già li poeti,
Di nuovo attenti a riguardare inlorao.
Liberi dal salire e da* pareti; (*)
E già le quattro anoelle eran del giorno
Rimase addietro, e la quinta era al temo.
Drizzando pur In so 1* ardente corno.
Quando*! mio Duca: Io credo eh* allo stremo
Le destre spalle volger ci eonvegna,
Girando il monte come far solerne.
Cosi r UAnza fu lì nostra insegna,
E prendemmo la via con men sospetto
Per 1* assentir di queir anima degna.
Bili givan dinanzi, ed io soletto
Direlro, ed ascoltava i lor sermoni
Ch* a poetar mi davano intelletto.
110
115:
no
i2b
400. dM9 gnUi $me, cM è»'m«f
•oaagtp é» to caotati oeUa Ttèaiié •
néiVAehiUeide.
440-141 . iinfi^oiM, figlia di Edipo
rediT«^.~An/lle. fioliuoU di AÀf->
•lo re degli Argivi e muglia dì Tideo,
ano d«' latlr che aaardiauMe Tebe. —
Argia, altra figlia d'Adratlo, moglie di
Polinice •— Untene, figliuola di Èalipo.
4 42. auellm eh» moitrò te. iiible
figliuola di Toante re di Lenno. Fu dt'
corsari Tcmluta a Licurgo di Nemea ,
ed ebbe a nudrire un iiglinido di liii
chiamalo Ofelte. Slava o» giurao fuori
della città a diporto col fanciullo ìd eol-
io. Adrasto assetato pri>i;clla d'inscgoar-
tli una fontana: orni' ella, depoalo il
bambino, corse a mostrare a quel ri It
fonte Langia. Tornata «1 fanciulW , il
trovò morto pei morsi di una aerpt.
443. Ui fifiia di Tiresim: non
piCtBdo qoeaU esser Manto, prrrbès'è
pk fednU Ira gl'indovini ndl'lniirM,
ptrt cbo debba aaaere o Dafm o IbIù-
rWf, Mainata da pMitaia. — T9tL
U madre d'Acbille.
V
417. Ls*eri<te/«alirt, pOT
finita It scala, e liberi dalU pàroU, éù-
le spoBde, frt le quali ara aeiTata ama
acaU.
I*) Sesto girone.
I48-H9 le quattro muaUaae. la
E altro prime Ore del giorae avean gib
Ito il loro senriiìo, ed era al tiAaoe
del carro solare la quinta.
4 20. r crdenle comò, la wiata 1«-
■ùttosa del detto limone. — Mhintm
do..., im $u, per talire ferte il Meri-
diano.
421-425. /o rre^ ec. Ini. : ie cre-
do che dobbiamo camminari tencode
il lato destro %olta alta ealrenilb del
menta , cioè, al di fuori, cene abbÌBBe
fatto kio oia, seguitando gP ìaacg;Ba>
■aenli degli spirili , ai q«ali m1 K*^
denta girone domaiylamao delia tìa
pii corta.
4M. (a n noitra ituagma, fin li b
BOilra guida.
Àie. midatanoimUUetta^wkafri'
viB la mante, mi daVAM runpii
• poetare.
CANTO -vnrÉniiosBcoNDa Wl
Bfa tosto ruppe le dold ngìoni loO
Uijf^ alber che trovamiio in mezia lirada,
Goò pomi ad odorar soavi e bvoaì.
£ come abete ia atto « digrada
Di ramo ìd ramo, cofi quello ìd paso;
Cred'io perelié persona ra non vada. i%
Dal lato, onde il cammin nostro era chiosò,
Cadea dail* alta roccia un liquor chiaro,
£ ai sipaodera iper ieiD|gUD sBse.
Li duo poeti air alber s' appressare;
Ed una voce per entro le fronda .-: |40
Gridò: Di qveele dbo avrete caro.
Poi disse: Più pensava Maria, onde
Fodfier le oezze oirevoii ed iatore,
Ch' alla eoa becca, ch'or par m rìeponde.
E le Romane antìeha per lor bere i46
Coutente furon 4'«cqn, e Daniello
DL'prepò dbOf ed acquistò eavere.
Lo sccol primo quani'oro fo bello;
Fé saporose con fame le gWande,
E nettare con seta ogni ruscello. ihO
ÀoO. ragioni, ragionameoti.
-451. in mexsa strada, in mesco
«Ila strada.
433-155. E come abettte. E modo
Fibcte molte i suoi rami tempre più sot-
tili tir alto che al basso; cos'i quell'al-
bero li nicttcTa più sottili pretto il
trooeo e li veniva iDgrossaotlo « mano
a BMOO verso la cima , accioocbè per-
sona Don vi potesse salire. — in alto
ii digrada , va scemando per V insù ,
4al paiif alla cima. — cofi qmiUm i» .
finio, cooì quello digradama im eema
«ffNNIto, per lo ingiù.
436. Dal Ulu oc., cioè del eÌMetre
Into . ore il muote faceva sponde ella
strade.
444. anr^eearo, evrrte caretlie,
ma serale priveti in pene delle gidoeìtk
a cbe siete penili ie questo cerchio.
442-444 Più ftematm Maria te.
Ecco gli eteaepj della virtù cunlraria elle
foia, llehe elle D<«ze di t^ena, più cbe a
mangiare, pensava a far si cbe l« apaeo
una avesae vergogna per U manoenze
del vino, e cbe il convito eoJeaee b^
ce. <— tW or ptr toi risponde: la
qnel eoa boeca ora rìtpeade per toì j
opponendo il merito delle sne virtè ei
▼ostri eccessi, e implora ndoveoe it per-
dono. Mene è rìgnerdeta dalle Chiese
come evvocela dei peecetorì penitenti.
Il Biagiolì costruisce le frase coti : Jfo-
Wa, die risponde ora per w>i, pensa-
la piii se. Non ai per che vi sia biso-
jgno di scompigliar tanto U perìodo.
4 15 E ie Romane ee. Le donne
romane non cottomavano di ber vino ,
secondo che ettctta Valerio Memimo.
44C. Dmniello, eoi tre fencinlli saoi
cenpegni, ottenne di peteerti di lega-
mi, in\cce della squisita vivande offer-
tegli de Naburoedunneor, e per eie eb-
be da Dio la grezie di epprendere ogni
Bcience.
4 18. Lo eeeoi primo, cioè il saeol
d'oro.
449-4 SO. Fé savorose oo» fame
ae.: in quel eccolo la feme lece perere
saporite te ghiende, e le sete fece parer
Béitere Tecque. Hehesìgnifice cbeoon
si mangiava né ti beveve eba per bieo»
gno , non per gole, ttodioss sempre di
nuove delicanze.
DEL POBGATOBIO
Mèle e locuste furoa le vivande.
Che nudrJi'o il Balista nel disertoi&^
Perdi' egli è glorioso, e tanto granm.
Quanto por 1' Evangelio v'è aporto.
lur» tr. i fieli"'
d'Eli
IS4.«
CASTO VEHTE§DIOTEn3EO.
Mentre che gli occhi per la fronda verde
Fiorava io cosi, conae far suole
Chi dietro all' uccellili sua vita perde;
Lo più che padre mi dicea: Figliuole,
Vienne oramai, che '1 lempo che c'è imposto
Più ntilmenle compartir ai vuole.
r volsi '1 viso e il passo non meo tosto
Appresso a' savi, che parlaian sie.
Che l'andar mi facén di nullo costo.
Ed ecco pianger e cantar s'udie,
Jjtbia mea. Domine, per modo
Tal, che diletto e doglia parlurìe.
0 dolce Padre, che é quel eh' i' odo?
Comincia' io^ ed egli: Ombre che vanno,
Porse di lor dover solvendo il oodo.
Si come i peregria pensosi fanno,
Giugnendo per cammin gente non noia,
5. CMiltolro aU-%tuUin: il n^
del «Imo SO. CoiK-iene «Ilo IDima A
clalniv, cha trns' coli' ixxhìn In le
eolurD ohe tarDao aoIi«Ì,slBaedinaB
inadiatll'ilbero Pt-ibbit «sdulo po-
d.r>i dei p^ciln, l'gpiìn^ .Ile Indi dot
l'illìuim» quelle lil>br> che hm w
4. Figliaoh. Molli nomi prwio gli
tcrchiemouleiperto por ingordigì* dei
tiOÌM ■•OB doppi. (.nDiniiÌDne in o
.:.bi.
n. Tfil. cfie diUlte t degli»' c>p-
r «litui* per fgtmoU à Itege ...ch«
riipoodc al canlara e al plasgtn Ai •»-
■:/proK.
pri, — parturic, piilurì, cngìiinb.
B. tht '1 Umpo tht c'd impB$lo.
IB. di lor deitrtelvtndo illuda,-
<li* d 1 HHinllo Ddr tiiiliro q>i«lì
luonhi.
ccdJ- per il loro pecuta ilU diiw»
fi. Pia iiribMOtf et.! dteu dir* «
giDiiiiia. -^^
•OM T>* ««li.
46. p.»»ri, «capali dilf^H
•;•*•■■■'■
dei loro l^M
M.Labiomta, H, È >n t«rHll*
n. Cl<'3n«i<lti, t(;g)Sul«^^H
CANTO TBlfTBSlllOTBHZa 409
Che si volgcmo ad essa e non ristanno;
Cosi d^jstro a noi, più tosto mota,
Yenendo e trapassando, ci ammirava 20
D* anime torbfc tacita e devota. (*)
Negli occhi era ciascuna oscura e cava.
Pallida nella Accia, e tanto scema.
Che dair ossa la pelle s* informava.
Non credo che cosi a buccia strema * S5
Erisiton si fusse fiitlo secco,
Per digiunar, quando più n'ebbe tema.
Io dicea, fra me stesso pensando: Ecco
La gente che perdo Gerusalemme,
Quando Maria nel figlio die di bepoo. 30
Parean l' occhiaie affolla senza gemme:
Chi nel viso degli uomini legge omo.
Ben avria quivi conosciuto T emme.
Chi crederebbe che 1* odor d' un pomo
Sì governasse, generando brama, 35
E quel d* un* acqua, uon sappiendo comò?
49. ptii lotto mola, più presto moi- Bltria (ii«bilt donna di G«mMlciiime)
sa, DÌà celere nel pasfto, ebe noi. toIm la iKMJca a farti puto del proprio
24 . kurfMi tacita. Qui lo animo por- figlinolo. Accenna all' aiaedio di nto^,
ganti andavano tacitoinente ; poidiA tu eoi è da federo Gioseppo Flavio. —
pini^fano e canUvano solo quando noi- dii di becco,, è metafora tolta da|di
rnnirarn pel balio giongevano preaao uceeUi, ad indicare l'impeto di qaelln
F UMTo miktorìoeo. donna divennta deca o beatialo per
f*) Si porga il Visio della gola. fama.
32. Ncgii occhi..,, otcwra a ewm , Z\ . Paream V occkioù, la dna ea-
eogli ocdii incavali o affoaeati , a per- vita degli occhi paroano dna analli dal
ciò non splendenti. coi castone fossero stato levato lo gem-
25. fctma. Int. di coma , cioè , aa- ma ; perchè gli occhi arano tanto in fondo
sai dimagrita. che non « vedeano.
24. Cho dall' otta ce., che la paUa 32-35. CJU nel vito dsgli ftomi-
prendeva la forma koIu dalle ossa. ni ec. Trovano alcuni nel volto umano
25-26. iVoii erado cAeec. Non credo la lettera Jf, fra la gamba di eoi an-
che Erisitone ridotto per digiuno a non no frapposti due 0 , onde l^goovi
nvcr più ehe la prima pelle, fosae diva- omo. I oue 0 sono gli orchi : VM toc
nnto saceo cosi (come quelF anime) p«r masi dalle ciglia a dal naso. Qaasto
qnando, vedutosi privo di tutto, ebbe lettera meglio appariscono noi volti
a temer maggiormeote gli orrori del di- scarni ; e perciò il Poeto dica cba ia
ginno. — frutto» , uomo di Teasaglia. quali' ombre macilenti ben ai Barabba
Dicono i poeti che spregiasse Cerare a coaoeciuto l'esima,
vietasse che le si facessero sacrificj ; per 54-36. Chi crederebbe ae.; chi ara-
che la Dea acdlò in lui fame tonto rab- darebbe (ignuraodooe la cagione) che
bioaai che lo spinse a consumare ogni 1' odor di uu pomo e quel di ao'ac^na
ano avara, a poi a volgersi co' danti in Si gotematte, conciasse cosk, cioè, an-
se slcaso. tonto dimagrasse quelle anime col gaaa-
2S-20. Ecco La genie ec: GÌoè,eceo rare in csae il desiderio? — conio è il
qnal dovea essera U gento ebrea, quando ptomodo de' Latini, oggi coma.
410 BEL PVAGATORIO
Già era in ammirar che M gli afiEima,
Per la cagione aMor «on maniteta
Dì ler mayeaya e^li lor trìsU aqwfloa;
Ed ecco del profendo dalla testa 40
Volse a me gli occhi mCom^, e guardò fiso;
Poi gridò forle: Qual graaia m* è queata?
Hai non V avrai rioonoecialo al viso;
lA nella vece ana mi ta fnìesa
Ciò che r mpt/6io b sé avesf oanqojào. a
Questa Cavilla tutta!' bh raccese
Mia conoscenza alla cambiata labbia,
E ravvisai la foorìa éi Forese.
Deh nao contendere «11* asciatta scabbia,
Che mi scolora, pregava, ia patte, to
M a diietto di cai*ne cbe io abfiia;
Ma dimmi il ver di le, « chi son quelle
Due anime che là ti JaMio scorta;
Non rimaner che tu non mi foveHe.
La feccia tua, eh* io lagrìmai già morta, ho
, Mi dà di pianger mo non minor doglia,
Risposi lui, leggendola sì torta.
Però mi di, per Dio, che si vi sroglia;
Non mi far dir mentr* io mi maraviglio,
57-99. Già ero ec. Gik, per ooo e»- cmì miraviglrato, •WmteùUim i
■ermi noia li ca.'^inne della loro mai^retn alla «ccchctya, che mi iaiuma le ftlle.
e della loro trista sqttama (della lor Contendert irate Unitrt tmm tmU9 U
pelle cua'i iaaridila) io mi alava pieoo di forze; e qui esprime U alorfo MI' at
■iaraTÌglia,eciiri«iiodiaaperecti«taDto tenKiniie per ravvivare U peraoiia ia
affaiuatse quagli «pinti. quello sli-umt iiiutiiiiinrto. U G»d. Cl^.
40. dfl profondo te., dalla prò- ba éfh mm intemdert. Ckiaai p*n
fonda cavità ove »Unno le pupille. asriutta ieabbia le arsirfit vm^ko ddla
42. Qual grazia ee Queste parole pelle aderriite alW easa, • eko ptrcvan
dnii<<«tranii che l'Iia ffià ravvitato. tante •i|uaiiie.
4-1. M/m nella futre ee. Mm la voee 54 Aun rimaner ce., Doa a^r di
mi fé palese U pvi-^ima, 1' individuo, favellarini.
che io non avi>a pniuiu ricont«tere al 5&. rh'io lagrimmi già morim, e^
viso, dove erano rom/n ifi. ramelUti, morta io lia(>iiai di iacrioM. È Doto il
distrutti, tutti i liiiemiiriiti primitivi. eaetunie degli antichi di piangere aal
46-47. (Juesla farilinee 11 tuono f ullu dei i-ari estinti,
della voce dell onilira fu una farillm cbe SiS. nui. «uà. — «oii minor dofli»t
babtò a riarceuilere lutili la ima cuno> che allora rhe morì^ti.
tceniaversuquel volli» tfn^^in|«Wmato. 57 lorfe. «formate.
48. Form, liurentinv. «Iella fami- 5H rfcr «4 H «/oy/ia, qad ceee lì ri-
glie de'llunnti e fratelli! di M Cono daceairi*Mi.«itpu{;lie,e^aairiyV«i-
e di fSeeerda, ed aniieo e pareole di d« «Iella carne: niclaf.lvlfcedall'elber».
I>ealc, erendo quegli in meglio «M — per Dio e qui preghiere , «ea già-
iìemma dei Donali. rementu
49.11011 cofilcuderv, Dea btdere ÌM-QO.Noumifaréirm^moè,uin
CANTO inilTflSIMQaEBIO. 444
Che mal pvò dir chi è piai id* alba logOa. 60
Ed egli a me; Dell' eteriK) oonaiglio
Cade virtù nell* acqua, e afilla pianta
Rimasa addietro, ond* io ai mi settiglia
Tutta està genta che ptaagendo canta.
Per seguitar la gaia olire misura^. 65
In fame e io aate qai « rìia aaata.
Di bere e di mangiar n- accende cura
L* odor cb* eara del pomo, e deilo;aprazzo
Che si distenda aar par la verdara.
E non por «na ToHa, queato apaxio 70
Giranda, ai rinfróca ^M« pena; '
Io dico pena, e favra dir sotlazsa;
Che quella voglia all'arbore d mena.
Che menò Crislo baio a dire Eli
Quando ne libeié on la sua vena. 75
Ed io a Ini: Foraae, da qoel di'
Nel qual mutasti mondo a miglior vita,
Cinqn* anni non aon vaiti inaino a qni.
Se prìma fu la possa in te finita
Di peccar più, cbe sorvenisse V ora so
Del buon dolor cb* a Dio ne rimarita,
f olere cbe io U parli di quello che mi hai num ad aaaart aaddiafatta la
d—andito y neatre io tana pàaao di divina.
marafiflia: prrckà omI dqò f9rì»n 79-74. Che ^mlimwogUm
chi ka l'aoÌBo accapato d' dir» 4aai- alo In BMvato alla crvca dal émiàerìù
àwù. ardcate di add>iUre gli oomiai caa Diot
ai-SS. DelVeUmo eona^Uo «e. a boi aimUiaeDU coadaca «ir alkar« il
Dalla divisa gi«*tiia che si diapasa , datidarìo di todiafara ^1 oaatr» pae-
•aanda ac. — ond' io A mi toUigiiày par cala alla divina (pwtisM. •— Eli , Eli
tm w divento ti ararso. lamma subaehthami^ —a» parola die
65. Per «eywifar, a vmdoaefanlato. Criaio ditaa ralla croca pocotvaati di
ae. ii rifa fonia , ai rìfii Maoda j aùrara. — liH» Gaai Criato qoanto
Iona a giuktiua. ali' omanitè aTdolae di auMtra, aa ro-
€7. »' accende curm, mote daaida- leaCierì e lioUmaala vi ai coadoMa par
fio, appetenza. redimere il genere amano: coaì aai ooo
68. dello apmsso ee.j della apmz- ai rattnttìamo per la ieme the ia aoi
sa, dello tampillo dell* acqaa dia della ti rìnaava alla vista dell' dkcvO| ma
racda cadendo ti tpargeva sopra la fo- lietamente moviamo verto <|Dello, paa-
fiia del verdeggiante albero. aando cbe la aaatra pana a randia par>
70. E non pur mma colta, a non gali.
■aa volta aol«. Acceaoa cba allrì alberi 7$. eo» U eum verna ^ ad aaagaa
iaconlraoo girando aitonw la epmut , eoo.
otsia il tnolo del eercbia. 79-81 Se priwta m. Sa frìma die
71. ai rinfreicay ti riaaava. aopravvanitae il peotiaaeala, aka a Dia
72. demre' dir eollaxxe. lat.: da- me rWoiigiange , ti manrè par aagiaiia
vrei dir piacere, paicbé d goda F am- ddla malattia il potere di cooMnellara
mo pcoMndo alia par la at»tra pena alena peccala di goloaitk^eoowee.te/ba
in
[. FDA04T0BI0
Come se' ta quassù venulo? Ancora
Io ti credea trovar laggiù di sollo.
Dove tempo per tempo si ristora.
Ed egli e me: Si tosto m' ba condotto
A ber lo dolce assenzio de' martiri
La Nella mia col suo pianger dtroUo.
Con suoi prieglii devoli e con sospiri
Tratto m' ha della costa ove s' sspelta,
E liberalo m' ha degli altri giri.
Tanf è a Dio più cara e più diletta
La vedovella mia, cbe tanto amai,
Quanto in bene operare é più soletti;
Cile la Barbagia di Sardigna assai
Nelle Temmine sue è più pudica
Che la Barbagia doV io la lasciai.
tir ' 0 dolce frate, die vuoi tu ch'io dica?
Tempo futuro ta' è già nel cospetto,
« ignanta din: Seto ti pcotitti, i
.muli ■ Di» Hlmi
poltri pccctr pia ,
liti, eoo» «.—M
B» Ja II
Qu.»l. (nfori.
»U. Il 11
»rc»ò u ngDanli e-
i li diiidi f
' 82-85. i<M
<U ■-■ pò» il lai
di FarMS <■ amir
goas l'inlBirsgilii
r 11 MdndgM d
I i più dìf-
coa'i é ancliB plÉ meri
• Dio.
B4-93. CU la Barias-a. Darbifì*
t patH dì SirdfBiia, il qui1« chi ■
>pp«]|( p<r tutn qnui barbirin. la
^0 anrara.- ai>n ina
il PuUill. CMt. « IB
>t moDlna >IM mm
lia... ìm^bakiM
(uni indulB «btili
racaloM diDiiirf laori d«l I
85. Edfliù mi. Si la
ni nantiglioM toaiiUi dì
llilli.
8». la iole* ounuw «
91 . ta KMa mia , titi. I
mia cliiuMU Ndla. CtuMi In <
pivbilt. MkO ForM, III* bi
• Ua nrU «Iti Tfilot ■«■ , * I
• ipomtt), ila ^<k1 DIB
■ diinl rllB dooiìuB HoUa
Ì
CANTO ▼BHTEsmanuo.
«13
iOO
i05
M
M
Cui non sarà qnest* ora mollo antica.
Nel qaal sarà in pergamo intardetto •
Alle sfocdalB donno fiorentine
L' andar mostrando con le poppe il petto.
Quei Barbare ftir mai, qnai Saracino,
Cai bisognasse, per fiu*le ir covarle,
0 spiritali 0 altre diecipKne I
Ma se le svergognate fosser certe
Di qnel che il del veloce loro ammanna,
Già per orlare avrìan le bocche aperte.
Che, se T antiveder qui non m* inganna.
Prima fim triste, che le gnance impeli
Colui che mo ai consola con nannfi-
Deh, frate, or fli che j^ù non mi ti celi;
Vedi che non por io, ma questa genie
Tutta rimira là dove il Sol velL
Perch' io a lui: Se ti riduci a mente
Qual fosti meco e quale io teco lui,
Ancor fìa grave il memorar presente.
Di quella vita mi volse costui
Che mi va innanzi, 1* altr* ier, quando t<mda
Vi 8i mostrò la suora di colui
(E il Sol mostrai). Costui per la profonda
Notte menato m*ha de* veri morti,
4U.do9eUSoÌ9eK,iofùA tao
coqM> r« «abra, togiicodo il |imh([|[mi
•I tolar ragffio.
446-447. Qual fatU meco •qmmk
io teco fui. 1 notiri rapporti,* It ooatn
conversaxitiDe di Ih . che tentiTi ddla
faDÌIà e dei ditordini del leeolo; o,
•emplicrmeoCe qnali ci Boalranmio
Pano all'altro.— Jiwor fis graoe «e.;
la itnaa memoria dei paiaati errori o
pericnli ne dark tormeolo.
448. IK quella vita «e. Da qnena
niaera condizione mi traaee eoéhti{y'v-
gilio, aimbolo della ragione • Mia Sl»-
aofia), facendomi coooecere da priaa
la infelicità del mio stato , auindi spo»
veoiandorai colla vieta dell' ioferao, •
facendomi poi pvrgare de^TÌq par b
peoilcnia e Hiaurriiio della cali alia
Tirtè.
449. fallr'icri qaalcha giona ad.
dietro.
424-422. per luprofimdm JVallf ;
int. d'iafemo.
i»
99. Cui non sarà re. Al qnal tempo
BOD aark molto aatcrìore l'ora prcaaota.
Jatieut, qui est ante.
405. 0 spintali... discipline wpì-
rìtaali, cioè ordinamenti ecclesiattici,
o etiire, o d'altra maniera.
4 OS. fosser eerte, tapefaera.
407. ammanna, ammanniaea, pra-
para. — ilciel Telare, int. a compire i
saoi airi , a vol(yer gli anni.
4 40-4 4 4 . Pnma fien triffccr.Iat.:
^cite femmine si dorranno, aaraa pa-
aife, della sfacciataggine loro, prima che
il faaciallino che orati rallc|p^ con Mm-
uù (eoo «pelle centilena , che le madri
fanao presao la culla ) metta alena pvio
al meato; che è qaento dire: ensichè
piaàaa aaindid aani. Accenna alle fa*
Booi, alle speaae cacciete dei attediai,
alla aMrCi, alle confische, e alle divena
gaerre astorae onde fn in qaeato Iretta
i tempo travagliata Pircnte.
442. fion mi li celi, intorao alla
cagioae e al aiodo onde aci venato qni.
444
PUB«AT0R10
Con Questa Tara carne che il seronda.
Indi m* han tratto ao gif aooi conforti ,
Salendo e rigiraado la montagna, I2S
Che dràsa voi che il mondo fece torti.
Tanto dice dì htmì saa compagna,
Ch* io sarò li dove 6a Beatrice:
Qnivi convien ebe senza lai rìmagna.
Virgilio é questi che cosi mi dica izo
(E addita'lo), a ^&eeV altro è qnell* ombra ,
Par cui scosse dianai ogni pendice
Lo vostro regno che da sé la sgombra.
423. eh9 il MuemSm, dn fi ap- 132. pmiCet, rape, fianco di moola
pnno ■ Ini, die Io tcfail*. • sponio.
'1 26. CA«irikM «o< «« d(t lifh 451. £0 «Mlrw rcgao cA« tfa «4 /«
giusti e retti voi, che il SModo wunm 9gitmkra: le dipirie de eè, lasciandole
eorrotti e trefiali. salire el ciclo. — // voelro monU 3
427. ampagna, eomptsiic Codice Chig.
CAIVTO VEMTESUEe^lJAii'VO.
Fvttt wtottrm m Dnmtt 90ri* mmtm§ ti fMoaf, tn t*i «ftrf U poetm Bammgktmtm dm futeem, dl«
fm/kinm mt Fior$'ittmo ■■ momttle «msm, • gli ém loé9 tM éatf mit Hmm fim mdiféettt tm* («■>
MomL Porut, frtdetm memrmmtmtt U marta àt Cmif m» frmtettù^ tt pmrtt, t ^«d pntMtimtmém H
Ì0ra tmmmumo mnamw pruf «a mtban tUmn uampj m urror éti ftott^ 9 foca éapa imcomtfwaa
PJmgHo é il 9*m.
Né il dir r andar, né I* andar lai più lento
Facea; ma ragionando andavam forte,
Sì come nave pinta da buon vento.
E l'ombre, che parean rose rimorte,
Per le fosse degli occhi ammirazione h
Traén di me, di mio vivere accorte.
Ed io, continuando il mio sermone.
Dissi: Ella sen va so forse più l<irda
Che non farebbe, per l* altrui cagione.
f.mU dir ymndmr, «e. Cioè, oè
il dire fereva lento I' smlere, né Fen-
dere feceve lento ( lui ) il dire.
2. fòri», celemiH'iite.
4. HMorfe, qneai morte dne foitt.
È il èli wuHum dHIs Scriltore, e vele,
eaedete, convenir airinitr«*mo.
SS.hrU foue dwgU utrhi m. In-
tendi, come se dicesse: accortesi rèe
M en
Mteene
oesli oo
me, vd.Teveno delle
resone verso di me. Le Israe pcr4
con che Dente esprime questo concàio è
tnlte Doiiva , e propria di Ini.
7. il mio sermone, cio^, il nùo di-
senrao incouinaato intorno ell*eaWn
di Slesio.
a-O. ElU, le dette ombre di Slndn,
eemmiea forse pie lente eko per iA
sti-sea non rerrbbe, per l'mOnd •••
ctvitè degli occhi le pupille cmi aniini-
pfone , e rignardo d' altri : e fine, doè,
di trallenersi in cumpegue dì Virnilin.
CANTD TBimSIMOQirARTO. 145
Ma dinni, se to sai, dov^< Flccanla; io
Dimni s* m ^fegffù da notar persona
Tra qaesta gente che al mi riguarda.
La mia sorella^ che tra bella e boona
Non ao qaal Ibase pib, trionfa lieta
Neir allo Olimpo gÙ dft eoa corona. i5
Si disse prima; e poi: Qn non ai vieta
Di nominar ciaacan, da cB' è si nuota
Nostra sembianaa tii per la dieta.
Questi (e moaferò col dito) è Bnonagiunla;
Boooaginnta da Lncca: e qnelht hcdtà 20
Di li da Ini, pii cte P altra trapunta,
Ebbe la Santa Chiesa in lesoe braccia:
Dal Torso fa, e porga per digiano
L'anguille di Bolaena e la ▼emaccia.
Bfolti altri mi mostre ad nno ad uno; 15
E nel nomar parean (ulti contenti ,
Si cb* io però non vidi mi atto brano.
Tidi per fame a moto usar U denti
Ubaldin dalla Pila, e Bonifazio
Che pasturò col rocco molte genti. 30
40-. Pieemrén Ooncii , sorrlla il t rìre nelhi fi- ■■«€!■ U ansiiill* f eioilt
Fwi • d» C«inM>, oIm r^iUti aiMMt mI |«g» JA Bi*h(«ia, e poi inaoginwto
ài S. Chiara Huvr p»i u«cir« di nona- a?Mlainrnt« in ni]nnitti maokarclti. Fa*
ttera lorsiiU da C«>rs<>f rfa« pvrciò vanne papa lial 1281 al 1284. >- La Nidnb«a-
da B<*loi;na , volenJ» «farta mb mnglie iìim a ti Ctidice Caaain. hann* In ia
•d ao della T4»aa. a cui ipà raveva pru- 9emaeria.
Ha «Ila a' lofirriuò poco dtipo, e 27 . atto bruno, alto adefnoto, o dk
niHTrsrtnii'nto.
4h. dm iMicr, degna di eaaar no- 28 Vidii int. Ivi moaCrante. -^ •
Illa. «nolo uimr ti denti, morendoli qmri
4 a. NfWallo OUmfto, nel aiolo, avease qualche e.na da rodere: è allo
OlympfW ai];ii>fira tutt» spltnd^utt. di chi ha (pan fame.
16-48 Qmi non wi viHa. I» i|netto 29 Ubaldin dmlta PUm. Ubaldhi»
••è pcioii-a«o a cia<(i-oiio di aomi- de(*li Ubalilini dallu Pila, che è an ca-
_^_ le oaibra cha ri f<>no, dacché "aoa stello nel Muffello «ni dorao di Mnate
h poeaiailo por la diafatta ^uibÌ4nfo , Smari», dal quale ni mimino an ramo
cb' altri le rioiio«>aca. — mmntm via, di qnenta rNnii;;IÌN. — Btmifatlo. Boni-
tolta via. amaiila, per digiuno. fatio ilei KieM-hi di LavaQna, paeae dd
18 iffionmgiunta Fn dt-gli Orbi- Gean^ekal», fu arrive«ef*vn di KaTeoaa.
«ai o Oibiciaat da Luera, bui»* rima- 50 Che ftatturò eoi mera ee. Al*
tara pai eaoi tffBpi,4aa di alila neglaHo. eoni eupMulon. imnemlo che rocfa wm
21. (rapwila, goHcta^ afriiaeata, denveUtderarriM. voce laliaade'baNi
Ber Biealffiia. temM, eb« nf^nitìra la ditta proprie del
22 Kbbé taSmnta China te., cioè, prelati a dei vevii%i, detta altrìmeali
fa meriti» delia Santa Cinema, fa potile- rorcfc^fo. hanm* interpretato come te
8ce. Qaaati è Mattino IV ilei Torai» di il Pinta, preiidemlo ri(piralami>Rte la
Freocie (di Tuais), il qaala fecere ma- colto per la retidiU dc\ ^««cv(%\««aaae
r Marchese, eh' ebbe spazio
Gii di bere a Forlì con meo secchezza,
E si ra tal che non sì senti saziO'
Ma, come fa chi guarda, e poi fa prezza
Più d' uTi che d' altro, fé' io a quel da Locca,
Che piii parca di me voler contezza.
Ei mormorava; e non so che Genlocca
Seutiva io là ov' e1 senlia la piaga
Cella ginsttzia die si gli pilucca.
0 anima, diss' io, che par si vaga
Di parlar meco, fa sì cb' io (' intenda,
E tè e me col tuo parlare appaga.
Femmina è naia, e non porla ancor benda.
Comincia eì, che ti Farà piacere
La mia città, come cli'uom la riprenda.
Tu te n' andrai con questo antivedere:
I
M d(Uo: ielle Mndih) Jol veKMido
^\x «ntL« il lorwMla (<• hmf\ ém
Ma Bcnt«Bii(a di Imoli Ahq rht'll f»-
.taril«<lrll'irci>«cD>(.<lin><cnn(,J^
* Ini diva )• gia>Uiii di<iaa- CnlWTO
la nvbila t oslDoiIa lionn* Inerbar,
doII« un.|g Danio nel »a .Illa paiun-
de par Latta •' ianuiorl.. Qui Bnp
fannU è, quello de|li illrì twi»i.
tn au «rg. dìrìll. . roWnd. ,1 ™.
tniace. Sì credi cb. aa>U fiolM»
w>, ■ hnii di no rwcp, che» il bor-
iti, d.^ll>£rì»i. 0» pr.<.d.ad. 1.
pinli r«ttf> in qHil» .ÌBi.ie«le, eti*
ll,nl. .'ìn,..«nr.w qnuido» MH.»
ne In Imi nel 43U.
lu »rtÌi(K8to di Ili>ei"i> , di vai t
SV.rhe li trb'pOwAi.eki A U
r»prì<>ilr«».
' 81. iMMir JVarcV». Slinl»»
care a nnn • un» ì gran, d' «a IripMl
d'o..a«,»,ai.r1i..inA.>,a.Wl.
ie'Bipdimi di P«rik , orta havtlon.
Nirniulo t lai un giorna 11 n» ciali-
il puro rupe. Ognnn tede tba B«a p*-
BMn cbt ftr U cilU li dl.TK* Ch' tgli
M e.prì.nl«i l'Aida. c«. piò f»^
«■Mnipr» « b»"; • perche OMi iti In
l«..™p«.,rti'b«.«Bp.<«l.t
JS. e iwii paria «■eor tMda. U
e2. CM( mm iKiArEKi, «a Dima
benda *r*nnd..fr<.cbe.».aeadod.l
mmrt, «oniniiui Mia cb* <|al nMi bi.
«ptooprita gli «thia il tolU. fort»
BS «»!.•««■ imi" f'fc Aliriil^H.
lana an lai oaln le ouritateo la nJ»
B4.fruM. ormi, tiimi, conin.
Te, icbbni. di dirarta aolaia- U M-
M. di «M mW cotanta, tolw •■-
dn.e ■.ynn nera il .nlilo, a i nB
Manchi. >l>JaMid« dunque 4* natlln
B«r di B», 0 mltr di me iIeiuhi ubiirì-
BinU. QmìI* ti. 1 di! I«lu Vii., dai
C«d.nor. ada-rn». GT,340;aBlì
dir* cb* Dna »* aaen, manUU.
«MlRM. V.di . toafara» di al il
ben, .bb,. f,l«.o a..n.-7r7«"''W
V. 4D,
8T-S>. MK (0 rfcr CmliH-ia Sni-
■ugna nell' tn^friu. al CenU IIL
UH ag. lo uoliti «arma»,. 1. «.nU
, MM« 1» IWl Uà,. tfX t^«-S) «•
VMI.ni.fr.fadt. ,^^
. ^
. M
CANTO TEKTESIMOQUARTO.
Se nel mio mormorar prendesti errore,
Dichiareranti ancor le cose vere.
Bla di s* io veggio qui colui che fuore
Trasse le nuove rime, cominciando:
Dorme, eh* avete trUdìetto d* amore.
£d io a lui: F mi son un che, quando
Amore spira, noto, ed a quel modo
Che detta dentro, vo significando.
0 frate, issa vegg* io, diss'egli, il nodo
Che il Notaio, e Guittone, e me ritenne
Di qua dal dolce stil nuovo eh* i' odo.
Io veggio ben come le vostre penne
Diretro al dittator sen vanno strette,
Che delle nostre certo non avvenne.
il qual più a guardare oltre si mette,
Non vede più dall'uno all'altro stilo:
447
40
55
60
À7-ÀS. Se nel mio mormorar ee. Se
ti fn (Mcaro e m fi fu cagione d'errore
quello che io por dianzi mormorii fra
i denti, le cose che cerlamenie aocad»-
ranno lo ti faran chiaro. — keoseven,
i fatti.
49. t* io veggio qui te. Intendi : te
io Tef^io <ini quel Dante Alighieri che
predirne nme in istilc non più adito.
54. Donne, eh' avete ee. Cotti eth
omieia noi nobilissima cantone del
neatro Poeta che si le(jge nella Vita
^Htoca.
52-54 . Fmi ton un che, quando ee.
larere di rispondere ch'e{;li è quel dea-
«e, f li dice cVei deve le nuove e mare-
\Ì0Hoae rime a on amore altamente
sentito oeir anima. In queste poche pa-
role si comprende tutta la poetica. Pri-
ma condizione al poeta, il cuore, tenia
il qvalc si posson far versi, ma non pe^
sia : r mi fon un che, quando Amore
spira, noto (attendo , noto colla men-
te) ; lecooda condizione oeceMiria:
<^prauionc conveniente e pari a(ili af-
fetti aentitì ; ed a quel modo Che deità
dentro, vo significando.
55-57. ista, ora, adesso: vegg*io,
din* egli , U nodo. Int. : ve|rgo ora la
ragione che legò, che fu impedimento al
Notaio la Iacopo da Leutino rimatorel,
a Goittone , e a me, che non ginngeiai-
fno a poetare si dolcemente Questa ca-
r^one fn il non essere eglino accesi d'a-
more siccome fu Dante ; che è quanto
dire la mancanza di sentimento e d'in-
apirazioae.
tani.
•— di qua, addietro, lon-
58. le vottre penne, di voi sommi.
Accenna probabilmeate.oltre l'Alighieri
medesimo. Guido Cavalcaoti e Gino da
Pwtoia.
59. al dittator, ad Amore che i Ter-
si detta.
60. Che, il che.
64 -62. E qual ptè a gttordaire ee.
E chiunque si pone a riguardare pOi
oltre, più a dentro, chi approioo-
disce coir intelletto i vostri componi-
menti , Non vede piU dall'uno alfé^
Irò itilo, cioè : vede una distania im-
mensa tra lo stile vostro e il ooatro. Ho
preferito questa lenone sostenata da
autorevoli OmIìcì , tra gli altri ffoello
di S. Croce, il Fior, e il Caet., e l'edic.
di Fuligno, alla comune E qual pOi a
gradire ee., perchè se ne tiae on sen-
so multo più facile. Il concetto però
della eom. non è spregerole; ed è one-
sto ! E chi n gradire, per venir piò in
grado alla gente , scrivendo d' amere y
ti alette oltre , passa avanti , int. ad
Amore dettatore (in «ppoaiziooe a tpni
che è stato accennato sopra, diralro «f
dittator ten vanno strette) \ ceatni ,
questo tale scrittore è nn cieco che non
vede, non sente la differenza die è tra
ano stile copiatore fedele della nafma.
11
E quasi coDteoIato si lacetie.
Como gli aogei die vernati ivauft il Nilo,
Alcana volta di lor ranno schiera,
Poi votan più in fretta e vanno in Glo;
Cosi tutta la gente che li era,
Volgendo ii viso, ralTrettò SDO passo,
E per magrezza e per voler leggiera.
E come 1' nom che di trottare è lasso,
Lascia andar li compagni, e si passeggia
Fin che si sfoghi l'aObllar del casso;
Si lasciò trapassar Is santa greggia
Forese, e dietro meco sen veniva.
Dicendo: Qaando Ca eh' i'ti riveggiaf
Kon 80, risposi lui, quanl' io mi viva;
Ha già non Ga '1 tornar mio tanto tosto,
Cb' io non sia col voler prima alla riva.
Perocché il inogo, u'fui a viver posto.
Di giorno 'n giorno più dì ben si spolpa,
E a trielB ruina par disposto.
Or va, diss' ei, che quei che più n' ha colpa
Vegg' io a coda d' una bestia tratto
fMitur.
fi3. £ «uri.
lltltUWdclHIIIll
Ta- Fin cht tf iftgU w , 6aà*
«ili («gì, l'in|Hlo dfU'uiwnid
TT-7g. ira gii Mini jl«w. tUpi
90 ti ir» li II
pirpm. -livfiVra, .gii», h-™"-
70. IreUari. ftr .iniilil »lr«in-
14. llf»UtigÌM. ■■ na •• Jl pa-
■f|ÌM|> (mia il w.l.r ( ■ rho fraa
Ml(|fHt> H piutii/flia ; a«* tetti.
:i>git.'ii.iiiilr>"i>X.Ut|g,
'Z£Z
proM
rimii
CANTO TENTESIMOQUABTO. 449
Verso la valle, ove mai non si scolpa.
La bestia ad ogni passo va più ratto 85
Crescendo sempre, infin eh* ella il percuote,
E lascia il corpo vilmente disfatto.
Non hanno molto a volger quelle mote
(E drizzò gli occhi al ciel), eh* a te fia chiaro
Ciò che '1 mio dir più dichiarar non pnote. 90
Tu ti rimani omai, che 'l tempo é caro
In questo regno si, eh' io perdo troppo
Venendo teco si a paro a paro.
Qual esce alcuna volta di galoppo
Lo cavalier dì schiera che cavalchi, 96
E va per farsi onor del primo intoppo;
Tal si parti da noi con maggior valchi;
Ed io rimasi in via con esso i due,
Che fur del mondo si gran maliscalchi.
E quando innanzi a noi si entrato fue, loo
Che gli occhi miei si fero a lui seguaci,
Come la mente alle parole sue;
Parvermi i rami gravidi e vivaci
D*un altro pomo, e non molto lontani.
Per esser pur allora volto in laci. 106
Vidi gente sott*esso alzar le mani,
no Virgilio e Stailo^ e qvali tono latti
i grandi poeti epici.
400<t02. B quando te. E qvando
Forese fu §ntrato iimanzi a noi ^n fii
inoltrato « allootaoato da noi io nodo,
ebe i miei occhi ti fero • lui ttgmmi,
lo aeguitavaoo, lo vedevano , eono la
mante mia trorgeva poe'anxi nello pa-
role profetiche di Ini (che è qvanto di-
re, incertamente, e qnan niente), Par-
vermi , mi apparterò f vidi ee.
103. gravidi, carichi di irvtla. —
vivaci, verdeggianti.
104. D'u«a/lro pomo, di «a altro
alb«t> pomi fero.
104-105. f non mofto ionttmt ,
Ptr ttter pur alloru volto in Imei. Mi
apparvero i rami , non molto lontaai ,
perchè rimanevano poco dopo il ioai—
deir arco del monte, al di là del fiu^
tolamente allora, per aver giralo , €••
mmaavo a vedere. Rende ragiono dal
perchè nnn gli aveii»e vedati da iMif-
gior distania. — lati per là, coOM IÌ€Ì
per lì, furme oggi dismeaaa.
86. infin eh' ellail percuote. U Poe-
ta aappone che il cavallo imbizzarrito
■ccidame Corso Donati. Ma veramente
fm aeciao da alcuni soldati catalani
S Salvi nn miglio distanla da
as. Non hanno molto te. V noci*
aioBO di Corso Donati avvenne il 15 aeU
tembra delF anno 1308, cioè oUo aasi
dopo la supposta visione di Denta.
90. Ctè ehe'l mie dir te. Qatata
oneata circospezione del Poeta di non
nominar mai Corso Donati, forso ^era
darai al vincolo di parentela che a Im
lo stringeva.
96. del primo intoppo, della prì-
ma pugna coli' avversario , del primo
aeaotro.
97. eon maggior tateht.Con pomi
maggiori da' nostri. Vnleo è sincopa di
ralieOt a significa qui lo spazio iolaf^
medio tra' due piedi nel caiumiiiara.
99. m«/<«e«(cM.Mulsralcu vaia go-
vernatore di eserciti- qnifìguiatNmrBle
per maestri del vivere ci\ ile, quali «n-
I
DEL PUaOATOBIO
E gridar non so che verso le Tronde,
Quo-^i bramosi fanlolini e vani,
Che pregano, e il pregalo non risponde;
Ma per fare esser ben lor voglia acata,
Tien alto lor disio, e noi nasconde.
Poi si parti sì come ricreduta;
E noi venimmo al grande arbore adesso.
Che lanli prieglii e lagrime ririuta.
Trapassate oltre Eenza farvi presso;
Legno è più su cbe fii morso da Eva,
E questa pianta si Jei'ò da esso.
Si tra le frasche non so chi diceva;
Perchè Virgilio e Stazio ed io ristretti,
Oltre andavam dal lalo che si leva.
Ricordivi, dicea, de' maledetti
Ne' nuvoli formati, che gatolli
Teseo combatter co'doppj petti:
E degli Ebrei eh' al ber si mostrar molli,
Per che non gli ebbe Gedeon compagni.
Quando in ver Madian discese i colli.
Sì, accoltati all'un de' duo vivagni,
iO»-Ht.Quinibritmi,Htc.:às,iì,
120- dal late ckn ti Imi, d. tini.
con» rindulli, cb< W.iu»! di ilcd<.i
.I», d. mi iDrifl il diiwIb g fa ipoadi,
«.«lire l>>ltr« Ilio cadt , boa ireado
csIdÌ (Iw * prtgito nno ri.ponde, ma
limr iu )[» (p^ dUio . cio« ». co,.
i2\-i22 d^maledeUÌK..ài>tU
doidenti, • ti mMlra loro per •!«
Ccal.nri nmcreli otì tnasrcMO i'U-
■DilgiormtDUlIkIttrIi. —tani. Im-
pOlMli-
fi^ur. di Cinnoae, 1 .|ugl. piiiii di *ÌiH
liuOroDO di npire 1. .p<».fpp«l.»i .
Pirit™ [r. i DD'Lli murili ; ond'ibbfr
c>» •IcDdfl d.; Frulli di qii(ir.H«.ro.
.'E.rTx-.ferp-e.u;
US. miuiD.id*! 1.1. od ip»n.
tappi. ltmp<u: .Itor., inccnUnenK,
adt U lunnrìl: «occhi adtiM
llci»l.p7:S.<.ppr».».
m».
1t4.Ch<ldnl<pK.-;fiÌK.,cUc .
ISSw'dopR/ pedi. «»*, col p.<to
Dilli prì«slii i ÌllllHHl.1i..
d'u»n.»eronni>i'llu<)i<Mtllii>.
tIO. UfnoèplU.,.Loi>ircmo
I2I-I3G. EdegtìBbTHm.Qttm-
.dILcìki. ddipii.piurì».
doC'd^DC .ndA conlrit i Mvliuili oh
IIT.efNoMpiiMB l( Ittòda
td1I« per cnmpagni .tecouds ilnoiuib
nicnlo dÌOÌi>,tnliirfi che per In<p|il (m-
Emi ■ 101 H 1. locuK. Ponpraw ani
Arid. n. mi» onrlli che ibodB il
gli tt-^mpi di icrrim* trcas dei gaio.
d: rumo d>i quii, . .,iifII<> d' t>i che
piedi ..ertn» .11.111. l'.cqu colle int-
p.r lui. d' BO pumo fait il genere
127 airundcd-c t*«lff«.-..d
119. rlilrflli. l'uno tll'tliro,
nalii.
t.ned.(,l,erlidell.tUjealà«u«.t«
dello niiel eri.
CANTO TEHTESmOQUAETO.
Passammo, udendo cxdpe ddla gpla,
Sfinite già da miseri guadagni.
Poi, rallargati per la strada sola.
Ben mille passi e più ci portammo oltre,
Contemplando ciascun senza parola.
Che andate pensando si voi sol tre?
Subita voce disse; ond' io mi scossi,
Come fon bestie spaventate e poltre.
Drizzai la testa per veder chi fossi;
E giammai non ai videro in fornace
Tetri o metalli si lucenti e rossi,
Com' io vidi un che dicea: S' a voi piace
Montare in su, qui si convien dar vdta;
Qainci si va chi vuole andar per pare.
L* aspetto suo m'avea la vista tolta:
Perch' io mi volsi indietro a' miei dottori,
Com'uom che va secondo ch'egli ascolta.
E quale, annunziatrice degli albori,
L' aura di maggio movesi ed olezza.
Tutta impregnata dall'erba e da' fiori;
Tal mi senti' un vento dar per mezza
La fronte, e ben senti* mover la piuma.
Che fo sentir d'ambrosia l'orezza;
m
450
i36
440
Ì4S
428-429. eotp€ delta gol: Goè,
fsempj di golotitij antichi peeeati di go-
la ; stguile già, a cui cik taoMro ma-
tro WHteri guadagni, doè, ftstigitt
tarribili , c«Hna quegli sopra alati.
480. per la •Irada iota. Il Costo
dieo A» noo potendosi dir solo, sofito-
ria , «uà strada che è frequentato da
tatto la anime dei golosi . ai quali l'al-
Wro ricala i saoi frutti, la parola «ofo
4er« qni falere libera, inqoaotocliè
•OD pia occupata dall'albero, come di-
noatra andio la voce rallargali dal
poeto adoprato. Io noo dirò che quarta
apcganone non possa stare, ma Toglio
a\Tcrtire che quella torba d' anime eha
aoaptraTano ai pomi, s'era gib partito
(vodì T. 4 12); e che può benissimo s«p-
porn che per quel tratto ove si trovavano
I Poati noo fosse allora alcun'animaisio-
ckè 0 potavano esai , oltrepassato V ai-
boro oe impacciava la via, dirsi rallar-
gati, o poteva la strada esser io/«, cioè
aenxa geoto ; che è il proprio e vero sto-
to della parola.
iSO
452. CmUampiando etaaeisii «f-*
dascon di noi ineditando in sileaiio
Milo cose veduta.
435. Cka mudate ee. Che andato
eoli pensando voi tre soli ?
455. ipatentaU § poUrt , a eoi si
fa peara, o che son prese da pavento
meni re poltriscono.
444 . QttiiiH s< co ee. Va di qai ^
molo andare alla paoe de* baaCL
442. tolta, abbarbagliato.
443. mi 9olii indietro at. f ai ri-
tirai dietro i miei maestri.
444. Com'iiom che va moomIii
th'egti aseotta. Coma nomo che boa
vedendo, va secondo il snono dolto al*
tmi pardo, o passi.
443-447. S gitala, onmuaiaiHta
degli albori ee. E come l'anra di «ai*
gio sol far del ffiomo movesi ea. QiMfi
versi sono belu veramento o aoavi a^
ma la Primavera.
450. d'am^roeim Fortam, A af-
fluvj deirambrosia , lo spirare daU'am-
brosìa.
I
E seoli' dir: Beati cai attiima ^^H
Tanto di grazia, che r amor del gnslo ^H
Nel petto lor troppo disir non fuma,
Egorjpndo sempre quanto è ginsto.
1SI-IS3, Bfall cui altuma k. ,c* tà tumi dxe mandi ti «rcbrc
Btill coloro (oi iJluiDini l*nU groiìa, 151. Eiuritiulate.:»fptU:odoiea-
ch» l amor Jtt juiln , cint , il min- pra tiocì tenia «iliBHnla cfaa i eume-
ni IrHparlD il bi'rt ( il mngitra, PMUia.slie biiU, parKalaiiUr In tì(i
JVel |wùa lor Inppa diftr n«i fa- SiiiiD li pimU Htn|i-1ic1i4 Broli qui
■u, noo moia nil lora pula trnp|Hi utiWilniyiuHKam.-aenDDiirhtilPiHt)
doridaria , a Don ■'■cernda in Iropii» bi riMrcUa qni U tate jiuliliaKI ■ li-
qui fama apfodoad alluma: U gra- eiba, dclEcniinila dal pura bìufiia; dit
■ia dÌTÌDi rìicliiin dalli loi lace l'io- «Delia ciò rnira netl'idt* (uenla dal-
lallcUo, 1) crapula Io InrU a t'onu- la (iiufiiit a dal retto.
CAIHTO VEIKTESOIOQIJIIVTO.
Ora era che'l salir non volea slorpii
Cile 'I Sole avea lo cerchio dì
Lascialo at Tauro, e la Nelle allo Scorpio.
Per che, come Ta l' uom che non 3' affigge.
Ha vasfi alla via sua, cherchè gli appaia,
Se di bisogno slimolo il iralìgge;
Così ealrammo noi per la callaia,
I
laron.f&i'lta-
> qn'lla M I
Du, a OBI \jm- rfUMAUi, a conia più
Ifolara* più chiara l'ho pratcrila alla
HB. cnult'lialir. dia pur lU, parelio
'OTtn incha io altri antichi urìlloii
1-3. il SeU «. Il lala «I Umf
dliiidone di Dania fra nt* primi uraili
[|1' Aneta j a prrtii il P..ela in luiifn
i dira cha il iifEo dell'Ariele iTcva ji^
Itrapauala il circal» niFinliano, di»
dlli> lunga allo Seorpiwn. E qoRla » lo
MeoB cha dire' iipir an»>rrnodalPBr-
galano arano dna ore dopo maia giar-
PO, • aair iiouferia iftiipodD «1 Parfi-
OiMltlun i Fpotanelb cW li Toet* np-
Fauia MBiiKios oppoaiumanlo al Sol*.
del Toro. La oolla Dall'eimtlerìo app^ cba ueii
CA>TO VK\TF.SIM()Qi:i>T(». i23
Uno innanzi altro, prendendo la scala
Che per arlezza i salitor dispaia.
E quale il cicognin che leva 1* ala io
Per voglia di volare, e non 8^ attenta
D'abbandonar lo nido, e giù la cala;
Tal era io, con voglia accesa e spenta
Di dimandar, venendo inflno all' atto
Che fa colai eh* a dicer s' argomenta. 16
Non lasciò, per V andar che fosse ratto.
Lo dolce Padre mio, ma disse: Scocca
L' arco dei dir, che inaino al ferro hai tratto.
Allor sicuramente aprii la bocca,
E cominciai: Come ai poò far magro so
Là dove l' uopo di nutrir non loccaT
Se t' ammentaasi come Mdeagro
Si consumò al consumar d'un tino,
Non fora, disse, questo a te si agro:
E, se pensassi come al vostro guizxo 26
9. Ck§ per arUxsa te., ch« fir !• Sl-S. m CmmmenUuit — ttvri a
SM ilrtttcna noo penaelto ai aalitori tmaÈ»^eowitMtUagr9 fc.Qaaaia Dae^we
aitadaraaMro,HMglioMifBaialira «mito Sglio A Bnaa ri £ CaKdMM, la
PsM 4ooe V altro. hU or^ÌMfMw cIm U vhar tm òwmm
4ù.Ueieognim,Utkopm^wMn. ém a tadto chaff— ciuiiMala m rt»
n, § $ié ia emlm. ìnt. F tUm f ét€ ■• 4'albcro cIm ctae poaar* ad atdara.
prìna i* era provato ad altare par f»- La vadra di lai Allea, aonuperal di
lar na. de, ipenee il lino. Ma jpeeeiacM Ma-
43-15 Tal era io ee Tale era ia, leafro ebbe morti dae fralelH di lei.
«M Taglia di domandare, arccaa pel de- Teooe ia tanto farore, die rìaiaa ael
■darìo, e Dello sterno tempo •nenia per faeeo i|vel tino ; oaàe il gioTiae «ad di
lo tiflMre di noa inrattidire Vircilìe ; e fita. ciune io Meleagre era aaa fatai
■crdè io reniva ali* atto ehe la colle diepodiiooe a cooramard aaitameate a
labbra cbi t'argomenta , chi d diapoae, «ael tino, cos'i io oadl'arìa cbe ciiesa
d prepara a parlare. da l*aoime è attitadina a rieerera e pt»>
4Ì^^S. Pion laseiA.per ranimret. sentare sensìbil mente le pasdoni ande
lat.: Le dolce Padre mio |Virgiliu), pw sooo afTi'tte le anime stesse. È rero die
^aolo foste ratto, veloce l' andar sae, avrebbe Dante potete rispondere , Ae
non lasdè di parlare , roousdoto il mio PfU agii exemplum^iittm fwid iUt re-
^eaiderio, ma disse: Scoerà torto del toMl; ma fi»rse \irgilio non di citò
dir, ehe intino al ferro hai frafla. Il questa favola cbe a ricordargli cm anco
feiTO è la ponte dello strale: qnando ali antichi, sema esser cristiam , avaaM»
F arco è per essere scortato , la parte inteso , cbe 1* amane regione non p«b
ferrata dello strale gis toora il sommo Tcdere tatti i rapporti delle cose tra 1^
^r arco. Fnor di mrtaf.: landa andar ro, e cbe IKo pòi operare al di là M-
la parola che bai già sn le labbra. l'ordineconoscintodellanalnra, aiMi-
49. finiranienle, deposte il tìiBa. fini ddP amano inieiaUe, cbe aarta aan
ra, francamente. aane qaellì del m» potare.
2e-2l . Come ti può far forngra ae.: 25-27 E, m pemtatti ee, I w per-
come possono divenir magre le ombre laisi come l' immafine dd carpa tUMM
de' morti, cbe neo baono liisogna di dv- gnina , d maove agile , «dio tpeadua
trìrd ? al Boreni di esso carpo, de cba H fia
Giiixza dentro allo speccliio vostra iioage.
Ciò che par duro ti parrebbe vìmo.
nia perchè dentro a tuo voler l' adage,
Ecco qui Stazio, ed io lui chiamo e prego,
Che sia or sanalor dello Ine piage.
Se la veduta elerna gli dispiego,
Bispose Stazio, laddove lu sie.
Discolpi me non potert' io far niego.
Poi cominciò^ Se le parole mie,
Figlio, la mente tua guarda e riceve.
Lume li fieno al come che lu die.
Sangue perfetto, che mai non si beve
Dall' assetate vene, e si rimane
Quasi alimento che di men-^ leve,
Prende nel cuore a tutte membra umane
Virlute informativa, come quello
Ch' a farsi quelle per le vene vane.
Aucor digesto scende ov' è più bello
ila» 111 iolnilira li KnibiTrebbi vii- dì. Li Iuìods di ma idotlill t
M, «ini, oHtllE * r*cila ( pandrini eoi- lU Vir., di i Cod. Man. « dal Pai. VT.
1, come mai, quiQlo I
20-30. f vrrgn te. SutUat.
'^-SQ.tfTtgete.
<■» •iiHp aocl chi ita, 0 ài 4i
ig dowiiBdì. AnUo. U •rtnad* rttt
ci •Frbo din ari aKlw ii(. rha int-
ra,tii>t, la pari* |iià pan d<lMA|W(cli(
I
p«( ck« li ik il bidIIo Jurilarin. —
riti* a pteglM fbiiiua i dublij a la ÌB-
S 1 . 5* l4 ttAulA tUna gli di'ist*-
Sta oli apra innaiul ifli riFtlti I or-
a I II dxpvnnuiu uintiglinu lUI-
l'iUma FaUnrai o, m gli dUb.irg U
nuaTigliuis kiwoiciw dei iHogUl ciaf
i»iDbn.S<iqB.alantii<a*-
CANTO YENTESIMOQUINTO. i25
Tacer che dire; e quindi poscia gemè
Sovr* altrui sangue in naturai vasello. 4&
Ivi s' accoglie V uno e 1* altro insieme,
L* un disposto a patire e l' altro a fare.
Per lo perfetto luogo onde si preme;
E giunto lui, comincia ad operare,
Coagulando prima, e poi avviva 60
Ciò che per sua materia fé constare.
Anima fatta la virtute attiva,
Qual d' una pianta, in tanto differente,
Che quest* é in via, e quella è già a riva.
Tanto ovra poi, che già si muove e sente, 65
Come fungo marino; ed ivi imprende
Ad organar le posse ond' ò semente.
Or si spiega, figliuolo, or fa distende
La virtù eh* è dal cuor del generante,
Dove natura a tutte membra intende. 60
oc' i più bello ee., soende negli organi ma d'ana pianta, cbe questa è già a
^ella generazione, che il pudore non riva, cioè, giunta alla sua ultima perfe«
consente di noinioare pd loro nomi. — none colla rita regetatiTa, e nell' uman
JuindL... geme Sowr' altrui sangwt, feto questa vita vegeiatita non è che va
ì lì stilla sopra il sangue della fem- semplice avviamento , dovendo poi paa-
asina. — in naturai vasello, nel vaso sere alla sensiUva, e quindi alla raào-
a 6ò destinato. naie; la suddetta virtute attiva dhra-
47-48. L'um» il sangue della lem* onta anima, Tanto ovra ee,
màna^ disposto a patire, atto a rìce- 55. già si muove e sente: il passag-
Tcre impressiooe ; l'altro, il seme uma- gio dell'anima vegetativa alla sensitivn
no, dUsposto • fare, cioè, a dar forma è, come dice il Varchi, istantaneo,
alle amane membra. — Per lo perfetto 56-57. Come fungo marino. Qoeati
ksogo, per la perfetta natura del cuore, fanghi, dice il Venturi, e spugne ohe
onde si preme, da cui distilla, o disem* stanno attaccate agli scogli . si stimano
de. Ha detto sopra che nel cuore prende animate d' un* anima più che regetati-
virl/ute informativa la parte più pura va, perchè danno diversi segni da gin*
del sangue. dicar eh' elle sieno più che piante , o
49-51 . E giunto lui (e aggiunto a perciò si chiamano plantammalia , o
lai), e congiuDto il sangue virile al fem- xoofiti. — ed ivi imprende ee., doè:
mineo comincia prima a formare l'em- e allora imprende a formare gli organi
brìoaa coagulando; e pocciaavf>ie«, vi- del corpo umano, gli occhi, le oree-
Tiica, Ciò che per sua materia fé eon^ chie ee. , corrispondenti alle potente dal-
stare, stare insieme, cioè, auel che l'anima, cioè al vedere, all'udire, ee. —
coagulò come materia necessaria al suo ond* è semente ee., delle quali potensa
operare. Cvagulatio est eonstantia essa virtude attiva è produttrice.
quadum humidi; et coaguletre est fth 58-60. Or si spiega, f^g^iuolo, «.
cere ut liquida eonslent. La virtù attiva che parte dal cuora dal
52-54. Anima fatta ee. La virtada generante (nel quel viscere la natura la-
attiva , quella che è nel paterno sema, vora tutte le membra , stando là la pa-
divenuta essendo anima , Qual <f urna tema alla riproduiione della speeieì,
ptoiiia, cioè, vegetativa, e in Ionio dif- ora si allarga, ora si allunga seconda
ferenlf, a in ciò solo dilferente dall'aoi- il bisogno.
4t6 DBL PCmCATOBIO
Ma, come d* animai difegna fonie,
Non vedi ta ancor: qoest'è tal ponto
Che più savio di te già fece errante;
Si che, per sua dottrina, fé disgiunto
Dati* anima il possibile intelletto, ss
Perché da lui non vide organo assunto.
Apri alla verità che viene il petto,
E sappi che, tà tosto com' al feto
L* articolar del oerebro è perfetto,
Lo Motor primo a lui si volge lieto, 70
Sovra tant* arte di natnra , e spira
Spìrito nuovo di virtù repleto,
Che ciò che truova attivo quivi tira
In sua sustanzia, e fessi un* alma sola,
Che vive e sente, e sé in sé rigira. 75
E perchè meno ammiri la parola.
Guarda il caler del Sol che si h vino,
Gianto alPumor che dalla vite cola.
E quando Lachesis non ha più lino,
Solvesi dalla carne, ed in virtute so
Seco ne porta e 1* umano e il divino.
^i-GS. Mia. come d'animai 9e.M^ tea V ìnttWt^ potiibiU airii
coma raomo di •nimale, cioè, di essere mento. AUrinienti: rinlelleito <
paranieote aensitivo cht gli è da prima, imprima nel potsibiU le apecie il
dÌYfnga fante, cioè, parlante, panai ad gibili delle coae percepile dal a
oiaere raxionale (perchè parola e ragio- Aritt., de An.
ne tono, sotto certo rapporto, ana stena 72. Spirilo nuo90, la ovovt tmmm
cosa), ta non Tedi ancora; e questo raiionale.
ponto è Ule, e si difriHle a condorerai,' 73-75. Che eiò che CnioM mj
che ano più sario di te (cioè ATerroe il quale spirito identifica nella propria
commentatore d'Aristotele) prese erro* sostsnxa nò che in trova dì attÌTO pni.
re, s^ che foce disgiunto dall'anima ii l'anima vegetatila e la senùtiva), afa
pottibile intelletto (In faroltè di inlen- di sé e di f|iirllo una sola anima 9Ì9eth
dere, così denominata damili scolatUin), te, intzimte e rifleetita.
perchè non vide die l' intrllettn per in> 76 la parola^ il mio ragiooaro.
tendere facesse um d'alruno organo 77-78 Guarda il calar ee. Le wfi^
corporeo, a quel mndu che fa I' anima rito di \ho uiiitn alla stistania vafelaliTt
aensitjva quando per %e«l«Te usa dell'oc e aepsiti^a diviene anima rarionale,
chic e per udire dt>irurerrhio me il ragnui «ulare unito all'omori^
64. /irraua<f»((riiia, nei suoi prìn- lite si fa vino Maravigliosa idea!
cipj filosofici, nel suo modo di pensare. 7tf Larhrsit, una delle tre Putha
Cu antichi filosofi distinguevano due in- the fila lo stmne ilella vita.
Cclletti: intelletto agfnie. e intetli-tle 80. Svlreti ec, l'anima ai erfafKa
peaaibile. iV«//ii# imtrllcctne inteltigii, dal eor|»o. —ed in tirtute, io potooia,
diea Scoto, nisi intrilertue ptneikiiie, TÌrlaalmente.
«•!« agene non intelligit. Vagente 84. T «mano, le potente corpnrM«
loraiava aoltanto le specie spiritaali , dm casa anima , onenduai al aorpt.
traendole dalle materiali^ e con caae ao- qnaai tirò m mm enttomina, teme i
CANTO TEIfTESniOQinifTO.
L* altre potenzie tutte qoante mote;
Memoria, intelUgenzia, e Tolontade,
In atto, molto più che prima, acute.
Senza ristarsi, per sé stessa cade
Mirabilmente all'una delle rive;
Quivi conosce prìmtf*le sue strade.
Tosto che luogo 11 la circonscrive,
La virtù formativa raggia intorno,
Cosi e quanto nelle membra vive.
E come 1* aere, quand' è ben piomo,
Per r altrui raggio che in sé si riflette.
Di diversi color si mostra adomo;
Cosi r aer vicin quivi si mette
In quella forma, che Jn lui suggella
Virtualmente Pahna che ristette:
E simìglianie poi alla fiammella
Che segue il ftioco là 'vunque si mula,
Segue allo spirto sua forma novella.
Perocché quindi ha poscia sua parata,
È chiamai* ombra; e quindi organa poi
Ciascun sentire insino alla veduta.
m
85
90
96
iOO
detto àt sopra, e sono li risiva . l'mK»
tmi ee.: « ^csto ti wol intendure se-
cood« 1 opinione filosofica aopraecao»
nata.— il divino, la potenza spirìtMli,
nanoria, intelligenza e Tolontè.
82-84 . L'altre porens<e,qnclla cIm
ai aaarcitano per gli organi eorporei, rt>
iute, iooperoae, Jistmtti m^
par morte essi organi; ma la
rie, VinUUelto e la voUmlà, dBA
▼cngoao piò acute, pio energiche , pe^
cbé sbaratsate dal corpo che più o meno,
aaewklo la natura della fihre, le inceppa.
85-86. Senta rUtar$i te. Int.: 1'
tDima sciolta dal corpo, senza alcooadt-
mara. aceode o alla riva d'Acheronte o
di* riva del mare, uve l' acqua dal Te-
vara s'insala, eom ai disse altrove.
87. Quivi conosce prima. Ivi ginn-
ta, da sé stessa, per lume infuso, eoo^
aea quel luogo le è destioatOj e ave ha
éa andare.
88. Tatto eh§ luogo li ee.: appena
k ivi circoscrìtta da luogo: appena si è
posata sopra una delle rive.
89<90. La ttirtii formativa, la
virtàj la potenza ^ inerente all'anima di-
acivnta, d'organarsi «n eorpo dalParia
vieina , raggia l' attività sua nait' aria
nedeaima , e forma «n eorpo , Coai a
fiNHilo, pari nelle fattene e nella eatao»
aioBa a quello che animava nel mondo.
94 . piamo, pregno di pioggia.
92-93 Per l' oilrtil roggio oe-*
poi raggio del aole opposto, riSettnlo
in osso, si forma IMrìde.
94-96. Vaer viein quivi ti meUa
ee..* ivi I' «rìa circostante prende qnella
forma che euggella, che imprime, in lei
per propria virtù l'anima che ivi ai fer^
mò. Questo ricoprirsi che fa l'anina di
no soUil velo dell'aria circoatanta non
è immaginato dal Poeta : cos'i la panaa-
rono alcuni Padn addetti alla dottrino
platoniche d'Origene. Sant'Agoatino la*
aci^ problematica si fatta opiniono.
98 ti mula, si move.
99. Segue allo tpirto te,, Q «MÌO
eorpo va dietro allo spirito.
1 00 . Peroeehè qiiindi ae, E porche
l'anima Ka gMÌiuH,ctoe, da qnaato corpo
aereo, la sua apparenaa, cioè, per aaao
ai fa visibile, è chiamata omAfW.
401-102. a ^M{ orgoiui f§i
BEL FCBCATaHIO
Quindi parliamo, e quindi rìdiam noi.
Quindi racciam le lagrime e i soS|)iri
Che per lo monte aver iBeotili puoi.
Secondo che ci aOìgon li disiri
E gli altri afTelli, l'ombra si Ggura;
E questa è la camion dì ctie tu miri.
E già venuto all' ultima tortura I*)
S'era per noi, e volto alla man destra.
Ed eravamo attenti ad altra cura.
Quivi la ripa Bamma in fuor balestra,
E la cornice spira Gaio in soao.
Che le re flette, e via da lei sequestra.
Ond' ir ne convenìa dal lato schiuso
Ad uno ad uno, ed io temeva il fuoco
Quinci, e quindi temeva il cader giuso.
Lo Duca mio dicea: per questo loco
Si vuol tenere agli occhi stretto il freno,
Perocch' errar polrebbesi per poco-
I
»
CioMm itutirt, a ad dddto corp»
l'inima l'orgiDim loltì i tenti cidi)
lul appressi..
112. («Hpa, la parie dal nonlt
■Ili lUla.
405. QuimU. in Julà dì qnalo
dia fa tponda alla .Irada.— Mutr*.
carpa icrdi.
galla con impelo.
106-407. SHOndo cJit ci afft-
113-IM. SI>cor«àM«e.:ciat.
gm U.: l'ombri, il corpo (grao, li
l'orlo della ilfhla dalla parla oMiaU
iatllra puiiiHii clw ci ■^«u, ci pun-
manda .enlo In n, cto n/MuVri-
•piaga la liimm*, Iti» da tri «afw
gnia giIraltggsQO. Da d.'tlo iiichc at-
tTWf. Mi «inu il dvior tht li U
.U.alnni, la di.c«»a,l>.UMHn
da ti. U Etnaa coti alWluaM U-
iMcia. E uo ainil ufliilùra .1 Saloii-
.eia nna .iuu. ai Foci! pu- naoM-bar
ati i Confs) Jfmori li» carwi mtat.
•co» >ir.«. Quola fimi»» M mUo,
Palraliba p<r« pnndeni a^trt ancbo
.. HO., ili /«.ara. f«-m<r>. perla
fona «terollala lull'auinia dall' oliìallD
dalla pa-ioi».
cerchio luparinre via ti pnrp la Iosa-
ria, lane noi tignifioa.a ci» pohwla
m. la ctginn di th» Cu miri.
rimclio oobU-o gV impari trJorì » il di.
U r.|iui. di ci4 cha mararigliaod.
eiu-io, - la lubrigla: Sina Ctrwrt tt
«Ji.
Batcho (riga r«nil(:aiilieo prdtaibiu.
109. all'ullfma lorMra, «o», .1-
1 15-IIS. Kb>iitD.cioe aenuapinH
da.— Jil u» I»! ««. on J.p. l'alUo.
l'oUimi. glroM, OH a lorlanno, «
1 IT, Ou>KÌ. da unt parta, da ti-
cba (.roiJara la t«> tortura nul tento
niitra,
110-120. ajKwcMtlrrttoB /re-
no: hko biiogoa *agar con'i "«Wl»»
l'I SolUinii «1 ulliiDii inrDiia.
.lt.ui.l>.J.r.ll<.!!adan<ilaU>,..l
Ih. od «Jlm nm- tniHidi. naa
pri^piiio d.ll'.llr.,-p«- ««,. Ulà\-
meni.- 1.1 .en» allegorico. (iidIiMimi 4
Bit ali* curi ili iap»re (omo pouii»
tarai nia|ro i« ftiue l'.inibri; dui aua-
ti,niii|a«lltdl ImioitdictiDiui-
Il ctdula Oli peccali carnali, M Ma ai
cntLUitcooogUclu.
CANTO TENTESmOQUINTa it9
SummtB Deus clementÙB^ nel seno
Del grand* ardore allora odi' cantando,
Che di volger mi fé caler non meno.
£ vidi spirti per la fiamma andando;
Perch* io guardava ai loro ed a* miei passi, 42S
Compartendo la vista a quando a quando.
Appresso il fine eh* a quell' inno (jb^sì,
Gridavan allo: Yìrvm non cogrumo;
Indi ricominciavan V inno bassi.
Finitolo, anche gridavano: Al bosco i30
Si tenne Diana , ed Elice caccionne,
Che di Venere avea sentito il tosco.
Indi al cantar tornavano; indi donne
Gridavano, e mariti che fur casti,
Come virtute e matrimonio imponne. I3&
E questo modo credo che lor basti
Per tutto il tempo che 'I fuoco gli abbrucia:
Con tal cura conviene e con tai pasti
Che la piaga dassezzo si ricucia.
421-422. Summm ee. Principio
^elV inno che la Chiesa recita nel nualtn-
tino del tahato^e che le anime parianti
il ?bio della lussuria cantano, perocché
in miello si domanda a Dìo il dono delln
ponte. — nel seno Del grand' ardo-
T9 9e., cioè, nel mezzo di quelle cooenti
fiaainie udii cantare.
426. Compartendo la 9itta, toI»
^tndo la TÌsta ora ai loro passi , ora ai
nùni. — a quando a quando, di tenpo
in tempo.
42/. Appresto U fine ee., in m-
(*vito nirolUma strofe dell'inno.
428. Gridar an alto ee. , grìdarano
ad dU foce le parole dette da ilarìn
Vergine all'Arcangelo Gabriele. Prose*
f^ Dante a far cantare alle anime
csenpj contrarj al vizio di che it pvr-
;7aao. Gli esempj sono significati ad alta
\oce, poiché con quelli le anime ripren-
dono té medesime . l' inno é cantato a
Laasa voce, siccome preghiera che fanno
a Dio.
430. J/ hoteo Si tenne Diana.
Diana Sglia dì Latona conserve la ver*
0iaith , e fé tua delizia delle selve , per-
chè nella solitudine e nei faticoai eter*
rizj della caccia è meno pencolo a
quella virtà.
4(IH. ed Blie$ eaceionne. Diana,
accendo le favole, seppe che una del
auo coro nominata Elice , o sia Calisto,
che divenne poi in delo l'Orsa maf-
siore , era gravida ; onde cacciolla dal
boeco, ov'cssa Dea ti femie» cioè, restò.
432. Che di Venere aoea tenUto U
toteo, che avrà perduta la sua vergi-
nité. — Tosco, o veleno, é ben detto
quel piacere che gustato torba la sera-
nité dell'anima , e diffonde per le mU
delle un fii< co inquieto che divora.
455-434. fn(ff lionne ee.: indi gri-
dando rirordavano esempj dì donna a
di mariti che vissero casti.
435. tmponnc, ne impone.
4 30-4 37 . B questo modo credo éke
lor batti ee. E credo che questo modo
alternato di cantare e gridare , duri in-
variabile tutto il tempo della loro pur-
gazione.
45S^39. Con tal cura ee. Con tali
mezzi , cioè, dì cantar l' inno con foca
sommessa , e di gridare ad alta voea gli
ctempj di cestite ; — § con tai poiH,
col pascolo cioè del fuoco purgante ,
avviene che ti ricucia la pit^a da»-
tetto, ctie n rimargini Pnltima piaga;
os«ia che si purghi il peccato punito
nell'ultimo luogo.
430
DBL PURGATORIO
CAinrO TEHTESm^SESTS.
te àm§ teUtn cofllrwte. PatU Dmm mm GmU» CmImctUI, 0 pm aom AmaUm Ommàem pmm
Mentre che ^ per F orlo, uno innanzi altro,
Ce n* andavamo, spesso il buon Maestro
Diceva: Chiarda: giovi chMo ti scaltra
Feriami 11 Sole in su 1* omero destro,
Che già, raggiando, tatto 1* occidente
Mutava in bianco aspetto di cilestro:
Ed io Iacea con T ombra più rovente
Parer la fiamma, e pur a tanto indizio
Vidi molt* ombre, andando, poner mente.
Questa fìi la cagion che diede inizio
Loro a parlar di me; e cominciarsi
A dir: Colui non par corpo fittizio.
Poi verso me, quanto potevan farsi.
Certi si feron, sempre con riguardo
Di non uscir dove non fosser arsi.
0 tu, che vai, non per esser più tardo.
Ma forse reverente, agli altri do{)o.
Rispondi a me, che in sete e in fuoco ardo:
Né solo a me la tua risposta è uo{X);
Che tutti questi n* hanno maggior sete
4. •no «nxìT «/Irò legga il Codie* qni come altroTe fidi moli*
P«gg.
5. gioti eh* io ti saUtro , gio? ili
ch'io ti rendo avtertito. — Guarda,
dorè metti i piedi.
4-6. Fertami il Sole ee. Cottr.: Il
SoU che raggiando mutava già tuUo
r oeeidentt di ciUitro aspetto in
Hmtuo, mi ferita in tu V omero do-
giro. Si M che dove il t»Ae t'avvieioa,
qMila parta di etelo , che pnina appa-
io
ii
«M oe. Cmit. •
rira azsorra, diveata bianca. Dice che
lo (eri? a aull'ooieru destro, a significort
che era abbasMto molto, e die l'oai-
hra dalla sua persona nnd.iva a cader*
m le fiamme che gli erano a «inislra.
7. con Vomkra ee Intendi: af>
io tra il sole che mi splendeva a
àt^tn o la fiamma che era alla sàoislra,
finiva coD' ombra del cnrpn mio parerò
piA mvaolo , piò rossa , la detu '
■0. n fooco allo acoro splende più vìvo.
S-9. • pur a tornio indiiio: o par
aodaodo por mente , fare atl
coaa SI insolita, a segno ik
corpo vero.
1 0- n . rfce diede iniiio ee.,cU |^
moase , che die loro argooMoto a pv>
lare di me.
12. corpo fiUixio, corpo
qua! preiidon le anime dopo
43-15. Poi verso
iot.: Poi certi, alcuni, fi feron, a'f
lanino, versu me tanto quanto
farsi , tempre però con rigoardo M
non uscir dote non fo$$er mnip 4i
m>n UMrir, ci<»e, dalle Gamma.
16 O tu, che vai ee. Coalr.: O li
che vai dopo, dietro, gli altri, aoa pi^
che tu sii più lento, ma forao par
rensa verso quei che eoo teco eo.
20-21 maggior tele, maggior (
derìo, rhe nmi hanno dell'acqna fraMl 1
popoli dell'India e dell' Etiopia, r^
giani arse dal sole.
CANTO YENmijpOSESTO.
Che d' acqua fredda loìlo o Etiopo.
Dinne com* ò che fiati di te parete
Al Sol, come se tu non fossi ancora
Di morte entrato dentro dalla rete.
Sì mi parlava un d* essi, ed io mi fora
Già manifesto, s' i' non fossi atteso
Ad altra novità ch'apparse allora;
Che per lo mezzo dei cammino acceso
Venia gente col viso incontro a questa,
La qual mi fece a rimirar sospeso.
Li veggio d' ogni parte farsi presta
Ciascun* ombra, e baciarsi una con una,
Senza ristar, contente a breve festa.
Così per entro loro schiera bruna
S' ammusa 1* una con 1* altra formica,
Forse a spiar ior via e lor fortuna.
Tosto che parton 1* accoglienza amica.
Prima ctie '1 primo passo li trascorra,
Sopraggridar ciascuna s'affatica:
La nuova gente: Soddoma e Gomorra;
E r altra: Nella vacca entra Pasife,
431
26-
30
3&
40
22. /M di te fat^U, fai eoi tao
corpo ftUcolo alla luce dal aola.
23-24. eom$ s§ tm ac. : tona sa la
■OD foaai già fUto colto oalla reto di
aorta, coma aa to foasi teoiire vivo.
25. mi fora.., manifeito, où aaroi
oiaoifaatato.
26. f* f' non fotti olteto, s'io nao
afaaM airoto l'animo volto ee.
2S. iti cammino aeeeto, dalla
alroda ova ardevano lo fiamma.
29-30. inamtro a fueita, ipcootro
alla faota, alla moftitodine cbe eraai
aocoatata a aia. — ìm qual^ int. la gaota
cha Tcaiva. La daa achiera andafano in
dirasiooa eootraria.
51 . fmni pretta, affrettani.
52. Ciateun' ombra a baciarti,
leggo il Chig.
53. • brett fetta, di oo brafo ab-
brafciamanto. Qaaato badarti acambio-
▼ola, dM è oai a dimoatraaioBe di asor
difillo, di intoraa caritè^ ricorda la
triatisia a aboninaxiooe antica.
55. S'amtwtuta, aeootraai moto a
m
36. Font a tpiar lor via, fona
per domandar» dove Taono a la eondi>
nona delle loro coca. Grati aaa imoM-
gine, lolla dal dettato cornano.
87. Tatto che parton te. Torna a
paHar drlle anime. Fattaai ramicbo*.
volo accoglienza , dato e ricevalo il bado.
58. Priata che il primo patto te,
Prìma cbe facciano il primo paaao per
diaoMtard gli uni dagli altri. — H, di H,
dal lut»go deirincootro. — trateorra^
corra oltre.
39. topraggridar , gridare al di-
aopra, gridar piò forte.
40. La nuova gtntt te. laleodi:
la gente cha vidi venire ioeontro a
Snella cb* io atava mirando , gridar»
oddoma e Gomorra. Si ricordano
3ocste città infami panite orribilmente
a Dio, a terrore di cbi diaooora U
oatora.
41. E faltra, l'altra gente cbe
prima mi t'era accoatata^ gridava Pa-
tift. Coatei fa moglie di Miooa re di
Cr^ . e aeeoodo la favola , ioaamora-
taai d' an toro , p«r eoogiaogerH eoo
lai , entrò in ona vacca di legno cb'ella
avea fatto fabbricare molto aimile al
432
DEL •ViJBGATORIO
Perché il torello a sua Inssnria corra.
Poi come gm, eh' alle montagne Rife
Yolasser parte, e parte in ver V arene,
Queste del giel, quelle del Sole schife;
L' una gente sen va, I* altra sen viene,
E toman lagrimando a* primi canti,
E al gridar che più lor si conviene :
E raccostarsi a me, come davanti,
Essi medesmi che m' avean pregato,
Attenti ad ascoltar ne' lor sembianti.
Io, che due volte avea visto lor grato,
Incominciai: 0 anime sicure
D' aver, quando che sia, di pace stato,
Non son rimase acerbe né mature
Le membra mie di là , ma son qui meco
Col sangue suo e con le sue giunture.
Quinci su vo per non esser più cieco:
Donna é di sopra che n' acquista grazia,
Perché '1 mortai pel vostro mondo reco.
Ma se la vostra maggior voglia sazia
Tosto divcgna, si che '1 ciel v' alberghi
Ch*é pien d'amore e più ampio si spazia.
50
bì
€0
vero. È simbolo delle diiordioate e mo-
straose libidini.
43-45. Poi eonu gru ee. Intendi :
poi come no branco di gru , che divi-
dendoti parte tolaaaero alle montagne
Rife (nella Moscovia boreale), trài-
fe, remote dal soie; e parte in Afrira
alle arene della Libia , ichife del gelo,
per caaere infocate dal sole, ec.
40. Vuna gente $en va, la nnova,
quella venuta da destra. — l'altra,
quella che andava nella stessa dire>
zinne che i Poeti.
47. a' primi tanti, cioè, a cantare
rinno lumina Drut elementiw.
48. E al gridar ee. Intendi al gri-
dar alto quegli esempj di castità eitati
nel Canto precedente ^v 420 e srg ),
▼ali secondo la varietà delle peimiue e
dalU colpe che stanno purgando.
49. B raeeoiturtt a me. Coatr. a
itti.: E quei medesimi che m'avenu pr^
Min, ■ nMeuklartmo • me cum« avean
Min iiuMna, inl«uU nei Iw seinbinbt»,
cioè, nompoatì a grande ati«n<i«NM per
awoliarai.
S2. grato, gradimento, deaideria.
5a-57 . Aon son rimaee ee. Int.: ìa
non sono qui nudo spirito che abbia 1^
sciato o in età fresca o in età naatan i
proprio corpo nell' emisfero de* nvì ,
ma vo pel vostro monte in nniat o M
corpo.
58. Quinci su, quasaà , al dalt.
— per non esser piii eieeo, ònè,
per illuminare la mente mìa, ù Aem
non abbia più ad errare, aieeoOM ^
feci.
CO. Perchè, per la qnal frtù. —
il mortai, il corpo mortale.
CI . tf, COSI ; e detto eoo afffcCU, •
con desiderio del bene di quella ni»
me. — la vostra maggior TogKm, éba
è quella di pHr|;ariù, di che Tidi •!
C. XXI. V. 64 •
62-65. 1/ eiel v'alberghi Ck^kfUm
éTanuire ee Int.. il cielo empire», dtt
essendo sopra tutti gli a^tri adi . è fUk
apaKinst» «-d è pieno d* antera , aiee""~"
quello che è la sede di Dio , cm è
nito amore, e dille anime aletta,
anno beate nell'amore di Dia.
CANTO YENTESIMOSESTO.
Ditemi y acciocché ancor carte ne vei^hi.
Chi siete voi, e chi è quella tarba
Che si ne va diretro a* vostri terghi?
Non altrimenti stupido si torba
Lo montanaro, e rimirando ammata,
Quando rozzo e salvatico s* inurba,
Che ciascun* ombra fece in sua paruta:
Ma poiché furou di stupore scarche,
Lo qua! negli alti cuor tosto s' attuta,
Beato te, che delle nostre marche,
Ricominciò colei che pria ne chiese.
Per viver meglio esperienza imbarche 1
La gente, che non vien con noi, offese
Di ciò, per che già Cesar, trionfando,
Regina eoDtra sé chiamar s* intense;
Però si parton Sòddoroa gridando.
Rimproverando a sé, com* hai udito,
£ aiutan T arsura vergognando.
Nostro peccato fu ermafrodito;
Ma perché non servammo umana legge.
Seguendo come bestie V appetito.
In obbrobrio di noi per noi si legge.
433
65
7#
n
sa
S6
$4 . muiocehè ancor. Aaclie perrbè,
fllCrt U mm so<litftzioae , io oe poisa
serirere • memoria degli aomiai.
66. Ck$ Bine 9a dintro te,: l'al-
tra fcbicra eba va in taÌBao ooalrario, a
che grida Soddoma.
6S. — ibimIo, ammutolisce.
69. ^itmrba, entra io citte.
70. Che, al rìrerìace a non aUri'
men ti» — ^ tua paruta^ in toa saat-
kia nn.
72. t'aitula, si qniota, cessa, per il
pr ooto sopravvenire della ragiona , a
d alla intelligensa delle cose.
75, 75. Beato tt ac. Costr. a iot.:
Beato t« cèe per viver meglio nel oh»-
do, JnAmrthe, vieni a imbarcare, a far
provvista di espcrìenf a in questa nostra
flMnneA«,cootrade. Il Buii a alcuniGidd.
bauBo aial V. 75: Per nutrir wuglio,
«a prafcnaco la oom. In prova , vadK
n V. 5S
74. eotfi, quell'ombra.
76*77 . La gente, che non vien con
fìoi : la gente cbe va in direzione contra-
ri a. — offeeeDicià, pfreheee., paacodi
quel peccato par cui giàCesaraae. ìdoit,
wmUebria finti.
78. Regina ec. Iot.: Casara, vìnta
la Oallia , odi nel suo trionfo cba i li-
eentioai soldati lo cbiamarono eoi nona
di Regina. Dieesi cba il re Nicomada
abusasse dalla gionoesza di Ceaara . a
cba i soldati gridassero nel detto triooU|
dova ara tollerata ogni lieenxa : GalUoM
Catar suiiGir, Nicomedtt Catanm,
'^cotUratè, in faccia, a io nota propria.
79. ti parton, si psrtimo da oai.
80. Rimproverando a tè, in rim-
provero di sé slessi.
84 . E aiutan te., e la vergogna ,
cba tal confessione in loro produca,
dentro gli sbbruria si,cbe accreaca l'ar*
sarà cbe sitfTrono per le Bamroa.
82 Nottro peccalo fn ermatraii'
to, Ermsfrodiiu, secondo la favola, ab*
be due sessi ; onde diceodooi cba il iota
peccato fu tvwmfrodUo, si wola •»>
ceonara a turpissimi aboai fra lomo •
donna.
85. por noi ti legge, ti cita da mì
staaai, si grida.
38
Quando partìamci, i! nome di colei
Glie s' imbestiò nell' irabe^lialo schegge.
Or sai noslri alU, e di che Intorno rei;
Se forse a nome vuoi saper chi semo,
Tempo non è du dire, e non saprei.
Furolli ben di me volere scento;
Son Guido Guinicelli, e gli mi purgo
Per ben dolermi prima eh' allo strema.
Quali nella tristizia di Licurgo
Si fer duo figli a riveder la madre.
Tal mi (ec'io, ma non a tanto iasurgo.
Quando i' ndi' nomar aè stesso il padre
Mìo e degli altri miei miglior, che imi
Rime d' amore usar dolci e leggiadre:
E senza udire e dir pensoso andai
Lunga Sata rimirando lui,
NÉ per lo fuoi-o in là più m' appressai.
Poiché di riguardar pasciuto Tui,
Tutto m'offersi pronto al suo ser\igio.
Con r affermar che fa credere altrui.
Loia (dli prr poco iMcùIa
k
so TimponanéiBiinK: »■
Moac mi i»! , t..ip. BUI riou» .!•
pMtrd^ra, gì «iv.i dati il mima di
tmii, |»rdlà «t €«.««. pDcM. Cnnfcm,-
ta «■ aDFilfparDlt iiulli diBnullo
UlÌl»I»11iVJdl'il>f(fM.
91. Fonili b»i te Cottr.-.Bilfa-
nlH w«u <U w/fr m>. Brn l.™iii
WMMUnflUdH h» di »>■<««- PI';
«<.,». r-Ml. di. mi. -«..».
gg. S«Ua CMtmiHÌU. Funw ri-
"* U, »C»ni éeltrmi. ta a»™i
im Mit> iriau cb. io «oiai iJ.
91-99. (^«/.■ «tUm trbliiia «.
<^dii^iy''bui«.<l l:i>D(ii di-
• iaprtiKiw ■ mraKro dUircb. Linugi^
■nMfiri.iUl.». tjnr|BP.d>Ata»
tiM 4.1. il >u> pccoLo Eoii<.0[.ll*,p°i
cb. il pajre ari dulm* *■»■ pitr mi-
Jvla, inlnd.cnillpWTUS i Mi cka*
I» •nJ.tieu m cr», • Mni U <t
hr.cci.rii la i.l.itx».
likTattM*.
da . [ha, iccond* SU»' Pari*!**»
wifiie )rruzriiBl, wutrrm^m acMii
«nnpIuitKi auto Wrdpiaat |tnM
aliirnofUiT f^iclvra mh(«J. Tkifc-,
lib. V' 721.
S7-9a. a pwlr* Mia, ■«« wl«
(<;ulJuCuini«ll>)awiurap.dkBakM
puaiin; pviih. dal]* M* Mà'itai
niulU apprau. — « diy» «Uff aW
■v^lior.ckaaMÌiC.liil.^ daflìaUri»
^linn iuliani, miti nuioikilì, «ha fil
fiadra, il primD ^ula «1 «■n*,J
'■ <1.1 r. ID9.
CANTO YEMTBSIMOSESTO.
435
Ed egli a me: Tu lasci tal vestigio, ^
Per qael eh* i* odo, in me, e tanto chiaro,
Che Lete noi può torre né far bigio.
Mj, se le tue parole or ver giurare,
Dimmi che é cagion perché dimostri
, Nel dire e nel guardar d* avermi caro?
Ed io a lui : Li dolci deUi vostri
Che, quanto durerà 1* uso moderno,
Faranno cari ancora 1 loro inchiostri.
0 frate, disse, questi eh' io li scemo
Col dito (e addilo un spirto innanzi]
Fu miglior fabbro del parlar materno.
Versi d* amore e prose di romanzi
Soverchiò tutti, e lascia dir gli stolti
Che quel di Lemo^ credon eh* avanzi.
A voce più eh' al ver drizzan li volti,
E cosi ferman sua opinione
Prima eh' arte o ragion per lor s' ascolti.
Cosi far molti anlicbi di Guittone,
Di grido in grido por lui dando pregio,
Fin che l' ha vinto il ver con più persone.
HO
116
4S0
186
406-407. tal litigio.... in
«e. , tal Mgno dell'amor tuo Teno di me.
40S. Uts , r obkliYiooa. -^fturbi"
§Ì0, oaevare.
Ilo. ehé è eagion pmrehè élm»'
^ri ee., goal' è la cagiona per «wac.
142-145. Lidohi detU vosUii. la
TOtIra dola rime. — l'uso mod§rmù,
V oao dal volgare che era allora moder-
no, perchè da poco tempo ti coltiverà.
444.4 laro tfKAtoifH.faran pranoei
i attioacritti che contengono gaa* detti.
445. Memo, dìsiìngiio eal dito,
matto a parte dagli altri.
447. Fu miglior fabbro éU fmr^
ter maUmo: cioè, armoainè maglio
d'ogni altro il materno lingoaggio, il
Tolgare ; fa il migliore di qoanti ahinaa
poetalo nella lingua propria. — With
larmo, ata ^ni in oppoaiaona al loMno
in eoi molti componevano a qnal tam-
po, ma dia non era più lingna popaltra
o mataroa.
44S-449. Veni d^ amore te. So*
vaidiià, raperò lutii f>oroi d'amore,
qoalnnqne poetico componimento amo»
roto, • qnalaivaglia raeooalo eaval-
lereaco in prosa , ecrìtti aTanli £ fan.
420. quel di lemofi. Garaslt da
Bamail di Limogca, o Lemaal , imaao
poeta proTeniale, che il Tolgo preferì
ad Arnaldo Daniello.
421^22. À 9oeepik ch'ai vor.
Ascoltano più la fama, che il ma dalla
volte è vena, che la verità. Or inetti, a
son molti , vuoti di discernimento, aa
gonfi dt superbia, decidono eoo rìdieala
prosopopea del merita da libri taon p«r
avarli letti, o se letti, certo non tntad;
a lodano o vituperano, secondo cha «di-
roDo lodarli o ritoperarli, da ^ a «►
me non importa. È »tato sempre ood,
ed è eoe). — dritzam HyoM, dipisfa
l'alto di chi porge orecchio.
423. Prima ch'altra rcfim, Il
Butì.
424. GuiUom$t antieo riadort di
Arano.
425. Di grido intrido f di vwab
vaco, gridando gli «ni appramo aU al*
tri. — pur M ee., solamanta a lai dan-
do lode.
426. Finche rka vinto ee.: flnebi
la verità, con piiiptriOM cioè, coi
DtL PUhGATOniO
Or, ee tu bai si ampio privilegio.
Che licilo ti sia l'undRre al chiostro.
Nel quale è CrìMo abaie del collegio.
Fagli per me un dir di paternostro.
Quanto bisogna a noi di questo mondo,
Ove poter [eccar non è più nostro.
Poi, forse per dar luogo altrui .«ccondo,
Che presso nvea, dispane per lo fiioco,
Come per 1' acqua ii pesce andando al fondo.
lo mi feci al mostrato itinanzi un poco,
E dissi ch'ai suo nome il mio desire
Apparecchiava grazioso loco.
Ei cominciò lilwramenle a dire:
Tan m' abelhU vostre cortes deman,
Qu' ieunom puesc ni m voiìl a t-os cobrire.
leu sui Amautz, que pìor e vai cliantan:
ConsxTos vei la paxsada folor,
E va jauzen lo joi qu' esper deiian.
Ara US prec per aqueila valor,
Que US guia al som sera frdfh e sens eatùia,
SovenÌM US alemprar ma dolor.
Poi s' ascose nel fuoco che gli aDiaa.
nata, oli In lello |uilli Imlr
riUlI che il lolgo gli di». 0/
•lo Jicali. — abalt, nei prlncijij dell)
liDflna Duiisi In Eenwiie pcf iioJre,
Izi-ioi.FagUpermtuaiirdi
paltrtioilro, Ouanlo iiiojrna K- Ite-
[iln • lui pur nw un pater noiltr, GnD
u ifiiel pDUtipdi fjueli orezinno che può
Iropolcre, ii ftain. Dovm dunque
433-131. Poi, fané ptr dar te.
4S7-I3B. £ dùji chal tua »
« «r. E gli din» che Uul'er. il Joid,-
>u tli'ig .vce i} eoDDuertD, eh* ivn
: moli» giHifil iimplincDta.
139. £ici1iiifncÌAlti«riilMIU«,e
HO. JaKitabtlhittc. Landau i
orai prtneiuili Ktuode !■ coimiHK
.ol(i|!iinrH*^wiird,eTÌa|ipiMfi>liB
.ucci nella lua inalili dei vtrìi ita
g.20.-. Tinto m'ibbcllue,
• l"'"»"
e (iKimHifrrvj. ta Hnn
., pi-™, vo ««,«!,.
in,„roMO. «pitto) «--
■ IMan [follia),» *ts!^«
• taivrelciridl.ibci
437
CANTO inEMTEsmosKnniio.
VJitpelo dkt guarda U péuio, mtuerta i P««ff tkt per smttrt étMomo trmmnmrt I* fiamme.
JS tiirèa mU'aitiHimtio r Jtigkitri, é tUuf^, éu ckt eomf»rUtlo dal Matstn fa a patmtfio. J»-
wtalUl per la seti*, gli amata fmaai tmèUo la ««Mf tht tepnnmeu*. Dami* $* addormenta, ed ha
una •liiùne. Destatoii «of giorno e ripraao ola, giomgo sol ParmdUo terrestro, dooe FirgUio gii
dliee eh* ommì U eoo mffieio e compitOt t eko d'allora ei to latda libero sigmor di ti slesso.
Siccome quando i primi raggi vibra
Là dove il suo Fattore il sangue sparse ,
Cadendo Ibero sotto Talta Libra ,
E l' onde in Gange da nona riarse,
Sì stava il Sole; onde 'l giorno sen giva, 5
Quando l'Angel di Dio lieto ci apparse.
Fuor della fiamma stava in su la riva,
£ cantava Beati mumdo corde,
In voce assai più che la nostra viva.
Poscia: Più non si va, se pria non morde, io
Anime sante, il fìioco; entrate in esso,
Ed al cantar di là non siate sorde.
Si disse, come noi gli fummo presso;
PerchMo divenni tal, quando lo 'ntesi.
Quel è colui che nella fossa è messo. 16
In :^u le man commesse mi protesi,
4 -5. Siccome quando te. Ordina la eoai, poato nel primo verto ; ma tiecoaio
frase coti : Il gole «i giata, siccome (in di qaesta forma di parlare ti hanno al-
4|ael punto in cui si trova) quando vi- tri esempj, cos) io r ho ritennta, paren-
brm i primi raggi là dove il iico Pai- domi che ci gnadagoi di fona la frase.
iore sparse il sangue, Ibero eadendo. Anche nella sacra scrittura leggiamo
cioè scorrendo al mare, sotto l' alta li- Starr puUus hirundinis sic elmiMÒo.
bra, colla libra alta, cioè al suo meri- 7. insù la riva, solPestremità della
«liaoo, e Tonde cadendo, scorrendo, in strada, il cui largo era oceopato daUc
Gange riarse da nona. In somma , fis- fiamme.
sato che a Gerusalemme il sole vibrava 9. In voce assai piik che la nostra
i primi rag(p, ne segue, secondo il piano viva: in voce viva, chiara, armonica,
geografico più volte accennato del Poe- più che la nostra.
ta, che tramontava al Purgatorio (onde iù-ii. Poscia: sottint. diaae. — Se
il giorno sen giva)j che era meaa fnria non morde.,., il /Woeo .- so prima
notte soli' Ibero, fiume della Spagna, e il fuoco non vi fa sentire il suo morso,
confine occidentale ; mezzo giorno, o il non vi scotta on poeo.
principio di nona sul Gange, sopposto <I2. alcanlar dita, alla voce che
confine orientale , riguardo al noatro di Ih udirete cantare,
emisfero, e il qnal fiume scorre sotto il 45. Qual è colui ee. Costernato co-
jneridiano deir opposta Spagna ; mesi' me colni che è eondannato ad eaiere ae-
diano che è l'orizzonte comono a Gero- polto vivo. Vedi Inf., Canto XIX, T.40.
salemme e al monte del Purgatorio. Ea- 46. insuleman ee. Ili protosi verso
sondo il sole in ariete, la notte dovaa le mani insieme cnauneaie, doè inserio
ciisere nel segno opposto che è la libra. V una nell' altra , o collo paloM rivolto
— Sì slava. Potca leggersi anche ti allo ingiù in atto d* «omo cbe sta in
slata , per evitare la ripetizione del fi, forse e pieno di meraviglia.
Guardando il fuoco, e immai^ìnando forte
Umimì corpi già veduti accesi.
Volgersi verso me le buone scorie:
E Virgilio mi disse: Figlinol mio.
Qui puole esser lormenlo, ma non ntorle
Ricordali, ricordali.... e, se io
Sovr' es$o Gerion ti guidai salvo.
Che farò or che son più presso a Dio?
Credi per eerto che, se dentro all' alvo
Di questa fiamma stessi Iwn mill' aniU, ~
Non ti potrebbe far d' un capei calvo,
E se tu credi forse eh' io t' inganni,
Fatti ver lei, e Tatti far credenza
Con le lue mani al lembo de' tuoi panni.
Pon giù ornai, pon giù ogni temenza;
Volgili in qua, e vieni oltre sicuro.
Ed io pur fermo, e contra coscienza.
Quando mi vide stai pur (ermo e duro.
Turbato un poco, disse: Or vedi, figlio,
Tra Beatrice e te è questo muro.
Com' al Dome di Tisbe aperse il ciglio
4T-I8. intmaji
rappKHDtivdovpi ulti mi
M ^ BOB B |Mlnlik« n ini pitturi.
n. le iwmtmrl*. Inlindi Virgì-
i:
ino luniiili c<IU nni» un dMd pba,
ti glBiiu nriina Tube. Uà IumiÌiIIi
c«Ki •111 Tini d' ■■!■ lioxm, «I m
•III r*!^, ro(li'inniliil(nddtilt«h
U. pa fnuo a /Ho, lint, pit n-
di* A t^tl nt\a ore Dio ruiede.
n atr'al»M.,>lMiw, Klmnio
39-1» hllf /brmJanjB»:hlli
Btirttb'io DM t'mganiw, iltrabs
dnin ( tvlUiIndolo, lo I
del nngie dì eh* jitr iTTrutan mt
t«, t nihilo ■ pie iti g.L> ;i Ida M-
B*n, pieno di disperilo dolon «M «
CANTO 'vmrrmmosBrriMo.
439
Piramo ifl ss la mofte,, e tignafddìfr,
Mor che il gelsà'diveoCò vemiglio ;
Cosi, la mia dnrefsza fatta solla,
Mi irdteì al sanoDaca, udendoli nome
Che nella mente «eaipre mi rampélla.
Ond'ei croHò^ la testa, e olisse : Come!
Tolemci star di quat radi 'sorrìse,
Com' al ifoncnil ah cb'è Vinto al pome.
Poi dentro al ftioco innanzi mi si mise,
Pregando Stazio che lenisse rétro.
Che pria per hmga strada ci divìse.
Come Ali dentro, in vn boglienle vetro
Gittato mi sarei per rinfresearrei ;
Tanto ergivi lo ravandiò senza mètro.
Lo dolce Padre mio, per confortarmi,
Por di Beatrìce ragionando andava.
Dicendo: Gli xxstìA snoi già veder parmi.
Guidavaci ona voee the cantava
Di là ; e noi attenti poro a lei,
Venimmo ftior là ove si montava.
Venite, benedicH patris mei,
Sonò dentro da un lame, che Fi era
Tal , che mi vinse, e guardar noi poteL
Lo Sol sen va, soggiunse, e vien la sera ;
Non v* arrestate, ma studiate il passo,
Mentre che 1* occidente non s* annera.
40
45
M>
66
IO
ti ira^^e. In qaelli Mprag-
giotg* Tkhe , alla coi vuce il gioraiie
Sfiitrilo apre ali occhi, e un momento
fiffì rìebiaoe per semjpre. L» donna
allora IPsKe il pn^ale di Ini « ti acci-
dc. n g«wo bagnato del taamie da' dna
iofdici cambiò, dice la farola, io.roaae
la aaw morf bianche.
40. t0Ua, arrenderole, piegbaTole.
42. mi rampolla. Scorre eootimio
aaaae «aa pWla d' acqua pereoaa.
44. ituti t9rrise: Virgilio ai aecarM
dal* «fletto magico della ana parola;
pciè gfi denaada te vaole tncera raatar
di tgmÈf «arto eh' ei non Toolipiè.
Ah. tinto alpomi, preao, vinto dal
fimtrm dol noatratfgii pomo. — <poiiM
a pomio, tome vote e vtuo ee., Jintie.
47. rHrOt cioè dopo di ma. Coaì
dìapooa Tirgilio per ater P alunno pia
prcaao, onda poterlo confortare al biso-
gno ; a forte perchè intimorito dal fateo
non retroceda.
48. Che j^riqperlungaàtroda ee.,
il quale Stazio ci aTea per lango tratto
di strada dÌTisi Vuno dairaltro, eaaando
•tenuto medio tra lui e me.
51. $om%a metro, smianrato.
53. Pur di Beatrice te. Sitott«-
Muo i più grandi tormenti aod eaoforti
r idea d' un gran bene da coBsafmnì
par quelli. L' istoria ce n'offra jnalti
esempj ; ma soprattutto quella ^1 Cii-
stiaaesimo.
57. fuor ee., fuori della fiamma U
dora era la scala per montar sopca.
69-60. Soma deniro ee.: ti tanfi ri-
tonare dentro a una luce, a uno wlao-
dorè tede, ohe mi abbagUè-at. E vn
ingelo.
63. Jle«<re che l'oceidouU oe.,
mentre che al tatto non annotti.
f Dfitla Balia la via por
entro il sasso.
1 Verso tal parte, eh" io tORlieva i raggi o
L DlDanxi a ine del Sol rh' era ^è lasso.
1 E di pochi soaglion levammo i saggi.
1 Che 11 Sol corcar
per r ombra che si spen*,
m Senlimmo dietro ed io e gli miei Saggi.
^^^V E pria che in lutle le
sue parli immense 7D i
^^^K Fu'^oe orizzonte fatto d' un aspetto, j
^^^^H E Nolte avesse tutte sue dispense, |
^^F Cia^n di noi d' un
rado fece lello;
■ Che la natura del moole ci affrjnse 1
W La possa del ^alir
più che il diletto. »
■ i Quali si Canoo ruminando manse |
B^^^ Le capre, stalo ra
pide e proterve
^^^^ Sopra le cime, prima che sieu prange,
^^^^^^ Tacile all'ombra, mentre che '1 Sol ferve.
^^I^H Guardale dal pastor che in sa la verga V
^^^ Poggiato 8' è, e lor di posa serve;
E quale Ìl mandrian.
che Tuori alberga,
Lungo il peculio suo quelo pernotta, |
6S. r(rinl<lJp>>rl<«.Inl.:»>r»>
;1 ulirvi QmU «ndiiiaB* JaofM ri
l'orienti. So DinlB, in[(-mnnii«iiJo i
aStmni, «..d G>«i. ci Ini» il |iaM
ngp i„ì iole e«l<nM, fl .«.!"• Jinia-
■i 1' «nbrt d.l «rpo •»«. rK,n * obi
èi niin viti Ih* a dibllo, ^i eh* h
^y„.ir^.wim..^i,Ti^
en. €k'tra g.'d loH», che ..I.ÌVI a
70-TO. 0«flÌ(ri^.««o«M«^
iunF>ri-Alir*«Jii. <h-era già bailo
iToK Ordini iQuornccOfre (•(«1*1»
eT.l«™»» .■,*,,(, pÌBli.n.™o
pide e prolme infra U eimt, frìma
ch( >J»i prniMr) li /anno naut nM*-
'Ab t quanto 4ira: irBumo mmlib
' fochi KBHlinni.
«■.(n UkìU atfomhTO «. — L'O»
e>. Cht il Sol corcar, a. IbI.-
'■ (Mlimmo, ri iworji-ninio the dirtro i
•utle -prOBH, JtlKJBtn, òhi*. -
ropfib , »l^ , cnrrmli M • (li pi
'■»Ìl«>I..Ìc.>r««;.àeln„lrT>«.
duna de'monll c«n DdU IMOM. -
ffiligauii a<ll'«iDbn eh* dìaniì fiHn
81. » (or d( pon «tw, « «m f
" iV.PiuM eHizonr» «. , l'orii-
MdJo egli , h II chi podlM h «H «-
n^i litri. Wli Irnfi: l><VfMo f^.
■SMTb f=«c {.ll« d.1 F.rì «<^ in lutto
rfl«.|ìn,i™,n.™„.'
• 72.BJ¥««em.E1«n»ll«ùtM..Ji
«•lo hi con di loro. E Ira CadJ. r~
*!»— ««I., nrrl. j-alto del ,™
ÌM dil eh. PanliinRnmi: 1 1^ 4-
Wftt.
73. iTm traAo fM Ulte . ti pco
ttrrt 1 lui por di rìpom.
82. a mandrim, il tmloit datti
«...Jr.. -J
MiidinMM d,l a,MU, f„ 1. quilo, In
S3 r.uii<7o il ptfuhV MIO, mi^H
MrtllO il fi., DOD 1 d.tl> .d .1,00»
i..<..t>.u>di.. ^^^1
^
J
CANTO ▼ENTESIMOSBTTIlfa
Guardando perché fiera non lo sparga ;
Tali eravamo tutti e tre allotta,
Io come capra, ed ei come pastori,
Fasciati quinci e quindi dalla grotta.
Poco polea parer li del di fuori ;
Ma per quel poco, vedev* io le stelle
Di lor solere e più chiare e maggiori
Si ruminando, e si mirando in quelle.
Mi prese '1 sonno : il sonno che sovente,
Anzi che *l fatto sia, sa le novelle.
NoU'ora credo, che dell'oriente
Prima raggiò nel monte Citerea,
Che di fuoco d' amor par sempre ardente,
Giovane e bella in sogno mi parea
Donna veder andar per una landa
Cogliendo fiori; e cantando dicea:
Sappia, qualunque il mio nome dimanda,
Ch* io mi son Lia, e vo movendo intorno
Le belle mani a hrmì una ghirlanda.
Per piacermi allo specchio qui m* adorno ;
Ma mia suora Rachel mai non si smaga
Dal suo miraglio, e siede tutto giorno.
Eir è de' suoi begli occhi veder Vaga,
ii4
S5
90
95
fOO
lOà
S7. quinci e quindi te,, ferrati da
ambo i lati della grotta, cioè, della
fenditura del monte nella quale era la
acaJa.
88. Poco potea parer lì ee.: poco
del di fuori, cioè del cielo, potea eppa-
rire h a noi , atteso la strottezn e la
profouditk della fenditura.
90. Di Inr solere, del loro solito.
94. 5i ruminando ee , mentre io
cùt\ meditava nrlle rose Teduta, a foar-
«iara Bsao in quelle stollo.
93. M le novelle, predice ciò che
dete accadere.
94-95. ^f(rora credo ee. Neil' ora
die dal balzo d' oriente la stella di Ve-
nere ra^iò i suoi primi ragfp sul monte
del Purgatorio. Venere nasecTa eoi P^
sei, segno che stava avanti T Ariete in
tmi allora era il sole.
98. landa, pianare ; e qui per prato.
4 01 -4 02 Per Lia, la prima moglie
di Giacobbe, si deve intendere la vita at-
tiva. Si noti che Lia, e Barhele, nella
notte, sono la vita attiva e la contempla-
tira neir Antico Teatamenlo avtati It loca
di Cristo : Matelda poi e Beairie$, cha
appresso vedremo, la vita attiva e la ooo-
templativa nella luca e nella perfcnooe
crisliana. Forse il Poeta alluda al sal-
mo 33 : Diverte a malo et fae èoniMi.
— e To movendo intomo ee. Si o>
canna il virtauso operare , e la corona
che in cielo avranuo coloro che qui in
terra se la procacciano operando a prò
da' lor simili.
403. Per piacermi allo ipecehio,
Int. l'allegoi-ia : per piacere a me steaaa
quaudo mi spocchietò in Dio e nella sua
legge, che è appunto lo specchio in cba
l'anima deve mirarsi per giudicar di sé
stcasa.
404. Rachel, seconda moglie di
Giacobbe, è Bgora della vita contem-
plativa , come dimostrano i verti aa-
guenii: BlVè de' tuoi begU oedd «e.
— no» ti tmaga, non ai aeoata, non
ai rimuove.
105. miraglio, apeeehio.
106. Eli' è d^tuoi begli occhi ee.
■ ,4tS DEI. PBR(
JITOBTO
^
1 Cotd' io dell' adornarmi tolle rami ;
V
H^ Lei lo vedere, e me
il'ovrare appaga.
^h B già, per gli splendori anielucani,
^M Che Unto ai peregr
in surgon pni grati,
^M^ Quanlo tomando albergati men lontani.
^^^^^ Le lenebre fuggian da
tutti i lati,
^^^^^V E il sonno con
esse; ond'io Ima'mi,
^^^^^H Veggendo i gran Maestri già levati.
^^^^HP Quel dolce pome, che per tanti rami
tl.'
^^^^M Cercando va la curi
ì de' mortali.
^P Oggi porre io pace
le tue femi :
J
H ■ Virgilio inverso me qoeste colali
■
^L Parole osò, e mai r
lon furo Strenne
V
^^^^ Che fosser di piacere a que<:te ignali.
«^
^^^^L Tanto voler sovra volei
■ mi venne
^^^^H Dell'esser so, ch'sd ogni posso poi
^^^^^F Al volo mi sentia creder le penne.
^^^^^ Come la scala tolta sotto noi
^r Fu corra, e fummo
in sn T grado snporDO.
f) Ili
■ In me (rcrò Tirgilio
gli ocrlii suoi,
■ E disse ; 11 lemporal fuoco e 1' eterno
■ Veduto hai, figlio, 1
e se' venuto in parte
H Ov' io per me più oltre non discemo.
H Ceib..Birtva-iarrd,nilt^\pnmraa
por UnW T»; drlli aul fè&oU * S-
■ 46>,i.tti]twÌh.Qli«Mhi: doi,el.
E>ri il tcrmlro Panfuo pM«> nD<
■ ruu atUTt i noi mhl utili prrie-
cima d»1 Purplorio.
HT.porrd ii> pan !> i
Impmì!
■ *W<»<fK*nMu.. coatheudinbba
r>rb «muiiti ì la« daìd.n-
W tfe« Bacbck ro« •>:. di migH •li»
HS. llTHIM. D.11( T.
H» IiUm
■ mocUo i ■»] propri «ehi bdli d(i ri-
rima, ci» tilt muuii, ngaln.
Ut. ra>ilacD(<rM.,ci<.t,lmla ti
•emlibt n oi» dnidoù. di
i gùi(o«n
lOS. lei tu ttdfTt tt- Ui>Fn9e<,
•111 i^mt dtl nonu.
n Piridi» Urraln.
Dn.«»l'«r«>brlt. (d D<l!i»li.<li
m. il Imparat fuoet
F. a Un*
Ddii Tita, io «rdin, . lui. Pufg,lo dii
del Porgitori» che Jan ■ 1
impo; —
fi)], MS ipiNlc Ir due t\t pn ini fui
r*(«-M,i«riJdi'ii.r«B..
1* ams fioiigf r* ti prsmio rtn-i».
«29. Of'wpfT » te. 1
[OIB^M-
»r>doilitiuoo.ori1e; otiI'
DT> t ■*■
dolnle,rilbo.
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411. Qaavta larnmdo et., ilei.
gii, eh* pelli riv.1.ii«>l b<
3iiD«ilii.GliiBl.cblG1«i»G
ilHotoD-
«■■la,(DTnind<] mi pcllccnoi allipk-
«Hulb^ro
tgoUitKf,
H bw^s * tana ImtiDo di qntTIi.
•idon>lliit«HlUd'Bi>-rdii
HBUtal*,
^ lt»-IIS. (h«ldpfc. p™...p.r
e dtiItroD. UlliiÙBo t«*
intarmi al
H pow: «isl.U ttlLciU thtcUDODiini
Tiij > illt >ind, 1 li mnti d
i tiiUr (li
BBt,.i(i«;.l„t( tJirt.Fli
. qui .U.-
CANTO ▼nmsmQBBrrnio.
aa
Trttto t*bo<q!ii con ingogoo^e eoii arte;
Lo tao iiiacere omid prandi per dnoa;
Fuor se* dell* erte vie, ftior se* dell' arte.
Vedi là il Sol, clie in froole ti riluce ;
Vedi r erìbetta, i fiori -e gli arboaoeUi,
Che^questa terra eoi da sé predice..
Mentre die vegnon lieti gli occhi belU,
Che lagrimando a le venir mi fbnno,
Seder ti puoi, e pmi andar tra ellL
Non aspettar mio dir pia, né mio eenno :
Libero, dritto, aano'è tao arbitrio,
E fallo fora non firn a suo senno ;
Perch' io te sopra le corono e mitrio.
130
m
i40
amm Im pototo Virgilio amtr éom •
Duto citUclino; ma l« «ptraion 4tlt
grani, la rìrelanoa ii Dio a dalla aoa
gloria agli eletti , aooo nialari éì fada,
cha lolo par Bea$rie§ piai aio aaaar A-
ehiarati alcnn poco a i>aiita arialkad.
4 SO. con ingegno a con &tU: ÌMutf
g^gno ritrova a combina^ r«rfa aon-
dnca ad affetto conTaoiantamaDta fl
paoaiaro della meota.
452. erts, rìpida. — «rto, tÉrltta.
453. Vedi là il Sol, ee. Sa «piaado
caminciè a salirà, aveta il sola tramoa*
tanta alla spalla . giunto par la scala
érUUi in cima al monta, darà trarla
naacanla in faccia. — Il aola in (ruota a
Danto parificato ben si rada dia signi*
fichi.
486. Jfanlra dba oagnoii ae. Int.:
BMOtra Baatriaa dagli acni balli lialan
taMM.
487. CJba (ogWiiMfMfe. Sottint.,alM
par li tranamaati taci. —
a la mtàrmifmmo, «rf faaaro Tanira
in tm aoaaataa. Vali Canto II dall'M-
/kn», ?. 418.
488. fra «llt/Tra qaalli arbaaaalK
• 9pm Sari chaia^ti aaeannai.
44e.i£ilàara. értito, temo èUto&r-
kUeio, Barai U Alga dcll'ignoranaa
par lo aehiarìmento dalla ragiona, a la
paigaiitMia dai pravi apnafiti,cha d'assai
afmdoaalalHiarllidalVanima al bona.
444 . BfèUo /bff« §e.: non potando
to , aoak pargato a raddrìsato , ?olar
dia il bene.
442. Parca' l9 totonra fa ae.Laan-
da io ti fo sigaara assolato di ta mede-
aimo: affido a ta il piana gorama a la
diranona di ta stesso. La corona ri-
gaarda la diraiiona politica , la ailfm
u gofarao a|Hrìlaala. fWla rifa di an
ramano pontefice si legga: EeektSmkk
<4yaMBi faaiporalfiaii deèU mtki co-
rsaaai, rf in nfiMftM apirtfiiaWMai
coiifuKf miM milram.
CABVO JnBBFEWmCBUUTAVO.
Pétméim trrutn. F»r mw $1 éi§mm
M mtdmr tUn, Uam Vmmm M
Vago già di cercar dentro e dintorno
La divina foresta spessa e viva,
4.Fayo,braaMao. S*aaaarTÌdMwa calori, a pia
la BBM dcU'Alighiari ai mta di pi^ viri 2. ^piiM a
s^i
, falU d'
Ch'a};li occhi temperava il nuovo giorno,
Senza più nspellar lasciai la riva,
Prendendo la campagna lento lenlo i
Su per lo suol che d' ocnì parl^ oliva.
Un'aura dolcn, senta mutamento
Avere in fé, mi ferìa per la fronie
I Non di più colpo che soave venlo ;
Per cui le fronde, tremolsodo pronte, IO
Tulle quante pìet^avano alla parte
\y la prim' ombra gilta il snnto monte;
Non però dal lor esser drillo sparte
Tonto che gli augellelli per le cime
Lascias=er d'operare o!;ni lor arie; ' U
Ha con piena letizia l'ore prime,
Cantando, rìcevieno intra le foglie,
Che tenevan bordone alle aie rime,
Tal, qual di ramo in ramo si raccoglie
Per la pineta, in sul lilo di Chiassi, 90
Quand' Eolo Scirocco fuor discioglie.
Già m' avean trasportalo i lenii passi
Dentro all' antica selva tanto, eh' io
Non polca rivedere ond' i' m' entrassi :
Ed ecco più ondar mi tolse un rio, :i
Che in ver sinistra con sue picciol' onde
Piegava l'erba che in sua ripa uscio.
Tutte r acque die son di qua più monde,
Parriena avere in sé mistura alcuna,
pitM ili lintniiini fiori, — sica, n- ptrpendkalart, eh a gli HC«IU*>ubB
gM», »ril*|i|pHta a igiiinnrii ti cbfUni>r>.
S. iMtptrat}* U ntiom giorno: col
tiw ttrit capa Innpcnti Ja ìnee dal
I
i. togl»,
ra «IH piata '(Idia t.:
Brut* ani ■iigt«l>>ttt ii<t-
lann.iJn.ilFl fiora* k*
S. dics, rcnilni odor*.
0. Noi di pjt colpo. DOB di :
gior foni.
" "■ — ~" iqoflliparii
9-21. Tal, qualte.. pai
ti-t5. i¥o« però dal lor hut rotai, * inlB umida (he
xolvii» a «11^ 2T. lUeia, apsDlA li
radriHg,lall« Din tr«t ^mI laofa.
'Si'snl
CANTO VENTESIMOTTAYO.
AU
Verso di quella che nulla nascondo ; 50
Avvegna che si muova bruna bruna
Sotto r ombra perpetua, che mai
Raggiar non lascia sole ivi, né luna.
Co* pie ristetti, e con gli occhi passai
Di là dal fiumicello, per mirare 35
La gran variazion de* freschi mai:
£ là m* apparve, si com* egli appare
Subitamente cosa che disvia
Per maraviglia tutt* altro pensare,
Una Donna eolatta, che si già 40
Cantando, ed isoeglìeodo fior da fiore,
Ond' era pinta tutta la sua via.
Deh, bella Donna, eh* a* raggi d'amore
Ti scaldi , s* i* vo* credere a* sembianti,
Che soglion esser testimon del cuore, 46
Vegnati voglia di trarreti avanti,
Diss* io a lei, verso questa riviera.
Tanto eh* io possa intender che tu canti.
Tu mi fai rimembrar dove e qual era
Proserpina nel tempo che perdette 60
La madre lei, ed ella primavera.
Come si volge, con le piante strette
30. che nuUa nateondt, che la- fiorito ed ameno prato ove era Proterpì-
aóa Iraaparire quel che »ta nel fondo ne, « aual era, e le toe qnalJti. la beU
del rio. lezza,laingeouitàec.,8ecooiÌocDeeide-
31. Actegna ehs, sebbene. tcrivono i poeti, qnando Cerere la per-
36. dt^fretehi mai, la gran Tarìetà dè,ed essa perde primavera. Per qMtta
de'freachi arbnsitelli fioriti. — Maio • prtmovera il Costa intende i fiori ebe
maffiù diceasi propriamente un bel avea rarcollu pel prato e che le caddero
rano froodoeo d' albero che la notte di grembo al topraggìonger del rapi-
procedonte al primo di maggio i conta» tore , c«>me di lei dice anche Ovidio :
■ piantavano davauii la csm d«IU toU*ei\ flarm* tunùti» ceeidére remii-;
0 belle. Qui mai è preso in fenarale ii$ E primatera per fiori lo um^ mC
trova Dante mnU^ftimo , imitando Mar-
ziai*' die disse : Cmm breva Ceeropim
va pofnUatUur apte. Lo Stn echi è
d'opinione che in auesta primavera
a' abbia a intendere la «er^tnitd , eba
alla bella giovane fu rapita dal Mmuo
loro
per alberi nel loro più lieto oi
sa. eo$aehe duvia ee. Int.: aoaa
cb« colla aaa maraviglia emnie A la
—ntf nostra , cb« da ogni altro peo-
mero la dietAglie.
40. Veta Donna ee. Chi aia questa
ai farà manifpslo al C. XXXIII, amante ^e a coufoi lo della sua opinione
449.
43-45. ékeef raggi d'amara ae^
la ani vieta è di donna innamorata.
40. irarreli, traiti.
48. che kà canti, quel che to canti.
49-54 . dove e qual era ec. : (n mi fai
ricardare, cosi vedeudolij dote, cioè, il
cita Antftinio che si servi della parola
ver a sigiiilicare il Gore verginale. Altri
vogliono che la prtnuicer* perduta da
Proserpina sia 1 ameno soggiorno, • la
perpetue ventura della valle Ennea,die
ella miitH^a nei iiisti antri infernali.
52-53. fCratU A l«rr«, i&ràò»&i
A lerra ed intra sé, donna ctie balli,
E piede innanzi piede appena mctle;
Vol^esi in su' vermigli ed in su' gialli
FjoreUi verso me, non alirimenll
Ctie vergine che gli occhi oiieati avvalli;
E fece i prieghi miei esser contenli,
Si appressando sé, che 'I dolce suono
Veniva a me co' suoi intendimenti.
Tuslo che Tu li dove 1' erbe sono
Bagnate già dall' onde del bel Gume,
Di lei'ar gli occhi suoi mi Tece dono.
Non credo che splendesse tanto lume
Sollo le ciglia a Venere trafitta
Dal figlio, Tsor di tulio suo coslumc.
Ella ridea dall' allra riva dritta.
Trattando più color con le Bue mani,
Che r alta terra senza seme gitta.
Tre passi ci facea '1 Burrte lontani;
Ma Ellesponto, li 've passò Serse,
Ancora Treno a tnlti orgogli ontani,
Più odio da Leandro non sofferse,
0 taiinls l( Irrn, — Ml<nlra (alti. Li nu|gÌH' ptrle i
CANTO TBKTiaillOraiàYO. Mf
Per mareggiare ìntoa SaiCo ed* AMdo,
Che quel d» iDt,.peKlìò attor md a^ aparee. 76
Voi siete miov'u mbm pe»lL''io>iMo,
Cominciò eUai^.nuiDaatO'liiaeoeMo-
All' umana natomi per aiou^Jtar,
Maravigliando' tìeindittlain.aospatlos*
MalttOBTindb'ilaaimDtJMaantf . 8o
Che poeta diimahhìiruBrtroiBiteilim^
E ta che ae' dinanzi^ e mi peagaali.
Di s'altro vuoi «cUr, cdif iv^vmii freata
Ad ogni tua qaaatfoDi.liDlo <^ bMtL '
L' acqua, diaa* ioy e ìLsmd dell» Ibreaia, 85
Impagliali daolro- ai ma) Dovellt Me
Di Qoaa, ch^ie «di."cnlraHa « qiesta,
Ond' ella : V dìceri omo» pmseder
Per ana cagioa, ciò eh* ammirarii fieioe;
E purgherò la n^ifaia dia ti fiada 90
Lo sommo Bene,, che sab a aè' piaoa^
Fece r Qom buono; e il ben di qoealo loco
AbUo trapMMTi a aoeto per Yeoin t: riai».«wtaipM>è Jatt^yra • aaiiii
S«ito «f'era U donni sai ehitanl» ptrebè naoTt da. Dici «fi a Bìdì -
Er*} P$r wmnggiar*, par. VmÀt^ 83. praatatjaMta»
fiat» ÌDp«taoao dalle toa *em {dm €4. Imi!» alt 6«aif.,]nt.ra wd^
pai la aonuMneroJ, naa sofltna pia ffkn. U tea qaaatUnMiiBliè la iMli-
odia da emù Leandro, non fa, dai. appagato,
laala adiato, quanto fa da bm qaal aS-a7.L'aefiM»iUa0'la,c4{i
aaaM, perchè allora non li aperM. ao. I/acaaa cha ia Teff» oai. a H
77-7a. In questo luogo aletta Jl* Tento cha fa tonare le froada dal.aaMay
TaaMMia «afara «e. Ponendo Daata eoaihattone la aaai?a w i ilaaia aha io
il fbiadÌM tarreetra eolia ctaM <fi ^aa> atata farmela aal aàaaaoaa par^paHa
alaaiaaia alto fino air Clara, nel)' aiai- cha Slaiio aù dieae, cìaè| càa dala
afera aradala inahitato, a par le laa- porta del Raraatoisa ia aataaa aanaa.
Casa ac^aa inacceeiihìla, na^acfaltala pìA né tcbIì aè piogaa aè4rìaa.
rapóàwa di Pietro Lombardo, aha Imt- 90. Jf pmtlmfS. mv: mtà. « la»
laMa la cariata que»tioae, dove oaite aliare dà U V ioaoraaza aha.ff Mai
CamatraparadÌMisi r«eM,Mrieea: ««bm cha U farieca, f lagnarfira Pirtilliiii
jNHiaiifaa» laa^o ìaier:/araala ipaMa 94 . Lo tomaio Bmm, th» mh-m^è
ad WÈurk atf lama, a regùmibu» fyat piace. Iddio acapnàataraalIfaeMalta
iMafifal Aaaiiaaf toerelwn, oL inolio adeguato della aaa iatalligaaab a- dei
tiliiai, tuquo od lanarcm cirralaai tao amore che tè BMdeeiaM; aada-ÉB
fmriimgiuUtm. dalPcIamith ialaada aoio ni tam ria-
a0.iljalatoDelectatti:iItaIaM9l, finito e eoa atioBa iafiaila. IWaià ok
cha aal lanetio S dice : DeloeUuii mo^ dica che latte la taa- aparaaiaai> .ataa>
Oaarfai, te fo/ckaro laa . eMa ^pftif tccondo il tuo pitcare : operm ihmiwk
è«« mitirmT"" laanua axa/iaèo. ec^aicilo ia oaiaat utiliairtit .atet;
ai. éitmMior oomìto inUUoUo, e altrove: oaiaia profiot moutìfommt
cioè, rìachiarara l'intrllrtto Totiro, ta- operata* aal Oma.
glicria da offà dnbbio cirea la cagiona 92. il kem. di facaio laco« k '
cada qai m rida a ti gìoìtca. Qnaato di fanto fandiaa UtitilKa»
Diede per arra a lai d' eterna pace.
Per EUB ditTalU qoi dimorò \ìoca;
Per soa dìITalla io pìaalo e in arTannO ^
Cambiò oneatu riso e duine giuoro.
Perché il turbar, cbc sotto da sé Tanno
V esalazion dell' acqua o della terra,
Che, quanto po&son, dietro al'calor vanno,
Air uomo non facesse alcuna guerra.
Questo monte salìo ver lo cìei lauto,
£ libero è da indi, ove si serra.
Or, perché in circuito tutto quanto
L' aer si volge con la prima volta,
Se non gli è rotto il cerchio d'alcun canto',
In questa ailozza, che tutta i disciolta
Neir aer vivo, tal moto percoote,
E tu sonar la selva perch' è folla;
E la percossa pianta tanto puole.
Che della saa vìrtute l' aura impregna,
lo, che inini«li*I*iil«l«
9T-gg. PtrcU, ifGurlii. — lolle
ita ti , «ìm , «uUd la «M molile. — {
luriù', clu,. ■ . famio. \t Imliiiigni r*
dilk «IikudÌ dell' tcava .
Rrouid di IL
1 1* pioBB*.
99. Chi, quotilo ponon, M.;
'|BaU culKmoi, Gncbó luro > perniai
cioA, ine illi porli dal Purgatorio, <
L'uUcfailà iipiorando tbt l'irìi ita
lirt,il giri™ in drenilo eoi cieli .Jiqmil-
he Tali di nnli ; MI mota, <°la] nulo
lell'ic», irarrettiile dil pria» mi~
lilt , psrtnel* In fuHM ailtita , <Ai
uHa è diinalla flctriur vtc«. ao«,
a ifunta ilio molile cbc ilaiwiis II-
icro ad pure lEie. In uni firola, l<
rana aton* natone dell' igiUni dell* piante mII«
eha i iiporì cima del PorBilorìs , •ieue dill'iria
nr« Dir n- clii lira ed Brino iiilo e con taOl ftl
■ria , opinò allri inlorno'.IU icra. Fino alla pam
■«Ma IndoBno tor» il ta- del fvrgatorio e r ' atmoitera, ■ ci» Mia
-' -'■■"- ■' eli" «■'■' l''"'" ^" "8"' lo'b"!'™.
109-114 Klafurroiiaplanlat.
I 4*1 Pargilonu ia H. pone —u urla E C stira i^rrm te..
b*i *«dala par i
^ CANTO VENTE^IMOTTAVa 449
E quella poi girando intorno scuote:
E r altra terra, secondo eh* è degna
Per sé 0 per suo ciel, concepe e figlia
Di diverse virtù diverse legna.
Non parrebbe di là poi maraviglia, wh
Udito questo, quando alcuna pianta
Senza seme palese vi s* appiglia.
E saper dèi che la campagna santa,
Ove tu se*, d*ogni semenza ò piena,
E frutto ha in sé che di là non si schianta. 120
L* acqua che vedi non surge di vena
Cb^ ristori vapor-che giel converta,
Come fiume ch'acquista 0 perde lena;
Ma esce di fontana salda e certa.
Che tanto dal voler di Dio riprende, i86
Quant* ella versa da duo parti aperta.
Da questa parte con virtù discende.
Che toglie altrui memoria del peccato;
Dair altra, d'ogni ben fatto la rende.
Quinci Lete, cosi dall'altro lato IM
Eunoè si chiama, e non adopra.
Se quinci e quindi pria non è gustato.
A tutt* altri saporì esto ò di sopra.
Ed avvegna eh* assai possa esser sazia
La sete tua, perchè più non ti scopra, I3ft
Darotli un corollario ancor per grazia;
Né credo che il mio dir ti sia men caro.
416. VdiUi quetto : doè, m qoctto divìsa in due rivi, l'ano ia'qvafi,
udito fotM. diri in appresso, è il Soma Lata ,
449. d'ogni iemenxa, d'ogni gen^ toglie la memoria del peeeato; l'alir*
raiione di piante. è il fiame Eaooè, che la menoria del
420. di là no» ft tediatila.* cioè, bene operato raTrita io chi ha prima
neirerobrerio abitato dagli nomini non bevuto in Lete. Lete, in greco valn
fti colgon fratti della soavità di questi ; oblivione : Bunoè , bnona mente,
e ae qualcbe seme n'è trasportato di Ik, 451-452. entmadoprm, non opera
iotr isiisce e degenera . il maraviglioao ano effetto la footaM a^
421-423. tum turge di mmi «e. pra mentovata, Sé no» è fvftef».
Non sorge di sotterranea vena, cbe dai se non ti gusta in ambedne i aaoi rivi,
vapori convertiti in acqua dal freddo »• 455. ittà, il sapore di queste acque.
di continuo ristorata, rinnovata, eooM 454-436. mciégnm €h' untd m.
avviene delle fonti nostre. Int.: sebbene la tua brama posaa eMara
424. iolda e certo, invariabile, im- assai satisfatta, ancorché io non ti seopr^
mancabile. altra cose ; DmroUi «» coniimriù, cM,
4 25. Jol voler <Ì{lHo, per volealb, una verità cbe alle coae gik dette a^
per disposizione di Dio. giungerai. — fergrMMim^ doò, per mia
420. da duo parti aperta, cioè, liberalità.
:9
1
Se oltre promission lece si spazia.
Quelli eh' aniicamenle poelaro
L'elù dell'oro e suo stalo yìl^c,
Forse in Parnaso oslo loco sognare.
Qui fu innoccnle l'umana radice;
Qui primavera sempre od ogni rmMo;
Nettare è questo di che ciascun dice.
Io mi rivolsi addietro allora (olio m
A' mìci Poeti, e vidi che con riso
Udito avman 1' ultimo costrutto:
Poi alla bella Donna tornai 'I viso.
pn'U.eidt t* f m bnlitudii» , U ma
mal» di^lCtr*. Pier LnnbirdD ■ illrì
Aqae- T«iln|ii dmcro il fuìiita lerreXn
■M una •imbolo MU CbitM: puro il Pvrll fio-
-dU dfti Dc^ rome vedremo, cae qui ip|4rìu<
I , dello U Cbie» cui lUoboU di ^oel che tndi
>i. AJg- /Te. con riK K..- •orridendo ■(■■
«1 F.VI. •ano odilo le ollimr pirole di H.lelJi
Hi. Qui prtmntera te ■ Qui li b» ialorno >< lof^nsre do'pMll.
la ntgiu) dei pi
Uto4lir*ilcn'u
H.Ktllar
U8 lurnai-lti
CAATO VPJVTI»nnOXOW0.
Cantando come donna innamorala, m^^^
Continuò col Gn dì suo paroler ^^^H
Baiti, quorum letta sunt pKcata. ^^^|
E come niufe che sì givan solo
t-2.Ca»landBte.C<Mr.:Ceiitinnè di Tcder le ninfe f»e)eg|patadat)i ni-
ni JfaxN (Ut parale CanMnda.eme tiiLi, rhe indgttni di|><irlsada po' le
ÌBfa\tftrBÌeKltt»rtt^iu*to, tenti- l'nnbn, piene d'easalt Iw^adiu, e
aub : Bfli tt. d'un di.ioo ntaito. Quilcnn a»
3. Beali, fuorani R. Pnoir drl dendutedire noe •cDiKontiim di im-
■,i Htteldi inteude pe io >(Urll'.,pi™ÌDi.iIi piiulegfcM.
li i KlU P, per 11 tulli i Icli edili e ìurdiii, ■ tener §i-
*-*. Bmwu nntfl ft Nel Tfdrr li C>qui un coofroDlocoa gn tatlaml*
• imrnagiaiDaal* < permintule, ni mIs M noi niiii.
CANTO TBMTBSlMOlifONO.
Per le sehratteli* ombre, dìsiaftdo
Qual di foggir, qoal di veder lo sole,
Allor si mosse centra *1 fiume, andando
Su per la riva, ed io pari di Id,
Picciol passo con picciol seguitando.
Non eran cento tra' suoi passi e i miei.
Quando le ripe igoalmente dier volta,
Per modo eh' a levante mi rendei.
Né anche fu cosi nostra via molta.
Quando la Donna tatta a me si torse.
Dicendo: Frate mio, guarda ed ascolta.
Ed ecco un lustro sabito trascorse
Da tutte parti per la gran foresta.
Tal che di balenar mi mise in forse.
Bfa perché 'l balenar, come vien, resta,
È quel durando più e più splendeva,
Nel mio pensar dicea: Che cosa è questa?
Ed una melodia dolce correva
Per r aer luminoso; onde buon zelo
Mi fé riprender l'ardimento d' Eva,
Che, là dove ubbidia la terra e il cielo.
Femmina sola, e pur testé formata.
Non sofferse di star sotto alcun velo;.
Sotto 1 qual, se divota foise stata.
i54
§
IO
4»
so
■i«r« alla mento altnii nna CMttM
d'aaiidù poeti, oailc toma beoittiaio
che fi dica giieùn.
7. eontrt 'l /hume, cantra la «ar-
rente.
S-9. ad io fmri di lei ec:9à w mi
moan pari di lei . saf^aitaodu i laai bf^
TI , pieeali , pasti eo« passi egaalmrala
piceali.
4#. Non tram etnU ee. lateodi: i
46. «Il lustro, un diiarora.
48. Tml €ho di kmUmmr, tal cba
m mease ia dnlibio cIm balciiame.
49 M§ap€rcki'lhmimmr,m,m
pcrcbè il baleoo, *P?*>>'' noftrataai,
omdt èMon sala Mi fkf^
. Per b che «n mmào ida>
•a a kiasimara r arlira !••
S3-24
mam fatti da lei affiaoti a qaeHi falli
oa ma boo araa eeoU», che è q«aato di-
re : BOB ò araramo iaaltrati
4 1 . Qmtmdo lo ripo oc. Qaaiia la
rma, igualmomU, cioè,
di amerà parallela, aqai
mertrìo di Eva.
25. mkHdim: aatlìMeiidi, a Dia.
26. salo, aiccbè aoo polemio araili
atimuIaU uè amalan.«a aè dcaidatW
di soTcrchiare le sue pari. — pur fftll^
allara allora.
27. Non ioffèrto di fior oc,: tum
iallerae , aoo volle tutlaraia . aha l'oi-
lallatta soa foma da alcao vaia
42. m laraiMe mi rendei, mi ri-
vaiai a IcvBBis, ave ia era ralto prima
aha mi ai attravarsaasa il riva.
44 ti lerwt, si volta tatta cai
vanadi ma.
lo, che alcaaa venti fasaa a lai telili,
oascetU S'allade all'albera Àdkt
■ . . dì che cHa s' iavafb'a , a «— -
tra il divieto di Dio gusle, crcdwda
poter poi saper qaaola Dia.
Avrei quelle ineffabili delizie
Sentite prima, e poi lunga fiata.
Menlr' io m' andava tra tante primizie
Dell' elerno piacer, tulio sospeso,
E dif^ioso ancora a più letizie,
Dìniinii a nei, tal quale un fuoco acceso,
Ci si fé l'aer, sotto i verdi rami,
E il dolce suon per canto era già inleso.
0 sacrosante Vergini, se fami,
Freddi, o vigilie mai per voi soffersi,
Cagion mi sprona eh' io mercé ne chiami.
Or convien eh' Elicona per me versi,
E Drania m' aiuti col suo coro,
Forti cose a pensar, mettere in versi.
Poco più oltre sette alberi d' oro
Falsava nel parere il lungo tratto
Del mezzo, ch'era ancor tra noi e loro;
Ma quando i' fui sì presso di lor fallo.
i
I
29-30. Avrii f»[I< iwlTiUlJ di-
41 . Unuria ry.>l dir ttUtU. E b»
Itif» «.; cioi, prioi. d'ogii, Bo dal
l'infoca ([iiMfa U<IM ■ dncrinr le
Diartiinlie dal cielo.
tit.—tpei lUKf a fiala, . poi lungo
Ì2. Parti (Ma • peiuar. milltrt
Knip., <ìoi ri.n..niaal.i ft»\«Ai
in eerti. MI ulalL «d alta e ••.biin..
«dio tUU. dell' ìoDocaau l'noma noa
Fintaaia, a ad au pari eluciuiiMie poc-
larcbba iKln (ojgi^i» alli morte. L*
(ir..
N;<Io1>. ba : e più lu«f fiala; nollial.
*3-t5. FaUaea fui par/ri. Ordi-
rAa ora.
naeint.:illu<.«> traila d'.rìa (nadi.
31-33. IraianUprimaittc. Fra
cbt arano la primluo, l'arri , i prloi!
aeUa rote Don ben raniwK «oar», la
faterà Etlianienla parafa agli ocelli Do-
lici .elle dibm d'»ro.
■ìon latuia, • tarta alla latina 3i
dS-t». Na TiMNda «e.: DI iDndo
fui perteonlo |irc<u alla della eoac, tt
tadn- Bealrìca da luì linfa daìJcr*.
cha r oiMIo M-wu , auia la iuu-
U. ~ Mfi» nnpaio, iHartd, a pi«ia
gini comuni ai tarpi Unlaai ci ù terpi
a alirpora.
30. E ti A>(n aaios te. Inlendi : a
lidni (par la qoali il huo Hai* i*-
eannaln] non perdnaiio pia alcau
U. dl.linl. loro .,,.lill «'-OWrtl.
Jalce auono, ori ai maDileilti* «iMre
e«MUW neeli enli di dlllonpa apocie,
diesi ciì che negli ani < Drgii alU-i è
un eanle-
S7. O latniiant» Vargini. I
39. Cagion mi iprona eh' in merci
. CANTO TEIfTBSIMONONO. 453
Glie r obbletto conran, clie 1 senso inganna,
Non perdea per distanza alcun suo atto ;
La virtù eh' a ragion discorso ammanna
Siccom*egIi eran candelabri apprese, so
E nelle voci del cantare. Osanna.
Di sopra Qammeggiava il bello arnese
Più chiaro assai, che Iona per sereno
Di mezza notte nel suo mezzo mese.
Io mi rivolsi d'ammirazion pieno 66
AI buon Virgilio, ed esso mi rispose
Con vista cerca di stapor non meno.
Indi rendei l' aspetto all' alte cose.
Che si movieno incontro a noi si tardi.
Che Ibran vinte da novelle spose. 60
La Donna mi sgridò: Perchè par ardi
Si neir affetto delle vive loci,
E ciò che vien diretro a lor non guardi?
Genti vid' io allor, com' a lor duci.
Venire appresso vestite di bianco; S6
£ tal candor giammai di qua non foci.
L' acqua splendeva dal sinistro flanco,
sao partieolar dMtÌDtÌTO,allort la Baaato
apprmde la cota qnal è^ né •' inganna.
49. Le eirfi» ch'a ragion te.: eioi
l'esftaMiltva. o Vmpprennva, eba mi-
«tamia, prepara, il dUeono aUu ro-
§iow, la tnatoria al ragionamento,
ceaendo quella facolU che pereapiaee la
cote tnlle quali poi la ragione t'csardla.
5 1 . £ itf/fe voci dol eanlan te.' a
nella voei del canto mpprtie, diatinaa,
Otonna, o inleaecbe cantavati OaofMMi.
52. Di iopra, nella tua parta an-
perìore. ^ il bello amtt0, cioè il bal-
lo ordine de' candelabri.
53-54. Piti chiaro oMtai, eh» /u-
na ee Ini. : piò cbiaro della Inna qnando
maggiormente rieplende.Qiieato aTfiane
allora che aaaa è nel tao meno mcat
e di mena notte, poiebè in qnal pnnlo
è piena a nel meno del cielo, di dorn
i anm raggi tengono in terra perpoadi-
colari, afiraveraando il pie breta if^"
rio dell' aere , che eaaendo aaraao amt
dimioniaca punto il loro aplendort.
55. lo mi rivolti oc, Volgaai !>•••
te a Virgilio con ammimiiooa; ma
Virgilio, cbe non ba pie Toct mUo
cene teologidin, bob gli fa altra ri>
apoata eba d' ob gvardo , cba aaprima
totto lo atopora di cai è aaca'aHa
eompraao.
5S. rondei tatpotto oc., rìtonai,
riportai, gli ocebi agli alti MadalaWi.
59-éo. fi tardi, Cho formnvimUm,
Si moraano Terao noi con tanta kate*-
n, eba noi loro andare aarabbarn alate
viaUt aorpaaaate , in cdarìtb da apnea
notalla, cba par ranno lanliaaina BaHa
BBxiala caremonia, o par Balani fera»
eoBdia, o par appanre pii digailoia
fra la torba da' ngnardanli.
64 . Perchè pur ardi oc, : paKbè
par ti moatrì tanto aeeeao Bai naaida-
rio di mirare nella luca di qaa^aaaJa-
kbri ì Ho Kclto onabta lenona aooM b
migliora. Li Nidob. legge con altri Iba.:
5i«ali'af|»ftto.
64-65. cùm'a lor dati, Vaainae^
cioè fOBin appraaao alla detta vita !■•
ai, aoma a lor |BÌda.
66. faci, a fn.
67. L'acqua^ dal nneaUa,ipliiMrf-
«a. lotaadi : pel fiamMeggiara 4tft
dalabri.
DEL PUBGATOaiO
E rendea a me la mia sÌDislra costa,
S' io riguardava in lei, come fpecebio anco
Quand'io dalia mia riva ebbi tal po>la,
Che solo ii fiume mi facea distaole,
Per veder meglio a' passi diedi so^la;
E vidi le lìammeile andare avantf.
Lasciando dietro a sé 1' aer dipìnto,
E di tratti pennelli avean sembiante ;
Si che di sopra rìmanea distinto
Di sette liste, lotte in quei colori,
Onde bi i' arco il Sole, e Delia il cinto.
Questi stendali dietro eran maggiori
Che la mia vista; e, quanto a mio a%viso,
Dieci passi distavan quei di Cuori.
Sotto cosi bel ciel, com' io divi«>,
Ventiquattro seniori, a (loe a doe,
Coronati veoian di Rordaliso.
Tulli canlavan: Benedetta lue
i
a nt re. C»U. <
lori il Sola Jipin|t l' init bi!eiia , «
d'I rìit.
D Jolll
ceHM DBD ipcHhie, it mio liniilro Sto- Igni, oMBdii l'iri» mumn e prrgiu
•• tb* id dui is Inwii rìiulls. di Binidi («pori.
TO-II. (iti M polla QdibJ'ìd 79-80 QmeiU ilitdati duln H..
7S. Sii Irati
sola ttmiHtlU,
eli, culi, lamiiu
étrmilt I
la dilla I
>. Cbi I
*nJ.-I.I.H,
tloalad
81. fWf di fuori. |li ealKinì ; «
laftn D^roBD, «miatlB il'inlnpnii, i
«Ita doni dellu Spirilo SaBUi;*lrf(HÌ
Mi>n drbki prcodani 1i lun fr»nrl-
H, I* dichiara il «aru TU: Ouifiilin-
1^1 «I. E io 111 HO» part 1' BHr^uo
FmBc* Swcbelli, ArÌMlo a ^ulch'alu*
mlito wrlUor*. fmiiclld. a pMHwa-
ttUe n (dianafi ^oalla bindariiula dì
"Ti
:
urriin» dalli Itfp ù aiipara
■ li rwlii dDB dd SanU Saltila.
— ■-■- -■'-iu,B.m-HÌmaìn.
rm»(ll<,t«c* M»-
figurali |fi aciiUarì
K i^n, al di lopr* dai nadrlil
TT. iW tlUtKita, di Mila it
78. Órdt fa l'arto re, doyal
CANTO VESmSUàOnOKO*
i65
90
95
HO
105
Nelle Bglìe d*Àdaiiio, e besedette
Siene in eterno le bellezze tue.
Poscia che i fiorì e 1* altre fresche erbette,
A rìropetlo di me dali* altra sponda,
Libere far da qoeUe genti elette»
Si come loco luce in eiel seconda,
Vennero appresso lor quattro animali.
Coronato ciascun di verde fronda.
Ognuno era pennato di pei ali.
Le penne piene d'occhi; e gli occM d*Argo,
Se ibsser vivi, sarebber coCalL
A descriver lor iòrma più noa spargo
Rime, lettor; cb* altra spesa mi strìgne
Tanto, che in questa non posso esser largo.
Ma leggi Ezechiel, che li dipigne
Come li vide dalla fredda parte
Venir con vento» con nube e con igne;
E quai li troverai nelle sue carte,
Tali eran quivi, salvo eh' alle penne
Giovanni è meco, e da luì si diparte.
Lo spazio dentro a lor quattro contenne ~
Un carro, in su duo rote, trionfole,
Che al collo d' vn grìfon tirato venne.
98. mtira ip€$a mi itrigné. Fu^ è
À'io spenda paroU in altro tcouL
toc. Uggì Kx$ehM: al Gif. I.
401. fredda ptwU, AqniloM.
IOi-105. salmo eh' Me pfnm9€i,»
•alvo cha S. Gioranni meco ■ aoMor»
da, descrÌTcndo mU i quattro aaùull
ogonno pennuto, bruto, di aei alo, e m
diparto da Eiechiello, cbo U daacrìvf
peianoU di quattro.
106-107 Io ipozio lUalro « <or ar.
Nello t|>axio comf reto tra'qaatlro aai*
nuli , era un carro trioolala m d«a
roto. Queato carro è figura dalla eatta»
dra papale, a lo due roto, del Vaechio
e Nuoto Teatamcoto onde traa la laa
dottrina.
108. d'un grifon. D grifona è aa
animale biforme immaginato dai paoli
o dai pittori. La parto anteriore «ti maé
è d' aquila , la posteriore di laaaa. È
figura di Cesi truto , in cai eoa dm
nature , la divina e l' umana. L'ai|iflt
•lenifica la divinità , il laona V
nUà.
da ai de aar l'ordinario alla gran Vergioa
Madre aal divia Verbo; ma qui fiaraa
è da riCsrira alla mistica Beairìca, cba
vedremo nd Cauto seguente.
90. lÀbtrt fkTp non furono pii in-
a.
91. Sì eomt luce te, : ù coma in
cialo, maotra egli li volga , ana stalla
vino dopo l'altra.
92. mtmtlro anima/i, simbula dei
Znattro EvaogelbU. La corona di verde
roodavuol significare il dorare del-
rciraofrlica dt'tirina sempre io «m ma>
dasimo stalo, scaltre verde.
94. Ognuno era pennuto ae. Hia-
hehmni nUu tettai; et in eiremtu ei
iniut piena tunt oeulit. Apoc., IV, 8.
Le ali sono sìmbolo della velocita ei>l-
la qnala la dottrina evangelica corvè
5er il mondo. Gli occbi simili a quelli
'Argo sono simbolo della vigilania aa-
ceosaria a ountanere para la dottrina
dalla Cbieaa di Cristo coutro i sofismi
di cui ai armano a danno di lei T ava-
rizia a le altre pasaiooi DAlnala.
^r 456
I Ed esso tendea bu 1' nna e ]' allr* ale
H Tra la mezzana e le tre e tra liste,
^^ Si eh' a nulla, fendendo, Tacea male-
si Tanto salìvnn, cbe non eran viste;
^1 Le membra d' oro avea quanto era uccello,
^M E bianche l' altre di vermìglio miste.
^M Non che Roma di carro cosi bello
^M Rallegras!« Africano, ovvero Angusto;
^ft Bla quel del Sol saria povcr con olio;
^H Quel del Sol che sviando fu combusto,
^^^ Ter r orazion della Terra devota,
^^1 Quando fu Giove arcanamente giusto.
^H Tie donne in giro dalla destra mola,
^H Venian danzando; l'una tanto rossa,
^H Ch' a pena fora dentro al fuoco nota:
L'aitr'era, comesele
carni e 1' ossa
Fossero sialo di smeraldo fatte: m
La terza parca nev
e testé mossa;
KKMII.ffdrifOlendMJiin li
(TÌtenB, iDnifnili> dietro i EanJc1>bri •
»n qaealo, aireblx d«d«-n» • i>le-
US-ib. Quii detStt tt. «Ilxle
era fti tutatqarnU in agctla litla che
Dt (>eia Ire ìé ciiHUa lato: s Icndio-
manta folle Raidi» il carro del Sei*, Il
do egli l'nu e l'ali» Jdll'.le all' in»,
qealo nfoodo, «odeedD taeH d«U« ao-
■Ila ietta liael nenina, di maniera
lila ria, /^ MnhulD. ano, d.l (alaiM
di CioTf , rer J'oni.i«. per le pr»
nhiere, dtUa Ttrrmimf . fDpplicI»
<M ■ufa.doi naa intwaeiati ntauna
4etl< MlBnle l.^e. Si Doli d» afa ò
«•f. em* mia; the dal primo auc<, il
plv.<lU,ld.ÌK»,Hl,£(,.
Ui. Tamlo laliH», leali delRti-
mìraTa ad inirgnirt egli DomiBi qsnl>
foH «ni» «•'< eln.aM «. Gai &i>l«
iatllo nidalera dal carro noBaue, ha
relnlDil Pe«U aetara la Caria reMU,
4tBfw>ilorraNec(lla. nella par-
■inrpalriet. <R«,de lai da rtgp.
rei In ■plaodon dalla inmitk.
manie lainpoc.le , e allarririi ealU b^
4M. »*.«.£**(■ .«Indite™,.
»«ia di nn .^ipal gulige.
att» milU. lìt«l«r hittic», «Illa ana
131. TW draM. La Ir» tìrti |M>
Biauilii.iigiiiGu la vargiiiiU a l' in-
loflli.
!»«««., il wmijti., 1* carìU ptr gli
123. TuM, la carili.
Baniai, * fsm indie il ian[;iu) apana
123 a ptna fora.. .noia. ìbm»
li urd>b. d..liala, p<T a»r di iSZ,
■MlMwflniKnMHliM.
gialle al tae«.
4IS-tn.A«iel»A.>ma(<r.Ni>i»-
I2t. L'altra, la iptnnia.
iMMaUafrinMreiclieScipinncl'ArHn-
426 La ln^«, la trdr. — ImM
«Mia, dui allora alloro meita. •>-
Jeorirvn tltnia tea •> bel nrre,nia dite
L
u.l>,itaa, dalciflo.
J
CAirrO TElTTESIMOlfONO.
467
130
186
440
Ed or parevan dalla bianca tratte,
Or dalla rossa, o dal canto di questa
L* altre toglién V andare e tarde e ratte.
Dalla sinistra quattro facean festa,
In porpora vestite dietro al modo
D* una di lor, eh* avea tre occhi in testa
Appresso tutto il pertrattato nodo.
Vidi duo vecchi in abito disparì.
Ma pari in atto ed onestato e sodo.
L* un si mostrava alcun de' fomigliarì
Di quel sommo I(^)ocrite, cl^ natura
Agli animali fe eh' eli* ha più cari.
Mostrava l' altro la contraria cura
Con una spada lucida ed acuta,
Tal che di qua dal rio mi fe paura.
Poi vidi quattro in umile paruta,
430. Vun H uioiirmou «0. Int.: al
ffitimcnto sì nottrtTa ditcapolo dPIp*
|»«eral«, cbe la oatnra produate par al*
Bogara la tìU degli uomini , CM alla
aof ra ogni anioiale ha cari. Jjucm im-
dim: qaì è posto Luca sieeoaM aerit-
tora degli Alti Apostolici.
459. Jfoflroaa VaUrolmeontrmrim
eurm ae. Mostrava la contraria cara,
cioè cura contraria a quella di aaa-
tener gli nouiini in tito , pMchè iaip«>
guarà la spada , cb'è istnuianto da
toglierla.
440. Con Mia tpada huidm. Qa^
sto spada in mano a S. Paolo ind^ la
427. dol/a hUmem Inrfla, nidato
arila donna bianca. La donna di color
ài sBMraMo non guida la altra, parcbè
la sparanaa non può assar madra alla
feda o alla cariti.
428. tfaf conto, dal eantara.AlCan«
to XXXI si dirb cbiaramanto di questo
cantora.
129. ioglUn t andari : cioè, mota-
Taao a toinpo la danza loro seconda
qud canto, ora tarde, ora celeri.
430. ^^taUroee, Quattro altra don*
■e, aimbolo delle virtù cardinali : pru-
dansa, giustizia, fortezza e teropersma.
~^faeeam fuia^ roenavan lieto danza.
434-4 32. ditiro al modo i/mta ce.
loC.tal modo del danzare dflla pruden*
za, la qnale fingono i poeti cbe abbia
tra occbi , a denotare ctie essa guarda
la rose passate per trame documento ,
la presenti per non prendere inaanoo
nel determinarti all' azione , le tulora
per evìtora a toropo il male e prepa-
rarsi al bene. Arìttotole (dice Dantoaal
Comoito) dinamrra la prudenza intra
le intellettuali virlà ; avvennacbè «sa
»ia conducilrìce delle morali.
435. Jppretio tutto UforlraUato
nodo. Dopo tutto il groppo da ma divi-
sato, 0 discorso.
434. «Imo raccAt. Questi sono Saa
Luca e San Paolo.
433. oficftoto, composto ad one-
sti. — a iodoj e grave.
potenza delia divina parola eba
nno alla divisione dell'aoiroa. Con
si combstto il vizio e l'errore, si difenda
la verità, ed è quella F unica arma eba
il Divin Redentore ba posto in mano a»
sani ministri, arma formidabile , fitlo-
rioaa, sa diicrctomente si usi, a il 8i«
gnor la diriga.
444 . di aua dal rio , aabbaoa io
fessi di qua dal rio.
442. Poi vidi quaUro. Dicooo ai-
coni cbe questi sono i quattro dottori
d^a Cbieaa , cioè San Gregorio Bfagaa,
San Girolamo , Sant' Ambrogio e iiao>
t' Agostino: ma io crederei piattostoaal
Landino a il Vellutollo, igurati io qi^
sti quattro d'amila aspetto, gli Apo-
stoli Giscoroo,Pietro.GioTanni oGiada.
autori delle brevi epistole csnonicbe.il
B diretro da (ulti un v^lio solo
Venir, dormeodo, ron la Taccia attuta.
E qaestr selle col primaio stuolo
Erano abituali; ma di gigli
Dintorno al rapo non Tacevan brolo ;
Ami di rose e d" altri fior vermigli:
Giurato avria poco lo al ano aspetto.
Che latti ardess«r di sopra da' cigli;
E quando il carro a me fu a rimpetlo.
Un luon s'udì; e quelle genti degne
Parvero aver l'andar più interdi'Uo,
Fermando»' ivi con le prime insegne.
rriTÌglii, ptrdiè « pmen-
'I libro. — parafa, ■•pilla.
I n^lu lala. Quuii i Sin
(4T-I
THDllgli Ji » .
atprtlo, att*, un
HI trolo. Bro-
n BoaBOOdì. rsl, »■• «vm* ti. Voli
Utoim iti PuTgulariv nilU ddK
™.(li, pino»
US-I 4». Idi prim^ dmto Era-
aKItull , Il teda.
ì w IS3. rm'ìa
CANTO TRENTESDIO.
Quando il seUenlrioo dei primo cielo,
I . il iitlmlrìon àtl primo rirle libri , cba runroiglli ille trita Htlh
il (Hlo J.I l>>t*.lifs Urair*, chi fa il n'IInlrì^nl SS Mo dmIto. C«lr.:
prìio* ^lo lii'iiotiri pregroUnri: tuo Quando il itarnlrieni te, ■■farwie^af'
b.
fi'H, lo Sfritti.
CANTO TBEIfTESUia
Che uè occaso mai seppe aè orto^
Né d' altra nebbia, cbe di colpa relOy
E cbe faceva li ciascuno accorto
Di suo dover, come il più basso ftce
Qua) lìmon gira per venire a parto,
Fermo si ai&sse, la gmte verace,.
Venuta prima tra il griloDe ed easo,
AI carro volse sé, come a sua pace:
E un di loro^ quasi dai del metto,
Veni, sponsa, d$ Libano, cantando.
Gridò tre volte, e tutti gli altri appresso.
Quale i beati al novissimo bando
Surgeran presti ognun di sua caverna.
La rivestita voce aUehiìando;
Cotali, in su la divina basterna,
4a9
iO
1»
2-3. C^ né oMofo «t..* cIm mti B«i
S4pp€, ooo rida^ ocetuo ee., eioè, Wf&m
m naacone per girare ch'ei fecMM. né
per cagioiie di Debbia, fuor quella oelii
colpa ) eh* Io tolte agli aguardi di Ada-
mo e di Era, cbe per Io peeeale fvon»
caeciati ètì Paradiao terrestre.
4-6. E du faceta lì eiainmo où-
cmtIo «0^* e cbe in qarl laogo inaegnaTa
il caHMnÌBo,eome il pia basao aettenlrio*
ne, cioè qvello dell orsa maggiore , le
iasegaa a qaalaDqoe nocchiero tolge
il tJaoae della Dave per reiiire ee.
7. la gemU 9érae9 : i rentiqnatiro
acaÌ4MÌ, cbe tono, come ai è detto, o i
neri icrittorì dei libri dei Vcccbie Te*
atamenlo, ebe aon libri di verità^ e ebe
•Ila TeriU eoo guida, ovvero i pia ilio-
siri tenti ddl' antica legge.
9. come a sua pac§, come al fioi
dei loro deaiderj.
1 1 . reni , tponta, ee. Verso delle
teera Cantica. 11 Libano , monte altia-
timo, è simbolo della calette origiat
delU Cbieaa, e ancbe, te vnoi, della mi-
ttiea Beatrice.
12. Gridò Ire oo/to. Qne^o die»,
poiché il vertette replica tre volte le pt-
rolc Veniee.
13. «i notissimo lamdo. Intendi:
air nltima intimaàone, a quelle cioè cbe
Iddio farb ai morti, di ripigliare ci^
ftcuno eoa carne e tue figura.
14. cenema, tepoitnra.
1 5. La riteslita toce allelisiamdo.
Qactta lenone, acbbcn derita dal Peeeo»
le e dal Biegieli , è aoatenuta e difete
M Dietnai. lai ]Ìontì,dal Perenti e dal
Ceterii ed ba rappoggio del Codiee
Vniani^, deirEatenae, di tre Patav., e
£ altri ancora. È modo ardito, è vero,
ma bello, e del eeoio daateaco. Vuol
dire: tfogando in allelnia, e tpiegando
in cantici di giubbilo e di lede a Din
la voce eolie membra rinceta ; il che
è pnr teeende l*Apoe.,Ul. La voea ri
riveste, rìveatcndo gli organi di lei , i
polmoni , la tncbea , il eorpa iaaom-
ma. ÀUeluia » voce ebraica , aigaiica
Me a Dio. Altri teali nortaao Im r<>
veelilm emme aUevietndù, fatta, eiaè^
egile e leggiera la riveatite carne : ata
ba del freddo. Pinltealo, ee aveaia Pep-
poggie di qaelcbe b«ea Codice , le»^
rri : La rieestUm
cioè fetleggiande il cern* npr(
cantando ^leluia per la
tante: eapreaaioae ebe eomm,»mmw^^
con eìtra cbe ai ba al Canto XI¥ del
Paradiso, v. 43 : Come ta come ff»-
riosa e sanla Firn riteslita «e. E
V cdis. di Bevenna del Ferranti, altre
velU citate . ba di fallo la rioeetilm
carne; ma io non taprai dira deada
V abbia levaU.
16. 6a«lema, carro, dalla vaco la-
tina haslema, cbe denota ma carro
guarnito, ùmile all'antico ptlaMlw», dal
qaale ai tenrivaoo lelamenla la grati
e catte malroae.
60 DEL FUHGjITORIO
Si levar cento, ad voeem tanti senis.
Ministri e messa^gier di vita etema.
Tutti dicean; Bmalictus, qui renis;
E, fior gittando di sopra e d'intorno,
ifanibw 0 date lilìa phnii.
lo vidi già nel cominciar de! giorno
La parte or leni al tutta rosala,
E l'altro del di bel sereno adomo,
E la faccia del Sol nascere ombrala,
SI che per lemperania di vapori
L'occhio lo soslenoa lunga Baia:
Così dentro nna nuvola di fiorì,
Che dalle mani angeliche uliva,
E ricadeva giù dentro e di foori,
Sovra candida vcl cinta d'oliva
Donna m'apparve, sello verde manto.
Vestita dì color di Gamma viva.
E lo spirito mio, che già cotanto
Tempo era stato, cb' alla sua presenza
Non era di slupor tremando aO'ranto,
<S. Minitlri te.: Angai. il
49, BtnvUclui, qui mli. Fami* l'I
21 . JVanlMi te. SaHintmili ; die»-
taxi. È nn ni» ili Vìrgilw nel IV
dell' Eonde.
23 lovidtiii. Arrtrti d>t qmlo
t na coofrnBlo pir diiDMlnn ramo
BnlrìrB gli *fp*t
il lir del
3l.ffra»P(.ef(t,cii>è,lsallriperli
se. ptr lemperanxa ee,: per ti-
ipBri.
ST. hmga fiala, lungo lirn. pò.
W. Ckt dallt Mnf anjelicht lali-
it di||li ÌD|tli ere gcUiM in elio
50. rimiro tdì/uarf.SoltìalcDJi:
pon idILdtjIiij rn
12B. ptr lem
«[»ri.
ST. lunga fin
W. Ckt dallt
M, «Iw J.l)li ini
50. rimiro t
dell, ditixe UU
_ __ Viri» tcolppli, di Ae
l'è ilitlo Bri CiolD pnctdtBla. L'CMb-
mopor l'alÌToinleBdela Mpi«in,f«
il verde l'iirmllk, per il nna^iG*
S4-SS. tnlanle Ttmparrm iW*.
rio*, pattala. Ed en egre* U fùt Ì<
eniti ID •I»! di delle ni'iri* di Utttria
di' inno 1300, in eoi DhIcBb|*w
irica.la Belle di Foics Portiani.ete
lui e Del euo iinore p«r«eiilei Utt»-
0 il bello nonlD, fu poi di lai arf^
Poemi retle liinbelo di qaelb mMm»
• che JlHlrfee i eul (om, f-
loln dilla roneai alledra rada
'mloiria i luoi feraci orwwli.
ri«) die
eAKTO TBENTESmO.
SaDza degli occhi aver più conoscenza,
Per occulta virtù che da lei mosse,
D* antico amor senti la gran potenza.
Tosto che nella vista mi percosse
L* alta virtù, che già m' avea trafltto
Prima eh' io foor di puerizia fosse,
Volsimi alla sinistra col rispitto
Col quale il fontolin corre alla mamma,
Quando ha paura, o quando egli è afflitto,
Per dicere a Virgilio: Men che dramma
Di sangue m*é rimase, che non tremi;
Conosco i segni dell' antica fiamma.
Ma Virgilio n' àvea lasciati scemi
Di sé, Virgilio dolcissimo padre,
Virgilio, a cui per mia salute die*mi:
Né quantunque perdeo 1* antica madre.
Valse alle guance nette di rugiada,
Che lagrimando non tornassero adre.
Dante, perché Virgilio se ne vada.
Non pianger anco, non pianger ancora;
Che pianger ti convien per altra spada.
Quasi ammiraglio, che in poppa ed in prora
Viene a veder la gente che ministra
Per gli altri legni, ed a ben for la incuora.
In su la sponda del carro sinistra.
Quando mi volsi al suon del nome mio.
464
40
46
60
66
60
apptmt negli meoonii polti orrìbU*
87. Smaa degli occhi aver pia co-
noteenia; cioè,icnz« averne pia, al-
tra. o nuniore, cooosceoza par parta
«li^li oc^i ; BOD polendo io rioonoaccr*
la perchè era Telala.
SS. p$r occulta 9irtii ce. I noatrì
moderni fisici lo direbbero efletlo dal
Uvnntnrgo floido magnetico.
40. neUmvitla, per la fiala; al
aolo Todere la incognita donna.
42. Prima ck*%o fyor di jm§risia
foitc. Avea nova anni quando a* inna-
oMM-ò di Beatrice.
45. rifpt'Uo. pnò dedorai dd prò.
vena, refpteìl, cbe vale fiducia; e an»
cbe dal lai. retpeeiue , che significa
sguardo tollccito, Nell'un modo o
iioiraltro si avrà un giusto senso di
(jnesto luogo.
54 . die'mi: mi dici. Io staaao cbe
mi diedi: cioè, mi affidai per il gran
▼ìaggio.
52-54. Né pMntunque perdeo oc.
Né quanto perde, cioè, né tutte le deliiie
del Paradiso terrestre perdute da Efa
poterono impedire alle mie gvanea iMKt
di rugiada^àoèj giè asciutte, non lacri-
mose , cbe non tomasser adre , atre ^
oscure per pianto.
55. perchè VirgiUo tenecatfa, «
cagione delia narteosa di Virgilio.
57. per altra epada^ per altra cn-
gione die più ti pnngerà l'anima^ e
3nesta cagione sono le passate follie ,
i die Beatrice or ora lo riprenderà;
e Tabbandono dd pnriaaimo amora hs-
tellettnale per gli affetti terreni.
59. la gente che ministra, gPim-'
piegati nel servigio delle altre navi che
sono sotto la sua dircciooe.
i63 DEI. PPH
.VTO«,0
Che di necessità qn
si reaistra,
Vidi la Donna, rhe pria m' appario 1
Velata sotto l' angolìi-a fe^lu, tj |
Driiiar g'i o-chÌ v
r me di qua dal rio-
Tuttoché il *el che le scendea di" lesta,
Cerchiato dalla fronde di Minerva,
Non la lasciasse parer maniresta;
ncor proterva, » 1
Continuò, come colui che dire, '
E il più caldo pari
r dietro risena-
Guardami ben: ben son, ben son Beatrice.
Come degnasti d' ar-cedere al monte?
Non sapei tu, che qui è 1" uom feliceT Ti
Gli occhi mi cadder gi
j nel chiaro fbntL>;
Ma veg(;endomi in
e^ io li-as^i all' erba :
Tania vergogna mi
grava la fronte.
Cosi la madre al tìglio
mr superba.
Com' ella pane a me; pi'rcliè d' amaro (C
Sente il sapor della
pietà le acerba.
Ella EÌ tacque, e gli an
geli cantaro ^^
Di Bubito: In te. Domine, iprrai-i; ^^|
Ma olire pm/es meo
non passare. ^^M
ea Ck di ncaiiili fi li r«sii-
.1 m«,Ul ,a« »kw d.«: i*]^|
crsd.. >Tir piò l> (TMit di rìnl«^
Cmw., Tr.il. I C.p IH: . ^™ ù
ttl«P«ri.^<|''*t'<<«>*-(^*'*
t<m»<lc per gli à.'[>«ki .Ì»n.. Ì\ ^
lu <M cui. inai*, rlmprnanodofl.
(isD*. •
6S. r tngrliea f«l, , ci .», U ob-
HrM.'WLr ruiototc h'i«v t Mi»,
Tult di G..ri cht dalli mani angrUrhi
p« l„„rBt»lriC, t 1.™-™ fri.
lolita t Tietiaia te. , »inr è iaU
mi iiifiw il mnnW A» rflnnafa
dilapr.
76,CM«tM«.:ri^,it.l.««irf
ocelli BtHBdoli Bcir Itane lUart Jtl
GS rfaUa ftMi, di Ki-rrta ,
idl'uii».
liun..-.
77. fa trotti nWfrta, j^^ii-
•U — proitna . •Ilcii inclig nril'it-
te té ondo del pirlirt .Fj.. Gl«.
«Ei. «« Mi Cmotv, pirti • np
liptllo.
ieri, (k> «DD nirìdriiia qiicnU k
RO-SI •tfTdiframiTDM-.-pmU
eia», eb'ie san dMcti Ttden li tue
,. d...» il «porr deli. PÌ«t .Mt^
hi, ti»* -itid.; «.rr., p«i*f man U
roooio rìmproTtntii
l<rtl. .r. d.l w» hi... .
« /. <f, tKmi«. « P.™lt M
12 4Mn>HHTT<i.*r.biidur(>,
Stimo SU
d< •tli»., p*. lu «.ggiof »l|»
M etlrt p«l« i-nt N. Dm,
CAUTO TAENTESIMO.
Sì come neve tra le vive travi
Per lo dosso d* Italia à congela
SoffiaU e stretta dalK venti Schiavi,
Poi liquefatta in sé slessa trapela,
Pin- che la terra, che perde ombra, spiri.
Si che par fooco fonder la candela;
Cosi fili senza lagrime e sospiri
Ansi il cantar di qne^ che notan sempre
Dietro alle note degli eterni ghi.
Ma poiché intesi nelle dolci tempre
Lor compatire a ne, più che se detto
Avesser: Donna, perchè si lo stempre?
Lo giel che m* era intorno al cnor ristretto,
Spirito ed acqua fessi, e con angoscia
Per la bocca e per gli occhi nsci del petto
Ella, por férma in so la detta coscia
Del carro stando, alle sostanzio pie
Volse le sue parole cosi poscia:
Voi vigilate nelF etemo die.
Si che notte né sonno a voi non fora
Passo, che foccia il secol per sue vie ;
463
86
SO
96
iOO
106
e fon* Der non far
dMra in luogo di «Cerna pace, si ri-
mangono dal cantare alle parole pedeM
SS. fra /f tire travi, tra gli abeti
e i pini, che prima che sicn recbi po»-
■M ehiamarM irati vive, doé, dhe ? •-
gelano.
se. Per lo dotto & I tedia. Per i
monti dcir Appennino, i quali, come
la iptnn doraale dell* Italia , ti stendono
per lo suo messo dall' Alpe fino a B^
gioin Calabria.
87. SoffieUa, percoaea dal aoffio.
— vcnfi Sehieni , i venti die dalla
ScbicTonia tengono tXi* Italia dal late
di greco.
8S-S0. Poi li^fatta $e. Int.: poi
liqncfatta penetra in tè tleaia, Pwr dU
nirif cioè, dia tento, la terra africana
rfa qnale in alcnn tempo , avendo aonra
di tè perpendicolari i raggi del aoU ,
vede i corpi , che aono in eata, perdere
Pombraj; t\ che (raM neve) presenta
rimmagine dclls candela che al fuoco
fi fiqndfb. Vedi la natura fir» « in
■rione 1
IN . Coti fkd tenxa lagrime, rimati
impietrito per lo stnporo.
92. Àn%i il cantor, finché non adii
il canto di curi chenoteii tempre, doè,
degli Angeli die sempre cantano in
Bota.
93. IH tra alle note ee. , dietro tl-
r armonia delle sfere. Secondo nn* tn-
tica opinione , le sfere giravano dando
tuono. JloCe il Cod. Caet.
94. nelle dolci tempre y io ^mI
delee salmo che mi animava a ntcrara .
96. itempre , stni(;gì, mortifidu.
95. Spirito et meg%afet$i,nil
adolse in sospiri ed in lacrime.
toc. in ff« la detta eoteia, cioè,
sulla sponda sinistra dd carro , enne
al verso 61 di questo Canto. Le allrt
edisioni leggono In tu la dattrm, e qio-
tta lenone fa oscurissimo il senno. Il
Tordli pone una virgole dopo /proli ,
a coi sottint. nef tuo rigare,
103. flMirelemo tfit.neir
giorno, nelU etema Ince «TmBa.
lO^-^OS. non furaee., non aa-
tconde cota che accada nel volger do*
tneoli.
Onde la mia risposta è con più cura.
Che m' intenda colai che di là piagne,
Perchè sìa colpa e duo! d' una misura.
Non pur per ovra delle rote magne,
Che drizzan ciascun seme ad alcun fine.
Secondo ciie te stelle soo compagne;
Ma per larghezza di grazie divine,
Che si alti vapori lianno a lor piova,
Che nostre viste !à non van v'
Questi Tu tal nella e^ua v
Virtualmente, ch'ogni abito destro
Fatto averebbe in lui mirabii pruova.
Ma laoto più maligno e più silvestre
Si fa il terren col mal seme, e non colto,
Quant' egli ha più di buon vigor lerreetro.
Alcun tempo il sostenni col mio volto;
Mostrando gli occhi giovinetti a lui,
Sleco il menava in dritta parte volto.
Si tosto come in su la soglia fui
Di mia Eoconda etade e mutai vita.
Questi si tolse a me, e diessi altini.
Qtiando di carne a spirto ora salila,
E bellezza e \irtù cresciuta m'era,
Fu' io a lui men cara e men gradila;
»
Ira direni i hrmi inltnrli-re i cnlsi ce.
4<G. VirtualmfnU.m p«but*,p<i
<M. PtTcM lia colpa < duol «..-
.ir(odir«*v«ladJdrt. .' J,K..-
■ocioeclii pfl Dita riniuruTcran ai Q''-
ogni alila deliro, ogoi «bil» Ihm*, .
urH ia lai dolore prundn'»»!*!» «1 ■»
. b.De.
tlllo.
i\9. 1 mm nlU>. t BM ^HftU
100-111. n'cn par prron-s te:
{Ì\ Itrrcno).
430. vifer (nretlro, furu Date-
qall> etaum lemt, oggi e>n», n ù-
rà la pmlo iuta di terra.
(2\. Atnm temp» U nmmiì:
Z»«ct»d.««,ÌDdina.fl. .q..lcl,.
Cag 0 baona o Ir >to,<«oadD i, «irli, il,
mtalti *m,\, col mio .le*B Tali* ^a-
qtMlll Iklll cfca gli i (I>ID|Hipi, ci.-f',
hU« I* OBilc k gi'iwratoj ma per at>-
ajiiraTa alli pioaim a TÌiii.
m-123. »Hla>OflÌa«(. H«-
bai>d.D^d1gi..i<dWi«e.
tiForw., ani limilindeili >k«mUm,
<I3. Cht li Mi vapori te. I t..
cioè, d.li'ela'w. U lanndfl «lade.
pori aoB principi» • cauiooB (Ila pii.3-
»«^ndo Dania,! la c'o>col«, «U'ìp-
RC nii a naHunflaturiiv; eHnnillca
greno dollt .utie IJc.Ui» mmU vii».
dia la n^oa< n>».<,..l. Di» a inCadcr
la nra>ii * imu-uelraLita all' uiuaDo
120 Q„uti. O.Mt.
iiiulltllo.
127 Vo«<lod,«rne«.:,M.J.
CANTO TRElfTESmO.
465
E volse i passi suoi per via non vera, i30
Immagini di ben seguendo felae,
Cbe nulla promission rendono intera.
Né r impetrare spirazion mi valse,
Con le quali e in sogno ed altrimenti
Lo rìvocai; si poco a M ne calse. 435
Tanto giù cadde, che tutti argomenti
Alla salate soa eran già corti,
Fuor cbe mostrargli le perdute genti.
Per questo visitai 1* oscio de' morti,
E a colui cbe V ba quassù condotto, 440
Li priegbi miei, piangendo, furon porti.
L* alto fato di Dio sarebbe rotto,
Se Lete si passasse, e tal vivanda
Fosse gustata aenz* alcuno scotto
Di pentimento cbe lagrime spanda. Ub
432. Che nvlla promiition «e., 442. L'atto fftio di Dio ee.: Paltò
che Don mantrngon na!1a di qual cbe ^aerato, l'alta aiipcairiona di Dio ta->
promettono: tali sono le riecbnsa, ^i rabba violata.
onori, ì piaceri, che oromatton felidtè, 443. e to/ vivanda ee.: a ae si gu-
c non d«n poi cho rimorso, o aela pift ataaaa,si bevasse qaeat* acqua dell'obli»
arata dite. viosa dal paoeato aemea alcana eompen-
433. JVé l'impetrare ee.: uè mi
valsa l' avergli impetrato da Dio i^i-
razioDÌ ec.
456. giU cadde. Sottioteadì : nai
vizioj o nella mondanità. — argometUi,
proTTcdimenti.
459. Per queito visitai t^uieio
dei' morii: ciò fece quando andò a tro- 445. Di pentimento ee.: cioè, di
var Virgilio. pentimento tale,cba rnvora a piangara.
444. ieotto, diersi la quota che
ciaacuD compagno paga dal comnna da-
ainara. Per stroiliiudioa, a a modo prò*
▼erbiale , pagar io teotto, diccai dello
acootara per paoitenxa il fallo
CANTO TREMTESmOPRinO.
Cmtimmm Btmtrt't I suoi rtmpiwmri tt PttU, « I» strimgt mttm coh/cmImm del tmti
mtmtL Pnpmrmtu cwi p4t tanta mmUtmtttma at pm g randa dtt kttiit 0 tallo da Malalilm 0 taffi
m^tjlamta deiraUia. ÀUora le fmattro Flfk aaorah gli pa$$am dantanda tì èratria $al «sp» •
portmit daaamu al tana. Pm I* tn Ptrié l0alae>elu ta pnaantaaa a Baatnm, • <M
um attua ftdau, il atf M taglia, a U Fatu a rmptia dal pmradtta dUa tptamda aafU
ima
0 tu, cbe se* di là dal 6ume sacro
(Volgendo suo parlare a me per punta ,
Che pur per taglio m*era parut*acro),
2. p€r punto, direftNmente. di me parlava agli Angeli eoo aoimo
5. Ch^ pur per laijtio m'era fMH par allui-a di pungermi, m'era
rut'acrOt che anco indiretto, qnaiidb orato acerbo.
30
466
DEL FUBOATOIIO
Ricominciò, seguendo senza nmta,
Dì» di, «e qoeei'è vero: a tanta accusa
Tua confesso conviene esser congiunta.
Era la mia virtù tanto confusa.
Che la voce si mosse, e pria si spense
Che dagli organi suoi fosse dischiusa.
Poco soflbnie; poi disse: Che penso?
Rispondi a me; che le memorie triste
In te non sono ancor dall* acqua offlmse.
Confusione e paura insieme miste
Mi pinsero un tal «i fuor della hocca,
Al quale intender fur mestier le viste.
Come balestro frange, quando scocca
Da troppa t«« la sua corda e 1* arco,
E con men fo';;a Tasta il segno tocca:
Sì scoppia' io sott' esso grave carco,
Fuori sgorgando lagrime e sospiri,
E la voce allentò per lo suo varco.
Ond'ella a me: Per entro i miei disiri,
Che ti menavano ad amar lo bene
Di là dal qual non è a che s' aspiri,
Quai fosse attraversate, o quai catene
Trovasti, perchè del passare innanzi
Dovessiti cosi spogliar la spene?
E quali agevolezze, o quali avanzi
10
ib
»
u
4. itnxa eunta, seoza dimori. È
lètto ^1 Ut. nuutari,
5. M qu9tt^è vero, quello elio io
ho detto di te.
7. La mia «tVl4. Int. le potenze
teoeitive; tento, rioè, io era sniiirrto.
9. Ck$ dagli organi tuoi ec. È
oreato a poco il Virgiliano, «oc fewei-
10. Poco tofferso, un poco asp4*ttò.
42. In (• non tono anror dalVae-
pta offmua, scancellate dall' arque di
Lete.
45. fktr mestier U viste, biiut^a-
roao gli occhi , per comprenderlo dal-
l' oltoggiamento delle labbra , tanto il
tMBO in raile.
46-48.Come baiettrofrang»,€whf
il frange, acoppia, «|nandi> la sna corda
t Fareo aaoacaoo da troppa teoaiooe,
e PhU oIm ne parte toera il argno eoo
mtao font per l'am-nnta rottura,
eoa) ee. Alcani pongono ma ìhgeh
dopo teta , e allora il verbo /iFMf* ^
▼ente di moro attivo. Potrcobo alwa,
ma io prcferiwfl il primo modo.
49. tott'e$to grave carco, lolto i
grave carico della confuaioat a Mia
paura sopraddette.
21 . ff la voce attentò ec.: e la face
▼enne a morire tu le labbra, cka laao
il varrò per cui etce fuori.
22. Per rntro 1 miei iMrC....
Quai fosie attravertmte, o fiMrf ea-
tene. Ini. Nel icguire i miei daeMaTJ,
quali ottaroli ti si attraversaraaa a
quali impedimenti ec.
25-24 to bene Dita dal ^ueim.
Iddio, quel bene che tutu gli altri ha aè
eompreiide, e oltre il ijuala BOtt fok
andare l'nmano desideno.
27. epogtiar la ipena,
la speranza, disauiniarti.
Sa. agevolette, factlith , o
CANTO TRBNTEUMOnilMa
Nella fronte degli altri si mestrait),
Penile doveen ler paoceggiare anzi?
Dopo la tratta d' im eoepìro amaro,
A pena ebbi la voce che rispoee,
E le labbra a Iktica la formaro.
Piangendo diasi: Le pneeoti cose
Col ialso Uff piacer velser miei passi,
Tosto che 1 vostro viso ai naaooae.
Ed ella: Se tacessi, o se negassi
Ciò che confèssi, non ftn-a men nota
La colpa tua: da tal gioisce saan.
Ma quando scoppia dalla propria gota
L'accasa del peccato, in nostra corte,
Rivolge sé coatra il taglio la rota.
Tuttavia, perchè me^ vergogna porte
Del tuo errore^ • perchè altra volta
Udendo le sirena sie più forte,
Pon giù il seme del piangere, ed ascolta;
Sì udirai come in contraria parte
Muover doveati mia carne sepolta.
Mai non t* appresentò natara ed arte
Piacer, quanto le belle membra in eh* io
Rinchiusa fui, e che son terra sparte:
m
30
36
40
46
60
6f«.—- at#iizi*, gvadagni, o Ttateffgi.
29-50. H9lla fHmU dtfH altri,
màV Mpelto losinghiero degli altri beni
li: ^^ Perchè do99t»i ee,. Ut-
dia dovaati venir loro intorao •
i; OTvero, perakè la 4^
oal tao ardore eamniinar lor» in*
j . trapaaaarìi , mentra a aegoira i
dcairì ari stato inppo.
54. Lt pmenti eoie, ì beni, lai^
del mondo, di eoi 6 detto al
I ^oi aopra.
55. voltar miei ptti, lai. dalk
dritta.
59. da tal giudiee, da Dio, c«
ncaaaoa eoaa è natrtwu. — »ani, » aa.
40. daUa fropria gola, dalla pro-
pria boeea, cioè, dalla bocca dd pae-
catora.
44. In moiéra eorlé, nana aorte
dal cielo, ore ai (a raipooo a latti a di
tatto inpartiale e arvera
42. Jliao^f iè ee. Ut.: la divina
Siaatitia, ^aaai rota die aguxxa il taglia
dia propria apada , rivalga tè eaatra
aaao taglio; ebe è ^«aato dita: la dn
TÌoa ginstif ìa si diaamia.
43. aM*, meglio. Jfo logaano i
Codid Caaa. e Fior., che vaU mrm
da modo, awaibio lai. — >|Mrlif la
45. U sèrwas, gli allattaaMirti M
piaeere.
46. Pam giA U toma at~ |Mal gii
la cagione del p angere , doè « il S*
carou, cume è netto di aopra, dalla (
hiaiono e della paara.
47. in eimtraria parta
doveati: doveati allootaoai^
mondana.
4S. mia earma tepolta. latesdii la
morte mia. l'esaer io aiorta.
49. nahtra ed arla^ iadama Mite.
50. Piaeer, e piaeimtamta, ooaaa •§-
trovc fu o«4oto, dìnrro gli antiabi far
belletta ; ma qai pub aadie valaraaaM
piaemle. come enotlo di talli IM
54 . e ebo eom terra epaHa, a cba
tparte, diaaidto , diagregata , ar aaa
terra.
^^^
^1
4G8 BEI- ri-n
1
E se il sommo piacer si ti follie
Per l8 mia morte, qual cosa mortale
Dovea poi trarre le nel suo disio?
Bon ti dovevi, por io primo strale
U
Delle cose fallaci, le%'ar suso
Diretr" a me che no
n era più tale.
Non ti dovea gravar le
penne in giuso.
Ad aspettar più colpi, o pargoletta,
0 altra vanità con
sì brev' oso.
eo
Nuovo sugellello due o
Ire aspetta;
Ma dinanzi dagli oechi de' pennuti
Relè si epiega indarno, o si saetta.
Qnale i fanciulli vergo^
nando muti,
Con gli occhi a terra, slannoai aacollaodo, ti
E sé riconoscendo.
e ripentoli;
Tal mi sCav' io. Ed ella disse: Quando
Per udir se' do'enle
, alza la barba.
E prenderai piii doglia riguardando.
Con men di resaslenza
si dibarba
™
Robusto cerno, ovvero a nostral vento.
Ovvero a quel della (erra di larba.
Ch' io non levai al suo
comando il mento:
S2. il (01IMH0 piarir. SnUintMilit
p« d,> = >re Toll. ii««
-nil rwU*
rh. „,rì il .»)«■ mo. — ti faUiB. li
C2 tSt'pmiHiU, di
qad eh* bii
Sii f"rli Ir prua., do-»»
cbi.
U fMlnKi<lùw,id.ni>r1i,iite.
lidcnrli.
m! tralci VaivMi
V.'«ià,i.
», pM- (a fiHmn (frale «. lor ;
«UivMrf.
pò !■ pHiu t,r>l> dm prnoll dtll*
ripmidr'inni hlll «.
i» ni •«tati marti.
«ilpfvoli, — ripiiMnlI, r
pfXlìti.
H. favar iwD. ictirti «.1 ptniitro
'^«-68. oJUdo p«-
U-»..p>i.
éIM*,
Ai »r 1. cZa..- I..Ì
odiu m! C
ST. ekfwM'ri p-ft rdlce<4,
(«.It.li moilrì ptnlii».
_!«»««•.
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I« (>rci> birbuU. Cit
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•IricEli (hi ron ora «r>a
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ÌMa<>Hil.d>t>4in.d<.|d.la.
o^K. d.( .lo*»» luci
98-H. Hon li <Ut>^a frarar n.:
•(■l'in j,<,ni del mooio.-
<.(J..p-kà
twe H 'air* illirrtre, d Icnrr bauo
•lati pff verm-fiiii mi «pò iTumM.
«Ila Mrn , Ad aipHlar )iia «fpf , «m
70 ri4-rM. «d
ridin.
71 a «ntlral twio
*>Mte^
l.ttMI..».»<'w,<.p<nv«(''l<. -
•»ni d.lli n<«lr< !«.•
1'lq.dbM.
^ ^mlrii^ (istinMla, 0 allm canlfd.
Jwlril «nifo, Ifiu* l' rJ»- O-liMB.
■ «Mri hn'im, ..Itri nn. ««,11
73. 0 erre a IMI
N.d .Wk
d'AfrÌ<'*.n<e rti;nt lirb
H «. Ì(w>MMgr».lb>, MsdlDdi
73. Ch-U> •« !««<
*QwM«r-*-
■
■tMin dJminlrt .jihiiI'm
bntfigH
ci» lo Kn» din»*».
J
CANTO TRENTESDIOFEIMO.
E quando per la barba il viso chiese,
Ben conobbi il veien deli* argomenta
E come la mìa feccia si distese.
Posarsi quelle prime creature
Da loro aspersion l'occhio comprese:
E le mie luci, ancor poco sicure,
Tider Beatrice volta in su la fiera,
Gh* é sola una persona in duo nature.
Sotto suo velo, ed oltre la riviera
Verde, pareami più sé stessa antica
Vincer, che 1* altre qui quand* eOa e' era.
Di penter si mi punse ivi l'ortica.
Che di tutt' altre cose, qual mi torse
Più nel suo amor, più mi si fé nimica.
Tanta riconoscenza il cuor mi morse,
Gh' io caddi vinto, e quale allora lemmi.
Salsi colei che la cagion mi porse.
Poi, quando il cor virtù di fuor rendemmi,
La Donna eh' io avea trovata sola,
Sopra me vidi, e dicea: Tiemmi, tiemmi.
Tratto m* avea nel fiume infino a gola,
E, tirandosi me dietro, sen giva
469
75
80
S6
90
9$
74. per la barba. Quando osò ter-
kmftrpiio. Ve«ir sopra la nota 67-68.
75. Ben eomobH te Intendi : bea
tii il veleno, F amaro della ana illa-
jt: 0, come spiega Alfieri, la mali-
ite delle tue parole.
77-78. Potar wi quelle prime area-
imtet cioè , 1' occhio mio rompreaa gK
angtli, vrime ertalurt ( percdè erwti
prìoM dagli uomini), Potarti As
ima aepertUm , che, en»e^ avean tea-
aato^ ^arger fiori. Altri leggono btUe
enaHere invece di prime,
79. aiacor poco tieure, aneor ti*
wtièe.
80. i» tu la fiera ee., sopra il gri-
fone.
82-84. SoUo tuo velo ee. Sebbeo
eoparta del suo velo, e scbbent? alqnaoto
da me lootana, perrbè al di là dai fionia
dalla verdi rive ; nonostante mi pana
eh* alla pii saperaaae in b^Uena aè
■twai mortala , che non superava InUa
le altra donna quand'era sn 4|tteata
terra. — aniwa, anteriore, di prima.
8^87. DijfenUr re. Int.: taoto
allora l'ortica dal pantirt , il rimane
dalla coaciania, mi penne , che di tette
la coae m»rtali (diversa da Baalriae,
dbe ara fatta immortala) anelli^ cbe
SÌA mi volae ad amar aè, oaviaodoml
a Beatrice, p ù in odio mi vanne.
88. rieonoteemsa , pantimeote dei
miai peccati. Principio al pentimenlo è
le coDoscenaa di sé medaauno, de'pro-
prj falli, onde il rimorso.
89. lemmi, per fe'wd, mi fai, di-
venni.
90 5e/i<eoMee.:«Mè,aeIe8a
Beatrice , che ec.
91. Poi, quamào il cor ee.: pei
^ando il catira, navntoai dal Me ab*
battimento , mi restimi le virtè tolta
agli retemi miei arnsi , ee.
92. U Donna ee, Matelda, dellt
qeale al Canto XXVIII, v. S7, è detto:
S là m'apporre., . Una Donnaiokitm.
95. Tiemmi, Kfgimt, •fpifliaiif
appigliati a me.
94 TVoflo m'««e«. S'intende dM
gik il Porla s'era attaccato a lei.
95-96. $en giva... come tpakt.
DEL PimOiTORlO
0 V afqua, tìe\e come spola.
Quando fui presso alla beata riva.
Asperges me eì dolcemente adissi,
eh' io noi so rimembrar, non eh' io lo scriva.
La bella donna nelle braccia aprissi,
Abbraceiommi la lesi», e mi sominerM,
0\e convenne cb' io l' acqua inghiottissi
Indi mi tolse, e bagnato ra" offerse
Dentro alla àauti delle quallro belio,
£ ciascuna col braccio mi coperse.
Noi Sem qui ninre, e nei cìei sema stelle;
Pria ciie Beatrice dii=cendes« al mondo.
Fummo ordinale a lei per sue ancelle.
Menrenli agli ocelli saoi; ma nel fiiocando
Lume cb' è dentro, a^ozzeran li tuoi
Le tre dì là, che miran più jM^rondo-
Cosi cantando cominciaro: e poi
Al peilo del grifon seco menarmi,
Ove Beatrice velia st^va a noi.
Dìseeri Fa ctie le viste non risparmi:
Posto t' avem dinanzi agli smeraldi.
100
i
KH
I
piiiti di (alM
d.ll'.<..«li.M.,
m ilcirra tl'iPin
D 50, rbr
.'crdolf prvFerìi
I atraui a ^■l«^■ , p» a
vH. allargi
103. ImK mt loln. m Ini del-
l'irani.
<M. (bik fiMllm kilt Villi uc-
ilX.Kot tMi|w nin/a.-rioè, noi
Mi rial Mmo Ittl'a. Ir .|u»l» llrlli,
a (Im fa ili'Uo: JVnii viiti m«i /Wr
dk'olla prÙH gnu Vidi /'urgalo-
rio. Calila I, »rw 21 Li «rlu mu-
rili toBs ainfi atJia iiU «urtala , eba
.ai.(l>»'>àl«>l<«iikadM
>■ •w.l.^n.liiw a IH>) M»
aalmU • «ùan adito-
-'la ifiiaiKlg JcBW* li Mil
CANTO TAENTSitUiOPEIMO.-
Ond'Amor già ti trtsie le sue ami.
Mille disiri (mù che fiamma caldi
Stringermi gli occhi agli occhi nluctnli,
Che por sovra il grifone stavae saldi-
Come io lo specchio il Sd, non allrimenti
La doppia fiera deUro vi raggiava,
Or con uni, er ooa altri raggimeati..
Pensa, lettor, s* io mi maravigliava.
Quando vedea la coaa in sé star quota»
E neir idolo suo si trasmutava.
Mentre che, piena* di stupore e lieta,
V anima mia gustava di quel cibo,
Che, saziando di sé, di sé asseta;
Sé dimostrando del più alto tribo
Negli atti, 1* altre tre si fero avanti,
Danzando al loro angelico caribo.
Volgi, Beatrice, volgi gli occhi santi,
Era la sna canzone, al tao fedele,
Che, per vederti, ha mossi passi tanti.
Per grazia fa noi grana che disvele
A lui la bocca tua* si che discema
471
-120
125
lae
i3i
ta^ : agli occhi di Be«trie« , cIm Ia-
cono di loco giocooda , cono qoolU do-
fli smeraldi.
447. Ond' Amor te.: da' quii
AiBore nn tempo ti saettò i tuoi ttrali.
449. Sirintermi gli occhi agli oc-
<ki ee. Mi r«'cero lisMr ^\i ocdii oogtt
oedii splendenti della donna.
420. ioidi, immokilmente 6m.
422-423. La doppia fiera, la fiera
dalle dne nature, il grifone. Qneal'è la
cagione del giocondo lume di che e detto
qai sopra al verso lOU. — dciilra vi
ragfiàta. Il grifone raggiava come
fole in specchio dentro «gli occhi di
Bealrica , ora eoi rtggimenli. cogli atti
proBij dell' araana naiura, ora con
JhmIì della divina. La Teologia attiaga
a GaM Cristo i dommi che lo rigaar^
daoo nella sua dapiico natura. la al-
tro fooso, onesti due diversi raggi-
Menfi Sfino il duuimatico e il poiiiico,
dai qaali nuoiti , mi* non conluai , do*
tea haaltara la br«u terrena ciflA di
CfiH».
425-426. Quando tedta imeota,
V obietto, il grifone, in si ilar qatUi,
man faro alena nintamanla^ B mU-
r 4dah Ma, a nalP ioima^na ina^ ian
preaaa oogli occhi di Baatnea, hm va-
rie le forme di lai.
429. Che, taziundo ec.: che fa-
cendo contenta Fannna. sempre più
V accende nel deudorio di sé.
430-431 Sédimoifrofido ee., mo-
strandosi agli atti e monmenti tatti co>
lesti . del piii alto tribo, del più alto
ordine, o gerarchia.
432. i)anzando al loro angelico
emribo Lasciando da parte tutta le
vane interpretai oni che si danno a
questo verso, e alla voce caribo, dieo
che caribo tu chiamata anticamente
fifia specie di cansone a 6«Zlp; ande
il senso più sriupikre ai questo looga e
il più roti forine al contesto è il
te : Danzando alla loro angelioB
zone; cioè, mentre cantavano con Toaa
angelica qoel che sotto ai dica.
434 fedele, devoto.
430-437. che ditteU i lai la
bocca tua : cioè, che svali a lai la taa
facaa. Così i Latini auvano §§, boaca ,
por tutta la faccia.
La seconda bellezza che lu cele.
0 ìspleodor di viva luce elercu,
Cbi pallido si fece sotto i' ombra
Si di Parnaso, o bevve in sua cislerna,
Cbe Don paresse aver la mente Ingombra,
Tenlaodo a render [e qaal tu paresti
Li dove Brmoniizando il cìei t' adombra,
Quando nell'aure apeilo ti solvesti?
tu Lautendó Mkiia ctu la bctdi nd («!• JJPinuu
qi»|Bwrai
i
139. O itplnJoT. Inltnili : s Bc*-
Ìi6-US. CM pallide « Inlndi :
bi i uni imptllidils Unb> ucllo tludis
pH (cqnutus l'aria di poalara, a ibi
Inrli qaal* (ppariiii QiÌbb
ni nttratrt aprrlot ««
pai i« «n'irla •perla, i
irlo amumUianda, Ira U >
(V(JiC.XXI,T.93),l'*dw
CAIWTO TRENTESEHOSECOamiO.
Tanto ersD gli occhi miei G^i ed Mentì
A disbramarsi la decenne sete,
-ì sensi m'eran lutti speoti;
quinci e quindi avén parete
Di non caler, co« lo santo riSQ
A sé Iraéli con 1' antica relè;
Quando por forza mi fo volto il viso
Ver la sinistra mia da quelle Dee,
wHdiflin i' aoa parla i d'altra n
di ludi parti Inilaians pa- (
iU al laro diii|inrBtii ; Di (tea
*M dal ■aaairnrtra dallo
CANTO TlEimilMOaKOIfDO.
Pereli' io odia da loro m: Troppo fbo.
E la disposizion che a veder ee
Negli occhi par testé dal Sol percossi,
Sanza la vista alqoaDto esser mi fé»;
Ma poiché al poco il viso rifiimiossi
(Io dico al poco per rispetto al mdto
Sensibile, onde a hn^ mi rimossi),
Vidi in sol braccio destro esser rivolto
Lo glorioso eserpto, e tornarsi
Col Sole e conjw^iette fiamme al volto.
Come sotto gli scoÌH per salvarsi
Tolgesi schiera» e aé gira col segno.
Prima che possa tutta in sé mutarsi;
Quella milizia del celeste regno,
Che precedeva, tutta trapassonne
Pria che piegasse il carro il primo legno.
Indi alle rote si tornar le donne,
E il grifon mosse il benedetto carco,
Si che però nulla penna crollonne.
La bella donna che mi trasse al varco,
E Stazio ed io seguitavam la rota
i73
iO
io
so
n
fM la parolt eh* gli Ci Tolgcr* il viio
gli è diretta dalle tra doooa cha aoeo
•Ba daatra paria del rarro, tk% ikù9
adi aiacr la •iniatra di Ini.
9. imi: Troppo fUo: pcrebè mmtìà
éàrmà : troppo fiso la guardi.
40-42. E la dUpotiiiom §e. Va
«alla diapoaizione. cuofonnaiioiia.eha
nipatto aUa loro virtù TÌsiTa prandOM
gli aacfai di fresco pard-tti dal tola,aù
ttaa «Mara alquaDto aeuia la viata, ìa-
aaMoa, «ioè, di tederà.
49-45. Ma poiché tU powoe. Ma
poiabè Focefaio rìforaioaai, ai riabW,
tonò aceoDcìa a loataoere Firopramaoa
Mia laaa della altra eoaa ealaati, b q«a-
!• ara poca, rispetto a quella oiolta dM
uà YaniTa da Beatrice , ee. — WèoUa
SttMiU, tigoifica qui ti utaito lumi
noto, cesia la truppa luca. — orni» a
fotta wU rimoiti, da cui ataeaai gli
acciii fonato.
40. m nU broecio dailro, a bmao
47--IS. tornarti Col Solo as..- ai-
il glorioso eaerciiu prima rirolte
a poofBte, tidi che it Yolse a laTaata,
•faida ia laacia i raggi dal itla a fMK
àtf aetla eaodelebri.
40. talio f li aeiMK por takani,
éak riparata sotto gli acndi.— > jmt aal-
•ani dairinioiico.
10-24. oèàfiratolMgno: a aal
aagaa (presao In baodiere) gira aè ata^
aa, camiaciaodo a dar volta eolia ila
d*avaoti e poi eoli' altra a asaaa a na-
ao^ priana che essa schiera poan bm-
Tarn ia talte le aae parti.
23. prteedtoa, al earra. Molti t^
ali procedeva.
24. il primo legno, il liaMaa.
25. atte rote ti tornar te iotmt,
or'araa prima che s'avaatasaaro sia al
Cdai grifoaa: la teologali npraaor
^ > preseo la raota destra, alla liai-
atra le altre.
26. il benedetto coreo, il earra.
27. Si che però ee., sicché il pi-
Isaa aaa ebbe uopo di lare aleeaa alar-
10 a tirarlo; dal che aviabbara dal»
tagao le peone crollaado.
2S. U Mia éomia, Maéalda.— al
oareo, eieè, al Irapaaiara il Same Leto.
29*50. f «gailavaai la rala fc. , <
Che fé l'orbita sua con mìoor arco.
Si passeggiando l'alta selva vota.
Colpa di quella eh' a) serpente creaa,
Temprava i passi ita' angelica Dola.
Forse io tra voli tanto spazio prese
Disfrenala saetta, quanto eràmo
nimoasi, quando Beatrice scesa.
Io senti' (Qormorare a tutti: Adamo!
Poi cercbiaro una pianta dispagltala
Dì fiori e d'altra fronda in ciascun i
La cliioma sua, cbe tanto si dilata
Più, quanto più è su, fora dagl'Indi
Ne' boschi lor per altezza ammirala.
é
mi iiennl itluu inuiulo.'C: ridditi tam
■ di tulli Caiarit Catari; t cbr toa bil-
. • Il OtraMltriRM, w H hffì t li U«H
Il di UUi. Dalla •^*^ìt im
m^^yi
»I.Ui
ikt il fft ni prw< il (snr». Vuli nnade. Sdd aoHti ì pmiBcnii M-
. I> ni'li !7- l'Àliflliim.
SS Trm/mnat palli tm'angtllca 3X. «rcUars «M pianta. Qt-
■ni 'dalU nMiiU>i. L' •Min («io- w >uui. Rou>* «Uro Jtll* noon^
TMipraM i pani fa aitftUea m- dnie CnMe ptr omo* di'iiuù Af—lai
e. Ini.!
qlIllUrIti|Hil'a(ulr>Bdl«d i>|uIiiim.
La lirlà, cìsè, osa ■llwrgiiia pie wl-
r .u>.H ■.•lan. \eii il titr.tU At
CANTO TBIiminiQaCO?fDO.
Beato se^, grìto, che ma dmcMi
Col bacco d'esto legM dolee al gusto,
Poscìachò mal ai toree il ventre <|iilBdi
Cosi d* intorno all' arbore robusto
Grìdaron gii altri; e rammal binato:
Si si conserva il sohm d* ogni ginstow
E volto al temo cb*egti avea tirato,
Trassek) a pie deUa vedova fraaca;
B qnel di lei a 1« lasciò legato.
Come le nostre pianta, quando casca
Giù la gran loco oiischiata con qoaUa
Che raggia dietro alla celeste laaca,
Turgide fansi, e poi si rinnoveUa
Di suo color ciascuna, pria che 1 Sole
Giunga li suoi oorsier solt' altra atella;
Men cbe di rose, e più cbe di viole,
Colore aprendo, a* innovò la pianta,
Che prima avea le remora si sole.
43. cfte non dUcindi, cbe «•! tM
Leeco doo ■piccbi, dod to^i nulla di
^oaf alWro , la cui dolccsa fa al f«-
acata ai ««atri padri. lutarpreta aacoo-
àoAè aMnaa detto sopra alla nota 37.
475
M
66
60
ara di lei ^ cIm a lai apptrtenaTa. Cri-
ato fondò la aaa Chicaa nell' impero a
r l'impero; a aapiealameota il eh.
Pooia ael aao Diaeorao aalKallafaria
dd Sacro Poema onenra, eha ia yeita
44-45. doire ai gutUt et. Secondo fiilto dei frifooe di la«iara il tii
n aanao letterale iot.: ì cai fratti aono
dolci al gvato, ma rei alla talnle, dap-
poiché il Teotre de^primi nualrì padri
gmtnéi (cioè per qoeata cagioae) ma/
ii torte, ai coalorae per fieri dolori, o,
■apramente fu tormentato. Nel modo
ateaao i Latini diruno mo/e torqutri.
47. Mnalo, di due nature, di do^
pia origine.
48. 5i fi conterrà il teme d'egni
gimtU»' 0011 si serba il principili , il
foodameotod'o^i (fiastizia, a percfaè
nella distinzione delle due poCeatè a
nel rispetto loro rccipnic» è ripoato
l'ordine primo delle cose qaaggià , a
perchè il disintf resse e la povertà aono
nei aacerdiiti principio d* ogni rirla ;
d* ogni male e d' ugni scandalo il poa-
saaao delle riccliene e del puiere.
50. della veduta f ratea-, dell' al-
bero spogliato d' ogni Gore e frutto. Il
ariatianesimo e la sede pontificale rin-
aMvaroou la faccia di Koma, gii corrot-
ta, e portariin V ultima perfetioae alla
civile monaichia.
51 . £ quel di lei. e qnel carro the
di
legno legato al legno della pianta , è
nn docomenta che il papa calla ana caU
tadra, Bf*iirata nel carro, è raoenaMnda-
to, «|«al cittadino tampitrala a memhro
della societh , alia tigtiansa e enra dd-
r imperatore. Vrtli Canto II dairinf.
58-34. la gran luca: la Inea del
ade viene dal delo in terra miachialaaan
la laeo del segno dell'ariete, il qaala
riaplende dtetm alla eeietU laaea, ciaè
dietro al segno de' pesci. E quaala è ca-
rne se ii Fuela dicesse: qnanda il aola è
io ariete : quando e primavera. Nola che
prende per i pesci la lasca : parche vad»>
ta neir acqua contro il sole pare, coaae
dice il L.<>mb4tdi,di lacidimimo argenta.
55. Turgide fanti, doè, rigonftaio
le loro nemiiie.
56-57 . Di tuo color, di quella m-
tnrale «Ile proprie frandì a Sari. —
aoll'ollm tiella, aotto an diro da*»-
gni dell» xodiaeo.
btf . Colore apresia, aMUcnda fearì
an colore ec.
GO. ai toU, ai diapogliatc di foglie
a di fiori . ^rwmorm , rami.
lo non lo intesi, uè quaggiù si canta
L'inno che quella gente allor cantaro.
Né la nota soflèrsi luUaquanta.
S' io potessi ritrsr come assonnara
Gli occhi spieiati, udendo di Siringa,
Gli occhi a cui più vegghitir costò si caro:
Come pititor che eoa esemplo pinga,
Disegnerei com' io m'addormentai;
Ma qual vuol sia che l' assonnar ben finga.
Però trascorro a quando mi svegliai,
£ dico eh' aa splendor mi squarciò il vela
Del sonno, ed un chiamar: Sm^i, che Tal?
Quale a veder de' Coretti del melo,
Che del suo pomo gii angeli fa ghiotti,
E perpetue nozze fa nel cielo,
Pietro e Giovanni e Iacopo condotti,
E vìnti rilornaro alla parola,
Dalla qual furon maggior sonni rotti,
E videro scemata loro acuoia,
Si la naia (ofirii. si rasi qnlla cbt *tt«idi r|Uiii^ mi
TS-8
I iim iiiHD ililiUo, ialcw d«i pi 4t-
pcr Osi Crictg. Ci»
i jIoTHfTwil wjtfj pa-
lata , ìM iato Ùa tttcra «Ma. Cw il
L'TT"
ni.t
f Wgli rw
/iartUiMineio(iHi
liatfiBiiruHHit).Ch< M napoawfli
éngcti /!> thiotli, At delli «m w
Kui più ■ixrUiatiiM i^bit* IllBli
gli aagcli e gli HMii irta* uBa&i ■
triiili, • Japo OHr «dilli * Um fH-
cmi ■ (laiKliiUi dal •litiao talgmt |i
ornielli diwcBoU), Hlomora, ■iriit'
biro illc ixiole, wrjiile, d ■alìltlt-
•ur*. ildUi Inni dd Hc^num |»Ni
i mUìI «i'eIìi, cU
qwindQ della TnlimcD
* du« di ut* UBirÌK
I. {«<
CANTO TRI
4T7
Cosi di Moisè come d* Elia,
E al maestro suo cangiata stola;
Tal torna' io, e vidi quella Pia
Sovra me starsi, cbe condncitrìce
Fa de* miei passi lungo il flnme pria;
E tutto in dubbio dissi: (Ve Beatrice?
Ed ella: Vedi lei sotto la fronda
Nuova sedersi in su la sua radice.
Vedi la compagnia che la circonda;
Gli altri dopo il grifon sen vanno suso,
Con più dolce canzone e piò profonda.
E se fìi più lo suo parlar difliiso
Non so, perocché già negli occhi m*era
Quella eh* ad altro intender m' avea chiuso.
Sola sedeasi in su la terra vera,
Come guardia lasciata li del plaustro,
Che legar vidi alla biforme fiera.
In cerchio le facevan di sé claustro
Le sette ninfe, con que*lumi in mano
Che son sicuri d'Aquilone e d'Austro.
Qui sarai tu poco tempo silvano,
E sarai meco senza fine cive
Di quella Roma onde Cristo é Romano;
Però, in prò del mondo che mal vive.
Al carro tieni or gli occhi, e, quel che vedi,
Ritornato di là, h che tu scrive.
Così Beatrice ; ed io che tutto a* piedi
82. quella Pia. Matelda.
88. la compagnia. Int. òtìia Mite
89. ttn vanno tuio, al delo onda
son Hiacfti.
93. Quella eh' ad altroiniender §c.
BMtrìce, che m'impediva di dare ad
altri obbietti rintendiroento, l'tUca-
fiooe, eh« tutto era Tolto io lai.
94. ferra vera, terra pan, ima
contaminata dal peccalo ; e in altro aeo-
noivera e propria capitale dell'impero
e della Chiesa, ehe è terra di variti.
95. Come guardia ee., qaaai la-
«ritta 1) gaardìana del mistico carro Lt
Teologia è enstode della pontifiria aad«.
PUuutrum chiamavati dai Bumaal il
cocchio ove andavano le matrona.
96. Che legar vidi, ch'io tidi dal
grifone esser l4>(;alo all'albero.
80
85
90
9S
400
i06
97. elamttro, qui ata per eoroM,
eootomo.
98-99 con que^lumi m., eo'aiÉte
eaodelabrì che mai non ai apengono.
400-^02 Qui tarai tu poco f wijn
fiiiMMio : sarai par poro tempo tbitataM
di qaeata aelva, di Italia, di ori éVh
figura y poiché sarai raeeo par aampra
cittadino Di quolla Roma etaran,
del celeste imparo , di cai Criato . a^
eondo T amanite, è il primo citlaoino.
a, come IHo, sommo imperatora«
nel I Canto dell' Inferno : Ck§
Fimperaéor che latte regiM...
vuoiehe in tua eitté per ma ti
4Vll$. in prò del monda eo.: a è^
cnmento ed ntilitè di chi mal thv, in
qnabiasi rondizinna.
40<M07. che tuUo a' piedi ee. Co-
•Ir. e iat.: cha tntto amile a' anni piadi
De' suoi comandamenli era devolo.
La melile e gli occhi, oV olia volle, diedi.
Non scese mai eoa si veloce molo
Pqqco di spessa oabe, qnando piove
Da qnel contine che più è remoto,
Com'io vidi calar l'uccel di Giovo
Per l'arbor giù, rompendo della scoria,
Non cbe de" fiori e dello Foglie nuove;
E ferio 'I carro di lutla sua Iona,
Ond'ei piegò, come nave in fortuna.
Vinta dall' onde, or da poggia or da orza.
Poscia vidi avvoDlarsi nella cima
Del [rionral veicolo una volpe,
Cbe d' ogni panlo buon parea dìgiont. '
Ha riprendunilo lei di laido colpe.
La Donna mia la volse in Unta tuta,
Quanto sollérson l'ossa senza polpe.
Poscia, per indi ond'era pria venuta,
L' aquila vidi scender giù oell' arca
Dal carro, a lasciar lei di sé pennuta.
E, qnal esce di cuor che sì rammarra,
~ e USCI del cielo, e colai disse :
HO-I
0 navicella n
. {.-m
«■*ls, o »• i» Buml* amila prow nIli
Af. del ko».
i 17-1 1«. I'mhI d<«aM.I'*i|a1U.
S'È;
frsilti col.' »«*>■!
ril.ll. * f,à Anaim
d>l!m jr...l> itgV rn>
In La OnniM
fOMTl pi ti^
£ Vàlt bitalt
»^ l" T.bI*^,
CANTO TKEIfTESlHOOECOIVDO.
41»
Poi pirve a ne cbe ia terra a* aprisse
Tr' ambo le rote, e vidi uscirne an drago ,
Cbe per lo carro su la coda fisse:
E, come vespa che ritraggo P ago,
A sé traendo la coda maligna,
Trasse del fondo, e giasen vago vago.
Qoel cbe rimase, come di gramigna
Vivace terra, della pinma, olferta
Forse oon intenzion casta e
Si ricoperse, e ftinne ricoperta
E r nna e V altra rota e il temo in tanto,
Che più tiene on so<spir la bocca aperta.
Trasformato cosi il dificio santo
Hise fìior teste per le parti sue,
Tre sovra il temo, ed «na in ciaacim eanto.
Le prime eran cornute come bue;
Ma le quattro on sol corno avean per fronte:
Simile mostro visto mai non fae.
Sicura, quasi rocca in alto monte,
Seder sovr'esf^o ona puttana sciolta *
parvU S S. Pieln»). QiMnIo ■•! li di CotUntioo e d'illrì illi Chi
ttaaiM ^«cste ricch«t>«, questi nfftìi
poMMti; rome ti deprimono • fondo I
431 . Tr^ttmbo le rote: tra l' ani e
Filtri roti. — « tidi uscirne un drago.
Io iatenderei p«r ^nnU» éretgo SiUm,
cIm fur iovidii spirando nel papi la p«t>
riiBB dilli temporale nnutleni, iltin
• pcmrte il foodamenlu delPedifiiio di
Cristo.
433. fogo, il pan;yif;lioni.
135. Tratte del fondo, tirò scio
vai pirte del fonilo <lfl carro II fondo
rapito dai drago è lo spiriti) d*iiiiitllé e
dì |KH>«r(é. posto da Gt««u Ciisto a foo>
dimenio e principio Holla sua Chicu.—
^eigo vago, tortuoso, e nei huiii ivvotgi*
■eoli mostrando Ifliiia del rtdpo fitto.
436.437 (^/e*irtin«se <^wlrll•
raitè d«l nrro dfipii toltiHif il fmMlii: li
cittedn di S. Pielm.part tane l'mnillè
per il pestifero soflo di Sauna..— cmim
di ^««slfMi «., come feitile tirrf o
IraMndati» si copre di |;rimigni, si i»>
pirli ec. I preti cmninetMron d'allori •
carir pia li terra che il cielo, pr« il
corpo che l'inimi, onderhe il vifni lei
Sigoere deserti s'empì «li mal' erbe.
4 3S . Forte et» inéeniùmoe.: i dosi
130
135
140
I4&
wiM, mirivam» il mif gion ipl— dora
dil mito e il sovreaiiiicalo 4r poviti.
440-M4 in tanto ee. Intendi rio
BÌnor tempo rhe l'uomo non s«»spira.
442. TratfnrwuUo , mutilo coti
dilli sua primitiva formi; di povera
ed amile vcnnio rirco e saperbo — U
di/teio. Il iiiacrhìna, il cirro.
143-446. Mue fuor tette ce. È di^
Scile imlu^inai-i* t|ui il conretto del ?!•-
Il Mi e probabile che per queste ImIi^
«pilli a due corni, quali ad un solo cor-
so, abbia vidulo signiScire i diversi vifj
lopravvcnuti nella Cuna Rumini per
Il indebita icresaiune delli riecbeiM •
del temporale dominio Le teiste e dai
eorai potrebbero figurare quelli cbi
ofteodono i piqitdi , e quelle e ■■ ni
w i rigj pnvaii. E p«ilrcbbe meh'w
ebe i%esar vuluto sigmfieira 11 ^
irti aliene dal suo institato di dM
potiMB.
lUtic»'
premnniio essi Cai il
1 imti wimento delli sua miovi
447. riilo. Gw virj^icntliti Ci»»
dici. La eom. in vtfll«.
449 uma puttana. Il Pkpi io g«.
aerali , come principe temporale im»
listo j itorìeiBMOIi è dnigMlo print
uEL rtmcATOftio
M' apparve con le ciglia intorno pronle.
E, come perchè non gli fosse tolU,
Vidi dì costa a lei drilto un gigante,
E baciavansi insieme alcuna volta:
Ma perchè l' occhio cupido e vagante
A me rivolse, qael feroce drudo
La Flagellò dal capo insin le piaole.
Poi, di sospetto pieno e d' ira crudo,
Discìolse il mostro, e Irassel per la selva
Tanto, che sol di lei mi fece scodo
I
Alla puttana ed alla
.iiaTltl,i>poiClRDeDta~
Kf.llCISll Frinril, e
'"■<" "'"'■'FP' il B<llo.
■I ritegno di pudore^
» belva.
comi pirekt lun qU firn
Ufi fmndo fuirdii perchè ■]'
Hi»
niaj il GliilxllioI , ntinlc
li Fnixii.
I, In /IngalM n.. «»|><
BonUiiis Vili Jopa ebt >'<aim>ar>»
Mi. Diielolu ti mailTo. k»^
il ctrro dall'ilbe» or' eri fUM !({•■>
ilil gri/oM È nià ou protali doltj
- ibùr>i«i dell* Sedt Apndolio it
o> ad Aiiipiom, rha •TTinn* <w
I anni d"pa 11 iiiNBagiiuu nn«t.
ftr la niv», attnima li hIii.
>rinind"t( [uDri i' llalia.
ISO-ieO aoldfMK-'ioloJiiM
CAIVTO TRGKTEStnOTEKBV.
Deus, l'enerunt gentes, allernando.
Or tre or quBllro, dolce sulmodia
Le donne incomtnci.iro, lagrimando;
E Bealrice sospirosa e pia
Quelle QKco.ldva ei falla, che j«ro
t-i. nnu.rmm«t3tittn....pat- J>diH>ii>Ja»>nfiuiiira, d
Iwntnl tuHplum lantlam Iwani «e. £ Mtt «f mnriia aUamaiu
>iSalnii>LXXVlll.>.rh.nal>ilnl]a>id ■llfnial..aiii.»(>| or I» or' m««
rrtrtót It miiH • li aliUniinaiii'Di eh* (un Ir in Viri* iwlonali, «n [■ ^h*-
ÌIm««M «icr* nel Tenijiio, t iiii«« Irò «pdinilil - Ani. vnMTWil HaMr.
il br«M» di Din ronim gli operaluri di 4. E Bftrii» tt, ftrranda il hb>
Bull tb* dunvaos •rnir* driulia • dell* Srda A|<iaUil<H.
ull* mIwom par »aHi>ir dalla iraala- S ai falla tr., ai pallida in bada
aiaaadaflaSulaSadaiarraMia.CMtr.: par l'aai *
' Ji
""'ara, tafrfN^^^^I
aKanao/to (mÌ^
CANTO TBENTESIIIOTEBZO. Ì8I
Più alla croce si cambiò Maria.
Ma poiché 1* altre vergini dier loco
A lei di dir, levala dritta in pie,
Rispose, colorata come fooco:
Modicwn, et non vidMHs me, io
Et iterum, sorelle mie dilette,
Modieum, et vos videbitìs me.
Poi le si mise innanzi tutte e sette,
E dopo sé, solo accennando, mosse
Me e la Donna, e il Savio che ristette. 15
Così sen giva, e non credo che fosse
Lo decimo suo passo io terra posto,
Quando con gli occhi gli occhi mi percosse;
E con tranquillo aspetto: Yien più tosto,
Mi disse, tanto che s* io parlo teco, 20
Ad ascoltarmi tu sie ben disposto.
Si com' i* ftii, com* io doveva, seco.
Dissemi: Frale, perché non V attenti
A dimandare omai venendo meco?
Come a color, che troppo reverenti, s6
Dinanzi a suoi maggior parlando sono,
Che non traggon la voce viva a' denti,
Avvenne a me, che senza intero suono
Incominciai: Madonna, mia bisogna
Voi conoscete, e ciò eh* ad essa é buono. 30
£d ella a me: Da tema e da vergogna
Voglio che tu omai ti dis^'ilnppe.
Si che non parli piò com* uom che sogna.
Sappi che il vaso, che il serpente ruppe.
9. colorato come fuoco, dÌTini-
paate à\ zelo.
i 0. Modieum, et non ridtbiUi «M.
• Anc(n>a un poco, e nun mi vedrete, e
iioramente un poco, e voi mi veilrate. •
Parole di Grati G'iato, colle qaali pre-
ilieae a' aooi diacept'li cbe fra pi>eo pli
avrebbe laaciati e aarebbe aalilo al ac-
lo. Qui ai adattano alla paitrnia de'aa-
cri diittori da Roma, dulia Sanu Sede,
• al aollerito Iure rìtiiroo iu «|uetla.
43-^5.Coatr.: Poi miae inoanii a aè
le etile Virlià; e aolo Tacendo ceoiio. die*
ir» eè mone Me e la Uonna{UetAÌtk\^é
il Smelo eherUtetle (Siaaio),cbe. parti-
to \irgilio, rimale in ouktra compagnia.
4$. Qumndo eom gli oeeki oc.:
quando percosse i mici occbi eoi fai-
gore dei tuoi : quando guardommi.
19-20. l'impiii lofio ce. .'accelera
il ptsio per venire meco a paro. —
tallio che, arCnchè, eo.
23. non l'attenti, non Ci arriacU.
24 . À dimandare, a far delle inter*
rogazioni. La Nidob. èà altri Maa. À d^^
wumndarmi.
27 . non Iraggon to «oca «fra, oca
la Iragjjouo intera, proonoiiate disUa-
temenle, ma balbettano.
50. è buono, è coBvemmte.
53. com' noi! ek§ eognm, il qult
parla con parole troocbe.
54. il rofo ec.: Parca del ctrro
afoodata dal icrribil drago.
31
i
■ m
nr.L FURCATnttiu
Dì non celar qusl hai vÌHta U pisnla,
Ch'é or due volle dicubata quivi.
Qualunque raba quella o queUa srhianUl^
Con bestemmia di fallo offende Dìo, .
Che solo all' ow suo la creò santa. ■
Per morder quella, in pena ed in disio
Cinqnemir anni e più, l' anima prima
Bramò rotui che il morso jii sé puniA.
Dorme lo ÌDgegiio tuo, se non islima . ,
Per sìn^alar cagione e.
Lei tanto, e si travolta nella cima.
E, se stali non foWTO acqua d' Elu
LI pensler vani inlorno alla tua mente.
CANTO TRENTESIMOTEEZO.
Per tante circostanze solamente
La giostizia di Dio nello interdétto
Conosceresti all' aU)er moralmente.
Ma, perch* io veggio te nello intelletto
Fatto di pietra ed in petrato tinto,
Si che t' abbaglia il lame del mio detto,
Voglio anche, e se non scritto, alroen dipinto,
Che *i te ne porti dentro a te per quello
Che si reca il bordon di palma cinto.
Ed io: Si come cera da suggello,
Che la figura impressa non trasmuta.
Segnato è or da voi lo mio cervella
Ma perché tanto sovra mia veduta
Vostra parola disiata vola,
Che più la perde quanto più s' aiuta?
Perché conoschi, disse, quella scuola
C* hai seguitata, e veggi sua dottrina
Come può seguitar la mia parola;
485
70
76
SO
85
70-72. Per tante eireoMtanxt te.
G»tr. • int.: solamonle per tali e ti gra-
vi «raoilaose (ruol dire dell' «sMr l'al-
bero tliitiiilio e travolto in cima), n»
goardando ad esso albero tnoralmeota.
•ppatlandoua il senso morale, avresti
potato conoscere la gìuslixia di Dio, gli
alti esoi fini nel divieto intimatooo al-
Pvomo. Tatti i dbordiiii della Cliieaa e
4dJ'Italia SODO nati, secondo il Poeta,
«la BOD essere stata rispettata dal papa
Paatoritè imperiale.
74. Patto di pietra, pietrificato.
— ili te ptirato tinto, e tinto in coler
pattato, cioè, livido, scoro, qoal è il
color d'essa pietra. — Fatto di pioira
rigearda l'iiiaarìniento, e rispondo agli
auelti dell'acca d'Elsa sopra indica*
ta. -» in potralo tinto rigaarda ia a^
aerala l' a/ltras t'onc della prima cbia-
raBia,e ricbiama la gelsa fatta di biaaep
rotai, alterata dal pi imo candore per
il sangae di Pìramo. Dd resto, Piade-
rameeto e P offescamentu ddP ielalletto
aoBo affetti in noi della maieria e dalla
colpa. Molti testi leggono erfiii|Mccele
Nule. Ma io son d'opinione cIm Dante
▼oleedo dimostrare la coodiiioee dal*
Vìatellctto si debba esser servito d'idea
reett e aanailMli, bob di altre aitralla;
e aveade cominciato colla daretta della
pietra. Bea debba avar fiBite col eohr
del pBceaio. Ottimi testi portano la le-
none die io adotto, e PAoonimo, tra gli
altri, cementa così : • Io veggio dò che
io bo detto di sopra a te, che t' ba impe>
trato ; e la pietra è tinta di braan. A
che non to' atto a ricevere la loca lol-
gida del mio mistico parlare : • doè, tB
se^Boo solo impietrato ndPintdletle,
ma anebe tinto del color della pietra.
77-78. Che H Une porti ee., cbe ti
porti dentro a te, eiroeno adombrato,
esso mio detto. — ver quello ae^t a
qnd fine, cioè, per dar segno di ^dlo
cbe fasi veduto, come fanno ipdlegrìoi
ritornati dalla viiiita de' sacri laogbi
della Palestina, che portano il bordeaa
ornato di foglie di palma ìb segno di
esaere stati in quella rcgiooe abbia-
dante di tali alberi.
82. iovra miavedula, sopra Via»
taBdimento mio.
84. quamto pt4 s' oMm, fBaalB
pie si adopera per intenderae i nàte
eaocetti.
8&-86. Perchè conoiehi, àUtB,
fvtlla teuoU C'hed seynOate: aHa*
cbè ta conosca qv>nt' è debde li lat
iCBola, doè, qeella SloaoAa a evi è aalt
g«ida P amane ragione.
87. Coaie pmò taguUmT, fuaH»
Taglia a aegaitare e teacr dictre ifH
dti Biid concetti.
E vep^i ^oslravÌB dalla divina
Disiar coUinlo, qvacilo si discordn
Da (erra il ciel che più alto festinB.
Ood' io risposi loi: Non mi rìrorda
eli' io Klraniassi ine giaRimai da \o'.
Né lionne ro'4cÌenzia die rimorda.
E, se lu rirordar non te ne puoi,
Sorridendo rJa|iD%, or ti ramEW^nlB
Si come di Lelé beesll ancoì ;
E, se dal fumo fooca s'argomenta,
CutegUi oblìvion chiaro (-onrhiode
Colpa nella tua coglia allroie atienta.
Terameiite oramai saranno nude
Le mie parole, quanto convermvi
Quelle scovrire alla loa visla rode
E più corrugco, e con più lunli .passi.
Teneva il Sole Ìl cerchio di merigge,
Che qua e là, corno gli aspelli, tam,
Quando s' afD-sser, li come s' alfi^^e
tB. sottra via. In nicna amiiw.
J03 (I
MiJintnIaK.lul.:
■ B(M*« •■•»
intH più «pltnilBOM i|(HB4a ■*!
ubiiigui E iw pi6 W«B k«lti
>..Flcr*. — Csn pm ImU ptmi:
I,. il t.ìl« i Bt\ ccrihio iB«U»
1)1 mi rltoTda, non mi loru
ì
«aVncil«,y«nfa,M (mim Uni* r
«.mi. Rii ..tifali II B.b Uggt Om
fin I là 4iimt fa tprrm ttai, tM,
chi niilB H<n»lB il girtr* il«llii ifan
wlBlr, n ilrl aslr, IlIurB" Il tHra.
loA-IM Quaml.ii-amuTtt.ti'
cni' l'Alp* pvrb ■Htr* i Him IctiUt ni
MiMiDtai
ari adi' Eh
■ uà U tip- d«>* finiH isHikn liilla fvmta-aba
J
CANTO TRENT£SmOT£EZO.
Chi va dinanzi a schiera per iscorta,
Se truova novitatc in sue vestlgge,
Le sette donne aJ fin d* uo' ombra smorta,
Qual sotto foglie verdi e rami nigrì
So\ra suoi freddi rivi TAlpe porta.
Dinanzi ad esse Eolrates e Tigri
Veder mi pan'e uscir d' una fontana,
E quasi amici dipartirsi pigri.
0 luce, 0 gloria della gente umana,
■Che acqua è questa che qui si dispiega
Da un principio, e -se da sé lontana?
Per colai prego delio mi fu: Prega
Matelda che il li dira. Equi rispose.
Come fa chi da colpa si dislega,
La bella Donna: Questo, ed altre cose
Dette li son per me: b son sicura
Che r acqua di Lete non gliel nascose.
£ Beatrice: Forse maggior cura.
Che spesse volte la memoria priva.
Putto ha la mente sua negli occhi oscura.
Bla vedi Eunoè che là deriva:
Alenalo ad esso, e, come to se* usa,
M
no
l'5
120
li'é
9mUgg€, De'tooi patsi, su U •tnda
«Im Imim.
412 EufrateM e Tigri Sono due
de* ^natilo Cunn che la Bibbia poor ch«
IDO ut\ para(iift«i Irrif^lre da un m^
fuote, ai quHii il r«H>la qui Mh
ngcNU i fiumi Lt'lc ed Kiiiioè già da lui
dcacritti ne' Canti aiitfccdeuti.
i 14. pigri, lenii.
44%. O lurt, o gloria et. Nel aeiiM
morale: o Teolof;ia , fin|iu*nza c«>lei»le •
glorìa dalle geniì iiniHiie ! E u<>l LI delf
Ìmf.:0 donna di rir'ii, *vla per cui te,
4 16- 117 ■ <i diipirga, ninnve , aea-
terìtea. — Do un principio, da una
fBcdaaima fonte. — e fi <'a »é lonUMM,
àWtàfmóan m due rivi , alloBlaDa Doa
ptfle di té dall'altra.
449. E qui ri$pote: e a qneiia
din tiapoae inrontunculo la birUa do»-
oa. QvaalB Mdklda è pt^u, eome l'è
detto, per figvra della vita attiva. Cha
nel ienso letterale sia la conlttsa Matilda
di Toscana , non par nrobubilc, perchè
Dante cantore dell' Impero e sosteni-
tore da' diritti imperiali, dirficilmente
avrebbe mcaaa in ù balla luce una
donna , che ognun sa quauto fu ti*aera
del Papa a danno dall' ioiparalora, e
eome poi las«iò toit' i tnot Stati jJla
Chiesa. Ma se questa nuo è,. mal n può
indovinare ebi sia; e credo biaogàarà
ritenerla come pura idea.
120. Come fa chi da eoipase.: co-
me fa «Ili si liiffnde da colpa apposta§li.
121 La bella Donna, Matelda.
122 Delle li ion per me: gli aono
state «la me •lette. \ cdi il Canto XIWH.
125. Ckel acquo te.: che Ftcque
di Li-te non gli lolsaro momoria di
quello che io gli dissi.
Ì2I-12G. maggior rwro. tForsa
naggior cura (quella di veder BeaUier),
It quale allesso toglie la mamoria ri-
spetto alle altre cose che moao iatatti.
taao, ha otfuscato il lume dolb aoa
manie iotorao .a ciò che gli dicmti.
.427. £Mnoé. Altro £ama dal Fon,
diso terrestre. L'Ennoi rende la memo,
ria del bene.
42S. eome tu ee'usa, nceome sei usa
di fare alle anime che quassù vengono.
E veggi vomirà via dalla divina
Distar cotanto, quanto si disrordn
Da [erra il ciel che più alio festina.
Ond' io riBpiMi lei: Non mi ricorda
Cij'io straniassi me giammai da ivi,
Kè honne cosTÌenzii] che rimorda.
E, se tu ricordar non te ne puoi,
Sorridendo ris|io~e, or li rammenta
Si come di Lete beesli ancoi ;
E, se diil Turno Tiioco s'argomenta,
CotesUi oblivìon chiaro concljiade
Colpa nella tot voglia attro\e attenta.
Veramente oramai saranno nude
Le mie parole, quanto converrn»!
Quelle MMvrire alla iva vi»ia rode
E più corrusco, e con più lenti passi.
Teneva il Sole il cerchio di merigge,
Ct« qua e là, come gli aspetti, tatai,
Quando s' aiB.>Mer, si come s' affigge
PARADISO.
iSS
DEL PURGAI
ESI MOT ERIO.
La tramortita sua virtù raviiva.
Come ttiiima gentil cbe non fa scusa,
Ha (a f\ia voglia della voglia nltrui.
Tosto com' ^ per segno liior dischiusa;
Cosi, poi che da essa preso Fui,
La bella Donna mossesi, ed a Stazio
Donneseamenle disse: Vien eon Ini.
S'io avessi, lellor, più Inngo spailo
Da scrivere, io pnr cantere' in ))arto
Lo dolce hcr che mai non m' uvrìa sazW,
Ha perchè piene' son lotte le carte
Ordite a questa Cnntica seconda,
Non mi lascia fiiìi ir lo fren dell' arte.
Io ritornai dalls santissim'onda
Biratlo si, coinè piante novelle
Itinnovellale di novella fronda,
Puro e digi)osto a salire alle gtelle.
iìS. Lo Iramortila te.: cint, Ini in qnnla dna prima Cinlii
I
n ìt bu'ii
virtù «».) «
kbilo clic per «LciiD hti^o o di voci
i59 da tua priin fui. tui di Mi-
per r umiill r<ti<«° Bw»» • «letali
tdd. p»w p« n,.«».
1». l'tm cnn lui. Srmh, tU con
d<l]t divini gruii, che richie») ià
^atHt pirok MiL'litn T.-fllii «i..i<ire
l'inlcrno prcpinla •! pKcaUn ^
SI»i..pBnliC8riÌBq«H'«.|«.,p«
Hlu, c pn and. lem.™ I« d..r««>
r>m <leni<> di uìna il d«lD , tvcndo
griJ» ) graJn ii rimedi dell* cràda*
coli |ik apì-l» 1' •>'• "'Ipe nel l'urrp-
luti e cMli .■■«nenie «parili , rilonu •
KaViaalii di groili di.DDt.
quella pur'ilii c ehieirai d'injna, cW
iS7. lo pur eanlm' in pariti f tv
la rcnJ.- (.li.* IO >t tlMM , ■ U (• df
qaut, (n» p«.ibil. ^ Inu^uau . U-
sur di Dio.
115 aIhtl«U<.ilP>r*d<».QiM-
""m. V'ioltf ttr, la dolo™* d.|.
Ir" |[i»iiii 111 iiupicgilo il P.wti in Pai^
1'ia|M d<l Dd>n« Ecioe, d«II, ^udli
Baliirin. VeJaI cncninciBra il priugtl
m!>IItittÌMi>I.IJ>.
Cii" 1!, .. 1 , C« era •! tnl. aU-wft-
141. b /y-m dall-arfr. !■ <^H*
icfflle iÌu.ntB : il ircmido .1 Cote «,
a<ilP>r(e , chi •nule che « oucrvi un*
V. 13. A>«-«-a tki romintim i iriiH
lai La roBdinrHH.- il Uno il Cm-
Hllo 1» jxr».
tc Xl\, y- < , Atirnni t»* •»««* il
calor diHmp M..- il an.,10 „||. Igi
143. «mw pianti natiti» tt. Là
ee» Mara ■i>cbt pn- qn»l« uUlii« pt-
d^ltiuiD XKUl... 453, r««UiJ
Soictaiii/V«ito«r«i*cfc
FINE PEL punoATonio. ^^H
DEL PARADISO
• •
CAST» «RIMO.
JVrl primo e^nl» dopo tm itnrcem%iùim d^AptUto
fttno U p'imo €Ì*lo, «
éml-PmrmdUo Itmstrt i*mlu>
mi mUmmi éuktémml dm tuL
— , , j _ .- _ - -_ - ^ — , — _ _. ,^__v.
tratporUto dalla fona tteua die rota i Cieli, e dalla Ina iprapre cresreote
^egli ocelli di Btairìce che l' arroaipagin , «':a)xa dall' aao all'altro P Alighieri,
e io ciascuno dì essi gli apparineoao qna' beati spirili che furooo impressi , tì-
vendo, della viilù propria di qaal piaDeU.
Mararifflioso più che altrove è io qaetta parte il genio inrentiTO del nostro
Poeta, e qai singolarnieule grandeggiano le poetiche immagini e lo stile.
La gloria di Colui, che lutto move,
Per r universo penetra, e risplende
In una parte più, e meno altrove.
Nel ciel che più della sua Iure prende
Fu' io, e vidi cose che ridire 6
Né sa, né può qoal di lassù discende;
Perche, appressando sé al suo disire.
Nostro tntel letto fu profonda tanto,
Che retro la memoria non può ire.
* li Paradiso e iifi p- ii!tii*n>'(ii iHinle
il contentameiit'i doil'iiiioUt ilo io Dio,
a eoi SODA scala le sritruxe e guida le
Teologia, ae le %irlù attive e cunlcm-
plative aobian circoiiduU l'aniOM por»
gala dalla coinuione della materia, e
rinnovale per il sauio lavacro del-
l' Eanoè.
4 «5 La ghtria te. La glcria del*
l'Eterno ftluti>rc,rii>è la div.iia luce, ri-
tpleade de per lotto, e peoeiro tutto
nell'universo; m^i non da per tutto «è
in ogoisva «pera ngealmeiite.fìeleielo
empireo, eke più d' o{pii altro eiele è
illfattrato della luce di Di», è il :tri«'efn
maggiora delle sea magoiiir*'ns«^ ed iti
le anime sono pieiiameote felià.
6. qual chi, o qualunque.
7. iu tuo disire , al fine di latta i
fooi decider], al sommo bcnc,cbcè IKo.
8-d. fi profonda Ionio éc.: eatra
tddantro si nroftmdaroeote, che- le m^
Borie non w virtù di tauergli dietro,
■e si perde in quella profondità. Le
ragione di ciò è espresae Cf>t'i nelle let^
fera a Con Grande r • É da seperù oIm
V inWlIctio ameno in aoeala vite a ce-
none delle sue s«<migliaiiia e afCoitk
tW tiene colle soataoxa intellettaale
sepereta, allorquando s'eleva, e'elet'a
tanto, che la memoria appreaso la soa
loroata vieo omoo per avor traaeeao
V amano modo. • Aorhe S. Paolo qoelle
cose cbe vide io ano sleiìcio miracoloao
CANTO PBUIOU
Si rade volte, Padre, se ne coglie»
Per trionfare o Cesare o poeta
(Colpa e vergogna deli* umane voglie).
Che partorir letizia in sn la lieta
Delfica Deità dovria la fronda
Peneia, quando alcun di sé asseta.
Poca favilla gran fiamma seconda:
Forse diretro a me con miglior voci
Si pregherà perché Cirra risponda.
Surge a* mortali per diverse foci
La lucerna del mondo ; ma da quellai
Che quattro cerchi giugne con tre croci,
Con miglior corso e con migliore stella
Esce congiunta, e la mondana cera
Più a suo modo tempera e sug«iella.
Fatto avea di là mane e di qua sera
Tal foce, è quasi tutto era là bianco
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29. Per trionfare o Cetmn «e.,
perchè triooG , prr irìonrar che fiiccii,
o imperatore o poeta.
50. Colpa e vergogna oe.: degli
oomìm die son tatti culi' anima in ter-
ra, né di gloria curano.
54 -33 . Che partorir lelixia §e . : che
la fronda />eiirta (l'alloro, in che fa
trnaforraata Dafne figlinola di Penco)
dk^vrìe cagionar Ictiiia in in la Uolm,
aOft lieta Deità dolfira, ad Apollo, qaao-
éa alcono di esso alloro s* inviiglia.
53-56. Forte di retro a wu oe,
Int.: forte dopo me. sulT esempio mio,
altri Terre che con più dolce canto inTO-
cberk Apollo, onde meriterà d' «aere
eModito. — Cirro, ritta poeta alle ra-
dici del Parnaso, sacra a quel Dio, e
presa per lo Dio stesso.
57. per dir erte foci, da diverte
aboceatare , da diverti punti dell' orif*
toole, secondo le diverse stagioni.
38-59. La lucerna del mondo, il
sole, che porta luce al mondo. A chi da
toesta liicerfio venisae il tristo odore
i-ll'olio e del lucignolo, si ricordi che
anche la belleua e l'onore delle porele
sooo soggetti al tempo e agli aai. — flic
da queUa oe.: me da «inella foee , da
qod punto dell' orizzonte nel qaele ai
congiongono insieme quattro cerrhj,
cioè, caso orizzonte, l» zodiaco, l'equa-
tore e il colare cQnÌAOsiale, i 9wli i»-
tertecendosi formano tre croci, Etce ee.
Gò avviene nel principio dell' ariete, e
in quello di libra ; ma qui si vaol parlare
più particolarmente del sole m erieto.
40. Con miglior corto ee. Dice ohe
il aole esce allora congiunto eo» miglior
cono, perchè gioito in ariete cooiiocia ■
portare, e per lango tempo, giorni aen-
ore più lieti e%elli. — con miglioro sM'
lo, perchè quelle costellazioni d'ariete e
di lubra, ma «pecialmente la pf ima. eraii
credute di più benigno inOuaso. Àodie
ael Conoito dice che le itelle inini-
acooo con miglior virtù quanto sooo piò
presso all' et|ualore.
44-42 e la tnondana cera: e la
materia m«>ndana, piit a fuo modo
tempora, dispone e riduce meglio a
aaa aomiglianza, e per la luce e pel co-
lore : e la tnggella, e meglio t' impri-
me la sua virtù, o la saa virtoflia ia-
floenza. Alieguricemente , nella prima-
fera e nell'ora del mattino le anÌMO
amane sono meglio dispocte a ricctore
il lume celeste e ad elevarsi a Dio. Ve-
di Inf., Cauto I, V. 43. Il P. Ginliaoi
ha eoo molta en&diziune ««d ecume ills-
itrato questo primo Canto del Pmmdii».
43. di là , rispetto al loogo io où
Dante aenve.
4 1-45. Tal foce oe. Int.: Toi foco,
V indicato punto del cielo (donde sballa
il sole oelreqaineiio) enea fatto •'^^^^
492 ^^^ PAIiADISO
Verampole quant* io del regoo santo
Nella m'.a meete potei far tesoro,
Sarà ora materia del mio canto.
0 baono Apollo, airaitimo lavoro
Fammi del tuo valor si fatto vaso,
Come dimandi a dar 1* amato alloro.
Insino a qui Y un giogo di Parnaso
Assai mi fa, ma or eoo ambedue
M'é-Qopo entrar nell* aringo rimase.
Entra nel petto mio, e spira tue
Si come quando Marsia traesti
Della vagina delle membra sue.
0 divina virtù, se mi ti presti
Tanto, che 1* ombra del beato regno
Segnala nel mio capo io manifesti,
Venir vedra*mi al tuo diletto legno,
E coronarmi allor di quelle foglie,
Cbè la materia e tu mi farai degno.
IO
15
90
tt
dell' •nimi, toraito allo stato naturile,
le vedea nolo in conato, né era capace
di percepirle, e molto meno d'espri-
merle.
40>H. Veramentt quant'io ee.
Costr.: veramente <|uanto tesoro io po-
tei fare ec. Veratnente bo qui il va-
lore di ciò nonoitante, contuUociò.^
Nella mia mente potei far tetoro,
nella mia memoria potei raccogliere,
•donare.
43. O bwìno Apollo ee, Qai il
Poeta invoca Apollo deità pagana, e il
Poggiali gliene dà biasimo ; ma egli do-
veva prima rìcordursi che Dante nel
Comtito dice , che il senso allegorico si
nasconde setto belle meniogne. anali
sono le favole greche. Apollo qui Mgoi-
ica . nel aenso allegorico , la virtà , la
facoltà poetica; e a meglio compren-
dere Fitlea significata in Apollo, è da
notare cbe egli era riguardato ancbe
come pad te della luce.
ii^iH. Fammi del tuo valor «e.
Infondimi tanto del Ino valore, quanto
at richiedi in chi stimi degno di essern
coronato dell* alloro a ta caro.— «sm-
io, per cagioae di D^fne.
46-18. Intino aquiee. Prende U
PotU Bfnratirocote i due gioghi di Pai^
nato per le divinità cba abitano in
quelli: neIPnno albergano le Mnit,
nell'altro Apollo. Intendi dunque : Int
a qui mi fu ««sai il févoro delle Maae,
ma ora mi è d' uopo aocba quelle di
Apollo, che n'ò il Dio; cbe è quante
dire: finqn) mi bastò l' aiuto dala
acìenze umane; ma ora mi è biaona
della sapienza divina e del pie alle
grado dclTartc.
20-21 . JVama Irarsli DeUm f«*
gina ee. : cioè , traesti fuori della §••
pelle, scorticasti il satiro Marsia che
osò sfidarti a chi meulio sonaaee. La
pelle è qui considerata come il iadira
delle membra. Neil' invoceaooe aHi
Muse , nel principio del Pnrfn iarii,
rìcordfa il castigo delle Piebe; in qnarta
ad Apollo accenna quello di Mania, a
terrore , io credo , degli emuli pcuBifr
tuosi e maligni.
23-24. l'owibra del òeato fwtm
ee.: cioè, quella debile imagine cbe dal
bealo r^no è rimasta nella nùa ae-
moria.
25. al tuo diUllo Ugno, alP^
loro.
27. Che la mmloria «e., piiéfci It
wiateria, il nuovo ed eltiaaisM sibilila
del mio caute; • In, e il tao f«MV|
inapirandomi conveniente poaM| Vi
farete degno di eti$ foglio.
CAKTO PBUIOU
Sì rade volte, Padre, se ne coglie.
Per trionfare o Cesare o poeta
(Colpa e vergogna dell* umane voglie).
Che partorir letizia in sn la lieta
DelGra Deità dovria la fronda
Peneia, quando alcun di sé asseta.
Poca favilla gran fiamma seconda :
Forse diretro a me con miglior voci
Si preglicrà perché Cirra risponda.
Surge a' mortali per diverse foci
La lucerna del mondo ; ma da quella,
Che quattro cerchi giogne con tre croci,
Con miglior corso e con migliore stella
Esce congmnta, e la mondana cera
Più a suo modo tempera e sugj^ella.
Fatto avea di là mane e di qua sera
Tal foce, e quasi tutto era là bianco
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29. Per trionfare o Cetmre §e.,
perchè trìooB , prr trìoniar che faceia,
o irop«raU>re o poeta.
50- Colpa e vergogna «e.: Jcgli
oonioi che son tatti coiraBÌma io ter-
ra ^ oè di gloria curano.
ZiSi.Cke partorir letixia te.rcha
la frondii peneia (l'alloro, io che fo
traefonoaU Dafne 6|;liuola di Peoeo)
dovrìa cagionar Ictiiia in $u Im UHm,
alla lieta Deità dolfira, ad Apollo, qoao-
éo alcoou di esso alloro a' inToglia.
5«^86. Forte di retro a me oc.
Ini.: forte dopo me, suir esempio mie,
altri Terre die con più dolce canto ioTO-
cberk Apollo, onde meriterà d' eaaara
esaudito. — Cirro, città poeta elle ra-
dici del Parnaso, sacra a quel Dio, a
presa per lo Dio stesso.
57. por direne foci, da divaria
ftboecatare , da diversi ponti dell' orif*
xoote, seeoodo le diverse stegiooi.
58-59. La lucerna del mondo, il
aoloi che porta loce ai mondo. A chi de
3aesta lneeriM venisae il tristo odore
i-11'olio a del lucignolo, si ricordi cha
anche la bellesia e l'onore delle parole
sono soggetti al tempo e egli osi. —-ami
da queUa oe.: ma da quella foca , da
qoel pooto dall' oriixoote oel qoalo ai
cuoginngone ioaieme quattro cerrlj,
cioè, caso orinonte. In iinIìsco, l'eqaa-
tt^re e il coloro eooioosiale, i ««ali ìa-
tersocandoai formano Ire croci, Esce ec.
Gò avviene nel principio dell' ariete, a
in quello di libra; ma qui si vaol parlare
pia particulameote del aolo io arieta.
40. Con miglior eorto ec. Dka che
il sole esce alloracongiuntoco» miglior
cono, perchè gioolo io ariete cooiioaia a
porterete par longo tempo, giorni aaaa-
ore più lieti errili . — con miglioro tUlf
Im, perchè quelle oostellaiiuoi d'arieta a
di libra, ma »peeialmente la pfima. arali
credute di più benigno in0uaso. Àoche
nel Comoito dice che le stella ioioi-
arooo con miglior virtù quanto aooo piò
presao all' equatore.
41-42 e la mondana eora: e la
materia m«>ndana, più a fuo Modo
lemjMra, dispone e riduce meglio a
sva somiglianza, e per la loce a pel ca-
lerò: e la tuggella, e meglio t' mprì-
mo la eoa virtù, o le sua TÌrtoflia ia-
flocou. Allegtirieamente , nella prima*
▼ara e nell'ora del mattino le anima
aroane sono meglio disp4<ote a ricevara
il lome celeste e ad elevarsi a Dio. Vo-
di In/.. Cauto I, y. 43. Il P. Gioliam
ha eoo molta eródiiiuna «d acome ìIIb-
strato queato pi imoCanlo del PmnMm.
43. di là , rispetto al laogo io où
Dante acrìve.
44-43. Tal foce §e. Int.: Tal foco,
F indicato pento del delo (donde s'alia
il sole oelreqaioociol enea fallo ^--"^
494
DEL PARADISO
Quello emÌRperio, e l'altra parte nera,
Quando Beatrice in sul sinistro fianco
Vidi rivolfa, e riguardar nel Sole:
Aquila si non gli s'affisse unquanco.
E si come secondo raggio suole
Usvir del primo e risalire insuso,
Pur come [«regrìn che tornar vuole;
Cosi dell* atto suo, per gli occhi inruso
Neil' immagine mia» il mio si fece,
E fissi gli occhi al Sole oltre a nostr'uso.
Molto è lirilDlA, che qui non loro
Alle nostre virtù, mercé del loco
Fatto per proprio dell'umana speco.
Io noi sofl^ersi mollo né si poco,
Ch'io noi vedessi isfaviltar d'intorno
Qual ferro che bollente esce del fuoco.
E di subilo parve giorno a giorno
Essere aggiunto, come Quei che puole
«^
50
5d
60
éilét cioè, tTea dato prìnripìo •! mat-
tino n«U' enii»rero del PurgaUnrio \0 di
fmm sera; e nriremmfrro iippu-Uo (ove
troviTtsi il Poeta trriirrntr) l'oppohlt
foM ■¥«« fttto «era. È oi>tii thm i|Uiindo
a nn lain dalla taira apanla il mattino,
al lato aiitipodo drve ^^rgfre la wen
Dier piietiramrat^ Tol fttct «vea [mito
mmn^t io vere dì dire io idìnIu più e<^
wnmtf : da tal fura rra spoiitaln il aat-
tiMo. Dica poi : § quatti tutto era Id
Mauro, perrhè l'eiiii«feru •'illanrina
e si ottenebra a gradi La ina|if;ior
parte dei tetti e «lanipe ha Tai foc§
flMffi ; e tutti» tr.; ma il Ciid Bartidin.,
uno dei Vaticani, e uno dt>IU r.asanat.
hanno la lei che diamo, arioita pare
da Benvenuto da Imola, ^ e ee'la-
Bcote più chiara e iiiigli«tre dall'altra.
46 ÌN $ut tinùtro fltinro. Riror-
ditmitct che il Pur|*Hli>no t*4M*ndu putto
da tlante anttpudn al iiii<nte Sion , e vr-
■eiido ad etkore al fli là del tiopiru del
eaprienroii, chi là a volto a tevanta
deva avere il «ole na<«eiiie • aini^tra.
49-53 Etieome er. Komie il rag-
fio di riflratitme ti genera da «|uello
d'iocidenia, d i|uale ra|*;:H» di nfletaiiioa
toma addiHro, rome il pellegrinu die ,
Santo al luco ttabilito, %uid lumare II
»Bda li paiU ; Coti dtlVatio fuo fé.
Cottr. a iot. . CofI fatto mio fi riTal-
germt al sole ti feee , fa groerato. di
qaello di Beatrice, il qnale per gn ac*
chi ro*entiò nella immaf;inatiTa.
56. Alle mnttre virlù, alla ooilrt
poterne, ai iinttrì trnsi.
57 Fatto por proprio drlt%
iprro: cioè, creata da Dio perdiè
stanza propria della genti aaiaM,'~e
quindi più conveniente alla natim loia.
Qui, «eeuiido harite, l'umana »inaririi
ne è quasi pianta fnordel «no cielo,eftr>
ciò più (iacea. — tptet invece di ''
levato r i, rome io miUerm,
58 h ntil soffrrti. \oSo il
aftfvillare il tnle di m:ig;tiiir lDra,jp4a*
che e^li Unfje di essere rapilo h cicla.
— mti toffersi m»f In, nuu touai
gli (ntIii iisv Ori <ule pnma di v
mutato Questo dice per iignificara b
velocità rulla quale egli taliva verta il
cielo dic-e n^ H poco, per Mgaifcan
che |>er quanta fosbe la vetorità dd
lalire, rrn iieretMrio alcun Icinpa afl»
che r(,Hi poteste awic.nanù al hÌì i^
iiiotii!»inii> da la terra.
61 -t^ S di Mòilo parrò oc. E
■ubitauienle parve <-be raddiippiaHO h
Iwv drl glorilo , come te QaegK chi
pna ^r onnipotente Iddio) avi
otto il ciclo di un allrv «ole.
CARTO PRIMO.
Avesse il ciel d' no altro Sole adorno.
Beatrice- tutta nell'eterne rote
Fissa con gli occhi' stava; ed io > in lei
Le luci fisse di lanu rimote,
Nel suo aspetto (al dentro mi fei,
Qual si fe Glauco nel gustar dell'orba,
Che il fé consorto in mar degli altri Dei.
Trasumanar significar per verba
Non si porla; però V esemplo basti
A cui esperienze grazia serba.
S* io era sol di me quel che creasti
Novellanien^r Amor che 11 ciel governi,
Tu 1 sai, che col tuo* lume mi levasti.
Quando la- rota, ch^ to: sempiterni
Desiderato, a s^ mi* fece atteso,
Con r armonia che temperi e discemi,
Parvemi tanto allor del cielo- acceeo
Dalla fiamma del Sol-, ehe pio<;rgia o fiume
495
66
70
TV
80
64 tuW eterne rete. Da' deli ro-
tADti ed eterni.
•5-46. erf io, <n lej ee. CoeCr.: ed So
Untoéo Sete io lei le luci niie.iN Imeaé
riwwit t tTendule rìmiiue dal mU, ni
ima . direDoi tele ioternenieDU , gatr*
4toido hi M, ^nsle ee.
67-66. ilM Mo mtpHto «e. lot.r
■ll'sepeCto di lei mi sentii fallo divino,
•■■0 Haooo al -gmOar MV erba Glau-
co, aecoodo le favole, fu pearatitro; U'
rtU f affando an giorno aleuni Beaci
lai paaali ani Kdo rarvivani ao mi
trailo 0 attivo in mare, guRtd dell'orèo
!■ lo foolo anno aiai giacinti, adi!
■a vio iianBO.
66. aowaurte, partaripe, dolio
daoioM natura.
76-73. T%'m$mmMtmr ee.: ntm m po-
trìo eoa porolo {per ooròo^ eapi intero
il il aiMonaiwi a , cioè, il paesane dallo
tUto ornano a condìiiono, a natnro, fik
alUk fiè aobilo. — werbm e oerM (aing .
ooroo, popolo^, dtaaero egvaliuenl* fH
antichi, enma tuttora proli e prmlm,
mnmUiemmeUmee. — prrAi'Memploee.:
parò boati por ora V ailduito ea«*mpio di-
Otaoeo ooolaifOl anale la graria- divina
«erbori un giorno il rononrore per aapo
^oailu Iruiumanmre,
TV75. ^ <o ero ac. 0 dÌTtao
Amore, o IKo, tu ehe col- (no lume mi
lavaNti al rielo, beo sai se io era solo
qnello, solamente quella parte di me,
la quale creasti PhtAtlamfnte ^ cioè,
im ùitìmo lu0§o. La parte dell' nomo
creata ultima è 1* anima razionala, cbo
do l>io è infnao nella materia prrdiapo-
sto. Vedi PMTf, Canto XW. bel reato
è imitato quel di S Paolo: aire in coT-
pare neicio, iive extra corpma mmeio,
ihuM eeit.
76. Quando la rota ee.: qoaodo
il roforo de' eieK, che In fai eaaero aon«
tino» e aempitei-no prr il desiderio cbo
io k»ro hm impresso di la. Dteo llooto
ool Conriio rbe Iddio risiedo oeH'iin-
miibile cielo empireo , a che antto di
qnello ata- il cielo chiamalo il primo
mobile, il quale , par lo /'orvaiiliaaima
apprtito clic ha riaarona sua parta di
anirsi a quella del cielo empireo , fin
eoot nnantet:te.
77 mi fece atlmo, ncbiaoiè lo mio
Ottentione.
76 dm temperi e ditrend: i lo
ni, cioè, della quale armonio lempari o
sonmparti.
79-61 Porramlteiiloofloror.La
sfero a rui é giniil» il Poeta è quella
del fuoco*, e pe ciò dire rbe |rli e|*par^
ai gran parte di cielo ooceso dalla Gam-
496
a
90
M
DEL PARADISO
Lago non fece mai tanto disteso.
La novità del soouo e il grande lame
Di lor cagion m* accesero nn disio
Mai non sentito di cotanto acume.
Ond' ella, che vedea me, sì com* io,
Ad acquetarmi V animo commosso^
Pria eh' io a dimandar, la bocca aprio,
E cominciò: Tu stesso ti fai grosso
Col falso immaginar, si che non vedi
Ciò che vedresti, se V avessi scosso.
Tu non se' in terra, sì come tu credi;
Bla folgore, fuggendo il proprio sito,
Non corse come tu eh' ad esso riedi.
S'i'fui del primo dubbio disvestito
Per le sorrìse parolelte bre\1.
Dentro ad un nuovo più fui irretito;
E dissi: Già contento requievi
Di grande ammirazion; ma ora ammiro
Com* io (rasrcnda questi corpi lievi.
Ond* ella, appresso d' un pio sospiro.
Gli occhi drizzò ver me con quel sembiante,
Che madre fa sopra figliuol deliro;
E cominciò: Le cose tutte quante
05. Per le sorrise pmroUtU, fSK
le dolci parole «ccoinpagMU 4a iw-
rito.
96. irretito, come da reto iavBiif*
pato.
ffJ.Già eontento re^ietii m^ifk
ebbi (|uicle , cu9ui dallo stupore etpi^
Datomi dalle prcd«Ue DOviÀà. ^ Bh
fmi£ti du requiescert» voce Ul. Qb^
atf t«rniinazioni adatto laltM «aamii
di frequenti' nei principj dalla liagM.
L'iò altrove audiri.
08-99. ma vra ammiro 9t. Ha an
ammiro r«iuc io rurpo grave mi taUfri
aopra la itera doiraria a del faac«,^
aoou C'Tpi It'Od^orì.
400
ma del tole, die pinfr^ji» caduta o fiume
nou focer mai lago ai disleso , sìampiu.
83. Di lor eagion ee.: di aapair la
toro cagione.
84. di cotanto acume, s\ acato, di
SI forte slimuio.
85. vedea me, sì com' io: ella vedea
nel mio interno, al pari di me medeaimo.
88-89. Tu stesso tifai grosso ee. :
ti fai inetto ad iiitenden^ coli' immagi-
nare d' etaerc a<>ni|ira in terra.
90. sel'aressi scosso, ae quel falao
immaginare atesci rimi^to da te.
92-95 Ma folgore ee. Ma fulmine.
fag{»endo la propria sede (U kfera del
fuoco da coi ni ttarca) nou coree al velo*
ce, come to che ad esso, ad esso lito tuo
t)ruprio, ritorni, cioè, (|u««hù in' ciclo,
uogo proprio delle menti amane; e
anco alla aapieua, a Dio, da cai Dante
s'era dipartito per il peccato, e a cai
ora por;>atorilonMi. Del resto anche al
C. XXX Tar. ▼. 1 14 ti dire: Quanto di
noi lassk fati' ha ritorno.
91. disvestiio, acioito, liberalo.
400. un pio sospiro: un ommc
di pietà per la corta iatelligeBU M*
r alunno.
401 . con quel sembiante di «mr
e di ctim|)aaMi»ne.
402. drlirtt, cbe Ta faori dd m*:
cba è nell'errore.
403-405. Le eose tmtU puMk «r.
Tutte le COM create bann» «a ordÌM k
ca:«to trimo.
Avesse il del d* no altro Sole adorno.
Beatrice tolta nell'eterne rote
Fissa con gli occhi- stava; ed io, in lei
Le luci fisse di lanù rimote,
Nel suo aspetto (al dentro noi feì,
Qual si fe Glauco nel gustar dell'erba,
Che il fé consorto in mar degli altri Dei.
Trasumanar significar per verba
Non si porla; però V esemplo basti
A eui a'tperienn grazia serba.
S* io era sol di me quel che creasti
NovellameDte,. Amor che il ciel gQf\'emi,
Tu 1 sai, che col tuo lume mi levasti.
Quando la rota, ch^ tu sempiterni
Desiderato, a sé mi fece atteso.
Con r armonia che temperi e digcemi,
Panemi tanto altor del cielo accceo
Dalla fiamma del Sol, che piemia o fiume
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64 nell'eterne rote. Da' cieli ro-
taoU ed eterni.
65-6$. ed io, inleiee. Coetr.: ed io
teneBdii %me io lei le luri mie, di Imeté
riwwte , aTenclule rìmueee del tale, m
feci . divenni Ule internamenle , gair*
dtaoo io li'i, quale ec.
67-66. Nel evo mtpfÈto «e. fot.:-
■Il* tipetto di lei mi senili ftlto dÌTÌao,
OHM IHaaeo al -gnirfar Jf^l'erba Glau-
co, secondo le favole, fu |M^ratiir«; il'
Joale «uggendo un giorno aiconi Beaci
• lai poaati mI lido raTrivaraiao no
trotto e ioltore in mare, girnlò deirorèo
i« loquele erano Mai giociati,edÌYMlè
■■ dio marino.
66. eoneorto, partecipe, dolio mo*
«Ina ina natura.
70-79. TVonnnonor ee.: noo ai po-
trio con parole (per oeròo^ eapiiroero
il treuummnmr* , cioè, il peasere dallo
•tato ornano a condisiono, a naioro, pii
alte, fià nobile. — vero* e 9erlfi |eing.
f rèo , porolo^, diaaem eguelraent^ gli
antidiì , come tnltora prati e prmlM,
mnoUie aneUaee. — prrAi'eeempUtee.:
però basti per ora l' adduilo eacninio di
Olooroo colui, ol quole lo graria-ilivioa
«erbora no giom» il ronoarere per aapo
qoortb trmmmanmre.
TV75. ^ <o ero ec. 0 divìoo
Amore, o Dio, to che col (no lume mi
levasti al rielo, ben sai se io era solo
quello, solamente quella parte di me,
la qnsle creasti PfàtAllamrnte , cioè,
in ùttìmo luogo. La paiie dell' nomo
creata ultima è 1* anima raiionale, che
da IHo è iiifoM nrlla materia ptrdìspo-
ato. Vodi |»Mry.. Canto XW. IVI rvsto
è imitato quel di S Paolo: tire in eor-
pare neieio^sive extra eorpme meeeio,
Dews ifit.
76. Quando la ruta eo.: quando
il rolaro de' cieli, che In fai «aaere enn-
tinoo e sempilpi-no per il desiderio che
io loro hai impresso di te. Dice Dente
oel Conrito rbe Idilio risiede nell* im-
mobile cielo empireo , e ehe Slitto di
qnello sta il cielo chiamata il primo
mobile, il quale , per lo ferrentieeimo
appetito elie ha rìasruna sua parte di
unirsi a quella del cielo empireo , giro
eoot nnamet-te.
77 mi fece aitmo, richiamò lo mia
ottenxioiie.
76 eòo temperi e ditrerfd: t to
ni, ciiiè, delle quale armonio temperi e
seomfiarti .
79-81 PcrromOoMfo efior ee. La
sfera a rui è giuiilu il PtM'ta è quelle
del fuoco ; e pe rio ilice che (rii a|-pari
SI gran parte di cielo aiec««% d%VV%^%^GW'-
I
quesl'arcoeafila,
Uà quelle e' banno i[it«]leUo ed amore.
La prOTÌdenzia, che cotanto asselta,
DbI suo lume h il ciel sempre quitto.
Nel quul sì volge quel e' ha maggior frellfl
E ora li, coni' a siui docrelo,
Cen porla la virtù di quella corda,
Cbe cìit che scocca drizza in segno lieto.
Vero è che, come forma non s' accorda
Molle fuite alla iatenzìoa deil' arte,
Perch' a risponder la materia è »)rda.;
Cosi da questo corso sì diparle
Talor la creatura, e' tia podere
Di piegar, roà pinta, in altra parie.
B siccome veder si può cadere
Fuoco di nube, si l'impelo primo
A terra è torto da falso piacere.
Non d^i più ammirar, se bene stituo.
Lo tuo salir, se non come d' un rivo
Se d' allo monte scende giuso ad imo.
Maraviglia sarebbe in le, se privo
D julta. nii«io impiiD •pipgi.
(31 . Chttataito aumu, chr,
432-<2S fa u'eUtt<.: [>h
qnitt, o a,:ii(rti il limi*. ìl iiniii
i. [ali
Itti» dMnIa, \n..Bt iIhuyUIu, ti
I25-I3b laiirUiUtiuIlar
FbI-bU, ckc liM|«.(l. . r» >.
I p>U'iri; ie qurlli guitt Ab
,r,U< nyb> evie» il (y,«. k
\mp4la frii
, P«nMÌl»no..uir<t
GAKTO PAIMO.
i99
D' impedimento giù ti fosBi assist, 140
Com* a terra quieto fuoco vivo.
Quinci rivolse in ver lo cielo il viso.
»^ di quella ^•▼itk che ti dtftno i U r«oeo mo, el« par im natnra («ode
ib di cai sei oargito , giù ti fotti ali' iosa , si posasse ^lieto in terra.
• : come sarebbe da maratif liare te 4 42. QfUncif dopo ciò detto.
e jjixo SEcaniMi.
Cimagt DaiOt $tél «M« éMm
dk« IH fU4Um
tmapUOmééi lai iMiùm» tilt
tUm$ H^lma U 9trm aamm, t tmtm ff^m gii dtserhrt étUt
0 voi che siete io pkcioletta barca,
Desiderosi d* ascoltar, seguiti
Dietro al mio legno che cantando varca,
Tornate a riveder li vostri liti,
Non vi mettete in pelago; che forse, s
Perdendo me, rimarreste smarrìtL
L* acqua eh* io prendo giammai non si corse:
Minerva spira, e conducemi ApoUo,
E nove Muse mi dimostran TOrse.
Voi altri pochi, che drizzaste il collo 40
Per tempo al pan degli angeli, dei quale
Vivesì qui, ma non sen vien satollo,
"2.0901 che.., in pieeioldlmhQr» le Muse mi dimoikwk VOr—, xAm'
^àoè, con piortol corredo di
ìca e te«>lot;ica. d«*tidero« di «dir*
liete tegtttit, ciete venuti dietr»al
legno, che ctntando toirt altissime
ee. E fuor di allegoris : voi dia
ido mi OTete toguilo 6d qoi nel
tieo mio visngio. >edi uo'alleapria
ile Del principio del Vurgaìofiùm
éhs tea^Lando ee. Qualcuno, ona
lo troppe conveniensa nelt*attri-
il canto al legno, eke romlmmào
I, preferisce la l*'t. del G>d. Aog.
eoUmto tareay cioè, corre m vasto
Ma io al contrario sento V idea
CMiterf in perfetta armooia eoi
feroci d'atcitUar, che è t«pra;
Itrechè di tali misture dì proprio e d'al-
_ >rico s^hsnno esempj e in Hanteme-
jaiao, a in molti sllri insigni senltori.
7. L'mequa che io prendo ee. Fro>
^iriancate : le mstcris che iu prendo «
Irattara non fn tratlsta da altro poeta.
a. M mote Mtute ee. E latte e oore
cmnano il polo, où seorgooo nella
poetica navigazione. AÌmoì
no9e in senso di natove» cioè aaw»^
verse dalle mitologieha ; ma is tal caa»,
dovrebbe anche essere una «HMM JB-
fierra, e un nuovo ÀpoUo. le cnde
che nove dekbe ritenersi par agfsUivt
di numero \ ron che forse il Poet^ka ?•-
luto edombrare le nove acàooMji • i
nove cieli. — VOree som» refolairiri
della navigazione ne' mari di ^a dal-
Tequetore.
40. drissoite il celile ee. : vi vai*
gesto, vi dÀrigesle e bnon' ora aoUa aM-
te ee.
ii. al pan degli amgeiL II paaa
degli engeli è il pane di verità , è la
schisi imenio dell'iuuUetto par la acil
te, nel che solo è U vara vita d'aa
ente razionale.
42. livetiqmi, ee. H aaiiavìfadi
qnestii pane, ma non poè Bocbè ala aa
questa terra saziarsene a voglia <
D'inlelligeniia, quesl'arco saelU.
Ha quelle c'hanoo inielletto ed amore.
La priTvidenzia, che cotanto assetta,
Del suo lume fa il elei sempre quieto,
Nel quai sì volge quel e' ba maggior fretta.
E ora li, com'a sito decreto,
On porla la virili dì quella corda,
Che ci6 die scocca drizza io segno lieto.
Vero è che, come forma non s' accorda
Molle lìiite alla inleozion dell' arte,
Perch' a risponder la materia è sordai
Così da qoesto coreo sì diparte
Talor la creatura, e' lia podere
Di piegar, c09Ì pinta, iti altra parie.
E siccome teder si può cadere
Fuoco di nube, sì l' impelo primo
A terra è torto da Talso piacere.
Non dèi più ammirar, se bcòe stimo,
Lo luo salir, se non come d' un rivo
Se d' alto monte scende gìuiv ad ìnm.
Maraviglia sarebbe in le, se pn^o
I»
I
M «Mita, lOtlo .mplll. .pioge.
<I..I>U di lltorlt.put •avXat.t laiMi
431 . CJm euMMu tàtilta, Ac t) m-
di l.iU,.M■tmpt^^> pHi»- ■!■• »«*»■
m-tì» fa UtU*c.: tiKiBfrt
pi4,....ni;rt..l.r«..l.li;(™«
il -Hill, ■> d.iur> il UII.I.. i> pni» Ho-
bil* ■ (in Ma BiiigiK Imu Icgl. .lui
•III*»^ ifjlk Ba'bi Jlere il fii^M b
già, n*nln fi un, Mluf» * pwato
iM.H.,\4t>Uc.^l..ml,p^.•«.~
ff-tìM—SirimptU-ptittaK Qni^
tXi-lZUUtirlAdifitltUajrdA.
Ul« 4>U ino. - CJh »i cJw •>««■
diiira, 1 piò rrg>ilin il ptrind«, ala
dhXMt. Ch. dncu .1 .u» .lr.k. cu
dilli c.« itttmpttB Stana rtiiw
Ir. ocll> cn.n. » 1.. y» «rr-UiUaM
del .CI,. 1 3:! . in <,««•■• d» idMlMa
m-<35 >'tn>dck<(B<f»«. R.D.
.i„.,dn,«.»,Jp..U.(-«,.
ir ngumi ftttUt, non wioiiu a..r>ia
ai u» .ull. id.«„, 1. n». <b.i plÉ,
*««r«' -■'"••'■■'>■" l'I--'" E
die* dM va«m. ty-mo f,, 1. lulcn.
l;r.,(li<.i..l(l»lu limunisUJdb
rc:r*-'r„;:En:'.™r.
bl-v*,cki U (Hiiuti nri pinla. od*,
•, mtaia i* ^i> dì fMU'ìi
CANTO PAlBia
i99
D* impedimento giù ti fossi assiat, 140
Com' a terra quieto fuoco vivo.
Quinci rivolse in ver lo cielo il viso.
>. di quella gravità che ti dartoo ì U f«oeo vivo, el« par aia natura t«ode
paaeati di coi sei purgato , gin ti fotti alP iosa , ai posataa qiieto in terra.
mano ; come sarebbe da maratigliare se 4 42. QfUnci, dopo ciò detto.
e jjixo SEcaniMi.
Cmag» DoHtt $ul tUlù étUm
tké im fméUa
sfw.
tmtflmiomééllai imtonio atU
gUtmt §^»9ta Im mrm aamtm, § tmm riftttu gli dtserhrt étUt
0 voi che siete in plccioletta barca.
Desiderosi d* ascoltar, seguiti
Dietro al mio legno che cantando varca,
Tornate a riveder li vostri liti,
Non vi mettete in pelago; che forse, s
Perdendo me, rimarreste smarritL
L' acqua eh* io prendo giammai non si corse:
Minerva spira, e conducemi ApoUo,
E nove Muse mi dimostran 1* Orse.
Voi altri pochi, che drizzaste il collo 40
Per tempo al pan degli angeli, del quale
Vivesi qui, ma non sen vien satollo,
4-2. 0 «01 cke. . . in fneeioUUm bar» le Muse mi éitnoatinm l'Orté, m .m-
emnano il polo, mi seorgooo nella mia
poetica oavigasione. Aienni pwndapa
no9€ in senso di natova» cioè asnaa^
Terse dalle milologieba ; ma in. tal caaa,
dovrebbe anche essere una iMiaMl JB-
fierra, e un imoto ApoUo. la arada
che nove dekbs ritenersi par aggaltifa
di numero \ roo che fona il Poeta Im va-
luto adombrare le nove acianaa^ • i
nove cieli. — VOrt» sano refolairici
della navigasiooa ne' nari di ^va dal-
l'equatore.
40. dHtsatte il eoUa ae. : vi val-
gaste, vi dirigeste a buon' ora aaUa aM-
ta ae.
ii. al pan degli omgdL II pana
degli angeli è il pane di verità , è la
scbiaiimenio deiriuulletto parlaaril
te, nel che solo è U vera vita à'wm
ente rationale.
42. l'ives^ qui, «e. H savia viva di
qoest» pane, ma non pnè Bncbè ala tm
questa terra aaziarsene a voglia
€M, cioè, con piociol corredo di
Slaaofiea e teolo|*ica. d<-6Ìder()si di udifw
bì, tieU tegtttit, siete venuti dietro al
■ùa legno, che coniando solca altìaaime
acque ee. E fuor dì allegoria : vai dia
leggendo mi avete seguii» 60 ani nel
poetico mio viangio. \edi un'allegoria
sinile nel principio del rurgalorto,
B. ^cantando ee. Qualcuno, ooa
vedendo truppe conveniensa nell'ettri-
bvire il canto al legno, che ranlamdo
««rea, preferiMe la ìvt. del Cud. Ang.
d^ eotamlo torca, cioè, corre si vasta
aara. Ma io el contrario sento V idaa
dd eaiilare in perfetta armonia col
detideroH d^oieoltar, che è eopra;
oltreché di tali mikture di proprio e d'al-
legorico a'hanno eaempj e in Dante ma-
dcaimo, a io molti altri insigni scrillorì.
7. L'acqua che io prendo ae. Fro-
prìamcaie : le msleris che ii* prendo a
Irattara non fu trstlata Ha altro poeta.
e. M mote Mtute ee. E tutte e nave
Muller polele ben per l' allo sole
Vostro navigio, ser\*aodo mio solco
Dinanzi all'acqua che rirorna eguale.
Que' gloriosi clie passaro a Coleo,
Non s* ammira ron. come voi Tai-ele,
Quando Jason vider fallo bifolco.
La concreata e perpetua sete
Del deiforme regno cen portava
Veloci quasi come il ciel cedete.
Beatrice in suso, ed io io lei guardava;
E forse in tanto, in quanto uji quadrai po^a,
E vola, e dalia noce si dìschiava.
Giunto mi vidi ove mìrabil cosa
Mi torse il viso a sé; e però quella,
Cui non polca mia cura essere ascosa.
Tolta ver me si lieta come bella :
Drizia la metile in Dio graia, mi disse,
Che n' ha congionli con la prima stella.
Pareva a me che nube ne coprisse
Lucida, spessa, solida, e palila,
IS. per f allo t»li,ftr l'tìlo nure.
ti. tmaiuta mia (Dico: punì».
p»ds Iptilu Inninli • mi, culli pror*
tMaMll'Hiqn, libali tondi pn- ■•-
tara ■ rìmiirii tti ■ppliiuw. Par I*
4t^a. Ovi'ttoruff M gun'Cnti
cb« «Dm aianaa «iitirviia ■ Culco pel Iti
- ■■ ■ ro,|,liArg™.«.i •
23-2t . E (arte in ianlo «. E tow
in l>nlii li'mp> ia ijMnto un qnadrcUti
ti HiMava, ù iuXne» » nJi, • Ih.
JmM'ima ilclll iMlnlrt o» H fw-
nlln. e Irrrcii, ti sona.
2S. m l«TU il H» a «1. **Im *
27. •
CANTO SECONDO.
Quasi adamante che lo Sol ferisse.
Per entro sé V eterna margherita
Ne ricevette, com* acqua recepe
Raggio di luce permanendo unita.
S* io era corpo, e qui non si concepe
Com* una dimensione altra patio,
Ch'esser convien se corpo in corpo repe,
Accender ne dovria più il disio
Di veder quella essenzia, in che si vede
Come nostra natura e Dio s' unio.
Li si vedrà ciò che tenem per iéde,
Non dimostrato; ma fia per sé noto,
A guisa del ver primo che T uom crede.
Io risposi: Madonna, si devoto,
Quant* esser posso più, ringrazio Lui
Lo qual dal mortai mondo m* ha rimoto.
Ma ditemi, che son li segni bui
Di questo corpo che laggiuso in terra
Fan di Cain fovoleggiare altrui?
Ella sorrìse alquanto, e poi: Scegli erra
L'opinion, mi disse, de' mortali.
Dove chiave di senso non disserra.
Certo non ti dovrien punger li strali
IM)I
35
40
45
50
55
te Tcno Pusomiglit td ao diimaoCe
ferito dal sole.
34-56. Per entro ti l'eterna tnar-
gkerUa. Int.: per entro tè It InnaeCer-
oameoto dorevole , lucidi e bella come
noi margherita , cioè una perla, rìcerè
noi , coma l'acqua permanendo wniUa,
cioè, aenia aprirsi, o disffreg«re alenna
delle tue parti , riceve io sé raggio di
Ince. — reeepe, dal Ut. reeipere.
37-42. S'io era corpo ee. Se io ara
cdaaai col corpo (il che non saprei af-
fermare), ae qui in terra non ai può enm-
prendere, non si eonerpe, come acca-
clcsae che una dimentùme^ un'esten-
MODc materiale, soffrisse di easere com-
penetrata da un'alti a [eh'enereowrìen:
il che necessariamente 8cca«le se corpo
in corpo repe, ee curpo penetra io al-
tro corpo), dovremmo essere più di
<]ael che aiamo accesi del desiderio di
pertenire colè dove le anima beale
«ootemplaoo Dio nella sua easenu, do-
^e si vede svelato il mistero ineffabile
(U-ir anione dello dae oaiurc divina e
umana in Cristo. II testo Vir. porla :
Come nattra natura m Dto a* mdo;
• qualchUItro teato a ìHo f'iMiio.-—
repe^ dal lai. repere, iosinoarai.
45-45. li ee. Int.: nella esaana difi-
na si vedrà poi un giorno quello die ani
teniamo per fede, non dimoelrata ee.,
doè, conosceremo quel che è era nialare
di fede, non per vie di ragionftiiiente,Be
intuitivamente, a quel modo che d faaao
noti a noi i primi veri o aadomi, i qvali,
aecondo i migliori filosofi. aooo « pHeri»
oaaia anteriori airespenenie; e donde
poi si deducono i no&tri ragiooimaati.
47 Lui , Iddio.
48. m'ha rimoto, mi ha diliiii|ato,
ellontanal».
51 . Fan di Cain ee. : doè , denso
occawone al volgo di favol^giare ehe
ndla luna sia Caino con nne forcale di
spine. Vedi Inf., Canto IX, ▼. A2$.
54 . Dove chiave di eema ee. Gei ,
quando giudican di caae,doTe ooo giao-
gono i sensi.
55, non li dovrien punger, ooo
D' ammirazione ornai, poi dietro a' sensi
Vedi die la ragione ha corte Vali.
Ha dimmi qnet che hi da le ne pensi.
Ed io: Ciò che n'appar quassù diverso,
Credo rbe il fanno i corpi rari e densi.
Ed ella: Cerio assai vedrai sommerso
Nel fclso il creder Ino, se bene ascolti
L' argomentar eh" io gii farò avrerso.
La spera ottava vi dimostra molti
Lumi, li quali net quale e nel quanto
Notar ci posson di diversi volti.
Se raro e denso ciò facesfer tanto.
Una sola virtù sarebbe in tutti,
Più e men distribuia, ed altrettanto.
Virtù diverse e9s«r convegnon frutti
Di princìpj formali, e quei, fuor eh' uno,
Seguiterieno a Ina ragion distrutti.
ienatì 3i qattlo lori
56-37 . poi dtiira ■'imi a
laugicinidit- SS.
■nirto». «lidite-Mt
ibsadli»! Inceli m.xt
ta Crrdeehtilfm
i,r:;i.
JKj^.-V
Ìur'lanii 1 Bi mant, ptr *•■-
jlrtblx di<g.Hin>Bla itOmt
Il MarcBrin: ■ n»»» '"H, "» •
tlwmi,Hrrlik*,Hna<lo il pi* mn
u. — (d altrtiimta ufuBti 1 1>
iti n»i M
•Mttr fi tsM
Qmli «BÌnii'iM in MiU primi itTrr-
nil* Ji Dant* ul CnntUo. Tntl. II;
Ba ani prMila oHiiiuni ili riirallaria.
el-S2. SommiTto ntl faitt «.:
Tadni la Isa oriaiime tutta lalia, a in-
63. «wn-io, «ntrario.
t* £• inira alloca, il arto drlla
6ft MlfMtK Fioè Sfili qDalltl ibi.
Miti iMiipDn • mlonr* liin<ii''>ia. —
ini ditan* Deca cdaltì H Ann*
ima aoilaaiUlt. Gli ariilalalid iaaa-
B«aiui tvet ati »rpi daa prioàf);
oo Dalfnalg, B|iii1cui iBHiiMrpi
■l( , c»IÌlacBt( la (ari* apuit • aliti
TI (fH*f.- fallii pruicipi Hran-
, fVBT eh' HHo. IriDoa floallo aals
ella nrilì i iciM. re.
13. Siiaiitritao a IM r^flam «-
IrulK: HcnBds il tu» f^amtmlM»
uolu «reiiiuanlo : Lt alali* JkII' Mi-
• •hca ...nu Jixru, «>nt.Ì T«lt, mi
uo/« I n.l quanta: tt ijucsM ilifwJ»
OARTO sEcamo.
W3
Ancor, se raro fésse di qari brano
Cagion che In ^imaiidi, od oltre in parte
Fora di soa materia si digiuno 75
Esto piasela, o si come-oomparte
Lo grasso e ih magro un corpo, così questo
Nel suo Tohime cangerebbe carte.
Se il primo (osse, fora maaiféslo
Neir edissi dei-^Sol, per trasparere 80
Lo kirae, «ome in Ékro raro ingesto.
Questo non è; però^ da vedere
Dell'altro: e, s'^i «vrien ch'io l'altro cassi,
Falsificfio iia io Ino parere.
S'egli è che questo raro non trapassi, ss
Esser conviene ui lemme, da onde
Lo 800 contrario più passar non lassi;
E indi r altrui raggio si rifonde
Cosi, come color toma per vetro,
Lo qnal dìretro a sé piombo nasconde. 90
Or dirai ta ch'el si diinoi4ra tetro
Quivi lo raggio più che in altre parti,
BisceiM dal raro e dal denso, une gola 83. IklT mitro, noi dal iceoad*
virtè aarebbe in lotte, t le loro inSoaiita tv» «amalo, MFallra'pana4«ll« pr«-
^ffarnabbera di grado, non di aalara: aaaaa Jiagiviitiva.^'Cfc'iD Fmikv tm
«a «aaa kaaoo Tìrlà diverae; e virtà di- «i, aha P altra parta della piiawi h
potendo naacere eKe da ditar* aamilli.
84. FtMfinio /to,aarfc iliaiaaliata
falso. — io hu> pmriro, la t«a aaiaiaaa.
85. iMii frafNuai, aoa paaai la lana
da banda a banda.
86-88. After eanvlfiia mi <iiii
«aea. Biaogna cbe ri aia m terarina,«i
pBBlo,»ltra il anale ,dal qaala ia Ib, Ua«o
contrario, il «wnto, non laaci paaara il
raggio loninoao. — B imii, a cba la
mìei paato il raglio del «ola H rifmio
torco, eong. da fifoniif)^ ti inaniitt»
oiatro, ai riaella, cemeae.
89-90. rome co/aree.reoiaa i raggi
aolorati cbe formano Immagine di alca-
na ogi^tio, dopo «ver pewetiata la giaa-
aaaia del erialalto dello ap«Tclno,fiao al
piaabo cbe gli 8oltoeib,lomaaoindiaCr».
04-95. Or dhrmi lu oe.: or dirai ta
«b»f«ir<, nelle maccbie della lanay U
raggio ai moetra (efro, «carato, par-
che iri è rifrmtto pii m rwtro, dob
riflellulo da piò indentro, bob dalla nh
perficie della luna, ma dal dritto cbf è
interno al di Ib del raro.
•a DrÌBeipio formale e aoalanmla, aa aa-
fvrtadba la toa soppoaitioDe è aaaarda.
75. Jutoor, fé raro ee. Di pie , aa
la rarìtb daHa materia foaae cagiona
Mia BMcebie Innari, qnetto piaaola od
offra, o da banda a banda, fa farti,
in alcaaa parte della sua eBtenaione,aa-
rcbbc digfiiiio, cioè mancante di bnI^
ria, fi, appunto come In credi : o, a qnd
aMdaaba oa corpo aoTrappone il graa>
aa al aiagre. amgtrebhe earto noi omo
rokNUé, aioé ammocchiercbba strati
^aiM a firati rari , come ani libri ti m^
frappongono carte a carte.
74. Cm§Ìon cbe tu dimandi: aa il
raro dei corpi foaae la cagione, cba ta
dioiaadi, di quelle maccliie.
80. Moiteeiisti dei Sol: aiaè,
^aaodo la lana sta fra la terra a il aale,
apparirabba Baanifesto il raro tappoalo
in alenila parte; perciocché da qaaNa
Iraaparircbba il raggio ^ coma eada
atranira ecniqnalvoTta sia inyeffo, in-
tromesfo , io altro corpo raro.
504
DEL PA&.ÌD1SO
Per esser li rìfratto più a retro.
Da questa instanzia può diliberarti
Esperienza, se giammai la pruovi,
Ch'esser suol fonte a' rivi di voslr* arti.
Tre specchi prenderai, e due rimuovi
Da te d* un modo, e 1* altro più rimosso
Tr* ambo li primi gli occhi tuoi ritmovi.
Rivolto ad essi fa che dopo il dosso
Ti stea un lume che i tre specchi accenda,
E torni a te da tutti ripercosso.
Benché nel quanto tanto non si stenda
La vista più lontana, li vedrai
Come convicn ch'egualmente risplenda.
Or, come ai colpi degli caldi rai
Della neve riman nudo il suggetto
E dal colore e dal freddo prima! ;
Cosi rimase te nello intelletto
Voglio informar di luce si vivace,
Che ti tremolerà ftel suo aspetto.
Dentro dal ciel della divina pace
Si gira un corpo nella cui virtute
94. inilanxiOt cbiamMÌ n«lleac«o- oa quelle mtcclùe che ti ri
•S
<00
iOi
ilO
le il replicare che ti fa contro alla rìspo-
ata data alPohiezìone. Int.: dal duoto
tao duhhio polri liherarli rcfipcrìenza,
la qaale è il f»ndamenlo di latte le
acìeaze e di tutte le arti umane.
97-99. e due rimuoti Da U d'un
modo: e due menili ad ugual distanu da
te.^ e r altro più ritnotto : e il terxo
apecchio colliicato più distante da te^Tao-
ga ai tuoi occhi medio tra i primi due.
i 00- 4 02 rivolto ad essi ee. : teoen-
do« Tolto ad eaii tpecchi, fa che dopo il
dosio, dietro le spalle, ma più alto di te.
ti atia un lume che accenda, illumini, i
tre specchi , e torni a te ripercoiio, ri-
fleUuto, de tutti e tre.
403-405. Benché nel quanto tmn-
tooc. Benché nella grandezze il lume che
fiene dallo spe<-chio più lontano dagli
occhi tuoi non si estenda tanto, qaauto
negli altri specchi più vicini, pare io co-
tala eajperiroento vedrai come lo aplao-
dore aia na* tre specchi uguale : quindi
concloderai che, sebbene la (ore del
•ola ai rìbctlesae da alcune parti pia ra-
mole dalla avperficie della luna, óò
non basterebbe a produrre io eiM !•-
407-108. Della Mare riwum mudo
il iuggetlo ee. Oistr.: il suggetto della
neoe riman nudo e dal colore ce.,ciaè,
il suggetto della neve, che è qaantndin
la miieria, la sostanza steasa della aciv,
riman nuda dal, o del , colore, parla
il candore e il freddo primai, the nai
innanzi, squagliandosi: cessa ÌMoaaoM
d'esser neve. — La Nidob. legga: M
dal candore e da' freddi primai. Ed
è buona lezione.
4 09-4 IO. Coti rimato ee. Int. : can
te,restato nudo, spoglio dal primiar* tao
errore , voglio rivestire , iilunÙMrt «e.
444 . C^ li tremolerà ee,: cha ti
acintillerà agli occhi nel suo fera aplii
dorè.
442. Dentro dal del ee„ deatro il
delo empireo ; antto a quello.
4 1 3-4 1 4 . tfn corpo : il cielo, detto
prilli^) mobile. — nc</a cui virimle ee.:
nella \irtù del quel primo mobila rawa
nicatagli dal cielo empìreo, giace, ha
fondamento. — L'esur di tuli» mo
contento, cioè, Tesbere o l' furata di
tatto le cose che dentro Tanipìo ano (*iro
•000 contenute.
CANTO SECONDO.
605
L* esser dì tutto suo contento giace.
Lo cìel seguente, e' ha tante vedute, uò
Queir esser parte par diverse essenze
Da lui distinte e da Ini contenute.
Gli altri giron per varie differenze
Le distinzion, cbe dentro da sé hanno,
Dispongono a' lor fini, e lor semenze. 120
Questi organi de! mondo così vanno,
Come tu vedi ornai, di grado in grado,
Che di su prendono, e di sotto fanno.
Riguarda bene a me si com* io vado
Per questo loco al ver che tu desirì, 125
Si cbe poi sappi sol tener lo guado.
Lo moto e la virtù de* santi giri,
Come dal fabbro 1* arte del martello,
Da' beati motor convien che spiri.
E il ciel, cui tanti lumi fknno bello, i30
Dalla mente profonda che lui volve
Prende l* image, e fassene suggello.
£ come V alma dentro a vostra polve
425. Per quitto loco, per questa
▼ìt . oer qaetto regionameoto ftoo&ào
445. Lo ciel teguenU, V ottavo
lo , e* ha tante vedute , cioè, tanti oe-
thi; coaì chiamando le alelle fiiae
•pane per questo cielo.
416-447. QueWesser, quella TÌr-
tè, queir ioflueoza che riceve dal nono
odo , parte per diverte ec., la eem-
I»«riiace, la distribuisce nelle delle stel-
e , ciascuna delle quali è di esaensa di-
Teràa e distinta da quel cielo, sebbene
in esso contenala.
4 I8-420.G/Ì a/<r<9<rofi ee.Coatr.
• int : gli altri deli ioreriori, cioè, di Sa-
turno, di Giove, di Marte, del S<»le,di Ve-
nere, di Mercurio e della Luna , diijMMl'
gono per varie differenze , cioè , iro-
pifgano . dispongono differeiitementa
secondo i differenti sofTfjetti. a' l"r fini,
ai fini da Dio voluti, Le distimion ckt
dentro da tè hanno, le diverse virtù
che hanno in sé, e (or setneiue, e i loro
influssi.
421. Questi organi del mondo,
questi cieli, che sono gli organi prmci>
pali del mondo.
423. Che di tu prendono, ch«
prendono virtù dal cielo superiore. -^
e di tolto fanno, e la virtù ricevuta in-
fluiscono ed operano nel cielo inferiore.
« dbehiarara il fero che ta hrani
426. Si che poi tmppi fol te. Co-
riechè tu possa poi per te stesso , toi,
senta biaoffuo <li acorta , fener io gym-
do, tener fa vìa per cui ai guada dritto
il fiume alla riva. Fuor di allegoria: ai
che tu possa dietro il mio ragionamento
intendere e filosofar da te ateaso in qn*-
ata materia.
427-429. Lo moto # la virtàm.:
il movimento e la respettivs virtù d'ogni
cielo , emana , è spirata Da' beaU mth
tor, dagli angeli , come l'arte e l'ope-
ra del martello move dil fabbro.
430. B il del ec.: e il cielo, che le
atelle fisse fanno bello.
431. Dalla mente profonim m.z
dalla eoa intelligenaa motrice, cioè, dal-
l'angelo che a Itti de moto.
452. Prende F image, riceve P im-
magine, la virtù in lui improntata, #
fattene tuggello, e fa sé stesso sigillo
d' essa immagine e virtù , che poi im-
pronta nei cieli sottoposti.
433. dentro m tottra polve, dentro
•1 vostro corpo fatto di polvere.
DEL PABADISO
Per differonti membra, e caafomisrte
A diverse poienEie, si risolve;
Così r intelligenti 3 »ua bonlade
Multi|dìcUa per to stelle «piega,
Girando sé Bovra sua orniate.
Virtù diversa fa diiersa lega
Co! prezioso corpo ch'eli' avviva,
Nel qval, si come vita in voi, ai lega.
Per la natora lieta onde deriva,
La virtù mista per lo corpo itice,
Come letiiia per pupilla viva.
Da essa \ien ciò che da luce a Ince
Par differente, non da denso e raro:
Essa è formai prinripio che produce.
Conforme a sua bonii, lo torbo e il chiaro.
431-ISS. ( «m/bnuK A dmrn clU U muto e riti , • n«
pateiaii.t
TlcolU «I e
n . cDint 1 tfdtrt, ■ mli-
tpilfl. E fird
|wr1ar« di Bon
tona mmira r«nlr{i .
43A-I38 CarìrtHtraigiiala
■ ■■■ ce ite) HI lo.
I il. Ptr la Mhira Urla, A
H3-M4. ùtirtUmiila i
lrli> ■nnrlir. g.i>li, 0 Ì»(iiu
MS-liS Dan
iitLaim
tB8-HI.FTri«<HFrTM«'. Inizia
«alon prodnn Aitrru >F(.'iii in ni-
la honlA- SffvooJa ri npart*-
CAIVTO TERSO.
Quel Sol. the pria d'amor mi scaldò il petto,
PI beila verilé ni'avea scoveilo,
1-3. Qmt Sol *c. Brilrìu, ula prUn. ■mu*. b'iim w.prrt< a i>W
•caUinl* • illDni>ii*iiI> («• «•■n.lo aiiBliudi gn* Mli loilli, /V. roa^,
1 ITIlIlIAiiina(mnnln,S(b|[uilnU(i d nualiaiido.nvi
^mtO TEBBO. Wì
PrtiHtDdo « rìprovando, Il dolce aspetto;
Ed iOy per confessar eorratlo e celio
Me stesso, tanto, qoaalo si comrenne, &
Levai lo> capo a ))rólRsrer più «rto.
Ma vinone apparve, ehe riteaio
A sé me tanto atretio per veéerei,
Cbe di 101» coofesiioQ non mi aevveiine.
Qoali:per vetri trasparenti' e tersi, 10
0 ver per aci|iie nilide e tranquille,
Non^prefoDdeche ì feadi sien persi,
Toman de* nostri visi 4e: peetille
Debili si, ohe perla in i»anca finente
Non vien men forte alle nostre popifle; 15
Tali vid* io più iMoe a parlar pronte:
Perch' io deotiotill' error contrapìo corsi
A quel ch'accese amor tra l'uomo e il fonte.
Sq1»Io, si com' io di lor m'Sccorsi,
Il ctgione Teni delle maccbie Iwuri, •
r*ffro9Q»dOt e contradtliccBdo ntn
me falsa la mia opioiooa.
4-6. Ed io, p9r conféMwr, tà io
ET prolastarmi corretto ee., awilto
11' «rrora mio , e certo della «anta
■MoifeelaUmi da Beetrìoe, levai il capo
pia alto , qoaoto si coovenoef • proffè'
nr , par laTellara. — profferir*, prof-
fbrmro, a proffermrt, otarooo agMJ-
ilodiantielii.
7-5.
Ma 9Ì*iom» opporrò «e. Ma
tale aepetto , ooa %\ laggiora
dì «aaa, «if ione, che por oòétt'
H , jmt aaaara^ialintajiieola vedoto, où
obiufaraao a al etreUa appiicaiioM,
oho aoB m aofveooe più di qoel Ao
▼olova cooCeiMre« Beatrìee.
40-44. QmoH por ootri trmpa-
rMiK«apr«i,oe.KonciMo Ifitnini aha
fcaatiia a lodar la belleata e la efidooia
di ^paaCa coatoaranona. Ella èoaao pro>
piiawta di Paradiao, c^ poò gnalani
ma Doo ridirei.
42. iVm ai profondo oo.s aoa tanto
profoodo, che il fondo di eaaa ai pardi
di vodota.
45. IbfMM: int., riflettnte.— da
pootiOo, i segni, i lioeenieoti.
4ft.flM» forU, Coeì la Nid., il ta-
ato Ti?., il Boli, ed altri ; dallo qval
\r%. il larto Tiene piò chiaro chawilla
loilo, O il paragono età pia
od termini ; die mail forfa equivale a
tanto doMo, e kon mponde al dehili H
dal vano innanà. NoUa prima edinooo
oTendo adotta la lenona me» lofto^
apiegova oort :— tM» Iritlo, mono pro>
atamita , rimnrda la leotena eoo cui
l'immagine della parla in bianca froolo
▼iene dl'oeefaio ; ma poi< kè Unto U fo>
air lento d* no oggetto dFotrhio, eW
il venir ddMilo e longoido,'nnsoaao da
poca forca del ragnio reSeiao, panie jl
Poeta ka eoofrootato il iomor dakdo
drlle postille airocchio, col venir lento
ddla perla. Il Biogioii evtdgo booimimo
la frase eoak: • Le poefilto éoimootri
toiU tommo dotili d. oiommio ti
^oco toeto, eho perim posta in Mane*
fromio mom toma meao doòoto,#flaMM
toalo. •
46. rofi, oos) temn o lingoida nd-
Foipreesiono dd lineamenti. <—apaf^
tar pronto, eho moetriTano gran Te-
glia di parlare.
47-48. Poreh'io donerò ee. bt:
per la qnal cose io cord ncU'orror eoo*
toarìonfue/ eà*aee«M «nor, a qnd-
V errore o ingenoo per coi a* oaaaao
amore ira twmo o U foo^; atta-
dando all'orrore di Nardso, dto, mi-
eàePiiHM-
randed al fonte , credeva
gine eoa fosse peraona: mentre io al
contrario credrva cbe le peraone di'am
ivi fosaaio imnia(pni.
r *■
«jnefle
Pwwkrdl
E loLa vili, e
Dritti Bri lane deOa doice goda.
20
>oa ti flunrìgiar perca'»
K cfiaKy ap|acm fl tao panrfl cnta,
Kh acpn i vcreaaeor lo
Xa te molfe, eoa» laole,
Tcre «asiane aoa eie che la Tedi,
Qui rilegale per ■eaco di volo.
Pero parla eoa cae, e odi, e credi :
Che b laraoe lace che le appaga.
Da aè aoa lascia lorlorcer Li piedi
Ed io aD'oaihra, che pareo pia vaga
Di ragiooar, drioaHai, e coaiiociai,
Qoasi oom' aoai cai troppa Toglia soiaga:
0 beo creato spìrito^ cfa* ai rai
Di vita eterna la dolcezza senti,
Che non gastata non s' intende mai,
Grazioso mi fia, se mi contenti
Del nome too e della vostra sorte.
Ond*elIa pronta e con occhi rìdenti:
La nostra carità non serra porte
t*
40
20. QuiiU
UwMsmti, ftÙBiBdo ^elle tacer ni-
oMfiDi di thì rappmeoUli ia ìmài»
corpo.
24 , gli oeehi Ioni, mi tolsi
tro por ^«àtr le penooe ebo capii
fUM, t parer mìo, quella hfioatoao.
26. appresf il IM pmeril fio,
io tedilo , a cagÌADe , dd tao ■■arilo
peo^iero. Solla voce eoto, vedi la Bota
al V. 77 del Canto XXXI deirin/kriio.
2ì'2!è. Poi topra il tero oc. Roi,
poicbè^il tao gindirare noa ai fooda au-
rora sopra la Tfr>tb, ma, aiocome è8«>>
lito , ti volge a vane cote , ti indora in
inganno, basancln«i sempre sa i senn.
50. Qtài rilegaU «e. Si Doti , aha
sebbene il Poeta dica che le aoima aoa
qui rilegatt, cioè, confinata , para aaia
non banna l<vo slama io qoasto pU-
arta, casaodu abitatrici dal prima ^ro.
Nt4 pianala della Iona la delta aaiaie ti
iiiotirano lemporaneamenta , no» por*
cM $orlUa ala quttla tfra hr,
per far fegiio Deilm ccictlMl t^li
•i€ii talitm; per moOrar, dei, il graia
di gloria cbc poasoffooo. (Vofi Caa>
Co IV, verso 39 • pree.) Lo aloraad»*
vrk dirsi delle altra anime cha a mtm
a mano il Poeta iocoolrerè ocfK dfei
piao^ti. —per aumeo di «ofo^ par f«la
OMDcato, per aoa aver pieaoaaMla»
aervato il voto. •
51-33. e eredi: qael cha, ciei, di
loro adirai (Vedi aocba il ▼. 414, 0»»
lo VI ), cM, perciocché . fa aaroia Ami
la somma verità , che le fa eoolaBla •
felid, noa lascia cbe eaaa dalla
ai dipartano mai.
56 imoga , eonfande , fa
l'aoiroo.
57. O ben ereato tptritos daè, •
spirito eletto , creato per l'alcraa fai-
aik.
40. Gratioio^ 9<'*to, frtdtvale.
41. e della rotini torfc, a ddk
eoDdisione di voi lutti.
45- 4 5 . La notlra coriM «e.: It m»
CAKTO TERZO.
509
A giusta Yoglia, se noo come quella
Che vuol simile a sé tutta sua corte.
Io fui nel mondo vergine sorella:
E se la mente tua ben mi rìguar(}a.
Non mi ti celerà l* esser più bella;
Ma riconoscerai eh* io son Piccarda,
Che, posta qui con questi altri beati.
Beata son nella spera più tarda.
Li nostri affetti , che solo infiammati
Son nel piacer dello Spirito Santo,
Letìzian del suo ordine formati.
E questa sorte, che par giù cotanto,
Però n* é data, perchè fur negletti
Li nostri voti, e vóti in alcun canto.
Ond* io a lei: Ne* mirabili aspetti
Vostri risplende non so che divino,
Che vi trasmuta da* primi concetti.
Però non fui a rimembrar festino;
Ma or m* aiuta ciò che tu mi dici.
Si che raffigurar m* é più latino.
45
60
65
60
ttra carità non ti oppone t giosla voglia,
non altrimenti che ti faccia la carità di
Dio , die oon ai riensando ad alcauio ,
TQola aimile a sé tutta la ina eorla.
46. vffyiiM tortila t rioè, aaora,
monaca.
47. B 99 la mtnU tua §e,, • aa oh
riguardi eoo alteniione.
48. iVofi mi ti celerà teatr più
heUa. La bellexia che mi ù è in «ielo
aggiunta non farà ai che ta non ni ri-
conosca.
49. Pieearda. Fa drlla famiglia
Donati. Vedi la onta al vene 106.
54 . nella eptrm pia tardm. Nella
afera Innare , che , eiseudo piò piccola
ddP altre, e (secondo la falsa opinione
di Tclomco) girante con qaelle intorno
la terra, ti move più tarda.
52-53. infiammati Son nel jpiaetr
dello Spirilo Santo , cine , altro non
nonno nò bramano animitcniente , che
«A che è piacere ddlu Spirito Santo.
54. Leti*ian «LI tuo ordine (br^
nMli. Intendi: godono, ai rall«*grano
(i noatri affetti) per esaere noi poeta a
godere Die io queir ordine che a ini è
piaciuto. E letteralmente : gioiaaano i
noetrì affetti, tono eontenti, io quella
disposiiìone. in qnella forma, che è se-
condo l'ordine ai Ini. La celeste gloria
dalle anime, come dirà pia sotto, è mag-
giore o minore, secondo F amore; ma
3aal siasi il grado di qnella dal Santo
pirìto ordinata, fa pienamente con-
tenta r anima.
55- 57 . £ «/netta torte, che par gik
cotanto^ ee.: e qotvta condiiione, que-
sto Ittttgo, che par già cotanto, aoè,
tanto in basso , et è dato in sorte, per-
chè i nostri voti furono negletti da noi,
e tu parte vóti, cioè, e in parte non
adempiti, non oaRenrati.
60. da' primi eoncetli, da quelle
prime inimagini che concepì l'animo di
chi guanto voi nel tempo che eravate
tra i mortali.
61. a rimembrar, a ricordarmi
della vostra immagine, a ravvisarvi.
— fetiino, presto, pronto.
62. rM che in mi dici, il manife-
ttarmi il nome tao e far mangione <U
alcuni casi della tna vita.
65. m'è piit latino, doè, mi è pia
fadle. più agevole. E nel Conpilo disse:
A jnA inlittamenla veder la tentenza.
Ma dimmi: Voi, che siete qtii btici,
Deiiiderale *oÌ più alto loco
Per più vedere, o per più farvi amici?
Con queir olir' ombre pria sorrise un poco;
Da indi mi rispose tanto lieta
Gli' arder parea d' amor nel primo foco:
Frate, la nostra volontà quieta
Virtù di carità, che Ta volerne
Sol quel cb' avemo, e d' allro non d a«Mla.
Se disiassimo esser più Bupeme,
Foran discM'di gli nostri di siri
Dal voler di colui che qui ne cerne;
Che vedrai non capere io questi giri,
S' eewre io cariLade è qui neceese,
E se ta sua natura ben rimiri;
Anzi è Tormale ad esto bealo eas»
Tenersi dentro alla divina voglia,
Perch'una Tjnsi nostre voglia stesse.
Sì che, come noi sem di soglia in soglia
Per questo regno, a tutto il regno puux,
Com' allo re che 'n suo voler no invoglia.
In la sua volonlade è nostra pace:
d
#1
I
I
04. Per pìi nttìirt . prr gwltr
OS luta, diiphimi II T*rl
d'Ìlh«,i,..rn>i.
eu. Cd' ar̀T parta d'amo,
priau fica: tk* piomiu Jtinn* ■
il fi» «ktmanw Hiilils. li pn>pn* ••il<>i>l> * ^u
Tft-T>. UrlinUeoTiUie. Culr.: I.. <■■>! «m »>•*£<■'>■
VvlàiU»rìU,ctwbcli<>.^l»u.H- d. t.ill( U ■■■«•b.it*
lBK.,fiif<la,icqiiMa.cu»ln>u<la>>- SZ-HS. £1 elu. K.
«lM»l(n d'aiirv un einutln, mJ m, rM.liiuMri
TI. UMT pUttapm», tatt più gli*.»», riinrlviB «•
76-18 Clirttdraiit Lochi, U HI rIU '■ no vakr w faccf Ik.
<]UlJ<i«nl»ud>l>»lri.l.lliu,trdrii QunU Itmi» • d. (■• ^.d»bHt. , M
l'rì itì ndo , hI ,|iia1. dl^ntn» le 2, B, UT l* om.»: tk a *m mI»
■wn»M«*(^.t,>.aÌfrf.Varrrii*lii- 83 In fa (va. £ delia Md.,U
ftùten. e^r«Hill.i n Li ifn,.3U), ini.i t iy, e da> l>ii. 2, t>, SI. La no.^
CAUTO TBEIO.
Ella è quel mare al qnal toUo si muove
Ciò ch'ella crìa e che natura: face.
Chiaro mi fu allor com* ogni dove
la cielo é paradise, e sì la grazia
Del sommo bea d' nn modo non vi piove.
Ma si com* egli awien, se nn cibo sazia,
E d* un altro rimane ancor la gola.
Che quel si cbiere, e di quel si ringrazia;
Cosi fec* io con atto e co» parola,
Per apprender da lei qual lu la tela
Onde non trasse inaino al co la spola.
Perfetta vita ed alto morto inciela
Donna più sa, mi disse, alla coi norma
Nel vostro mondo giù si veste e vela;
Perchè in fino al morir si vegghi e dorma
Con quello sposo oh* ogni voto accetta,
Che caritate a suo piacer conforma.
Dal mondo, per aegnirla, giovinetta
Fuggi'mi, e nei eoo abito mi chiosi,
E promisi la via della sua setta.
Uomini poi, a mal più eh' a ben usi,
544
90
95
400
405
se. EUa è 91M/ mare : U volootà
^ Dm è il centro t cui leodoDo , coom
i finali al mare, tolte le cote ch'ella ha
creato • da tè ttcMa o pel miniitara
della nalara.
SS. ogni dore^ ogni laogo, ogni ctr*
cUo celeste, o alto o basse cbue aia.
§9-00. § tila gratia ee.t $ pure
dd godioMoto di Dio sommo bene non
aooo eg^lniente partecipi tutti i cercbj
celeeti.Qacsta lezione e <i,Tale e p«ire,e
f o trovata dal Lombardi in nn Ma. della
CorsÌDÌana di Roma. La maggior oarta
della odia, hanno invece etti («ebMoa)
TOC* pretta latina, né bella qoi.
VI. la foia, la brama.
99. Chi quel ti ekiere oc. : che ti
chiede ^aello che appetisce, e si ringra»
aia di qoallo di che gii siero picai.
95-96. Quel fu U Mm m. Int.
metaforic.: quel fu la cagione, omIì,
Piccarda lum froMf aia«
97-99. imeUlm §c., ìncielaiio,allier-
gano in piò alto dolo ona donna. Qaeata
è S. Chiara, mila evi nonm^aaaoBdo la
coi regole , oel aaoodo ti vetU § «afo-^
si porta abito e valooMnecala. S. Ghia*
ra d'Aasiai, naU nel 4 195, fondò eolio
la direttone d«l ano coocittadiiio San
Freneneo nn mooaatero per le Torgini,
e una regola rhe ai difTuae eitasaaiaaie.
Muri nel 1225, e poco dopo per deera
to di Alcasandro iV ebbe gli onori 0^
lesti.
400-101. Pereki, affinchè. —ti
tegghi e dorma ee. , ti viva a netta a
di Con quello ipota «e., eoo Gate Cri-
sto, a cui e grato ogni voto che dalla
canta è falUi coofomie al piacere di Im.
Il volo, aCinche aia accetto a Dio, deva
rigvardare 00 bene migliorei aecondo U
Vangelo.
403. per ÈoguMa, cioè, per sagwr
per COI , ema f iccarda lum irotaa ano Santa Chiara,
eleo te jpola, non tirala apola fino al 405. E premiti lawiaee,: a fati
rapOj alla fine, di esaa tela ; che è qna»» voto di srguitere la tua tetia, la taa
io dira: peroiè abbandonò priaa di conitiva, il ano ordine,
morirò la iacomiociata vile danalrala. 405. Downmipoi,e9. ConoDoaati,
La fpolm, tettando, ti tira attravano adirato contro Piccarda eoa tortila,
r ordito. venne al convento dì S. Chiara iti
512 DEL PAEADISO
Fuor mi rapiron della dolce chiostra ;
Dio lo d sa qoal poi mia vita fusi I
£ quest* altro splendor , che ti si mostra
Dalla mia destra parte, e che s* accende
Di tutto il lume della sfera nostra,
Ciò eh* io dico di me di sé intende:
Sorella lu, e cosi le fu tolta
Di capo r ombra delle sacre bende.
Ma poi che pur al mondo fu rivolta,
Centra suo grado e centra buona usanza,
Non fu dal vel del cuor giammai disciolta.
Questue la luce della gran Gof^tanza,
Che del secondo vento di Soave
110
itj
pagnia di ao certo FtrìoBtt , ticario , •
eoo «llri dodici aonioi di perdala fita,
e, scalate le mora del mouaatero, npi
la Tergine ed obbligolla a preodere ma-
rito. Vedi la nota al verso 40 del XXIV
del Purg. Con quella generale iodica-
sione di Uomini, a malpiit eh* a btn
uft, Tuol notare particolarmente i Do-
nati, i quali ebbero il soprannome di
Malefammt. Vedi Villani, libro Vili.
408. fuiij si fo, cioè Dio solo sa
qnanto inquieta ed afflitta coodassi la
vita, corobattnta dalla religione e dai
rtgoardi sociali : ^uantanque, se atessi
arnto più coraggio e più forte e tena-
ce volere, sarei potata tornare a dispet-
to di tutti al mìo chiostro. Questa spie-
gazione combinerà con ciò che leggerasai
al verso 84 e seg. del Canto che verrà
dopo.
4 1 2. di iè intende , intende dello
anche di sé.
143. Sorella, suora, monaca, — a
eofi ee. Int. : e cosi a lei , come a me,
furono tolti a forza dal capo i veli mo-
nacali.
4 1 5- Il 6. Jfa poi eke ee. Ma dac-
ché , Contra tuo grado , contro il suo
piscerò, e contro il buon uso, fa par
rivolta dal rliioslro al mondo ee.
417. Non fu dai vei del cuor ee.:
il suo cuore fu sempre quale si ennvi»>
ne essere a monaca osservatrice de'aooi
voti.
418. Costanza. Fn figlinola di Hag-
gierì re di Puglia e di Sicilia. Varj alo*
liei narrano che , morto senza igli Go-
glielmo II , nipote di Costanza , oceopò
il regno Tsncredì ; ma poiché non ob-
bediva alla Chiesa, rareiveacovo dì Pa-
iamo, capo del partito a lai cootrarìe,
levò nel I486 Costanza dal mooaatero
doveerasi fatta monaca, e la maritò d
figlio del Barbarosaa Arrigo V detto al-
tnmeott VI come re di Germaiùa ; onda
il regno di Sicilia e dì Puglia passò alla
casa di Svevia. Ma una più sagace cri-
tica, e nn migliore stadio della storiaci
ha fatto conoscere che la sappoaìóaia
della professione monastica di Costaosa,
come anche della soa etk dccGoota a
vecchiezza quando si maritò eoa Arrift,
sono invenzioni degli storici di porta
guelfa, che vollero con ciò far erodere
che Fedmco 11, che nsscevo di Cmt»a
za , fosse r sotirristo , di cni oppaote li
fsvoleggiavs che nascer doveo da noa
monaca vecchia. Costanza nacque vero>
mente nel 4451, si sposò od Arrigo
nel 4 486, cioè in età di 32 onoì; uè
visse mai iu un monantero , ma seainrt
nel regio palazzo : Erat ipti regi, <nce
Kich. de S. G«rm., amila quigdamim
Palatio Panormitano, qumm idem rex
Guittietmus tieni ico it^amaimoniii
rr^i in eonjugrm tradidil. E il Fal-
candu palla di Costmza come di ona
principetnn educata in tutte le delìzie
regali. — Ma Dante anche qui ho a^oito
l'opinione c«<miinedei soni tempi.
410. Che del serof»do renio ài
Soaté. La purola vento putrebbe cwcre
il partii-ipio arrorcìato di «oniro» •
meglio dai* antiquato reumi; tome
si è veduto u«ala contento per coateMt'
lo, «irto per ur(a(o ce. L in tot coso
CANTO TERZO.
SU
Generò il terzo, e l* uUima possanza.
Così parlommi, e poi cominciò: Ave,
Maria, cantando; e cantando vanio
Come per acqua cupa cosa grave.
La vista mia che tanto la seguio,
Quanto possibil fu , poi che la perse,
Volsesi al segno di maggior disio:
E a Beatrice tutta si converse;
Ma quella folgorò nello mio sguardo
Sì che da prima il viso noi sofferse;
E ciò mi fece a dimandar più tardo.
120
Ki
no
Arrigo V sarebbe detto il ieeondo vtmto,
o reouto, di Sowoe, io qaaotocbè
ne tu ttàlia «lupo il BNrbarosst , veou-
toTÌ il primo . e fa il padre di Federi-
(vo II , che fu raltimo di quella ctia ad
«▼er signoria io Italia; e questa sa-
rebbe la spiegazione più sempliee. Ma
io inclioerei a credere che tento fossa
qai nome^ e cbecosì abbia Dante toIq-
lo chiamare quo' tre imperatoli Svcvi ,
perchè poleotissiroì sconvolsero coma
venti tnrbinosi singolarmente l' Italia.
Oltreché) nella metafora del velilo è
anche compresa V idea della instabilità a
fu(;acitè della potenza dì quella Casa.
Mi si dirhcbe nell' insieme taf metafora
4; ardita , strana : ne convengo, ma oi
fi4mto pia poesia. E anche il Profeta Esa>
chicle, da coi Dante tante immagini tol-
se, dcaigoò col nome di ventui turbi-
mii, il ra Nabueeodonasor. In sonuua^
qoi è tutta questiona di gusto^ e ad
ognuno è permesso seguire il suo.
Quanto poi a Soave per Soavia, o
SuacUi, dal latino Suevia, fu usato
anche in prosa da Dsnte medesimo nel
Contilo: Federigo di SOAVE ultimo
imperatore ee.
422. ««mio, 8Tan\: 0 con quc&to
svanire par che il Poeta voglia far no>
tare che V apparizione di questa anime
era qui istantanea ; che la loro dimora
era nel cielo empireo , coma dirà net
Canto IV.
423. cupa , profonda.
426. al cagno di maggior ditio,
all' obbietto più desiderabile , cioè , a
Beatrice.
429. noi tofferee: int. il folgorara
di lei.
CJJVTO OtJARTQ.
Dm» émUj mgUMo tgnatmtmi» rrnmlmm tfM J^M: il prima i l$mrm Mm doMmm éi PUkme,
«ht mfftrmm tutt* It mmlmt torman «Ito 0ltU* «aito tono partito; l'atro, tomo ilo gimsté tho, 40*
tiolOMMM loflio Uèonà É ootpa, étatUo mmmo fonmto m romport ii ooto abbtsno scemumomio di gt^
ris. Boatrtoo toggt in Domto putiti dtMJ, o pnwemtoéoio gUetl éUkiarmt dot ^puUi oppmtot» lo
li f mando so pottooo l voti por ottr» bmmto aptn eómpomtoni.
Intra duo cibi, distanti e moventi
D* un modo, prima si morria di fame,
Che liber uom l' un si recasse a' denti.
4-5. Intra duo cibi ee. Cn
libero e poeto tri^ due cibi egnalmaota
«listanti da lui ed egualmente eccitanti
in lui F appetito, ai morrebbe di fama
prima die n recasse a' denti , si met-
teaae in bocca, Puno dì essi. PropoMio-
ne verissima : che la nostra volontà, per
risolversi tra più cose alla scelta di wm,
ha bisogno d'un motivo preponderaste
qual che siasi : diversamente ella si ri-
ÙO
DEI. P*B»01St>
Sì si starebbe un a^o intra duo brame
Di fieri lupi, igualmente temendo:
Sì si starebt)e un cane intra duo dame.
Perchè, s' io mi tacca, me non riprendo.
Dagli miei dnbbj d' un modo sospinto.
Poich'era nocessarìo, nà commendo.
r mi iacea, ma il mio disìr dipinto
M' ero Dei vi.'^o, e il dimandar con elio
Più caldo assai , che per parlar distinto.
Fé si Beatrice, qua! fé Daniello,
Nabuccodono or levando d'ira,
Cbe l' avea fatto io giusla mente (elio.
E disse: Io veggio beo come ti lira
Uno ed altro disio, sì che tua cura
Sé stessa lega si, che Tuor non spira.
Tu argomenti: Se il buon voler dura.
La violenza altrui per qua! ragione
Dì meritar mi scema ta miBuraf
ÀDcor di dubitar ti de cagione.
Parer torna rei I'
e alle .«Ielle,
I
^orcHBKJjiàpolrDbLadeUiri
*-Ì.SltltHirfbbcunc
e.dame.ittnmt, Jim!.
7-9. PtrcM. l'iotnitatta,
\r. ■ ini.: Pere**, liondu,» io,
foiH •l(li> iliilialD, aproiD
ti B\i6, BD Cod. TriiuLi. ■
biBnii pM chiar» aliai.
•Hiialla; eoA
i/ÌJIiDl>,alÌM
efilìt,bm*t-
gi'mdoii/^bl-
J»,Ì
Z'IìZ^
iDB iivr «a«n
.«1 r.
di tHor*. h»
dilli.
«inKali di
. li (ira, lii
>ripMidon>»d<i
n-
-i».Sflltt,
ia(«!-ri.»>.ld.
mcdffii
1.— (iianir«,l»l
Ìnq,.i.>
.,0Sli..-«
A*^i»r™..I*
ri..»
. u ««ihtl.
. »a p.rt.U.
19- 20. Se ili»
«Mtolerdirim
Hilbl
ioD>oh»d;
conlinni in
m»,p»y,ù,
'.llrKi .iol«
.» K. Q»W 1
primo.
ià dghb. di
D.nt<.
23
Parerti-,
IflfHM. OUtttìt
» «r
™. di dubbi, «p««^._
in cenobi»! dubbi
(, (Kg Utnwnt.U-
Secondo la sentenzi di Platone.
Queste son le quistion che nel toc velie
Fontano ìguàlemente; e però pria
Tratterò quella che più ha di felle.
De' Serafìn colui che più 8' india ,
Moisé, Samuello, e quel Giovanni,
Qual prender vuogli, io dico, non Maria ,
Non hanno in altro cielo i loro scanni,
Che quegli spirti che mo t* apparirò,
Né hanno all' esser lor più o meno anni.
Ma tutti fanno bello il primo giro,
E differentemente han dolce vita.
Per sentir più e men V eterno spiro.
Qui si mostraron, non perchè sortita
Sia questa spera lor, ma perfleur segno
Della celestial e* ha men ràlita.
Così parlar cpnviensi al vostro ingegno.
Perocché solo da sensato apprende
iH5
25
30
36
40
25. nel tuo velie, nella tavroloo-
U, o nella (aa anima. È uo infioìto an-
tiq. traUo schietto schietto dal Ut., eo-
■le sopra fise.
26. Fontano igualemgmU, pigiano,
frntitano egualmente.
27. che ptù Ka di fette» che ht piò
é» fide , di Teleao : intendi releno di
falsa dottrina , e più contraria alla cri-
atìaoa Teologia.
28. più t^ india, mh m «msee a
Dìo, pia s'interna in lui.
90. Qual prender tuogli: cioè,
^«■le Ca togli prendere dei dna Oio-
ranni , o il Èfaltrsta o PETangelista. —
non Maria, e né meno Maria. TNittala
frase dipende dal Non hanno in altro oc,
54-82. Non hanno in altro eÌ$lo
oe.: tutti gli spiriti beati sopraddetti non
hanno i sm^ loro in altro cielo direrso
da qaello ra cni stan veramente ali spi-
riti che ora qui ti apparirono : aoitane
tatti in nn cielo medesimo, non per di-
verse stalle, come Platone sognò.
83. Né hrnnno àll'etter loroe,: né,
siaeoaBe segnò lo stesso Platone, hanno
on naggìore o minor nnmero d'amii
deatìsato al loro eaaer beati qaassè*,
oa^: nò rimarranno nel loro state
beato piò e meno anni ; ma saranno in
cielo ctaraamcnte.
84*86. Ma tutti ftnmo Mio, tatti
abballano, adornano, il primo QelO|
V Empireo : e tì hanno dolce vita, bea-
titudine , aifferentemenle, maggiora o
minore, per eentir, secondo che niè a
meno (in ragione dei meriti lorm sen-
tono r etemo spiro, lo spirare di Ilio, o
r emanazione della sua gloria.
57-59. QuiiimottraronM. .Qd si
mostrarono (Piocarda e Costanza), non
perchè sia toccata loro in sorte qaasta
tpera o sfera lunare , ma per sigaifi-
care che come questa tiera ha men !•-
Kto. è meno elerata d'ogni altra, casi la
esiliale, la spera celestiale {qui f^
ra è preso nel senso di grado o eaBcU-
xiooe), toccata loro, èia meno alta, a è
V mfima.
40. Cosi parlar concienti. Non
e* ara altro meuo che questo, materiale
e aensibile, per dsre ad nn nomo come
sei un'idea di queste cose spiritoafi e
divine.
41 -42. iolo da sentalo apprmie :
impara aolamente per ria degli éUetti
teiiialt Isensibili) le oose che noi £?afi>
tane degna materia dall' inleAaltoé dal
ragionamento umano: cioè, tatto le'idee
tengono all'anima per meuodd sasm.
Questa era la dottrina di Aristetele a di
6. Tommaso.
I
Ciò che là potala d' intelletto degno-
Per questo la Scrittura condescende
A vostra facdlale, e piedi e muno
Atlribuisce a Dio, ed altra intonde;
£ Santa Chic^ eoo aspetto umano
Gabrielle e Hicbel vi rappresala,
E r altro che Tobia rifece sano.
Quel che Timeo dell'anime alimenta
Non è simile a ciò che qui si vede,
Perocché, come dice, par che senta.
Dice che l' alma alla sua stella riodo.
Credendo quella quindi esser decisa,
Quando natura per forma la diede.
E forse sua sentenzia È d' altra guisa
Che la voce non suona , ed esser punte
Con intenzion da non eiiser derisa.
S' ogl' intende tornare a queste ruoie
L'onor dell' Influenzia e il biasmo, forse
In alcun vero sno arco percuote.
Questo priticipio male inteso torse
Giù lutto il mondo quasi, si che Giove,
*S-ii.Per furila hSeriUara re. K-SI,B font ma tri
Pernala la Sacra Scrìllun romfemn- Int.; pnt fuora •««! che
da,rM«iiH>ili dilli Mia npronuni, nel Ji Piilonf aia iHimo Ji iji
na KngHOiyin, alla linln capaciU. i prewalalu dalla wa paro'
45. arf lifrcr iiifflufff, d« irdal clia BmUiua Ai ma lÌAliIada d
n«aas la parala. d' asur drii.o.
411. B I- altro ^TaHaie.: ['ar- AS-GO S'a^rmlamtaac
cunprtiO Is ipirilD dell* Cbiaaa ntl a «iriù, ora 4 liiìo , lorai ii
allo Jdla immagini ; nt l« dk biaaiino binimi di ma ili-llg, fona
« frawalaia a fulTa Igoaraan lua na
49-SI. (furi eV nauM *e. QBdIo
rh< dica flalaM nai Timr» (g»> aa'iusi Dalli luna, a dinoUn l> iiulaMliU 4a
dialoglli) Don t on'immiEine, Doa llgu- <|iinl pianala in lora inDaila. — TLUu
rt di Ulto di'af li laglia tara per quntn però ddb inlEnde 1* esca in ^1H*U f*-
nima inWndare, come ti tadc «arra ilniiano.
■qanMncidolnnira; ma parccliaeBli ei-fiS- Quello prltielplo. tìat fi
na T JntiBa ai l imen Dcoritir
re|«l*aJall ipinxtl a rtfulilì 4
CAUTO qaAMLTO. 547
e Marte a nominar trasoorse.
L'altra dobìtazion che ti cooomoove
Ha meo velen, peroocbè sua malizia 65
Non ti potria menar da me altrove.
Parere ingiusta la nostra ginstizia
Negli ocelli de' mortali, è argomento
Di fede, e non d'eretica nequizia.
Ma percliè poote Teatro accorgimento 70
Ben peiu9trare a questa Tentale,
Come disiri, ti forò contento.
Se violenza è quando quel che paté
Niente conferisce a quel die sforza;
Non for questa alme per essa scusate; 7S
Gbè volontà, se non vuol, non s'ammorza.
Ma fo come natura foce in ftioco.
Se mille volte viotaia il terza;
fi
minart ù l«egetM «iMiMMNrf, far ■•• ncioM b? ctm «Ulla eredikililk, t cW
"!*. '^. ^^^^^i^ ^^* questo irarbo d«- mIU mm ' dimoatrtbUi • iiitallifi^ili
■•• d ha loogo la /Ma tona tirti !•••
lama. Sa dno^aa la fiastoia di Di*
(eoa è aaeha gìwtiiia «auffi^ parelièQ
Metro nadÌMra è aaifonDa al |aidi
etra i» Dio) atmbra alesM valla a|^
aechì da'aortali on'iapÌMtìiia, cièdOT*
eeaara aifaiDtiitoysabwtto di leda, Mila
iafeUìbiliià di Dio ri? alanta, a Balla aa-
■oadola boc^mu dal voilro inlallaltoz
non ragioM a eaparbo fifittamaifa a
W HM^M#0 ^P^V^VWOi^B^
75-75. Sé vMmaa ae.: sa vara vSa-
laosa è mando qu^li afta fM<e^ eW la
soffra, Ni§tU9 €omf$rite$, bob aaea»-
asato , Doo sderìsea io aiado alcoBO d
f oWra di chi sfona, Pioearda a Csitaata
aao forooo al laUo seosato; psrciaaahè
avaodo slcoo poco adariCo a aolosa cho
la trasaaro dal mooistero^iioB si pBè af-
fsmara che foese sseolutaiBaBla fatta
laro videota.
76. Ckè voUmtà, 99 BOB vmol,
BOB s'oaiBiorsa: perocché la voloBth
aon paò anoieoUna, perchè Faniia k
aai nsiado non è ca|>ace di Tiolaaaa.
77-7S. JCa/SseoMCBalMni aa.: bm
fi eoBiasaola aalarabocnia la iaBUBa ,
cha , sa fiolent^manto è torta alla iagia
mille tolta , si ritorca allo iasA» •» U
tona, lo torca.
-Dai,ofacendoaaa1trattaBeDei. 11 ressa ami cantrariarla. ta dati
'«ramni torrchha cha in teca di «»• darti eha il aserito dalU fedo
rehho ballissiino senso e sarebbe dello
atcsso conio che l'taealara, l'iBiKari,
l'iBMsarfi ce.; ma l'iodorra aaa
naoTO lenona senza nn assolato biao-
^ ^scchè sncbe i^BomlMrf paò
Bell' inaienia della frase roadara il
««•catto stasso del BWBÌB«iniA, a eon-
tra Pantorith di tatti i Codici a stan-
f Am si conoscano , mi è parato an
arfira aorerchio, a mi sono attaaoto
all'antica.-- Dice quoti iuUo U moB-
do, perchè il solo popolo ebreo bob
parteopara a qncslo falsa opiaioni,
arando farà idea di Dio e daUa
aoaa.
64. l'olfra dttWtoxioB , cha è co-
BM peeaa scemarsi il merito in chi, par>
scf arando nel bnon t olerò, è tratto par
▼iolenxa a mancare al voto. — «ha ti
eommuote, cha ti agita, cha ti tiaoa ia-
^aieto.
66. JYoB H jMtria «e. , non ti po-
trebbe allontanare da me ; die è ^nto
dira, secondo il senso morale, dalla
doUrina teologica, a dogmatica: par>
ciocché potrò convincerti anche calla
sola forss dall' umano ragionamaata.
67-69. Pm-tn lagiBsta at. Gih.
fsaad'aaco si trattasse qni di cosa, a cai
raaMaa ragione non arritasaa, a pa-
Perchè, s' ella si piega assai o poco.
Segue la forza ; e cosi queste fere,
Polendo ritornare al i^nlo loco.
Se fosse stalo il lor volere intero.
Come tenne Lorenzo io su la grada,
E (ete Muzio alla sua man se\6ro,
Cosi l'avria rjpiaie per la strada
Ond'eran tratte, coma turo sciolte;
Ha cosi salda voglia è troppo rada.
E per quesle parole, se ricolle
L' hai come dèi, è l' argomento cassi.
Che t' avria hlto aoia ancor più voIICl
Ha or li s' attraversa uo altro passo
Dinanzi agli ocelli lai, die per ts stesso
Non n' usciresti, pria sai'esti lasso.
lo l' ho per certo nella mente messo,
Ch'alma beata non porla mentire.
Perocché sempre al primo vero è presM:
E poi potesti da Picearda udire,
Che l'atfeiion del vel Goalanza (enne.
Si ch'ella par qui itieco cootradire.
Molte Gate già, frale, addivenne
Che, per fuggir periglio, contro a grato
0. ^»re«. l'ilio «. Per luti il Li! iaU» cime lontien». -
•file Inibita 1*
■BBanlD tiani Ptnirili < CnUn».
■plcilD.
81. Ptltnda ritornare te. ««,•
9i.unailri,paae.,B-ùtnm-
«m. m
Mai. Il Cod. Buhilioi ea .Ilei buooi
Codici l»iii>» P„ltnda TifugglT mI
f"i- M
04 10 1-Aapereerto.c. Vdfl
82 tiiléro, piifdlii, in nicole iikd-
■S. Come (emù: «m. quel r»Un
Cenoni, <'niiSI><»g. J
IT. BpolpoMUtt, Vedi U Ca»
i.rn,.r™iis.i.jg.
eh. Icuts trrme f» ih I> grada, ia
39.£l<r»'(lta K.: •'■cbePieMri*
(■III intltnli «.
gf.ir«.e8«.»l. B™,De,ch.,
per die me» contrldìei, iiudn 1»
dcue (il tene 80) che ititele duM
Itllilg il ealpo tooln PorMime, fan li
m d.tr. uù crboni erdeoli ,<>HÌ .
piten.
pni.!..
*00-t02, «lille /t«(»SW,rr<«».at
89. ratria rt/rfn(e; li tBrm» tb-
dlceHniee. Iiileiidi:>pauv.>ilc, Bfn-
bo» PtmblHi mpinle, riin«e, «e.
tello, iivenai che, por itilti* uo pvi-
M: «me /br» •ct«»e, ■ppent la.
pw. tiUr. delti «-leti f.lN ter..
enla , ei tece miMro a griMa. auDln le
S»-M. ee rl»ll( V hai «.: »
Il U rionatt uUt sMte, n I*
di te-.,
GAIilTO QOAaXD.
Si fé di quel che far non si convenne;
Come Almeone che, di ciò pregato
Dal padre suo, la propria madre spense:
Per non perder pietà si fe spietato.
A questo punto voglio cbe tu penso
Che la forza al voler si mischia, e fanno
Si che scusar non si posson le offense.
Voglia assoluta non consoite al danno,
Ma consentevi in tanto, in quanto teme,
Se si ritrae, cadere in più afiknno.
Però, quando Piccarda quello spreme,
Della voglia assoluta intende, ed io
Deir altra, si che ver diciamo insieme.
Coiai fu r ondeggiar del santo rio,
Cb' usci del fonte ond' ogni ver deriva:
Tal pose in pace uno ed altro disio.
0 amanza del prima amante, o diva,
Diss* io appresso, il cui parlar m* inonda
E scalda sì, che più e più m* avviva.
Non è r affezion mia tanto proibnda,
Che basti a render voi grazia per grazia;
Ma Quei che vede e puote a ciò risponda.
54f
i06
iiO
iH
190
^03. Àlmeone. Costai, pregato dal
■lorìlionclo Aofiarao suo padre, e Tinte
dalle preghiere, occiie la propria ma-
dre Enfile. Vedi la outa al Terso 50 del
Canto XII del Purgatorio.
405. Per non perder pietà ee. Per
non niancare alPamor Blìale, alla pietà
Terso U padre, dÌTenoe crudele, mance
alla pietà doTuta alla madre.
407. Che la forza ee. Vuol dire,ebe
la violenza non esclude assolutamente
il Toluntario, cbe più o meno vi ai
nniace.
408. U offenu, le offese a Dio, i
peccati.
400-444. Voglia attoluta te. Nel
caso che la Tolonlà si coogiuoga eolia
TÌolenza altmi, essa volontà non accon-
senta al damno della cosdeoaa, al pec-
cato, assolatamente, ma t' acconsenta
io tanto, in qusnto teme, ritraendo-
sene. di cadere io msggiore affanno.
442. quello ipreme, esprìma, dica
di G>staaza quel cho ha detto sopra.
445-414. Della voglia tutoluta te.
Piccarda inteode dcl'a volontà
Inta^ eba rìtenna l'affetto al vota —
naatioo*, ed io intendo della volaatà
condizionata, cbe è aaella cba è pie da»
tideroaa di schivare la pena minacciata,
abe di oaservare il voto; sioekà en-
trambe diciam vero.
445. Colai fa Vondeg^iarte, Mo-
do figurato cbe vale : cotal fo il ragi^
narc di Beatrìce , cioè, l' insegnanMnto
della Teologia, la quale è coma fiuM
cbe da Dio , fonte di verità , a Aoi di*
scende.
447. Tal potè i» pace te.: tale
ondeggiare, tal parlare, aoqoatè tatti i
miei desideri .
418.0 awuuua (voca ant. cba vak
donna amata), o amore del prima
amuite, cioè , di Dio. — o dima, o di*
vina donna.
424-4 22. JVonil'a|resMm mio.- par
affezione s' intenda qw ditpotiaiom ,
capacità d'animo. — • rtùider fiai, a
rendervi. Il Barldioi ha Ifon è la •««
«sta. — grazia per graxia, ringraiia»
mento |>ari al favore.
423. Ma Quei che vede, Iddio.
Io veggo ben die giamioai non si sazia
Nostro iiitellello, se il Ver non Io illuslrj ,
Di Inor dal qaal nessun vero sì spazia.
Posai!! in e<tso, come fera in lustra.
Tosto che giunta l' ha: e giu°;ner pnollo;
Se non, ciascun disio 5arefot>e frustra.
Kasce per quello, a guisa di rampollo,
Appiè del vero il dubbio: ed è natura,
Ch' al sommo pinge noi di collo in collo.
Qiieslo m' invita, questo m' assicura.
Con riverenza, Donna, a dimandarvi
D'un' altra verità che m'è oscura.
Io vo' saper se l'nom pud soddisfarvi
A voti manchi si con altri beni,
Ch' alla vostra stadera non sìen parvi.
Beatrice mi guardò con gli occhi pieni
Di faville d'amor, cosi divini,
4 25. I> il fn-ium lot'lluilrn : ciot.
piiir<iaipolli;rin;iDfÌmDnn,«Mi
M DDB t. ittamii» il primo V«i>, Iddio.
Ì26. Di tuar dal ai»l u. Fuori
du coli' sculo doìdirio <*« ti ««■»■
«A 10.1. non ti ipa-.ia. aon « difloa-
M, U coaducon. .d.BÌo .dipo 1 nm
TcriU, itiapn progredendo, ÌmU M
iZJ. «i«u fir» in iHiInt, ton»
giao|;i il primo t«fo, e l' k<ibiIì.
Gtri ad »o covile. UdJiuim. pon-
431-132. •rfJMluraio.iadtw.
feaeì cbt ognuo ■> con uvaai, imi-
rilt l'irai» .d>* • dircnd' il xro, u»
di grido ia eridc «idi l'nmi» M
*o)M (U lo «bbl. troolo . iTtdi aTtrlo
1(11» .11. cognirione di Dio dilli «•
Irnala: ■ aa lono «teninia i mirtiri ■
• Glout. Luflra * loce l.lin., «1 i
■Bartill. che IMI Mala al fotlM-, MW
JliHi il Pelnrei. — colto , >ili mM
fitti di in neiilro pluiilt, nun gii ro-
dtl «axfi.' oai i iuta figont., • wb
di gc.do io grxdo, di ilK»* ia iltam.
i«(r«r
Si leeenni iIIe kiIi Fliloniebf , mah
m.i,(«p.5rp«Ha.Ia<.:rp„4
p<r.i.d'.n.>ni|p<>ÌFlà<piàFwflll»i
iMMdt .1 Hoimo beai.
133 Oo"» m'itila. Qual'tc
Jiaediaaiflri.
429. eUlcIfiUio, H deuo d. cii-
)30.)S8. h toUaprr «. Ili,
•«no 4i Bti. — ia.Titti fnàrtrt. m-
io Toglio HMre K ■ «oi iblUlan' dd
rAU intiM, Toa l.i. Iddio iimdo
nolo, .b> aaitormllo i t«l<i daUcrl ■
««Ili di Dio, pu6 l'anma .«ddiiliri.
itftn il Ttro, ri la «icriiio rbe lo po-
ifimna «111 aoiln dilijtnn ng^nn-
>o,e-, chi » ciò DQii IviH, liei dni-
il<ra.rbi>pc^l'o'lli •min ginliiii.
■,ontì..o«„«:ÌB.,„ pinti, »d
• Dio ano i OHnIen di *iaiU.
ptBuiìoai di iM. rnioiUia » ^S^L
JM.pwjwJlo.rio*, pwrii, pff
M «Mi..; n,„o di quel ^uio . Va.
ito. enti A'Hof, Ifini ti «H
«(mM 4i «por.. - . fHlM di re-
«J (Mi» Uà. ed II GlnWiU^I
pella M. Pi«u o» libero, dite .1 &!•
lei-KHii p.à ehiui dilli naiM^H
nidi, • gli radi «rpm il p«Ui fìd •
m
CANTO QUARTO.
Che, vinta mìa virtù, diedi le reni,
E quasi mi perdei con gli occhi chini.
U^'^2.Ck9,9imlmmiatirtU,ec,: Toltai pOTrìparanni da qvello, fi fuoii
•ha oppressa per soperchio lane la mia mi perdei, e ooasi raitai •marrito por
▼irta o facoltà vitifa, diedi Ureni, mi eoo gli oechi baiai.
MUfométmdù BtàtrUt mttm fuétUmu pnpuUU im D»mU, raglom étttm mmimm étl fM^ •
r UgkM ptr futtt» U promUut», • mmg fvtsm nmmmtmnL Foiimtt qmmdt Mnw Im pmiU pA
Jmom tf«f dtto, irmamUm cof segmact «fiiiM* mallm ff*m smptrtart di MtrtmHo, é09$ grmm mal-
mtméùu di *mK tplrU M'mfftUm Informa mi PaHm, té mm di ^mettt m gli ùffn pnmm md mppatmr*
0gm tm dutdaHa, l» dammtdm ejU^darl OM A«M/ • !• Sfirif mtl fmttm di rUpmdwgtt
«*c»viM di tamtm Imcf, cft'«< bm m tmiUm» Im akim.
S' io ti fiammeggio nel caldo d' amore
Di là dal modo che in terra si vede,
Si che degli occhi tuoi vinco il valore,
Non ti maravigliar, che ciò procede
Da perfetto veder, che come apprende,
Cosi nel bene appreso muove il piede,
lo veggio ben si come già risplende
Nello intelletto tuo 1* eterna luce.
Che vista sola sempre amore accende ;
E s' altra cosa vostro amor seduce.
Non è, se non di quella alcun vestigio
Mal conosciuto, che quivi traluce.
Tu vuoi saper se con altro servigio,
• tae dimoitraiioni, colle qoali ai Tede
• la Tcritè certissimamente, a il avo
• tito sono le sue pcrsnesioni oe. a
5. Da perfeUo veder. Dal mio per-
fetto vedere io Dio.
9. Che viita $ola ee. Coatr.: efte
ioìa, tittUf tempre ec. Che iolm (per-
rhè ooo w'è altra cosa cbe abbia qoe-
IO
4-4. S'io ti fiammeggio ee.: te nel
foeoodel mio amore fiammeggio ai (noi
orchi, afavillo di luce, si di Ik di quel che
vedevi in terra, talché la Ina vists noa
pnò sostenerne lo splendore, non ti ms-
ravigliare, che ciò procede ee. E ae-
eoooo l'idea rappresentata da Beatrice,
vaol dire: non ti msra%igliare se la Teo
logia qoi in cielo è più illaminata cbe sta virtù) redats cbe sia accende in per-
iti terra; perciocché esse in cielo com- petao dell'amore di sé. Ma vitlm foto
prende piò perfettamente il bene, e a potrebbe anche intendersi, veduta seom«
miaora che lo comprende, si muova
verso di Ini, e del suo amore s'accende.
E nel Conato si Ic^ge: e Bestrice fign-
• ra la divina scienza risplendenta di
• fotta la luce del suo saggetto, il
• qasla é Dio.... nella faccia di costei
• appaiono cose cbe mostrsno de'pìa*
psgoata d'ogn' altra cosa materiale cbe
possa ofl'nscsria , il che non ooò avvo-
nire cbe in paradiso. Dante ha già eo-
minciato a gustare il sovrumano piacerà
deUa verità nella sol azioni di Beatrìca.
40. seduce. Intinga, attrae.
4M2 se non di fuel/a, cioè, di
• ceri di Paradiso, cioè negli occhi • quella eterna loca. — alcun tetUgio
• nel viso. E qui li conviene sspera ee., alcun raggio di essa luce, eha nella
• che gli occhi della sspieozs sono lo create cosa si mostra.
Per manco vola, si può render tanta,
Glie r anima sicuri di litigio.
Si cominciò Beatrice questo canto;
E stcom' uom che suo parlar non spezza,
Continuò cosi '1 procosso santo:
Lo maggior don, che Dio per sua largheiza
Fesse creando, e alla sua bonlale n
Più conformalo, e quel ch'ei più apprezza.
Fa della volontà la libeitate.
Di che le creaUire intolli genti,
E tulle e sole furo e fon doUlc.
Or ti parrà, se tu quinci argomenti, n
L'alto valor del voto, s'è si Tatto,
Che Dio consenta quando tu consenti;
Che, nel fermar tra Dìo e ruomo il patto.
Vittima (àssì di questo tesoro.
Tal qual io dico, e Tassi col suo olio. IO
Dunque che render puossi per ristoro?
Se credi bene usar quel e' hai offerto,
Di mal tolletlo vuoi far buon lavoro.
Tu se" ornai del maggior pualo certo;
Kla perchè Santa Chie;;a in ciò dispensa, s
29. raiinta faM te. Si ti —in-
> ■ 1^0 di ijKOla gran taat» ii ii
pirla, ci» dilla proprìi liberti.
"!■" 1"'' ™ " f"* ' .'
per raion, m compeouiiMa 4»
32-33. St rrcditt. S. credi « t»
Icr [ir. bUDQ ino di .oclli likA A»
hù .([«ria . Di» , rivolgnidoli ad riw
pulan.
20.F.H,,[™..,d.II'.Miq.^,r..
p«t«e.
Gne, <|u»la Ei l. il^MB eh. «dm*
2l.nw/-ormfllo,«™f<.rai..
p.I.r (in (Hon lacero, opera baM*.
U. fino, fgroni.. Fura è ditto ri-
Di mal lolletle, noi di uaa aai telti,
■|><lloaUiieri»tiiroDiigclirbe;iD>>, ri-
rubata.
tpellD ilio idinia dagli uniuixi, chi Dio
M- dil tnGs3ior ptuito, JaD'ì*
cni 1 man. 1 mi» eh. ai («oiaD. i
55-3T ira prriAi u. Hi yiàà
circi rc»ertiiuad.->olil.SuU CUOI
25. firinei, da qanlo priDcìfis. —
Hporrd. liti lui miiii[alo.
20-27,.-Ìil/'aUoM.-i.1lT.loé
co» p.t m. aclla Unonj p.ni» o»
di cu. iilc.elu Dio u»D»nL. Ji riu-
ii.p. che In li prepari iriaTircQók
cl>e ti porgerò, cioè, 1 udir* !■ dgllnM
28, Chi, tale q.i impti-eioechi.
eh. li tattt maulTcaU.
CAUTO qujiria
Che par coltra lo ver eh* kx t* lui leovert»,
CoDvienti ancor sedera an pooo a menaa.
Perocché iL cibo rigido e* hai presa
Richiede ancora aiuto a Ina dispensa.
Apri la mente a quel oh' io ti peleso».^
E férmahri entro, chò non 4 scieoM,
Senza lo ritenere, aveva inteso.
Due cose si convengono ali* esseon.
Di questo sacrificio: V una ò qpella
Di che si ia; V aitr*ò la convenensa;
Quest* ultima giammai non si cancella,.
Se non servata, ed Intorno di lei
Si preciso di sopra si favellai:
Però necessitato fu. agli Ebrei
Pur r oSérere, ancor che alcuna oflénla
Si permutasse, come saper dói.
L' altra, che per materia t* ò aperta, «.
Puote bene esser tal, che non si folla,
Se con altra materia si converta.
Ma non trasmuti carco alla sua spalla
Per suo arbitrio alcun, senza la voHa
E della chiave bianca e della gialla ;
Sta
40
60
63
sa. lidio rigido, sono Io dotiniit
incili.
89. MkkUde te.: «bbisogoa £ nwàù
per U Isa diipetMa , cioè , por lo dì-
MMMf«, Bar lo dislriboire cka di «ho
aW 4m un lo ttomaco per la parti
dal cana tao; eba è quanto dira, par
la taa dSfialiaaa. E spiegando la metafo-
ra : luì Uà^fM aacora di altri scbìarir
, far pasatrare beo addantro la
f ariti della aia parola.
4I-41.CU fto» fm fetenza ae ^ aa U
rìtmiaasa qael cbe l'io-
tallatto «aa folta ba inteso, oca sa-
li islla, daccbè tt^pmrt 6 ri-
44-41k IHmtetUnacri/Uio:éé9%'
«rìScio dtf fia Dia dalla propria libertà
colai cba ai vola. — l' una i quettm Di
cAa si /Sa» cioè, la eaaa della ^oala si fa
vaia, caaia aarcbba la rerginità , il di-
ciaaa, • aìaùla, dia i teologi cbiaoMoo
la aMteia dal Tato. — roilr* d to aoM*
vaaawta, àaè , la cooTaniioae, il patto
steiao cIm si fa con Dio , il qaal patto
dai taalog^ 6 detto la forma.
46. non ii eciwaUs. iDlaadi: di
Saaata commuciiui T mhbo aansi ada-
tta sa noa osaarrando la praMiMA.
fatta a Dio: perd6 fa coBaadata agp
Ebr« di offerire, sebbaaa fa paroinaa
loro cba bvaea di oua easa pntaiaara
offerìma uo' altra.
47-48. ed imiorno di IH ae., ad in-
torno a questa promessa ti banarlala
eoa ooelu preciiiona cba bai ocna aa*
pra fai Terso 31 as^.).
49. fiaeeff alalo, naecsailk. È ■•
participio sostaDtirata; seppora Ai n^
eettitato noo piaceasa spiegarlo: w latta
aeccssitb, fn camandata aaaoIntaoMBta.
52. L'aUra, dU ce., la aaaa daUa
mula si fa roto. — c6a par mntmrim.
r è optTla, cba ti è cogioita sotta il
nome di materia del roto.
55. e^ non H falla, oba oao si
arri. — falla, modoooog. dall' aatiq.
falUn,
55-57. ila «Oli IromiiM oe. Ma
ncasumi di proprio arbitrio mali h
miUrìa del voto , saiua la volta e«.».
s aia la girata della cbiara, sansa eba
Ed ogni permvlanza credi stella,
Se la cosa dimessa in la sorpresa,
Come il quallro nel sei, DOn è raccolta.
Però qualunque cosa tao lo pesa
Per suo valor, cbe tragga ogni bilancin,
Soddisrar non si può con altra spe^.
Non prendano i mortali il volo a
Siate fedeli, ed a dò far non Dieci,
Come fu lepte alla soa prima manciù ;
Cui più sì convenia dicer ; Mal feci,
Che, servando, far peggio; e cosi stollo
Ritrovar puoi lo gran duca de* Greci,
Onde pianse IGgénia il sno bel volto,
E Ib pianger di sé e i folli e i savi.
Gii' adir parlar dì cosi fatto colto.
Siate, Cristiani, a muovervi più gravi,
Non siale come penna ad ogni velilo,
E non crediate eh' ogni acqua vi lavi.
S. FìclnijCÌoi, StDlaOiitu
U chìiv* i- oro 0 quelli A'
HO copeedi U dispcDU. Vedi
CuloIX, T. KB.
S9'tiO.Se iacoiadinciii
^b.p™
«fni qilahollB t'opera pn
tinto può , the tragga tu
Ji linlD prCQio che bDji p
61, atianeia. a leda, ■ Lur!
65-60. £ial< fiMi uri minlei
TÒ. Ondi n.! prr la
l>Ì*a« di «unGcarle il pìg . _
ClilinDalri «. Ha leijnitilD
dilli «Uri miioiop
Il . 1 fbtti 1 1
Iti
72. di eoli faiu, eolla, £ td ^
T5. più ir«(, fià rìlvaiU, |ii
CANTO QUINTO.
5t5
SO
Si
90
Avete il vecchio e il nuovo Testamento,
E il pastor della Chiesa che vi guida:
Questo vi basti a vostro salvamento.
Se mala cupidigia altro vi grida.
Uomini siate, e non pecore matte,
Si che il Giudeo tra voi di voi non rida.
Non feto come agnel che lascia il latte
Della sua madre, e semplice e lascivo
Seco medesmo a suo piacer combatte.
Così Beatrice a me, come io scrivo;
Poi si rivolse tutta disiante
A quella parte ove *1 mondo è più vivo.
Lo suo tacere e il tramutar sembiante
Poser silenzio al mio cupido ingegno,
Che già nuove quistioni avea davanle.
E si come saetta, che nel segno
Percuote pria che sia la corda quota,
Cosi corremmo nel secondo regno. (*)
Quivi la Donna mia vid' io si lieta,
Come nel lume di quel ciel si mise.
Che più lucente se ne fe'I pianeta.
E se la stella si cambiò e rise,
Qual mi fec* io che pur di mia natura
ore il mondo è pia tìvo, cioè ^i pieoo
di loco • di Tifa, è quella dora trotaH
il aole, che allora era tali' equatore.
Anche al verso 47 del Canto I dì que-
sta Cantica si dice che Beatrice fisse gli
occhi nel sole.
89. Poter tilenxio: per FatieB-
zioiTe a cai lo richiamavano e il tacer
di Beatrice , e il suo cambiarsi. — td
mio cupido ingegno , alla mia meste
desiderosa di nuove verità.
94-93. E fi come taetta ee. E sic*
come saetta che giunge allo scopo prima
che la corda delParco dal quale si parfi
cessi da ogni sua oscillazione ; così noi,
prima che si acquietasse in me il dub-
dìo, arrivammo al tecondo regno.
95
79^90. Se mala ee.: se sacerdoti
pervcfii eJ avari, o se le vostre stesse
pasmani altro vi sougerisconu da quel
clizia CbicM ordina , usate ragione ec.
Mi Bara cba questo luogo consuoni con
quel Ae peufetava San Paolo: Brìi
iempfu emm gonam doetrinam non
suelimHimi, ted ad eua detideria
comeerveAmU tibi magistrot, pru-
(f a verilale qui-
aterlent, ad fabulat
'tentur.
U.SìekeU Giudeo, si che il Giù-
deo naa abbia a rìdere di voi , veden-
«favi lacerti a vani, e smentire coi fatti le
maivaM Mia religione che professate.
83. Icfcfvo. Qai lascivo è nella si*
giiiearioaa cba ba la parola latina fa-
eeiwut, doè di esultante, gaio, vivace.
Cuak saurra nella Propotia il Monti.
SS. Coti Beatrice: sottintendi:
pmHà.-^La Nidob.: eom'io lo tcri90,
con vaataggio del verso ; il Cod. Pugg.:
com' iù nleerioo.
S7. A quella parie ee. La parte
J*) Cielo di Mercurìo.
Quivi la donna mia ee. Vaol
fare intendere che la Teologia diviene
tanto più chiara quanto più s* inaalia
a Dio, e che accresce spleodore alla
vita attiva , che nel secondo delo è ri»
munerata.
98-99. Qual mi fee'io ee. Int.: se
Trasmulabile son per lutle gui^e !
Come in pefichiera, ch'È tranquilla e pnrs.
Traggono i pesci a ciò che lien dì Taori,
Per modo che lo Blimin lor parure;
Sì vìd'ìo ben più di mille splendori
Trarsi ver noi , ed in ciascnn s" udia:
Ecco chi crescerà li nostri amorì.
E si come e
Vedessi l' ombra piena dì lelìxia
Nel folgòr chiaro che di lei uscia.
Pensa, ietlor, se quel che qai g' iniiia
Non procedesse, come !□ avre^i
Dì più savere angosciosa carim;
E p«r le cederai, come da questi
N'era in desio d'udir lor condiiioni.
Sì come agli occhi mi Tur meniresU.
0 bene nato, a cui veder li troni
Del trionfo eternai concede grazia,
che la milizia s'abbandoni;
lume che per tutto il ciel si spazia
però, se disi!
chiarirti, a luo piacer ti sazia.
409-) 13 Fatta.
II^MT. O 6tni I
I
• ChicM IruafnH
f aUttidett: pria» >t*lli aia
t Cns ali) gacm culla potia
ni Dtllumt «..- Jd h
)•»« J»ino, <!(lli cuna •«
ckt il ip»ti».
«20. Ih «
iiii«^ì4H<éi
■CiSITD QUINTO.
•5«7
Cosi da QD di quelli spirti pii
DeUo mi fa; 6 da Beatrice: Di di
Sicuramente, e credi come a Dii.
Io greggio ben si come ta V amidi
Mèi proprio lume, e che dagli ocebi il traggi, tib
Fsrch*ei cormsean si come to rìdi;
Ma non so cbi tu se*, né perché aggi,
Anima degna, il gr^b4ella spera,
Che si vela a* mortai con gli altmi raggi.
Qoesto diss' io diritto alla lumiera iso
Che pria m* avea parlato, ond'ella Jéasi
Lucente più assai di quel ch'eli' ora.
Si come il Sol, che si cela egli stessi
Per troppa luce, quando il caldo ha rose
Le temperanze de^ vapori spessi; is^
Per più letizia si mi si nascose
Dentro al suo raggio la figura santa,
E cosi chiusa chiusa mi rispose
Nel modo che il seguente canto canta.
la NU., ad tetto Vi?., M Odi. Pm. • 490. mUm hmtkrm , ■IPunmt ri>
di firj Pai. , foncorda con qael dia k ipleodeiita. — DiriUo dirctUmaolt.
al «ano 448. La altra adìa. : Ai 494-452. feni Iwmff ffè. U
nima dd «alo, accondo PinuMgioa-
419. aaaaslM.caBaaddkrat- nona dd Paola , palanao la lara alla-
gmn a gfi altri nleUi aol raTmara la
laea loro. Qn lo amrito interr^thi d
H pie lieto , par l' oeeadoaa aba |^ è
porta di far eantefllo il daddaria di
basta , a di aacrdtara eod la Tifa asa
aarltt. •
459*485. fli caift*... r€fr wnfp^
Iwa, ai Doetfi oeebi. che noo.paeaaM
pie amrfid»— ifw titai, aita itM*
aa, da aè aNdadmo. — fmamiù H cal-
do €0. .* Mando U caldo ba rato, fia-
dpala, i deod vapori aba Umfmimt»
a-falltora de'rani del lala.
459-457. Par pia UUmìm ai m.:
idanaoMota, al, aodla aaatefgwrayaa*
aaadon fotUpiè mpieadanta par la aw
■agfiore allegraBa , d aaaeaaa daBlra
ai aao folgora.
• IMiCaBMaddkrat-
li diTÌaiU.
I S4-4 SS. /o cangio ftaii ae.Parda di
Oaalanlalifa a cibaba lo spirito avara
dalla, la aaniobaMeMMH iwauBti
dd diviDo boia cbe ti ad oMnlalo , a
aaiw IB 9HQ ^HH IO propno aido tipo-
**) * vaipacba lo tramandi dadi oadii,
paaciaaMa aHi camMaaia ricpiaoooBOi
aia— MÉipidUiuMete Uiriaa, oyw
to ffidbd» AUri prendali rM< d «ada
ia^aatira; a spiegano : igceado dm fa
§MmL La ka eamifcaii è dd Cod.
Staard., ad èaoatamita dd DianU, dd
TstdC • dd Niaiiini. Laaan. è«ar-
rwea, ad è riferito a luwm,
497. «Mi, abbi.
4M, ci^H «afa «e. .• aba asaialo
(h ipaia diUarario) pie ddPalIra d-
aiai •! aala, niè tavolala da^iaffidi
aaa dba daai'aUni spara.
Poscìachè Costanlin l' aquila volse
Centra il corso del ciel, eh' ella seguio
Dietro all' antico che Lavina tolse.
Cento e cent' anni e piti l' uccel di Dio
Hello estremo d' Europa si ritenne.
Vicino a' monti de" qtiai prima uscio;
E sotto r ombra delle sacre penne
Governò il mondo li di mano in mano,
E, si cangiando, in sn la mia pervenne.
Cesare toi, e son Giustiniano,
Che, per voler dal primo Amor eh' io sento,
D' entro alle leggi trassi il troppo e il vano.
E prima ch'io all'opra Tossi attento,
è lUbiUlD d( Dia ptr b F*M
5. JVeJJo ilmM fEanp». ■
*-S Pettltchi Coilantii
PmcÌiiU l'ÌDip«r>l<H-C"iliiilia<
l'itili, iDBFgDi drl Tontn{v m
TDenln Q ntD[*ri tona
M pinti i d'orìmlt in t
lo, tUa. tm'tnal; ivir
s™
I , di Trnii ia 111
Em , che lolfB
l'Enropa d.,ll'A<la.
9. £. ri
■ Fila il'allri
I
tra lai ; CnUniinD tmpsrttixlo la teda
iaHriila initi cMlro ti tiilù. a il
riala ntladiMa l'aura tenniigljili, a
;HU» a*lli mil'dl>ii>M fa la rat'aa
d'ItiH t il di,rinii'nli> rial!' Ii)i|<<)n>.
i Cntlt t (nil'aRiii i pii. lai.
aaai 203, diH'iunu J.II'hi iritka.
MS2.I al S2T, ciat dilli piuiti di Co-
CiiHliaiiaa. — rwcrldiDiaM.riqai-
SpiHta'w., (Im a.
42. Otntnitt .-dif
li pirutt. Di JM
fvlla lani '"■
i(i affnto «.. *Ìk
CANTO SEsra
Una natura in Crìsto esaer, non pine.
Credeva, e di tal fede era contenfo;
Ma il benedetto Agabito, che foe
Sommo pastore, alla fedeiincera
Mi dirizzò con le parole sne.
Io gli credetti , e ciò che sno dir era
Veggio ora chiaro, si come tn vedi
Ogni contraddizione e falsa e vera.
Tosto che con la Chiesa mossi i piedi ,
A Dio per grazia piacque di spirarmi
L* alto lavoro, e lotto in lai mi diedi.
E al mio Bellisar commendai i' armi,
Cni la destra del del fa si congiunta,
Che segno fu eh* io dovessi posarmi.
Or qui alla quistion prima s* appunta
La mia risposta, ma sua condizione
Bfi stringe a seguitare alcuna giunta;
Perchè tu ve^i con quanta ragione
Si muove centra il sacrosanto segno,
E chi *1 s* appropria, e chi a lui ^ oppone.
&%0
a
2;>
2&
50
44. Una natura te. Credei eogU
eretici cnticlijaoi che in Crbto fotte tol-
Caolo b oatora aoiaoa.
45. $raaontenlo, mi rìpottTa triA-
«{nlle in aoellt fede. .. «•
4$, il ben$deUo AgahUo, il pepa
Stal^Agipito, che di fatti sappiem ettarti
recato a Coetaotinopoli per trattare di
aloiBe eoae di religione coli' inperatore
(iÌMtiniaflo.
49, $ ciò che iuo dir era, e dèche
rglj afrermava , o la Tcrìtà del imo at-
terto. n Ced. Ceet. ed altri legg.: iofif
erféeiH § ciò che in t%M fede era; lei.
che i chiceatorì trovano meglio corri-
«pMidere ai ▼. 44 e 47 di qae^ Canta.
20-24. Come Im tedi Ogni cofih
Irmid^iane ec.: come ta conprciidi
che di dse propodzioni conlradittoria ,
deva Mettaariamente nna eaaer fera ,
falaa Feltra : ciò vnol dire, ch'efli ?••
deta eoa e\-iaenta.
22. ce» la Chieea «ofH i plM<<
« ioè, preai il diritto cammina che tiene fa
Chieaa ; credei qnello che crede la Chiete.
24. l'olio lovofv, la predetta ri-
forma.
25. Beliiior, Belìtario fu geaerala
d^i tterdli dì Ginttiniano rao rie, ed
ano do* pia srandi capitani del tao ae-
colo. Sono fa mote le aae impreca wtà
Goti in Italie, e le eoa rittorie aai Farti
a eoi Mori.
26. C«f la detira dei dei ee.tU
m\ì ebhero tal favore dal ritto, eha io
rekhi per tegao eho foeae veramaoto
f oler di Dio che io mi ateati ia ripeto
per dar opera aolo al grao lataro dalla
leggi , mentre alla gnerra hattaToao i
oùci generali.
28. alla quetHan prima, alla «ri-
ma domanda cha mi faoeati, dki toir^
i^ appunta, fa ponto, ha il eoo larmioa
la mia rispoata, aTcndoti par ^aetAa
parte aodiai atto.
29-50. ma ioa cemdiiioaa ec. Ma
la eoodizioae, la natnra della riepaela,
in eoi ho dovuto toccar dell'impara^
Mi iiringe, mi afona ee.
51 . con quanta ragione, dee, cee
^oanto poca ragione , eoo qoanto torto.
52. 41 focroMinlo scgiia, la taers
tamia, integra imperitle.
55. E cM 'I t'approprim, I dO-
bellini , che dicendosi tetteottari dal-
l'impero facevano in effetto per aft| ad
erano atarpatori al pari dm gnelfl dM ti
oppooerano dichiaratamente all'imparo»
34
Vedi quanta viitù 1' ha Fatto degno
Di reverenza, e romindò dall' ora
Cile Pallanlp morì per dargli regno.
Tu sai eh' e' feffi in Alba sua dimora
Por Irerent'anni ed o'Ire, in-~ino al line
Clio i [re a Ire pugnar per lui ancora.
Sai quel che fé dal mal delle Sabine
Al dolor di Lucrezia in selle regi,
Vincendo inlornu le genli vicine.
Sai quel cbe fé, porlnlo da^li egmgi
Romani incontro a Brcnno, incontro a Pirro,
Incontro agli altri priocipi e collegi:
Onde Torquato e Quinzio, clie dal cirro
Negletto fu nomalo, e Deci e Fabt
Ebber la fama the v o lo ntier mirro.
Esso atterrò l' orgoglio degli Arabi,
ilii Jr' 11- lo «1 prnprìu figlinidiidi (UkcvU
l>rlliu>n>i l'in col Lalini. fucili noD l' nbi^A
(bbe iilluria : Tr>r<|aila, Hr «
s NigtiUa f» •»■
.IlD.nbbulT^.-
Cirro, è rou lil., chi Tata opiilt
47 Acci Tr* {snida i Dh], idilli
Fabi- UtiUi furooo Ji unaU tnDifliA
io Kaiiii (Iorio» ; u» d.'più diiiti In
a KiIjio HiHinie.il'iaalecnlUait-
upMital^ab-
a. solDHlitr mirr*. IMUmÌm*,
dell'i» i
I.BII MIU aoMls Boa'
I allrs iiopoluiiioi itali)
e pereti ti H ' -■
CANTO sBsra
Che diretro ad Annibale paasaro
L* alpestre rocce, Po, dì che ta labi.
Sott* esso giovanetti Irionfaro
Scipion e Pompeo, ed a qnel colle,
Sotto '1 qtiel ta nascesti, parve amaro.
Poi, presso al tempo che tatto il ciel volle
Ridur lo mondo a soo modo sereno,
Cesare per voler di Roma il tolte:
E quel che fé da Taro inaino al Reno,
Isara vide ed Ek«, e vide Senna,
Ed ogni valle onde il Rodano è pieno.
Quei che fé poi eh* egli usci di Ravenna,
E saltò il Rubicon, fo di tal volo.
Glie noi seguiteria lingaa nò penna.
In ver la Spagna rivolse lo stuolo.
Poi ver Durazzo, e Farsaglia- percosse
68f
50
65
80
63
tf' «irìgiiM araba , o perchè àraki ti
tkmmmun io geaarale tutti i pofoli
I.
54 . L'alpetlre rocce. Le Alpi, dal-
le ^aali to , o Cunie Po, labi, cioè ca-
schi, aecM, dal lat. labor, Imèuit,
Mi.
52. 5*lf'f sto, sotto eaio segno.
5S-54 . ed a quel co/<f, follo il qnai
«e. Intendi il colle Hi Kietnle, alle radici
dal qnala è Firenze patria di Dnnla.
P&nt mmaro. Molti lo rìreràieona al
jggna trionfante io mano di Pompeo:
io crado che ai poeta riferire anra allo
triomfare di Pompeo, che dovè
amaro ai Pii-solani, caaendo alati
da Ini aapramentc ponili come nemici
dalla repnbhiica , ilisralta parla dalla
loro òtti, come narra il Villani, a dato
prìDcipio alPedificanone di Firensa.
55-56. Poi, pretto al tempo in cha
Dio, ccon caso lui tutti i Irati rhe hanno
nn volereaoluio LKo,vollerDch^la terra
ai lidncamt a monarchia, governo pacif-
co,e a aomigUanxa dì i|nello del cst-looe.
Il Betti dice che ai de«' intendere coak.
Vedi Giom. ilrrod., N.59.I0 intendo;
Poi, poco atanti al tempo. in cni il
TolU ridnr fiilfo il mondo
procvrata all'imparo: Tbfo orho in
pmeo eompv^*o. Ciò potè non toglie
cha Dio non prepararne par Giulio Cc-
sara la Monarchia coma meno a qvalla
pace ch'egli volerà.
57. Cetmrt ee. Gìolio Ceaara, par
ortfine drl aenato e del popolo romano
{f lo/la, prea<io in mano «aio ugno,
PAqoila.
58. foro. Finma cha in anticn di-
vidava ta Gallia ciaalpina dalla tranaal-
pina. Sn qnaate impresa di Gcaara qui
tecennate, non mi trattengo, anppn-
nendo che oirni co*ta peraona si rieara
di qnel cha fu sua prima lettura.
59. Itara, o Isero; Srm, anfie»«
mante Arar, og;;i Saèna : due fimù ahn
mettono nel Rtìdano.
60. onde il Hodmno è piemo: da ani
il Rodano riceve le acque par eoi a*!*-
grossa.
61 . Quel che fé ee. Intendi P impresa
che il detto segno fere poi che Giulio Co-
^aara uart di lUvrnna , prasao la qnala
'è il fiume Rubicona , cha ai paaaa tn-
in
paca, coma caso medesimo è, ee. Que-
ato Umpo è la naaciu di Geaè Criato
cha %cnne a dar la para dal ciein alla
terra , e di cni fu nn picciol aegno la
quieta cha Aagnsto avea poco innanzi
dando verno Rimini , ec.
64 in ter Im Spagnm: rìvaba ali
aaerci ti di Cesare contro i pompaiaai (et
arano in Ispagna.
65. Dmrmo, citte d'Alhmiia, doft
Giulio Ccaare fu assediala dalla ganti di
Pompeo. — Fmrte^lim, è un luogo la
TeasagKa, dova Pompeo fu aconf tto da
Ceaara.
H SI, eh' al Nil caldo si senti del doolo.
H Antandro e Sìmocnla, onde »i mosse,
^B Rivide, e là dov' Eitore si cuba,
^B E mal per Tolommco poi f:i riscosse:
^M Da onde venne folgorando a Giuba;
^K Poi si rivolse nel vostro orcidenle,
^B Dove senlia la Pomiieiana tuba.
^È Di quel cbe Te col baiuto seguenle,
^H Bruto con Cassio nello InFerno latra,
H E Modona e Perugia Tu dolente.
^B Piangene ancor la trista Cleopatra,
^M Che, fuggendogli innanzi, dal colubro
^^ La morie prese subiUna ed atra.
se. 51, ch'ai MI caldn li imll id TI -73. wlvottrataUi
dHdlo. a chi «ino al uldo Nilo, linci in cMidIi rifpdU ill'IUl'* va
Kgillo, li lenii del ilulort Ipirte 0 dh Cn*» niliii li Irooibi J(
nginlochi II lu m
iridiUrc Tolmnw
73. Di qutttSt ftf
' ' <1iil(i iTM ncr fine di (ani he- 1' aqaìli (e« atl taìNfo irgiml
rÌDPÌIore,rn«ilB"TeniDd'Cffi(- raa Ollitìjinv Aiigiiiti>,rti«fltmQ
L irilo nmlro h, percliè ■•«■ uri II p<iKò M. L* Tm* (■(■!».
idf>nu ileliilii itm ncr fine di (ani hr- 1' aqaìla (e« atl taìNfo irgtwntc. cìh
■— - ~ ■ ■ ■ wG. C«-
Il iHiKò M. L* TM* talato. ■•rU-
,nli((liÌM,d>irU>dlnaiiapW Balli-
il medio np.qnindii In Inlla • litii'fi-
imilanuBammideAnlinflfo, nllk car>c«rliar>(ial>dicitrtcclieHniitMÌI
Iti Frì|il Minora, e i> SoiDepl. , Ru- rt.a i».<>r1a.>ai> < p«Ì o gl'imbanan.
I cba nmn |ir»a Troia, dnnda 11. taira. BraWa Caala pi «d.
■ asaila ai idoim ^indo con Enea |> Intimo pirUna.raano (tJa col la»
■Dt in Italia. Narri Lucino che Ca- nbbimidliiiMalanlia boHadìLub-
rt peraagnitando Pompeo (n^to in ro.Con dòiitaM dir>chiOllan*a*,i>-
iiarMDdol'Ellaiion
li lidi dfili Friii* Minor* a « ridoliiqaeiJaawroutdarai
par icdara il loogo ola h
a polaa amai niA regfem llv*
DS •■ niuii,iir>giuH,Kiiu<i>cpi>.>u. noro laillD, 0 aUbiU 1* (nriIB BBDir-
BilnitaldaiLilliri. «h-ca.
6S-T0. i!><alprrTafDSiiii«i(c.:e TI, S ITodona te. Gna pianivaa,
em danno di Tolomeo ra H' Egiiio indi Hodrna, pei daoni eh' ebbe a aortrir*
|i« H Ini impelDou. Tolomeo iiniJii nella bmajglia die ìli In JoU coat»
0, gii total ri regno sin donò'* Cleo- ,„ìi (riM ( Pana*; t Pancia, don ial
taira — Ila and» te. iti unale r
>l|an lanne a Oiobi n della «i
tasw . il Insala r<
Iflm parli
niiBq OUiviaaa ai combaUè s
I. Anto-io rraltlla del dello M.
■(■alaraiorifaPaniKa, a in- 76-78. Pioiiffiu.dellaimprfwfU'
aioriiaPanpeo,
la diifill. di Fi
•D raanu d'ingoilo, Cie*-
, ... a. Chi. ftttsnitosli ìhimhiì, tag-
SajiioM, Catone, ad allrieipi dall'in- f)cmlolati>tadi«iai*i|Uilife.Cs/ii6rs.
CANTO SESTO.
533
Con costui corse ìnsino al lito nibro;
Con costai pose il mondo in tanta pace,
Che fb serrato a Giano il suo delubro.
Ma ciò che il segno che parlar mi face
Fatto avea prima, e poi era fotturo.
Per lo regno mortai, eh* a Ini soggiace.
Diventa in apparenza poco e scaro,
Se in mano al terzo Cesare si mira
Con occhio chiaro e con affetto puro ;
Che la viva giustizia che mi spira
Gli concedette, in mano a qoel eh' io dico,
Gloria di far vendetta alla saa ira.
Or qui t* ammira in ciò eh' io ti replico:
Poscia con Tito a far vendetta corse
Della vendetta del peccato antico.
E quando il dente longobardo morse
La Santa Chiesa, sotto alle sue ali
Carlo Magno, vincendo, la soccorse.
Ornai puoi giudicar di que* cotali,
80
%b
90
96
79-ai . Con eottui, con Aognsto.—
corif hkiino al Uto rubro ^ «rcodo
•oiiqoitUto l'Egitto sino al MarRoaio. —
Che fa iirralo... il delubro, il tcm-
Ino, ai Giano; doè, potto in paet tetto
' impero.
82. Ma ciò che ee. Ma ciò the
l'aquila , di eni parlo ec.
83-84. era fatturo, era per lare (è
participio futuro olla latina). Per lo
regno mortai, ch'a lui toggiaee, pel re-
{f no temporale che esso secoo ba aopra
tutta la terra a lui sottoposta. Ciò ò
detto secondo lo dottrine del libre de
Honarehia tante volte citato.
85. Diventa in apparenza , appa-
re, teurOf di poca gloria. Vuol dira
adunque cbe sotto Tiberio P aquila fa
più giorìoaa che prima o poi.
86. al terzo Citare, a riberio.
87. Con occhio chiaro ce.: eoo oe-
rhio iUuminato. non offuscato da igno-
ranra o da pasnone.
88. Che, imperocehò.— to «ìm
giuttisia» Int. : la gioilina tteM, doè
Dio , vÌYo a giusto per amena , afca al
spira a morerti quatto parola.
te. Gli coneedeiie «e. lai. i • q«^
ato segno , posto io mano a fuel, a eo-
laij di cui faTcllo, a Tiberio, concadetto
la aloria di far ? endetta . doò, di sod-
disfarà a] giusto adagno oif ina. PMsb
Pilato, goveraatora della Giudea par
Tiberio Cesare, condisccaa ai (Sudai di
ucciderà Gasò Cnato, a i aoldati roBM-
■i prolessero queir iniqua aaaeaaaoajaì
die sto bene che l'aquila romana ia mano
a Tiberio soddisfece alla Tendetta di Dio
nelaanguedel ano di?in 6glio iBOocanto.
04 -93 . Or qui t'ammira ee. Or qui
maravigliati in questo che con parole
più chiare voglio replicarti. — Poeeiti,
dopo dò V aquila corse con Tito a iir
Teodetto del delitto commesaa dd Già*
dd contro Gesù Cristo ; il qaal delitto
per parto di Dio era slato uoa f aodat-
ta . una espiaxione dd pceaato aatiaa
dr ooatri progenitori.
94-96. E quando ildenteee.Efiàih
do i Longobardi lacerarono , atratiara-
00 Santo Chiesa, Carlo Magno sotto le
ali dall'aquila romana essa Chiesa soa>
corte. È nuto che Carlo Magno ratttbii
colla soa conqubto l' imparo raosaoo ;
onda ò chiamato autore del aaaoado tai-
paro d' ocdilento.
97-98. Oai«<ac.:amddalbaMclia
ha operato l'insegna romana dom gia-
dicara quaola da la colpa di eoloro, die
io accusd di sopra ec.
di' io accasai di sopra, e de'lor faUi,
Cbe son ragion di lutU i vostri mali.
V uno al pubblio) s^no i gigli gialli
Oppone, e r altro appropria quello a parie,
Si eh' è Torle a veder qual più si Èllì.
Faccian gli Gliibclliu, Taccian lor arte
Soli' altro eegiio; che mal segue quello
Sempre clii la giusliiia e lui diparte:
E non r abbatta esto Carlo novello
Co' Guelfi suoi, ma tema dogli arligll
eli' a più allo leoo trasser lo vello.
Molle Gate già pianser li figli
Per la colpa dol padre, e non ai creda
Che Dio trasmuti l' armi per raoi gigli.
Questa picciola stella sì correda
De' buoni spirti, che son stati attivi
Perchè onore e fama gli succeda;
E quatido li desiri poggian quivi
di Pugili dalli ciH di PriDcii.cbi In
p«r inu* ■ gigli d'oro , al pubblùe it-
no, cut ilì'iaHsgDi rsiniDi, ch« i
V'mitgat dell' impera noiitnele del
■ondo. — «rollra te- 1 il Ghibellioo
,llipprapri*,iiiHrpi pei inai pirliulari
talHMii, 1 1 prò d*1 HUi earlilo, aitcl
"-■-bli» «p.0
<03 forlf, dilScilt. — •( falli,
irnoUa crroic. Tulli ■ due fanno in-
riirìi tll-t<|0ilai I'bu parìa |K!rd>ì
PanlBda, l'allra portili n'ibuH
tùS-ioi. SoUalIn ugno, aotlu
ra tlcadirdo , — faetlait lor aria ,
IDO. it-iltf lltte fié pitiutT H.
Multo »ilM i fiuliuali piRirana il U pa
la cnlp* de'pidri Ioni; e qnaaln m-
Irebbo iulonfliire nth* a Cvla tt-,
['■quii*, il Teuenada (ctoa da lui >U-
bililo do) DiDada, 0 pn-cii sDa , ni |f
nli di >i» Cirio; dot, bob treda cL
Dio H* ptr dira l' inipero del mmi»,
cba i l R,.«.a, alla fraMt, Ulmi»
alla luorpui ime di Carlo il Wfcliii a«ila
Puglia, cha ipcUiii di dìrilla alt'l»
Qutila pltciola ilMa, Li
lalla ,
in. ehi taiiutthU e trilli fùrie:
dii divida giuMìiia da i|iielln; dii lo (>
kiraatala d' ìaìigailk.
I(H-I08. Stia Carla MMlIa.^i^-
Carlo 11 r* di Fuglii— «m Itma dt-
|W««.l«laitilÌ;iBilemid«Bli»'-
dclleFBRoJelniiiiBOD
■n , ma ina* il t*tl« , U fella , a
fM* leooo , rio* abbtUt principi
Carlo. Aceeoni al .o-
ilDaiGorlediCarlolI,
CANTO SESTO.
Si disviando, pur convien che i raggi
Del vero amore in su poggin men vivi.
Ma, nel commensurar de* nostri gaggi
Col merlo, è parta di nostra letizia,
Perché non li vedem. minor tiò maggi.'
Quinci addolcisce la viva giustizia
In noi r affetto si, che non si puole
Torcer giammai ad alcuna nequizia.
Diverse voci fanno dolci note;
Cosi diversi scanni in nostra vita,
Rendon dolce armonia tra queste ruote.
E dentro alla presente margherita
Luce la luce di Romeo, di cui
Fu Topra grande e bella mal gradila.
Ma i Provenzali che fer centra lui
Non hanno rìso, e però mal cammina
535
120
125
t30
1 18*420 Maneleommtnturùree,:
ma nel ninarare i notlri goggi, i nostri
pr«nij, eoi noatro merito, noi trotiamo
parte della nostra beatitudine : perùoo-
chè non lì Teggiamo né maggiori, mog^,
né minori di qacllo.
424-423. Quinci, dal vedere il me-
rito pari al premio. — addoUUeeee. Id-
dio, la rira giustizia, addolcisce, rende
il nostro affetto paro, sema aknna mi-
atara d'altro affetto maligno, si che non
ti pnò mai torcere ad ioridia, a pro-
niaaona o simile. II Buti , il Landino
e il Cod. Trhrnls. leggono Quindi adth
leies ee.: rìoè, la divina gìnstiria tanto
accrcaea in noi V affetto di voler qnel
che mole essa divina giustizia , che ac.
\ 24- 1 25. Diverte voci ee.: come di-
verse vod fanno dolce armonia di note,
eoA diverti tcanni, ossia diverti gradi
di gloria fanno una dolce armonia, for-
mano nna perfetta convenienza colla
giostiria divina.
426. Ira quetlé ruote, in qnasia
tfera oeleaii.
427. denaro alla pretento nuirgkO'
riia, dentro a qne^to pianeta, che è co*
ma nna perla al aecondo cielo.
428. ijuee la luce, splende l'anima
Itainoaa, di Rotneo. Dicono che qne-
al« nanii dì rotneo, che davasi ad ogni
pcUcfrino che andava a Roma, difisne
li noHM appellativo di un nomo di pie-
cola nazione , il quale tornando da
S. Giacomo di Galizia capita in Pro-
venia ed acconciosai in casa del conta
Ramondo Berlinghieri. E governando i
beni del conte li accrebbe sì. che anello
che era dieci divenne dodici ; s) cne fa
cagione che quattro Bgliuole dì Ini si
maritasaero a auattro re. Romeo, mesto
dagl' inridiosi baroni in odio a Raman-
do , si parti da lui ed andò mendicando
sna rita. Ma V istoria non fa mensiona
di qneato Romeo avventuriere ; dica
benaì che Raimondo conte di Provenza
ebbe per suo gran siniscalco e ministro
nn Romeo di Villanova, barone di Ves-
ce , nna delle più illustri famiglie dì
Provenza ; e questo Romeo, nel testa-
mento di Raimondo morto nel 4245,
leggcsi lasciato tutore e amminiatra-
tore dello Stato. È probabile pertanto
che Dante abbia qui seguitato qualche
leggenda o tradizione popolare. — I re
nei quali maritaronsi le quattro figlie
del conte furono: Luigi IX di Franrìa,
Enrico III d'Inghilterra, Riccardo fra-
tello di esso Enrico , eletto re di Gcr^
mania, e Carlo d'Angiò.'
4 30 -4 32 . Jfa • ProvensnlJ. ... JVon
hanno rito. Venuti alle mani di Carlo
d'Angiò, fiero e prepotente aìgnora,
duverono rammentarsi del dolca go-
verno di Raimondo, e della ledala aoh
ministraziona del hnan Ronaco: e ciò fn
giusto giudirio di Dio. — a però wud
camminate.: éoèff È per naia atrada.
Qual si fa danno del ben Tare altrui. ■
Quattro figlie ebbe, e ciascuna reìna,
Ba mondo Berlìnghieri, e ciò gli fece
Romeo, persona umile e peregrina. Ij
E poi il moiser le parole biece
A dimandar ragione a questo gioslo.
Che gli assegnò selte e cinque per diece.
lodi partissi povero e vetusto;
E §e il mondo sapesse il cuor eh' ^li ebbe ii
Uendicando sua vita a Truslo a frusto,
Assai lo loda, e piò lo loderebbe.
leimin*. »<1ui il tiatìe ii fa kf HiinnHid» atLìider conta d.Il't.
l
■Mi, d'.llri. U NÌ<l"b. leos">il
m Ur d-allmi. «n« un cqiii>
in. • eia gH feci ri
Clu « li «.
diri fn di
dil axinhi.
459. t
«if^
■ eli fio-
CASTO sETrimn.
; tist , Il foitan
I
Osanna, sanctxi» Deus Sabaoth, ^^^È
Stipenllustrans claritatc tua ^^^|
Feikei ignea Iiorum raalahothì ^^^|
Cosi, volgendosi ulla nula sua.
Fu vifo a mo cantare essa sustania. I
1-S. Odinoa, M, Sii giurìa • II', o dd tstgenldal b«ilitplr>li niiBlrtnii-
■Icll* tbiirmi lui «pr. < Icl^ei tii«hi, tri Ungbi il C SVlIt . t. 7»; i XXI. tO
liB^KoprD L'inim0bi*lD,diitti'»Lirr|*]bi. Alcvoilr^UliBnaoÌBTtrevofpfiidlM'*!/*
4-5. Cmi, MlDmlaii alfa nota rolaitia,ch«>'iBlradiriil>b(«lMa«rb
nia«.C«lfU(>n>an',cisi,|iiirvi'nii, roMnl*. oppartilla wmai^lKflrib
«[■dimiT*duie(AiadoliliiH<)eii>l.>re cbtlociicoodiTi UiiiibDnl»toM(ain
MM MUlaoio, l'atiriii* ilnM Ji lilu-li- l« liiiBBf dri mitliori Codìd L— lìa.,
iglgandiv * qu<l mg canta, b muilra »ra,pinbi «intrimalt dai «sfin M»i
-CANTO SETTniO.
Sopra la qual doppio lume s' addaa :
Ed essa e V altre mossero a sua danza,
E, qiiasi vekxùssime liiville,
Mi si velar di sobita distanza.
Io dubitava, e dicea: dille dille.
Fra me, dille, diceva: alla mia Donna,
, Che noi disseta con le dolci stillo;
Ma quella reverenza che s' indonna
Di tatto me, pur per B e per ICE,
Mi rìcbinava come l'uom cb' assonna.
Poco sofferse me cotal Beatrice,
E cominciò, raggiandomi d'un riso
Tal, cbe nel fboco ftria Tuom felice:
Secondo mio infallibile avviso.
Come giusta vendetta giustamente
Punita fosse, i' bai in pensier mise;
Ma io ti solverò tosto la mente:
E tu ascolta, cbè le mie parole
Di gran sentenzia U feran presente.
Per non soffrire alla virtù che vuole
637
40
a
so
e. doopio fuma i'addua, ù ae-
cappia, aoè, fi anÌMe la dona della
lafgì a della anni , come spiega il Boe-
cacdo ; OTrero , come an antico poatil-
latora dica: il merito della eonpoai*
noaa dalla laggi, a il narito dall' im-
parìala «flieia.
7. Ed $ua, la enstansa di OtwU-
iiiaM>,« faflrf mouero a tum d&msa,
mosaero tè, fi rànisaro al loro primiero
(prara eoi piaaata Mercnrìo.
8. E, fMM< velodtHm» fmrìtte.
Jìuii iwmfinm aeintilla in arumdi-
neto ditefintnt. Sep.
9. Mi H velar: mi •' occaltarono
per le distanza che in un subito fo in-
tarpotta Ira me e loro.
40*42. lo dubitava, • ditta: diitt
ditit. Fra mt. Coetr. e int. : io flara
io dubbio, e direra fra me a ma atcHo:
diltt, dillt, d'i, cioè, a Beatrice, alla
(loooa ee. Molti dei comentatorì tratol-
scTO il significato di queste parola, dw
esprimono eoo molta naluralcna il
gran desiderio che Dante aveva ^ inter-
rogar Beatrice arca un suo dubbio; a
fecero difficoltk e irobsrsno d'una coaa
rbisrisaima. — ol/a mia Donna, te. :
cioè, a colei ebe colle sue dolci ra«
25
gioni , U dotti tlilìt, disaela , appaga ,
gli ardenti miei defeiderj di sapere.
43-44. ekt t'indonna tt.: cha aNo-
signoriaca di tutto me , solamaata al-
l' udire accennato anche con la sola
finale il nome di Beatrice.
43. Mi riekinava: mi facava riab-
bassare il capo gib levato per interro-
Sirla. — th'attonna, cha ste par ad-
ormentarsi.
45. Poco tofftrtt mt tolai tt,:
poco sofferse cbe io restassi eoUdt, in
tele stato , nel dubbio , doè , in cha io
mi era pW cagiona dd mio rararaote
ailenzio.
20-24 . Conto giutia vtndtila te.
Coiitr.: t' bai mìso in pensiero coma pu-
nite fosae giustemente giuste vandalte.
Parla delU vendette del peccato aniieo,
d'Adamo, di che vedi sopra al Can-
te VI , V. 92.
24. ti faran prettntt, ti fanm
dono.
25-27. Per non toffrirt... furai
tht non naequt. Adamo, per nao soffa-
rii-aFrenoa tuo prode, par oan aaffrir
freno, per sua utilitb (il qual frano ara
per suo bene), alla virtU ckt vuoh,
cioè alla volontà , Dannando $è, dannò
538
Frena a suo prode, quell' uom che non nao
Dannando eè, danoò tulta aan prole;
Onde l'umana gpezie inferma giacquo
Giù per secoli molti in glande errore.
Fin ch'ai Verbo di Dio discender pian]ne,
U' la Datura, che dal suo Fattore
S'era allungata, unìo a sé in persona
Con 1' allo sol del suo eterno amore.
Or drizza il viso a quel che ai ragiona^
Questa uà tura al suo Fattore unita,
Qual Tu creala, tu sincera e boonai
Ma per sè Stessa pur Tu ìeibandita
Di Paradiso, perocché si torse
Da via di verità e da sua vita.
La pena dunque che la croce porse.
S'alia natura assuntasi misura,
Nulla giammai si giustamente morse:
K cosi nulla fu di tanta ingiura.
Guardando alla persona che sofferse.
In che era contralta lai natura.
Però d' un atto u?cir cose diverso ;
Ch' a Dio ed a' Giudei piacque una morte'
Per lei trema la lorra, e il ciel s' aperse.
Non li dee oramai parer piò forte,
Julia IM prali,- cbt è aunlo din: eia, ErrìMi tt «ita. S. din, ti?
« d*l (raltu ikula, Dannando
ae.CM. nel mondi..
60. dìttnuhr Cw l*gip ce
panila MT pie I
ttttttndit d* ralii
BT. Jfa prr li lima pur, ni tnli
Srri^iliHS, pitula mi cal.a. — fa
^mdOa.QaaUla.iJi.Ur&ol.Ciin
«lilCMt,Ui!.mi./b fUa tlandila
K.DatU4i (rrUé K. Hja «»•
iKritoH : Da via, daj^rtìi » da ina
il)-il tu prM dOM""* La poa
mnxni aiiunia. pnM^Ooi* CilDa,
Jivìna (111 pali, •ella ^uala tn ean-
^
CANTO SETTOia
Quando si dice che giusta vendetta
Poscia vengiata fo da giosta corie.
Ma io veggi* or la ina mente riaUneUa
Di pensiero in pensier dentro ad un nodo,
Del qua] con gran disio solver s' aspetta.
Tu dici: Ben discemo dò eh* i* odo;
Ma perché Dìo volesse m' è occulto
A nostra redenzion pur questo moda
Questo decreto, frate, sta sepolto
Agli occhi di ciascuno, il cui ingegno
Nella fiamma d* amor non ò adulto.
Veramente, però eh* a questo segno
Molto si mira e poco si disoirne^
Dirò perché tal modo fu più degna
La divina bonté, che da sé speme
Ogni livore, ardendo in sé sfavilla
Si, che dispiega le bellezze eterne.
Ciò che da lei senza mezzo distilla
Non ha poi fine, perché non si muove
La sua impronta, quand* ella sigilla.
Ciò che da essa senza mezzo piove
539
60
65
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70
54 . rengiala, TendicaU. — 4a fiu-
slm corU, dtl giatto trìbanale di Dio.
52-54. Ma io veggf or ee. Ma
io Tasgio che la (aa menta, pataaodo
da «o pensiero in an altro, n trova
riflreltepÌDTÌIoppata o angusUala den-
tro osa difficolta dalla anale upatta di
aCMClMfM.
55. IW Het, fra te atcaso , dentro
dite.
57. pur, solamente.
58-59. Quetto decreto. Quetio M-
grflo leggali Cnd.Pogg.—tfatepuifp, è
naacoao. — Agli occhi diciateuno. H
Cod.Caet. legge Àgli occhi d^TmorMi.
60. Ntlla fiamma oc.: non è «ImI'
lo, nodrìlo e cresciuto nella carità, si che
no WMat tatta la poasann. IKo sco-
glìendo «Msto meno alla Bedonàone.
ci ha fWBto mostrare qoanto egli a
amasaa. parche i grandi sacrifizj sono
"proTa ai grande amora. Sic Domi di-
ìexit mmndum «ti filium mum mi^a-
niium darti.
61-62. Vcramentt, ma, jieró tk'a
rmeiio tegno, perdoecbè a questo pnn-
lujcioèj intorno al perchè Dio scegliena
questo modo di rìparaaioiie , Mollo H
mira, molto ai issa V ornano intallat-
to, ee.
64. ij»0nie, sescda, rioMfo eoo dì-
apregio.
65. Ogni Utero, tolti gfi affetti
contrari al'a carità. lAvoro cmmu,
dime della diTina oatnra Boaóo. — «r-
dendo in f4 ifamilla §e.: nalP ardore
della sua carità sfavilla ù , che apiaga
davanti alle sue creatura la sai Mi-
lena bentificante.
£7-69. Ciò che da M t€. Gh éko
immediatamente , taiua messo, éMO-
la, proviene da lei (dalla divina Woll),
(ssia, aenxa cooperaàooc dalla eaoaa
seconde, è sempiterno : peroodii qnas-
d* ella iigilla, doè, fornisca l'opara,
la soa imprenta o impronta non ai ri-
mnove.cioè, la soa fattura non pariita.
Didiel quod omnia opera gum fkeU
Dern peneterml in perptUmm; Eo-
clasiaste, eap. III.
70-72 Ciòchedaitmoo.Glk^
dal divino potere (santa il mano daDa
eansa aeconda, delle forte cl« aoaa ia m*
tura) proviene, è affatto libero ; pcreioo-
DEL PARADISO
^B Lìbero è lullo, perchè non so^aco
^L Alla virlude dello cose nuove.
^B Più l'è confonne, e però più le piace;
^V Cl)è l'ardor santo , che ogni cosa ragj
^H Nella più simiglìanle è più vivace.
^1 Di tutte queste cose s' avvanla^ia
^M V umana creatura, e, s' una manca,
^^ Di soa nobilita convìen che caggia.
^H Solo il peccalo ò quel che la disfrance,
^H E falla dissìmile al sommo bone,
^H Perchè dei Inme suo poco ^ imbianca.
^H Ed in sua dignità mai non rìvieiio,
^H Se non riempie dove colpa vota,
^H Centra mal ditotlar con giasle pene.
^V Vostra natura, quando peccò Iota
^H Nel seme $uo, da queste digniladi,
^B Come di Paradiso fu remola:
^B Né ricovrar poteasi, se tu badi
^^ Ben soililmenie, per alcuna via,
^P Senza pas^r per un di questi guadi:
0 che Dio solo per sua cortesia
liè ata Kf alci alla tirlaét , ili» fo- dijnìU dall'
»
;S. Pi* e i romfomu. CiA eh* ìm-
74-TS CÙrardiiriaiitaa.P»reU
l'amor ilmno, cbc lopri tulle U «••
diffiiiid« i ng^ taoi , m noelU die più
7S-7B. m MI* qtutl» coHet.Di
ImHa noi» candaimi, d«i datl'ioinii-
«■U trM>ÌH»,d>ll'ÌDamillibÌ1IU ,drl-
IiMRwrtnii;gl»>»*D»,gd(llii»
pr«dl[««if, «' MiaflfOff ù, i prifilis
CÒi.CdClArupt Di laUi auiiU doli.—
vut (Il ptccati; E dia Ctiato
mcUart jb rrppi la MfvllA; Ci
itaxìt (wplinlaWn.
B( P<rcU,taDDdB,'ilp«nU
8S-S4 . JbMfi rinipia ac.
Canln ntt iitttUr, do
lUiIrtodilMIo, Ikdott
i dotta «tipa ; d
n propornonal* penlom la fo-
ddli grati* t*i;iMMla dal jw i ili
in qBaiK ce
d.lli I
79. la iiifranca, la luf'i* d>|niU ,
Hisdi ^iw>la(crb»,d<»nilisiiwlt S2:
Ed In iva dignflé mai WHt mrfnw.
Pfwìannito éUfrnean t il orn-
iranedi fVaiinirf, « iil« la; lùr (a li-
ttrU, tli' è il prima frigia, a la prima
80-87 AWHmanw. Mi M»r«V-
nilora Adam». - dsfWiK^MMi
ditls pnJcll* prtrsplÌT* mA ■ Blr
ruviaiilig , fu mulo, tu «lliiliiM .
«onta In «IImi tana U dal PaiaA..
88. m rJwcrar w..- ai pMnv
VO.S«uafuun»'p«r iH»4tfBB*>
guaili: troia iiiw dal da* iimKÌ
CANTO SETTIIIO.
Dimeflso avesse, o che l' oom per sé Iseo
Avesse soddisfatto a saa follia.
Ficca mo 1* occhio per entro V abisso
Dell* etemo consiglio, quanto pool
Al mio parlar distrettamente fisso.
Non potea 1* uomo ne* termini suoi
Mai soddisfar, per non poter ir ginso
Con nmiitdte, obediendo poi,
Qaanto disubbidendo intese ir suso;
E questa è la ragion perché i* uom fue
Da poter soddisér per sé dischiuso.
Dunque a Dio convenia con le vìe sue
Riparar 1* uomo a sua intera vita,
Dico con r una, o ver con ambedue.
Ma perchè 1* ovra è tanto più gradita
Dell* operante, quanto più appresenta
Della bontà del cuore ond* è uscita;
La divina bontà, che il mondo imprenta,
Di proceder per tutte le sue vie
A rilevarvi sa<o fu contenta;
Né tra 1* ultima notte e il primo die
Sì alto e SI magnifico processo,
0 per 1* una o per l' altro fue o fie.
511
95
100
105
410
92. IKm^cto, perdontto. — per $è
ino, per tè itetso : dal lai. ipie,
96. dUtreiUimenU, fisso alla mie
parai* ^aato più strettamente pooi, o,
a0f«ìtaBdo il mio ragionamento piò dap-
prMM che paci.
07. m^Urmimi »wti, nel soo aaaera
imperfatto e finito. Il Torelli spiega:
qMOlo eonvanita, condc^inamente.
98-400. per non poter ir giuto ec,
f ateodì: peraon potere amiliarsi poi tan-
to coli' ubbidire y quanto avvisò di po-
terai innalzare allorché dbubbidì al di-
rìeCo del suo Creatore.
402. Ha pofer. . ditehimo: eaclo-
wò, mcaao fuori della possibilità- di so-
disfare per sé steaao.
409. ro» le vie tue, colla mi-
sericordia e eolla giostitia. ('nlverNi
rùi Dofliiiit mitericordia et ^erilme,
Ps.24.
401. Bipcrmr fuomo, ristorar
r oomo, restitoirlo a $ua interm tita,
alla rita di giustizia e di aaiOitb in evi
To crealo.
405. Dkoeim rtmo, delle due ria
aopraceeanate, la mìaerieordia e la giu-
alizia.
4 07 .ifmamta pie appretentm,^^um'
lo più dimo«tia.
409 che U mondo ifnprenia : éoèf
cbo della pn>pna immagina impresta
l' aniversn.
440-444. IMproMcferae. Fu aoa-
lanla di proee<lere per ambedue lo ria •
rialzarvi dalla vostra caduta.
442. JVé fra VuUimmnoUe ec. Io-
tendi : oè per tutto il comi da' aaeali ,
dal Minio che il sole ebbe luco Ano a
quello in eni sarà fatto oscuro.
443. Si allo e ti mognifieo prò-
eueo: si sublime a gloriosa mauara
di operare.
444. O per tnnm o per VaUroT
cioè, o per la divina booti o per l'uoma.
— /te, sarh. O per fmma o per VeUrm
IcRgerebbe il Torelli '. a con senoo ; por-
doccbè allora queste parole* rifcrirab-
baro alle kuddclte via di Dio , doé alla
misaricordia e alia gioilìzia.
Che più largo Tu IMo a dar ^ sI«<sso
In far 1' uotn suflicienle a rileiatsi,
avesse sol da sé diniesfo.
E tutti gli altri modi e
Alla giuslixia, se il Pigliool di Dio
Non To^se amiliato ad ìncariursL
Or, per eni|iierti bene ogoi disio,
Bilorno a dichiarare in alcun loco
Perrhè tu veggi li cosi com" io.
Tu dici: Io <'egt;Ìo 1' aere, io veggio il Taoco,
L'acqua e la terra e tulle lor misture
Venire a corruzione e durar poco;
E queste cose pur Tur creature;
Perchè, se ciò che ho detto è stalo vero.
Esser dovrian da corruzion sicure.
Gli angeli, frale, e il paese sincero
Nel qual tu se', dir si posson creati,
Si come sono, in loro esaere inleroi
Ha gli elementi che tu bai nomati,
E quelle rose che di lor si fanno.
Da creala virtù sono inrorinali.
Creata fu la materia eh' egli hanno,
Creala fa la virtù informante
In queste stelle che inlornn a lor vanno.
IIS-IIT. CMpiìi laTgefuOfB tr.
Ptrriaecht IHs Tu piò libtntc ■ darit
B)B pir Iirìo «piar di rìilnni, di qncl-
■■ pmloDuii,. — (a far l' ito» . il tnU
• ilCsd Poi. Ptrfartt-
w> irarti. dilatiti , tamh
128. rertht r» lo d
thtKndHlait. \td.,\f
to'. lnU>.ai i cicli , irli* MMok ilt
120 n'Oli ,
\2Ì ftrtmjAtTti..,. of^duie.
ptr «ppjirt «0"' ""' ■!"' J'ri".
1». Jlilorao ■ ilthiartntt: \,.,-
pmilodel ni.i rieionimeDlu.
tS3 II, in imi. ^Hllt iBticrìi.
125. < <hU> lor mitlMn, t (nlli
I2T. B ifunteiiiu ptir, e nudi-
CANTO SETTIMO.
Sia
L* anima d* ogni bnito e delle [nante
Di complession potenziata tira no
Lo raggio e il moto delle loci sante.
Ma nostra vita senza mezzo spira
La somma beninanza, e la innamora
Dì sé, si che poi sempre la disira.
E quinci puoi argomentare ancora Ub
Vostra resurrerion, se to ripensi
Come 1* umana carne fessi allora.
Che li primi parenti intrambo fensi.
di IKo y tensa intBo di altra eoaa crea-
ta^ Mota eoAMrso delle cause seconde .
m4rm mMéra «<f«» crea l'snima per eo>
Vmnà» ha tìU. Vari Codici vottra vita
459-M4 . L'ani$imirogmi ftmfoee.
Coatr. e iol.: • Lo raggio e il molo della
iwi santo (delle stelle) tira (tiraDo) di
conpleaaion potenziata FaiiioM d'ofii
bnito e delle piante. • Il die raol dira,
eba la stelle col loro splendore a tn
laro moto traggono da cotwplaniaiMp»
témsimta, doè dalla materia elemsnlTa|
atta e disposta per sua e»senia • tala
ganerazione, traggono, dico, l'anima
sansitÌTa delle bestie , e la Tsgatativa
dalla pianto. Quest'anime donano, tas
saenda craanone immediato, soaa mar*
tali.
442-445. Ma nostra xUa te. Ma
la iommm òemdumxii . la Itaoignilà
444. i$mpr9 la ditira. L'anima
Dio. Vedi per tutto ciò il Geo-
tolXV del Purgatorio.
44^>44S.yi<wei;dalprinapio stobi»
fito, ebe le opere di IKo immediate non
san corruttibili, puoi dedurre la resnr-
miona daH' umana carne , che essendo
alala creato da Dia immediatomenle ,
2uaado fmui, fuma fstti, Adamo ad
l?a, dare racquistara la sua incorrutti-
bHitti, che ora pei giusti fini dì Dio po^
dirti saapata.
Mite MUm éi rmtn dM «SMM ff
CM9,t ffwJr tefSwte di
Cu ti mmjfutM CmiU MmrUtU, tkt mtMmuttm r to-
4*lmmJimM9 JM«t«weMÌ ^ppiOa m fMfte éM p^i% tH^tm, mklmU dml Pmtta,
éggnufmfw ém Jl§tt émUm 9irtm pmttmm, t fmmmtm prmiéa sim mM smti féi^
thtum, 0 tmmmt» muh gU mamtmtkf te ««« ImékmMmm mt» Mgmmw.
Solea creder lo mondo in suo periclo,
Cbe la bella Ciprigna il folle amore
Raggiasse, volta nel terzo epiciclo;
4. Ir ««0 pmielo: prima da fo-
ia Oaaè Crista ad illuminarla a rad»- «
ia, nai tempo cba viTcn oal-
Parrafa dal pacaoetimo aao paricala
MFclcraa evo danno.
5. Bigiano, volta ac: lasalratn
aai aiai inlussi U scnsnsla a latcSfo
aaara. — volta, Toltato, Tatfantasi
nel ■afiwwnto di quel óelo. — fpl-
rleK. mI sistema tolemaico sono qnai
piacaR cwchj nei quali particolarmaato
awscon pianeto, toltone il aola, s'a^-
^ra dì proprio moto da ocddento io
oriento, mentre vien portato dal pfinio
mobile d'oriente in occidento» Questo
parola del Compilò illustrano il passo *
• In sul diisso di questo cerchio (r equa-
tore) nel cielo di Venera, è ona spe-
retto cbe per sé medesima ra asso
dclo si volge, lo certhio della mala
gli astrologi chiamsno epieieto; a
siccome la grande spera due poti
I
DtU TAKIDISO
Perchè DOn pure a lei faceano onort
Dì sacrìGcj e di votivo grido
Le gemi antiche nell' antico errore:
Ma Dione onoravano e Cupido,
Quella por madre sua, qneslo per figlio, ^
E dicean eh' ci sedette in grenibo a Dido:
E da costei, ond' io principio piglio.
Pigliavano il vocabol della stella
Che r Sol vagheggia or da coppa or da ciglio.
Io non m' accorsi del salire in ella ;
Ma d* esservi entro mi fece assai fede
La Donna mia, cb' io vidi far più bella. (*]
E come in fiamma favilla ai vede,
E come in voce voce si discerné,
Quand' una è ferma e 1' altra va e riede;
Vid' io in es.^ luce altre lucerne
lluoiersi in giro più e meo correnU,
Al modo, credo, di lor viste eterne.
Di fredda nube non disceser venti.
0 visibili 0 no, tanto festini,
Che non paressero impediti e lonU
A chi avesse quei lum:
a. L'<|iÌtklD adagila tiualt
,ng|lsclHilrarUM.>
5. et «Wm grida, di prtghiirs.
t.tk'HiréilUte Nrl primo drl-
VtBÙit liin Vì'gilixbr An>'HT.|>reM
tsianblii»a(hl(ii>c>iilli.i>uniafif lino-
Io ri'EoHHJsH in frnnbfi (111 rrtim
Cile, * (mulo p«r J
Trtdulitll il'oii Htl
•«DiMi^ina iTiiUrir ".r»i».v"
10. en^io principio piglio, di
41. PltìitTano H. . uglÌH«n« f
pini.)) n. »n.. .Irli.. t<1l.,.rHI.<>.
dvT» Unn. Vrdi Cinla IV, ,. «3.
12.Ckt'l Sali. Cvppa a ntcu,i
divin
t pirli di i\ttn6Attf» : «ffUrF»
"-^.«Vm^pT!
cw, aMtMMi
CANTO OTTAVO.
Veduto a no! venir, lasciando il giro
Pria cominciato in gli alti Serafini.
E dentro a qnei che più innanzi apparirò.
Sonava Osanna sì, che unque poi
Di riudir non fui senza disiro.
Indi si fece 1* un più presso a noi,
E solo incominciò: Tutti sem presti
Al tuo piacer, perchè di noi ti gioì.
Noi ci volgiam co* principi celesti
D' un giro, d' un girare, e d' una sete,
A* quali tu nel mondo già dicesti:
Voi che intendendo U terzo del movete;
E sem si pien d* amor, che, per piacerti,
Non fia men 6p\ce un poro di quiete.
Poscia che gli occhi miei si furo offerti
Alla mia Donna reverenti, ed essa
Fatti gli avea di sé contenti e certi,
Rivolgersi alta luce, che promessa
Tanto s*avea, e: Deb, chi sete? fue
545
so
35
40
26-27. loieiafuio ilgiroee.: latcias-
èo il giro eba fa Vanere, o. d'aggtrani
col pianeta di Venere, che na il auo ini»
palao dall' aitnairao cielo detto il primo
ambile, al qoale perciocché praaiedooo
i Serafini, dice che quel movimento fu
prte cowUntialo in gli alti Seruàmi,
28. E dentro: questa lea. di mooì
Codd . come migliore prefcrìaco alla eoa*
E diètro.
20. fi. SI dolcemente.
83. ÀI tuo fnaceTt a'Iooi desideri.
— perdiè di noi li yiot, afCnckè Ui
gioisca, prenda gioia di noi. Dall' aiitiq.
54. Noi ci 9otgiam ee. Saaando
l' opinione di Tolomeo i cieli sono bo-
to: BOVO similmente secondo Danto
aoBo i cori celestiali che ai cieli praaie-
dooo Beirordina segoenta. Al i>nmo
mobile presiedono i Serafini : al cielo
delle slclle fisse i Cbcrukini : a SalBmo
i Troni: a Giova le Dominazioni: a
Mortela Virtè: al Sole la Fotcatè: a
Venera i Principati • a Mercurio gli Ar^
caageli: alla Luna gli Angeli.
55. §/ un giro, dentro la madtai-
BM oiUta, d'un girnre, eon un meda-
aimo moto circolare, e col medesimo
desiderio di tendere «1 cielo empireo.
86. À' guidi ec.: ai quali eorì ce-
lesti, detti Frincipatì, tu, o Dante, Bai
principio d'una tua canxooo dicaati:
— Fot eke intendendo. È la prima dai
CimoitO'
57. Voi eke ee. Gli scolastici tmox
guano a ciascun cielo una intelligaota
cba no governa le rivoluzioni.
59. Non /la men dolce ee. Nob ai
fia men dolce del girare il fermarci al-
quanto per compiacerti.
40-42. Poscia che gli occhi mieiee,
PosciacUò, senza far motto, con bbb
sguardo pieno di reverenza ebbi do-
Biandato alla mia dnona sa eli' ara eon-
tenta di' io parlassi, ed ella Petti gli
atea di sé contenti e certi. Inteudi :
contenti del suo sorriso, o corti daUa
sua approvaiiooe ee.
43-4 S». alta luce, cAa promeoé
Tanto f'area, alla riaplcudente aaiam
cbo f'area prometta, oasia, s'ara pr*>
BMsaa, tanto, si largamente , s*era eaa
tanta cortesia offerta pronta al mia
piacerà. — e: Deh, chi tele? ee.: a
U Toca mia improma di grande affat-
to, fu questa : Deh, dì grazia, cbi siato ì
La Ica. che seguito è del Cod. del
i)ii>nisif ed è migliore delle altra, oof^
che piena veraiuenta di quell'wctta
35
Ci6
DEL PARADISO
La voce mia dì grande aflcUo impressa.
0 quanta' e qaale vid* io lei far pine
Per allegrezza nuova che s* accrebbe ,
Quand* io parlai, alP allegrezze sue!
Così fatta, mi disse, il mondo m* ebbe
Giù poco tempo; e se più fosse stato,
Molto sarà di mal , che non sarebbe.
La mia letizia mi ti tìen celato,
Che mi raggia d* intorno, e mi nasconde
Quasi animai di sua seta fascialo.
Assai m'amasti, ed avesti ben onde;
Che, s' io fossi giù stato, io ti mostrava
Di mio amor più oltre che le fronde.
4&
u>
5J
che mito li dice. Ia com. è : di (vrrbn),
ehi fiele? allrì Inti hanno: di. ehi ir
fu? altri finalmente: di chi tei tuf
46-48. 0quanf€quai99e.lìkkà\
quanta più luce e di quale TÌdi io lei
far (per farsi\ piue, cioè fani mag-
giore, aecrcsrersi piT la nnctra lelitia,
che per le mie parole s'arerebbe alle al-
legrenetue! Il quanti» riguarda r««ti*n-
■ose, il quote, la qualità, la natura. La
Ira. 0 quanta è della Nidob. Gli altri
testi: E quanta.
4'J. Cosi fatta, divenuta ena\ pia
loainuaa. — il mondo m'ebbe §e.:
breve fu il mio a«igginrno mila terra.
Ad intelliceaza di auel cbe tt^e ttriii-
gerò in poche panile la sturia di eoatui
eh« paria. Egli è Cirlit Martello, il
maggiore dentigli di Carlo II detto il
Ciotto *» lo Zoppo, e di Maiia d'On-
fvberia finlia di Sl.-fano V e •»rella di
Ladislao IV re d'Uii(;herìa. M rio La-
dislao nel 1200, Carlo Miirtello por di-
ritto materno ti tni\ò le|;iitimo eredo
della corona d*Un(theria; sebbi'ne que-
lUli cbe veramente regnò fu il mio emulo
Andrea 111 che mori nel ioOl. Carlo
Martello nion nel 1293 d'anni venti-
tré, vivente tuttora il patire di lui ; ma
0eÌ Ì20l avea sposata Clemenaa figlia
ék Rodiilfo di Il.tbsbiirgo imperatnr
d*Alenagna, da cui ebbe un figlio cbia-
mato Carlo Roberto, e per cnntraxiona
Caroberlo, ebe fu rìennoMÌuto ed eletto
r«4'Uaghona nel I50M. Carlo II di
Napoli mori od I300« o avendo era*
dulo Caroberto figlio del suo primoge-
nito abbastaoia pro^ vinto, feca areda
de* iooi f>ti ti il suo tarvogeoito Roberto
duca di &.labria, poicbè il secoodo^
aito Laigif ebe poi la santo, era vcaeavc
diToloaa. Caroberto aoo s'acquetò à
questo arbitrio dal aoono soo, e prelaw
la soccessiona negli Staiti di Napoli e
Prnvenxa, come fi(jIìo del prìmogeaile
di Carlo 11. Ma limessa la cosa al già-
disio del papa elemento V, qaaatì •(••
tonile in ia\ore dì Roberto. Danto avea
conofdnto di peratina Carlo MarteIJa,
ad avealo a>ato par mm ba*
molto caro.
50-54 i€ ftiit fotte itmto m,
di: sa il tempo del viver mia lasH alato
più lungo, non sarehba par mteuàtn
nel mondo quel male cbe acraJrè par
Colpa di Roberto. Dante fa avi piali
ti/rare i mali delle guerre cagiiiaalB di
Roberto per opporsi ali* ìagraiadiaaito
di Arrtgo VII.
52-5Ì. U mU letizim.Cmtr.amL:
il lume dcll.i mia bealitudina, Ck§ wà
raggia d' intorno , e mi noMeóméa ae.,
mitiem relato a te. — Quaei mmimmlm^
come baro d a seta ehi u«» nel aoa boanla.
55-57 Atfai m'ammiti et. (Ma
Martello venne giovinetto a Pirana, ad
ivi strinse amici/ia con llanto.— «1 flai^
iti ben nniie: e ne avesti motiva, par»
che te pure amai, e le aa «letti
piccola pro«a; ma *e loaai pi« vìi
le ra«reì dmioslial» bea altrsa
(Ihisma eoa Im'IU metafura f^nmétde^
l'amirixia i (lice», lì a «aaalì fcvarì;
frutU i doni genaroai a i aalliasi aki
opportunamente si pofgaoa «Uà fttbt
che è in bisogno.
Quella sinisira riva che à lava
Di nodimo, pnirh'é mi^lo fOD Forga,
Per suo si^ore 3' tempo m' ai()M'riHTa ,~
E quel corno dì Aasonia, ctio s' imborsa
Di Bari, di Gueta e di Crolona,
Da ove Tronto e Verde in mare i<gor^,
Fu1(:esmi già in ironte la corona
Di quella terra che il Danubio riga
Poi die le ripe tedesche abbandona:
E la bdU Trinacria, cbe caliga
Tra Pachino e Peloro, sopra il golfo
Che rireve da Euro maggior briga,
NoD per Tifeo, ma per naacente swiro,
Allesi avrebbe li suoi rrgi ancora,
Nati per me di Carlo e di Ridolfo^
Se mala signoria, che sempre accora
8-aU QHflIa ilniiln rfr* le : M-C6 Ftilfiimi gli in fronlt i
r. ^«ì\„ pHH a U
a'tlnflUri
OT-M. TWMcrìatb
rf'll.H. {,h
■IÌBÌi>, ili (nnin, lapn il
>, dr Mr Em 'pii «lì* •!• éIÌ* I
• di CrHtMa tnrnlit* il YiiM TD JVb<i p«r TV'Aoi nM pcnkNriJ
■ TM «Inni (Miti r<« lui »,l««l n Hp-'lln, mih d<cc !• titsl*, il |b J
ium bnr^ •Mhb > IU(tt<a (•<■>• l'ifri- eh,' iiiiii ■■Bima« [nns,*^ ■
; <lir ti^nrriU*, Se* fgli, ft i> nlBÌira Ji Klf* cfa* llMarBlMB'^
Li poi»lÌ suggelli, non avesse
ìiosfo Palermo a gridar: Mora, mora.
E se mio frate questo anlivedesse,
L' a^a^a poverU di Catalogna
Già ruggirla, perei» non sii olTendesse;
Che veramcnle provveder bisogna
Per lui, o per allrui, si cb'a sua barca
Carica più di carco non ai pogna.
La sua natura, che di larga parca
Discese, Bvria meslìer di tal milizia
Cbe non curasse di mettere la arca-
Perocch' io credo cbe l' alta \elhia
Che il Ino parlar m' infonde, signor mio.
PcrlÉ
aggia, I
G^ala ro' è più: e anche questo bo caro.
Perchè il diseerni rimirando in Dio.
Fatto m' hai lieto, e cosi mi fa chiai'O,
I
I
mnnt» .11' ir», .r. — DbIot., ir., rm-
Jcll.,ii>ilnril>u«^iodc.
n. a fridar: «ora. mora. 0>ì
•■rio ilie 0 per lai ttn» t p«r «lui
ta (,riil.ln Briosa, 50 mino, »«■ lulM
1. Bicilii In quella iiwU;..<>< •!<' Fron-
gii. in^pe «(ic, OOd B nP'V
Mi rfa* h ck..i>iiti il V«p» Sicl-
pii difilli per «iÌi»rrà«li«, vi.
>' •liliutisi «ncb« r*»risi> <«'•«
7G-T8. £ M HM> frattrt. Qun-
ia Ruktrti) [ii «Ugni» in Clilogo. poi
ninulrì.
nuspi<lr«,ri[«cct*milMrÌ nxili di
■Mi >W (ii«n! di r-U ■ di F.n.,
2» t'i «"")«Ui •*» io »>>i>. «'^ •'
H:k8d. to ma MUiira w. Um
fi, do» di lib<r.1e (d. Cirio II, tb
,ri«S.mq,»dq»li,C<«..p«pui
eri ■i«Biiiptei>did<i|,ilÌKeHyirM,r<-
mil»r«, ftttrn hi>> ptimt pmuno di
.Irciii t nilHn, Kribl» lUMlitri «
laJBuHiiB. di Ufi uinittri, ckaHxi
dnlci «> gmiidii Dui U pid* d« P"-
nmi t.mtn:
«n kà- Ioli* l'>pprlilii ■ chi li diioriT
k« inimjiit lo .«rlu. (h. » Ri,lH-rl<>
gS-90 P<n>«:k'<ocr«di>n'.Èl>jiU
ch« di i|<ii ecmlBcii ■ p.rl<r«iU'*>iìM
di Citi» Uarisliu. Q»lr. ■ ini.: hcU,
a ■iinor nix, i* credo die nt 4n*
t >t dei niiùlH Illa > iniLiercli, diii
»r,rbe.. « lami» . .'iniii^ldWlil
prii«ipio.ilI«d'.|,nil.™t -««.
■ ti ipewhimt «111 rivi.lt» tic liiea.
S» •!> le, «m. U t.8SÌo « .«M ^
sii fii>d'or.,prÌB. pBr di|,l*ng.r,.l
Ttri e ■•ivi, L'ocarn porirti diCm-
l'.l>. l.li.1^ .he il UD p.rl,r« *'•*.
foade, q.iHU leOii^ mi * pii |bM;
e qnntB laciir^ mi U piware, dt
m Tedi in Ole 11 verìU dì «i» À* il
ialoftu CU fuaglrìa. «flin.'bi ■do
|1i ..«M . nB«,rc, p<Td.i «™ «<•
di».
91-93. FMt m-Sai te., A*,Ȏ
dHu «li ptricnuUiiD, u lo rifrroiono
tifopcli tufgMi. Non mi ffi-^:
mudo lU'uo che m'iiai lilln lieto, ti«v
.Dtke iliuile IpoieL» «.Ile liu«Hti«
CARTO OTTATO. SU
IVnché, parlando, a dubitar m' ha! mosso
Come uscir può di dolce seme amaro.
Questo fo a lui: ed egli a me: S' io posso
Mostrarti un vero, a quel che tu dimandi si
Terrai il viso come tieni il dosso.
Lo Ben che tutto il regno che tu scandi
Tolge e contenta, fo esser virtute
Sua provedenxa in questi corpi grandi;
E non por lo nature provvedute ice
Son nella mente eh' è da sé perfetta,
Ma esse insieme con la lor salute.
Perché quantunque questo arco saetta,
Disposto cade a provveduto fine.
Sì come cocca in suo segno diretta. los
Se ciò non fosse, il. del che tu cammine
Producerebbe si li suoi eflbtti.
Che non sarebber arti, ma ruine;
E ciò esser non può, se gì' intelletti
, Che muovon queste stelle non son manchi, iis
E manco il primo che non gli ha perfetti.
Tuo* tu che questo ver più ti s* imbianchi ?
Ed io: Non gié, perchè impossibil veggio
iadoUo a dobiUre), Com$ ntetr
pmè di éoiet ttwM tnmmro: coow pttia
d» baoQ padre vidr cattiro fiflio, • nel
caso Ma(r», da no libarale on avaro.
t4.9e. S'iopoao MoitrmU tM
Mino, fo flU riesca di Tarli covaro di
ana Tarile fondsmentalaf rarrot lloiso
• qmHtk$im dimandi, coma ero Hairf
41 datm, òaè, la domandata eoaa cha ti
rìoBaoa alHaacoro, cbe non eoapffsodi|
Ci si fare dùara a maaifesla.
S7-ee. Io Ae» ce. Iddio cW follo
il cieh cba te icmndi, cioè, sali, fofaf
o eooleiifo ^ica eoolcólo, perchè raodo
coQlcole il desiderio delle iotaUifeoio
soolriei. dM è di airvicinarsi al cielo cs-
l»reo) , fa cbo U tirlmlt, V attÌTÌIk d'asio
cielo, tonfa lo voei della taa prowidtn*
sa io poesia afera celesti, cho
i loro loiaasi eolio eoaa torreoo.
400-401. B non pwr 1$
r» oc. E per la predetta attÌTÌIk oallo
ascoto cho è da sé parfaia (cioè, Ballo
oBcola dima) ooo aolo aooo pnor^
dote lo ooloro dello coae terrestri: mi
iBsicao cao essa oatora la Mifofi Uro,
cioè, la loro alabilìlè o dorevolem.
A 03-f 05. Fnrkikqvmnimnqne f*^
ito «reoMcfte ce.: perlodiè tette foidlo
eoaa che f «esto orco foefte, cioè,aopra
le ^ali ^este altivilè inSoisee, tcoi»»
oo dol cielo diapoato a certo provrodote
Ida , sìccooM Is freeeia è dirette al eoo
aoaoo.— OMCo; è proprìaoianto la tao*
ea oella Iracda oella anale entra la cm^
da dell'arco: ma qni è preaa ■elafor»-
caBcnte per la freccia stessa.
'lOe. 5ec<dN00 fou§, cba ogoi eo-
lesto ininsBO seeodcaaa a proTfcdote
108. Ch$ «on «orcèèer orli» dio
000 sarebbero ediScaiioni , (ortf , pra>
dalU d'arte).
440. non fO» «umcM, ooo aooo di
■aoconto attÌTitè.
4 4 4 . ff oMiieo ilpHoio ce. .* a OMO*
aaote dalla conireoieote attiTÌU Iddio,
cba 000 abbia pototo perfariooaro Pa^
lifitt dette soo craitoro; ilcbo oao poi
UT H i'imkimtelU, ti si tcbia»
risto.
Che la natura, in qoel cb'è Dopo, slanrbi.
OnO' egli encora: Or dì, sarebbe il \ìe^po
Per l' nomo in Iwra se non fosse cive ?
Si, rispos" io, e qui ragion non cbeggio
E può egli esser, se giù non 9i vive
Diversamenle per diversi uffici?
No, se il maestra vostro ben vi scrive.
Si venne deducendo insìno a quici;
Poscia conchìuje: dunque esser diverse
Coovien de' vcKlri effetti le redici :
Perchè nn nasce So!one ed altro Serse,
Allro Melcliisedech, ed allro qjiello
Che, volando per i" aere, il figlio porse.
La circulur natura, cb'É su^elto
Alla cera mortai. & ben su' arie.
Ma non distingue 1* on dall'altro ostalo.
Quinci additiea cb' £<aù si diparte
^
Per seme da lacob
e vien Quirino
H4,iBflt«I(ft'i<«p<.,ila««.
ncd;.»Hrìtàu11. lert.prrBhi
«o4, vengi meno ntlle ^^.^ nccn...,io.
«ure di qoell.. Ateodo «di M>
Ile-IIT.HWH^Miieic^.HnaB
l'Bon... WC1.U, e 1. HHtk d« H*
.ucgniecitllogaB— Si. rùpojiiotc:
p™t™Ìooi .di afB«i, t.].»g«« (.m«.
-ì, ». ràpMi ; «rehfc. prge^o •'«bIÌ ucd
der* che |ii -aomii;; awwer «*4i.
EolKdilU»>;e<li<.n « c<».«» 1.
d' »d^, di u»l«». di «pMìa. D»
de JuB^M elUelelh rirlà d'ielui
I(8-I20. £p*i tstiutiTH.e
(,«» p4fale d; Oii'H , « cuc.» dA-
* P""" "1 ««'•■
l24-ta6. i>*nM«..-p»tif»l
lindu di«n> optri ed irli aKourii
con un MM SetMU. dM , H. w«
.Il'ordio. iioiicnilr • •! privil.. e ptib-
Ulc» IxiiHHrtr N», K il BDoIr» VIK
•l™, IÌi>*,ie*ririol»lt, te.
olirò .«fm. ed iltre ■«««», ».
Senr.i «jH«re eo ,mp,ro: — Jftn
Ì(«IrA(i«fMh, <M, ■li'ocWBeMf'tfcu.
derb.(lb)(dnerntereilM»tdfl>e:-
fd oli» fwll* n. . td .Uri («Hai
^Zl-t&llMttreularmatmnit U
Tirhi itlin de* eitti einuleoti, |. mIt.
dt-CMlrt tgtUi. ice, to »d«ti t-lr.,
»ni. (. ilMtfril* mU. mh, {.pH-
■Mi «prei noniU I* iedulì i,^, h
•M1Ì «netti •) IHWii» pHrere. Ed
i'u«.«, i'.ii<»..e. •. M dìnm>
dt J'M dallcUrt aiMU. ■■.«a* dit-
«•riella in ri,p..l. .1 dubbio d<J Po^
1*. •«» D3. Iddìo eclli «H prov
•'.JcDii hi ditpo.l« cbe ì dtli infliuMt-
iyl..Jidei,e,einrT'-.T-S«E'»
^. «Mdj aTtCM <4«.G»t «■
CANTO OTTA va
551
Da si vii, padre, che si rende a Marte.
Natura generata il soo cammino
Simil farebbe sempre a* generanti,
Se non vincesse il provv^er divino.
Or iqnel cb* Ven dietro V è davanti ;
Ma perchè sappi che di le mi giova,
Un corollario vo;!lio die t* ammanti.
Sempre natura, se forlona trova
Discorde a sé, com* ogni altra semente
Fuor dì sua region, fo mala prova.
E se il mondo laggiù ponesse mente
Al fondamento che natura pone,
Seguendo Ini, avria buona la gente.
Ma voi torcete alla religione
Tal che fu nato a cingersi la spada,
£ fate re di tal eh* è da sermone ;
Onde la traccia vostra è fuor di strada.
135
140
145
à' Indole tanto dì?crta da quella di Gk-
cobbe: e Romolo guerriero uatce da
OD nomo ai vile, che ai rende, si dii a
Harta , rome dio drlla guerra, e aiit*r
dell' influaaoy la gloria di eMcrgli ataU
padre.
433-135. Piatura generata et. I
agli aegttik'n bber sonijirr la natura dei
atoilori, ae l'influaso celeate non pre-
436. Or fur/ che l'era dUiro, ttj
cioè , ora ta vedi rliiaro , quel che pr».
flM non Tcdcvi. Kd è moilo a«nii|«lian(e
a qocl che abbiamo veduto io qoralo
flaédcaimo Canto, t . 76 : Terrai il tÌM
tome tieni il dotto.
437. i)i te mi giora, mi compia»'
«iodi lo, del vederli 'todikfatto
438. Un eoroUario ec. \oglio cbe
«aa gioBla ti Bnisca di vestir la merf-
4c; oaaia, voglio che il tuo intelletto
coati pienamenle acbiarilo per quel cba
ti tggiongerè.
439-140. Sempra oa torà. te/br>
émmm trota et. Se V indole ai irmi in
una condixiooe di coae che non la ooo»
venga; §• Paflìcio o la profcaaioM aia
di-oordo dalla Datura dtlF animo, ec.
441. Fuor di tua region, fuora
del cKma conveniente. — prova , rio-
•cita.
443. ÀI fondamento che natura
pone. CÀoèy aJJ'indvló apirata dalla vir-
tù dei cieli
4 t4 Seguendo iui, avria buona
Im gente. So nella pubblica amoiinì-
atrazione, ai civile cbe ecclaaiaatica , ai
atudiaaar bene l' indole a la naturalo a^
litudine dt'gli uomini, per coUooara
ognuno al suo putto, aareubc molto on-
nore il nunioru dei ridicoli e dei balor-
di , e non aarebbe ai mal acrvita la io-
aeta.
447. E fate re di tal «e. È f|aeato
tto morto al re Hoberto, che meglio cLo
re aarrbbc stuto un (rate da prodica.
Petrarca giudii-è diversameate di lui ; il
cbe non mIo prova la divercità aomnia
deir indole a del caratlora dei due poe-
ti, ma è pur anco arg«imeoto cbo io oo-
obi anni eran variali d'aaaai i tanpi •
i panaieh degli nomini.
448. la traccia tottra, il TUilra
commino, i voatrì paaai.
CMXTO NOXO.
Da poi che Carlo tuo, bolla Clemenza,
H' ebbe chiurito, mi aartò gì' inganni
Che ricever dovca la sua semenza;
Uii disse: Taci, e lascia volger gli anni:
Sì eli' io non posso dir, so non che pianto
Giusta verrà dirìetro a' vostri donni.
E già la vita di quel lume santo
Itii'olta 3' era al Sol che la riempie,
Corna a quel ben cb' ad ogni cosa è taolo.
Ahi, anime ingannale, fatue ed empie.
Che da si Tatlo ben torcete ì cuori.
Drizzando in vanità lo vostre tempie!
Bd ecco un altro di quelli splendori
Ver me u fece, e il suo voler piacermi
Significava nel chiarir di fuori.
Gli o.cchi di Beatrice, cli'eran fermi
Sovra me, come pria, di caro assenso
Al mìo disio cerliriralo fermi.
9. Comt ù qurl ftn n.s t^H
anu, figliaiili .li Cirio Marinilo «
rgli quel bene eho id ogu COM i Mto
q..uu> b»it; (io*, cUo .gni .»M «-
Di»t>> di L«J»ilc« X ri di FriBci., 1.
quia a* (ueon lìii naaudii il Poila
MrìVM qiiniì x»;.
fd rmptt C«ì lr|;K« U NiJ. LfCoB.
2-3. Il-tib, (hiarilo.lat. ilei Jyb-
Wo, tMae p«M a.bu>.n ,cm« «■■»■ fraU
rmpit, eiu* irulare (m|<ie nns '1
le ■>»». — gì- tnvM<H «. . le IroJi
TWlro trctum. — faltH, rue. ibJu.
per U quii li tnwun. li <)lK(ni<i«i»i
^ Ctr\o UirUllo |Vcdi li ù.li 49 d<l
13. b voiln- IcinjirA, i tmItì m>
•ion.
dillo pr« 1, dovitt «sor* prìiiU dd
H-t5-i.li«fo(«rpf««r»i,b
■HI» di Ktpoli 0 Sicilii.
S-«. SI <A'I« ce.: ond'is, doTcnJo
Vhkiiitt II emudo, Mlomi di iKCrc,
BOB pcMa dir» H aon (ha , io feQDiUi
diri dioni ■ i« rmlì, xrrl giuUo ci-
nel luiggiDr Hiiiroie dii Iripia^dit*.
iti|0« [ir fiiugira i vattri orispinri.
Di» ,o,tri. por<l,t .uch. Clemoia
Cerio Mirldlo e in .Uri muùli md.
Moij» Otlni di qUtil* BlUipoliBBO.
Vgdi il C>»ig Vili , ver» iO • un-
7. la «itd H., l'inimi di Corto.
(8. cM-H^Bitó f«-»i: Bì tSr,
f irj CmIìcì iuT» di Tila hioDo i>i((a.
eerlo di caro, di mollo a nw gnfilo,
a. Qt Sol te. : ■ Diu, tht la riim-
.»ee»i eioi, oi.-«ir»coD.ealÌTi al ^
CARTO NONO. 553
Deh metti al mio voler tosto compenso,
Beato spirto, dissi, e fammi pruova so
Cb' io possa in te rifletter qnei eh' io penso.
Onde la luce che m'era ancor nuova,
Del suo profondo, ond'ella pria cantava,
Segoette, come a cui di ben far giova:
In quella parte delia terra prava 2S
Italica, che siede intra Rialto
E le fontane di Brenta e di Piava,
Si leva un colle, e non sarge moli' alto ,
lÀ onde scese già una fecella,
Che léce alla contrada grande assalto. so
D'una radice nacqui e lo ei ella;
Cuninea fui chiamala, e qui refulgo.
Perché mi vinse il hnne d'està stella.
Ma lietamente a me medesma indulgo
40.wuUiaimio9oler...ani^fim»o,
ék lo^wfnìoM al mio iImm.
20»2I . f fiunmi pruota ce.: «car-
lificanii edi'fliferìonia Ch'io potm, io-
lewii p«r meno di Dio, im U rijll€il§r,
qmm» nppo per itpccchio, qw€Ì A* io
pcMM.'CMk, protaini che il mio datidt»
rio, M Dìo dipioto, si rifletto in to.
22-24 . Oiufe te /net te.: ernie Hani-
mm cfce ie omi conoeceva ancora per no-
nM, Ari «no profimdo, dal cenlre
Mm alella di Venere, in coi prima eefli
nitrì spirili eantova. Segmttte, cioè, ag-
gionao, continnè, al mio parlare il eoo,
€tm» persona a cai giova beo faro, o
Ao M cempiace di essere alimi cortctt.
25*27. M quella part$ ce. Si do-
scrif e il territorio che è tra i confini det-
to Marca Trivigiana, ore scorre la Piavo,
del Pndorano. ove scorre la Brente , o
del l>ocato di Venesia, significato cel no-
■o della nrincipale isola di Riulto, alln
male antKamente si rìstrìngera to cillà
di VcMfto. Il Poeta chiama pr«t« rito-
fica terrò, o sia l' Italia, perchè aro di«
•ordinato o piena di tiranni.
2S. «m eolie: il colle ofo aergo il
cnstelto di Bomano.
29. Là ernie ee. Dal ^oato acoao a
stmoMnio di ^oelto regione ona Inncnh
dovantalrico . cioè il tiranno Eoalioo UI
doito iMBglia di Onora . con b di Bmi-
no. Fietro di Dento dico che il Poeto
chiama &Mlino faetUti perchè ìm ■••
dro,e8sendoTÌdna al parto, sognò di
partorire ona flaeeola acresa. Ma anche
àò , ben ri conTÌcne il nome di
/teef/oa Enelino, per la soa natarn
crodde. e le stragi e gì' incendj con che
apamtè ed afflisse la eqnlrméfa, il ter-
ritorio di Padof a. Il dinìinotiTo téctUa
aecenna forao alla piceoleoa dei doari-
oio di ^esto tiranno.
50. ^reutde ostollo, Om §rmid§ «f-
Mrflo ìegee il Cod. Caet. e U Gtonh., o
cen pie efficacia.
Bl . ly unm rmdice ee, : dal modeai-
mopadra.chefu Eadino li, appeUato
U Monoeo. Cottoi che qoi favella è Go-
nioa, sorella di Endino III.— ed èOm,
doè, la detto fèeella,
82-53. e qui refkdgo ee.: e qoi ri-
dondo, non sono salito piò io alto; no-
roeehè 1* influsso di questa stolta di Vo-
nera mi vinae^ lacendoni dedito agli
affloroM piaceri.
54-56. Ma tiektmente ee. Ma Itote
ai perdono la passato %ito amorean,Oi-
gieoo di qocrta mia mioer glorto, oè
ponto aù affliapo^ né per rimorao, oè
per dwiderio di pie alto grado di hanli-
toXno; il che forse jpnrrto, potrehho
parare, fèrie, doro, diffieito o intaodero
al volgo dai mertoli, tra'qoafi to aaat
foooo altrioMOti. Da qoesto parato ata-
an to hocco a ConiBa ri ritovo. cfco II
Piata dohitova ferto di ooo oneodero
to pohhiica opinione ponendo tra'hiatt
La cagioo di mia eotte, e non mi noia,
Ctie Torse parria forle al voslio vulgo.
Di questa lurulenta e cara gioia
Del nostro cielo, che più m' 6 propinqua.
Grande fame rìmai^, e, pria che muoia,
Questo ceuIcsim'aniiD anror e' inrìnqua.
Vedi se Ur sì de' I' uomo eccellente.
Si eli' altra vita la prima rolinqoa I
E ciò non pensa la turba preiienle,
Che Tagliarne nlo ed A dice richiude.
Ne, per e^ser ballula, ancor si prate.
.Mu tosto 5a ctie Padcn'a al palude
Cangerà 1' acqua die Vicenza bagna.
Per essere .al dover le genti crude.
E dove Sile e Ca^nan s' accompagna.
Tal signoreggia e va con la teet'alla.
Che già per lui carpir si fa la ragna.
Il il cui Irnppa più rhe 1>
J
|i.>iluna ■ pieJln i dEnai dn CdiIìì
une lisKgli tcmbrita I) xinllt il'Ci-
43-IS. la iitrim fr^tnU, (li
roplùnmla M. La snacaM
■ì..» clx ,hn. Ira il T.(lin
l'id-gc, Bymiditnl ISOOhm
I
uivuliD Hra ; pcniHrkò cbiara i iltbo- de cinta il Btcclniili
ItlflBiuiiU. Ja|H. hiCultMa. "^ '■- ' ■ "
Kt'iO.t.priathi Buuiia . K : *, p
erudi ti der*rt , eia* ■
It iriuHill*, ruigeraBna ìb i
•i Gliibcllini : U prtoinll
fu [.U
42. SI eh' stiro «Cta fa prima ra-
liaflM. Cn\ (Ih li prini liu ai bnia
duiila, ■> r«fiBfii«. H liH3, 0 per
fp^rw 4'tn|Fgmi o par cgragi talU, a'ira
p]l«in drlla IrgI ll>lbf lliiu Canfirwéa
49-SI. EiaitSilett. BaTN'i'
ni S;i< I CiinlDo, TU (ciaa B*
di Cuninn] u(nwr|)|ii • n wi
ncBtre pi ni CMnp<ina la r<lr ]
Bic«»nl" tu di bui ■ _„.
itolrt di nolla wapttlaadi lirir
'.V^tsi
CARIO nOlfOi
Piangeri Fe!tro ancora la dHbha
Dell* empio svo pastor, die sarà seoncia
Si, che per aimll noa s* antro in Malta.
Troppo ttmbba larga la bigoncia
Che rfoevaaw il aangae ferrareie,
E stanco chi *1 pesaase ad oncia ad oacia,
Che donerà questo prete cortese,
Per mostrarsi di partala cotai doni
Conformi Geno al viver del paese.
Su sono specchi, voi dicete troni.
Onde rìfalge a boì Dia giadicante
Si che questi parlar aa paion hnoai.
Qui si tacette, e fetaaii aeaibiaale
Che fosse ad altro volta, per la rota
In che ài mise oom* era luivaate.
L* altra letizia, che m'ara già anta.
Preclara cosa mi si tee in vista.
u
60
65
^.Piangerà Feltro te. Egteodo
ffiftupiii ìm Feltr« molli Ferraresi, trt
di Siri ewti gMlìlnomioi della Fui^
Imm, per Mlvarti dallo wdtpm ial
pift, col ^oale «rane io gserra , faro»
am wl Teacuvo Corea di L«!iaia , alUra
iMBpenl aignere della detta cittìi, eoa
IMMcartaaie rieevati, »dì fatti frifi*-
■I • aeaaefati al fovaraatore di Fer-
rara prr il re Rubertu, o per la CUeaa,
Kaa della Toea, che li feee craddaiea-
la BMrira. Dice che Fe'.tre pianftrè la
éifmUm^ ciaè la tleallk , di qatiftU ▼••
scafo, pcidiè nolli malie gravi tarka-
leasi laroaa ia qaclla città par la cae-
léala che poi avveoae di eaao , e l'arto
àailelaauai.
S3-5I. tk§ gara seoneia 51, aa. :
Ai§ aarè «ituperevole si, cke per pie
ananDc delitto ooa eotrò atei veraa al-
ita prela aeir ergastolo delle MaUa, a
Maria. Era quest'ergastolo ia rìta al
lag* ài B.'lseoa, e vi si riosairafaaa i
filari ri rei di capitali delitti.
83^59.rino^fo saraMe ee. s Uaaga^
rakba troppa ampio redpieate a aeata-
■ara latta U aaogae ferraraae cIm aarh
f vaiaaCo > da mmsIo prela aae^
^aamra iraon. cartata, H»
dì sangae criatiaao) per a^
•Irara di pmrU, doè baaa partifiaaa
dfi parla gaalla j dal papa a del ra di
iMi (ial. I'
berab
aaiega, e forse BMf Uo, l'adit
r empireo i giudin di Dia dà
1^ imphmoao adrardiae dei
Napali. — f f faneo: a sarabbe ttaaca ,
ii atanciiarebbe da voleaae oe.
60 (Conformi fiefur, aaraono caa-
faraa ai cartami da' FaUrìai. a qaali ■
aaataagoao ai Faltrìai, gaatt, a gaala
laliifa e aaagaiaarìa.
61-aa. Su aoaa «paaeM ae. Sa Mi
dala di Sataraa aoeo qaegli aagali «ha
laì aristiaai chiamala Troai ; o coaM
», l'adii, pad.: ali.
dintiaaicala
impnmoao adl'araiae dei Tram (che
è l'a^liak» della priaaa gerarchia) e da
eaao riaeaai ven„'«iao ia aoi beati. — «al
ikttt, dall' antico dieef.
n ^imUi parimr n§ fmhm èna-
l|l.* qaaste prcdiiiaai am trggif a
carta, vi'iiaicaa.
ai-ea. aCccaaiiaewMwia<c.Caatr.;
a par la rota, ia rbe ai miae cam' ara
daVaaCi, lareaM sambianla che laaaa ad
altra valu ; émè : aaircaaer toraala a
girare col saa cida come prima, wà
laca BBBoacara che pie aaa atlaadat a
air. Vitrm leOste «e.: ciaè, PaMra
aaiaaa beate, «ha an ara già aala per
^U che fa &mè da Gaaioa, aaa
Mrehè ia aaaapeari il aaaM^QBMla 4
FaMa aa Hanigpia, aaaM m aaaaa*
rìi;»leadeate.
a cbe lo Sol percola.
_ ir s' acquista.
Si come riso qui; ma giù s' abbuia
L' ombra di fuor, come la menle è trista.
Dio vede lullo, e tuo veder s'inluìa,
Diss' io, bealo spirto, si che nulla
Voglia di sé a le puole es^er fuia.
Dunque la voce tua, che il ciel trastulla
Sempre col canto di quoTuoclii piL
Che di sei ale fdnno.^i cuculia,
Perché non soddisface a'roiei disiiT
Già non attendere' io tua dimanda,
S io m' ìntua.isi, come lu l' immii,
La maggior valle in die I' acqua si spanda,
IncomlDciaro allor le f^iio parole,
Fuor dì qoel m^r che la terra inghirlanda,
Tra discordanti liti, conlra il sola
Tanto sen va, che fa meiidijiio
C9. talaicio. •orli 3ì pielr. fo-
7T.diqM-r>t<":hipiÌ. di«Bt-Sfr
riflni er'K-nli Jamora. Seropli »:»■
70-7B./'»rl((iiiiir«.ConitoBÌIn
Gca ardmle. il canto a il pnn d«
b<iLÌ .!cl tenncìalo, «ma d^li tltii.
«n- Itlbitrt. in foni à-o„t iuitni*
t-iaimadSn-tlÌDi.
ill^Htu i cflA l*nù in «iti» por Icli-
T8. Che di Iti tic fann»ii tutti-
>iu*BUqiihU,» iiiDi«ila.iiplWc>rD:
ai gii ndl'inruno la cmhn d«'d<D-
i,'<^t}ì"u^Ì» ^^i'dlcri>a'^pr*^
Htì li r«i» più ncniti ■ iDÌiuri cbe
U, haii.
mhb tm(« • d»1ti>li.
TS. l' Muco.*' inlemalg Ini,
dliaptrtchi Isaia.
U-K. Si du nulla Jofliio di
SI . 5- io IH- inluaiil re.: it it »
li K. Tallì i comcalaLori the hx le-
traui ì» le eana In entri in a».
82. La maagiur rolla . a\t,t,
l'impìt tglla o bacino del Hadlltna-
rn nao ararlo upnin Itgnwa.Clii «or-
nbba aambiira togllt di ài la <i»tjii
HM credulo tnlieanirnla il mtglitH
dei mari derìiali dall' Ocatna.
< Jillu fUmni; dil tu«1 rlhriH ì] pro-
M./«rdif«I«or«.Ci.t,pr
noma Ji 11 a Dìo: chi £a.linca(t i„.
cui li ipattda l'icnua rlia rin (avi
(«preti mjlio di li per taglia ckt
dall'Oceano, o flran ma», dal «alt
«no tUia: «te lolle •lìtMael bapii
irilcrìa t «lllli traaioeliu. lo lUc-
«•DrloMjJia J.l pronnma di té, t eo-
dell' RorT>pa e qnelli dall'Areica, dì-
■eurdeiili di (rollami , di Irijn a di rib.
tsterfHtt di li a le, Dllengo un cblaro
— conlrs H jolc, conlrg il un., del
ilirt: aeatBDi tDijlìa a dcEidirìo pai»
OBabi il Medilarraoto, dallo (litUa di
involtili, o Kllrtni («iter fura, a Ac
(^ibìllarrt, doit ka prìntràia , n ■ Icr-
M, rio* ladra, di, <..p.r«lg«ijM
min>re «no l'.lolln..
dì.)|nìIe.I«aUri>l>l(oe«cl>Ìa.
86-87. Tanto «»««. Tania»
re. trailutla, <lilciti.
lltudt^iUelloHcditerrautol^cbe (od
Là dove I' orìz£Oiile prìa Tar suole.
f)\ qiiolla valle fu' io lilorano,
Tra Ebro e Macra, che per cammia corto
Lo Genovese parlo dal Toscuno.
Ad nn occaso quasi e ad uo orlo
Buggea sJcdti e la lerra, ond' io fui.
Che re del sati°uesuo già caldo il porto.
Folro mi disse quella gente, a cui
Fa noto il nome mio, e que-lo cielo
Di me s'imprenta, com'io fé' di lui;
Ole più non arse' la Gglia di Bolo,
Koiando ed a Slcheo ed a Creala.
Di me, infin che si convenne al pelo;
Nò quella Rodopea, che delusa
ifdiprlDdpiiielilarnioRli
I<u>p> M P..tt,. 1! tttiiirrt
tridi SO di «Isnnuoc ■ ddb 0
■ni P<i«l* inpiMne: mi qntl cito (•■
riliba Tcro ìUe ti hrcblit lunrliliiDa
<J>>Ts primi (1 tircTt oriniiiiM , ptnhi
89-BO. TVa ffftrt
., 0 qi.ai
il (le-
ttili T««H.
0 1 -92 Ad KH OMWO (e. Buon* ,
n B>i|li,dnl MlluSl.lBdMlG'n, t
ijUiii lotls il Hi(riilì«a« ii H*ni|lii,
nnift lin nnMHrluatRU «il ittrt,
crtat ogiiBD u, qnHt la ilcuu nrigulf.
Tuia..— il VrlluLoI).
■ latli i ICHBCDltK»! . .
larri.lra Etra e Macra dbb ( Muri.
£• , mi GcouTi : dm l' Ekn BccBButf
I)ibU nafl t 'l iume Mli S|>«^t^
eh» «anbbg tavÙn* IropiiB dhaimaU
ailU Hurii BiB A ■!> HBDiinlI* i
quel Buine cbe bhH* i> nin In 1U '
Dtw (Mua-,( (iMiiwBdw cbequllf
lem BICI M rida nido di liafM 9
parla, li «v*. luIMd'ra itiìt ilnft
(ha i SirBMiu (gci-rx d« Qis«tai M^
nEbro
93 dtl tangut iiu «e. Kr-ttm
la •ITM» dei UinislicEl faUo ila llrula
qain>l« pfr orilrne di Cmr* iHiilIft
ed (ipB|;i>h 11
i« i, ■ tiiHiBo 'Iw !■ tenà
[.■ir.rtBi«iiMllBi>;|rw, (
/i3(r.JiBrfB«..-ri-*,Dfc.i
n-M.
lariUdiEu»,
IMS bII'
, ìM
Cr«»H fil «U'éit di
»i di iiuell. (Ili io
, tu nMia di coavrni>i.iln<ii-ii;<niilTlpcl<
utllaB '- -■■•
EllM.HMIÉtf I
Fu da Demofoonle, nb Alride
Quando Iole nel cuore ebbe richiusa.
Non pero qui si penle, ma si ride,
Nou delld colpa, eh' a menle non toma.
Ma del Valore ch'ordinò e provide.
Qui si rimira neli' arte che adorna
Cotutilu cfTelto, e discernft^i il bene
Perchè il mondo di sa quel dì giù torna.
Ma perchè le Ine voglie (ulte piene
Ten porli, che soo naie in qu(<»ts spera.
Procedere ancor oltre mi conriene
Tu vuoi saper chi è'n questa lumiera,
Che qui appresso me posi sciitlilla,
Come raggio di °o'o m acqua mera.
Or i^appi che là entro si tranquilla
Raati, ed a no^tr' ordine cougioiiU
Di lei nel sommo grado si tùgilla.
i
KilH .Wl»lriM 4- OD l«v P"™ il
prc-M™... p«*b( awAXft
amate Rwlniv uclb Trirn. Cuilri, M>
...B. «'..d iillllWi ^ S ffft.- i
reKlIi in inKiidurin.
moiidod. Munsi min.i; iolBr^-. Te
tOI-102 ■*^Wrfr«,:o»Br«)«,
dÌI'«r„Ci,ii.«lrt,. 21 -TttrMif
M»!» ai Alct», aixnJ» >i (■ m«=-
«.*»«> a l»le lig^o»!! i' liurltB » di
• nlg^rr. «n». 11 Cotto, a»*!* iMb
PnrUflJiwmib. .pirn. il WrWM<
Balia, Rbo il ddhId di ncUini ■ Gian
lnli(iiHll>.llltÌ.
tinu J.i «usti»»!» r*iÌM>, f*»»
lOS-IOS.ffMpirtM.QaiprtBoo
Imrli. Mi li Ini.-u 'b'i» b> •>rl^
pmtt, nulo (<•»• n«tr. pi» ). n>l
nidi; toMiCxJiii ' di ■Dlickibt»
n TintP Idiiìi: ii»n « Ih «nlimmlD
d<ttlMV.p«itl.« <»■....«>». «..II.
ni«t< in ehi ki btrati, U. Lete: a» «
mr .li „(«*!» «f,M,, b.a.MI.
bl Ittmtdfll'clcnla >il«r>, ilclli po-
Girello
tei» > ufitnt, di ti.„, eh- ordinò*
rrMU,. »nlin6 ^»l ó.h. pii.n.ia'.mo-
Sl.|i..rrl,« lu |H.rlÌ lulU ,ù*M«l>bU-
n,>pr«.id..b,p,ri,l-n.ll...ian<>i
1. f- ..ti- '- rf» •"» "to ia ,««1
Hi HiKiKMf il Goti : U i» Ciilpt lana
rtbbeT Qui • mtnU no» («ìM, mal
IM-IM.Oirfff riniran.QuI n
•iflMiu. si» ■bbdii d'imuii Colatila
tiMwi, in auMla Cirio di Vcon*,
U •pirili. b* |>1 Iella ndl' uoa «
Diiiii' il BDv dniJiria , e lo pmim,
1 1 1 narra, pura. limpiJt.
1 1 3 ri intnf Hida, aU i> Inaoit
IIU t iure.
liS-IIT. «Mt. Qocll* wnlrw
di flirica, U i)ii>>l>, ■••■Jn nlnÉlii
tu. c<u «Ifuoì «plurilori dÌCi*M*,h
di J>Ui «Ili; «/«.'."Irf okrt )
"rn itio, — fJ d iw.lr' orritw •»»■
Da questo rieto, rn rni f ombra s* appunta
Che il vostro mondo tace, pria eh' allr' jUn;
nel IrionFo dì Crìsio fa assunln.
Cen si convenne lei lasciar («r palma
Iti alcan cielo dell'alia vitiotia
die s" acquietò con Puna e l'altra palma;
Perdi' ella fB\orù la prima gloria
Di lousé io sa la Terra Sanls,
Che poco tocca al papa !a memona.
La Ina cìllà, che di colui è pianta
Che pria vol% le spalle al suo Fattore,
E di cai è la invidia tanfo pianta.
Produce e spande il m<i!edetlo Fiore
C'ha disviate le pecore e gli agni,
Perocché fallo ha Iii|)o del pastore.
Per questo 1' Evangelio e i Dottor magm'
Son derelitti, e solo ai Decretali
Sì stadia si, che paro n' lor vivagni.
priwU dillt Jd IH
il DH* MTl* Uioiinoai* J<l i»lt. wmi-
Hf Ma aaiuc lulrla» Maria 1 atallatf
ai »l1*fi» |)ii<.l> n»l p>>i>'li ai V*Bc».
120. [u amami C«lr ( ini.: tn
a.ir .i ^w„„ ..l„r:r.^lì^l' iddi.
tra *t., Bri™. a-.U" in.». -*(( ("«■.
13U-ISa .( .uledroo /Ia« ac.r
.rionrò d,ii'i.ih..o.
l'a>if<n ■•'■ani d'|li ««Mir, fa In.
m prt palm: pvHiH.p*
,i.™.«..-a'-«leiljÌB,«i.«.»dlj,
tr.1.0
:..m,... p«i..ra 'VhIÌ la/- , C»uTH-
Ila li icqniiW mi Irgno deli* trttt
rriKC rt.b* HiDiirc lana di nera , * fm
cimi Hu ( r olirà palma. nnt.fM
cM «di, p..i«i. tf«r> all'avura cw
■.nb> 1* nini i> t— «•mi*. t'l>'«l
l'i ^•rn.>«h.l(«.t•r;•Mllnl.^d«•.
IMiptUli. H..1» ci.» li Irsfa il T»
da Carlo d. \ai« . Fir«.« dli dica*-
». I« lì ••ia..d<>.IUr..i.l. dell'in: M
iw. ^«-«M, [.v..rl V,di«OÌM-
■oa Itile .liurli, Ina danno.
pr«biiM..Hul.,*m.llfi
13» elu tMvhr tiratiti rAt
lU rtf yuu K.1 i. q»l Trm
ap«a>w> it ni*, «ariian (ha ti fk'
»ila U«r*uhilalt*«acrl>iic^lad:ii
Stiri* pH< >■■ Bill* m«U dal (xpi,
' liariaiH na' aiaiiai lu» Grrf-ria H
H»d-|i'.^^MÌ.
127-12!) LalunUd.ac Finn»,
S ll.iii.cad,. di Paan.fn^,aRanib.
la aula fa nlilieau •"ila gU (■•uicìi di
Mtii <ba d nballt a t>.. «oa Ja J-
U.aW tht i ^», *«Ì.««Y^N* »a.
860
DEL PARADISO
A questo intende il papa e i cardinali:
Non vanno i lor pensieri a Nazzarette,
Là dove Gabriello aperse V ali.
Ma Vaticano, e 1* altre parti elette
Di Roma, che son state cimitero
Alla milizia che Pietro seguette,
Tosto libere fien dell'adultero.
crotali che il Vangelo e i Ptdri , perchè
solo per la profonda cognizione fi
quelle giungevuno agli onori e alla rie*
chezze, che unicaiuente carafioo. ìùà
ecco corno a' esprime su riè nelle let-
tera ai cardinali: Jacet Gregoriut im
lelis aranearum ; jacel Ambroihu in
neglcclis elericorum laiihvAii ; J9eU
Auguttinus te. ; ti nescio quod wpé-
culuin, innoetnUum et Osliemem de-
ctamatU. Cwr enimfilli Deum qum'
rebant ul /Inem et optimum; i$U
centus et beneficia contequuntur.
437. IS'on tanno i lor pensieri a
Kaxsarelle. Di»pu che ha delto che il
papa e i cardinali sono nnirantente oc-
cupati del fionno; dice ciie essi non
pensano alla po\eilà in cui visse il
sommo ed etcruo pnntefire Gesù Cristo
che dovrebbe essere il loru modello.
Di'lla qual povertà fa testimonianza
r umile e misera casa da lui abilttt in
140
Nezzarette , quelle elceee dove l' angelo
« recò ad annnasiere le Sante Vei^oe.
Il qaal esempio fa le più solenne con-
danne dei sacerdoU nielli ed e vidi dà
beni di queste terre.
4S9. Vaiieano, or' è il sepolcro di
S. Pietro. — f l'aUré parti etetU, e
gli eltri luoghi piò eenti e venerabili.
440-444. eimii€ro AUa milixia
ee.: tombe ei gloriósi nartiri (U chiesa
■lililente), e ei pealori ebe aegoiterooe
S. Pietro , dendo el mondo esempj di
nmiltk, di povertà e di eerìtk , cou che
fn si rara ai tempi cbo vennern di»po.
442. deU'aduttéro. Int. del bratto
eeenppiaroentn che il pestur somme ha
fatto di sé culle ricchezze , tmscnreada
per quelle In Chiesa, tne prime e vera
sposa. È ripetuto in queste pero!e il
vaticìnio del Veltro venturo, che, ceae
s' è dello altrove^ doTea ridurre il papa
ei suoi priocipj.
Dnpo héatm rarte marmvifUotm « la prmfvUemtm éi Dio metta ereatìon* étU'miàftrm,
il Poeta tome stHta accorger st li ovatti atttm mei Solo, io cai ttmnmo |« antn*a dot émett tm tfM-
milà, Dodtci Spiriti lucenti pia del piaaeta gli oomgome a far eoroma tatomo, ed amo dà eoH, A
aiaai/ettati per San T. mtmato d'Aqaiao, tvHa d mom» doi taoi eoatpagiii.
Guardando nel suo Figlio con T Amore
Che r uno e V altro eternalmente spira,
Lo primo ed inefiubile Valore,
Quanto per mente o per occhio si gira
4-5. Ctiar Jnndo nel twt Figlio ee.
Coatr. e int.: lo primo ed ineffabile Va-
lore ( Dio Padre Onnipotente ) guar-
dando nel suo tiglio ( il divin Verbo) ,
quasi prendendo dti lui. Somma Sa-
pienza, le norme della creezioiie, unite-
mente all'Amore che spira esso Padre
e Figlio ( il S«ioto Spirito , che procede
eoa eteroo apiro dai Padre e Aa\ VW
glioolo), fece con tant' ordine tutte dà
che di ereato s'intende e n vede,
che ec. È insegnamento delle teolegia
che ella creazione concorsero tulle etra
le divine pei-sone: Optra ad evlrs
funi totiut Trinìlatii ; e che Demi ftr
l'er^um fedi nmnia.
4. i^uanlo per mente ee. Ireparc^
^«ih\V« «n^re^ono a siguificare lulla
CAUTO DECIMO.
Con tanto ordine fé, eh' esser non paote
Senza gustar dì Ini chi ciò rimira.
Leva danqoe, lettore, ali* alte rote
Meco la vista dritto a quella parte
Dove r un moto all' altro si percote;
E lì comincia a vagheggiar nell'arte
Di quel Maestro, che dentro a sé l' ama
Tanto, che mai da lei l' occhio non parte.
Vedi come da indi si dirama
L' obliquo cerchio che i pianeti porta.
Per soddisfore al mondo che gli chiama.
E se fa strada lor non fosse torta.
Molta virtù nel del sarebbe invano,
E quasi ogni potenzia quaggiù morta.
E se dal dritto più o men lontano
Fosse il partire, assai sarebbe manco
E giù e su dell'ordine mondano.
Or ti riman, lettor, sovra il tuo banco.
561
5
10
16
20
l'ofOTi A Dio , e qadU che li ùoomee
per U Imw AÀV intelletto , p9r wmU$
ti §irm, • quella che i senti dimoilnao
JMT McMo.
5-6. éh'uur non jMiof«5eiiM^«i-
$imr a kti §e,t che ekìonqae lo eomad^
ra (q«eil'ordinc| non può non MBtine il
booao e il bello: ovrero, li rtferiiee
il prooooM kd e Dio creator*, •l'io-
teade, che non pnò non gnttere la im
boati, la ma lapicoxa, chi rignar^
qoM^ ordine maraTÌclineo.
7-9. Lna te. Alzt dnoqve, eletto»
re, nceo di occhi della tna mente al cio>
lo Jel Sole , e particolarmente dote il
girar delle itelle fitte ti pereolt^ i* lo-
ci otri , tf incrocicchia col girare del
detto téle e degli altri pianeti, «••«,
da Te F equatore t' incrocia collo tedia*
ca ; che aTrieoe anpnnto quando il Sala
è in Ariete o in Libra.
40. a vagheggimr, a mirare caa di-
letto, mtU'arte, nel magittero di Dia.
41-12. che diiUro a $è famam.i il
q[uala OMgittero Iddio ama tanto aeUa
tua idea , che tempre lo mira eoa eoM-
piaoHia, e mai non leva lo aguarda da
atea. 1/ occhio di Dio è timbolo dalla
pi Off ideala eooterTatrice.
45-15. Vedi tome da indi tc.'Sei^
come dalF equatore ti dirwmm, ai di*
parte L'a6Kf«a emtkiù dbe i pitmeU
porta, cioè lo lodiaco. — eh§ gU eMa-
aia, che gli detidera, onde partedpare
della inflneaia loro.
46-47. te io tlrodo Ìor •».; aa il
^ro dei pianeti non foiee oUiqaa. aa»
li a??icioerehbe or all' una ora alraltra
parte delle terra : ed in tal fuiaa,
a' influire al tempo itahilito
Beute topra datcuoa di aite perti, in-
fluirebbe to^ra una tela ; e pardo neita
firtè del ado tarebbe euperflua. È
dottrina d*Arittotele che teewMiiiot «e-
crgitiai fi recetfiMii tolit in €ireml&
okiiqmo /funi gtmroUomtt la rakit
inforioriku.
4 8. £ fuaii ogni poknstia te..* per
la prìTaiiune de'celetti inflotd laraibe
■torta ogni attività tulle terra.
46-21. £ M del tfrilfoee. Baatf
Itarlfre, lo tcoeiani dello lodìaea ael
•aa giro dal cammin ériiio, cioè d^
I* equatore, foete pie o atcao di aael
che è, Terrebbe a mancar d'aiHi Per»
diae BMindano e ta nd deli a aie aalla
terra. Tutto da Dio lapieatilaia è
latto ia mitara etatta, aè aleaa ohe po-
trebbe aggiungerd a larafd all'epura
aua tenta ditordine.
22-24. Or ii rimm oe. Iat.t a
lettore, rimaati quieto tul baaea a?»
SS
DEL rAKilDISO
■ S6Ì
B Dietro praundo a ciA che si preliba,
^k S' esser vaoi lieto assai prima che stanco.
^H Messo t' ho innanzi: ornai per te li ciba; ìi
^H Che a sé ritorce tutta la mia cara
^H Quella materia ond' io ^on Fatto scriba.
^H Lo miDÌstro maggior della natara,
^V Che del valor dei cielo il moaiio imprenta.
^P E coi suo lume il tempo ne mi.-nra, n
^B Con quella parte che so si rammenta
^1 Congìonto, si girava per le spire
^M In cbe più tosto ognora s' apprei^nta;
^V Ed io era con Ini; ma del salire [*)
■Ili leKt»><lo laale mia rime, an- che Dio li Hrf* mIIs h* pnnrUM»
dinilu dietro col ppniicro a eli eh* li per dar iiU al mnado.
prvli&a.aoi, aqucll(c»e<<«lk^iiili 39. Cht iti vaiar M. Chi n-
«nno. — S- «in- cuoi iìtUi te. So tMUfaHi éel rtlora, MU nrtkté-
(niicht tediarli e iiantarli. Nuti rbe LegoMi r«l Cimrfla; • [1 mU, tei»-
Dinla Bon è an libro di ptrcliio: n diodo lo ra^o M* ^BlfliA, hJhìIì
tuoi lag|er« ■ tana, (ioi «n MIU cmb a •«) omililiidiM aIvm. •
l'incDiimia dalla niiwla rircalli. Il SO £CfllnMilnw«C.P«tf«raAn
ab. Padr* Poni) tig««i»nli ba ng- n Buie, ft Pia«ladli AliafWlW*.
Santa, i parer mia, l' inlendimrnlo SI. Con qtult» jMTl* M.' oa
:1 PhU in qaolo lungo: rer|iiil.>rr agalli parlo di liela a Mia ■•<■>.
àil papa, ala point» ipirilaale; luin. Jrtla Wa •> > della dì npn. TmI
Scala cambio é per dmni diipoa.tion* CMinila wpra il t. 9.
•antodi i(aBlIa Ì3 i^dì, « non ('in- 32. pn- (e apiVa. di
<l« iuloHU iì conFoodcwra, o >> «i>-
pceunU, Barn, all' lidia >a«k*,ir»
"•.•;x£i'r„.,.-v*
nanando naacnnm il polla da Dia Off
Mirklol*, U otilik aarekba nclU ina
coni del xlire, te i»ii cosa* BMAmr-
partMMM*. • lalU >1 moDdo (plica. Il
delpripaipiardclpaoaìered'aaaaaa)
san É alia», dalla laolaua a dallo ilil.
di Dania.
l' abbi. prauBlilo II eba »bJ fw* At
ai. Ufo r*o iimatiif r bo »-
Il tal ulila net tuia (a nio» «aai d
bMdila la mena del pan* della tiU *
dall' ixloUotb..
pernierò, a in>pro<ii.a. tt Cauri le-
20-27. CU a li rilont te.: Ak
ti peniiaro, onda a'arrrbba q«f«(« ••>■
few ; ebc ba.K nao aanAa U -a
■mIU Malaria della qaaleioMrìT.., (.
talira, Mae Boa l'tarorfa a *«•
del «.0 .enir, in an Inogo priw A.
•' abk'a rì.aUo it prim» paaJarn.
..Ats;-.""-"^'-'
^^^^^^^^^lj ^^^i
^^^^^^^^^^^^^^^^1^1 ^^^^^H
»„
peoiMO. SSS ^M
Non m' acrors' io, so non com" nom s" accorge, U ^^M
Anzi il primo pensier, del edo venire. ^^H
& Beatrice quella che ai scorge ^^|
Di bene in meglio
si SDbiumente, ^^M
Che r alto 9no per tempo non si sporge. ^H
Quant' esser concento
Ì3 SE- larente W ^H
Qnel cb- era dentro
al Sol dov'io entra'mi, ^^H
Non per color, ma
per lume parvente, ^H
Perch'io lo ingegno e
'arte e I'um chiami, ^M
Si noi direi che m
{s'immaginasse; ^^M
Ha creder pnossi,
e di veder si tirami, M ^H
E se le Tanlasie nostre
eon ba-^ ^M
A tanta altezza, no
n è meraviglia, ^H
Che sovra il Sol no
n fu occhio ch'andaffie. 1
Tal era quivi la qnarla farniglia
Deir allo Padre eh
sempre la sazia , SO
ST-40. B IttBlTiet M, ti l'rinne
m V, ,<»« 9*1, 10.1 d»tM «»n )l
•BD giunger nel Solai Fcr qnEiiIo tdg.
che liatUi ìa quHIo luxfia, troidi .Ul
Uubirdl od MS- 007 .!•!!■ Cetrin.,
clicccbi M Dt òkM ili coulriri», mi Mm-
Don pr.t.» dir., in mad.. di dirne al-
brs 11 più iFinpIici r li pio «Hiii^nicii-
imi Bn'id<i,qn*lehafradeiiln> ilSoU
or'io nini, * dia n'ippine, pw
tntt. niMipfrtoLor«,iinpffli(nia,—
Ha il din «he nwl c)ie gif appura di-
ptT* cri BnlriH , dr ni » prnprÌD Fir
Minto per In» *r«>n anm, ara kaa
(«Ila; Il d.rBfiiltl era di dm •n'ite
taatimr,fu\.mat, •.M'iMtìMIo t
■dapri»! InjWDo ni irlE . ano jrriw-
lp.rìH( H twri.« paolo dapa «1 «ar-
fV QnJck «.Inedia, b. « f^rf.
rh<<.r.J,„>r«ilUll*<'>>»),J«-
Mi un» eh* III iiliol» d tal. fOTrt
ti «(ra--..-,n,ie,,lr.i-,,B.I«iè
gasili Jtlln Ila» pi«iM>. -S.>|[ir<»-
Ib. «■ rrrdar «. Ha at a.n •!
Ijn 11 Idiiiot cBiiinm t la lu inlcrpr*.
luioni, ptnhi «goaao p«u Kf.ini
lidanr di ledrrls un (ior» in Pirp-
■ ani- no.
ditn.
* t'i^ ,r2',.»^i*'.."i';^i.
t8 CM •«-»•! Sol R. Cini, ne*-
ann <nlii>i trJe nwi Iota, cb« ■«•cr-
"^^j^rV"»"" ■""""■"
tbiaa» inaile -lei Snit; >« >ab dlD-
E Btiirio, .).iellt cb> c-hì i» gnlj* di
™. * d,-u.. d. «ra. - fwrl* >
■ripKa M'Kirrm.t'adrt •«» «i ehi»
r.llo inn non II .pi.rv»po- in>pe.
•»a li dhtn.(< in l>frp.>, r,M é IniliB-
>Ht. 1* an.n.e baie rW ang^MaM
t»», .p.*M d«(t Hm-ff lMt«n>. pv
■ali. >r>ra .lei uU; pwi«t>« U tal*,
tè «dnìn.! Il ri» .li B«*lri«, (b«
wcaMl.. lal^nea, a d aMiU |»Hl(
datUlarnlHM.
^
_^|
Mostrando come spira e corno figlia.
E Beatrice romìnciò: Ringrazia,
Ringrazia il Sol degli angeli, eh' a qwslo
Sensibil V tia levalo per gua grazia.
Cuor di mortai non fu mai si digesto
A divozion ed a rendersi a Dio
Con tutto il svo gradir colatilo presto,
Com'a quelle parole mi fec'io;
E sì tulio il mio amore in lui si mise,
Che Beatrice eccliasò nell' obblio.
Non le dispiacque; ma sì se ne rise.
Che lo aiilendor degli occhi suoi ridenti
Mia menle unita in pìii cose divise.
lo vidi più fulgor vivi e vincenti
Far di noi centro e di sé far corona,
Più dolci in voce, che in vista lucenli.
Cosi cinger la Ggtia di Lalona
Vedem tal volta, quando l'aere è pregno
Si, che riteni^a il lil che fa la zona.
Nella corte del elei dond'io rivogno.
Si trovan molle gioie care e belle
Tanto, che non si possoo trar del regno;
Ot . eineenti, che tìocum h In
dll lok-.
6S. FardimitctmiTvMiifr
corona, tir ili >è db cìtcsId, fi <■ ■■
B3, digaio, <ltiip>t9; nel ligaìG-
calo deili \vet lai. digtilui.
M-5T. td a rmlerti s Dio «e..- •
S9.{i
il ino gradirt gridimiiito
It iiuFDlou -nd'cr* tì
0. Cui cinger «i , Coil ti
lE^
60. Cke Bealrict «n»i>d «elfeb- l'ilene, cinser li Idi
(Ilo: cbe Bulrìce mi il eicurA nella ili Ulani d prindo pi
iMii[*iotiM'(i,ÌDiCDW ■lUro, l'emnra l'erre ^ DÌenn di TiDoi
dimMliiinu.
€1. Aon le dbptucf ih ; ei«è, die
— nati» iMTÙg. mi ceii u oe ri» 72. hm li poitoK trar**. W-.
tini, par compiicenu del Trderln cor- rU Tour del Piridiu. am M «■■•
Ximù beoe «Ifinnlo (illivti dì (ir conipremlfra elmi; tclti b n»
chi riUnfo a /iì. ani, che litaft n
ti i celeri die Ir>[m<inr> i) dette sleM-
70. doMd' <g rÌKtgno , iaai' » >>■
E il canto di que'Iumi era di quelle:
Chi non s' impenna si, che lassù voli.
Dal mulo aspetti quindi le novelle.
Poi, si cantando, qoegli ardenti Soli
Si far girati intorno a noi Ire volte.
Come stelle vicine a' fermi poli;
Donne mi parver non da ballo sciolte,
Ma che s' arrestin tacita, ascoltando
Fin elle le nuove note hanno ricolle;
E dentro all'un sentii cominciar: Quando
Lo raggio della grazia, onde s' accende
Verace amore, e che poi cresce amando.
Moltiplicalo in te tanto rispleade.
Che ti conduce su per quella scala,
IT senza risalir nessun discende ;
Qual ti negasse il vìn della sua Gala
Per la tua sele, in libertà non fora.
Se Don com' acqua eh' al mar non si
Tu vuoi saper di quai piante s'infiora
Questa ghirlanda, che intorno vagheggia
DI»do.
82 E denlm olCoH. E dealrg U
TS. £ iltmlo di «M'Iuni, ili
nii» di WmU. — Qini», *wdiè.
IDtIl* »i>a« rìtplmdiPti, «ri BM di
giacché.^
uuctl« cara pàt , di dorile cote, di dia
SI. ( tht fw< cmct MHwb, eiei-.
»•■ » fti dva idu ach; PBD »* ia f a-
a miHra ebe ,i ama ; a dinereua M
«dUo:
falle anele, cU è il Icrrew, il qwl.
T4-TS. CM »n i-impaM a. Cbì
■H» ai [o.BÌ>c« d'ali ptr idar luaó,
85. jrMl(i>Ilcali>ta (e: *eer*HÌ>le
non aiBclli ani in Urrà da goorn aleBDS
»pra il Hlnril valere, lanla >plMd>
novella dalle e«4 del »cl»i pvlcli* •>-
ieteee.
rebbe il medeiiaiil tbe «»ller l>»tiii»
lUanmille. — auindt, di iiDrl Iiwhd.
86-87. per quiOa itala, Int. f^
la tcala del l'eredi», (/', deoda , dell»
76. Poi.rtinidndotc. PoMiatU
quale neuapo diarande .nut poKle r><
■elirla. ClHlata oae ielle le Jaliiie dei
c«t cinleodo i^uilli apiriti araiillanli
78. Cerni ilci/e HrìM a' firmi
ciato, BOB a> puA pia leendore *l raB|o
.Iella terra, e rimanerli dltcoo.
poli. Come li Igpi'aDO le alclli ialurno
88-90. (hMl(ÌHja(U«.-qB(IW
■i poli Giti a iBDpri da uk eijuIJÌ-
qne ennn. I»a1a B^g.!— alle taa «M .
alanli.
al lHd«idcrio,il viniftfla MMJUk
79-H.DonniinlparvtTic.knaAi
{Aula. <er>l[i . del r' ■'■) • >■ "V^
.llab.ll.L,.,ì.cau.„.b..Ì»»U,.
iiDoeclie J.'Hdm dii.*r) tch'elUpat
darU , (■> litfrli non fora. aintUo la
•cinblanta di d«a., mm KÌdKi da
balh, UM,,;, ia balle ; ma perA [uroe
•d »B impedita di Korrer* il mtn.
e aacolURti Ìd lileaiio una .lì lanche
m-as n>nk>i'i«f«-«(.'u*i«i
coeu , GKbi n'abbilo ••ccotle di ming
iipen da quali anima •> prodnniBa dì
.,.{<nderì ^ rìoin» ^uMWM
in mino ìt DUOie pirul* t Ìl («nln, per
La bella Dunna eh' al riel t'avvalora.'
lu fui degli a^ni della sanla greggia,
Cbe Domenico mena per rammìno,
trben a" impingua, se non si vaneggia.
Questi, die ni'è a destra pili vicino,
Frate e macsbo rummi, ed esm Alberta
£ di CologBQ, ed io Tomas d'A<]tiina.
Se tu di tulli gli altri esser vuoi cerio.
Direlro a! mio parlar len vien col viso
Girando su per lo bealo =«rlo.
Quell' altro fiammeggiare esce del rìso
Di Graziai), die 1' uno e P altro fòro
Aiutò SI, die piace in Paradisa
L' altro eh' appresMi adoma il nostro coro.
Qiic! Pietra lii die con la poverella,
OETcrse a Santa Cliiesa il suo tesoro.
La quiala luce eh' è tra noi più bella.
Spira di tale amor, die lutto il niondo
Laggiù ne gola di saper novella.
I
l
che TiEbriK!*. ni" «"• i'MI« B«lrÌH
«,!« in Chiusi, eillì delti Tarn; Il
the 1* ..Kl.rBBi.li t fl«iri«.
96. r i« i-impit^ua k. tnted-
ìòDttreto.—thiluiioirattnfin
di: p» lo 1U.1. c.n.ii.m« Irioi prr 1.
r»o1> di S. Dunicnic») l'uomo, tm
■HUtpr. Bjnrlli), cioi, b« ù riMipi.
K-.dir tmtÒ il [6ro dYÌl*«d il Etn»
™ ,«11. deir.llr«j 1. .,ulw»
pi.» 1 IKo e 1 tvHi II Con, G>U
dilla dillo, enoi. , bim >■ inolin nrll.
(ciillgn. pHf«io», fA du dill' .mbi-
due pnteitt. Tori nel Kfdd Xtl
>lM. > dilli twiU DHl >i 1*» prwlo-
luT-IUS Q%tl PMro.fitttMljm-
birdi, ri miBlre JHIe «•nlnn.eUni
SS-eg. Frale: frilH'o d'Ordii»,
pe'.,,oiliMdlle=l..-i.._rt.,«l.
pcnht .Mh'i'uo doir,'mc.iH.. Padri
i.m.iic«i.c.rt.,«Jèi«iB«i«i..
l'operi die» P'K^r. . Jl «k l»
1. , JB <,u..lo die ài v.»1. rlic r«K no
dhM per «odeell., ebe t.ee. «tTf-i
lEmaa primnci.lc dell'Oidn». — ed
<UW Merlo fi: «1 «w t Albi^rl» H..
ni.mpiR.olidonuiUaìM,.»!'
tao, di CohgM. 1..-XO» n»«lr» rfi
.Ie.p. 2l:C><p|-eMe. <.'/f,iM*lr
Et» DHS<» in Liwln jei, ne .i™ l«n.
«•lille inilra eum paupeml» m C
EiniHli<aCn^Dnii,evi»nr'iiKll2a2.
lophglariun l)iini«i m'Kir». —t*
En UM d. lìrbino IV bila *<wo.o
d< i.llU>oM pel I2el i m. per ['.«or
d.1 AìMn « d.ll. DoitHvU (tei n-
P.nii, emoriiHl I4M.
Ilo. Spfra tf tal. oawp. t »
lOMlO, ™l eiw Glnmdo te.:
niili,t>e<, d. .u.«>lile,diaBM»
nondo >li «cbi ■■> gim ti per i|iic>l>
(WOii di una HI un illn. .pitndo».
°™"m .' w VX SfT-p"- •»•.*■
CANTO DECIMA
Entro V* è 1* alta meate u' si profondo
Saver fu messo, che, se il vero è vero,
A veder tanto non sorse il secondo.
Appresso vedi il lame di quel cero
Che, giuso in camt, più addentro vide
L' angelica natura e il oaiiiistero.
Neir altra picciolelta luce ride
Queir Avvocato de* tempi cristiani.
Del cui latino Agoetin m provide.
Or se tu r occhio» della mente traai
Di luce in luce dietro alle mie lode.
Già dell* ottava con sete rimani.
Per vedere ogni ben dentro vi gode
L* anima santa, che il mondo fallaee
Fa manifesto a chi di lei ben ode.
Lo corpo ood* ella fii caedata giace
M7
il6
i20
m
gola, brama ardenteineiite, di $mtmm§
iella , ò' aver notizia intorno i
oa salnle di lei ; circa la quale fa anti-
camcnle gran questione tt^ i Teologi.
442. Entro v'è l'alta Maiife m.
Intende dell'anima sublime di Seloaio»
■• , di' ebbe da Dio infusa la scieaia.
443. tiilveroi vero: se è ferah
vantk, doè, la Santa Scrittara, die è la
varila stessa.
4 14 . a téder tanto : a tanto Tedara|
%. A Y8sta cognizione di cose , a tanta
pradeozs; preso vedere per noma a
Icmio per agget. Se si voglia tcrba infi-
nita, d ifHegberk: che nessun altri jpei^
▼enaa a federe s^ estesamente colP in-
taUallo.
445-447. di qwl cero ee. Int.: di
^fMfl' ap portator di luce, di sapiaut,
eiaè di S. Dionigi sreopagits^che lerìiia
«a libro De calesti hierarchia,
448. ride, gioisce della eterna baa-
tjtedina.
4 4 9-120. Quell'Artocato deTtempi
erittiani. Questi probabilmente è Paolo
Oroa:o. che contro i Gentili ralnnoialon
del Cnstianesimo scrisse seUe libri di
Storia delle calamiti e sceleratena dd
iiMMido ; dalla anal opera molti fatti ri-
Ieri Sont'Anostmo per il suo gran lavo-
ro DaCktitate Dei.— Del cui laUna, è
detto invece deila eui di Urina, frmÈ
la Hm§ua par le malcrìe in essa tratta-
te. Quakiba moderno ha opinalo cba
FiMooala dei tempi erittiani intego
da Dante sia Lattemxio. Ma per quanto
possano contenire in parte anche a Lal-
tamio le qualità qui accennate , io ri-
tengo cba meglio e più pienamente nano
investita ad Oroaio.
42J. te tm toeekio dalla mania
tratU, sa fd scorrere rocchio doUa tna
mente — troni è lo stesso ebe
da trainare^ trarre, straseiaara.
425. Gi'd </e/r oliava ae. .* db rìi
ni eon desiderio di sapere ddl' ad
beata cba d naaconda ndl' oliavo i
dora.
424. Per xedere ogni bm. Per la
data che ha d'ogni bene, di Dio.
428. aehi diteiee. : a chi ben a^
ddle cose, delle dottrine di Id. Q|i^
sta è 1' amma di Seterino Boado , àlN
scrisse il famoso libro Da conaoInlìfM
pkUotophim. Boedo fu in grande ili-
ma per la sua dottrina, e pia volta abba
V onora dal consolato. Venuto in aoiyrt
lo di tener pratiche segrete ed Grad
par liberar Roma da' Goti , fa da Tao-
dorico fatto arrestare insieme al di kd
sooearo Simmaco : a condotto in Savia,
dopo sd med di prigionia, ad fni
tempo scrisse i Ubn De eontolalimm,
fu fatto morire, ai 23 ottobre dd 5ft4.
427-428. fiaeaGiutoiaCéiUaU'
ro, giaea in terra , sepolto nella dMaa
di San Fiatro, detta in Cid d' oro , in
Paria.
Gìuso in Cìeldauro, ed essa da marlirn
E da esilio venne a questa pace.
Vodi oltre Rammeggiar 1' ardente spiro
D' Isidoro, di Beda e di Biccardo
Cbe a considerar la più che viro.
QoEsti, onde a me riloroa il tuo riguardo,
È il lume d" uno spirto, che in pensieri
Gravi, a morire gli parve esser Urdo.
Essa è la luce eterna di Sigìeri;
Che leggendo nel vico d^li strami,
SillogiiKÒ invidiosi veri.
Indi, come orologio, che ne chiami
Neil' ora che la sposa di Dio surge
A mallinar Io sposo perchè l'ami,
Che r ana parte e l' altra tira ed orge,
Tin tìn sonando con si dolce nota.
Che il ben disposto spirto d' amor turge
Così vìd' io la gloriosa rota Hi
muoversi, e render voce a voce in tempra
E in dolcezza, eh' esser non può nota,
Se no* colà dove il gioir s' insenipra,
da riilio. Cui ebliniui qn«- aualli tj* prai il hihih dia /buort^cb
■ diDoUic fbe noD è notln ugdlGca pafit». penU bm wiijwj t
Sgci lciupiD*Kdl(Mbutdùa*tl*iB»-
I, agni gioiiDi.H ifdJT» n Jw, <i
porlaia un rniEilrUa H piglia.
438. invilitili v*ri, nrilléh*^
I
u
inirmpra, > «Itt— ■
CAIKTO DECiinorRimo.
0 insemata cara de' mortali,
Quanto goa difeltivi sillogismi
Quei cbe ti Taono in basso batter 1' ali!
Chi dietro a iura, e eli) ad afDrismi
Sen giva, e chi seguendo sacerdozio,
E chi regnar per Forza o per sofismi,
E chi rubare, e ctii civil negozio.
Chi, nel diletto della carne involto,
S' affaticava , e cbl gì dava all' ozio ;
Qnand' io, da tutte queste cose sciolto,
Con Beatrice m' era suso in cielo
Cotanto gloriosamente accolta.
Poi che ciascuno fii tornalo no lo
Punto del cerchio, io che avanti s' era,
Fermossi, come a candelior candelo.
Ed io sentì' dentro a quella lumiera,
Che pria m'avea parlato, sorridendo
Incominciar, facendosi più mera:
Cosi com" io del sno raggio m' accendo.
Si, riguardando nella luce eterna,
S^.QHOnUitmdifeUhtu.Qan- iiunimuli
1 diboli urna It rigioni per la anali g-t. ,
iot. procoriTi
i ;i plnr. •Ilil.li» à.jul. |ji«. —
IS-19.Po<eAii(«uc«MH.:pwliè
pd aforUmi . €Ì<.i^ igll .t-r,Mi,i il'li-
dauuDo de' prillili ipmli tu UmalD
poereu, ■ll> iMdkii.i. Vùfarim, i
Mi pam» dai ctrcbig ori qiala Mtasi
ilclÌDila di Galton: Gratuiii itnltntia
phi, « tarmi. HlÌB4,«i,.i fi., 1.
imi nrailont «rniprcAnHa.
^..^a-'-d" """'«*". i™-"™
hi ftrmo li, a ud punta wn lìrgnla
P»U «*r ..lci.l»,«lla .(dula i. tuUv-
doporaid^lo.
iiuit wlli Cbio».
tH-il. Ed.<f.nd-ttoo.—<l«anm
a.Echi rtgiuirptr fona. SoliloÉ.
4hU« I»«.,«™, CAa,^ .-•». pfl,.
tobM . o il •' affdKVdca . cbe * autlii :
blo: io anello luca dasda ai ttara
ftrfen: uA\th'tMM\tuui, — o
ptr wfiimi, o piT ■naobll ditiUi. o la-
t8>i.~<>r*.piàp.ra,ap«ipià
■ LiluH ragioni. So fimia irati un IrfiK
nulo lalK !a H ««H w» fi«i> di
t»-3l . Cori enn-u m.: a i|n*l ma-
«rili-
d» cbc io m'icrcDdoaH r.gcia dalla
7..cW(itÌlnf(cifo, Bcbicl.iI.
luca divini, era., tiijawduiiB »««,
i
Li [uoi pensieri onde cagioni, appreodo.
Tu dubbii, ed hai voler che si rirerna
In si aperta e si dislesa lingua
Lo dìcer mio, eh' al [no sentir si starna.
Ove dinanzi dissi: Vbea»' impingua,
E là u' di-isi : Non surse il secondo;
E qui è uopo che ben si distingua.
La provvidenza che governa il mondo
Con quel consiglio, nel quale ogni a^Klto
Creato è vinto pria che vada al Ibndo,
Perocché andasse ver lo suo dilello
La spo^ di Colui, eh' ad alte grida
D^posò lei col sangue benedetto.
In sé sicura e ancbe a lui più fida.
Duo Principi ordinò in suo ra\ore.
Che quinci e quindi le fosser per guida.
L' un fu lutto serafico in ardore,
L' altro per sapienza in terra tua
Di clierubicu luce uno splendore.
Dell' un dirò, perocché d' ambedue
Si dico r un pregiando, qual cb'uom prende,
Perché ad un fine Tur 1' opere sue.
iffnaioenit cagioni, rio*, il «nbirKo
dei toni pcDu melili, q liiinJ* irai d^bìd-
pe %ì tatti duLbj; e eiò prrrbA i buti
mfl If profonda
31-56. l'tr
I mdatu ec Ini
fhis, dove luUi i GmitìnQibiU ti dipia- Gnu CAsto che lei di ,
g«iM. DtMBdai di* D*iil* i ctgiuK * crac* ad alu erida |rMiiMM «n mt-
bcMk dall' altgaiÌM*. Atiifilntda, ia tdiM ad am an* •pus iIìIcUb «■ ■■
luogadifia'aMtBdulirggoilMS.SUiard. cnrcua, ed anohaa lui pia fida, ifdi-
22-24. Il TÌterna. Kinmrrr din- ot da* prìncipi , liai da* E*f i, «no-
ia larì
.a:q>li:
■ iparla ST. l'w
uo.lWta
Is della cn
HraHc», cidi, ptrkcipiDle i
UaÌBleadiaiMl*,Li>(licerM{a, ilnin de'Sarafini.
JlaMiM, UdoTfpw'aiitiilifai ». SS-Sl. rolfr*, S, DnmMiae , di
S-SS. ricR a-ìnpinifiia. nel cJMntMco Itux, della tace dc-Cben-
CaDls prec, Kiw 9G. — Kett tiirM ii bini , che ligniBca «cr/lnlf ta laftm-
(«MulB, idem, •ano iM. la. ì:ccd le Yirlà lr>iid«nfD(aJ> daUt
27. S^l te. V, t[malB ai a^ar- Chiea* , te carila, t la dsUrioi.
Licoa a (picalu «conda ilubbio, Intngna 40-41 Odi' «a dirà, di S. Fn»
tb* ben ai diilinga in qoat genero di ttum : ptroeeSi d'ambtdM* tei per*»
&-SI}. ogni aiptUa Creale te.; *2. PercM adunfnt ta.iftAi
«uni frcala villa (upellol »'il.b*g1ij t anibcdue i-pcraiono al line ili Uà fu-
ti confcnda pria» tbe giun|[t « fow- date I* Oiieu.
CANTO BEfilMOTRIMO.
691
Intra Tapino, e i* acqua cbe àEtsamàt
Del colle eleUo dal beata Ubaldo,
Fertile eosta d* alto monte pende, 46
Onde Perugia sento freddo o caldo
Da Porta Sole, • dirietro le pimigo
Per grave giogo Kocera con Gualdo.
Di quella costa, là dov'Alia frange
Più sua rattezza, nacque al mondo un Sole, 50
Come fa questo tal volta di Gaoge;
Però chi d' esso loc» & parole
Non dica Ascesi,, chà direbbe corto,
Ma Oriente, se proprio dir vuole.
Non era ancor molto lontan dall' orto, 66
Ch* ei coBiindò a Us sentir la terra
Della SML ^^aft.Ylrtnde alcun conforta;
Che per tal donna giovinetto in guerra
DbI padn cene, a evi, con* alla morte^
M mm S9kp 8. Fraocetco , graa
lune dì crìstUoi penfeiiooe.
M. Com9 fa questo ee. Come fa
ymto iole nel quale ora siamo , qaan*
ie k alato aai^ pii riapleodeiile • pie
eald* agU abitaoti cB quella rapieaa !»•
reatre, il cai erÌBMile eoBBb«M<«al m^
» Atmti, Aaaisì.— 4tr«Mf aofla^
dtrakbe poeo , par aignifioara il pref»
di quel luogo.
54 Jftf Orianla ae. MaaavvalMr-
lar propriamente, chiami 'À laogo dalla
oaaeita di Fraoeeece OriemU^ 8. Soaa-
vanlara sella 9iu ViU di S. Praaaaaao
applica a lai quelle parole dall'Apaaal.:
VkU attentai Àmgelum mtemimltm
«6 arili toUs.
55. dalPorU, daironanéa, M a»
eoto. Continua la metal. mI Saia.
43-44. Tupino^ È pieaala naaia ri-
dao ad Assiii . Sì descrive qai la poaiBaaa
della dttà d'Assisi , dopo di die segala
un magnifico inno epico di S. Franaa
aao.— « Tac^iMi che discende ee.: eà
il fiaiMcello Chiaiai, die diaoende da ma
calla dbe 8. CJbaldo desse per sua m-
altangio nel territ«irio d'Agobbia.
45. Fertile eosta d'alto monte
femée: vaded una pendice, aa fiaaao
aoltiTato a fertile d' un alto monta. Tale
A In aaala ove è posto Assisi.
. 40. Ontfa ee. : dalla quel eaata la
ailtà di Perugia , dalla parte ove è aoa
aaUa aaa porte, detta Porta Sole , santa
il fredda, prodotto dalle nevi dei monti,
a fl calda da' raggi solari riflessi V ealala
ita datti monti.
47'48. a dirietro le piange ee.: e
aiairo da essa eosta ^oppresse da tiraaoia,
ammano i loro danni Nocera e Goaldo.
O caBM dtri vogliono : e dietro ad aaaa
aaata, ambrata ed oppressa dal giona
ad aMnia. sono posti, quasi piaaoanda
il laro mai sito sterile e fi^ddo, Noeara
a Isnaldo. Ma questa seconda tnterpra'
taaioaa ba meno spirilo. Noeera e GÙml-
da arano opprea&ste dall' ataro governo
dal ra Boberto.
49. IK qmella costa, da qnd anm-
la, a, aaqndla costa: là dov' ella firem'
gè ee., là dorè ella più die altrova pia*
ga, sminuisce la sua ripidezza.
56-57. Ch'ei eomineiò ee. Ch'agli
eamiadè a far sentir la terra, ciaè. a
far aeatire alla terra dconeoaforto dalla
virtù aaa : a più lettaraluMOta, a f araba
la terra scatissa.
5a--60. per tal donna, per la pavar>
tb, fofiierra Del padre corsa, iaearaa
nella guerra del proprio padra , ioaa»
tri r ira di lui. Leg^ aalla «ita di
S. Fraaeeeea, che egli fu battuto a aai^
earate da ano padra per arar aattato tt
danaro, ^^acmiee, ; alla qaal peaartb
La porta del piai^er nessun disserra;
E dinaoii alla sua spiritai corte.
Et coram patre le si fece unito;
Poscia di di' in dì' l' amò più forte.
Qnesla, privata del primo marito,
Mille e cent' anni e più dispelta e scura.
Fino a costui si stette senxa invito;
Né valse udir die la trovò sicura
Con Atnielate, al suoa della sua voce.
Colui eh' a lutto il mondo fé paura;
Ut valse esser costante né feroce,
Si che dove Maria rimase giuso,
Glia con Cristo salse in sniia croce.
Ma perch' io non proceda troppo chiuso,
Francesco e Povertà per questj amanti
Prendi oramai nel mio parlar diffuso.
La lor concordia e i lor lieti sembianti,
Amore e maraviglia e dolco sguardo
Facean esser cagion de'pensier santi;
Tanto che il venerabile Bernardo
BCUUDD ipn l( parte d<l pi Bcnre, cune turi, ctulinli, ImpcrtarrìlI ocifari^
aan la aprealli piorle; cbe Tgol diro , duprcgUlurì dilli marlt te. , atan
(UetwiiDii l'i«OEliecon placre.
•ora , Di tagllooo , a roaderla anibil..
61-62. E diiwflii olla fi» «.: t
73. Mmo, caperlo, dwit».
dioUUi >ll> •■>■ turll, Il U-ibuDll. del
15. prmdi te.: iDHndi incosiU
tua ToeDTD, qofl d'Aaiil : a al cHpelIu
76-78. U lor toncardìa, li «■
na,.HBi.-. illipovarlà.
tordi! di nuoli dui ananti, il loro IMa
tu. del primo Biarilo. di Gai Cri-
e «reo. »pclU., l'.nor, lar^ Kanh»
ito, che <iue con IP Itala ali* |HiTertt.
65-06. diipiUa • •eun, ipKeioti
Ulo iamlila ainura ecriuTaao io dri di
• oKon.— inua intilo, teou dia tl-
rodet.1, e dol» i^itardo. o la dolri»
tnna la r«reai*o. San Ftinoico niicqaa
aeMIS2,n<art >'4 alicbr« dd tZaè.
u, a 11 eonlenlcni, con ebc lì («arda-
Tina, Faetami tuercasicn, caEmut*.
67-69. JV* r«i»« udirle.! x.i ralw
■nr odila MccoDUrc die Giulie Coire,
flonM(jlÌ iie|;li uouiioi ceni da PnonM*
chi f< pour* a imu il mondo, Iroiiai!
odiGcili. Il CoiU, nao tipendo, «.'à
la poTtrU lieora eoo Anilclile pc«>(^
dico», trinci» dalli Io. cho por* «
n, allori ci», bitleiida alla parli della
capanna dì lui, chiiDollo aJ ilu «oro.
di Inllf i Codd. • il>a<pi Jmort « p»
r<w.-(l<o «,, prantncta di lag,»
Ttdi Ldouo nel lib. V, t. 510 > ug.
70-72. JV* vattf oc. ; dì Tabe ali.
PDTcrIk, per noileni acttlU islì nami-
ni , l'cmn Mia cMlanti a coriggioii
Ul leiione lareLbi' »ù racìlo : ni oBM
fino I Hliro iuIIg crac« con Ceiù Crì-
ala, tfao.Ìmor.i|.Dodo.niiui.doMirì.
Dran repunninii ali arbilrìo.
rìaiiMipit dieaoll>.ln»Riin. Calli ì
7». Bernardo. DcrDardcdi Qtn-
p™pehana,e«r«p«.™aJ,lla^po.
liralie, il primo ir|;uice di SaB Fna-
CAKIO DECIMOPBiaiO
Sì scalzò prima, e dietro a tanta pace
Corse, e correndo gli parv* esser tardo.
0 ignota ricchezza, o ben verace I
Scalzasi Egidio e scalzasi Silvestro
IHetro allo sposo; sì la spo»i piace.
Indi sen va qoel padre e quel maestro
Con la sua donna, e con quella famiglia
Che già legava ? umile capestro;
Né gli gravò viltà di cuor le ciglia.
Per esser fi* di Pietro Bemardone,
Né per parer dispetto a maraviglia.
Ma regalmente sua dora intenzione
Ad Innocenzio aperse, e da lui ebbe
Primo sigillo a sua religione.
Poi che la gente poverella crebbe
Dietro a costui, la cui mirabil vita
Meglio in gloria del ciel si canterebbe.
Di seconda corona redimita
Fu per Onorio dall* eterno spiro
La santa voglia d' osto archimandrita.
E poi che, per la sete del martire,
Nella presenza del Soldan superba
Predicò Cristo e gli altri che il seguirò;
973
SO
86
90
9i
iOO
83. Egiiio ee. Egidio 0 SilTcttro
faroDo doe altri de'prìiDÌ Mgaaci ili
Su PranciMo.
84. IKcIro «i/o «poto ce..* dietro a
San Pranccaco, spoto della povertà.
88-87. Che già legava Vumilt em-
»« a evi giè cingeva il Ganro romile
ae: ea* primi suoi tqpiaci.
88-86. m gli gravò te.: né ? H ti-
A feaa bassa la fronte per eaMr
^ . di Pietro Bemardooe, aomo £
igaobile engiae. né per essere d'an
aftariew maravigliosamente, a nara-
^|Ìfa, aprcgerole. — /f , è «b antico
accorCMBeito di /(ylto, come c« per
eaat, co per capo, osato dallo steaao
Dante. Avverte però il ck. Pfereiiti,cbe
•a Cod. Estense e il Florio hanno: fer
nmràgUo di Pier Bemardcne.
9Ì. rtgalmente, con nobii fran-
ekeBa.— fiM dura intetiiiome, ilri>
fido tso proponimento.
03. Ad innoeeniio, a papa Inno-
cento III.
95. Prtmo tigillo, cioè, la prinw
approfaaione. E ciò fu nel 4214!
96. UegKo in gloria deleiHH
esalerebbe. Sarebbe piò degna d'eaaer
cantata nella gloria cdrste dagli Anfafi
• da* Santi, che giù dai frati.
97-99. Fuptr Onorio ee, Int:
fu per meno di papa Onorio dallo Spi»
rito Santo redimila, cioè aorenatay la
brama di questo arckimandrilm,
capo del gregge, o dell'ordine dei
minori. Con die si aectnna alla san
e pie solenne appro?aiione dell'ordina
franeascano per Onorio III nel itU*
Dice che fo coronata dall'eterno apira
par il ministero d'Onorio, perebè qn^
sto papa vide in sogno p«r divina !■•
spiranone i destini del nuovo ordÌM| •
perciò s'indusse a dai^ la lairiiina
canonica.
401 . Nella preeem%m ed SaUam.
Ini. il Soldsno d' Egitto.
402. e gli allri che U tegmiro, gii
Apostoli.
E per tiware a conversione acerba
Troppo la gente, e per non fatare indarno,
Redditi al Tmlto dell'italica erba;
Noi erodo sasso, intra Tevere ed Amo,
Da Crislo prese T ullimo sigillo,
Cile le ine membra due anni portanio.
Quando a colai eli' a lanlo ben sortìllo,
Piacque dì trarlo suso alla mercede,
eli' egli acqui^ló nel sno far!'! pusillo;
Ai frati suoi, si coni" a ein,-le erede,
Raccomandò la sua donna più cara,
E coniandj) che l' amassero a fede;
H del suo grembo 1' anima preclara
Maover si volle, (ornando al suo regno,
Ed al suo corpo non toIIc altra bara.
Pensa oramai qoal Fu colui, cbe degno
Collega (a a mantener la barra
Di Pietro in alto mar per drillo s^nol
E questi fa il nostro patrisrcai
Perchè qual segue lui, com' ci comanda,
Discemer |]noi che buona merce carca.
Dia il ^Qo peculio di nuova vivanda
I
103. attrba, non itispnìli ■ con il cui Tmgano le »!«(, • « cai itk
ttllivnfl, iDimatura. boa rilurDiia per nfiur »■ lai '•
405 Bfi<dini <e., rilnniMal • elfi»,
collion t ■ liar finlm di]l« ^li 117- non etllt altra tn; <M.
d'ItiKi. nno illro che lo tUuu gmato irlli
464 Sei crude lOito » ., nrll'iiiiro |>cittril •«cnniu mpra; iht * ^aaii
noiM ildl'Ah ernia, tiluito In il Td- diie : idIIc rbf il »o tarf- t^mt pw
(«tino. p..nei, s Biìtrnt ptiiglio in <«i n
(07. riiIHiiu ligfflo, dot li •!■- uiorlD. Sin Frtnmi» nrapiioda ta ■
«te, ibefiiromi l'allumi lonrenua ili ili-uà il aitine »lDn J<lli iiiJÉlMI
•M rrlinaiw. rdliiKoa, e Ìnu>run[sn<la JelftMmi
(09. wrlilln, Io rl«u srilBllo- rliol..». >ia»titr|ol.,d:4diioM*Uh
IH. CWigli arguiilè. La ?jid» preti.
\H»l.Ch'tlmtTÌIà.-'P<uxlbi,fntn, (<R-I?I. fMl fu nW «..• <
■■•ilo. <)Dil vliU dori Cflrre colsi lU h ^
4(S. giiutt «rnti, Irgìtlimi «ndi. iliail» culicga ■ Fnntr.cB pir imIf
Shf. (r«fa t rr^B. «niaai. per II Oiieu re. — ilnoiIrOf^Mlt-
ItS lana ilimiui. il iHnerlk. ra. Sia I>«orDÌFo, del cui gnfig* r*
IM. • fede, fidelmi-nte : dil Ul. San Tommii^i ehr piili.
et fittm, t',.è iiemdo fede. 123 eA» iw>iM n«m ean«. A*,
US. ff rfil ma ^mhi M-, ini. Ti Innradi bnnne utni, di waMaf*-
Jd (renkii di ma pnvFill: aiendsio- re, per patigara al parta ^IP«lvM
tato iBorirm ■<. tilt ranaTia, *ili.
1 16. al fHo regno, oot « Dn, 42t-<2e Va it n
CAKT» secmaFRiMO.
È fatto ghiotto si, eh* esser non puote
Gfae per •dmcsi faltt JMi siipaiidà:
E quanto le sue pecore rimote
E vagabonde pio da esso vanno.
Più tornano aH' ovil d! latte vote.
Ben son di quelle che temono il danno,
E stringonsi al paslor.; ma aon si poche,
Che le cappe fornisce .pooo panno.
Or, se le mie parole non mm fioche.
Se la tua udienza ò stala attenta.
Se ciò che ho detto alia mente rìvoche,
In parte fia la tua voglia contenta.
Perché vedrai la pianta onde si scheggia,
E vedrà il correggier che argomenta
IPben s'impingìta, «e non ri vaneggia.
875
m
130
i35
Int.. ma I« sue pecore, cioè i wm frtfi,
tono ditenati si ghiotti ée* beni oimi»
daoi e delle moDdane vànilàf cbe mm
paò non accadere che per diterH col-
ti ee.: die ood si spanda il Oitmenicaao
peculio per iolli (dal lat. mKim, Waa*
da pascolo), per pascoli difcrsi, caatrt-
?% da ^elii indicati nella sua regola dal
atrìarea, per trovarci quella nmofm
ti9tmdm di cba è Tatto ghiotto, cioè
ffì affi, fU ooorì, le maggioraoM.
129. di laiU 9qU, vota di kMi
■Innanto spirituale.
4S2. CkM U cappe fomi$ee poco
pMMO. Cba con poche braccia di i
ai faalon talli, essendo pochiswnii.
43S. /locba, di poco saoao, oscwìl
4M. Ja perle fia ee.: quanto tà
tea priaat dubbio.
1S7. JNrekà tedrai la pianla «t.?
te jtriiaafai la pianta su cui percaaCa
la acwra del mio dire. Abbiam fwt
nalU Boslra lingua un modo aimila del*
l'aao Caoiiliara: levare i petti d^aif
cmm; cba Tale appunto dime «urfa, e,
nmamrmaittitj. Ma forte verfrall*
piamta onde si echeggia potrebbe m^
Ae Toler aìgoificare : tu ravriaerai la
piaata a cui ai ?u tanto togliendo, o
eba ai ra così aaattttigliando ; accen-
Baodo air Ordine Dtimenicano, a cui
molto a' era tolto della sua originala
iulagritb, pei trasandati eoatumi dai
fraU.
i38-43a. B vedrà U correggier.
E Tedrl il correggier^ cioè il (rate do-
nauicano (coaì detto perebè ai cinga il
Banco di una cintura di cnoio detla
aarraggia dal latino eorrigia, coma
emrdiglifro fu chiamato il Prancaaen-
no), dba nrgomento, cioè, cba foglia
aoBcludare, o quel argomento rae-
ebinda contro di Ini quel ehe diaai
parlando del suo Ordine : IT ben f* f »>
pingma, ee non ei vaneggia. La Icf.
eorreggier nome, in luogo della aota.
corregger verbo, è della ffid., di frt
Mas. della Corain. e del Cod. Yillani,
e di più altri.' La eonrana: E ve-
drai ii corregger cAa argommUa;
eba vorrebbe (Ure : E vedrai , iolendn-
rai, b corraaiona , l' arrartiroanio cbt
aoMudoQo quella parnle: iTèen l'In*
pimgìmy ee non ti maneggia.
^^^ ^^^^^^^Hf
eie BEL PARADISO 1
CASTO DECnnOSECOND*. \
PUU. 1. ,-«U M ,.^ -««. . -»««
H-f^l. «. M ^M/ d<a-4l>aL^. «ri
fa OwalB; ««> " f-W ■!« •"" 'H •"•
«^•(^
Sì tosto come l' nUittia
parola
U benedetta fiamma per dir tobe, M
A rotar cominciò la santa mola; 1
£ nel suo giro tutta n
n si volse
Prima eh' on' altra d' un cerchio la chiose, i 1
E molo a molo, e
canto a canto colse;
Canio, elle lanlo vinc
nostre Muse,
Nostre sirene, in quelle dolci labe.
Quanto primo splendor quel eh' e' rifuse.
Come si volgon per re
nera nube IO
Due archi para Ilei
e concolori, ^^h
Quando Giunone a
sua ancella jube, ^^^|
Nascendo di quel d'i'nlro quel di Tuori, ^^^|
A goija dei parlar
di quella vaga, ^^^H
Ch'amor eonsunse
come Sol vapori; "i^^
E fanno qui la genie esser presaga.
2. ptr dir IoIh. noè, priK <. di»,
primo iplondon TiBcttalo. Qsratafn
». Il riBBio dal «do r«< ci tiM «M-
'"jT. la'ntta mola. Il Anfpt\le .li
glie niiilcDiliMilJ ipirlli iIiiiubl in gi.
UmMils, Hipera quello rh' *gli d Irf
■mnd. p.r lo Iona.
».— nnh. dii^iiH U niiri»: ■» In
ID-H. Imitrs, Itgi^ro ptrnri n-
DM malt e \, corsoi d» b»li tplnli
LVNid h. ,, vi^lo. io ne. A rf«.t
dtnunli p«a i ati» nluIoDt die >l
goH,- mi nualo KFando * piMr*, •
i-S. B Mi MIO sire «..■ n«n ttU
rbpood. il col9H>u< dol nw ».
conni* UD ioltro gi», che na'dlri
<2. ama Mttlla. ad Irida»»
,«li.«o'.llr.«™..dil™ti.l.dr.
cella. — j-^a. coioiodi ; cha .qdnli
.«dt i«.i. : prini. A, l.tt. À toIjm-
a din: ooiodo ippirHc* in cial* futa
M,>»^U»mola«.
k.l™
0. E «iole s molo te. E calit, fiat
I5-I& JtaitmdB di qntt dTmln
«llKnxiile, Il dioUcodFu,..,. ,| „,m..,
u. Pr^lonodofi per riaw..iia« nwf
« il (MIO «1 (inlo di qicll.; io .»ii,n>.,
l'a.» di laorì d!llf.llro or» mJ^
MMHdt il ■«■*> « il "Blo tuo ■! niBto.
con«n.rie.., «Koe per riBnaio» < w
il onta dell! primi eornia, — Cb-
{amili II pirlin dell'eco, t.a rinb
DO Umpo, the per aaor< di Naroe* ■
SUtn. .•!( pr«d.r ori palilo niirtto.
J-B.faB(o.r»f Mulo». Cini., di.,
tTtÌt.Uto.-«<^.H.*iW (ii*«,tio*Ì«
rirgi del iole
^ fiH'dold argini di qurlli brtU iniinr
IS-U £/'M«ee.QM<tian*iU-
■ mm 1.010 q.«llo ^'i.«ln p.-li i
leni (inao 1. geole praigi <M mail.
Cini, cirea il BDoda, iht nfft an i"*!-
(oj* . die noa lark pio illaiato «il ti-
■ .piMtfor. il >,»i<. dir^i,. „p». ^
H^ d7riH/kM,ar.Bp.,dMr'<**Hi
CAIfTO DEGIMOSECOMM).
577
Per lo patto che Dio con Noè pose.
Del mondo, che giammai più non s'allaga:
Cosi di quelle sempileroe rose
Volgeansi circa noi le duo ghirlande, co
E si r estrema air intima rispose.
Poiché *\ tripudio e 1* altra festa grande,
Sì del cantare e si del Gammeggiarsi
Luce con luce gaudiose e blande,
Insieme a punto ed a voler quetàrsi, 25
Pur come gli occhi, eh' al piacer che i muove
Conviene insieme chiudere e levarsi;
Del cuor dell'una delle luci nuove
Si mosse voce, che V ago alla stella
Parer mi fece in volgermi al suo dove; 30
E cominciò: L'amor che mi fa bella
Mi traggo a ragionar dell' altro duca,
Per cui del mio si ben ci si favella.
Degno è che dov* ò 1' un T altro s' induca,
Si che com'elli ad una militare, '^^
fece a Noi quando gli diate : farò appa-
rire il mio arco a ricordarini il patto
dì oon pi& mandare il diluvio.
4 9-20. Coli di quelU ee.Coa) qaegli
•temi aplendori, che a aomigliama di
due gbirlaode di rose erano ordinati, ai
volgevano inti>rno a noi.
21 . E si l'estrema ee. E come i co-
lorì dell'esteriore arco baleno corriapon*
dono all'arco interno, coat il moto o il
canto della ghirlanda ettremm, ealerio-
ro,dei beali spiriti corrispfMO al motoeal
canto della gliirìaoda inlimm, intorna.
Si noli ««(remo osalo nel senso di ciicbe
ù fuori, essendo formato dal lat. estrm^
pposto ad intimo, cheè da inttn,
22. il tripudio, la lieU danaa.
23. del fiammeggiarti, delriaplen-
dare a gara l'uoa luce in viata dall'al-
tra in aegno di carila.
24. gaudiote t blande, piene, eaao
luci, di gandio e di dolceaia.
25. liu<(ifie«pMiitoec..*tnttiadna
iftieaao panto e per loro unanime f oloa-
tk, non ad altrui cenno, sì ferraarona.
26-27. Pur€otMgliocehiic.:pf-'
ciaaaianta come gli occbi, a'qnali eoa»
vicaa cUadarti aimnlianeamente, • U-
tarti, aprirai, aaeoodo il piacara càa i
muott, cha gli muova.
o\
28. Del cuor ee., cioè, dall'inUmo,
dal meno di una di quella luci apparile
■ovellaniente.
29-30. cJke rogo allaitella ae.Co6lr.
a int. : che nel volaermi al ano dove ,
cioè, al luogo ov* ella alava, fece che io
parami l'ago della calamita, che ai volgo
aabito alla stella polare.
51 . L'amor che mi fa MU. H dì-
vino amora dia mi fa splendente di
bella luce. In altro senoo : il deaiderio
di onorare quel vero , la cui eof niiione
è la mia felidtk.
52. dell'altro duca, dell' altro capo
a guida di religioaa famiglia; cioè di
S. Domenico.
55. Per cui del mio ae. Del ana)
patriarca S. Domenico per eoncludcrc
l' aeeallcnia , ai parla qui si bape del
patriarca mia S. Franceaco. Ha detto
S. Tommaso bai Canto prcccdenla ver-
aa4l8-4IO:
Taota «noMÌ qasl fa obIuI , cIm iagm»
CMtgu ta a aiaalcocr la kaiaa «e.
Questi che favella è S. BonaTcntura
francroeauo.
^ . Degno i ckt ec. È caaTanìenta,
è giusto , che dove ai fa mennona del-
l'uno, facciasi mcnsiooe anco dell'altro.
65. elli, evi. — ad uv^a , ^ax^vv^r
DEL I'liIl*DI»0
Cosi la gloria loro insieme laca.
L' esercìlo di Crif^lo, che si cato
-Costò a rinrroar, dietro all' imej[iia
Si more» tardo, sospocciofo e raro;
Quando lo 'mperador che sempre r^na,
ProsTide alia milizia ch'era in forse,
Per sola grazia, non per o^er de^na;
E, com' è detw, a sua sposa soccorse
Con duo campioni, al cui (are, al cnt dire
■ Lo popol dii\iato si raccorse.
In quella parie, ote surge ad aprire
Zefliro dolce le nocelle fronde,
' Di che si vede Europa rivestir»,
Non mollo lungi al percuoter dell'onde,
Dietro alle quali, per la lunga foga,
Lo Sol lai volta ad ogni uom si nasconde,
Siede la fòrlnnata Callaroga,
Sotto la proiezion del grande scudo,
■a un mrJnims Gtie. Qunl» <t>1l« parie ocddrnUl* «11* lui
I
„rii,..
rìitn naliiM* pei Jrpr<v»ii cMiumi
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mi^Mm 1* pì»t..
1 (kro . del pnnolo. Nel chioMr«
S.Bbr Cr« in tire.» .«<..» in
19-
SI. A'oii nello iwu4«t.K~
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• tiiMWe S. FtucKO e S. ti-ai-
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» dU ttggn., >» «liGi'D «ileale^ il
Mrre •
!». .! fr(ngJ«^™l,Tml. i2.
. 1 KMado !■ wone ippin* io .•-
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o.InnDHDulll.
dietro la qt.iUioo.l.'.odA»
S7^ L-tttTcHo tì Crlite. il po-
delle .,'
.li«nde,il«Ul,lToto.,p*^li
P"1«cnitiaas.efc«i4tarsrail<)«.. dw Iuii{;ii foga, ani, fun^ 1> i
|rnii iMrduU per il peerilo, nWi ■) v»), nt oyiri imn ■{ nomni^, n
popola '»ir«
d>llldet|1ianlirhiL
S3^l Aittalapndr]
UprolwDHdi'IradiruI
CANTO SBciMoneofTDo. 879
In che soggiace fi Imme esoggioga.
« Dentro vi nacque 1* amoraw drudo 65
DeUe fede crislìana, fi tanto atlett,
Benigno a'MoI eda' nimìci erodo;
E come fu creata, Ita rapleCa
Si la soa niente di. viva Tirtiito,
Che neiJa madre lei fece profeti. eo
Poiché le sponsaHzie far oaanpìnte
Al sacro fente intrahn e la Fede,
IT si dotar di onta» salMe;
La donna, che pò* hii t'aasens» diede,
Vide nel sonno il atrabile' Ihitto s«
Ch* oscir dovea di lai a deMe redo:
~ E perchè fòsse, qoaio'eias ^ costrotto,
Quìdcì si mossa spfailaa aomario
Del posssssiio, di jCuì era tntio;
Domenico fo. detto; sA io' ne park) 70
Si come dell'agricola, ohe Caisro
BMt té «a caslello, e neir«llrt ma aofiè^i.MftiHirt an ohm bianco 0 mi«
MMt wfrasla ad on altro cattoUo, fo ooa «sa taccola aceau in koeet. Al §••
O^pyiopia* S^' owTMMaFro gii otODH»
»a. r—iropfl drwJo, il Ciapliai fi. ^rMoiueUsfo, looiao,aio«,
wm Mora, • a Podalo laoaoiiiaaii Pwtoot della fede colP«aM7«artte
Srwd» è twiioo d^oriyo» gii^oaiM la tirtè del Uitoaioio.
ékt filo /Moltv aaiiae dovaiot ««ia Sf. if dolar oe. laleadl : 8.
lil. MHO Faaareao i oaalii aaliilfr| *ieo Maiae ilio Fèdo'di dllbàdwUi, •
■• la tiatrawo di taaipo aofaiilè aa A oalvoria. 0 la Pedo proama a lai la
tili o la aoivenn eterna.
jmB wmoi, pieao Aoa- aar-a. Piiaaiei fece la praaiaMa tBa
rilà.aanaai*MMr della I0.I0, «««!■»> Me . eido ia aegno che al laacionÉa
flidrl mmm, • oo'aaniici di lewÉÉMplia aplaadaia aaa atelia ia froalo od' ani
ooaM aa- aaiBnie a aai s'uhragfrnSola aollo «aca , cna cIm n pioiagifa dw
aaa. Ailado alla oBcaienaa eoo cìm aw* dalFofdioodillDiaeaicodefooaaomie
aagailà afi «olici AlUtfeà , e al TnW Mlaariaatf P orìoaU e l'oeddealo.
nolo daIPlaaaiMioae che egli praaai» SS. étth rwde, dai aaei aKli..aMf
Umm alaMilo ia latta regela a froao dai hiari dooMoicani
dei aovalori 0 dai aeopoliii e ohe pai, 07-09. B portM /bwo ia.;a
r«naollrobialoDBÌoaedel8anlaydih cbè ruaMambeoella 0Qalraiia90,abÌI*
il ANdatoo tieaiaada- di^aia oeiapoaieioao dèi aoaw <|«el eaa art
rttor Padia-o Peaoomioao dei Moada raolnunti ia aèataBeo,H waiai aalaal,
ineivililo. Pa DmaoaiM dello aeUia pv»dol Ptmdiao,flalHlo, aa'inM
ÌBaHfliodaiOaaaMai,aoMaoaolll7a| riaao| a aoariaoHo ool peaaeiaÌTO « oa>
0 aort ia Bolofaa aol 4»! . I lai di eai era tatto. DmminieMt è Pi»
SS. M mmm: 0 opoooo. oaL aoaaaaav» £ l^wlam. B cori n
ia. Cào «oNa mmiré or. ÌMàmKn ^bmmtm ^aerio faadaHo, aarciè on
loopol oirli.aMalroeolioraaelPalHa aaMoalo ea eaarr ceca taUa aoiSMaani.
della aMdaal b aMdro aMdeaiaM fcaa 71 étir agrie^lm , dMPr~^^^
proTateew. La attdri di 8. ì>j«ibIii N,dol
Elesse all'orlo suo per aiutarlo.
Ben parve messo e famigliar di CnisTo, •
Che il primo amor die in lui fu manireeto,
Fu al primo consiglio clie die Cni^To.
Spesse fiate Tu tacito e desio
Trovato in terra dalla sua nutrice.
Come dicesse: Io son venula a questo.
0 padre suo \eramente Felice 1
0 madre sua verameole Giovanna,
Se interpretala vai come si dice!
Non per lo mondo, per cui mo s' affanna
Direlro ad Ostiense ed a Taddeo,
Ma per amor della verace manna.
In picciol tempo gran dottor si Teo,
Tal che si mise a circuir la vigna,
Che toslo imbianca, se 'I vigoaio è reo;
Ed alla sedia, che lu ffà benigna
Più a' poveri giusti, non per lei.
Ma per colui che siede e che traligna,
Non dispensare o due o tre per sei.
72. EleiK all-erla
a dirilio anooico. > — roàuh». '•
HI couiglÌD diM di Cri-
Dcl mS : B ta MppellilD ia dk Wl ar-
ilo. Qoatg priiDD cDDtìBJis t l'ibbiM- mtaga ili numia anli'itrìo iafliwHv
dono óeìlt ticclicae « o^ì «iLri httai Borì. Altri ialaidupo qui ^ManalB» i
tnD|ianli i • Domniin sioiltA mnllD Taddvo Pepali Bslognm- ginmanllr, |
sIId; ftnbi •■ ntocond eh* woodD
B»ll,
tl>«n>iBi>qBaiìi,<i»BldM,
■n noi ftìm inni ■ iLudio, Tiodi in
cb<8.
UBI ITU «ruLit di cha li Ironn
più p.r
U , per fu lorUm* , ■■ mt w
78. /at<»>i»iu(o<ifu«la:i«»:n«
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<Mto virate «awM, ddU f
luMa par dire i«m|>ÌD d' omilLà i di
ria»
p«.llà.
la Tigna, \ma,.ia.
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imbianca, cioi. p.rd* U nrli,
S. Demnico à cliiiniO KuJice, t li nia-
HÌI>ìpti<.aotBB«wMm.
dn di lai Ci»»i>at, il quol dod» io
un li>
i>».
(^liriiica tiiDiliiii gTùiiBia, oppurlalrio
88
Edeltattdta,at.tMc«ÌitM
"";r.,..„.,._^. ...„.
(11* Ic
«youUfiti*. ^.> |)t Ib ktatg»
iBy«r Jo mondo, bob per ■'pavrrìei'Klii P>à di qucllochaan <>
83. Oiiittiu. Oiiwius cKlncli
• triHgB*, Kan.-. aJàimandt
dìipemanic. (■■ >cr» <U\.
91 -US. Jiiprmarwo liuto Mfrr
CANTO DECIMOSECOIVDO.
Non la fortODa di primo vacante,
iVbfi decimaSf qtug suni pauperwn Dei,
Addimandò; ma contra il mondo errante
Licenzia di combatter per lo seme,
Del qual ti foscian ventiquattro piante.
Poi con dottrina e con volere insieme
Con r ufìcio apostolico si mosse,
Quasi torrente eh* alta vena preme;
E negli sterpi. eretici percosse
L' impeto suo, più vivamente quivi.
Dove le resistenze eran più grosse.
Di lui si fiscer poi diversi rivi,
Onde r orto cattolico si riga.
Si che i suoi arbuscelli stan più vivi.
Se tal fu r una rota della biga.
In che la Santa Chiesa si difese,
E vinse in campo la sua civil briga,
Ben ti dovrebbe assai esser palese
L'eccellenza dell'altra, di cui Tomma
Dinanzi al mìo venir fb si cortese.
581
95
1U0
405
-110
tii te* Noo domande S. DMnmÌM di
poUr laipn in iso pio lolamoato dna
o tra per eompeniare l' asarpaiioaa di
ad: non dimandò di «aaere eollocato
Dalla prima sedia , nal primo baiM6do
▼acanta; non dimandò le dreima. cha
tono dei poverelli del Signore. Altn tel-
ano di prima vacante, idett eetUtim :
formula cariale.
95-96. Licentia dieombait^r. Int.
coli' arme della parola; cbè la colla • il
rogo sono armi da Cristo proibita, né
S. Domenico poterà cfaietlerne né ottener-
ne la licenia. — per lo teme. Del quMl ti
fateian, perla fede, del quale aon fnitCo
la Tentiquattro piante, i ventiquattro
beati spiriti delle dne corono, dba ti
circondano.
98. Con fufieio apostolieo, aol-
V antoritk delegatagli dal sommo pota-
tefice.
99. dk' aito vena prmne, cbr è
tpremmto, cba sgorga da cofioaa Yaaa.
• in conaegnenia scende impetuoso, dal
Sroprio peso sospinto. Anche VirgiUa:
iapidnt iiMmtono flumine torrem.
400. ff neglktterpi eretici. I mal-
vaji cristiani e gli eretici aoa datti dn
Cristo «lòarj infmUuotit trmlei recisi
deUia vite, buoni aolo al fuooo.
4 01 -4 02. quivi, in qnal Inogo, là
Ihve le reeiitenxe ee. Nel distretto di
Toloaa, oy' eran più forti • aÌMeeioai
gli Albigesi.
405. diverti rivi: dìtersi religiosi
segnaci di S. Domenico , diana assomi-
gliato ad on torrente.
405. { SM0< mrbutceUif in corriapon-
dama alla metaf. dell'orto, sono i cat-
tolici.
406. Se tal fk Vuna rotm della
biga ee. Intendi : se tale fu nno dei
campioni della Chiesa, assomigliata altra
▼alta ad nna biga, o a un carro su duo
rata.
407. ei difese, dagli assalti da' suoi
408. to SSI4B eivil briga, la saa
goarra civile, perchè moaaale da'anoi
panrwrsi 6gli.
UO'Uì.^WaUra, dell'altra ra».
ta;intendi di S.Francesco. — ditmiTom-
mst, di cai S. Tommaso Dinattaiaimio
venir, prima eh' io t'apparieai , /te fi
cortese, facandotolaconoacart; «TTcro,
fa ak buon lodatara.
K ^^^
bui
riL PARADISO
Ma 1' orbita, che fé la parW somma
Iti sua circonfererraB, è derelirta,
Si eli' è la muffa dov'era la gromma.
La sua (amielia che si m<»se dritta
Co' piedi alle sue orme, è lanlo volta.
Che quel dinanet a quel Piretro gllla;
b 10:^10 à av^'ed^à della rico:ta
Della mala collnra, quando II logKo
Si lagnerà che i' arca 3IÌ sia rolla.
Ben dico, chi cercasse a foglio a fo-lio
Nostro To'ome, anror troveria carta
U' letamerebbe: 1' mi son quel ch'io »gt
Ma non fia da Casal, né d' Acqna'^parta;
Là onde vegnon tali alla scriltora,
Ch'nno la fuage e l'allro la coarta.
Io son la viU dì Bonaventnra
Da Bagnoregio, che no' grandi uBci
Sempre posposi la sinistra cura.
1
M2-I
lame > ttili «•
c.rreB[|i.t
■ .<b.[a»B»<'><'>ll><'"''>'>- >' r-l['''°> "-""rcU*.
lailchc tarla,
r<r.ni.dc
Iti pirw iDinin. di «u ra"ti (iDiltbe rriU. in vai li »t
^rrbbilcnue
(rioi di E. PrinmrD), è dtnlilta. t, ■)>- /' mi inn dikI (4'(a (ogU" ,- e»*, 1* pc
boDdoiim
xW dir.: .«flìdi i frib tran- ct.H. ; «• »t.l Lsm r<l
d»*^.
li'EÌo»>aaMrf
»«»<>»<
iiHipmi«FÌà Icnrtrpi M di Cnile, DtirAeiuu
>ni , du ii.k
l«l-d>
t*H. 1i>r«<ilUIÌttiirD««lllr
eg«1« milt. il
tu. 51 <■*■* la iMirk «. H-J» S. K,.«««.."A. OD.
"."fii:
rranrbM
M:hc>»l.«»:il<l»llÌdmi! RWt, < l'Ili» b MCTM
Prin««i
1 (Irti, .tude
11, At .TU.
■nnat ci
bn l> »i>wr>i, e iruindiili m\ ilXl , > <i>l »^ft
(•>»» 1. .
iiin>. Niccoli IV rmo ardiq,
•le. C<-1«Ì i"
orUMnlrìU.
dftwIiK «. InOudl: Il quii fniirc- iinimlu «!)■ rt|>n1l.—
FnteChrtiM
«•« he.
ì(lii è (.nio ilrtii^lu, At dtC«tl«>iela,^t»!iideI»»<irJ'ia<l»
■ pOMJIdl'
nuli d.l piede i.,» S. Fn». .«M . Cc.^.i nel ISIO .i fM, „f. |
K ««..VX
■ il (iTcìniK.; ibe * qnnlo degli wlanfi 0 ligorìiti ,
ro.«ciJiS. F.in^o. «fnìwH . . di* ìn^m
, eh* li diun
H
■ un.ip«W£
V »i-ita dtUtrintltrc:\t,Ua uiiKK
^ per Alila)
dilli ln.(i ricchi •irvelrl VU-Mt. fti rfla.
■ ■uimn. -
S.I1.H.Ì
«l.™HBr.,-^nd.«I-,. B<m.vf»luTu Da Bofnnrtyta. tt
l,Ho«.-<
laiidii llnniDii ai lignrrì Biunir» nel (urritono .
il OrTicla,irt-
.'h* le .il
neflito l'ini a il griBiln, l.iga t ilmafi iinì{np.
fq nr^innli .
,..r<l«..
nirr bruni»-, cii^.q Bendi, ri dotb.r* di SiiiU OiitH,
• Bininn »
U..I fri.
■i lisnert ebc gì. lii li.llo nerile dell Ordine miaor^M per tM
irrne" "'
ù p*r oucr'iiporlo Ddlt IB- dici-'U^-
IH.pDipDrì Ialini
titra enn. !■>-
1»-126 rU cfrruH n. a; •»- li.'i..)i^ ilii con dntrt.
Li
>ilrDC(ilKm(\MMV«>4« >«HAw\4nMt* «m
CANTO DE01M06EC0ND0.
583
1S6
140
nò
niamìoato ed Agostìn son quìcì, iso
Che fur de' primi scalzi povereUi,
Che nel ca{«stro a Dio si fero amici.
Ugo da Sanvittore ò-qni con elH,
E Pietro Maogiadore, e Pietro Ispanoi,
Lo qaal giù iaoe ìb dodici libelli;
Natan profeta, e il metropolitaDO
Crisostomo, ed Anselmo, e quel DorbIo
Ch* alla prim* arte degnò poner mano.
Rabano è qui, e Incerai da lato
n CalavTese abate Gioacchino,
Di spirito profetico dotato.
Ad inveggiar cotanto paladino
Mi moFse la infiammata cortesia
Di fra Tommaso, e il discreto latino,
E mosse meco questa compagnia.
to, fon* ptrcbè è U prima ad ciaera
inMgoata ai fanciulli, o meglio, per-
chè k l'art* edaeatrica della ragiune.
459. AcftMM. Babano Mauro , ri-
nomato icrìttore del teeolo nono. Fece
tra le altre coae molti comeoti alla So*
an ocf iUnrÉ.
440. Gi90edikiù. Calabrese, abate
ddl'Ordioe cietereiense , fa di molto
sapere ed ebbe fama di profeta. Visse
aol III secolo.
142. imceggimr, A dal provooule
muct^, ioTÌdiere , e socsso aoUra, do*
«dorare. L'iovidia è destala dalla «►
mùiiooe del maggior valore allrw , o
dalle lodi cbe ai valoroai ai daaao: spo-
Sliando il vocabolo, comò q«i ai dèa,
' c^ni drraeotu oialigiio, inwtggimr eo»
lauto palm/tino verrà a aigoificaro: prò-
itgmme le lodieom «mi hoMIì « muim
intidU. — eokuUo flmiim, S. E>o-
goifica primaria , migliore) pcspov la
iinittra, la cura sceondana, qa^a
delle cose temporali.
430. Illuminato $d Agoitim. Duo
d« primi seguaci di San Fraocaseo. -^
^M, qui.
1 32. Che nel eaptttro oc. : cka ci»*
ti del cordone francescano divenaorooo»
catti a Dio
133. Ugo da Santillore. Fa illo-
sÉro teologo, e canoniro r^olara di
Saai'AgostMio. Viue nel XII secolo.
134-135. PUlro Miangiadora, Pio-
troComostore, autore d'una storia ecclo-
sàastjca. — Pietro Itpano , filosofo ri-
nomato per dodici libri di logiflo cbs
•scrisse.
136. Jfo/cn. n profeta cbe magna-
nimamente rimproverò il re David dal
sno fallo.
437-188. Criiottomo. S. Gìorann
Criaostitmo arcivescovo di Costantiiftpo-
li , nato in Antiochia d ; ca il 3 17 , e Csmoso
per la SOS aurea el<H)nenxa, ond^ebba il
cognome di Critostt-WM, o bocca d*oro.
— ^nfclmo, fu arcivescovo di Contai^
bis o Cantorberì io Inghillorra, a mari
nel 4 109. — Donato t antico sorittats
di granuDalica, cbe qui è dotta prini'ar-
143. in/Uammmim, accesa d'amore
144. a diserto Imtina, d gindisi*.
iO, a ben pensato parlare.
445. quetta compagnia, gli altri
mdici spiriti scoi compagni a Im per-
Isttsiponte concordi, ano lormaranu la
seconda ghirlanda ialomo alla piima.
684
DEL PABAOUO
Si éMtrht la dsmm étU* ém jhMtmét et
fulgide attUé. Po* M amrrm mmm S. Tmnmm$% «ri
dk« atmm tgU mtjm ésm éi Sminmmt, Chs a twémimUm i
CM iti dtnft» mi «I prim» pmàf Jémmt, ahmCmm CiiiH, c*i
pgrftttiMSimi, p4ftàii aptrm tmmoàimm éi Dim, • €mmtmtmttmtm$a §m a^mmU éà.
tkimét U Smmf mimtWtém dH p€hm»é tf^tf dffmmM iimdui, m fw««i aim
msni tèi siimm It
Immagini chi bene intender cupe
Quel eh' io or vidi (é ritegna T image.
Mentre eh' io dico, come ferma rupe)
Qaindici stelle, che in diverse plage
Lo cielo awìvan di tanto sereno,
Che soverchia dell'aere ogni compage:
Immagini quel carro a coi il seno
Basta del nostro cielo e notte e giorno.
Si eh' al volger del temo non vien meno:
Immagini la bocca di quel corno,
Che si comincia in punta dello stelo
A cui la prima rota va dintorno,
Aver fatto di sé duo segni in cielo,
Qual fece la figliuola di Minoi
Allora che senti di morte il gelo;
»
«^
4-0. Immagini ee. Coslr.: éhintpé
inlendtr bine quel ch'io or vidi, «m-
fnagini (e mentre eh' io dieo, ritenga
V imoge ferma come ferma rupe)^
immagini quindici tlelte ee. — eupe
dall'antiq. eupere, deȓilerare. ^or,
a ^eato panto, scgnenteroente a ciò che
ho descnlto. — e ritegno t' imoge te.
lot. ìmpreaia neHn nieole eata imma-
fine. — come fermo rupe, in modo eh*
da asta mente nno li rimuova ee.
4. Quindici ttelle. Qaimliei alella
delle più belle , o ctima diceaì , di pri-
ma grandezza ; che inditene plogeee.,
dir lucenti in direne regioni <M àe-
lo ec.
5-6. di tanto iereno, di tanta la-
re, di tanta cbiarcf la , Che torerchim
dtlVoere ee., che ▼inoa ogni eompoge,
ogni danailh dell'aria.
7-9. immagini ee. Immagini , dopo
4|iiaate qnindieì »ii-lle, quel carro, il car-
ro di Boule, le sctlc tirile «leH' Crea Bag-
liori , al qaal carro batta giorno a Dot-
ta, per fare il tao giro, !•
BOitro cielo, tantoché al voltar '«M I
ne non vien meno ai ooatrì occhi. Mi
li ateonde. Quatta cottellozioBcci èna-
pra TÌtibile.
40-42. immagini U èoeem m.
Immagini poi le due ttella dcH' Ofeti
minof e , le pia Tidne al poi* , h ^pA
potta una di qua ed «na di Ih éa omo
polo , formano quasi un' a|
ioeca dì quel corno, dì aneli*
figura dì corno, die ha il ano
punta dell' atte mondiale, in
fa primo mnla , cioè il nrimn cialn i^
tante, detto il primo mubile.
AZ'h^ÀrerfaUodieiémupà^
eieiOf ec. lroma{;ini,dìetì,chayieaUf
tiquallro brllittime ttelle fonBianiacir-
!• duecottdlaiioni, ciaicvna di 4 Saldi-
la ditpoate a cerchio , coom ascila c^
rona io cui Arianna figlinola di Hi
morendo fu cagicHM che foaaa et
da Bareo la ghirlanda di fieri oha
Tale il capo.
CANTO DECIMOTERZO. 685
E l'an neU* altro aver gli raggi suoi,
E amenduo girarsi per maniera,
Che Tuno andasse al prima e l'altro al poi;
E avrà quasi V ombra della vera
Costellazione, e della doppia danza, 20
Che circolava il punto dov'io era;
Poi eh* è tanto di li da nostra usanza.
Quanto di là dal muover della Chiana
Si muove il del che tutti gli altri avanza.
Li si cantò non Bacco, non Peana, 25
Ma tre Persone in divina natura,
E in una persona essa e V umana.
Compiè il cantare e il volger sua misura,
E attesersi a noi quei santi lumi,
Felicitando sé di cura in cura. 30
Ruppe il silenzio ne' concordi numi ^
Poscia la luce, in che mirabil vita
Del poverel di Dio narrata fumi,
E disse: Quando V una paglia è trita.
iO-iS.EVun nell'altro ee. Int.: t
H«ii M0IIO (l'ana ghirlanda di ttallt )
rìtplendere dentro delF altro, ed am-
MiM Tolgeni, girarti, per marnerà,
ehe Fano andasse al prima, innanzi, e
l'altro al poi, dietro di qnello. Leggeri
■ri Cotwito: • Il tempo è nomerò di
BOfimeato secondo prima e poi, »
4 9-24 . Eanré q%ia»i Vomirà ee. E
q«ette ecae telano immaginando tewrk
qaari I' ombra dri vero splendore dì
quella eeeirilarione dì spiriti beati, Ch§
eireulma, ehe damando girava intor*
Bo ri pento in eoi mi stava.
2Ì-24. Poi ek'è tanto di là da mo-
stra uiomam. Dieo l'ombra, perciocché
il fulgore di qorili spirili . e il modo
«Iella loro danu è tanto al oi là di qori
cho siamo ori a vedere qai in terra,
3oanto il Cirio che si maove al di iopra
egli eltri, e perciò degli altri pia cele>
re. evana m vriociiii il moto della
Chiana, ftome di lento corso in Toeeana.
25. MMi Barco: non io Baecko,
come solevasi cantare dagli antichi orilo
feste di Bacon. — non Peana, oon
io Pmam, conia cenUvari orile ferie
«l'ApriUoo.
21. Ed in una penona. Akoni
IcjijoDo iuUamia nel senso d' tfoitari^
ma è preferibile U prima. — otta, iot.
divina natura onlU coli' omaoa in
«oa sola perenna in Gesù Cristo.
28. Compiè il eantaro e a vol-
ger ee. Int. : tento il cantare . quanto
il girare, Compiè, compirono il giosto
loro tempo.
29. attetoni, s'afGaearono 0 rirol-
sero la loro attenzione a noi: a me o
a Beetrìce.
50. FeHeitando tè ee. : traendo fo-
lìcite del passare dell' una all'altra eora j
rioè del cantare e dal danxare alla con
di soéìsrere al desiderio eltroì.
51 . concordi, di on mederimo vole-
re. — fiumi, divi , santi.
52-53. la luco, in che mirakU vi-
ta oc. La Iure, dentro drila quale, dal-
l'anima di S. Tommaso che n'era cir-
condata, mi fu narrota la vita maravi-
glioea dri poverel dì Dìo S. Francesco.
54-36. Qwtndo Vuna paglia et.
Int.: qnefl4Ìo{cìoè. deppoìclièj drile ceao
eho io aveva a dichiararti runa è rih
dichiarata compintamente. 1* amore dm
ioti porto m'invita a dìcliiararii Tri-
tra. La prima coca dichiarata è il dttlo :
ir hon r impingua, tonontioaneggim.
E l'altra da dichiararsi, è: À Veder
tanto non turto il fecondo.
4>86
DEL PARAAISe
Quando la sua semenza ò già riposta, s
A batter P altra dolce amor m* invita»
Tu credi che nel petto, onde la costa
Si trasse per formar la bella gMncia,
' Il cui palalo a tutto il mondo eosla»
E in quel che, foralo dalla lancia, 4fl
E poscia e prima tanto sodisféoe.
Che d* ogni colpa vince la bilancia^
Quantunque alla natura «nana lece
Aver di lume, tnlto fosae infuso
Da quel Valor che l* uno e 1* altro foce ; i^
E però ammiri ciò eh* io diaai soae.
Quando narrai che non ebbe fecondo
Lo ben che nella quinta Ince è chiuso-
Ora apri gli occhi a quel eh* io ti rispondo,
E vedrai il tuo credere e il mio dire ao
Nel vero farsi come centro in tondo.
Ciò che non muore e ciò che può nx)rìre
Non è se non splendor di quella idea
Che partorisce, amando, il nostro sire;
87. Tu creai. Tu tieoi per fermo, lar, dall' eterno podro cbo fooe l'uti
l'altro p«*Uo.
48 Lo òmefto «olla ftiiatataoi*
'-nel peUù ee. Int. nel petto di Adamo.
58. la bella guancia. Eva dalle
(belle guance, o, presa la parte pel lut-
to, la bellitsima D.mna.
59. •/ Oli palato ee.: allade al gii>
•tere chVlIa fcwe del viftato pomo, eoo
rovina di tutta la aua diaceodeoza.
40. E in quel ee.: e od petto di
Oetn Criklo.
4 1 . e poscia e prima: potcia, iot.
poateriormcote al colpo della lancia;
cioè, culla tua sopnUura,e eoo quel di'ei
fece dopo ritorto fino alla sua aacen-
•ione; prima, nrl tempo della -uà
vita mortale. Ovvero , potrebbe inten-
dersi potcia per le colpe future dopo
la passi* ne di luì, e prima per le colpe
tutte anteiiorì.
42. Che d'ogni colpa ee.: cioè,
che i >-uoi ineriti , pokti in bilancia con
tutte le eol|>c umane possibili , sono ili
mai|;i;ior peso. Al Costa piac«|ue Ipggcr
eolia Nid. vinte, per accordarb eoo
toditfeee; ma non s'avvide che perdo-
Tt ma senso bellisaimo.
43-45. Quantunque ec. Ossuto di
lame di scienza è conreiluto alla natura
umana, tutto fosse infuso Da quel Td-
L'aniuu buona che %.ì cola ■ulte spi»
dorè, che è qoiute dopo di OM. E I
ma di Salomone.
49. apri glioedU oc.: apri di e»
chi dell'intelletto a ^aellt eam At h
riapnndo al crcdor tu*. Ynàk Mpt Ì
verso 37 e seg.
50-51. E vedrai «e. B vud» I
Imo credere, che in Adamo c«l in Caia
Crìato fitsse tutte la srieiisa ehm l'asmi
può rirrvere in kè ; e il «sia dira^^aafla
che io d.saì di Salomone, cioè, cha a !■
non sorse il secuodo, JVel c«ff» farti
come centro in tondo: cudero,cio>,ra
tramhi nel osezzo del vero, comm il M^
tra Gjde nel meazo del oarcUa , a asa
aaaer per eoost'guenaa eha urna aola a
medesima veiità. L'eapremioaa furisi
te da Doezio, lib. lU, pr. Il : ipeam
medim reritatit nolam wtenéa /ImietL
52-51. Ciò che mm mmarv «.«
cioè, ogni creatura iocorruUihiWaJ ^gm
craatnra corniilihiU aoa è aa •■■ ai
raggio di quttla idea che il anatra ain.
cioè Iddio, genera, amaa<la cht ulto
partecipi dell' infinite tua haalA.
Che quelU vi^B Itice cbe si mea
Dal euo lucente, che non si dìsuiia
Da lui, né dall'Amor cbe in lor s'iiilrca.
Per sua boutAle il sue ruggiare aduna,
Qu«si epacL'hialo, io noie sussi-steicrp,
Klernalmeole rimanendosi Dna.
Quindi disceode all' ultime poleoie
Giù d' atto io alio, iBiilo divellendo,
CLe più non fa cbe bfevì conUngeoze;
E queste conliugenzo essere inlendo
Le cofe geuerate, cbe- produce
Con seme e senza seme il t^el movendo.
Le cera di coiìtoro, e clii la duce.
Non sta d' un modo, e [lerò solla il segno
Ideale poi pitj e maa (raloce:
Ond' egli awìeo che un mwJeaimo legno,
Secondo .spezie, meglio e peggio frutta,
E voi nascete con diierso ingegno.
Se fosse a punto la ceca deduita,
D Chà quriia vira te linp-> teendtal
coucoa lai, nomi (Ilni>al(ga ti pa-
ttr UKwn iiMiul ; a* datTÀwuir eh*
la (or l'Mm, ai dui Siala Spirila
■lo ditÌR Tuba, in dica, prr fiHiit
(Mia nini imnia, Ptr tua toNloU,
per mcn rtTllla di tu Imnlk. luii nc-
ctMÌt*la,ilmtiirBff{ar( «fono. Qua-
li iftcMato . ricvsglii i tasi ngni ,
DUO ■llrinienli cLc in Itali iiiKtU , i»
la I
inlalllsi
l(Mi diiini lari) >Fin|ir' aiu a iaditiit
in itilcui. Srtttkiaio il rthritra i
rog^fisr*. a ttle ^ai riiaUttle ptr
tpttehio. Naila laltEii i Cau Grtuda ti
■rggf : • hlit oBud oiiiBU ctianli* ri
raddant iidiat HipatiHa ad idbb in-
àltmii [Il rt(|liit ddli taci Iute) di-
di gira iagiro, MdlB.diiì poca illliitl,
diimeada, cka lUiB produo plA ika
B^'wi t r^r^rc, '"rrà'tìbifiTfi
hrara ittuvla*
G7-0B. Lawa UtmUm- la mì^
rìi vndc ai ruiii|»<utuu<i la cut* «ntnM| j
alaaiUD ctwlajiira.alia la<U (arali J
pia pruduuiBo gli tlbili MataiBnia J
pucit la cut» g<ncr*le. olia tana KBBil|t''1
dalli, tplf fl.li>r( dalla dlt.na idea, pÌ4 «J
■>aB. IraloauBB. pia a «ras par'Mla WM
panacsua. ti. prr iasirmra il •onaaMr^fl
calle parUt dal Biar-I'. a* I* a '
HiRiB t d'uà vntaiiBia Kmpi
M laalD pìn'U tm (auwiila ba Ìa-A \
dalla Uh a bella>H d.U'cMt** Uift j
TO-TI. uà Wciina fep», % j
malli i;iui<.«. laitudi. MB hfWM^ \
iudiiiduilaii'iiKil iuad*tÌyw,MÌI M 1
JtBÌBia ipariGiaairBla , ssoa potila 4' 1
dBen"li.Ji.Wpfh,.dai.P./h>ltB«ti
73-7:>.5(faiMa(««t«t* ~"
E fosse il cielo in sua viitii guprema.
La luce M suggel parrebbe tutta.
Ma la natura la dà sempre scema,
Similemenle operando all' arlisla,
C ba r abito dell' arte e man che trema.
Però SA il caldo amor le cbiara visla
Della prima virlù dispone e segna,
Tulla la perfezioo quivi s' acquista.
Cosi fu ratta già la l«rra degna
Di tulla r animai perfezione;
Cosi (u fella la Vergine pregna.
Si ch'io commendo tua opinione;
Che r umana natura mai non fne,
Né fia, qual fa in quelle due persone.
Or, s' lo non procedessi avanti pine,
Dunque come costui fu senza pare?
Comincorebbor le parole lue.
Ma perchè paia ben qnel che non pare.
Pensa chi era, e la cagion che '1 mo^e,
Quando fu detto. Chiedi, a dimamlure.
Non ho parlalo si, che tu non posse
Ben vedor eh' ei fu re che chiese senno.
V I
duil d'ds DHnnIa loa« in ma lUÀ 82-SS Ciilfufatta'te.CvA.frU
■irli , t tea diutodaH d'ilio in ■Ilo iIìtìoi tìiId. I* Ifrrt di «tw b mÙdIi
»
sii che, BpBrmadB diretllr
MWHniidiWIo. «
aerudflcviiw qull'irikla, eh* hi
rnucl'lbil» dell'irte HI, ni li n
SI. paia tm n,; iiitai dfart
BlIiilieDiiBi lile.
i
Quaml» Al drtto , '
|>n*di I diaparr* Il «ri di (Bi praprìg IolUiMi inrote <(Flla Seririitn: ftUm-
munti MViTti li thian Ibi-b (per- lajaedtit. — a dtmaniart. Carti..-
iMiMe ddli una» iilealo lini , o tu- c la tigìm rha il flUMt ■ JkMMli^
[•lilm din drlli Mrriig ititi ililairliia- 91 pgiir, {MiMa.'^^^^HlfiH
CAUTO DEGUfOTE&ZO.
589
Acciòcchò re gufiicìeiite ham;
Non per saper k> nimiero in che eono
Li motor di qnaasà, o ee naostM
Con contingente mai neoenf fanno;
Non, fi est dare primum mohim e$9e,
0 se del mezzo cerchio fer ri poote
Triangol ri, eh' un retto non avesse.
Onde, se ciò eh' io disri e questo note,
Regal prudenza è quel ▼edere impari.
In che lo stra) di mia Intenzion peroote.
E se a) Siine drizzi gli occhi chiari,
Vedrai aver solanòente rispetto
Ai regi, che son molti» e i boon son rari.
Con questa distinzioa ivendi il mii^deUo;
E cori poote star con quel che credi
Del primo padre e del nostro Diletio.
E questo ti fla sempre pkwibo a' piedi»
Per larti muover lento» com' uom lasso»
E ri si e al no» che tu non vedi;
Che quegli è tra g^i stolti bene abbasso»
<oo
105
ilo
96. iuffieienie, tdooM , eoaqpiafo.
97. Ifonper ioper: non Jimiadò
MBBO p«r np«r« qoaoti dtiid i moCnri
S qmttU ifere eelesti. — «mio, mb*.
(2«ì il PotU ioTecedidire che SiImbom
aoa cUtM a Dio di Mpero tatto de dbo
•Ibneeiaao lo Mteoie o lo trlì, la aoo-
di alcool partìcoUrì qoasitl doUo
t8-9f . o M m€U$$ «e. 8o do doo
i|On dello qoali sia nicanario»
I faro,!' altro ooo DeeenaiiaoMBla
toro, aa iob oaotìogente, po6 dodoni
«00 oooaanooia ooecieariameoto von.
Io aomu BaloMMM Boo cliìeaa<fioaM*
oowoloUololliea.
460. Iloo, dmtiwnjpriwmm «0-
fiioi itfo. Cmkr. 0 ut.: ooo, << oli; ao
ifieoo, 80 ai dare, ian, coooodoro,
ro, iffo, cM eiitta , prioMiai
f, m omIo pruno, eoo bob aio
r offoHo d'ao olirò bioIo.
401-101.0 io4tl «ifSM o«. (htf i
tfioBfoli ioaefiiti oel seoiiecnUoi oraott
par boaa il diaoMlro, haooo otciowirio
■Malo ratio raofolo oppoalo od omo
^oBwCro). M flwiso etrcftio, Mppl*
dairiro «» cioè noCrorw dal
cerchio.
Uh
498-404. OèU, m dò dk'io àie.
Hée. lot: oado, te ta ootì ciò ehio diial
ìb priflio (doè che À t$d§r telilo «o»
fvrwilfloeoiido), e focato eho dieo ore
(doè dk' ei /b r« dbo dUaio MMW, io*
chcM f $uf/kUmie /iMfa),
che qoel «adire «nparC, cioè BOB (
ft firi, è la rcgal pmdooia.
4 05. Ib c&e lo $irmi oe. : di dbo lo
valli diro, o ioteodo pariore.
409. 00 ul Smru: cioè, al loofo ofo
lo dico À vwdtr UaUo bob aiirao U «o-
oaBdo. n fBrta porta ecco f ideo d'vBo
dorata eoadaDOoo, qnal è appooto qM^
444 .' AfI fiHéioyMbr«, di AdoiBO.
— 0 del BoUro DaaMo, doè, dl<;oaè
edito.
442-444. E q^éttù K /• oc. E
«Beato alio rogioooflMoto U faeaio il-
leaato od' oltre volta ad albraaro •
0 neaore nello eoeo ia cai bob &eaiai
dBw^
449-449. lr#fllalolll taio «Ito-
m, ad fiMido ddlo atdtcao.it pi* atollo
di talli oli atoW.Coalr. ; dta fMill «lo
OCMM dialiBSiOBO e^OTBMI • fMfe è
leu oèèBMO Im §H $MU «pei md"
fim et.
die Eunra disUtniione afibrma o niegn.
Cosi neir un come nell'acro pasìo;
Piich' egl' inronlra che più l'olle piega
L' opinion correnfe In felw parte,
E poi r aRì'Ito lo inlellello toga.
Vie più che indamo da riva si porte,
Perchè non torna lai qiial ei si move.
Chi posca per !o vero e non ha 1' arie
E (li ciò sono al mondo aperte provo
Parmenide, Melisso, Brisso, e molli,
Li quali aridavan, e non iiapean deve.
Si Te Sabcllio ed Arrio, e quegli Molli
Che ^ron come ?pade alle scrilture
la Moder lorti li dirilti volti.
Non sien le genli ancor Iroppo sicore
A giudicar, si come qiKi che stima
La biade in campo pria che sien nutnrflj
eh' io ho veduto tutlo il verno prima
r prun mo trarsi rìgido e feroce.
Poscia portar la rosa in su la chna;
E legno vidi pia drillo e veloce
Correr lo mar per tutto suo canunino.
Perir ai fine all'entrar della ftwe.
»n Ce
ptim: tanlo noi two di at{iin,
il (fffnnara.
US. incanirà. «Kid«,
419. L'DninfDnFBrrmd, eoi
prccipiluia, i(||iiii<iin(i ■llidlilo.
iSO.BpaiftUrlUie EfoiV
U prnprn opnioac l«tia In
urli' oHro
1!T SatilttoidA
Ilei. SéttlKo, et«r*r,
Mia, il'iniKdiB
ÈitnioiliT ifisgiiir-
■rìa, DiiJt fn- TriBiU: Arr
mi in pfBijiiJr t"ndiiionr, nni pieno di
frriHi. Gaiitr- : Chi pica ptr la «fa
p*r Irotare il jtrt, i lun Iks farlt. lì
ptrleda riva tir più. p^BIpi', thrfit-
d«nto, ptrrlii non lonu (ai, ■ rìjé,
ftial li parli.
ina. /'«nMMdt.UoMU&'BM,
<3S ChefuToa fm* Mwb N
hr rnrru VutiéH, dì ipidc, J\ ^M^
tn« lo Sicre SeiiUur* ilfraoilibj
uirindule, per rmdrHr f**srn|lt «
(31 r«BW0 * ftrott. upn «
CANTO DECIMOTERZO.
Non creda monna Berta e ser Martino,
Per vedere un furare, altro offerei^,
Vederli dentro al consiglio divino;
Che quel può surgere, e quel può- cadere.
B9\
i¥>
foce Del tento di aMlmH|ae iaikotetts-
ra 0 di porto , o di Game.
439. Non creda mvwna Berta te.
Intendi: non creda ogni piniochera;
qualunque donnaoco'a del toI^.
440. un furare, altro offwrere:
vedere ano a rubare, e P altro ad offe-
rire , a fare offerte a Dio o alla Chiesa.
141-142. VééerH dentro ee.: doè,
vedarli neU« meola di Dio ooali tono io
vista agli oomiai ; percioccbè C(>lai che
ruba può od giorno peotiiti e aDdare a
salTanone ; ed all' oppotto colui che
oggi è pio , poè cadere oella colpa , e
aodare tra coWro ebo tooo eteroamente
perduti.
CAUTO DB€«lf09VABT0.
rolg* B*mtric* U pmnim al ètmti i|rfrH
mmomt uhianmtHU dommméa. thpm tm naptttt .
4*mM *ttèit0 Irmslaf m Marta. Ptr due Uut
myo tUt pi^ttta *<m uorrtmé» trm mai
ftr tm ftét, « a-ico mmòtUttWH» fvT
«M thmHa tnmmti im mttto, * fr V.4lumm»
ifUnkdti ^mtgùuitomo ai primi, tonto dbr Im
MtM éi Wtmtfie» rtpft$»É9 f affiv.fi jii«, « wt^'tti
ÉB ftmm <U Cfwm gttmdamUMt anr^wtrao il
to miOm» éi mion akt dtuv U smtfuf
CMtt» • dMm €hm»m.
Dal centro al cerchio, e si dal cerchio al centro,
Movesi r acqua in un ritondo vaso,
Secondo eh' è percc^sa fuori o dentra
Nella mia mente fe subito caso
4 . Dal centro al cerchio ee. Costr.:
L'atqmm in un tato rotondo mooati
dal centro al cerchio, e «i, UteasaoMO-
t«, dmleerckioal centro, ioeondaek'è
pireotaa fuori o dentro,
5. pareoMO. Riporto tutta ioten a
qoe»to looM la nota del G>sta, perchè
spiega pertellBiMate il concetio. a II
C4m1. Barlolio. (dica egli) legge pereoff-
wo, od il Viviani onaerva ohe il vaso paò
esMra ptraoasa e fuori e dentro, e ooo
fi't r acqua «ha è deotro al vaso ; a tàooe
che pareaua ma la vera leiiiinau Ma io
coaaÌ4Ìero cha. a fare che l'aeqoa ti
nuova 0 oarelMO, couvirne o percuotere
r»o aeqoa donlro al vaso, o p.-reootere
il TOSO aaterìormrnte, a che in qoeato
oJtiora eoso ti poò dire che l'aeqoa è
percosoo deptro. cioè nel too iolerao,
dallo pareli del vaso. Otti ti spiefa
qoealo poaao accoodo la leiiooo cooio-
ne. Ho aoeoodo il Vi
'iviani, cooio potrh
tpiegorai il dentro, parlando di voto?
Fcr mover l'acqua nel va»o tara forse
bisogno di percuoterlo oella sua int^
tiare cavità? Mai no. L* aequa sì eho ti
puè percni4ero deatro toccandola ìohb^
diatameota ; e ai può porcuotero feovi,
percnotfodo la parati eateroe del vaso,
che ven'vono poi a dar naoto all' aeqoa
intemamente. Si ootì ancora che la ti-
mililudine al oiodo da me stabilito A
aflh o ciò che vool significare il Poota.
Se tu percuoterai V acqua nel eeaCro
della sna auperficie, i drcoli andoranoo
da esso contro verso la peri far n del
vaso; te percuoterai le pareti ealarao
di esso vaao, i cerchj anderanoo dalla
perìforia al ceotro. Similmente la voeo
di San TomoMao andò dalla pariferU
al ceotro di qoel luogo dove araoo
Dante e Beatrice: e poacia, porloodo
Beatrice, la voea ai lei andò dal ooolvo
alla pe. ircrìa suddella. •
4-8. Kella mia mente ee. Questo
oCf«^ttu nai orale dell' aequa oel vaso f$
iubil ' caio (cadou) Nella mia utente,
mi cadde subito in pensiero, lostochè
592 DEI' PABADISO
Questo eh' io dico, ù come si tacque
La gloriosa vita di Tommaso,
Per la similitudine che nacque
Del suo parlare e di quel di Beatrice,
A cui si cominciar dopo lui piacque:
A costui fa mestieri, e noi vi dice
Né con la voce né pensando ancora,
D* un altro vero andare alla radice.
Ditegli se la luce, onde s* infiora '
Vostra sustanzia, rimarrà con voi
Eternalmente si com'ella è ora:
E, se rimane, dite come, poi
Che sarete visibili rifatti.
Esser potrà eh* al veder non vi nói.
Come da più letizia pinti e tratti
Alcuna fiata quei che vanno a rota,
Levan la voce, e rallegrano gli atti;
Cosi air orazion pronta e devota
Li santi cerchi mostrar nuova gioia
Nel 1001631*0 e nella mira nota.
Qual si lamenta perchè qui si moia
Per viver colassù, non vide quive
Lo refrigerio dell' etema ploia.
Queir uno e due e tre che sempre vive,
IO
15
:o
:5
•i tacque la vita, V aoima, di Tomma-
•o, per la somiglianza che col dello ef-
fetto dell' acqua avea il parlare di lai e
quel di Beati ice, come nella Dota sopra
è detto.
40-12. À costui (accenna Dante) fa
meilieri, costui ha biso(pio d'andare
alla radice, al fondo, d'un allro raro,
per conoscerne la rafpone.
43. M'infiora, s'adorna.
\7. tiMibiU rifatli, rìfatU nsibili
dopo la resurrezione dei corpi.
\%. eh' al veder non vi nói: cioè,
che questa vostra luce non rechi noia,
fastidio al vedere, cioè, a^lì occhi To&tri.
20. Alcuna fiala è della Nid. e dei
Cod. Vat. e Cbig. Tulli gli altri Alla
fiala. — ehé vanno a rota, che can-
tando danzano in giro.
21. Letan te voce, rìnforiano il
«Dio, 9 raUegrano gli alti, e aTTÌraao
^ pi« allegretza i movimenti loro.
22. alforrnsion, alla doaanda, l'imo
pronta, franca, libera ; ée!99lm, rtvt-
reale.
24. JVef torneare, d«1 morcni k|-
giadramenle in giro. — imUs wàra
nolo, nel mirabile canto.
25-27. Qual ti law%enim ce.: óà
si lamenta perchè ^mì, in fonato Bio-
do, n debba morire, por pame a
TÌverc in cielo, corto si lamento nmAk
non videfvtre. qui\i^ in delo, ilgM*
dio che la ploia, la pioggia eterna id
beatiflco lume, produce no* beati; oor*
che se tanto bene sì potcaso ir
re, la morte si aspetti>rebbe
desiderio, e si riguarderebbe
benedizione di Dio.
2S-29. Quell'urna ee. Qndrcola
cbe vive e regna etemo, trino ianntaals
aoataoza. — due. Gesù Criato sello èm
nalore divina e amano. Noto U
spoodenza delle parole nò Joo
I'mio in tre, il due in éu», il Irvi
I»
CANTO DECIMOQUA&TO.
E regna sempre ìd tre e due e uno,
Non circonscritto, e tutto circonscrive,
Tre volte era cantato da ciascuno
Di quegli spirti con tal melodia,
Ch' ad ogni merto saria giusto muno.
Ed io udii nella luce più dia
Del minor cerchio una voce modesta,
Forse qual fu dell' Angelo a Maria,
Risponder: Quanto ila lunga la festa
Di Paradiso, tanto il nostro amore
Si raggerà dintorno cotal vesta.
La sua chiarezza seguita V ardore,
L' arder la visione, e quella è tanta,
Quant' ha di grazia sovra suo valore.
Come la carne glonosa e santa
Fia rivestita, la nostra persona
Più grata fia, per esser tutta quanta.
Perchè s' accre-^érà ciò che ne dona
Di gratuito lume il sommo Bene;
Lume eh* a lui veder ne condiziona :
Onde la vision crescer conviene,
Crescer l'arder che di quella s' accende^
693
30
S5
40
45
60
50. Non eirconicritlo te. È dot-
trina teologica che Dio non è oè conlt-
oalo, né limitato, «Mencio inrinito, e che
tolto contiene in tè: conlinei onmia;
0 in quo inni omnia.
51 . Tn votle era cantato. Inten-
di: l'inno Gloria Patri, o oaalche al-
tra ftrofa in onore della Trimth.
53. Ch'md ogni therto iaria gin-
ito wmno: la oual melodia aarebbe
ginata rimaaeraiiune a quaUivoglia me-
rito.— minio, premio, dal lat. ffiwna.
54. pie dia, più risplendente.
55. Del minor cerchio, del cer*
cliio interno e più vicino a lui. — wnm
tace. Intendi la voce di Salomone.
— modettm: dov'è vera aapieosa, ivi
e modestia.
56. guai fu dell'Angelo a Maria.
Quando, cioè, le disse Av», e le an-
nnnsiò il concepimento dell' nomo Dio.
Cerio V Angelo anche nel tono della
voce dovè moatrare gran reverenza •
sommiaaiooe a colei , che era destiMta
regina degli Angeli.
57-58. Quanto fia lunga te.: che
Tool dire: per tutta l'eternità.
59. Si raggerà dintorno ee.:
apergerh d'intorno questo lume di che
r anima nostra s'ammanta.
40-42. La tua chiaratxa te. La
chiarezza di questa fulgida veste è a
misara della nostra caritè verso Dìoj
e questa è a misura della visione onde
siamo da Dio fatti beati ; e la vistoiie è
tanto più chiara e vira, quanto è mag-
giore la grazia che ci avvalora la vieta.
— fovra tuo valore, int. aggiunta al
proprio valore intellettuale.
45. Piò grata fia, piò bella, più
splendente, e perciò aFTetta di ma^^iar
E lacere, e, se vuoi, anche più grata a
lio. — per e$ter tutta quanta, ptr
eaaer nella sua integrità, cioè io anima
e corpo, e conseguentemente pie par^
feUa.
47. il tommo Bene, Iddio.
48. Lume eh' a lui rader «e. Lame
che ne condiziona^ ne dispone, d fa ca-
paci a vedere esso Dio.
38
Crescer lo raggio cbé dar>e«o vìéoèk
Ma sì come oarbov dto fiamma rende,
E per vivo candòr (fnlMrfwereMa
Si, che la sim pervema ai dUéndè;
Cosi questo fo)^» che gii ne- cerchia,
Fia vinto in apfmrenadiMa' carne'
Che tnttodi la terra riooperchià;
Kè potrà tante Ivoe alRiticanie;
Che gli organi del corpo nran Jorti-
A tutto ciò cbe potrè diteltame.-
Tanto mi parver snlrfli 9& acrorti'
£ r uno e 1* altro coro a dieer amiiM,
Che ben- mostrardiirio de'corpi- morti ;
Forse non por por hr, ma per le marame^
Per li padri, a par gK altri che fbr cari-.
Anzi che fioW aempfiterne fiamme.
Ed ecco intomo di chiarezxa'parì
Nascere un lusitro sopra qnel che ▼' era,
A guisa d* orizzonte che rischiari.
E si come al salir di prima sera
Comincian («r lo cìét nuove parvenze.
Si che la vista piaree non par vera;
Panemi li novelle sussistenze
Cominciare a vedere, e fiire un giro
Di fuor da ir altre due circonferenze.
hb
6)
6ò
n
7S
81 . ehf éà Cito tiene : che <!• ette
tfdore si difTontle.
52-56 Jfo si rome ee. Ma necooM
il carbone che produce la fiamma, \ìnet
3 nella colla vivacità del pmprio apleB»
ore, di modu che la sna parventm
{àr\ carbone), il fm* apparire, fa sua
vbta . lelinente ai diffnde , cbe non re-
ità vinta dallo sp!eadiire della fiamma
ttesM ; enei la carne de* beati, dopo la
resiirreiione , in apparenza, in visibi-
lità , vineeri il lume onde sarà cireoii-
daCa.
57. iuttodi. tattavia^hittnit. — ri-
COperrMtt, rrcopre , tiene sepolta.
02. l'uno e l'altro coro. le dna eo-
rone de* beati spiriti. — amme, amen,
coaì sìa : es«iaroaiione di desiderio, t di
approvarione.
63. moeirar dMo ee. .'.mostrarono
desiderio d^csaer riaoitt ai loro corpi
ÌM$€ÌÉti io terra.
eS. che /ktr cari, int. a loro, cfa
amarono prima d'esser beati. E riè d^
siderano , perchè dopo la rwiiiuiiiiaa
sarà lìnifo il Purgatorio.
67-68. «n lutiro, no lame, aopra
quei che v'era , al di U delle d«e e»>
rone di sfavillanti spiriti , coma dka
ioUo al ve: so 75. — ekimregim paHf
d' an modo medesimo, agaalo in UiMi ì
paoli.
69. che* rischiari, dia diiran
chiaro.
70. ai taHr di priwm arra * la
notte s' immagina saltra il grand' aita
edeste opposta al soie.
71 -7Ì niiot)a|>areaiUM,nttnTaaf-
parìiioni , nuove stelle, sicché im cCifa
di esse tanto è scarsa (per cagiona ^'la
luce solare che ancora ai moatra). dM
pare e non pare che sia vera.
74. fare un giro, descrivwv «a
ecTclvio.
, CANTO DECIMOQUABTO.
0 vero sfavillar del santo spiro,
Come si fece subito e candente
Agli occhi miei, che vinti noi soffrirò !
Ma Beatrice si bella e ridente
Mi si mostrò» che tra 1* altre vedute
Si vuol Ia.<ciar che non seguir la mente.
Q'iindi ripreser gli occhi mìei virtute
A rilevarsi, e vidimi traslato (*)
Sol C4)n mia Donna a più alta salute.
Ben m'accors'io eh* i^era più levalo,
Per r affocato riso deHa stella,
Che mi parea più roggio che 1* usato.
Con tutto il cuore, e con quella favella
Ciré una in tutti, a Dio feci olocausto,
Qual conveniasi alla grazia novella;
E non er* anco del mio petto esausto
L' arder del sacrificio, eh* io conobbi
Esso litare stato accetto e fausto;
Che con tanto lucore e tanto rebbi
M* appanero splendor dentro a duo raggi,
Clf io dissi: 0 Eliòs, che si gli addobbi!
Come distinta da minori e maggi
• Lumi biancheggia tra i poli del mondo
595
SO
S6
90
95
76. O vero sfatiUar te. Dice eotk
perchè ogni luce che in cielo rUplende,
è mo«M, tpii'itU da Dio, «Itillo Spiiito
Santo, i cui raggi ti rifleltooo nelle
•nime beate.
77. e^ndtnU, infocato, aeces«>.
80-81 . ira l'altre vedute Si vuol
loéciar ce.: che io ttm coslrrlloa lasciar-
la , a iocluilerla tra gli ullri oggetti ve-
duti, càe non ieguir la menta^ cke
non restarono impreasi nrlU memoria j
fra quelle ccmc, a cui la. mente, enme
tlisae nel Canto 1, dietro non può ire.
{*) Qni Dante Irapaasa dal Snin al
quinto cielo dì Mitrle.
84. a piii alta ialuts. a pii die
grado di gloria , o di beatitudine.
85. eh' i' era più levato, eh' ie en
asceso più in alto
86. l'affocalo rito, l'intense ri-
splcadere , il rosseggiare della stella.
87. più roggio, più rosso.
88. con guella favella ee. lì li»,
goaggio che è uno in tutti gli nomini ,
perqnante diiern di clima, di costami,
di modi vocali I è il linguaggio dal»
TsDiroa. mossa in tntti dagli affetti
stessi, e istessamente manifeslantisì.
89. oloeautto. sacrifii io: e qoi vale
ringraziaiue.ilo rer^entisaimo.
90. alla grazia ntivelta, d* tmtn
stato poi tatù in quest'altro cielo.
93 Etio litare, il mio saerìficnre.
Intendi luicrificto di lode a Dio e di rÌA-
graai'imento.
94 . lucore, splendore.-— ro6M, roe>
li. Robbo è voce dal lat. rubent, o nh
beut, come si legge in una antica iaeri
filine, riferita dal Viisaio neiretimole-
gia della voce ruber , e presso lo ScaK*
gero nelle note a Vsrrone.
93. o duo raggi: a due liste InoiS-
noae formanti , come dire in legnile ,
una croce.
9('>. O E/Jds.o eccelso Lidie, e Inaa-
noao Idiiio. Elioe è voce cke in rbraice
vale eeeeUo , in greco iole, — gli md-
dobbi, gli adorni, f*li abballi.
97-99.CoinedM<inlaec.: cene G«-
lattia b ancheggia <it<linla,cioc sparsa,
596
DEL PARADISO
Galassia si, che la dubbiar ben saggi,
Si costellati focean nel profondo
Marte quei raggi il venerabil segno.
Che fan giuntare di quadranti in tondo.
Qui vince la memoria mia lo ingegno;
Che in quella croce lampeggiava Cristo,
Sì eh* io non so trovare esemplo degno.
Bla chi prende sua croce e segue Cristo,
Ancor mi scaserà di quel eh* io lasso,
Vcggendo in queir albór balenar Cristo.
Di corno in corpo, e tra la cima e il basso,
Si movean lumi, scintillando forte
Nel congiungersi insieme e nel trapasso.
Così si veggion qui diritte e torte.
Veloci e tarde, rinnovando vista,
Le minuzie de* corpi, lunghe e corte.
Moversi per Io raggio, onde si liista
100
i05
no
115
panlcggiala di lumi mÌDori, e maggi,
maggiori. Galassia , la via lattea , dal
gr. yi\v.y latte. — fa dubìnar ec.: fa
dubitare òffi saggi, cioè omnini molto
aag(TÌ , valenti filosofi , cìrra la vera ca-
gione tiel tuo 1 isplcndere. Ognuno st
che diverse furono le opinioni degli an-
tichi filosofi intorno alla cagione di
Suell» fascia di chiarore biaiirastro.
^ggi n crede por gli astronomi che al-
tro non aia cue un seguito di grandi
strati di nelmlose , cioè stelle cinte
d' un'atmosfera ; del qual genere fona
è il nmtro sole.
400-402. Si eosUUati €€.: cioè,
eoe) distinti a guisa dì grandi e piccole
ftellc, (quei ra(;gi) facevano dentro il
corpo di esso (di Ma: te) quel venerabil
sogno (la crocei che in un tondo . del
circ«do , fanno due dianit'tri che si ia-
tenecano ad angolo retto, e cungiun-
goDO per conscgiionza i quadranti del
circolo. — Sì costellali, seminali di
atelle a guisa della G.-ilassia.
405-105. Qui vince ee. Qui il mio
ingegno rimanr vinto dalla memoria : qui
non ho ingegno che La!»ti a descrìverà
conveoientcmente con esempio , con si-
militudine condegna, ciò chi> mi ri-
cordo di aver «eduto in qncUa croce;
che la memoria delle coke vedute è pia
forta in ma dello ing^no per rappre-
aantarla.
406-408. Ma chi prende tua ente
(in questa %ita) e segue Cri»!*, Ancor
mi scuserà ec. : mi scnki>rà fin d'ora,
l'io non so ridire il mard%igli«so io*
canto di quella croce che m'apparve,
Juando a lui pure la croce presenti
elle tribtdazioni apparisae st bt-lla ,
poirhc nell'albóre di essa \ede balenar
Gekù Cnslo. — K San Paolo : mihi
abiii glitriari nisi in CrueeJetu Chri-
iti. lo mtcndo cosi. I comentatori cha
ho rìscoiitralo spiegano : mi scnacrè
quando egli ancora, giunto in ciria,
vedrà lampeggiar Cristo in quell'ai-
bdre.
409. Di corno incorno, da on'eatr^
mith air alt a delle brarria , e da capa
a piedi di'lla croce ; ossia per il diama»
tro orizzonUle e per (|urllo verticala.
4 10. lumt, animr Insite.
411. JS'el congiungersi intiemoet^
al punto d'iiitcnif7iuiie dflle dite TiBea
facenti la croco, do>e gli spiriti a*HH
contravano, e trap-i«i<ta^auo.
1 13. rinnitrando ruta: cangiasda
d'apparenza ad o|;iii nioinriilo.
114. L minuzie de'roiyi, cioè,
quelle niinolis&ime parlicclle, o atoaù,
elia ai veggono in vane forme mavani,
nuotare per entro quella atriaca di ìmea
che entrano nella casa per la porte •
per le finestre o per altrì fori.
4lb-l 17. onde si UsU cc.:aadt è
CANTO DECIMOQUAETO.
Tal volta l'ombra, che per sua dlfe.<;a
La gente con ingegno ed arte acquista.
E come giga ed arpa in tempra tesa
Di molte corde fan dolce tintinno
A tal da cui la nota non è intesa ;
Cosi daMumi che lì m'apparinno
S*accogliea per la croce una melode,
Che mi rapiva senza intender l' inno.
Ben m' accors' io eh' eli* era d' alte lode,
Perocché a me venia Risurgi e'vinci,
Com* a colui che non intende, e ode.
Io m* innamorava tanto quinci.
Che ìnPino a li non fu alcuna cosa
Che mi legasse con si dolci vinci.
For^e la mia parola par tropp* osa,
Posponendo il piacer degli occhi belli,
Ne' quei mirando mio disio ha posa. .
^la chi s'avvede che i vivi suggelli
D' ogni bellezza più fanno più suso.
697
i20
m
130
tagliata , listata, l'ombra ebasi genera
per cagione de ripari , come sono le
imposte, le ttoie o simili altri infe-
rni, che i'uumo con arte oppone al sdle.
4 48. giga, strumento mosicale. —
in tempra lesa Di molte corde: eoa
più corde insieme armonizzale.
419-420 fan dolce tintinno ee.'
(oceano piacevolmente gli orecchi , pnr^
gon dilellu anche a chi non ne ìnlenae la
nota, il tenore del suono*, ovvero l'arte
musicale che in quel suono «'accoglie.
421. apparinniì, temiinaz. regol.:
ina o)*gi meglio apparirono,
422. «ina melinie, una melodia.
421-425. eh' eli era d' alte lode:
che quella melodia esprimeva alte lodi ;
pender he intesi chiaramcnle queste paro*
le: Riswrgie vtnrt. Vfuc&te parole di
trionfo sono dell'inno in lode di Gesù
Cristo trionfatore della morte, il ^oale
laDi|)efrgìa>a in quella croce.
427. quinci^ di questa melndit.
429. einct, o vinchi, legami. Vimco
è spezie di salcio.
4 30' 4 52. Forte la mia paroìmpar
iropp'ota. Forse l'espressione del ter-
nario precedente sembra troppo aniita.
venendo io a poii|.'orrc ad altra enea il
giacere degli occhi dì Beatrice, nei
quali se miro, s'acquieta ogni mio de-
siderio.
4 53-4 36 . Ma chi t* atte^ che i 9i»
vi iuggeUi ee. Avendo detto il Poeta ebe
il piacere avuto nel cielo di Marte era
stato maggior d'ogni altro precedente ,
poteva rimproverarglisi che avesse pot-
posto a quello il piacere degli occhi di
Beatrice. Egli pi eviene un tale rimpro-
vero , e, come si esprime egli stesso , sì
accnsa per iscusarsi , dicendo che ante-
ponendo a quelle vedute sin ora , le
nellezze di Marte , non deve far mert>
viglia a chi consideri che i cicli tanto
più son perfetti quanto più s'avvicinano
all'empireo, e. die non essendosi ancor
volto a Beatrice , ni essendosegli ancor
dischiuso il divino piacer de' suoi oedii^
non l'avee compresa nel suo paragone;
che certo anche in Marte dfoveva ella
farsi più bella del pianeta roedetinM|
come era avvenuto in lutti i cieli pre*
cedenti. Uifatti vedremo che il Poeta ti
volte a Beatrice al verso 32 del Gante
•eg. Quelli che per • vivi $ugg§Ui in-
tendono gli oocbi di Beetrice , a p«fr
mio t'ingannano, che il tmggelUtn •
il fare tono esprauioni ripctote cento
volte a dimostrare le operazioni dei
òdi j e U difGcoltà che ti oppone dal
598
DEL PÀBADISO
E eh' k) non m* era 11 rivolto a quelli ,
Escnsar paommi di quel eh* io m' accaso
Per iscDsarmi, e vedermi dir vero :
Che il piacer santo non è qoi dischìa o,
Perché si fa, montando, più sincero.
Jorenì riferìi e l' ag^ttWo qu$Hi del
fcrso 435, non a iuggtlU cbe gK è
prossimo , ma agli occhi belli del vei^
so 431 , è una Tera meschinilà ; eh*
anzi il quelli è sempre ben riferito al-
V idea più remeta. — pia ftmmo, ope-
rano con più a(ti%ith.
457. e vedermi dir vero: t Tedtft
eh' io dico il vero.
4»
458. film i qni digchiuto: nea mi
ri è in i|ae«Co eirlo per anche aperto il
piacer eanlo degli occhi di Beatrieo.
439. Perché ti fa, oc. Perchè
jnaeere , a mano a mano che si moata
▼erao V empireo cielo , si fa pio poro,
aeeondo che Beatrice si fa splendeata
di luce pi& viva al suo passare n pie
alta sfera.
CAUTO DECHHOQUKVTO.
1)0 tt« brmeeh detta Itammatm troct mamrM «no iptmuton, e vM«f» mt pù d*estm troet
con pMtemo «f fitto CJhghitrij it qttmle, nmtrmttmtoto d*tU eorteait firn tot eumn eft« <*f/«
lo riefiiede t/tl nome suo. E que$U mtamtfuiatou pel »»» intavolo CttteMgmvtm, ilrtarvo eom «jm m»
mtà impareggiabile dt poetta gl'tamotemti mtlmmi dt Pi-wate m'$mot trmipi, m ramfr^gma deOm «mw
ruUela presente; e nana eomt latciò la mlm camèaitamito ptr it sepoten di Cruio Heitm marne»
Crocùua,
Benigna volontarie, in che si Hqna
Sempre T amor che {(riltamenle spira.
Come cupidità fa neli* iniqua,
Silenzio \)0<e a quella dolce lira,
E fece quietar le sante corde, (
Che la destra del cielo allenta e tira.
Come saranno a'giusli prieghi sorde
Quelle sustanzio che, per darmi voglia
Ch'io le pregassi, a tacer fur concordo?
Ben è che senza termine si doglia iO
Chi, per amor di cosa che non duri
Eternai mente, quelfamor si S[)Oj; la.
4-6. Benigna rohmtade ee. La in Marte, e eorde di essa le •nisM che
seorrevan cai taiido p4>r qaelli. — CAe
la dettra del cielo allenlm e fini, le
quali corde la dt^tra di Dio cobleMpra
a una divina ariii< aia , questa allcB-
tando, quella tirando^ a g«u« d'aaicrtn
•onature.
8. Quelle iutlanzie, rncvU «viti
heati. 1 • -r-
9. concorde , piar, per
secondo la trrm. lai.
40. Bene, è giosto, sta
4 2. quelt' amor ti tpogiim :
benigna Tolonlà nella quale si fa cono-
Kere, it tiqua\t\ti\ l.d. liquel) l'amore
che tpira drillamenle, rioe la perfetta
cariti', in quella gtii»a rhe in una vo-
lontà maligna si pa ena la mpiditàt
cioè il torlo amore; qne»to buon fo-
leia, io dico, di eoi è prora la carila,
SUentio potè a quella dolce lira , fé
iMsre il eanto di qnelle sante anìaae ,
Mdtroao di aacoltare i miei preghi.
Cantinaando nella metafoea, chiama
lire qati dae raggi di laee iocrocianlisi
CANTO BEGIMU^UINTO.
Quale per li seren tranqoiUi e puri
Disrorre ad ora «d or subito foc^o,
Movendo gii occhi che stavan sicuri,
E pare stella che tramuti loco,
Se non che dalla parte onde s' accendd
Nulla sen perée, ed e?90 dura poco ;
Tale, dal corno che m destro si stende,
Al pie di quella croce corse un astro
Della costellazion che lì risplende;
Né si parti la gemma dal suo nastro,
Ma per la lista radiai trascorse,
Che parve. fuoco dietro .ad alabastro.
Si pia i' ombra d*Anchise si porse,
Se fede merta nostra maggior Musa,
Quando in Elisio del figiiuol s'accorse.
0 sanguis meus, o tuptr ùifuta
Gratta Dell tietU Ubi, citi
Bis unquam cali janua reclusa?
Cosi quel lume; ond'io m' attesi a lui ;
Poscia rivolBi alla mia Donna il vifo,
£ quinci e quindi stupefatto fui;
609
i6
20
30
tica la carità per le fugad
mondo.
jel
15. li teren, %oiÌinlenòi. lutUunU,
45. che ttavanticuri: tacendo al-
imi stringere gii occhi che ù stafaao
tranquilli ; ovvero Motendo gli oeoki,
facendo muovere per tubiti scossa rIì
occhi che in niuna cosa eran fissi , che
stavansone a loro agio, tieuri, nel ato-
so proprio e primitivo del termine, che
vale nne cura.
17-48. Se non che dalla parU
ee.: se non che ci fa accorti non ea-
<ere quel fuoco una stella, il vedere cài
dalla parie oiufe s' accende, d'onda ac-
ceso SI moelra , o donde si scorge quel
fuoco partirsi, nessuna stella viene a
maneare in cielo , e che compito qntl
sno cono, si spegne.
19. dal corno che in detbro «e.:
dal braccio destro dt>lla croce.
20 Mii astro. (Joo spirito, ebnnoi
vrdremo esaer quello di Cacdagiiida ,
trisavolo del Poeta.
21. bella eotUllatUm che U ri-
tplende: dì quell' ammasso di apirili
lucenti come stelle.
22. NisiparUee. E «piallo spleo-
dora, quello spirito risplendente non si
dipartì, nel suo trascorrere, dal mm no-
Uro, dalia sua Inoento striacia poeto in
forma di croce ; ma tenendoai dentro ad
casa trascorse, che parve ec.
24. fuoco dietro ad atakoMiro,
L'alabastro è traaparente, siediè un
lame posto dietro a qneUo lo Ulumiaa }
a il lume , ae hi muova , vadasi diiara-
mente trascorrere.
25 Si pia, con pari affetto. Vedi
l' Eneide, libro VI, verso 680 a seg.
26. vostra maggior Huta, il mag-
gior poeta epico d'iulia, Virgilio.
28-30. Oianguii muut, ee: Qne-
ato parole tiadtitte vagiiono: O sangna
mio, 0 di > ina gmiia in to aoprabkoMO-
▼olol A ehi fu mai. come atre a to, 4i-
achittsa due volle la porto del ciaUf
Forse il Poeto fa ^ni parlare caai te-
lino a Cacciagnida per denoterà to Ci*
velia nobile dei tempi di yeato jma
lrìaav«»lo.
83. K quinei e ptMiim.t ciaè
dalla natte della mia Doima, adalU
parto di quei lume.
Cile- ilentro a?li occhi suoi ardeva un riso
Tal, eh" io pcn'iai co' miei laccar lo Tondo
Della mia grazia e del mio parudìso.
Indi, ad udire ed a veder gioi'ondo.
Giunse lo spirto al suo principio cose
Cli' io non intesi, si parlò proroodo.
Né per elezìon mi Bi nascose,
Ma per necessità, cbè il sno concetto
Al segno de' mortai si soprappow.
E quando l'arco ilell' ardente affetto
Fu si sTogoto, che il parlar discesa
Invor lo segno del ou^ilro ìnlellelto;
La prima rosa che \ier me s' intese,
Denedettu .>'ìe tu, fu, trino ed uno,
Che nel mio seme se' tanto cortese.
E seguitò: Grato e lontan digiono,
Tratto leggendo nel magi.o volume
IT non si muta mai bianco nò brano,
Soluto hai, (iglio, dentro a quésto luma
In eh' io ti parlo, mercé di colei
Cb' all'alto volo li vesti le piume,
SS-Sd. co'mM Iticear la fondo. e«iKelIa ilrlla tfitìU buio. VmT Dr
fondo MlnuBii, l'ultim.' Irrmin», llella dfou ddl'itlvltu, aiienra il pati» n*
mia jruìa, (lift oHDParailùo.'iJstli lì tice incut fialonào m ti'dih t ptr
Suii diiiiM ■ daitii britiiudine ■ mg poniamnj culle txu dell' mliUiUi
■lindi. Siuchcti gl..n*e la bnulilu- anunn.
di» i Kinprt in r«(f>ono d.ll. er^..
44 Furi tfcsala. Fu ri uwntu
57-58- Mi. od udire te. C«lr, :
We il V>viani »1 Cod. Uar«. u. 30;
J i ..«; ball. lai»».
/udì lo ipirtlo. giDConda, grilo, |iii-
47- 1 8 . fi(ntri*l(a rù la. «e..- » Il
■CeWiDH, «, — oJ (ua printipìo. il
bonnlcilo,uDi(.lnaa«liuio, dittoK
pi>nri|>iodcl tua puliM |( indi' 0
Il mia p'-Miiiii tn italo corto*.
laoguU iwm).
sa. <1 parlàpnfùndoi loo ,\ oro-
Figli», mcit di DoiUÌ» , cW i .^
r™.li w„«UJ p.rl*.
i 1-43- M il (wicOR tlte k. I.it.:
qoa-ii U diada tilon, la Kai uhiM,
bai tiUh. rcauiT il tuo, ,br t«o J«Bo
Gli il lUD cbdmUi) ti •ni.rafi'm il tt-
• qliMii tgilcndoir, au graia « nu'ln
gno d«i Binwtli morlili, u ffcn Bidg-
Eiiirt dall' ial«idgrii»iru. Nnn uciThè
ho], Tmta. atlinlo <t« alt la »•, i
t«t\ gli r«w >grid<>,ird poriuetiiM,
.nulo 11 «.<,, IqjmdD. dil l«jB,«, t
alti •ll'illuu dalt'irfMW. Viri l«U :
pw ..or Ifiu. .1 M.. tDDin Pd im ?>-
lama ditTi», li cai U paglni^i;»^
M moiiot.
*Z. Bmanio l'arco te. Cotlian
Dtlli mcd^ cdcuinihaM dr-l inno, «
pr««htl.:c.i*, ,«l,hlri4M„fl.
un li notai .|««r cb* dub è m»IU.
d<>ll.ic<|fH.,M«,a«llin«.i.li..ldi
MOfrt ia judi Igritt • h ìudiIuh U
lìSiiulTt'inMle'aiDV ""'•"•'
CANTO DECIMOQUINTO.
Tu credi che a me tao pensìer mei
Da quel eh* è primo, così come raia
Pali* un, se si conosce, il cinque e il sei
E però chi io mi sia, e perch* io paia
Più gaudioso a te, non mi dimandi,
Che alcun altro in questa turba gaia.
Tu credi il vero, che i minori e i grandi
Di questa vita miran nello speglio,
In che, prima che pensi, il pensicr pandi.
Ma perché il sacro amore, in che io veglio
Con perpetua vista, e che m' asseta
Di dolce disiar, a* adempia meglio,
La voce tua sicura, balda e lieta
Suoni la volontà, suoni il desio,
A che la mia risposta è già decreta.
r mi volsi a Beatrice, e quella udio
Pria eh* io parlassi, ed arrisemi un cenno
Che fece crescer 1* ale al voler mio ;
Poi cominciai cosi: L'affetto e il senno.
604
b&
60
65
70
o5. mei. Tenga, passi; dal Itt.
me», at.
56-37. Da quel eh' è primo: cioè,
dal pensiero diiiiio, dalla niente di Dio
maniTekta a me. — eoti come raia ee.:
COSI come raf^gia , come risulla , dal-
Ponili una volta conosciuta, il cinque
ed il sei, ed ojnì altro nuiuoro che noa
è che an abrogato d'nnità.
58-5'J. E però chi io mi eia «e.
Cnslr.: E però non mi dimnndi ehi io
mitiaec. l)ante avea conosciuti» che non
T'era bis«'gnu di aprire i suoi desideri u
Beati , perchè li leggevano in Dio , nel
coi cos|>elto eterno tutta It conlingenia
è distinta.
6 1 -62. ehè i minori e i grandine.:
perocché i;li spiriti tanto di maggiore,
quanto di minor grado di gloria in (me-
sta TÌla beata , ec. — nello spoglio,
iidil<* spocchio , cioè in Dìo.
63. il pensier pandi , aprì, fai pa-
lesOf a chi in esso speglio rimira, il tuo
pensiero, prima pur che tu pensi.
64-66. Ma perchè il $aero amo-
re ee. Ma affinchè ouelP ardente canta
ond*io sempre Tegiio riguardando in
Dìo, 0 che m'empie di dolco deaiderio
▼er o di te, i* adempia meglio, sii me-
glio iodisfaUt.
67. fietira, senza tema. — balda,
irtnra, fidente, pronta.
6^. Suoni la f>olonlà: manifesti
parlando il tuo volere e il tuo deside-
rio. Propriamente la volontà è effietto
del desiderio ; ma in questo luogo eo-
lonlà sta per gradimento, piacere, che
è qualche cosa meno del desio.
69. decreta, determinata, prept-
rtla.
70. wìio, m'ebbe udito, intcflo,
quasi avessi proferito le parole.
74. arrisemi un cenno: tceompa-
foè con un riso il cenno.
73-75. Poi cominciai, E comin-
ciai, leggono altri. — Lalfelto $ U «fil-
lio ee.: il sentimento, l'attitudine a bene
esprimerlo, si fecero in ciascuno di voi di
un medesimo peso, di un medesimo valo-
re, subituchè la prima EgueUità, cioè
Iddio, ri si rese visibile per m(*no della
luce sua beatifica. Vu»! dire insomma,
che i Beati pusa«mo esprimere adequata-
mente in tutta la sua intensità ogni af-
fetto, perchè in essi è fatto ugnale il sa-
per* al sentire. Dio è detto la prima
EgutdUà, perchè io lui non cape né il
pia né il meno , come nelle diverse po-
tente delle creature , ma tutti i suoi at-
tributi sono btesaamenle m^tUli.
Come la prima Egualità v'apparse,
n peso per
Perocché al Sai, che v' aliomb ed arse
Col caldo e con la lare, en si i;;aii1<.
Che lui le simili ianze sono scarse.
Ma voglia ed ai^omento ne' martali,
Per le camion ch'a voi è manifesta,
Diversainunte son pennuti in ali.
Ond'io, cèe son morlal, mi senio in questa
Disagguaglìanr.a, e però non ringrazio
Se non col cnore alla [aterna festa.
Ben snppliro io a le, vivo topazio.
Che questa gioia praiio^a ingemmi,
Perchè mi facci del luo nome sazio.
0 fronda mia, in che io compiaiemmi
Pure aspellando, io fui la Ina radii-e:
Cotsl princìpio, rispondendo, Ibmmi.
Poscia mi di9«e. Quel, da cui si dice
Tua cognazione, e clie ceni' anni e pine
Girato liu il n
-e^^TT /'>nKrMBlS'>I P«ri
:fs. deiiderìo, iIFfIId.—
HiiBD, poirn» FlF.'tlr»e.
■ «ui D>D del II
'( iBii piì di iidfIIh tbt pn»anr>
■ujairii. la ch-Is uni tali itiigjjnii-
a la prima
SS. lopuSa, t »
86' fwilB jioìa..
8T MliX.imlilTEriiiu.i
88-8!» rnnpivranif
fr«ii4at raUetKTt («ri ,
li njli alhiri Bi'n'«l"jlfi.
91-92 Oii(I,rfa«lWA(w«.'*-
lni dal qiidf II >n> (inupia lu (nal
rugnnM difli 4H|ttii«rì- — nj—ilwi
dieru priipii«i»rnle la Snrraitim fr
fdilinine, Ivwdn CmiUcuU* IW*
BmdMii AISflMiri n AU(UÌMi irm-
im, a lalU A* ii quel BatiiM»
T«nn>hg rKaBain AliuViira, «wlt*
daqxblu Alljbiam naci|U* tirlbaÒHa,
ila mi Alieh'rru 11. da cui ItanU.
CA^TD OECIMOQUINTO.
Mio 6gUo Tu, e Ino bìsavo tae:
Ben GÌ coDvien che la lunga fotira
Tu gli rac^'onei con l' opere lue.
Fiorenia, dentro dalla cerchia anticB,
Ond'ella taglie ancora e terra e nonn.
Si slava in pane, Bobrìa e pudica.
Non avea catenella, non corona,
Non donne rontìgiiitfl, non cintara
Che fosse a leder [uù che la persona.
Non Taceva, nascendo, ancor paura
La figlia al padre, cbé il tèmpo e la dote
Kon fuj^gian quinci e quindi la misura.
Non avea case di làinìglia vote;
tat. IriiUDilo» di uni figuri (piirtnl* il pii, li quii « thiuntianci eenligU,
• poro Miontnl* per lui >la», Tikili II >ign*r I1.11I' ni npln* ihe iuTrce dì
tmligintf p^ r 4in
ml^fa.choili
in;
K.leUnotfalIra:
diportirr»-
. che II indir
Il riiiouc a«a miaet il.« à inlfniio
norie. Vidi il
d> UD b,.«<. C»Mci.
Cuk. I di .lucili Clnlir,
t02. Ckéf-$r a ttdtrpti iti U
M. e • Copertiti.:
'jlepUep..
N hna in >B[{r>nì" 'li '•
Iwer.. d«H ncirofcbio, tr.nH eli
n d,Rlr«dallaa,
-d.lMnMta!
iCUi.-di .N.ni piò che 1* peneni >t«i.
■•1 «r» U> delle «ilici»
103-105. So- ffaa. •uitndt,
t Le KbI» iiHnn,f.. n..» t.cc.i pnri
cioè dilli pnmi cimi .l.'L
...1. .i'Jifici-
»a>drii>ciiiir.ii. d. <
Crlu Hiuno.
■1 p»lre, the p«l«ac per lei ricier di-
tS.O^tUaloglie,
e. Preuu que-
finn^, » ■..«. p»(»t ■ ne lempe BC
rtliuli^ mundi F.rc.
lle en, ed i
riUril , ». per n..«.rl-.«™io« mi
■wn, Il diie» d« D,'.
n»U BhIìi , tk< (Oliti 1
■ed.Uin> chi*.
».lu».i erir. bu»ni . .1 pud.»* riqxl-
MMmou <Mll p.bb .»
pr»ijhie«,«e.
t.t«, e <v«. Itnnulli en ierti di mi-
r,^lcr»,«
rila il lem», dvbilo, ■>«■ prctilcidc
triBll..™!ni,c«.einipiir«o illi.
MBI..4M rrl.bila ;c ti doie cwdJd mo-
KM.di^«.,.4.ccr.
dTitr;!:
dfiM mine i coMmi, quJin.l» i mitri-
mi dll"l.n,.re. — >«. /«»<«>> fofHi
knnt.fH-i>iiillfu«al
li'aeccUilaci-
100 rafwira. oli.
De di qui °e di li, ciò*, Di per poco Bt
jli.. - »r™, di p™
Itile tiubcni
^ loTs™ ««1 ruM r<, (3o*, K-
(■Hi più belli, e ipeiiu loD p«* h
■lo puliti em ippiTtimcflli tvprrOui^ tib-
bricili 1 pnippi td i Hpcrbii dJ poeti
iti- propenisnit* ili* Iimi|tii. S* jmn
I
Non v' era giuulo ancor Sardanapalo
A mostrar ciò che in camera ai puolc.
Non era vinto uocora MotUemalo
Dal vostro Dreelloloio, die, rom" è vinlo
Nel motilar 5U, cosi sarà nel colo.
BelIÌDcion Berti vìd' io aoilar tinto
Di cuoio e d' osso, e venir drillo stpeochio
La donna sua senza il vì«> dipinto ;
E vidi quel de' Nerli e quel del Vecchio
Esser conlenti alla pelle ^coverta,
E le sue donue al fuso ed al pennecchio.
0 fortunale ! e ciascuna era certa
Della sua se|xiltura, ed ancor nulla
Era per Francia nel lelto de^rla.
L' una vegghiavB a studio della culla,
E consolando usava l' idioma
Che pria li padri e le madri Iraalalla :
per aaette caie uK nan li inilbiio ae-
liliMB IFircue] TÌIN> Ha^mle |l>
mei . CI») 1° rincark 3.4 no nioe» t"
do». d.ll. rrl, a.». p..,ffil.f
«giaae delle diwrdU d>>H. —aU.
creilire li ■rnaenUi liluione ■ Su-di-
a.p.1..
H2-H3. BilHneiai, BérUM h
de! Retip.ni , aob.l. [eninli. tiMIr
itnV, Aurì , noi.» a.,>llc e .\»to • luUe
DI, • pe.lrr dalle («niua Co.IdnJt.-
libiaini.— ciii ckr incarnirà » punle.
andar tlle tt.i à-* «Ila a«lw« <
S te «nn» aiodr.umnilc li r.tGn.-
«loioeaililbiad'»..
nenli delle libidi»^ rh(r il corrali «•»«-
«4- (««• >l cdo .ftoMa. MM
beli»'..
US. S ride fwt da-JVWU K. E
leniti» li tempi di OanlL' il moni* ><ogi
li t di qucll. del Vecchia labili >■*
S F,r.n«.| E.W cvultnii ,IU pOl
del ridare eh. de Vil.,b. r^.tui e
Boni li progni... 1. .i»1»i. di (..die
e«»n'M..w.c.>nWu»ìd'aaÌ0«-
'-*" *" r 'nTT w"' *"*" «"^ '^
prtMdte aarlli di Flrciua a rbl (iene
id «Il par le tÌ. di Balubi». Dio
'"l'»-m"of«:tnn^U!.HMm>è
Hoal^melo noa ere enror vinte del.
dalla cara «Ina, panhi nua T'«a>
I'UchIIiUìd, per lieniGcirr che Pirea-
■iialMnill a i« lu»a di «liBij Rom.
ttnee. Uè pai n.Tni» .i Itaipi di
ia Frencie.
Deal* treiie lelibriche
iriBileme i|iictb>iliHi>nii ,
Ml<:liiÌpi1e(le(li*diQ>Jper »Ì affi Fidi- ma te.: a por cvataUra, |ai
lIoniB ve lenta itiiili e rimnia, non erijiiielere il bambina piangMUa a»!!
410-111. eom' tuinla Uri montar Jiirrlnna Ì pgdri alamtin
W,W.C«l))ciieltuaint<taiHl>ie t'Ueeel- bioibini Lira.
CANTO DECIMOOIMNTO.
Go:>
L'altra traondo alhi rorca la rliioir.j,
Favoleggiava con la sua fami«^lia
De* Troiani, e di Fiesole, e di Roma.
Sarìa tenuta allor tal maraviglia,
Una Cianghella, un Lapo Salterello,
Qual or faria Cincinnato e Corniglia.
A cosi ripo-ato, a così bello
Viver di cittadini, a cosi fida
Cittadinanza, a cosi dolce ostello,
Maria mi die, chiamata in alto grida,
E neir antico vostro Baltisteo
Insieme fui cristiano e Cacciaguida.
Moronfo fu mio frate ed Eliseo ;
3fia donna venne a me di vai dì Pado,
E quindi il soprannome tuo si feo.
Poi seguitai lo imperador Currado,
Ed ci mi cinse della sua milizia.
Tanto per bene oprar gli venni in grado.
Dietro gli andai incontro alla nequizia
Di quella legge, il cui popolo usurpa.
Per colpa del Pastor, vostra piustizia.
4:5
i30
136
440
i2o. Faeoleggittva , contava no-
Tellr , o quei popolari raceooti marafi-
Sliosi che allor» correvano in propuaito
ci Troiani, di Fiesole ec.
427>f 29. Sarta tenuta attorte. A
quei tempi avrebboi o falto iniiravi({!ìaro
la gente coatuniata le mtili* <»pere ài nna
Cianghella e di un LapoSalttrellofCninc
in qnesti noatrì corroltisamii li'inpi fa-
rebbero maravigliare le virtù di Cin-
cinnato 0 di G>rnelia, fi);IÌ4i di Sripione
il ma|;^inro, • madre ilei Grarclii. —
Cianyhellat della nobii f.iniii;lia della
1'o!»«, fu maritata a uno dt'{jli Ali<loai da
Imola, e restata vedova, ni|i|»f ad ogni
Ter0o};na. — Lapo Saiterei lo. CturetnO'
sullo fiorentino, niollu li(i(jio«o e male-
diro. Nella sentenxa pnniiui/iiita contro
Danio ne' IO marzo 1502, tntscndo pote-
stà di Piiense M.Cjntt* iU-'(ìdl*biii>Ui da
GiiM'io, tra gli altri condanifali leggen
anche il nome di questo l.ap» Sulti'i-elli :
Dommiifii Lapum Salttrelti jud rem,
433 Maria mi die ec. Inirndi: la
Vergine Ilaria, invocata da mia uadra
Dc'doinri del parto, mi cm
•j^ij.uii^ cittadino a Fìi-en/e.
^13}. BaUiiUo, Baiti»tero.
435. Insieme fili ee.: perchè il
Bomc si di nel Batteaimo.
437. di vai di Pado. Dalla valle
del Po , cioè dal Ferrarese. Il Boocae-
eio afferma , la donna di Cacciagnida
esaere stala da Ferrara ; e questa affer-
mazione sta contro chi pensa che per
▼al di Pado debba intendersi o Parma o
Verona.
458. Vedi la nota 91.
43'J. Currado. Cui rado III, impe-
ratore della casa di U<'hens(aQffen,odi
Svevla.
4 40. mi cinte detta iua milixia, mi
adornò del lilolo di tuo ravaliere.
442-111. incontro alla nequitia
ee.: contro la pissima legjjie di Maomet-
to, il cui ptipolu per colpa , dice Dentei
del piintrlìi-f romano «he ciò non cura .
si a^urpa i luoghi di Teira Santa, che di
giustizia sono de' Cristiani. La Cruciala
che qui %* accenna è la seconda , quella
pre«licata da San Bernardo nel 4 447 al
tempo d liugenio III e di Luigi VII di
Fiencia, chf vi si recò in persona, e la
Juale ebbe un tristo esito.- - giuitiiia,
u*tizie si t-hiania\ano nel medio afe i
diritti I le ragioni , gli evcrì.
I
DEL rABlDEiO
yui\ i To' io da quella genie lurpa
DÌ5vÌlu)ipi<todBl DioDdii falliire,
Il cai amar molle anime clelurpa,
G venni dal marlirio a questi! pace.
r, loprafflno
.-f-
US.d
€A]VTO DEemOSESVO.
0 poca nostra Dobitlà di sangue,
Se gloriar di le la genie fai
Quaggiù, doie l'airi'lto noslro Isagae,
Mirabil cosa nou mi sarà mai:
Ch^ là, dove appellilo non sì torce,
Dico nel cii'lo, io me ne gloriai.
Ben $e'lu niiiolo l'he tosto rarrorce,
Si cbv se non s'appon di die io die.
Lo tempo va rijniorno ron le forco.
Dal roi, che prima Roma soflirrie,
lu cbe la suaYaraij^lia meo persevra,
4-3 OpsmwitranntlKdM Vnnl mi»» t-n' ftrrhl- ■
dira; Tu ii.tn mi iiiiifli»gl»f-r6 pio it iljibiltri ■ Kciar phbiftii
7-g Bnit-m
fi tinrcdiri MB D
Dillamuniù.ttf l.i>b l,tkrè^inm:
I)rcib)»ièai«tik»leund>u nttl.hrk
Imi >l'lirinpn,t||«Mralm>ait>umli
ch<>>l««I.'i>«ìln.» inlr..<lacnu>Jlt
dnpo Itiii»,Brai(i(ip«. prta*rAr«-
|Ìlio, ut 4ll,i la-Klii t,K,.n t^iìat
ibt f<.lr,hì,rv»ii\nti <i>>CI(ia^l,Mi
ti IntittaMa ftmtguatettl
qnll Btn o||. > n.a.ni BM hibIum
|.ik (•111» «Hinl» di nrìiKÌniM. la ■•
a.Br. il mi
»i !•''
-, t>ii rf«
*. Il Lu^^ai^
CA>TO DECIMO ESTO. 607
Ricomìnciaron le parole mìe.
Oiide Beatrice, eh' era un poco scevra.
Ridendo, parve quella che tossio
AI primo fallo scritto di Gine\Ta. ih
lo rominciai: Voi siete il padre mìo,
Voi mi date a parlar tutta baldezza.
Voi mi le\ate si, ch*ì'son più ch'io.
Per tanti rivi s' empie d' allegrezza
La monte mia, che di sé fa letizia 20
Perchè può sostener che non si spezza.
Ditemi dunque, cara mia primizia,
Quai furo i vostri antichi, e quai f«r gli amii
Che si segnare in vostra puerizia.
Dilemi dell' ovil di San Giovanni 26
Quant' era allora, e chi eran le genti
Tra esso degne dì più alti scanni.
Come s' avviva allo spirar de' venti
Carbone in Gamma, cesi vidi quella
Luce rìsplendere a* miei blandimenti. 30
E come agli occhi miei si fé più bella,
Cosi con voce più dolce e soave,
Bla non con questa moderne favella.
Dissemi: Da quel diche fu detto ave,
■no , faor che i Romani , che dicoD» fv
ad ogni numo. • Ai trropi nottri il fu
è Molto frei|uente a Napuli.
45. di'era un poco ietvrm: eh«
era stata an puro io ilispait* , Bcrvrm,
scparaUif durante qiioito ragiimanuroto*
44 p«rr« quella eht Umbìo. Int.:
come la fante di (ìtnevra , «cc»r|;mdiiii
del primo perìcoiuto paiisu fatto dalla
tua padr«>na nell'amore di LaDeillotCo,
tu«i per farla cauta; similmente Bra-
trìca fece a me sorridendo , per f.irmi
accorto ch'ella area notato quali* alta
e inaolitn tnn<i del voi,
iÒ ÀI primo fallo teriU&, che lef>
geni, cioè, nella Tavola Bolondm.
47. biMma, frane liena.
48. Vaimi hrate ai. eh' i'tom p4à
th* io: Toi n* ingrandite coai gli apirtU,
cbr divengo niagfri«ir di me tUtam,
ae-ai . dba dt <« fa Utizia et.: cba
•i rallegra di sé medesima, eonauleran^
che ella paè contenere tanta allegrena
senza tpex%arii, senza rimanerna op*
pressa.
22. mia primhim, prìnu radica
ddla mia pniaapia.
23-24 quai fur gli mmniae. Che
anno sì sei;nava,o quanti anni eran eorsi
dairinrarnaxinne, quando voi naaersta.
25. delVovil te.: del popolo ohe
ha per suo proteCtoraS. Giovanni, cioè
da' Fiiirentini.
27 di piii aiti scwina: pia distu-
te, più nobili.
50. a' miei blawHmemii: alU dald
parole di > ispetto e di li»de.
53. no» cefi qmtitm madama fa-
vdlm, non con questo volger fiorenlinO|
ma colla Im^ruii quasi latina de* lempt
suoi. E di falli ha np<»rtato soj^ra il
{irinripio del parlare di Caccàagnida in
al.: O tamguii meu*.
54-3*J. Ila qnel di ee.: dal ginraa
dcirineamaiiona di Gesù Gisto, quando
r Arcangelo Gabriela dixoe Ave Èlaritt,
al giorno che mia ma<lra où parlar).
quetta fuoco, àoè questo jpàaala di
Al irte, venne a rìiccenderai aolto Im
pianta , le pianVa^\ Y^«^\^ 4«^ «naX^
Al parto in che mia m.-idro, eli' i
S'aleviòdii
ì oiid' e
I prave
) Leon ciDqaerento cinqoanUi
E tre fiate venne questo fuoco
A rinfiainniarsi biotto la sua pianta.
Gli anitriii miei ed io nacqui nel loeo
Dove eì trova pria t' ottimo sesto
Da quel che rorre il vostro annoal giuoco.
Basii de' miei maggiori uitiroe qoe^to:
Chi ei si Turo, ed onde venner quivi.
Più è tócof, che ragionare, oih»Io.
TuUi rolor eh' a qnel tempo eran ivi
Da poter arme, tra Marte e il Batista,
isllc
'.TT
lluìlHH di
I
Cam., Il, cip. ii) miifiivui in iidiiì
PmU li plRol* dilTuccii» cli'iTrrb'
hidoUl il rìpomp nLcvto Htrodoini
UHodo 1g iìti d'illM-i, e dando ui
' lulaupnla due inni p;r ogni jirn
qnri piinrli; mnltiplKile ptr du<
5S3, porla ti alitila dì I
ili' (DM 4I0B. Almaì i
li h ytniBtntt in 686 Gannii, 32 m
e 29 minuli, cioi 43 gigmi meno di
dun iBai islirì, ed imindo [itr Dnmpa-
rìr Diirtt pii mila «Indiilare, Kigiie-
DS,tairiularilldi niii Cadici e lUni-
fB, H IfgRi 'mirre Al tuo Iton cJngtM-
etnla rimfUiOita Etm1afiaie;i\ f|iial
5Q DOllrplieiUi anoiidii qanlo «mi-
in il iWOe 111091. la (nmHW rba
DBiH lUr l'uni e l'illn; mi Kdiiilo
It In. dilli CniKi, paroli* più irnipli-
tr, • HTtht ovfniloci dcllu Cittiigaì-
tpiDgei->i ancho mi i
-- Al tuo Uo». Il
«Iruai Girliei Trìiul
Fulig.idiNap.illiolt»*.
«•It'fdii
ÌHI47i
i MS. mi pir prà Iui1<
3nal« n^na Dal bulli id «eh
cri* dHiiimuilii, prrtKt il Irniui
CANTO DECmOSESTa
Erano il qainto di quei che Mm nvL
Ma la cittadinanxa, eh' è or mista
Di Campi e di Certaldo e di Figghine,
Pura vedeasi netl' ultimo artista.
0 quanto fora meglio esser vicine
Quelle genti eh' lo dico, e al Galluzzo
E a Trespiano aver vostro confine.
Che averle dentro, e sostener lo puzzo
Del villan d* Aguglion, di quel da Signa,
Che già per barattare ha l' occhio aguzzo I
Se la gente, eh* al mondo più traligna.
Non fosse stata a Cesare noverca.
Ma, come madre a suo figliuol, benigna,
Tal fatto è Fiorentino, e cambia e merca,
W9
M)
6S
60
eoo iltrt tèa, ; na la Ictioiia dm JM-
Urt che è dei Codd. Vat., Ang. t Citi.
è da preferirai. Qaeeio modo eUt6eo è
«aiUbiMino oell'antichil
'•Dtichitè.Eeeooei
fi : Il Cacchi . Gli parve troppo fio-
9tm» , do non potere a' disogi del
mmre. Franco Sacch., dot. 214 : Com-
minondo con tu comUIo, che wmUo
mole poieto quelto tomo. — Im
Mmie e U BaUelm: tra il Ponte Vee-
ckio, dofa era una antica atataa di
Marte aopra Arac, e il BatUatero. Qm-
ito era le a|»aiiu occupato dalla aitlà
■al tempo antico da settentrione a bmi-
iodi ; e da porte S. Piero a porte S. Pan-
lavante a ponente.
4S. Brtmo U ^into ec. Nel 1500
Firaaia eonteva acltentemila abitanti ;
ai teaifi ACaeetagaida non esaendo ahe
il paiate di fMUa loninia , eran qnatter-
diooiUa, mo arali pori citudini, par^
■•• TI ara maMotete nulla di eontedo.
50. Compi, Certaldo, Pigghim,
Sooo laofU dal conudo di Firania,
da'qnali solte lamiglìe arriccbite area
MaMte alla capitelo.
ftl . meiemiUmo ee,: fino all' altiao
artìgiaao, cke ara vero dltadino fioraia
tÌAO.
53-5S. O qumUo foro ee. 0 piante
aarabbe atete BMflio aver vicine molle
genti , dba avaite concittedina a mm-
etiahaia aMglio avere il voetro cattine
al GaUmo e a Treapiano ( ImU a
paco pie di daa Biglia da Firantef^cba
per ingrandiaianlo di terrilurio averte
larara n Firann! -- • soitenor lo
9WU0 : forte eapreeaiooe a significare
il avperbo faslidio, e V insolente porta-
■Moto del villano venato in riocbena e
in potere.
56. Del m'Iteli d^Àguglion. Intende
measer Baldo d' Agugliooo , cestello in
Val di Pesa , il anale tenne di mano a
■Maser Niccola Acciainoli ad alterare il
qaademo del G»nioao. Vedi Pmrgakh
rio, XII, verao 404 in note. — di qmet
dm Sigma: accenna an Booifeaio da Bi-
gnè
cbe alenai credono
ra F^aa
Gindiee dei Uorì-Obaldini, aba di latte
faeee denaro.
57. Che già per baraUore ft« Tm»
cMo agwuo: cbe già è divonate aMlte
destro in far baratterie, concsaendo
bene eon cbi e cume son da hre qneali
lavoretti. Borottiore è aolai cbe par
denaro vende impieghi, giuliiia oe,
58-60. Se lo genU ee. Se te gaste
dia più dal a«nto istituto traligna . ■oo
feeae fatte noverca, madrigna, agi' iai-
paratori , na foase loro benigna , aasM
savi emere te madre al figlinolo. E qai
intende dells coi te pepele , a ani atlii>
baiace la cagiona del non aver Fircaia
■■ governo f«irte e stebile , e d*
antro d vaaira
a doverle tei-
a di apeculalorì a di briganti ^ par-
cbè dove V acqua è torbida , tatti aar*
ronaa pescare.
61. rcl/UteiFteraiiKiioae.Si.
mifonti è no eastello in vai d' Dea, di-
alnitto da'Fiorenlim nel 1262. Cbi ab-
bia volate qai mordere , aula aggi si
direbbe.
Che n i^relibe votw ■ SLmìfòMi,
Là dove andava 1' avolo alta ren».
SarJesì Monlemiirlo anccr de" Conti:
Sariensi i Cerrhi nel pti>r d' Arane.
E for.-ie in Vaidij;riefe ì Bnondelatontì.
Sempre la cotiru-iimi dello )j«rsow
Priiv ipio (a del mal delia nlUuJe,
Come del corpo il fibo ilw b* appone.
E cieco turo pu avaceia cad»
Cbe cieca a;;ni?llo, e molle volte botja
Più e iiict;tiu una cbe le eirqiK spade.
Se lu rij^tiiirdl Luni ed Urlrisa^Iia
Come soD ite, e come se ne vaimo
Direiro ad «»« Cliìnsi e Sìnigasiia,
Udir come le Kcbìiiite si disfàmoi
Non ri porrà nuova cosa ai fotl^
Poscia cite le cittadi lermìne haiiDO.
Le vostre coBe tulle tianno lor aorte
Si come voi; ma celasi in alcnna
Che dura mollo; e le vile 8on colia.
I
I
et-tS. Clw t( larthtr vnlUi «e .-
T0'T2. « e«Ma ln«M. CMfiv
Usmìii, ititliHi'nli I prJb'-n bwMi «fi
M. Sarieii Wrmlniwrlu m Hua- pi* atairiu. più pnsc* — eh*
teniDtlo (r> cotu-llu Jt' l'olili Guuii, i ^Mipodi. >irm«>lil ■eiiapiie* i
qg(K la nnUniiiD il Con»»- ili Pi- gvt ipmli. i-t* t il «iltre ci
rcbhcra lUli eoKi'Ki'iTnnl.nilu- l aftUti dtU aro , tt pmUr 4,
■ lai InW diHwrdii >k- inT«> .isl •.«i.dr. ifon
CANTO DBcnionsTo.
611
E come il volger del ciei della luna
Cuopre ed iecuopre i liti eenia posa,
Cosi fa di Fiorema la forUma;
Perché non dee parer mirabil cosa
Ciò eh* io dirò def^i alti FtoranUni,
Onde la fama nel lampo è nascosa.
Io vidi gli Ughi, e vidi i Gatellìni,
Filippi, Greci, Oraianni e Alberìchi,
Già nel calare* iUcstrì cìttadini;
E vidi cosi grandi come antichi.
Con quel della Sannella, qael dell' Arca,
E Soldanieri e Ardinghi e BostichL
Soi\'ra la porU, eh* al presenle è carca
Di nuova fellonia di tanto peso.
Che tosto 6a jatlura deUa barca.
Erano i Ravigiiani, ood' è dis^ceso
Il conte Guido, e qualunque del nome
Dell* allo Belliadone ha poscia preso.
Quel della Pressa safieva già rome
Regger si vuole, ed avea Galigaio
Dorata in casa sua già V elsa e il pome.
Grande era già la cokMina dei Vaio,
86
Ov)
95
100
a2-a4. E CMM il volger «e. laU
fi eooM il girar del cielo della lana
{ MToodo V •piaione di T(il<iiii«<i ) e ca*
gioaa rbe per lo fluMo del mare n ca-
praaa t ti di«c«ipr«no i liili ; cwt U Cor>
taaa è cagiuae che Fi»i eiiia or tia eo-
perU , ar diacopcrta di abitaUnri li* ci4
par la ■vficaaaani dei; li eKÌlj e del rt-
«faiamn dagli MÌliaCi ) l>4 quitta bellia-
f ima •imilitudìae è nnrhi* Uicrata l' ia-
atabilità a laagcrena di Fireaie, di che
altra volta l'è parlato
86 aiti, antjfiiia^iiiii.
90. Già mei calare: ^k in daca-
danza di fortune e di |Mttera, e ridiitti
a pochi. Al Coala piarqui* li letiiina
ralUtn dal tcato Viv. , e cbe è pare dal
Cod. FI. e de'i|ualtro Pat , per la ^aala
s' indicberrkbe il Inugo uve abstavana
quelle ftiniiglie, ehe era la rallaia d'i^
greaao a'Ia città. Ma a me pare cba il
Tcrao che aegae B ridi eo I grmméi
com* naKcM, difenda prr buona e par
Tero il cainra della rum dei testi, cha
«la in oppaiinoaa del grandi.
94 -95. Sovra la porta ee. lat.: Sa-
àd
ai
pra Porla S. Pfefa, la TÌdnaan , a
seatn della qaale anno nggi (ai leflipi
Poeta ) i Gerelli e i Donati , empj
tori, per le cui gare e maltalenia
deri in penliiioue la barca, la "
blica ; sovr* eiaa porta, dica, abitati
in aniiciA IUvi|;naiii. Credeai cba
sta fami :lia a%ea»e le rana preaaaS.
ria in Campii, Ir qu^li poi pai
Cui li , e che vmivana ad <
ranto topra l'aulica Porta S
l\illanialC 39 del Lib. V|I| ehi
il *-*Ut» di Pwrla S. Piero il
fraii'/alri. Qualdie antica
Vi-ce di forra In porta legga
pappa, ai» è da M>|*uir la eoa.
96. jaltura dì»tla barca,
xiune dflla Ke}inbUli€a.
4UO-IU2. Q»ei éfUa Pratm ee. U
primogriiilit «U-ÌU fiiiiHglia delta PfaaM
8 prv le a> ti di ben go« ernare, a inaiM
df'Ualigai erano già i diatintivi drlla a^
bìltà, i quali Ciano Taver divaia falM
• il pume, • p«*nH» , della ipada.
105. Grande tra ee. bd iHoilm
era già la famiglia da' Pigli , a ,
Sacchetti, Giuochi, f iraoti e Bamcd
E Galli, e quei che arrossan per lo stato.
Lo ceppo, di che nacquero i Calfncci,
Era già grande, e già erano traiti
Alle curule Sizi ed Arrigaccì.
O quali vidi quei cbe soii dìstMi
Per lor superbia ! e le palle dell' oro
Fiorian Fiorenza in tntli i suoi gran fatti.
Cosi faceta li padri dì coloro
Che, sempre che la vostra chiesa vaca,
Si fanno grassi stando a conaisloro.
L' ollracotata schiatta, che s' indraca
Dietro a chi fugge, ed a chi mostra il deoto
Ovver la borsa , com' agnel si placa.
Già venia su, ma di piccola genie.
Sì che non piacque ad Dberlin Donato
Che il suocero il faresfe lor parente.
Già era '1 Caponsacco ne! Mercato
lOS. « qttti cVamUMK re..' •
^B«lii chi li tcrgui;i»"0 pir ■' mrinii-
■■(I noi taTirili uni ingi. Soan i
CUhhsmiIhì. Vedi Pur;., CKiilaXtl.
4M. Mt curale, ilio ird'HT niiHii,
Mtlt ^li udcTioo ì dUlaluri runiiu,
i («Milli, i pniori.e che quiiuno pine
ilnlon dalli Ropuhlili
OImMì,
«idù/Ulia
tlrn>i
iiltai* t»cb» I
ntnm*. >T» l'ocKiinnlo di Firt.
i«,e«M ■ Sari lanrtmdisll'ilbFrD. El
lun poi II palle Dviriroa laro mei
i F«rri»Mlli a i Urdici.
in-m. CoH ftcìan tc-ì «m\
da'Viidoaiai, TMiHnlii r Ci>rli|iaai
4 < 5-HT Dliracaiat*. pnnatH
Sodi le timl^lir dii'Catlctìuli aiJ<a
— ('indraca te: diicoU ronia in
ili. Una dr|ll Adinarì «CM
rnrrimo oppuits» d riloroa i
118. pfcFOlagnilc. gmui
•la. GII tdiiiiiri, «fnada II
■Dwra di Hu|i>lla tittt 1> «■
Ito. r^ Il nHNwro (I faa
MBaHi,Biaalr*B<ill
iMd^iAdimni,»
Koiìi di Ballit
131 CU tra a CapBuwo-
Finiplia dei Capmuaevbi, dianaa M
mie. abttaia nati» «Hiirnla di Urr
Veechih. Una Capanania fa nafir
),«d>W «iM^««>^V
Discefo gii) <ia Fiesole, e già era
Bddh cittadino Giuda eA Infangalo.
lo dirò ciwa incredibile e vera:
Nel picciol cerchio s' entrava per porta,
Che si nomava da quei della Pera.
Ciascun che della bella insegna porta
Del gran Barone, il coi nome e il coi pregio
La fcslu di Tommaso riconforta.
Da esso ebbe milizia e privilegio:
Avvegnaché col popol si ranni
Oggi colui che la rascia col f^gio.
Già eran Guallerotti ed Importooi,
Ed ancor saria Borgo più quieto.
Se di nuovi viein fo*!er digiuui.
La casa di che nacque il vostro He'o,
Per'io giusto disdegno che v'ha morii,
rÌKt, Ciad* Gd;Iì
'414 VtL tgtkOOO
■ I
E p(Mt6 Un il fttUfO'vlver Ihto»
Era onorala Mèi' o tÙU 'CMÉOftf.
0 Boondelttoate» quello mal Aig^bli
Le iioxae saB per ritJbrai mtelll
MolU otrebber Kéti, dte ioli trbd,
Se Dio V arane eoBOoSdCD ad Etna»
La prima Tolla di*a éftlà venistL
Ma GODyeniaai a qoeHa {rietra «rema
Che guarda 11 poàtév die FìoiviiBa
Vittima oeOa sua ìpee poatrema.
Con queste genti, e con altre eoa aaae,
Yid* io Piorenu in A htto rìpoaOy
Che DOD avea èa^bne onde piangease.
Con queste genti ridr io glorìOM,
£ giusto il popò! suo tanto, che II g^jHo
Non era ad a^ mai posto a ritroso.
Né per division fatto vermi^.
MO
14fr
liO
488. E patto /hM. I Qo£n Aag.
CmI. • Qà%, E p9ie fiiM.
141. per gli altrui amforti! lo-
iandU: per gl'impolsi che a mancare di
parala aaao Buondelinoate ebbe daHa
attdrc della faBciulla de' Donati.
443. S§ Dio te. Sf Dio ti aveMe
fatto aaaegare nel fioniìecllo Cma la
K'oaa Tolta ohe ta Tenisti a Flrente.
ra che Baondel monte naacesae aK
l'atito caatello, sebbene la tua fanii-
dùi Coaae da molta tempo stabilita in
rirente \ dal quel castello drtte Monle*
Iniouì venendo a Firenze, dovè paisara
ilfivme Rina.
4 45- 147 Ha conrenloii er ■ Ma, in-
tacedic Banodelmontc annegatae net
PEma, ù conveniva die Firenze nMo
tua pare postrema, nojli nltiraì giorni
alia ebbe di pace e di ronoordia , fette
Tiitima, sacniicasse esso Buimdelmonte
•qnella pieira tcema. a quella rotta sta-
tua di Marte cbc guarda Ponti' Vrrcbio.
Jl Buoodalmanta fu acciso dagli Ami-
dai t^loM aoApamli pramo U Gbieia
di S. Stefano a pie dal ponte. a da «ail-
Decisione robe ongiiia la diviaMoada
eittadiai in Guall a OliiliaHini. Gè a-
fanne nd 121 S.
1S2-453 il jMpolMMM^- vidi a
popolo Surantina ù proda a fortiaati,
che il giglio, aaa ÌBar|Ba, ••• aaMod»
mai venuto in mano dm nanaieì, nanca
pwò stata mai da aaai ponto a ravmBS
aulPanta. Ciisì a jquci leanps naaaaai di
lare delle inaegne conqmstnic in gmili»
154. fatto remsigfdo. Il nw"f
V arme antica di Firensc nrn nuiaaa il
eampo rosso: dopo la divi
i Guelfi Deaero il giglio vri
campo bianco. D giglio nnn mmjtét
a ritroao jirava l' antico popolo wn^
tino giortoio, pieno dì valor* cfca fi^
toriaee la giurìa : il non cnanr lilla «»
miglia per dìvisiooi lo dii
tto, cioè aenza ambiaioiin. mk
che sono le favilla dm
aeordia civila.
nmmif
«
t
•15
CAmtm
." ►? 1 i
Ckudt Dmmté sdUaHmtmt» m CmtUgwàim émtpmU» métta te imftm» « te Puffaterte
mIUi $um mtm fmtum, E fMfA tom vani fmd é'mms étltnm dte-teaM rMÉMn^ a d'i
tka dà eormttm, gii mmmtfaMtm f immtmamU aUUm étUa atm /muim par gT IntrigM d^amai mndd,
«te ttmttmmHu pmr d* tmfmmmrt» ; fMMmM da» pmm wiwrfMiii, te parwniii di f ■«! di amm pmrta,
a U tua ra/ug» te emna d^taStakga u La «Mtea ^aimdt m fUHr tei'aM m«Umem$a fual aka »a
mdUi» m ttmo tnsggèa, tanta timor dai Grwmdi M0ati dmifmma tmaeamtmt aàà ftMtua dura 9ari»à
mi pa'tmti è mrgamemta dFmtdmm gtmenam, agUmlU aatmff «p«Mn« «m fià «/jlbMte mal
Qual venne a Cliiiienè, per aeoerlaTsi
Di ciò cb' areva iocootro a sé adite,
Qvei eh' ancor fi li padri affigli semi;
Ta'.e era io, e tale era seatìto
E da Beatrice, • dilla santa lampa i
Che pria per me «raa mutato sitò.
Perclìè mia Donna: Manda ftior la vampa
Del toa disio, mi disw, sì eh' eli* esca
Segnata bene daU^intema stampe;
Non perchè nostra conoscenza cresca 10
Per tuo parlare, ma perchè t' ausi
A dir la sete, li che 1* oom ti mesca.
0 cara pianta mia (che sì t' insosi,
Che, come veggion le terrene menti *
Non capere in triangolo doe ottosì, 16
Cosi vedi le cose contingenti.
Anzi che sieno in sé, mirando il punto
A cui tatti li tempi son presenti),
1-S. Quai venne te. Int.: qaale CettanlMi (liTMipa àA dUnJefi*),*
mattrì ardesie ndU parole, cent A m1
tuo ìotenio; ossia tprmta nella a^
JaaiiBa fona cbe teiUita.
41. VauU, tiarven.
42 tieUVmm li wmm: ù^
VmmB vrni nella toa tazsa il liqaeredi
cbe hai art* ; cIm è qiieolo dire : fieda
paga la toa aoiioa del deaiderio anieo-
le cbe ba di aapere.
15-49. O cara firnmU m. 0 eu«
ceppo , radice di oùe fatiiiglìa , ohe 4I
l'tiMtwi,cbes'i ti levi io»ò,cbe anr.tode
io Dio, cbe è il fHinlu io coi a'aceegUt
il pasaat», il pmriitc e il fetore, vedi
le rotili ng^nie,. le rote Am
Qt/ti eh* ameor fa li padri a'JigU umt-
ti (cioè Pcioote , il roi Iriiiti» fine oel
gnidere il carro del sole , die il padre
vinto daOc wmt notte pre:;hiere aveagC
roocewe, b cbe i padri sieno scarsi od-
io aceeodiaceodere alle «Inmaode de' fi-
gHooli) veaoe, prrscnlitssi , a Clìmeoe
soa madre Dcr farsi certo se egli fnaae
vcrameote ngliooU d'Apollo, poicbè da
Epafo eragli stolta rnotrailetta quell* orì-
gioe(TedilejrelaMierjr..lib I,v.7S0a
seg.) ; eoa'i ansioao era io. e tale era jeia-
l«/o,cooaacinto,da Beatrice ec. — Qu9Ì,
invece ai quei che curri* cnrauueiueote,
è del trslo Viv., dei Citdil. Caet., Cbig. le contingenta , ìt rose cM 11 hbijm
e Vat.,e di varie ediz. — dotta tamtA porterà , io quelle flease siedo, eolia
tmmfa re.* dal santo lume di Cacciagoì-, stona evidenza, cito che le ooMoe naBli
da, cbe dal destre corno della croce erarf vedono che io oa inaogeW ooo peaiooe
recato a pie d*essa per avvicinarmisL es-Hcre contenuti, capere, due aogeli
S-9. fi ek'tlf ttca et.: li cbe auoi- otioai i saopi cbe neoCce ie er» ee. .
616
DEL PABADUO
Mentre eh* f era a Virgilio congionto
So per lo monte che V anime cura,
E discendendo nel mondo defunto.
Dette mi fur di mìa vita ftitora
Parole gravi: avvegnacb' io mi senta
Ben tetragono ai colpi di ventura.
Perchè la voglia mia saria contenta
D'intender qual fortuna mi s'appressa;
Che saetta previsa vien più lenta.
Cosi diss* io a quella luce stessa
Che pria ra* avea parlato, e, come volle
Beatrice, fu la mia voglia confessa.
Né per ambage, in che la gente folle
Già s* invescava pria che fosse anciso
L* Agnel di Dio che le peccata toUe,
Ma per chiare parole, e con preciso
Latin, rispose quell'amor paterno.
Chiuso e parvente del suo proprio rìso:
La contingenza, che fuor del quaderno
Della vostra materia non si stende.
Tutta è dipinta nel cospetto etemo.
20. che F anime cura, che le aoi- U pantlr aiabifoe onde gì 'idolatri
ma medica , guarìM;c dalle piaghe deU
l'anima, dai peccati.
2t . B diicfndendo nei m(mdo d^
f^nio, nel mondo della morta geota,
neir Inferno.
23. Parole grati, di tritio annno-
rio, ooai furono le parole che a lui dia- _^
•ero Farinata, Brunetto Laiinì, Corrado ftatemo ee. (jocll* am»rooo
Malanpina e Oderiii di Agubhio.
24 . Ben tetragono ai colpi ee. Per
tetrt^fono mtemle i|ui i|oel tulido a sei
faccie ugnali, ognuna quadrata, e che
da qoalonqoe parte ti orti o cumao-
rie ai volti , rimane tempre ritto : tale
il dado. IMceti dunque per «imilitodi-
ne fltfer tetragono ai colpi di ventura
ooloi il coi animo forte non è franto ,
né lìnlo dalle tventore; iii qurm, rome
dice Orazio , manca ruit temper for-
luna, perchè in te ipto totvu t§re$
mlque roiundue
25. Perchè, perìochè.
27. Hm pie lenta, h meo aolpo,
• ènei meno.
li. eamfmea, eonfeiaata , maaiC^
in%eicati , pn-si , prima dello matta fi
Grtò Cristo Accenna alle ri«p««la dij^
antichi «iractdi e dei Mcrrdciti mpealBci,
pene di ra|;f;iii e di eqoivoci par ÌB-
Dro|;liare i creduli.
34-36. con preciso Lmiin, cìoèaao
aperto e chiaro favellare.— -gtieiraMf
mio, Chiuso, naMokto, entro il aaa
proprio «piendore, pel qoatc, dandoti
gno di allegn'E/a cid f.iisi piò viiaca,
ti fareva parrenle, appariva.
37-3'J. JLonmfin^enxa, cioè gli af^
Tenimeiiti rhe pmMiini «"ksnre e
tare (la quHi nmtingenxa noa
fuori del quailerno Della rot fra
ria; cioè, della umana natii ia|aiOm l
pretenti .igli ucchi di Do. Di 4|oeatograo
quaderno, o \i*lunie, ogni ii»mo «icat
ad eat< re una p>i|*ina , metafiira cW a^A
vitta usata ilal Kiet^ anrlie o^l Caolo XII,
al «erto 122. La Cfmlìnyeiixa doOfM
li limita all*aniiiie umane f orW aeaa
•nila cidia materia , e per la libarti éà
loro arbìtrio potsono fare • ooa tara.
Al dì là non \' ha più comIìhmim, Hì^
.14 -83. JVI ftr mmhage «r. Nao per to avreoendo di necessité.
la an
CANTO DECIMOSBTTIMO.
Necessità però quindi non prende.
Se non come dal viso in che si specchia
Nave che per corrente giù discende.
Da indi, si come viene ad orecchia
Dolce armonia da organo, mi viene
A vista il tempo che ti s* apparecchia
Qual si partì Ippolito d* Atene
Pw la spietata e perfida noverca,
Tal di Fiorenza partir ti conviene.
Questo si vuole, e questo giA si cerca,
E tosto verrà fatto a chi ciò pensa
Là dove Cristo tutto di* si merca. '
La colpa seguirà la parte odfensa
In grido, come suol; ma la vendetta
Pia testimonio al ver che la dispensa.
Tu lascerai ogni cosa diietta
«47
40
fiO
65
mia, la eontingenta, di cha ^ai parla
il Poeta, riguarda unicameata il noodo
Borala, non gik il fisico , né quello 4agli
apirìti tciolti dal corpo. Questa apiafa-
nooa è comprovata anche dalla tartina
acgMnta.
40. Neeeisità però quindi no»
artntfa* Quindi, da questo aotifadara
m Dio però, non prende necaaaitk la
ééUtà aontingenza; come lo scendere
9 ma oaTe già per la corrente del fin*
■Mnaaè neecaaitato, o fonato, dal viio,
^ll'acdiio, in cui ella si specchii, oaaia
3«IP occhio che la sta rìguardendo. Ve-
rìth cartiaaima, ma che imbarana la
manta di molti, che la prescienxa di Dio
totomo alle nostra cose e al nostro fina
non importa neceasith né distraggo la
libertà dal nastro volere , pcreiocchi è
V evento cba fa la sdenta, non la aeioon
Perento.
45- Daindif dal divino cospetto oro
tono diatinti totti i rontin;;rnti.
45. À tùia, alla vìhIs delln mente.
46-48. Qttoi ii parli Ippotilo d^À-
Une, eoBO Ippolito parlìui calunniato
dl'Aleno per non Tolera aderire alla ini-
quo vocilo di Fedra sua madrigna, e
•er «otore eaaero onesto; cos) ta m-
rei par finti delitti cacciato di Pii*,.^,
per MB Yolerti accomodare alle TOfiio
aaelleralo dei prevalenti.
49-54. ifutito ti ruote ce. Qoealo
ino enlio ai voole e per ogni via fi coret|
e verrà faitOy rìnsdrk, a bhi ha blerea-
80 di ottenerlo, là, preaao la Curia Ro-
mana , dove tuttodì per acquati tem-
porali ti fa mercato di Gmì Crialo.
Accenna alle brighe di Coreo Dosali o
di nitrì in Corte di Roma per far allon-
tanare da Fireiifc i più terrìbifi aoaloni-
torì del partito contrario, uno daiqaaR
era l'Alighierì.
52. La colpa Hguirà te. : la eolpa
tegnirk in grido la parte offema, cioè,
ondrb addosso, al dir della gente, aUa
Krte ebo avrà la peggio, secondo il ao-
0, che chi ne tocca ba sempre il torto.
Vnol dire : saran credute vero lo colpe
a ta apposta.
55-54. ma la vendetta ec. Ma la
vendetta che ne seguire sui tuoi perw-
cntori , e specialmente su Bonifaiio, e ta
Corso Donati , renderh testimoniama a
3 nel vero oltraggiato, da coi la vall-
etta della falsità e dell' inginstiiia ai
parte. Alruni per la parte offensa in-
teniliinu i Bianchi espuhi, e per fsoen-
deffa credono accennate le sventare cho
du|io la cacciata de* Bianchi sopravven-
nero alla parte Nera rimasta superioro
in Fireoie, come la caduta del ponto
alla Carraia, un terrìbile incendio oa. :
ma mi par meno acnta ; oltreché qoel
cho poi più sotto dice contro i eompagoi
d* esilio di Dante, non convien troppo
bene con una tale inlerpretaxione.
55-4^7. ogM cotm diktta Fié eth
nu. FAUDno
Più rarametile: e questo è quello Mnle
Che r arra deh' esìlio prì> GaoUa.
Tn provera: f'i rome sa di sale
Lo pane alimi , e com'è doro caHe
Lo srendere e il i^lir per I' alimi acale.
E quel che più ti graverà le spalle
Sari la cora^iagnia malvagia • scempia.
Con la qual la radraì in qoesta '*al[e:
Che tutta ingrala, tutta matta ed empia,
Si fari l'oiitra te: ma poro ap|ireì»o
Ella, non lu, n'avrà itt-ira la teinpiA.
Di SDa be^tialitaie il si» processo
Fari la prtiova, s| oh' a te fia Mio
Averli falLi parte |ier te stesso.
Lo primo tao riro^ìo e il primo o^llo
Sarà la corlesia del gran Lombardo,
, gii .krT.
I
m Hiria. And Iit<|vM>i tuaMpar tWé mi
Sa-OO ru rrnrrrr» ri a.mr xa di ■r(.in.»K'« (M ta«b» pnWiM •*•
■ ■■■iiti.ìa <M illri»! (nmr pai-
M I* IMI* Jtl |ti-CitnU ■ «li ini n-
•MfWtftrkii-fvi; «tM ■'« laulap<r
V Jtm» ttmoi fnftw. ytm1i\B hnt ftr •ìgiis'i iii.iiihuIì <t«i BiaiwU , W ^
!■ inviwu* * fiadugniii i1>I1j |wr>a- *>■ prv» fiivhian itllm Xmt-ymaàr
M ^ «■> IpIt<.I|> tri r.Hlnll.' ■ nr.»«* prwo Ai «t» IrUUnna .Mia hhM,
fHMo p>iHi ■ pà ipaw fa il iiimIu ■ n> altarra apiln» *!■■*! '
•M ih* Il t tarla Hnin»*
SI-«3 ICfudclMpfAK. etacHi GT-a*. Dima è*tttaliM^U
^lixcl pHi iJiiH ■ impiKH'ianHH II protrila te II uu | ii . ■
... . |_^^ 01.B.I..I1»» il finf Jfiriiiipni««,»m
fraU H-fW-HD ■!>'•«« le^Krriui p««<fv
, in Fdllini4ltl 11 •» bnlnlilà. A'b k M
'--"' -'...rittr^— Ji^MÌ«i,k
(fli /«il* pari* ptr Itri»
£ Mn», t.
64 Tà* latta latrala K Fom []
Pt4U tUuiW «III ri>"liUi")i> p/ni a*r
Gh.lwll.ni moti di .mIu»- ».nnu,
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CANTO occmonTTiMo.
Che ÌD M la Scala porta il santo uccello;
Cb* avrà in te sk beoigao rìgoardo,
Che dei faia e del chieda*, Crt voi due,
Fia prime quei che tra gli altri è più tardo.
Con Ini vedrai colai che impresao foe,
Nascendo, é da questa ftella fòrte,
649
7^
figli, BarioIomniM, AlWioo • Cmfrio»
Mseo, nato il 9 ntrzo del ISOI . B*rt»>
lomme» fa tosto MoCtrmal» dal papale
Signore della cittk, ne non la teaoe dM
Ire anni , morto eaeendo sei mane
del 4304. In tuo loogo fa prodanate
capitano del popolo Alkeiao, il q«ala
fo costretto ad arersi per ooapagDO
Cane, ooitaaiente al ^ale dumìnò <fal
4508 sino air ottobre del 1514 , epeea
ia cai Alboino consoato d'aia Crobra
aera di Daate a Verona sotto Barto-
aè ?olcado ammrttere die
peaaa ad Pmrméito arar esaltato queU
r Albdao che ba avrilito nel Contito,
▼egluKio cbe aq,o e aiedesimo sia lo Bea-
figaro ledala ia lotta qnest» tratto dd
Caala XVII, e iaiate di leg^rre colla
celane dei teati e delle stampe Con
hU 99drui eoifUf leggono Colui ve-
dnrfp eoMte.; noè: conosct* rai, cedrar
a praaeaia aaeato magnanimo, qael-
elice morì, e rimase Cave aasnlta d» Paroe ee.; nel qnd caso quella ripeti'
gndre. Dicono la pii parte dei Co-
nentalori antichi e aegli scrittori ddle
ceee di Dante , che egli n recaaea a Ve-
rona nel 4303 onand» n'era aigaare
Bartolemmeo , «iBne di ottener da lai
qaalcbe ainlo al partito ano, e che vi d
traHeaeaaa an certo tempo, aceolto e
trattato aalcndidamente , e eoa adta
aaióda da «ad Mgnure Partitosi qain-
éà. Àofo «aneperegrìoatioai, e dinMire
pie fM aia là, Ti ntoruò irerao il 1308
anaaide demiaera Alboino; ma, qnal
OH aa foMoIa ceipooe, noe parte Imp-
CaeatfBle di lai, pcrrhe nel Cowmito
■arde iiecorae nomo ili poca nobiltà
4*aaiaw. Trovò in seguito pia gvnere-
» eepitalilà e protcsioiie in Laa Greade
mando tm rìmaelo awtiluto signore di
taroaa, a di lai «opr' i»giii altro
aapitoai aoaipiacqne, ancTir per le ape*
raoie cbe come Tirarlo iroiicrìale e prode
gaerriere dava dia taoi» da Ini sogipirata
riforma ildiaaa. Su quruti fondiimenti
appeggie la lenone che segno di con lui
9§drm^ e l'ialerprctazione, che lo Sca-
tìgcra aeeeaaato ael yraa Lomborio
sia Bartolanaieo. Il Pelli che noa am-
anite che Dante foaae a Verona prima
del I30S , vaole che il gran L>wdmrdo
M AiboiiM, aè fa conto del biasioM
Sad Comtito^ forse perchè non A
il aelo esempio di persona kidala
Jle ia un luogo e bia-imata in an
altro. Altri analmente, e vairali crilid,
Don aieade dùaro documento della di-
lion del pronome dimoaftrativo esalte-
rebbe la srandena e F importania dd
personaggio da coi doveva easere eo-
tento bendwato*, e la vcwe primo m
prenden-bbe nel senso di prineipah „
e, di primo in splenilidezia , anco per
la digniU ddl* «epile. Ad egai nuda il
neo è multo dubbie per r iaeertaiza
le aaemorie. Pone migliori e pia fi-
lid staJj piilraaoo in appr(>sao eaiarire
ed latti anco la vera lenone; me iatonto
ie ho errdato diiver aeguiro gK antieU ,
a il maggior numero de' leali.
72. U .-mio ureello. Dicono alcuni
cbe gli Sc;iligerì romsern V aqnila suite
acala solamente Anna che furono dichia-
rali vicarj iinpeiiali ; ma altri arTrrmano
averla portata anche ìnnanii, perchè Ve-
roaa, ni cui aveano hi signoria, era fea>
do déir Impero. E il postili CaeC. nota
a qaesto luiigo. ■ Sriiiret D. Bartfiolo-
mai tic Scala Ione domini Verona, ^ui
capitanensBartbolonians dicrbatar, qui
solus de illa domo portai in acato a^i-
laai Miper araUm •
74-73 Che del fmr€ §e. Ini: fra
▼d line il dare (rhe comunemente sad
seguitare l'alto del chitMlcrr) precederà
il chiedere: il bcacfido 'precederà la
domanda .
76-78. Cam lui, con qaeslo gran
Lombardo {framdé come prìncipe) vt»
drmi eolni , il giovinotto Cine, cAe fm-
preito fme, che nascendo, nel pento
del nascere, da qacsta /bvfe, guerriera.
Che nolabili Hen l' opere sue.
Non se ne sono ancor le genti accorte.
Per la noxells età, cliè pnr nove anni
Son queste mole intorno di lui Ione.
Ma pria che 'I Guasco 1' alto Arrigo iogaani,
Parrau faville della sua vìrtule
In non curar d'arroto, n6 d'atTanni.
Le sue magniOcenze conosciute
Saranno ancora si, che i suoi neroìci
Non ne polran tener le lingue mule.
A tui t' aspetta ed a' suoi benefici :
Per lui 6a trasmutata malta genie.
Cambiando coniliziDu rìcrlii e mendici.
E porlera'ne se ri ito nella mente
Di Un, nna noi dirai... e disse cose
Incredibili a quei che fia prefenle.
Poi giunse. Figlio, queste son le chiose
Di quel che ti fu dello; ecco le insidie
Che dieiro a pmhi giri ron nascose.
Non vo' però che a' tuoi vicini invidie.
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I
•l«Ilt di li.ru, rBÌHpir.l.l.ln..aU,
8S.JI.ir<up^..)dlG«rt.;<
d» leu» bellicht r»1> <.n.n«6ni>(s»Ì-
al.ida,<.IUl.lna„p«.,xi.„,p^
K,d.*,J.gn.d'«»J.II'i.u,ri..»t»l..
B0-S4 PtrtanotrllarlArt.^ftì
C.B CrlBdc), inl»n.. .1 q..l. n««M
avnbba potuto aMicUrla pan mip>.
■Tira li •Olio ■RRTile par, talimcolc,
non *olU: c^, h> n«v« .noi.
82. priathtllGitoiai n:..-pnRi*
*!.« piDi Cltmml. V di G<iu(0|,«* io-
liooe n'i "OMli lra)ct»-«li ti «pM-
91. E pcrlrram ae.: « dlUa>
Amgo VII. irrlco di LaHomlore» Fu
dello inperatore opl I3US, nimM ««■■
pnrltrii xmlo nella Ina i»eni<>na,>m
ooKilla nil 1310, quando Cana (ira
appilnartt ad alcano , qunu hh *
<0anDÌ,aruinu!l»tMtr.ri<itodt1papt,
io ti prfJiPO. ^
cl.ada|>riida.«l'(>eai»vi1.io.
93 •f>if(M..-a i,a.]lo,(Bla
8S, Parrà», appariranno, farilte.
— b iiUHlia eia rfirln
Jnprcgìo a pachi I/M te.! la prFp>r(li
97-aOjfcliM'
igi di lo ftt |>Dch* mah»-
leitMtHCbfa
■B I», poiakèliaa
p»r daran.il il ^
CANTO DECIMOSETTma
614
Poscia che s' inftittira la tua vita ^
Via più la che il ponir di lor perfidia.
Poi che tacendo si mostrò spedita iOO
L* anima santa di metter la trama
In quella tela eh' io le porsi ordita.
Io cominciai, come colui che brama,*
Dubitando, consiglio da persona
Che vede, e vuol dirittamente, ed ama: i06
Ben veggio, padre mio, si come sprona
Lo tempo verso me, per colpo darmi
Tal, ch'é più grave a chi più s* abbandona;
Perchè di provedenza è buon eh' io m' armi
Sì che, se luogo m' è tolto più caro, ito
Io non perdessi gli altri per miei carmi.
Giù per Io mondo senza fine, amaro,
E per lo monte, del cui bel cacume
Gii occhi della mia Donna mi levare ; ^
E poscia per lo ciel di lume in lume ii(
Ho io appreso quel che, s' io ridico,
A molti fia sa ver di forte agrume;
E s' io al vero son timido amico.
Temo di perder vita tra coloro
Che questo tempo chiameranno antico. ilo
La luce in che rideva il mio tesoro
Mia kr* p«r£dia.«polrai federe ee ni è tolta la mia cara j»aCrìa, io mb
il frvIU che ai eegrie dell' iniquità. Ab- abbia a perdere altri laogiii d' aule par
aka Balla Scrittura : moli wmulmri i» cagiona del mio poetare f raaco ad ar-
dito.
442. Gtj^ per lo wumdù ee.: nal-
11oferno,dove il dolore è iatmoinabile»
443. E per lo moni», nel Porga-
no. — del etU bel reieume , dalla eai
cima , il Paraiiiao terrestre . gli oecki di
Beatrice ni levarono al ci«o.
447. À motti Ita ee.: a molti aarà
di OD sapore troppo forte , aspro } ro-
^ri dispiacere.
448. E f'to al «ero eon ttmido
mmico : se per timore m' astengo da na-
oifestare la verità.
449-420. Teaio di perderei: t^
aso di restar senza 9Ìta, senta faaM, ia
dispregio appresso i posteri.
424. «/«Moleioro, I'
4e^0a. Poi €ko tacendo ee. Poi-
Ak Caceìagoids si fn spedilo di cbiarir-
flH ialarBO spalle cose, delle qoali araoo
già dioBBii alla nia mente ordite le Sia
(dalla fBili aiaè io aveva qualche Boti-
aia), ioaaaMBaiat ee. Chi di>meoda, or-
bace ìb carta aMdo la tela ; chi rispooda
alla dooModa, riempie quests tela.
404. Dmkitamdo, in nn soo dobbio.
405. Che vede, che sa , ed ba oieo-
la ; a fmoi dirutamente , ba rettitodi-
■a ad eoestà dà aoima ; ed oaia, a ba
cBoro o iotarease per la persona che del
caosigUo lo ricbicde. E tal era Caeòa-
gaida rìgaardo a Dante.
40Ì. ai eoBM sproBo, come aaira,
oaflM a'aflretu.
401. ^abbandona, si sbigottisca, si
perde d' aoiaio.
440. SI aM^ M Imogo ee. Cosicché,
trisavolo mio. Il B«lbo dice éke il sbo
teeoro è Beatrice che rìdeva alla loco
di Caciia{;uid.i. Io non lo credo; che
Fcapressiuoe aggiunta Ck'io trovai ti.
4}it
WBL PAftADRO
« Ch* io trovai U, si fe prima corrtuea,
Quale a raggio di aole speediio d'ora;
Indi rispose: Coscienza teca
0 della propria o deir altrui yergogna, itt
Pur sentirà la toa parola brasca.
Ma nondimeii, rimoma ogni meosogna,
Tulta lua vision fe manifesta»
E lascia por grattar dov* è la rogna;
Che, se la voce tua sarà molesta 130
Nel primo gosto, vita! nutrimento
Lascerà poi quando sarà digesta.
Questo tuo grido &rà cornei vento.
Che le più alte cime più percuoto;
£ ciò non fa d* onor poco argomento. iss
Però ti ?on mostrate in queste raole,
Nel monte, e nella valle doloroaa,
^ Pur r anime che son di Tama note;
Che r animo di quel ch* ode, non posa
Né ferma fede per esemplo ch*aia 140
La sua radice incognita e nascosa,
Né per altro argomento che non paia.
Jimustra cbe aurl tesoro nuo è Bea- (pridare aMnifctUaé* U cote di te f^
irìee, ma Carcia|;uid« , coai cbianialo
perchè pregio e tplenJore della aua fa-
miglia.
422. ti fé priima eorrutem: ai w-
cese prima di ii.ag|*inre aplrndora.
424-126 C atei fn%m futcm ee. nn»
coadeiua, o chi abbia la ci«cienza, ^umm,
macchiaU d'alrana vergognoia atiooe
propria, o d'cttrvi, «di auui conipaDti,
pur ienliré, aolanimle ciifctui potrh aeo-
tire arerba , Aniwtt, la tua parata, il
loo parlare.
429. E lascia pur grattar et.:
cioè, laaria par rbr ai di>l)ta chi ai aeute
ferire. La nieliifora è M-hifiiaa, ma al
caso, perche esprime tutla la villa di
qaella geote , e il diapreiio io evi egli
la tiene.
431 -132. rifa/ nutrimento ee.Vool
dira : gioverao molto le lue pamle alla
correiitNie dei eoatami, qaanda gli «•-
mini,dif>erìlaae la prima aifrma, aeal-
oMrti alqMoti», oc mediicraiiBo la vai i-
tk a l'imp«irtania.
433 fjuuto Imo grido: quaitatao
dule e adite.
43b. E ciò non fa ^omor poco m-
gomento E ciò, I addentare, ciaè, i
f [rendi, e a faccia aeopcrta OMakvrli
uro tuqtitadini , è argomcaio é' wmtm
generiifto ; pliche ehi ha paora li larii
fare e tace, o tutt' al più lancia al «vii
un epi{p-ainma aeoaa uomc La KU. E
ciò mm Ha.
458. I»i»r rondine, lalawiiii b
aaime.
43«J-44«.rib^r«n<moar.1li
pende dal però di Mopra. Ini. :
l'aqimodi chi odi* non s'ac<|ni<ta,
dti fi^e agli CM'mpj che ai pitngoan ^
Dami allfl aaa niente , ae qucali haaaa
radice incognita e nateotai , ciaè, aa
qiie>ti timo tulli da pi-rMinc kaaa* o aa^
ooariate Gli rsi-nip) a fare odioai i «i^
e dekiiiei ubili le %iiiù, ai devoa praBév*
re da pernone d' alte coodiaioaa, ^
aia^ abbia , dall' aiitiq «trv • Mf«.
442. ffte nnn poM, c4w nen ai m^
atri auai uauifckto, che
demi.
6)3
CAIHVO BEcnnrovTAYtt.
5oiM •wifnctf fll
ifoM «0M ««tri «•!•» dh« «HMrMw te ffwfKiiib • *'
ti ^trui n eompùmgtim m Ittttn, ptà gì 0nh
f Bik egrmmtm m tùmèottgtimi la f iatfMa étOTl
Già si godeva soto dei suo verbo
Quello epirto beelo, ed io gustava
Lo mio, temprando il dolce con T acerbo;
E quella Donna, eh' a Dio mi menava,
Disse: Muta penri|r» pensa eh* io aono
Presso a Colui dt? ogni torto disgrava.
Io mi rivolsi 'ali* amoitMO soono
Del mio conforto; e qoale io allor vkfi
Negli occhi santi amor, qui T abbandono;
Non perch* io por del mìo parlar diffidi,
Ma per la mente che non poò reddire
Sovra sé tanto, s' altri non la guidi.
Tanto poss* io di quel ponto ndire,
Che, rimirando lei, lo mio aflbtto
Libero fu da ogni altro disire.
Fin che il piacere eterno, che diretto
Raggiava in Beatrice, dal bel viso
Hi contentava col secondo aspetto.
SmUfmImétIm
•$ft0mmméitèmm'0'
10
ih
4. dff MMVtrAo, <l«l ■— codwHb,
JelU 9tm tkm «mio a«l m* pMwer».
Yt¥^ pero— ctMp ètonmae delle tego-
le.—'#ol«, pcicW ooo pariaado pNi^iMa
faoM yrf 4ei m« a dlinioilo a DaaCt.
5. LowUo, il verbo, il concetto mi*,
owia U eoM «bt per le perule «li Ca^
cie8«ida m MMiaveao por la aeola..—-
Umprmmdo il doU9 con t merbo. Qa^
sta forala aipiira , ebe tra 'I pÌMara
delle baeae ewa cmlategli ila
gaida, veaWa a aMacolarw il
io lai piò (orla dal Iranende oòlpo
la fortuna gli preparava. So;;uendo aal
Viv. e col Caau il Cod. Florio, che ha
Ili
«eato conoetla,
col éelcf tmoerke,
che è eoafenttalo dallUvvertii
Deatriee, «vaMaa.
S- Jfttta p§niitr: «oa
attorti ibe riceverei.
i. Prm§oa Ce/«< te. : «f««, ,
a Dio, A9 éii§rmr; allengerìacà, ofai
tortOf aaallawdo l ia:;io«i«uie«te
[^uitdtu, e cattipodo e uiniliiimle U
Ugno p«raac«iareaMif<iwiùte
7. «/rMMorofo «imm; rfk
fdelUdooMebem
a. a fvolr io mlior et. Caalr. : •
qmmk io •Ufrmviéi oatara mgU aacài
tmmH {ài BfoUice) ee.
9. f«M é'ak&mnémM, laadofMali
Toka di dire.
40-42. Kom ptrek'io fwrwe. Rao
aolawanta parebe ie diaperi di fer^
var parole a ciò efiiraà . ma per a^t^
ne eiiaodio della meoiofM, dia ■aa p«è
rappreaeotare coavenieal aitata l'ia»
magioe vedala , aa ooa A àmtala dalla
granii eaieste.
43. ranlOp ^ealo tasto, ^aalPiè
dire : a, eie aolameola. — di ffm ftmr
lo , ai ciò cbe ia ^aal paato di
46-20.
Sidiaal/bidhailaaaUdi
«a/ laaifo «ha; e latte le diffieeM cka
•i aMioMB •• ywalo paaao aaao tpfle*
Dato. Nel leaipu che U pimtmr iiwiia, Ì
divìn lame, cbe è il piacere etereo dai
beali apiriti, raggiaado is iaalnea di-
Vincendo me co! lume d' uo sorriso.
Ella mi disse: Volgili ed asrolta.
Che non pur ne' miei occhi é paradiso.
Come si vede qui alcuna volu
L'affetto nella vista, s'ello è tanto
Che da lui sia tutta l'anima tolta;
Cosi nel Dammeggiar del Tulgor santo,
A cui mi volsi, conobbi la voglia
In lui dì ragionarmi ancora alquanto.
E comincia: In questa qumta 5ot;lìa
Dell'albero che vive della cima,
E fruita sempre, e mai non perde foglia.
Spiriti son beali, che giù, prima
Che venissero al ciel, fur di gran voce.
Si eh' ogni musa ne sarebbe opima.
Però mira ne' corni della croce:
Quel eh' io or nomerò, li brà 1' atto
Cile fu in nube il suo fuoco veloce.
Io vidi per la croce un lumb tratto,
Dal nomar Josuè cora'ei d fi»,
Né mi fu nolo il dir prima che il Ltlo.
I
va col icnmdo aiprll
sititi
• : Voi-
I
%
— colittoiulo adulta. Ckìiim
primo tptUo l'tlrnnu
dinllo : jcnrniJo, il hJi
II.OUaMi|Mir<
■lilli d<i Cod. Ciri.: Quia non mhiii i»
coalmplaliDM* Thtiilofia al ftlùilai
•dnliBa vinmm.
22-il . Cnmt t> Mila «. Cane il.
taat tDlla au In doì fl «orj. «ffi
di dalla «ni ingià; ■ di» eh
bers (ita dalla ana , pareb
ftno nrtiHla an* vi(a, al aw
D«ln altari al» liivo* JM
SU. S fmlls Mdfir» «
pra Uuis a LmIo. • imo atit
il. fur di gnw voet, it
ala. 53. 51 cJk «ni mit$a M. S ^
pò- ogni pu'li aTraliiw alibusiUiiM ■ li|aa
S;i-Se H /a>4 r adir M. : W^rii
Cflini dalla crsM il «iniitatB lart «^
lo ilciHi DiianMeiora d» !■ 11 baw
(.lM.rìn)d.. .;?o«IrMMmp«li
ST-38. io vidi *c. CaaU. a
di 1 ia dUi «■ Imu (rati» ■
lidamcDla, fir la emtt, mm'
MBi lulu l'anima , coii n. n
3S, ibi rulgm- «anlo, della luca fi
■l'ara l'animi di CHriiRUidi. CattiaEicia ii(ara,ci
S8-Sg. /iifiKilavtiialauigKaac. rira il uoiM di 6>«ai>
WIIaciauac,,tioè, cimba il principili diaUa del pupolucbrw
ilalla fila aalL cima. Taraguna il ai- lata uioiiih
Mamt dai dati (d u libare cIm di«n- 39. ffd w
l>a«r<M*a
CANTO DECIMOTTàTO.
E al nome dell* alto Maccabeo
Vidi moversi un altro rotattdo;
E letizia era ferza del paleo.
Cosi per Carlo Magno e per Orlando
Duo ne segui lo mio attento sguardo,
Com* occhio segue suo falcon volando.
Poscia trasse Guiglielmo, e Rinoardo,
E il duca Gotlifredi la mia vista
Per quella croce , e Roberto Guiscardo.
Indi tra T altre luci mota e mista
Mostrommi 1* alma che m* avea partalo,
Qoal era tra i cantor del cielo artulÉL;
lo mi rivolsi dal mio destro lato
Per vedere in Beatrice il mio dovere,
0 per parole o per atto, segnato,
E vidi le sue luci tanto mere,
Tanto gioconde, che la sua sembffihza
Vinceva gli altri e T ultimo solere.
E come, por sentir più dilettanza.
625
40
45
to
56
centìr proferito Ul nome e il vedere
Jiacl lume a trascorrere per li croce,
urono ad un tempo.
40. E al nome ée. E al nome di
Giuda Maccabeo ) rbe liberò il popolo
ebreo dalla tìranoide di AntioeO| ee.— >
alto, magoaoimo e glorioso.
42. B letizia ce. E la letixia Iacea
R'rare a rota quello spirito, come li
na fa girare il paleo. La letìsia era
aUo spirito quel che la fcrza al paleo.
45-45. Coti per Carlo Magno «e.
Cosi ai nomi da Ciscciaguida proferiti di
Carlo BlagQO e d'Orlando, il mio occhio
attento tenne dietro ad altri due Isaii,
come I* occhio del cacddtore tiro dietro
al suo falcone che rota alla preda. CaHo
Ma(;no e Orlando ODolto operarono a
difesa della Chiesa , e contro i Morì e
contro i Longobardi.
46-48. Poteia tratte ee. Poacii
trassero la mia Yi&ta, il mio sguardo,
Guiglielmo ee. Guglielmo fu eonte
d'Orinsa in Provenza, e fif;liuoio del
conte di Narbona. Rinoardo fu, aeeao-
do FAnonimo , uomo fortissimo , • col
•addetto Guglielmo molto combattè per
la fede crbtiana contro i Mori. — «^of-
tifredi. Goffredo di Buglione, duca del-
la Bassa Lorena , eletto generale della
prima Crociata, eooqnistò Gerusalemme
nel 4099 a' 49 di luglio, a fu da'prìn-
dpi Crociati dichiarato re di quella cit-
U. — Roberto Guitcardo, principe
Normanno, Tenne in Italia verso la metà
del secolo XI in aiuto da'anoi fraloUi,
a quindi por il suo valore e accortaaa
divenne duca di Puglia o di Calabria.
Egli operò molto per la eaeciata do'Sa-
racìuì dì Sicilia.
49-54 . /ndt (raraZtrfic.Iodil'ani.
ma splendente dì Cacciagnìda , che fin
allora mi aveva parlato, mota, moesati,
emittOt e riunitasi all'altro suo compa-
gne. mi dimostrò quale artista egli foaao
tra I cantori del cielo, poiché rìcomiaciò
a cantare.
53. U mio dotere: qnallocioè che
a me si conveniva di fare. — tegnato .
iigniGrato, o dalle parole tne o da'anoi
cenni.
55. mere , pure , serene.
57. y incera gli altri te. La ^nalt
giocondità degli «terbi d. Beatricii vince»
va, superava, gli altri foirri, e il folfra
■Itimo (è l' inCnito oaato a modo di no-
me tanto al singoi . che al plor.), cioè
il tolito modo degli sguardi precedenti ,
«anco la letizia dell'ultimo. Vedi al y. 8.
58. per sentir ee. : dal sentirà.
40
B 6ì6 OEL tMAOhO
i
V
^^^rj" S' accorge (ihe la sua viriute nvsiiM ;
#.
^^^^H Si m' accors' io che il mìo girare inlOTao
^^^^^^1 Col cielo interne av ca cresciuto l' arco, (*)
^^^^^^1 Veggendo qael miracolo più adorno.
^^^^^^1 E quale è il trasmatare in picciol varco
^^^^^H Di tempo in bianca donna, qunndo i) mio
•
^^^^^B Suo si discurchi dì vergogna il carco;
^^^^^B Tul Tu negli ocrhì miei, quando fai volte.
^V Per lo candor della temprala Stella
^1 Sesta, che dentro a sé m' avee ricolto.
■ Io viti in quella Giovial liicella
«
■ Lo sfavillar deiramor cfae li era,
■ Segnare agli occhi miei nostra favello.
^^H
^1 E come augelli surti di riviera,
^^H
^M Quasi cougrululando a lor pasture, ^
^^H
^M Fanno di sé or tondo or lunga achiera;
^^H
^B Si dentro a' lumi sante creature
H Yolilimdo caulavnno, e faciensi
^^H
■ Or D, or 1, or L. in sub Cguro.
,^^^È
^M Prima cantando a sua noia mmienEÌ;
^^^1
^M Poi, diventando l'un di quoslì segni.
^^H
^P Cn poco 6' srrestEnano e locieosL
^^^1
B CUeS.Sln'am^rìiDK.CHUu 7Ù- Cinttì. iitHan.
^^^H
MMr»1
mi>a<i|liwi>Finbi.iuu .li Ikalri» Ulto Pirliliia. roma i» * psluw y
t̫*,M
pìobnll»,!..] .«1.1,1 eh. a ni»|ir.r« h. i d» hi« < anort.
•TCt. «cnuuUU upi Di'Euiur. eiicao- s«ek> rii'«i Mii'ra. nralim ìMM.
lerinuieio*, clu> io mi tr. cl.i.lu. T5 iirti di Htttrm ! iU»Ìd4imi
pìlk.ll»d.l<>. ri.. i.,,U,^M-^p„cdm.
M-m.tiiuaUtiClTCimiil<trt4e. ticiurU toii iimimt.
B . E qoil. io 1,'ttiuU.o.p» * Il tr..u.ul.. 77. »cl.-M.<la, toUbA. jMfc- 1
^ m<auaì»foN>oduou.ch. uugLl. mmu.
■ imM* !»•■»• .il, «.iiJg il «.««..Ilo 78-Or»«.8oo.?.tn
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H dtp«*n il tnio Jdl. •.rg<i>ni: ul di. <irlli «.r-li DtUgiu 'M Mb
■ AiMIll'MXM -f«. I.l i>>^»,..rr.ìl »rilli.r.i<: lliliìllt jMiO^ «i
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H d«diB«Uk(rìn>U>.>HllB|)Ii.gu.r. p«.
H di)d»dil>«i«rluH^mcw>u tiJ.iii 70. • im "sta i»t<nufi •«*.
^H U mUIo letto bi.Ma per timuna d*l B>|n»a<io >l J><iiirc .1 oaiiU
lonOw-
H (•■><.«« dù ««pnlì ru[S> il' Ci"". «.. xrv, g«.*ii<ic. 1. la. ck. ba ij.»
H »M piasti*. llio(>ii.lfoiiHto,ol»i- 141. .1 Cui» ML • *.^lgndMl^k
H doT>h.iM<>,dc*cU*> Gi<.i.<Mrll> ula •«■.<»*«• di r«UMu
.JxHtt
«uU^O-
1
CA^TO VBOmOITATO.
6t7
90
9S
100
0 diva Pegaaea, che gP ingegni
Fai gloriosi, e rendili longevi.
Ed esBi teoo le cittadi e i regni,
Illustrami di te, si dh* io rilevi
Le lor figure com' io 1* ho concetle:
Paia tua possa in questi versi brevi.
Mostrarsi dunque in cinque volte sette
Vocali e consonanti: ed io notai
Le parti si come mi parver dette.
Diligite justitiam primai
Fot verbo e nome di tutto il dipinto;
Qui judioatiB ieman far sezzai.
Poscia nell* M del voctbol quinto
Rimasero ordinale, « cbe 'Giove
Pareva argento li d' ero distinto.
E vidi scendere altre luci dove
Era il colmo detl* M, e li quetarsi
Cantando, credo, il ben eh* a sé le move.
Poi y come nel percuoter de* ciocchi arsi
Surgono iunumerabili fevìlle, -
Onde gli stolti sogliono agurarsi,
62. 0-dhm Fega$9a: O'dÌTa CilR»- do d'trgrolo dipinto o frvgiato d*oro.
98. il eelmo MfM,'\* «m cima.
Vedrai dieti va ^bì dìscfaamdo Pm«ì-
It imperialo , ooiMonratrice di fivalaia
mi la terra. — tlìquetartifotMtùAtt'
mani. — lo 4atte e tro l« Cadlaeao ti
T«d« o apoKomeate -• «otto il -roto d* il-
Irpnria «aaltato eoo toolo emora il prh^
eipio politico doM' Impero , de far er^
dorè eoAe e ehi ooo veni eaedere, che
ae il Gne prossimo del Poema è la rì^
oeraiione morale , il remoto è H ritta-
bilimento dell'Impero Utioo. L'eàbia*
me dovuto ripetere le trenta TiMte.
99. Hbenth'^Mèlemime, oèBio.
bene tommo e enmma (rioft^a, da cai
e aereo coi eoo-mome f|iielie animeWate j
e yeeto-^ene è Tiniperelore remaoe ,
eeotrv dì tette revioritk temporele, e
da «ni debboo dipendere per eiMliaia ,
i governanti «ecMKlerj « pemdK. Cre-
do pere rhe le prime «piegeùeae ait la
pie eeniplMre eia più ««e«ra.
tuo nelptrctàoterdt'ciùetliimii,
percMterd'i dei tinimi ee. — ehccM,
cepperelli, di eke ti fa fuoco.
402 Onée gli sUtlH er. Allndea
^vel volgare aoQurìo che alctmi, alhra
pe de me invocete (Vedi J*vrf ., Cao^
tei, ▼. 0).
83. • rendili longeti, e K ranfiidi
laega vita nel nome e nelle fama.
94 . Bé mti , ed orni ingegni , fceo ,
eìeèaialati de te. feono glorioee • -leo-
9«a«1e cittadi e i regni.
85. -éiUy del tao lame.
87. PtàtL, m mottri.
88-80. Mosirmrtt dvnq^te et. : ai
composero atlonque quelli spiriti ia
treoleda^ae lettere tre vocali e cento-
nenti, q|aeirte eppento «ono ael vci^
eetto citato.
CO. tmmmifmrTeréene: aelT'ar*
dine medesimo die mi ap|>arTereaigai-
Bcate , eapreaee.
04-09. DUifiieee. Intendi: primi
Toceboli di tatto le reppresenterinne la-
rono le parole Diligite putUimà; a
•csxof, altioM, ^Judicatit tmrrmm.
04-06. poaeia meli MI we. Poeria
nelle lettera M di ierraU. die èie <|aia-
ta oerela,, qaelle eoime luconti limetwe
or«linele in anodo, dir la stelle eeadide
di Giove h deve ere l'M paie\a, per
quelle anime aeceae in fuoco , aa fon-
CANTO DECIMOTTATO.
Che 8i murò di segni e di martiri.
0 milizia del eie!, cu' io coDtemplOy
Adora per color che sono in terra
Tutti sviati dietro al malo esemplo.
Già si solca con le spade £atr guerra ;
Ma or sì fa togliendo or qui or quivi
Lo pan che il pio padre a nessun serra :
Ma tu che sol per cancellare scrivi,
Pensa cbe Pietro e Paolo, che morirò
Per la vigna che guasti, ancor soo vivi.
Ben puoi tu dire: Io ho fermo il disiro
Si a colui che volle viver solo,
E che per salti fb tratto a martire,
Ch' io non conosco il Pescator né Polo.
6S9
Mb
d30
d36
operati da Dio per meno dei tanti MOÌ|
e col saognc tersalo dai martiri ia !•-
•timoDio della TeriU del eriatiaoawmo.
La parola tegni nel aenso di proii§f è
freqoeoto nella Sacra Scrittnra.
424. O milixia del eUL 0 betti.
425. ÀdorOf prega.
426. Tulli niati et.: tntti tramti
dal bnon aentiero segnato da Gesù Crìato,
per il tristo esempio dri romani pastori.
4 27 .Gid H «o(ea ec.Soitint.io Bona.
4 28. loy Menilo w q%ki or qmivi : t«-
glliendo^ per ? ia degP interdetti • delle
■coiminicne , or qui or le , ora a qaesto
ora a qael popolo o individuo, lo peno
spirituale, ehe Gesù Cristo naart oi mi-
•erieordia non nega mei ad alcuno, oooM
ci dimostiò Gnchè risse tra noi.
430. Mia l« (si rijolge al papa ) «b#
fol per eaneellar» ee. : che Kriri la
censure non per correggere e gastigare,
na per tenderne poi la rivocaiìonc a la
riconciliaxione , cassandole.
432. Per ia tigna che guoili, per
la Chiesa di Gesà Cristo che tu guasti.
— OMCorton vivi: cioè, ancor son riri
in cielo e teggono le opere tue.
455-4 54 . io ho fermo il dieiro ee.
Io ho Osseti talmente tutti i miei affetti a
desideri in colui che Tolle riter solita-
rio. e che pei salti della figlia d' Ero-
diade fu tratto al martirio, Ck*io non
eomoeeo ee. Il santo di cui si protesta
deroto questo buon papa è il Batista ;
non quello parò che vite in rielo , ma
3 nel che vederi improntato sui fiorini
' oro delle Repubblica. Questo sale di-
moatra ehe il Poeta, oltre a credere quel
papa ataro , lo credere anche sema al-
cuna religione, induceodolo eeak a bur-
larri dri Santi.
4 55 . « nunifro. Cos) la comune les. ,
forse in corrisponderne dell' indetermi-
oeta forme precedeoto per «clft. Però
i Codd. Chig. , Caet. a Vatie. hanno al
WMBTliro.
436. il Peseator, Un Pietro. —
Polo, San Paolo.
CANTO DfiCmiMOlVO.
L'aquila partm sktmmt bjm im
fkkrinMiéilmrta tf émUio tkt io
ttèttmt éi muti iipiret tom^vU, La prt^ tjtU»
, kutrm éUlm tlmtutlm étt guulnj éi Dém. £é tUa,
f, tàt ptr ùteiétmtm It ti •ffrt, éi foHmrt étttmum n
éétPttvm Giméitt rèmmnmm tutfmti éa e^tUi tkt m«
Parea dinanzi a me con T ale aperte
4 . Pwem, moatra? asi.
CANTO DBClMQlfONO.
Solvetemi, spirando, il gran digiaiio
Che luDgamente m' ha lenuto in fame,
Non trovandoli in terra cibo alcuno.
Ben so io che, se in cielo altro reame
La divina giustizia fii suo specchio.
Il vostro non l* apprende con velame.
Sapete come attento io m* apparecchio
Ad aseoltar ; aapele quale è quello
Dubbio, che m* è digiun cotanto vecchio.
Quasi falcon che uaoeiido del cappello,
Muove la testa, e con 1* ale si plaude,
Voglia mostrando e facendosi bello,
Yid' io farsi quel segno ,, che di laude
Della divina grazia era contesto ,
Con canti, q/aai si sa chi lassù gaude.
Poi cominciò : Colui che volse iJ se<to
Allo stremo del nondo, e dentro ad esso
631
30
35
40
23-26. Solvetemi ae. Ponete fin*
spirando (cioè col parlar voatro) alla
molta mia ignora nz» che luogaflMoto
mi ha tenuto iu dcsiilerio.
27. Non Irotandoli (non trovaado
a lui, ad caso digiuno). Non trovando io
in terra alcoo cibo, atto a togliermi da
tal digiuno; osaia, schiarioicnlo aknno
elio mi appaghi nel dubbio o ignoraaiA
«jbn m* inquieta.
28-30. Benso io eht ec. Io aobena
cko aa la divina giustiria au in cielo fa
ano apacchio o/lro reame, cioè, ai rap*
prflaenta.,.ai riietie, iu un altro ordina
di apiriti beali, conluituciò aurhe ii Wh
Mtro rmanOf T ordine vostro, l'appren-
de, la eonoace mani ftstaui ente, e aenaa
alcun velo. L'ordine o il regno, in cai
ai apeccbia la ginsiizia divina, o Dio
giodicaule, è quello dei troni, coan fa
4ÌeUo al Canto IX, T CI:
Sa auo* MMahi, voi iicct* tnal,
Oad« riMl((« a aot thu i^ioilicdoto.
31 . Sapete i vadeudu voi ogni eoaa
in Dio, aapeU ee.
33. che m*è digium ee.: che m* hn
<1a tanto temp» lenito falul^sidenn. H
ribi
dubbio di Da
(tu : CuiBo poaaaj
nato aUloUmt,fltf:fiv«ii4«llDnroraia
alle leggi di natarA.^ JWp^ potuto
essere ili
ai naiartt, ne jwveo puiuio
uminato ,'itroni iMpri la lèda
di- Griato a il Battaaimol La rispoata è
laate. Noi non poaaiamo vedere nella
mento di Dio, né conoaeera i Gni suoi ;
perchè la ragione umana dopo il per-
aato originale easendo rìmaata indebo-
lita, a noi non reata dia la aommiaaionc
alla rivelazione.
84. Quasi faUtm «a. Coma fal-
eone a coi i cacciatori traggono qndln
coperta di cuoio cUe gli ai pooo in laate
Eerohè non vegga lume a non m di-
atta. Ho tigiiito nella-leziooe di qnaato
verao il Gxl \ai.,aembraUmi migliora
nel ««atrutto della cum.; QuaH faUomé
eh'esee di ceLppttlo.
55-5C. con l'ale ti pUuà» «a.; di-
battendo l'ali fa reaU,moairando voglia
di Vitlaie in caecia e ringalinztaadosi.
37-38. lidio farti, vidi io dive-
nire quel ugno. Qualche teato; (est «i.
Chiama quell' aquila aayiM» aioè ia-
aegnn, perciocché caaa è inaegna ini-
penale. '— eke di lande te.: ch'era
teaaulo, comuoalo, di apiriti lodaCarì
dalla grazia di «ina.
39. filai ti aa te. .* qoali aa li»-
mare chi in Taradiao gemde, gioiaaa.
40-4 1 . ColMi ee. Iddio, che Umtk
il mondo. — il aeate , la aeate , il cooif
paMo. È rappresentato Iddio eooM n*
an^liiletto che disegna i confini della
gran macchina, che è ne!la aoa idea.
CAUTO DECmOMOIfO.
Che non si torba mai, anzi è tenebra,
Od ombra della carne, o suo veneno.
Assai t' è mo aperta la latebra,
Che ti ascondeva la giustizia viva,
Di cbe facci qnestion cotanto crebra ;
Cbè ta dicevi : Un noni nasce alla riva
Deir Indo, e quivi non è cbi ragioni
Di Cristo, né chi legga, né chi scriva;
E tutti i suoi voleri ed atti buoni
Sono , quanto ragione umana vede.
Senza peccato in vita o in sermoni.
Muore non battezzato e »hza fede;
Ov* é questa giustizia cbe il condanna?
Ov è la colpa sua, s* egli non crede?
Or tu chi so*, cbe yuoi sedere a scranna
Per giudicar da lungi mille miglia
Con la veduta corta d* una spanna ?
Certo a colui che meco s'aesottiglia.
Se la Scrittura sovra voi non fosse,
Da dubitar sarebbe a maraviglia.
633
6»
70
7S
SO
65-66. anzi è tenebra. Ogoi tlCro
che Doo venga da Dio non è vero lame,
ma tenebra, Od ombra della carnet o
oecarìtè e igaorama cagionala dal gra-
Teme della carne, o tuo veneno, o cor-
nuione avvelenatrice della ragione.
67-69. Àtiai fèmo aperta ee.
Int.: ora paoi comprendere die l' inanf-
ficienia del too intendi mento è qaella
foleòra, qoel nascondiglio, nel quale ai
rimaneva celata l' inalterabile ginatiria
divina, intorno la quale facevi qa^
atione cotanto crebra, tanto frcqmotoy
cioè , questionavi si spesso.
71. Indo. Fiume in Asta, Jd
qnale prendono il nome le Indie , ako ,
secondo la geografia dei tempi di UinU,
erano le terre più remote da BaoM,
capo d' Italia.
72 né chi legga, né chi seriom: in-
tendi intorno a Ini , o leggendo e apio-
gando la Sacra Scrittura , o spargendo
scritti di cristiano insegnamento.
7-f . quanto ragione ec.: quanto, per
foanto, è dato gindieame aU'aaaoa
ragione.
75. Sema peccato, sotlint. egli è:
senia peccato , {n vita , sia io
nella condotta della vita : o in termo-
ni, sia nel parlare.
79-8 {.Or tu chi t^, et. È la stesM
risposta cbe a un'altra terribile diffi-
eoltè db S. Paolo. O \umo, tiu fuit et
qui retpondeat Beo ? Né altro si pad
rispondere a chi voglia giudicare eolle
norme dell' ornano ragionamento i mi-
steri rivelati. — todert a itrannmt se-
der in cattedra , farla da dottore e da
gindice. — epanna , lo spazia die nella
mano aperta è compreso tra l'estremitk
dal pollice e quella del minimo.
82. Cerio a colui cho mito $'at-
ioUiglia , ec, : meco signiSca talvolta
detomUiamie, o trattata mtea: così
diciamo nel parlare familiare non far
meco UtottHe, o il dottore; onde il
senso di quoto luogo è : Certo per colai
aha meco ragionando si mostra sii ar-
guto e sottile , tarebbe a dubiietre n
maraviglia ( modo al a lat., multum
etiet illi dubilandum ) : cioè, molli a
molti dnbbj potrebbe avere sai Jaarati
di Dio volendolo giudicare eoli' afliBa
ragione , quando voi altri cristiani non
aveate a guida e maestra la Saera Scrit-
tura che vi acquieta in ogni dubbio e
634
DBL PAAADUO
0 terreni animaU, o menti groMB 1
La prima volontà, cIl'ò per- sé Kmooa^
Da sé» eh* è sommo ben, mai non si
Cotanto è giusto, quanta a lei cooauona;
Nullo creato bene a aè la tira.
Ma essa, radiando» Ini cagiona.
Quale sovresso *i nida ai rigica,,
Poi che ha pasciuto la cicogna l figli,
E come quei che è pasto, la rimira ;
Cotal si fece, e À lavai li cigli.
La benedetta immagine, che Tali
Movea sospinta da tanti consigli.
Roteando cantava, e dicea : Quali
Son le mie note a te che non le intendi.
Tal è il giudicio etemo a voi mortalL
Poi si quetaro quei lucenti incendi
Dello Spirito Santo, ancor nel segno.
Che fé i Romani al mondo reverendi,
£•^50 ricominciò : A questo regno
Non salì mai chi non credette in Cristo,
Né pria né poi eh* el si chiavasse al legno.
Ma vedi, molti gridun Cristo, Cristo,
Che saranno in giudicio assai men prope
A lui, che tal che non conobbe Cristo :
£ tai cristiani dannerà V Etiope,
5J
M
100
lOi
UìfGcolU colla nvflaiit>B« di «n Dì*
Uilallibile, e p«r nsensa buono.
85. O terreni animali ee. Pongo
^«i , die* il li«*lti , un ponto •mmiroli»
vo ; percitt*cho i' esrlamiuioae vii^c bel*
Ituiino ed efGrvriaMiiia dopo U eoM
dette DvlU terrina antt-cedeiito. -*-
groi9€, ottuM, rbcti.
87. Da té.... mai non ti WMtm:
mai non ai diparti da né medcaimo, fa
aempre e|iuale a «è inrdeaiina.
88. Cotanto ee.: tanto è ^uito,
(|ranto è ad essa c<iiif«ii-nie.
00. radiando, coir emanazioiie dei
ractr M«H.
U i . sorretto, sopra.
93. linei eh' è patto: qnel cico>
foinn rbe è p»tciuto, rimira la madre.
94 . Cotal ti feee : aimtiracnio, eo-
Wt» la óeoffna, |in*sr ad a|^rarti aupra
di nie,rfi Utai ti ei§li, e tale iii,come
il cicegDÌao paacialo, alaai gli occhi.
96. totpinla da ituUi eomtigB^ da
taole Toluutà , quaoi' eraDO gli
che le ci»mpooevaoo.
400-404. Poitiqmetmrm e
BciacUé, poi, quei Ineenii ii
Spirilo Saoli» ai pnaaroao ,
dal mmimeuto, ojiror mai i_, , ..
stando tuttavìa n^lla forma dell' a^Hlft.
iaargDa drl Koinaoo Iroper* , Btm, i
legna, Hconttneid. Poi ««fuiterai,
laggnne altri.
1QS. ek'el ti efcioeoaaa ai Ì€§mÈ:
che Cijli si ìncliìodasse al legao Mb
rroiv; né atauli sé dopo la
di lai.
107-108. Che tarannm «■
eio ee. Che Diri di del giaiiìaBa
a Cristo tnen propa, bmo» »m.
che chi noo coaidiba omì Crìate.
pe, vi»re latina.
109-ilO. E (m criiliMiCcc.: ed a
ù fatti ci btidoi falsi lark cagioat £ f M^
CANTO DECIHOIKUIO. 6;
Quando si partiranno i duo cdlegi, i
L' uno in eleruo ricco, 0 l' altro inopi.
Che potran dir li Persi ai vostri regi,
Com'è' vedranno quel valoma aperto,
Nel qual sì scrìvon tiiU' i suoi dispregi T
Vi fi vedrà Ira l' opere d' Alberta t
Quella, cbe tosto moveri IS penu.
Perchè il regno dì Praga fia deserto.
Li si vedrà il duo! che sopra Senna
Induce, falseggiando la moneta.
Quei cbs morrl di colpo di cotenna. l
Li ai vedrà la superbìai eh' asseta,
Cbe fa lo Scolto e t' Ingbiiese Toll*
Si, che non può aolTrir dentro a sua mela.
Tedrassi la lussuria e II viver molle
Di quel di SpaigDa, e di. quel di Boemme, 1
ngu F Etiopi, cidi l'ilTrittas, fus- wl ffn cno ani l'iHrcili tM"!^
le ti tolltgio, U idiw*, di' linti caitrg i FoDBiìngkl, dopa li nlla
>iràHpinloda<judli>ilt'miledeUiÌi C"iirlni. Vtruitati Filippa U Bai
Ka. DM Kti 11 nonfU, Dt «a lU il f
111. Htto, ibWdnoli J'oftt lara. KnrìnilIXM — trcaHaJK.i
1Ì2-IU Cht potrà- dir'tc.ttA.! HO roKwaa. I onUJiai diBM
mai, cli( non ranuLLcr* il Tin|tlo, Ra qg<
■ ilp.
irlo,
•■ •»«■. ■«...w.Ki, «-IVI liba Beli' im- ciMe iDilia Jil nttailtai ara a
lune ad qoaie n itrinin tutt 1 net pnwi cai danno pia laa|n
Siila a tarpi iiion.onilf uno I Dia* 121. fa mptttia dt'a
ownd» in dùprt|ig T È pualo l'cftttl* aitila wl* di aa-t'i «hii|uì>i
par U ttpoot. Inihìtirtra t ili Srnim. Fon
H5-IIT.U((M(rrdlra|-a]P(r«M. lead^ra di Ed.acda I ra d' i
Tnl>nilaap«nd'All>eilD<l'*iiitiii, adi R.>barlodi Scmia, illori
llUo di RadvlTu d' Baliikan;o, ladraw
Krill ifa* or ora mntrk la panna di
o a rr^ìalrarit, per II qual operi
d'infiului* a d'approiinnc il Bà|n* 113 udii fiii4 loffrir itntr» ■
di Butdìi Hrl divrlu. Alberto i»H* inaiate.- non pui nnaan di Ir - *
adcv»lò liBonoliwl 1303 La illn fiin dillaiuna, d. rimiacn, i
133. /olb: acrnni alla •!
ntigti imblir
rìda cba i ani irn nnna (t■«^^ f^nn X ra di Citliglia a di Loa*. dia
:, I II panni InMIibila di Dio. da aknai de* piiiKipi aliUnri tn iMb
tlS-4<9. ilductikinpraSfia» n.imin.In r« Jt' Diaiani. Dilla qMlitt
■IcoU , ch« rauinna io Piriii' riUk D.nio iti iloricl. —difmlii Mvtm-
■u talli SmiM, Filippo il Bello (eba Mf, di Trarnlao rt di Boraii , iglia
Quando coivi cbe tufo il mnndo alhima
Dell' emisperio nostro si dJBcenrte,
E il giorno d' ogni parte si con^nma,
Lo del, che Boi di Ini prima «'«ocende,
&ubilamo»te si rìrà pen-enle
Per molle Ini-i, in elie una riiipTende.
C qoeiil' BllD del cìei mi venne a mente.
Come il segno del inondo e de' suoi duci
Nel benedillo rostro fa Isrenle;
Però che lullo quelle vive luci,
Vie più lucendo, romìndaron otDli
Da mia memoria labili e esduci.
0 dolce amor, che di ^i<^) t'nmmnnli.
Quanto parevi ardcnlo in quei llavìlli.
>. B' ugnila qui
I
S. «flr
la. ddli r-r
Im «inificli;
inrbo lo *t<lL Bue Ivtm^ni irittmin
di! Mie.
7-9. 8 fibufalla n. G purità
A
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mot in mena
d.lJU«MMlt.
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di Din, dati»
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r«hil»li.m. .,b,;ìIÌ««I,, '
•arruniÉi» ,«! di,ù,ll,,
■nclKiiin imi., li », 22 a tt», —lai
il- tplfndvri; ma proMod
(tH<l.lhl«i
>pa>lM*M
T^H. Cliiiin* i'>f|uÌliir;nD(((l imdIe chi culli lon duniaCnnw 3
« i^tmniàuei , à-é d^ili im- Inr" «mnn ■rdenlinimn ni % i
pcniitn, Hpf bè , iiwinne più ti
rrcriri laUf. H HavIUt, ia ma^
Wiil. «ICnIoMI.r 8,j„.,g<i.p'
CAIVTO TBirTESlMO.
Gb' aveane epirto sol di pemiier santi I
Poscia che i cari e bcidi lapilK,
Ond' io vidi ingemmato il sesto Imne,
Poser silenzio agli angelici !>qni11i,
Udir mi parve on mormorar -di fimne,
Che scende chiaro giù di pietra in pietra,
Mostrando l' vbertè del soo cacarne.
E come suono al collo della cetra
Prende sva forma, e si come al pertugio
Della sampogna vento che penetra ;
Cosi, rimosso d* aspettare inda:^io,
Quel mormorar dell'aquila salissi
So per lo collo, come Tosse bugio.
Fecesi voce quivi, e quindi uscif^si
Per lo suo becco in Tbrma di parole,
Quali aspettava il cuore ov* io le scrìssi.
La parte in me che vede e paté il sole
Neir aquile mortali, inrominciommi,
Or fisamente riguardar si vuole;
Perchè de* fuochi, ond' io figura fommi ,
Quelli, onde l'occhio in ies^ta mi scintilla,
Di tutti i loro gradi son li sommi.
Colui che luce in mezzo per pupilla.
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»
Ì9. Ch'attano tpirio iol di pei^
tUr iontit che spiravano aolaneala
saDtì pensieri.
tè. Incidi tapiUi , lucenti grmn».
Intendi le rtsnientlenti anime bmito. ^
C«r{, presi MI.
47. H $etto twme: GioTe, Mstopia»
Beta.
tS. agli ange tiri iguUU: agli ao-
gelici amioiiiu»! canti.
24 . r tt6rr<A del nto eaatjm* • la
eo pi* dell'acque che ai contengono, o
ti aerbano nel tuo eaeumt, sulla ava
22. «I eolio della eetra, al maoieo.
23-24. Prende tua forma : (Tenda
la aoa aMklnlaxiuna Heccndu il lastc|;ipa-
ra del sonatore. — e ti eome al perUt'
E Mccoma Tento o liatu spirato
t
lai sonatore dentro la tampogna, vren»
dsforjmm al perlttgio, cine, ai fori di
essa diìaai ad aperti dalle dita opportv»
namentc ; eoai ee.
25. rimoffso tf* aspettare M^
gio, che è quanto dira: svbiluiiciila.
26 dell' aqvila. Coatr. : saliaai a»
per Im rullo dHT aquila.
27. bugio, forato.
Si) Quali atpetlara H etiara te..*
le quali parole as|Nrttava desieaawapt»
d' udire il inio cuore , dove le iaapreBai
allanie-ìte.
SI - -3 tj» parte in me ee. Int. : in-
cominciò : Ora si deve da te riguarderà
in me , i|ui*na parte che Delle aquila
mortali guarda e pe^, soctieoe, i raggi
dal sole.
54 tfe'fttodUee. Dei lumi eoi qmli
io mi formo aurata Sgura d'aquila, o^
sia, coi quali 10 forma d'aquila mi mo-
stro altrui.
55. Quelli, onde rocchio: qoai
lumi che mi ligurano l'ocrhio ee.
56. Di tutti i loro gradi oe. : sana
I tomwti, i più nobili, i più Incaitti.
di tutti i loro gradi, di tutti gli altn
luii o spiri che per diverri gradi ran-
co formando It figura delP acquile.
CAIVTO VEtSTESfUIO.
Qaando colai cbe tuRo il -mondo alhiraa
Dell' emisperio noiflro ri (tisconde,
E il giorno d' ogni pane sì con™
Lo elei, che sol di Ini prim» s'ieoende,
Suliilamente si rirà parvente
Per molle lod. in die ona rhiplende.
E quest' allo del ciel mi vcnoe a mente.
Come il eegao del mondo e de' suoi dnci
Nel benedeiio rostro tn iBpente ;
Però die liitle quelle vive luri, {g
Vie più lucendo, roraindaron caoli
Da mia memoria labili e cadaci.
■0 doire amor, rhe di riw t'ammanii,
Quanta purevi ardente in quel Davilli,
2. Wdinmub. « ot ta «ito al im- dir nr rìmiirinmc nna dcbi1« utaaét^
In •inioFrrD. 13. O ilnirt amorfi DÌA,eh>a*>*
B. S fi sforna- B- »rf"llo ^ni li i|iiiilri ri.liiita ine* li nucondì, ifua-
I
li il totiHàmanl (tri einrno M. l» ^uH partiti: in
Imm
CANTO i^nfTBsmo.
Cb* aveano epirto sol di pemiìer santi !
Poscia che i cari e bcidi lapilfi,
Ond* io vidi ingemmato ÌI sesto lume,
Poser silenzio agK -angelici fallii.
Udir mi parve un mormorare fimne,
Che scende ebiaro giù di pietra in pietra,
Mostrando l' ubertè del ^no cacarne.
E come suono al còllo della eetra
Prende sua forma, e si come al pertugio
Della sampogna vento che penetra ;
Cosi, rimosso d* aspettare indui^io.
Quel mormorar dell' aquila salissi
Su per lo collo, come fosse bugio.
Fecesi voce quivi, e quindi uscissi
Per lo suo becco tu fórma di parole,
Quali aspettava il cuore ov' io le scrissi.
La parte in me che vede e paté il sole
Neir aquile mortali, incominciommi,
Or fisamente riguardar si vuole;
Perchè de' fuothi, ond* io figura fommi.
Quelli, onde l'occhio in testa mi scintilla,
Di tutti i loro gradi son li sommi.
Cohii che luce in mezzo per pupilla.
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19. fA'ctwafio tpirio iot di pen-
tUr iontit elle spir«vaoo lohnieDla
Moti p^naierì.
46. IneiéiUipitti, lucenti gemiiM.
Inteodi le mplentlenti anime beato. —
caW, preciou.
47. il Mio htme : Giove, sesto pia-
neti.
tS. agli mngetiei iquiiU: agli ao-
gelici sriDuiiioftì ranti.
2t. Cubertà dei tuo eaoffM, b
co pi> dell'seque che ai con tengono , o
si serbano Del tuo cocuma, sulla saa
dma.
22. «I colto della eetra, al maoieo.
23-24. Prende $ua forma : |> renila
la sna anodulaxiuoe HeciMulu il laalq^a-
ra del sonatore. — e H come al parfii-
gio §e. E siccome vento « lialu apirato
ual sonatore dentro la xanipogoa, Mren»
de forvM al pertugio, cioè, ai lori i\
essa ebiwi ad aperti dalle dito opporta»
n amente; cosi ee.
25. rimosso é* supetlare §%dm-
gio, che è quanto dìrat tsbiliiMBli,
26 dtitr aifnila. Coslr. : saliai mi
per II» rullo dHT aquila.
27. bugio, foralo.
se. ijuali atpettara H euaro m.:
le quali parole aH|HrtUva diaiassiaito
d' udire il mio evore , dove la i«ipr«HÌ
altamente.
5I--3 £41 f«rle {«ma ee. Int. : io-
cominciò : Ora si deve da to rìgnardara
io me , quella parte che Della aqvila
mortali guarda e paté, soatiaoa, i rag|i
dal sole
54 da' fuochi ec. Dei lami eoi qvali
io mi'furmu qunta figura d'aquila, aa*
sia, e«ii i|uali in forma d'aqaila mi aa*
stro altrui.
55. Quelli, onde Cocchio: ipd
lami che mi Kgurano Toerhio ee.
56. Di tutti i loro gradi oc. : aaaa
I fommf , i più nobili, i fi6 luuiiA.^
di tulli t toro 9Todl, «v \AVcw ^\ tifii
Inai o %p\n «^^« V** *:\^«rKi ^^"^
to lowinAo WH>«^ ^^' ^^'^^^
«iO
DEL PiJUDISa
Fu il cantor dello Spirita Santo,
Che l' arca traslaló ili villa in villa.
Ora conosce il* mn^to del suo canto.
In quanto eflelto fu àtA vuo Consilio,
Per lo remunerar, eh' è altrcUanlo.
De' cinque, che mi fan cerchio per ciglìOi
Colui, elio più al becco mi s' accosta.
La vedovella consolò del figlio.
Ora conosca quanto caro costa
Non s^uìr Cristo, per l' esperìoma
Di questa ilolce vita e dell'opposta.
E quel cho sc.aue in la ci reo tifare uia^
Di che ragiono, per l'arco superno.
Morte indugiò per vera pcniienza-
Ora conosce che il giù di ciò eterno
Non si trasmuta , pcrclià degno preco
Fa crastìao laggiij dell' odierno.
S8. il cunlorK. lire DitiJ, ci» iino, clic conK^Ì li
Tirii il PHta di no i>ccbia lolu del-
pid } perfhi iDppene che mu é^uiIa li
mnlrì di prellD, come nelle eniii ioi-
perìeli H mde, e non in pratpdln, Di-
vid tiene il Inoge delle pnjiilfi dflPrv-
l'uri! al
i7-4i.ptrrtipir<*nt:
LMIiliid>a* del Pind'Ha, ■nerbatili
cbe pi lete dei doleeì i' Intèroe , fn-
mi rie iUb preghiere di Seadrigwa
iMfa di ciglia. U prine * Tnitao, che
l'aecsalielbet»: il mendg è GiKhi),
tbe ita mI Ib«id the t' inotlu cai dello
tvdic: il tene elie gli eia (ppicHe ì
Ontulime: Geglielaio II viene dnpa
4(M1. OraeaneiftUmerlotc. Del
Mila ern»lar li
rlla etti eke tonn*
GÌBde.ilfMiLt^
■» Ditiddo >
aaUiifftUofuM
nw MHuIgfià, p" le pene »1« ejli «ì
ebhe. I Salmi eraio. .™ delle Sp.rito
g«nlo partb* da lai delUli, ai Di.ìdde
it«a ìB eaw per quetlo late nierìle al.
k, B iW.f a Dm dr'prnpri ■ iiiati.l
rellliiieati plxignid.! ; par )• «t* Ih
gli rimandù il |.r.-!el. a^aaMWwl. è
al Iti ani» ilici ami di ••la.
ii-H. Ora townet rr Or* jD»
eliii) emioire die gì* '""" giadW ilM
Dunii ([BanBtoDaigiiinduaifU&itt.
f«r prrek.ein a luì atoue, aera tur»
nino, demani, qo-llo clM*r«fnlri>
doier accadrn odfenia, aggi. itOt
iteli li
1
CANTO TENTESIMO.
6 il
L' altro che segue, con le leggi e meco,
Sotto buona inlenzioo che fe mal frutto,
Per cedere al Pastor sì fece Greco.
Ora conosce come il mal, dedotto
Dal suo bene operar, non gli è nocivo,
Avvegna che sia il mondo indi distrutto.
E quel che vedi nell* arco declivo
Guiglielmo fu, cui quella terra plora
Che piange Carlo e Federigo vivo.
Ora conosce come s' innamora
Lo elei del giusto rege, ed al sembiante
Del suo fulgore il fa vedere ancora.
Chi crederebbe giù nel mondo errante.
Che Rifoo Troiano in quei^to tondo
Fos«e la quinta delle luci sante?
Ora conosce a&<ai di quel che il mondo
Veder non può della divina grazia,
Benché sua vista non discerna il fondo.
Qnal lodolctta che in aere si spazia
Prima rantando, e poi tace contenta
Deir ultima dolcezza che la sazia ;
Tal mi sembiò l* imago della impronta
60
65
7U
55-57. £'«ttro che $egme §e. Ord.
e ini.: Qoegli di« vien dopo, Per cedere
uipailor, per cedere Roma al p»M
S. SiNestro, Sotto kuona {nlensioii m«
fe mal ftutio , con auioio dì far bene
facendogli quel dono , ma dottda poi
nacaoe mal fmtto, ii fece Greco, m
traaierì da Roma a Bisanzio con le lay-
g{, colla Fede del governo, e meco, o
con me insegna dell'impero. ( È l'ai|nU
la che parla.) Fu creduto da «kiuii rh«
G)slantÌDO trasferiaae la sede imperiale
■ K<aaiioper ceder Ruma al papa ; ma
luU'altro motivo ve lo induaae, e la
ciedota cctsìone è nna favola. Am-bt
nel XXXII del Purgatorio chiuma co-
ffa • benigna la intenzione di Coataati-
no nel ditoara al ponteiice.
5Sv60. Ormeonosceee OraCotUa-
tioo comprende come non ha fatto danno
alla tua anima d male dentato dal mio
retto operare, oasia le triMe cookeguenia
dtlla sai dooaiione alla cuna n>mrfM,
aebbont per ama sia il mondo, l'impo-
ro^ andato io rovina. Fermo nei Mtoi
pnneipj Osato ricoooace lutto il diaor-
diat d' Italia a dell'Imparo dalF essere
il papa signore temporale.
61 . nell'arco aeclito: dove eomio-
cia a sceniler l'arco del ciglio delPaqoiU.
62-65. Guiglielmo secondo, detto
il buono, re di Sieilia,cui piange morto
quella Sicilia che si duole ai veder vivo
Carlo il Gotto, o Zoppo, angioino, e Fe-
derigo d'Aragona . L'ano le faceva guerra
per riciHMiurla a casa di Fi ancia ; l'altro
con sua bi otta avarizia la travagliava.
65-66. id al eembiante Ikl tuo
fulgore ec. Am-bv airauparenia del suo
splendore. Omìs : lo la vedere anche
cui fulgore di cbe fa qui brillare la sua
anima.
68. Rifro Troiano. Fa, sccoado
che scrive \ irgilio , uomo di gran gin-
stizia, e mttri per la sua patria. — iis
fucilo lo«di). in questo arco del ciglio.
72 B*nckè tua titta , di Kifeu.
75 Urli' «lliBia dolcexia, dell'ai-
time Ufte del dolce cauto , eke la f a-
ita, cbe le ba sodisfatto la voglia che
avea di rautara.
76-78. Tal mi temkiù V imago ec.
TllB
Doli' etwno pacere, al cui disio
Ciascun* cosa,qnale ctl'*, divenla.
E a\'vegna cb« io fossi al dubbiar mio
Li quasi veiro alio color che il veste:
Tpmi» a<i|>etlar lacendo non palio-
Ma delia boera: Che cose son qtiesleT
tli pin^e con la fona del suo [le.^:
Piircli'io di comiiwjr vidi gran fesl«.
Poi ap[ire*!0 con l'occhio piii acceso
Lo benetlello se^no mi rispose.
Per non lonermi in ammirar fOspc=o
lo veggio che 1u eredi queste cose.
Perch'io le dico, ma non vedi come;
SI che, se son credule, sono ascose.
Fai come qnei, che la cosa per nomo
Apprende ben; ma la sua quiditaie
Vedor non puole, 9' altri non la prome.
Regttttm cflJorum liolcniia pale
Da caldo amore, e da viva i[M<rania,
Che vince la divina volonlalc,
Non a guisa che 1" uomo all' nom sovranta.
Bla vince lei, perché vuo'e esser vìnia,
E vinta vince con sua beninanza.
mJ«,| Ji ^.n. «ai
■■(• dtU' ■xpmM diW II
riMM*. «»* rin.iH.« iu-r™"
ddÌMoU Jill'emiK. i.Mfmi, il>
ri» hfatpUfiw i> i,», •.'Isiiit
4*n* W «mi» ■•(ni •■■••. "H"' "•'
tx^aiàit» t» orma rntmfUi <
È
n wni la promt Mui
11: d il III pnrmfri. atta
>ai •FTMi <»
Al -l* Mi»-
rliMt* lM»iiii« , BH Bill" l"H« •"• I
hicn mniU |Mral«i C^ftlt.
M- ftrrli- lo di cvFTutMr «. i^r
I. A. , MT II ^ul •Ih.iihIi , n t-Ji
«ranrli Imi* di crriiHun-nc-, s, iti
• prrih* •ìiw*;i^.,ht '
La prima vita del ciglio e la quinta
Ti fa [naravi);liar, perchè ce vedi
La re gioì) degli anofeli dipinta
De' corpi suoi non lucir, coma credi,
Gcnlili, ma cristiani, ia ferma fede.
Quel de' pasnirì, e quel de' passi piedi;
Che r una dallo iof^no, u' non sì riede
Giammai a b4ion voler, tornò all' ossa,
E ciò di viva speme fli mercede;
Di viva iipeme, rbe mise eoa possa
Ko' pijc^lii folti a Dio per siiscitarìa.
Si die paresse sua voglia esser mossa.
L' anima jjiuriusa, onde si parla,
Tornala nella caroe, in che fu poco,
Credutie in lui che poteva aiulurla ;
E credendo s' accese io tantu fuoco
Di vcio amor, eh' alla morte seconda
Fu dit^a di venire a quello giuoco.
L'altra, per grazia cbft da si profonda
Funtana stilla, che mai e
«B i|»n> boninpilk e.ll> q>d< «rat
tltt-ilù CU r«■dl>U•i<•C«r-
1. „U» rf,.| p cr.,„r,.
400-102 U frim<. tira. U pHai
Tni■n.,7•''i'■ .iit.rn», u'iJm tiTudt'.
«guD. («..II. ,I.T. ■...».( la fwnla.
ci** \',a\a» A\ K.[n>. U f.n «.nti-
wrlc n i)».T.>l bui» ><.l(ri, b.nid all'of-
glbr*, >.ùt» »Ji *d.T«. .li «H L ».
M ar . I..rni> aJ .biUr* il •■» Rins ; a
til fa niarcf.!. ali. ai^rania *i>a di
S G™a.«,. papa. rf« J(« f,.rt, adi.
103-405. D^ tarpi iwHh!.CM,
a. Mni '■» tutto f 1'..».iu unii iii..rU
ai cri.. I. J.'lli I ,iiua. Vrdi la nata
il I. ìt J.'l Ciiiu X lai P>H^a(ar{ci.
«oo feniu teJei I'diu.. HI»., ckt vim
MI SI rl^ p^uauHvt*
■rimi Ji(n«OiUn.etr<lc«la ir'wiB
«»fr Mwa: u.<i.. tl.f pninw li m
*a!iinu «liiTra un allu libnn « awrì-
Il iwcifiMniKi * r>ll.u. T.«>«i, clM
l..r.« .1. M, t d. r.. 4à i .1 ckr a«i H*
*HH dtp* Il «•..Ir .<. H» lino Cri-
r.r«.l.lf.....,.Hi.,»d.l«rpa.
Ita, menilo »' pwli fili l iKn la-
113 i. ,1» /k p«w: «tu v»U
tÌoi<B»),fit inoli palii». \.A: Piirff»
lana , Cali* \ il, ilU a..U 8. Il Vt>U
pto. <>«|H. .i ir.U.-i».a.
(Ili ch'olla ii>.,rl* uan^M. Aà
tuo <.ti«.U GuiiMir II) .«lui lulir*
l'n'à^mù''ftuot0. . 4IH.U fia.
ir«li.jdi1H-«.,u..t-^..fc.
«..ti-à dal l-.r.d,..,. . <,»U iMUa
UairnA.. tA rmi-u. i cAai rk* ^h»
|odÌ...rai... - J ^.to fa... Itn. il
m >*>!«< il lu»U. . H^ui.f Ì*U
cai. H«,..illl.l,.
ll<l-l3<>l.-aJlr..la.ÌnMdiKr«0.
Vn>tM>&*i«^t«wV^**"f^^^'^ **
044 DEI' PABADUO
Non pìnse V occhio insino alla prìm' ODda,
Tutto suo amor laggiù pose a driltnra
Perchè di grazia in grazia Dio gli aperse
L* occhio alla nostra redenzion Talura :
Onde credette in quella, e non sofferse
Da indi il puzzo |hù del paganesmo,
E riprendeane le genti perverse.
Quelle tre donne gli fbr per baltosmo,
Che tu vedesti dalla destra ruota,
Dinanzi al battezzar più d* un millesmo.
0 prcdestìnazion, quanto rimota
È la radice tua da quegli aspetti
Che la prima cagion non Teggion tota I
£ voi, mortali, tenetevi stretti
A giudicar; cbè noi, che Dio vederne.
Non conosciamo ancor tutti gli eletti.
Ed enne dolce cosi fatto scemo.
Perchè il ben nostro in questo ben s* affina,
Che quel che vuole Dio e noi volerne.
Così da quella imagine divina,
Per farmi chiara la mia corta vista.
Data mi fu soave medicina.
E come a buon cantor buon citarista
Fa seguitar lo guizzo della corda.
<3l»
ìjù
i40
«Ifiio di Dio), eht mai nmsona crealnra
pfiUf, apinie , Foccliio, potè vedere,
sino olla prim'ondot «no al foodo,
alia prìaa regione di eiao divino giu-
diito.
424. Uggiii, in terra. — poto a
driUura; volte alla gioatìna, alla rei-
titodine.
422->l23 di gratta in grazia, ag-
gÌDngeodu une ffrasi* eli' altra. — Dio
gli aperto oe Mdio gli Trce conoscere il
luialero della futura retUniione e darvi
«inaila fede, per la quale unieamcnUi
oro dato salvarti.
426 pertorte, pervertite Queste
•tette anime tono cbiamitte , nel Cau-
to XXII, Terso 59, ingannate e mal
dUpotlo.
427-420. Quelle Ire donne ee. Co-
tir.: Quello Ire donne che tu vedetti
dtdU doolra mota [i\r\ carro apparso
al Poeta Milla cma del l*or|*atoni>) gli
/«r per haUeomo piit d* un milletmo
éimmnl •( à«llf»«r ; cioè, le tre viri è
teologiche, fede, «peranit « carìlfcy
gli furono in luogo di battetimo . It
gi»>tilicarono , più di oiill' anni pruaa
che Cristo instituisM il battesimo.
151-152 la radice lua, il tao ■•-
tivo, il princi|tio. — da quegli mpet"
lice.: cine. dalla %ifcta, dall' iutclligeon
delle creature, che non veggono latta
quanta la prima cagione.
156. enne, ne è; è a noi tceai*-
meoto di %t>dcre.
457. il ben nottro, la noslf« bea-
titudine.— t'affina, si perfeziona.
45K. e noi volrmo' anche noi ro*
gliamo.
150. da quella iuwgino dvrta*.
da queir iniaginr tiell' aquila dipinta iu
cielo dallo kt(v«>o I) o.
140. la mia corta tttta, dell' iottl-
letto.
4 15. Fa teguitar, fa esaer eompO'
gno. — lo guizzo della eordm, Gta la
canta per l'effeiiu, il gnino, il trcmart
della corda, pel suouo di
CANTO TENTESIMO.
In che più di piacer lo canto acquista ;
Si, mentre che parlò» mi si ricorda
Ch* io vidi le duo loci benedette,
Pur come batter d* occhi si concorda.
Con le parole muover le fiammette.
6i5
M
AAA.In che più di piacer lo etmié
cequitta: per U quale otciUadoiia
delle corde , pel quale accompagna-
niento di auooo, il canto tcqaiaU mig^
^or toaviti.
445. mentre che parlò, l'aqwla.
446-448. Ch'io vidi ec, Coatr.
• ut.: Che io TÌdi V aiùme rupleo-
teti di Rifeo e di Traiano , d' accor-
do eolie parole cbe oacivaoo dalP aqui-
la, «mover le /famnutu, cioè brìlla-
rt, io qoella guisa che ai aocordan od
OHmmeoto. le palpciire d'ambedoo gli
oechi.
CAJSTO TEHTESmOPRIllIO.
J$etndt II Po€ia im Smmnf. Ivi Mtatrtf mtm WÈmtifuu U dMmo um rito, mi gU tflrUI fm
udir» I lor» emnti, potehi la wX« é* um maiUÉg ■«• rtggtnèb* m tmmiù. Là «jm jccte mltitsimm
sorft, simbolo doUa etUaté <ol»*yf«<w» • «■ fra* «mmi* itt tpUmdori «ottono « aetmdomo ftr
fuetla. Uhc di tstl^ già fattoti ottimo mi Po^m, kaorrogMo ritpoméo iatorn» al profondo damma
dtlla predettimatiomt ; t ^uiodi mmolfettmtdoii por Som Pitr DamtUmo, tegUo roctatiomt di pmiimro
dei oiOHad degtatrmti, t dot mollo tomo eoi gnmdi prolati Umto eomtroHo agli otomgj dtl tamU
jil-ottolt.
Già eran gli occhi miei rifissi al volto
Della mia Donna, e 1* animo con essi,
E da ogni altro intento s* era tolto :
Ed ella non rìdea : Ma, s* io ridessi.
Mi cominciò, tu ti faresti quale i
Semele fu, quando di cener fessi;
Che la bellezza mia, cbe per le scalo
Deir eterno palazzo più s'accendo,
Com' hai veduto, quanto più si sale,
Se non si temperasse, tanto splende, 10
Che il tuo mortai podere al suo fulgore
4 -2. ri/Uti al tolto, tornati a fis-
^aiVi nel voito di Beati ice. Qui il Poeta
entrando oel pianeta di Saturno, at-
tuato oel più alto cielo, che , aecMido
Macrobio , influisce negli «nimi la p<^
tenxa contemplativa , lissa gli occhi m
Beatrice , cbe come idea della Teologia
ù il aubietto più grande ddruauna
contempleiionc.
5. da ogni altro intento: da qao-
lunone altro pensiero, occopaiioao.
5. mi cominciò, auppl. a diro,
a. Semele. StMneli',«iuuta da Giofe,
istigata dallo geluaa Gianvoe, cbiata a
Giove cbe a lei ti OBOttratM b tutta b
tua meestk. Ottenne la grazia, o rinaso
dalle folgori di lui ioeeoerita.
7^. Delt etermo palatEO, del Pa-
radiao.— le tcate sono i cieli. Siiilien.
te nell'ultimo verso del Canto XIV:
PercM ti fa wMntando pia eineora.
4 1 . <l Ivo mortai podere: la tao
saturai fbrxa non reggerebbe al bl»
gore di lei , ao ooo ai teaporano a|p
7nanlo per questa ctiaanono di riao.
I liso di Beatriee, eooio è detto sei
CohvilOt sono le soe persuaaiooi , cho
eootcotaodo TaaiiDa^ b Uaba V^^V^\^
CAFfTO YEriTBSIUOSECOITOO.
•53
Poscia che il grido t* ha moaao cotanto ,
Nel qual, se inteso avessi i preghi suoi,
Già ti sarebbe nota la vendetta ,
La qual vedrai innanzi che tu muoL
La spada di quassù non taglia in fretta^
Né tardo, ma che al parer di colui,
Che desiando o temendo l'aspetta.
Ma rivolgiti ornai inverso altrui ,
Ch* assai illustri spiriti vedrai.
Se, com' io dico, la vista ridni.
Com' a lei piacque, gli occhi dirizzai,
E vidi cento sperule, che insieme
Più s' abbellivan con mutui rai
Io stava come quei che in sé repreme
La punta del disio, e non s'attenta
Del dimandar, si del troppo si teme.
E la maggiore e la più luculenta
Di quelle margherite innaiizi fessi.
Per far di sé la mia voglia contenta.
Poi dentro a lei udi* : Se tu vedessi,
Com* io, la carità che tra noi arde.
Li tuoi concetti sarebbero espressi :
Ma perché tu, aspettando, non tarde
15
so
25
30
l3-4y iVfIfiMi ee.:nvl qaal grido,
UT il qaal grido, m avewi inteso la
;hier« eh* contenera , ti iarebb« già
i la reodetta eba Iddio pnenilerà di
pastori ribelli a Dio, eoa antepon*
» il fasto roondan» a la omiltà iusa-
t« da Gesù Cristo , veodetta cbe ve-
> prima di morire , beo presto. Par
acceoni alle svaotura di Bonifaxiu e
saa morte.
40^4$. Lu spada di qitoitii te. La
tizia punitrice di Dio iioo arriva né
>po presto , oè troppo lardi : — ma
•e Boo che, al parer, neir opinio*
li colai che o l' aspetta coti desiderio
ra altnii , nel qaal ca>o gli par cba
ii troppo ; o la p.iveuta sopra se stes-
a allor gli par t oppo prirsia \ ma in
tà la vendetta di Dio ctilpisce sem-
nel giasto tempo. Il \i%. le^jige Ai
io maiy al piacer di colui ec., a il
la la dica leiioDe più cluara. A me
I eba dalla com., cli'iu bo prefe-
j emerga on svaso abbaslaiiza chia-
ro a aonvaoiente perchè naila ■ cangi.
21. to 9itla ridui, ridaci, rivolgi
gli occhi. — l'atpelto ridui l#>ggooo al-
tri. Bidui è deli' autiq. riduira o ri-
dmere, oggi ridurrà, imitato dalla for-
ma jsrovrnzala.
22 dir issai: alenai Mas. ritéfmai.
23. eperule^ sparetta, globetti.
2!i.-ra|)refiia, reprìme, rìntnisa.
altrì l«'gga ripreme; càe deva tenersi
nel senso medesimo di repreme, rapri»
me, o riprime (iat reprimiO, scambia-
ta solawmitt della vocali, coma in molti
casi veggiamo avvenire.
'26. La pania del ditio , Taento sti-
■kolo dal d«'»i(l«i-io.
21. ei del trvppo ii tema.* tanto to>
■a di aiaera iiiiportuoo a molesto eal
truMio domantlara. Il «< è pleonastieo.
2a. iaeuUnla , riluceota.
2U. Vi quelle wiargkerila, di qnal-
le gioia reltrsli. di quelle beata anima.
33 Li latti eoncelli ee.:i tuoi de-
sidarj sarebbero già da te manifestati.
CANTO VENTESHM>PRIMO.
647
Tanto, che noi seguiva la mia hioe.
Vidi andw per li gradi scender gÌQ!K>
Tanti splendor, cbMo pen<tti eh* ogni' lame
Che par nel ciei, quindi fosse dìÀiso.
E come per lo naturai costarne
Le pole insieme, al cwninciar del giorno,
Si muovono a scaldar te fredde piarne;
Poi altre vanno vìa sema ritarno,
Altre rivolgon sé, onde Fon mosse,
Ed altre roteando fan soggiorno ;
Tal modo parve a me che quivi fosse
In quello sfivillar'clw insieme venae.
Si come^in certo gvadosi percosse ;
E quel che presso più ci si ritenne.
Si fé sì chian), eh* b dicea pensando :
Io veggio ben T amor che tu m* accenno.
Ma quella, ond* io aspetto il come e il quando
Del dire e del tarar, si sta: ond' io
Conira il disio ft> ben eh* io non dimando.
I^cri h* ella, che vede\'a il tacer mio
Nel veder di Co!oi che tutto vede.
Mi disse: Solvi il tao caldo disio.
Ed io incominciai : La mia merrede
Non mi fa degno della tua risposta ,
Ma per colei che il chieder mi concede,
30
35
4f)
45
6Kè
za la mim Iure, la mia TÌtU.
32-33. ch'ogni lumrec.tcìtie quin-
di, da ivi, giù p«r quella «cala fiiiliflbit-
òmu ^oaiilo lime s' arcuglie , e a Qoi
ti mostra per l'ampio tpaxio dr] dato.
35-36. Le pole ee. Lt' c«imarrbi« ,
onde acaldar le ali TrtiUlc pel gei» della
ooile, si BMMTMio insinne, ec.
59. fmm toggiamo, rimaogiHM nt\
luogo, Don te oe armiUin».
40-41 . Tml wutdo ec Mi>TÌnenli ai-
mili a (|Bdli delle pule , delle cvrMC-
chie, parve a me rlie r>Mero /» qmgUo
efariiiur, io anelli sfavilliinli spiiili.
della srala erano diaaeei
che dairallu
iosirme.
42 Sì come in cario grado ee.: lo-
stoeliè si fu eoo iai|Hf(u ;;riuio \qmUo
efaoiltare) io uo gì atlo di nao ecaJt.
43. E quel ee. E quello apirìto
beato iIm ai feroid più prcaao t me ed
• Beatrice.
43. famor, cioè, il deaìderìo di
aoddisfare alle mie diuiande.
46. ifa quella. Beatrice.
Al. si Uà, sta seota far molto , o
ceoDQ.
48. Contro il disio ee.: mid*i«ro
beoe, die confra U disio, contro lo ati'
mulo del mio desiderio , o freoondo il
mio lirsiderio , non aVanxo alcaoa do-
manda. Aironi testi, invece di d^' io
non dimanda , hanno l' io non do-
tnomdo; che viene a dire il oiedesimo.
4U. i7 laeer mio, cio4, il deaiderio
eb' io taceva , che io mi chiodeTi Bel
petto.
31 SoM il tuo ealdo disio. Aori
il cbiuao ardente desiderio; JBtMO-
•tolo.
32. La mia mereodo, Q 0^ ■#-
rito.
54 . Ma per colei, ma pei meriti di
Beatrice ec.
6iS DEL PAEàDISO
Vita beata, che ti stai nascosta
Dentro alia tua letitia, fammi nota
La cagion che si presso mi t' accosta :
E di, perchè si tace in questa raota
La dolce sinfonia di Paradiso,
Che giù per l' altre suona si de\'ota.
Tu hai r udir mortai, n come il viso,
Rispose a me; però qui non sì canta
Per quel che Beatrice non ha riso.
Giù per li gradi della scala santa
Discesi tanto, sol per farti festa
Col dire, e con la luce che mi ammanta ;
Né più amor mi fece esser più presta.
Che più e tanto amor quinci su ferve.
Si come il fiammeggiar ti manifesta.
Ma r alta carità, che ci fa scr\'e
Pronte al consiglio che il mondo governa,
Sorteggia qui, si come tu osservo.
Io veggio ben, disvio, sacra lucerna.
Come libero amore in questa corte
Basta a seguir la provvidenza etorna;
Ma quest*c quel, eh' a cerner mi par forte.
Perché predestinata fosti sola
a
€)
6i
:o
55. rifa beata, o anima beala.
56. dentro alla fua Utitia : den-
tro la luce . che ti fa lieit e beata , o
per cui è tigniCcati la tua etema !•-
tùia.
^. che ti pretto mi C aeeotta : che
ti ba fatto venire tt preaso a me. — mf
f ha patta, logge il Viùani eoo molti
teati a penna.
58. in quetta ruota, in qnceto
odo.
61-03. 7tt hai l'udir ee. Int.: il
tao «dito è di bull* come la tua vista ;
però QUI non si <-aiila pir la capitine
itcaaa perdiè B^'alrire non ti ha riso,
doè, perche tu ti farceli qnale ti fé Se-
àele alla piearnza di Giuve. Vedi ao-
pra al tenw 4 e •eg.
67. Né più amor, né magipor can-
ti BÙ fece Kendcr pio pretto delle al*
Ira a aodisfartì ce.
66-4». Che pike tanto ee. : doè,
ftthci tu, in per qncaU K-Aa ^ \cn«
mriU iMte, c^aanla è \a nw, • «mibia
pia, come pvd comprcntlere dal grada
dd fiammeogìare di qaeale anime |Cbe
è aegno del grado dì ior cmritb.
70-7t . l'atta carità, Tamar dìvM,
éh$ ei fa terre ee. : cbe ci fa diapaitt
e pronte a aenrire alla pini lidenia g»>
Temotrìce ddr nnivcrao.
72. Sorteggia gaii.* aortioee ad «W^
|e qui qual più gli piace di q«eili afi-
rìti a quel ministf ro die e«ao aour ^
vino VDule eaegnito. — copia la at-
terra: come paci vedere dai Tai] afain
movimenti. Il Poatil. Caet. ialerpr«b
DÌO particiilai mente Sarteyfim: éiéit
in tortem ut venirem eui ta.
75. tarra lucerna: « beata aaiaii
naplendente.
74-75. Come libero amare ee. C-
flM in queata cvrte celeste ooa e' è
goo di lorea , ma batta amor* aclle
libaith a tegnire ed eae(«uire W
liooi della eterna provvìdeain.
1% « t«TiMT m< ^r farla ! ai ■«
CANTO TEIITESIMOPR1MO.
649
A questo ufirio tra le tue consorto.
Non venni prima air ultima parola,
Che del suo mezzo fece il lume centro, 80
Girando sé come veloce mota.
Poi rispose V amor che v' era dentro :
Luce divina sovra me s* appunta.
Penetrando per questa oiìd* io m* inventro.
La cui virtù, con mio veder congiunta, 86
Mi leva sovra me tanto, cl^jo veggio
La somma Esseniia, deilaj|uale è munta.
Quinci vien 1* allegrezza ond* io fiammeggio,
Perchè alla vista mia, quanr ella è chiara.
La carità della 6amma pareggio. 90
Ma queir alma nel ciel che più si schiara,
Quel serafin che in Dio più T occhio ha Osso,
Alla dimanda tua non soddisfarà;
Perocché si s'inoltra nell'abisso
Dell' etemo statuto quel che chiodi, 95
Che da ogni creata vista è scis<^).
E al mondo mortai, quando tu riedi,
Questo rapporta, si che non presnmma
A tanto segno più muover li piedi. .
78. contorte, frinminilf ploralo di
contorlOt cbc vate compagno.
80. Ckg dei $uo mezzo ec. Vnol
dira clie eoudaciò ad agcirarai intoroo
a f è stiito. ^
82. tmàtf dka r' er« dentro:
l'anima Wata dia era ilaotro quella luca.
83. Sowù me i^ appunta: ai dirì-
ge a punta ^ ?i«oa a ferire a rag^o to-
|)ra di me.
84 . Penetrando per q%e$ta, atlra-
venando queatri luce, oiuf io m'tnreia-
tro , cioè , di cui lon nel ?entr4*, «> nel
ventre della quale mi sto. — onde, per
dote, o in cui, è usato ancba da altrì
jnliclii. — Varj Cudd. hanno in rh'io
m'innentro, lezione certo pia facile
rd uvvia; ma nella novità e oell' ardila
«leir altra fui ina tento piti il genio l)an-
UiK-o, e a quella m'attengo.
85. La cui rirtù Int. della loca
divina. — con mio teder , colla naturai
luna del mio intelletto.
87. della quale è munta, dalla
<]uale somma Esaenze dìsiae la detta
luce i uoe emeaazioae.
.S8. ond' io fiammeggio, per e«i io
folgorapgio di luce.
89- 90. Perché alla vista ee. Per lo
che alla chiar«*zxa «Iella visiona eha ho
di Dio faccio pari la chiarena dalla Inco
che mi cìrcumla.
93. non todHtfara sta per non
toA/tt/aria ■ Qui'Sla dcbinenra del modo
condizionale era frequente ai Provenxa-
li, a fn uaata anche dagli antichi ooatrì
acrittori. Fra Goittone: Come $i eoo-
venera a Dio ierrire. E il B. lampo-
ne: l'olenlier ti parlata , Credo che U
giovare. — Chi lo interpreta par nn fa-
tare a' inganna.
95. tfefiilo, decreto.
96. teisM, disgiunto, lontano: non
paò et^tre compreso da umano inlel*
Ittto.
08-99. quetto rapporta ee : cioè,
raeeanta qaesfa imp<>S4Ìbilith di pene-
trare V arcano df Ila divina pradeatiae-
xione, aceioecliè il moad« ^«^ ^^««««a.%.
pik «Ro«cr U ^\ed\ ^ ^\ '^x^ %t^^%x%\'»f-
vealicanAo^ o A"\ t\eeT«%T^ «tt^\%.^**^^
650
DEL FABADISO
La mente che qui luce,' in terra fnmma ; t<H>
Onde rijj^iiarda eoflie può laggiue
Quel chenon pnote perchè*! ciel Tas-umma.
Si mi prescrìaser le parole 5iie,
Ch* io lanciai la qtrótione, e mi ritrassi
A dimandarla umilmente chi fue. \0ì
Tra* dao liti d' Italia sargon saasi ,
E 000 molto distanti alla tua patria,
Tanto, che.i tooni assai snonan piò bassi,
E fanno un |hibo, che si chiami Catrìa,
Disotto al quale è oonsecrato un ermo, no
Che suol esser disposto a sola latria.
Cosi ricominciommi il terzo wrmo ;
E poi, continuando, disse: Quivi
Al servizio di Dio mi fei si fermo.
Che pur con cibi di liquor d* ulivi, lis
Lievemente pas-oava e caldi e gielij
Contento ne* pea«ier contemplativi.
Render solca quel chiostro a questi cieli
Fertilcmente, ed ora è fatto vano,
400-401. La mente ee. Int.: la
mente umana , che in cielo è loco, in
terra tumma, cin^, è invitila <li tenebre
par ringiimbro ddla materia ; iinde con-
•idera la rome etMr ptiua rlie easa nan»
te aia alla a comprendere la^gio i|uello
eba Don pnd ora ec.
102. perchè 'l eirl l'aitummmt
sebbene il cielo la fa MMiiraa l'eleva,
o l'ha elevala, al più aUii|;railo di per-
feaiona. 11 verbo attuwmare è fatto
dall' afig. Bummo pi'r eoinmft Altri co>
maatalorì pi>nkano die astummui atia
per eueuma r«ddop|Miiia i ai . e«Nne
•opra pre^umma per pmuma. E i
Codd. Pat. 2,0, banno di falli qucaU
tre terbi con una si<la m.
103. fi mi preicriurr, rm'i mi li-
mitai ono, rcalrinccro coki il mio vo-
lerà.
t05. A dimandarla^ a dimaodara
la detta anima bi>ala.
t06 Tra' duo liti ec.: eiaè. Ira il
lido del mare Tirreno e il lido drl maro
Ailriatico. — iurgom ttuii, •'aliano
gli Appennini.
408. Tonto che i tuoni ee. Tasto
fvrf ono, cbe sorpauMno la Meomla re-
gione dell'aria dova, •ecoodu Arislulelo
nella Meteore, ù generano i tnoni.
409. un giMo, no rialto. — €*•
tria. Questo rialto è nel duralo di Or*
bino tra Gubbio e la Pergola.
4 IO. «N ermo. Il convento Jì Sta-
ta Cn«e di Ponte Avellana delI*Orftac
Camalditlenaa . diive l>40te si Irntlenne
alcun tempo, secondo che diBOBOi ciiM
il 1318.
1 1 1 Che tmoi eteer diepoiÉ» «e. .*
che ha per istitiitn cadusivamvnle la c*^
leinplasione di Dio . o la vila coole»'
plati%a- — latria, vi>ce gr., diccfli il
enfio che si da al vero l>io.
112. fermo, Kermnno. — lai ai.
perrhe è la tena volta « he ai fa n par-
largii.
115. Che pur con ribi ee. : che etm
aoli cibi pre|ianitt con t lio ec.
416 Liert mmle. fdcilmealp,trna
sentimi* nma.
118. /tenr/tr fo/ea er.: aole^tt^ncl
chii*stro rendete al paradiso mnm mÒH
fertile, cioè dare a l>io molle aaimc
buone.
4 19-120 ed (tra è fatto rcM: ed
ora è SI vat»te di operr bnuno, < W
ccmariaiiiente si farà manifeala al
la sua pre^aricuione.
CA^TO VEKTesilfOrBIMO.
65 1
i%\
Si che to<ii|wnvìen che «&- riveli. 120
In quel loco ftf^io Pier Damiano,
E Pietro Ficcator foi nella ca^a
Di nostre Donna in sai lìto adriano.
Poca vite mot tal m*era rimase,
Quand* io fu'ebieatoe tratto a cpnl oappello, 125
Che pur di malo in peggio si travasa.
Venne Cepbàs, e venne il gran va»llo
Dello Spirito Santo, magri e scalzi.
Prendendo il cibo di qualunque ostello.
Or voglion quinci e quindi chi rincalzi fso
Li moderni pastori, e chi li meni,
Tanto son gravi, e chi dirielro gli alzi.
Pier Dmwtimmo tìm« nril' II estor fuU mUut , dt^mdem ordim ,' a
^Peèro-ihmkmo; fu«tf ut'pntiktB fui-
tum; imo Petrut Damianu» 99MVi(
M nomine proprio in prkmo loco
Keàrim; in tetnnóo vtro gréiia km-
milUmfis ^ocavit te ?Hnm porcaio-
rem. • Di certe difficullk •Inridice-cro-
Doltigifhe eheti oppongono da alcnni
contro questa spìogazituit non è da far
gran conto, perchè, come altrove tv-
tertimmOf gli antichi sa lai punto non
eerraTano tanto i«>ttilmcnte; e la voce
pofular*, nei fatti dalla turo età remo-
ftce. Era nato in Kafenna, a fatti i taoi
Ntsdj, craai ritirato nel aooaaétro di
Santa Croee di Fonte Avellana. Il papa
Stefano IX, conoacinta In virln a dot-
trina di lui, lo nominò cardinolo a ▼•-
MOTO* d'Ostia nel 1057. Fn adoperale
nei pin importanti afrarì del tuo tempo,
a per tutto ti mostrò prudente e lelin-
te del bene della chiesa . Nei ^noi trrit-
U sono molte querele contro la vita dia-
soluta dei eherici , e la immotlestia e
ambizione d« prtUti. Mori in Ptrmn
nel 1073.
122-125. j; Pietro Peeeaéor fki
neUa rmta et. Molti Cnmeiitatitrì , tra'
quali il' Guata, lesaen» invece B Pietro
heecaUir rv nella eatat « crederono
che il Damiano acconnasae qm Pietro de-
Jli Onesti cognomin sto il Peccatore, che
linciò il monastero di Santa M.tria in
Porto sul lido mdrimno, o adriatico,
presao Ravenna ; e che il Poeta faceaae
soggiungere al SÌinto qneala avvertensa
per notare la eoiifuaione che nlennì
a' tuoi tempi facevano di questi due
Pietri. Ed io pure tenni tale opinione
nelle prima edit.; ma perendomi poi
che r intromissione di quella propoai-
ti(»ne rìn«cissr fredda e p^co opportuna,
e sapendo d'altra parte cbr S. Pier Da-
■iiino usò veramente «n tempo di ebia-
meTf\ Petrus Peecmtor, e coneiderato
•■ehe tulle insieme la frase, mi pi«f<qM
di seguitare Benvenuto de lfli«>la rW
Ifsse E Pietro peecutor /Wt, e fomen-
tò coti : • Ethie nota t^uod mmititmnl
(terepti hie dicenlet qumi Pelrui pu-
tì , era per lo più il sol» an-hivio cbe
consultavano. i>el resto lascio libero ad
ognuno il prenilere delle due qual più
gli pi» re.
425. a quel rapprllo, ini. il cardi-
nalixio. — tratto; notalo: non lo bri-
gò, né lo comprò.
426.<i Irovaea, si trasmette da cai»
tivo uomo in peggiore.
127 Cephàt.S.P'ieìro.^Ugran
tqhIIo, S. Paulo, chiamato Vaso di ele-
xione.
129 prendendo il eiho te., pren-
dendo cibo (lo^uii'|«e si trovavano, e
contenti a nu«'l che veniva loro poeto
innanxi dell «Itrui carili.
130. or ut^liim re Co^tr. : ora i
moderni pastori \«igliono chi rinted%i^
dii dia loro di braccio d' ambo i leti, il
Poeta rìniprovfra il fasto mondano
de' romeni prelati, allontnoatiai dalla
poterti! e seiiipliciti degli Apeel«U«
431-ió^ cW U mirKVV%V>a^V«!fc-
•oU. — gT«ci , tl^'^'^^V *^^«>^ ^^x
CA^TO VENTESIMO^CONDO.
659
Quindi mi apparve il temperar di Giove lib
Tra il padre e il figlio, € qQmdi mi tu chiaro
Il variar che frano di lor dove ;
E (utli e fette mi si dìmostraro
Quanto Fon grandi , e quanto eon veleci »
£ rome sono in distante riparo. 460
L* aiuola che ci fa tanto feroci,
VolgendomMo con gli eterni gemelli,
Tutta m*ap|iarve (faT colli alle foci:
Poscia rivolsi gli occhi agli occhi helli.
figlinola di Atlante e madre di Merco- ^ello. E poiché lappiamo che il sole
riOf e (|ai è presa per lo ateaao eoo pi»*
neU. — Diont fu madre di Venere,<ed
i preso parimente per la slessa Venere.
446. Tra il padre e H figlio, jnaè^
tra il pinncta di Saturno e i|ael ài Mtf^
te. Aitribnisce ai pianeti le ^nalitè dai
Dami ds cui lolsero il nome.
\A7. di lor dove, del laogo loro^
per cui sono ora piò ora mrno diataali
dal sole, e ora innanzi • ora dtetro a hù.
t50. fi come iono in dislonts ri»
paro. E rome sono riparati, difesi Po»
dall'altro a ona gtnsta distana. Altri
spicffa rifaro pt>r allo(»frin.
45l-lì»2 L'aiuola: inleod« parti-
colarmente l'«<misfero nostro abitato,
eh' egli era gninto a dominar tvtto-
Suaoto eolla vista m<*nfre v«d(;easi coi
Gemelli ;con che ei fa sapere che l'astro
•re va««lo avi meridiano di Gcr»aa-
lemme, le qoele è immr!Ìnata nel coi-
aio del •ostro- emìafen», enico punto da
MI pelea iverai le vedota di 'tatto
•ira in Ariete, poaaìamo anche calcolare
che i Gemelli si tro\ arino sul meri-
diaoo di GerosalcDime un* ora eirci
dopo vespro , quando il sole era gik i
n§nà% cirra da foel meridiano ; ossia
aeendo per l'Italia era un'ora quasi
Jope •roexxodi. Vedi le Appendici alla
fine del Canio XX MI. L'ha chiamato
etSmota, piemia area , anche nella Mo-
uarekia: m Vi im areota morlalium
Ukere emm pace vioalur. • E tale deve
apparire a chi veda la terra dall'alto
in mezzo alle aeque. — che ei fa lanlo
feroci: pel possesso della quale ci f.c-
eiaro tanta guerra , o della quale ao-
-dìam tanto superbi. — gemetti etond,
■perche incomitlibiri, come tutte le coie
•alesti.
4S5. da^eolH atte foci: do*, «Mie
montagne donde i fimnì hentio origìiw,
•i mari ov'ewi hanno le foci.
194. ogN oteki btlli. SetlialMdl:
di Beeirire.
CAJKqre wexTWsmwmmvFMmm.
Simté0mm Cttm Crum t Ètmii» ^MTaM» MS «n
««UHtf/v ut/mttm di Jtgeit « </i Smmit, I0 tmm étt Fifétm et Ihm loglit ai Potm to MiM ttéOt mi-
tr$ Mtf. mm. Imi ruutito mll* Bm§nrmm, pmh 9rdti9 àuttmimmttmu gti ultn mmnteolt é«t Pmradtt$.
L'À*rmmieH9 GtiànHt Mfméa m f»rmm étjlmmmm m mmtmr Umna, te f««l« pm fH^wm, 1 1 fcefi
Cerne 1* augello, intra l'amate fronde,
Posato al nido de* suoi dolci nati
La notte clie le co?^ ci na.^on(le,
1 -le. Cmne fau/; e/ fo ce Costr. a (dopo svit riposato) inira tornate
ini . : Cerne tmug»Uo ehr la wMe (in^'ì fnmde al nido df'fuoi dnki nati, pur
notte) ekt le cose ci nasconde, poeedo che, sol che, l'alba ii«stc^« V«\ «.uV
Che, per veder gli ai^ielti disiati,
E per Irovar lo cibo onde gli pasca,
In che i gravi labori gli san grati,
previene il lempo in bu l'aperU frasca,
E con arderle afTeUo il Sole as|)eUa,
Fiso fiuardando, pur che l'alba nasca;
Cosi la Donna mia si ^lava erelta
Ed allenii, rivolta inver la plaga
Sotto la quale il Sol mostra men fretta:
Si che vergendola io sospesa e vaga,
Fecimi quale è quei, che disiando
Altro vorria, e sperando s'appaga.
Ma poco fu Ira uno ed altro qaando.
Del mio attender, dico, e del vedere
Lo elei venir più e più rischiarando.
E Beatrice disse: Ecco le schiere (*)
I>el trionfo di Cri>io, e tulio il frutto
Rjcolto del girar di questa ^fxro.
Pareami che'l sno viso ardesse tolto;
E gli occhi Bvea di letizia si pieni.
Che passar mi convien senza coelrutlo.
Capirla fiuta, «ull« punir
pono.itmariinlraffttlo.;
«pelli dHÌaliiIri figli, tprr
ci'to(HHf(gl<piuFd.>iichrt"<ll>rT' <H>a, tu I' ui<> ■ J'aUi* Umm.ì
(■ iti auk) gli IO» frati j gr«i qutllu dd ai* ttuaitrw ^inkfa
latori, flì KB dolci ■ griJouli le pia >iii. e qufllt. di i«l«« il àfc*«»
Mata «rctla 'te. O I ShiI ■ Miri* Vwéhm.
41-ia. rirolla InMT In nlaffaw. IS-21 Ir irWffw (laj tHMfl*
HltalttKtMtuillipirlf n<4iid<lù(- Critln.*«n(li'W»il>ulnfi,«H>ir
l«, wiii <|n>l« il lirin d>l »lr «uibn (•■li éa». .i(l«ì>.. d.l tHMt, tC»
p>ilMU.QiM*^ìl»l*>or(*d*ll'iirì>- •lo.SiluiiiaBnw'HHla natoceli.
i<«l*lfmiln,r«nknd.'«>rniclai- t. 120 —■ IhUu 0 /rMIs Stadi* * '
l|l>>NÌMii ni ^oilli ìaa^rtu t> 'limi- • UIU il Imiu ntc.llo éàO, Wfcfc
Doim di frìtKipìe eoo moli* npidill : inlunti' di murtla ttir» tjnilmi. U
M, finlmlD CM, (RoiUnaluii il vAt al dciniuni , ■ delle lUll* 4ifami^ tm
IMO* del «rio, un cbt l'anbn pan- loro infloHi ■ tiri* <Jit^la lim ■»
tsBMi HMini. AII'iMunire nnidaiuM- «litu la Isio» da m* la a «III il te
UnnedloiiEindMi allora ci» il tnic ta IX, TWti lOT-tU:
—.ite!
IS. ntpaa, totpau io ■•prltando, nanila
~ f^a, ìniiartn in ti>U. Iin|ai|{
CANTO TEirTESIMOTEEZa
Quale ne' plenilanii sereni
Trivia ride tra le ninfe eteme,
Che dipingono il ciel per tutti i seni,
Yid* io, sopra migliaia di lucerne,
Un Sol che tutte quante 1* accendea,
Come fa il nostro le viste superne ;
£ per la viva luce trasparéa
La lucente sustanzia tanto chiara.
Che il viso mio non la sostenea.
0 Beatrice, dolce guida e cara I...
Ella mi disse : Quel che ti sobranza
È virtù, da cui nulla si ripara.
Quivi è la sapienza e la possanza
Ch* apri le strade tra il cielo e la terra,
Onde fu già si lunga disianza.
Como fuoco di nube si disserra.
Per dilatarsi ri che non vi cape,
E fuor di sua natura in giù s* atterra ;
Così la mente mia tra quelle dape
Fatta più grande, di sé stessa uscio,
E, che si fesse, rimembrar non sape.
Apri gli occhi e riguarda qual son io;
Tu hai vedute cose, che possente
Se' fatto a sostener lo riso mio.
Io era come quei che si risente
661
25
30
3^
40
45
26. Trinim è ano Je^eogooni di
DMM,f<rcnit'inUodeialuu. — ride
irm U mmft tUme, tplwide, cioè, tra
1« ttolle.
27 . p§r MU i im^, per tstCi i hli
dì flfso.
30. Com$ fa il noUro U viii9 tw-
p§mé: eooie fa il aottre loU, il 4m1«
aceeod» |Me«iido il falso fialeoia di ToÌo>
Dieu) la stella cha aopra di noi vcdiano.
32. La luunl» iutiMuim. Era
V nmaoiti aaoliaaima di Gasa Criato.
33. Che il pisowtio: che la mia Ti-
tta. QacaU lai. è dai Codd. Valia. a
Chif . , a ni è acnbrata migliora dalla
eomuna M 9Ìio mìo, che «of» la Uh
ttenea.
34. OBealHeffee. SoUiotaadi Mcfe.
mai.
33. QmHdiatisobranta: ^al cba
ti aopraTaaia: qual cba TÌnea it toa
TÌbta.
37. Im iopimta ce.: aloè, Il aa
pianta a il poaiaDta (GaaA Criato), cIm
apriae.
Se.Oiuia ae..*dal ^ala aprioMata di
atrada fa l'i lango dasidarìo odia fanti.
40-42. Coma faoeo aa. Caatr. a
int.: Coma fuoco alattrico H dioiorra,
ai sprigiona, di muta, da nna n«ka,|Mr
dilatmrti, a aagiona dal ano dilatarai ili
nodo , cba non paò pin asaar eontamrto
dantro la nnvola ; — E fuor diamm flr«-
Uura Irha è, saeoodo la cradanaa def^i
anticbi, di tendere in alto) m gié t^at'
tarrm, saanda a terra; Cosi to Mtii-
..If ae.
43. dmpa, per dmpi, tiTanda, la do-
lala dal paradiso.
44. ai s4 tfatM «laeio: waék dal na-
turai ano modo dì operara.
45. eha ai futa, eba aaaa faaaaM.
— non tapi, non »a.
49-50. e^ H rii#iil«, eba ba ^al-
CANTO VENTESIMOSECONUO. 6'J5
Tunlo divion qiianl' ella lia di f>o^«anza.
l'eiò ti prego, e tu, padre, m' accorta
S* io posso prender Unta grazia^ oh^ìò
Ti veggia i con • imagim soovertai 00
Ond'egli. Frate, il tuo alto disio
S'adempierà in su i*iritiaui«par»y
Ove s* adempioirlalU gtt'tMrt» • il mìa
Ivi é perfbiia, matura •eiiiilersi
Ciascuna diaianzftC' in^qnella sola h
È ogni parte là dovtfaempv* era;
Perché non è ih luogo, • wn a* imperia,
E noaka aoalai inflno ad essa varcai
Onde cosi dal vte ti'i^^?o!a;
Infin lassù la vide 11 patrivcar 70
Jacob isporgar'la aDperBa:parla,
Quando gli appanw d' aageli si carcat
Ma per salirla OHtnaHDRdiffarte
Da terra i fdaii^.» la regola mia
Rimase è giù per danne delle carte. 75
Le mura, che soleano esser badia,
Falle SODO apelooelie, e le cocolla
Sacea aon piene di fimae^rìa:
■■■fi, mm Auto tniifof ptnht bm- h-
'#f«,««NrM» la l«M|».Nrl Convivi» /•(PhNiibomcId^
et m» ■•»• m l««ig*, OM furtaalo (n mU ndk
ti. VmifWtpkrà •A fimtmàm h- h piota nuMton !■ i— *• » ^rmà àìm^mm
toAHraniasrlValfiMi «|Hf«» im» Im i pili, ìhiih-m» i ^alì « |iri
CMè MVtHMfM, wmmm • rfvCt» m1 tl^ <ii|l«o «rf «m«, «il «mi «fcri^
CMto> Wf m Wararftonu.— > ^mi 69. OiMlec«w«ctal«<f9tft'iiiMlt.
BMaati MMfMl«anlt;ji ■■■•Iniaa* Liiaili wm I»mm «iaia 4i •(•ai» ^ìUi
wl«nMÌilwiirtifMflhi. BiIffMill. ▼■•«••
U
!«*... IvMipIntltoMi^ 74'. Ufwrg^r Utmptrnm fmU ,
m^t mi m f^mmUim tln4er«, Mttalaara la m« ««•>
«Mtaren fMi /MmmÌ I» 74-7S. t te rtffito «ite mi: la arit
Nfnia (di S. BentNletti») dw iaavfiu • fi»
•4. ptrftlU^ fm l'itiilti, cb»4 mt» ivliUMMiMfiu a scila di«NM*eaa.
■;a»ter«, |pOTillMif«,pMllè«4- lawflaiiiiaii , è nmaato od m— de ptr
•BOMiuiara ioatilNMcnto la carta ovt ti
tanva a w traacnva j parciwcDv san
pièdà l'aasarvi.
7a ^Mfr *Mlte, ah* fii ft fMate
la^fMiila iato mi lalii I» àÌM loMgM d* ««mum prrfHli, di moIÌ.
qaallk aaliafara la ^orCi 4» mm •■» 77»>7a. fprfoiiHka; ricovaradli
niotaaaaillM|a|cioa:^Mlla-afMaiè/ tliaatf. — a la ef*€oUt te., a la capya
la a«dt Ira Uiiltw.ihi ri— igi i— » MaBacali riaaapraaa da* Calti dnratii^a
ImI». àn
CA>TO TENTBS1M0TER7.0.
Quivi è b ro?a, in che il Yerbo Divino
Carne si foce ; quivi son li gigli,
A) cui odor si prese il buon caniroino.
Cosi Beatrice. Ed io, eh* a' suoi consigli
Tutto era pronk), aneora mi rendei
Alla battaglia de* deboli cigli.
Come a raggio di Sol, che poro mei
Per fratta irebe, già prato di 6ori
Vider coperti d* ombra gli occhi miei ;
Vid' io rosi più tarbe di splendori
Ful^iuratì di su da raggi ardenti,
Senza veder principio di fulgori.
0 benigna virtù cbe sigi* imprénti.
Su C esaltasti per largirmi loco
Agli occhi lì, che non eran possenti.
Il nome del bel fior, di' io sempre invooo
£ mane e sera, lutto mi ristrinse
L* animo ad arrisar koJÉjtggior foco.
E com' ambo le hici mi dipmse
11 quale e il qmnto della viva stilila,
663
75
SO
85
90
73. (a rosa. Int. Varia Vei^ne,
chisntata dalla Cliieiia rota mislieu.
74. quÌTt M» li giìfli. Più itoti»
cb« tuU» i (M'ali ia ^nerale , Hi* wùoo
»lati cspmfti Mfra acl bel yiaréb», i»-
lenderci cvirAouD. e il pMktill. CaeC
TI arrivaTtno pie. Il fine di questa eie*
razione è «letlu todo. I Codd.Vat., Aiit.
e Cbig. kenno eeperl» d'mmkrm, rir»*
rìU «I praté.
9ìi Obemiffmtirtù.Soii.ié'iGetk
Cmlo. — che ti gV impronti, ehe eoib
per qnrsii gigèi gli A|m«I»Iì , ab* col- «qvci Reati inipruulì,argni(i«l taci
rodure delle luro virtù traaacro a Ori-
•to le genti.
77>78 mi rendei et.: ni rimiai ad
• fTalicare la \'ì%\» debile nella (itrte luea
cbe emanata dagli api«nd«ri die mi to-
prastavano.
70-^4. Coaiearafyioec. Goalr.e
ini.: corna gli occhi mici ombrati da
alcana nabe poeta iacnntro al auU fi*
Jero talvolta un prato di tari, illanii>
nato da alcun raggia, ek§ fmp md,
cbe trapaaai achii tta pet pìcaib afatia
lasciatogli dalla oub« f\rmllm, rolla,
tcBxa vedere easo s:de ; con vid^ io al-
lora più tarbe di splondori ful(;iirati da
ardenti raggi cbe pi«»voan dall'ella,
sema vedt're il piincipiu dwade parti-
vani la trnjgnrata luce ebe da aè ritei»
tevaiio. Vuol farne lalendrre cba eoa
vrdca pia cooir prima Gesò Criala, il
sole illomtaaate tatti i beali , perchè
craiii alzato laato, cbe i suoi uccai
8G-87 Su t'esaltatti, ti levaali pie
alto y per largirmi Uteo , par dare ai
miei o<-cbi non capaci a soaleaav la im-
meusa tua luce, facoltà di otaenrare ^ael
cba era li.
88 del bel fior: della raaa so^ n
naaiinola , di Maria Vergine "-^ ck* io
tempre intneo ec Si noli V aaime relW
gioso e de\iilo del Piteta verso Maria;
Dà creilo certo cbe alcuo lo poaaa taepel-
tare d' ipocrisia.
80- Ua la/lo mi ritlrinte Vmni-
m'i; rarctiUe tutta la mia aUensioae ai
aacJMMT lo majgior foco , a diaceracre
e a fiaaar ci»gli occhi lo splendore di Ma-
ria , cbe era il maggiore degli altri iti
rimasti , poseiarhè 4acUo di Geaè CrìMa
ai (a alliHitaniito.
ai -93 Erom'omboklmioe.Cmìlr,
e ini.: E rome , tmluchè , il qwale a tf
9iMiiil'> della tiro tiella Cho latoà ee.
ni tf ^tiiM omòo lo kiH oc. Qoè : e ca-
CANTO VENT£SIMOSEC01fDO. $57
Mirabile a veder, che qui il soccorso.
Così mi disse, e indi si ricolse
Ai suo collegio, e il collegio si strinse;
Poi, come turbo, in su tutto s'accolse.
La dolce Donna dietro a lor mi pinse ' loo
Con un sol cenno su per quella scala,
Si sua virtù la mia natura vinse:
Né mai quaggiù, dove si monta e cala.
Naturalmente fa si ratio moto,
Ch'agguagliar si potesse alla mia ala. 105
S' io torni mai, lettor, a quel devoto
Trionfo, per \ó quale io piango spesso
Le mie peccata, e il petto mi percuoto.
Tu non avresti in tanto tratto e messo
Nel fuoco il dito, in quanto io vidi il segno ilo
Che segue il tauro, e fui dentro da esso. (*)
O gloriose stelle, o lume pregno
Di gran virtù, dal quale io riconosco
' Tutto, qual che si sia, il mio ingegno;
Con voi nasceva, e s' ascondeva vosco UB
Quegli eh' è padre d'ogni mortai vita,
Quand' io senti' da prima l' aer tosco ;
£ poi, quando mi fu grazia largita
D* entrar nell* alta ruota che vi gira.
La vostra region mi fu sortita. i20
Icf . cbe fa il tnto molto rotto e icon-
Joawato. Qvalclie ■ntica stampa invece
\ «otto porta volger rttrono.
97. ti rÌ€oU$ ec..* ai rìaoì alla
•uà conpagaia.
98. ti «friiiff ; ai riunì in minore
tpuio.
99. come Uètòo, m.: cioè, roteando,
come fa il vento tarbinoao, ai levò tntto
in allo. Il testo Viv. e i Codd. Pat. 2,
9, 67, legg. in tu iutlo t'mftoUt,
402. ia mia natura. Sottintendi:
{Trave per la rame mortale.
405. olla wUa mia, al mio volare.
4 06-4 14.5' io tomi wuii, ee.: co%\
peaaa io, o lettore, tornare a t|nt^ divoto
regno trionfante, cioè ai Paradìae, coma
io ti amimro che tu non avresti In
tanto, in tanto tempo, tratto e memo il
dito nel fnoco, in (|usnto io vidi il ae-
j;no ce\at0 che tegae §1 Tauro, ri<»^ i
iìeaeUi, • mi trorti Jeniro ■ qnclln.
fi,
n passar da Saturno al cielo della fiaae
fn istantaneo.
Ottavo cielo delle stelle fiaan.
15-4 44. dal quale io rioonotfo
•e. Questo dice il P«eta , poiché naefoa
nella stagione che il sole è in Gemini ,
costellazione che gli asti-ologi dicevano
inOttire Tingegno, e la sdenta dnU«
cose. Dante era nato , come notammo
altrove, nel maggio del 42t>5.
4 4 6. Quegli , il sole , a cui a* altri-
Iwiva dsgli antichi la geoerasione di
tatto ciò che vive ; onde Aristotele : Soi
H Komo generant hitminem.
417. (Juand'io tenti da jnima «e.
Questo verso fa versmeote sentire no
aoapim del Puela verso il cie)o natala.
448. largita, donata.
4 4 9. nell' olla ruota te.: nel «mU
delle (i%se nm cuv V v(\^^vX)&.
420. Lo «osira Tc^^vm tft.x
ai tu dmu» \a «ovVt ^ \mnw^
64S DEL PARADISO
Vita beata, che ti stai nascosta
Dentro al!a taa letizia, fammi nota
La cagion che sì presso mi t* accosta :
E di, perckè si tace in questa ruota
La dolce sinfonia di Paradiso,
Cbe giù per l' altre snona si devota.
Tu hai V udir mortai, sì come ii viso,
Rispose a me: però qui non si canta
Per quel che Beatrice non ha rìso.
Giù per li gradi della scala santa
Discesi tanto, sol per farti festa
Col dire, e con la luce che mi ammanta ;
Né più amor mi fece esser più presta,
Che più e tanto amor quinci su ferve,
SI come il 6ammeggiar ti manifesta.
Ma r alta carità, che ci fa serve
Pronte al consiglk) che il mondo governa,
Sorteggia qui, si come tu osservo.
Io veggio ben, diss^io, sacra lucerna,
Come libero amore in questa corte
Basta a seguir la provvidenza etorna;
Ma qucst'é quel, eh* a cerner mi par forte.
Perché predestinata fosti sola
u
ej
<i
70
55. Vita beata, o anima beata.
56. dentro atta tua tttixia : deo-
tro la luce . che ti fa lieU e beata , o
per coi è ftigoiCcaU la tot eterna le-
tisa.
^. che sì pretto mi 1* aeeatta : cbe
ti ba fatto venire %\ presso a me.*^ ff|{
f ha posta, legge il Viviaoi eoo molti
lesti a penna.
58. in quetta ruota, io qoesto
delo.
61-63. Tu hai l'udir ee. Int.: il
too adito è dtbdie come la tua vista ;
però qui non si raiila pn la cagitioe
•testa perchè B^'Slrire non ti ba riso,
cioè, perche tu ti farokli quale si Te Se-
male alla piesi'uza di Giuve. Vedi so-
pra al Terso 4 e srg.
67. Né piii amor, né maggior cari-
tè mi fece scender più presto della aU
Ira a sodisfarti ec.
66-69. thè pie e tanto ee.: cioè,
^uimei iu, so per questa scula , ferre
colile tonto, quanta è la mia, • aochf
pie, come pool comprendere éeA gra^
del fiammeggiare di queste aaiaBe,cbs
è s^no del grado di lor corili.
70-74 . l'altm carità, rumor dmaa,
che ei fa ferve ee. : clae ci Io dSafmÈ»
e pronte o serrire olio profrideooo ga*
veroatrìce dell' oniverso.
72. Sorteggia qui: torfiocood «Ic^
g|e qui qoal più gli piace «li qveali •■>
riti a quel ministero che osto ansar •
▼ioo vuole eseguito. — eùtma tm as-
serva: come puoi vedere doi varì osatai
movimenti. Il Postil. Coet. lalonun»
più psrticolai mente Sarteggim: mM
MS forlem ut venirem ad la.
75. farro lucemm: o broto «ii«
rìaplcndente.
74-75. Come libero otnort tt. C*
ose io qoesta corte celeste ooa e* è b«o>
goo di forza , ma basta onoro _
libertè a teguire ed eaefvnire W
liom della etema provirìdeozo.
76 a cerner mi p^r fèria :wAfm
diniciliasimo o vedere , od inlrndwa.
CAKTO VENTESIMOPRIMO.
649
A questo uficio tra le tue consorte.
Non venni prima ali* ultima parola,
Che del suo mezzo fece il lume centro, 80
Girando sé come veloce nK)ia.
Poi rispose V amor che v' era dentro :
Luce divina sovra me s' appunta,
Penetrando per questa ond* io m' inventro.
La cui virtù, con mìo veder congiunta, S6
Mi leva sovra me tanto, cl^io veggio
La somma E«senfia, della quale è munta.
Quinci vien 1* allegrezza ond* io fiammegizio,
Perchè alla vista mia, quant* ella è chiara,
La carità della fiamma pareggio. 90
Ma queir alma nel ciel che più si schiara.
Quel serafin che in Dio più 1* occhio ha fisso,
Alla dimanda tua non soddisfarà;
Perocché sì s* inoltra neirabjsso
Dell* etemo statolo quel che chiedi, 05
Che da ogni creata vista è sci^^o.
E al mondo mortai, quando tu riedì,
Questo rapporta, si che non pre>umma
A tanto segno più muover li piedi. .
78. contorte, frmininile plorale di
€ontorlo, che vate compagno.
80. Cht dei iuo mezzo ec. Vuol
dire che eeuÙMiò ad ai^irarù lotorno
a tè tU aio. . ,
82. Fmmt che «' era dtntro:
ranima beata dia era ilaobv queila luee.
83. Sovra ma t^ofupwnia: ai diri-
(▼e a pania , viene a ferire a raggio to-
|)ra di me.
84 . Penetrando per qvteita, aUra-
fersando <|ucat.i lucejOMTtofli'tiireii-
tro , cioè , di cui loo nel ventre, «i nrl
venire della quale uii sto. — omde^ per
dote, o in on, è oftato ancbo da altri
.Miticlii. — Varj Gidd. hanno in ch'io
m'innentro, lc7Ìone certo pii facile
«•d ovvia; ma nella novilk e oell' ardila
«leir altra fui ma unto più il genio Dan-
ioico, e a quella m'attengo.
85. La cui rirtà Int. della Inn
divina. — con mio teJer , eolla utaral
Jurza del mio tutelletlo.
87. della quale è munim, dalla
«quale aomraa Enenza divina la detta
Iure è ana emanazione.
.88. ond' io fiammeggio, par c«i io
folgorepgio di Iure.
89- UO. Perchè alla ritta ee. Per lo
die alla chiarezza <lolla visiona cho ho
di Dio faccio pari la chiarezza della loco
che mi circonda.
93. non tod Ut farà sta per non
todditfaria. Qiicsla ìlcbinenra ael modo
coniliiionale em frequente ai Proventa-
li, e fn uaata anche dagli antichi nostri
aerittori. Fra Guittone: Come tt eon-
venera a Dio terxire. E il B. Iacopo-
ne: Volentier ti parlata, Credo che li
giofara. —Chi lo interpreta peran fn-
tnro s' ingannu.
95. tlatuto , decreto.
96. teitto, ditginntOf lontano: non
pn^ casere ci>m|irfso da umano inlel-
litto.
98-99. quetio rapporta ee : eioè,
racconta qnesla inip«is«ibililh di pene^
trare 1* arcano drlla divina predestìaa*
lione, areiocrhè il mondo non piesoma
piit mover li piedi , di più andare in-
vestigando, o di ricercare con la menta
SI profonde a larrìbìl mislcco.
667
CAIVTO WKiVB01II#91JAliVe.
B atrit* ti 'ivotg* mi htii ajpiiiH e gli prtgm m fa%«f di DamUt « ^luUi, dUpitti In vari
€tnf^J, comi citìHo ptr la Itutim m raltmr^- ptià 9 mmm «rtoai aofn àè autn, tmmdo U grado di tor
Visio- 1. Q'ii'idi dal etitoio ptu lamiiot» st fmtt Sitm Pietr.-» é'mggirm Cm «al « tmtonto a Beatrice,
« dopo fermatoti, imUnvga a iiehhtta di iti l'dUgàUii $m la mina ttotagica dalla Feda «sul «■••
U9i c/i quella. Ritpoada »gU cm tattulttm ptwtumma, a ut km fkuim éml grmmJt Jpcshìo.
0 sodalizio eletto «Ut gran cena
Del benedetto Agnello, ii^al vi ciba
SI, che la vostra voglia è sempre piena ;
Se per grazia A Dio quasti preliba
Di quel che cade dalla vostra mensa,
Anzi che morte tempo gli preacrib»,
Ponete mente alla sua voglia imnenaa*,
£ roratelo alquanto: -voi bevete
Sempre del fonie Wide vien quel eh* ei pensa.
Così Beatrice : e quelle anime liete
Si fero spere sopra tisai poli,
Fiam mando forte a guisa di comete.
E come cerchi in tempra d' oriuoli
Si giran si, che il primo, a chi pon meato.
Quieto pare, e 1* ultimo che voli ;
Così quelle carole, difl^*rente-
mente danzando, della sua ricchezza
10
M
t-3. iodaiizio, vfeir rnnionio dU
conviventi. Inleiuli : 0 U^atn ci'Bipl»
f*nia (è Beatiire rlir parla) e\ttì» alla
(*ran cena vt.y acclu. fioc, a cr<lrrc alla
f;ran crna del Wn<-«U;llo A|;nrU« , al
;;ran ronvitu di eterna beatiluifine im-
Lvndiio ila Crialu, il quitU* vi ciba al
(he iiiuna c«iva mai »\vlr lU d<-«idc-
ra.e. i»(ni Vi<atro detulerin è t<MÌi»!atti>;
|ipn 111* vi ciba di ae tliiMii r vi dii luttu
sé slin»»u , rke è tnniniM brne e felirità
ix-rfcila. È chianiatM piiì l/meiUUo
Aynt'tio, prrrbe fall» ti vittima alla di-
^ Ina ;'in'^t-na io n-di-iiiitinf delle anime.
•i-G Sf per grazia ee. Se ba i|ui
la fi'irii di partirei. a l'Iif arcmna la ra-
1,'ioiir i!i aui'l che si dice. Iiilciidi : pol-
<hi i>ei di\ina ftraxia i{u«iili (hanle)
gli nell' intelletto (pnIriM ttHla dHla
celeala raniada , cine della divÌM sa-
piens! , ondr ei*n«iaea • ciHnjimda
pn-.ilia, anticipHUiiiriiir gu%ia , aaaag-
i;ia ili «|urllii che ilMUisiibi-rante «natia
;;S(iiij in Ini m ira^fonile. innann che la
nicrte fi» preicrUm lempu^ f^^ fi**
al ftuo tempo, al 'a anii %il«. ec.
ti-0. roraltlo alquanto: piovate*
quello di che ba tanta tete.— «o« i
Stmpre del fimte: vi satiata alla
(«ente di quel a rterna bealìfica aapias-
la , ontU riVfi gue/ ch'ei penem, aada
derida quello ciie conlui vuljp» per la
mente , e ba ilesidi'rìu d lotenidere.
1 1 Si fero tpere ee. : caminda*
roBo a I «teai e qHaai afen* ao perni fiati .
43 E ei>M« etrcki in tempra
d*oriuali re. K r«>iiie i cerchj dia eoon-
pongnnu l'oro!oi;io ec. La lempra è la
e(H»rditi«iiune delle parti all' amonia
d' un tutto.
4ù. e l'ultimo che toU, cioè, pur
cbe voli.
ir» 18 Coti (7«cf//eearoieee Old.
e int.: 0«i quelle earolf, quciW hmi-
noae rvte , diflerentenieute dantanda ,
veloci e lente, Mii ii faeean $Hmmr
della iua rirchezxa, cioè, mi datano
a conoicara la maf>giure o minora rie-
66B
Hi si Tacean stimar veloci e lente.
Di quella ch'io notai di piò bellezza
Vid' io u?cire an Fuoco si felice.
Che nullo vi lasciò di più chiaretia ;
E tre fiale intorno dì Beatrice
Si volse con un cani» lanlo divo.
Che la mia Tanlasia noi mi ridice ;
Però satta la penna, e non lo scrivo,
Cbè l' imagìnar nostro a cotai pieghe.
Non che il parlare, è troppo color vivo.
0 santa suora mia, che si ne preghe
Devota, per lo tuo ardente afTelto
Da qnella bella spera mi dislogbc :
Poscia Termalo, il fuoco benedetto,
Alla mia Donna dirli?!) lo spiro,
Che favellò cosi, com' io ho dello.
Ed ella : 0 luce eterna del gran viro,
A cui nostro Signor lasciò le chiasì,
Ch'ei portò ffit, ài questo gaudio miro,
tHon dtlU loro glorìi per I* V(1i<[Uk latlldeiiii per diiimd d
o InlBu dd loru molo. E nel Cia- Diult . cht cr« nullo i
loVlU,T.MtKg.^
M"^U]ir»^{i «Mi-mali,
Conila, è bitls >a Modo.
i9 DiluéUa «.: da qnelli ciroli
20. ri ftliet, à gaig , ti nipien-
ai. HvUo ci laido, non ìticM iii,
pillar* a dìpinpin anrb* binili , U
TolulologlrenilallBraBDlsdi qniU'irti
il IDO piragung. Feri ibwdbbpUmIi
Tlrìnnla jiccroriU dil CrMri e Jd Ti-
viini, poto »ÌBo, perchÈ dob ■'mcmJi
pia N> plinti pili iilioticD.
28-Stì, O «m/> Moro «e.; b ta
Irle, mi* Hnlla «Ila glori. J.I «i.,
l* pwgLii , per la ir-
-'--'- ■ - lUnt.l,
labtili
SI-53. Poieia firmale le. Omi.
I.mI Ihoco b(nccÌDIb>, ftaà» AtP
codeId ■ figaran \e pioghe dei poooi ,
pers «»o eolDn «HI ilirt linlii. C\i pv-
Bd'T.
CANTO TEinnDlOQEXHTO.
Tenta costui de' pnoti lievi e {travi.
Come li piace, inUtroo della Fede,
Per la qual tu sa per lo mare andavL
S' egli ama bene, e bene spera, e erode,
Non l'è occulto, perchè il viso bai qui?],
Ov'ogni cosa dipinta si veda.
Bta porcile questo regno ha fallo tiri
Per la lerace tede, a gloriarla.
Di lei parlare è baon eh' a luì arrivi.
Si come il baccellìer s'arma, e non paria.
Fin che il maestro la quislioo propone
Per approvarla, non per terminarla ;
Cosi m' armava io d' ogni ragione,
Mentre ch'ellii dicea, per esser presto
A lai quer^Dle e a t^ proressione.
Di, boon cristiano: btti- manifesto ■
Fede che è T Ood' lo levai la fronte
In qnelia Inre.onde spirava questo.
Poi mi volsi a Beatrice, e quella pronta
Sembianze' (émmi, perchè io spandessi
L' acqua di tijor del mio interno Tonte.
La grazia che mi de cb' io mi confessi,
Comincia' io, dall'alto Primipilo, *
57 Tmta. atmia: — Uni* frm-
ti, tirili • diffidi, a Mti th* Diala
tutùiim iwminiTnIla teJtdiS. Pì«- 48. f irap^rDearla. sai, per <■«
icE» il dirìllo divino d'nttr |iadia nraln naia: Uh appfUalnr mafUltr
■spniB* dal dunnia. f«l (mal rtlludram ti propnit «■•■
S9.prTlamanmdact:eei,mi- (UnM* roranl doclDrttw d KlMaK.
tacolnantaUùnraptriomanailV tu, d wm diHrmifal iUawi tm film
itrìtit nmniiiiiTi rnnr lulia Icrn. àUpulaUniu , ttd petit* ttùi «kt.
(IJdio) Dai qua)* B >cd» dipiala cm- failom. ^aala m* ^Mlk della Ma
iS. ha fati» tM tt.t ^i t^\- U. onda ipiran luato: onda
msiD drli* tfde icran. GS-S7. pmto «mMaua AMaW:
44-4S. ■ glorAarla, M. È baasa, mi !«• pnnio ceiiaa cogli omU • cai
fla btat, rhe ■ iltiriGcatii (a ■»«■» valla. — prrthi ia (pandori w.i ae-
giani di lei) tenga, arrivi a lai la oào- duccU ia miaifiaUaH fi* ialani HÌa
670 nSL FABADI^O
Faccia li mìei concetti esser espressi.
E segaitai : Come il verace alilo
Ne arriff», padre, de! tao caro frale,
Che mise Roma Ceeo nel buon 6!o,
Fède é aa^tanzia di cose sperate,
E argomento delle non panenU :
E questa pare a me soa quiditafo.
Albra udii: Diritlaniente sentì,
Se bene intendi perchè la ripose
Tra le sostanzìe, e poi tra gli argomenti.
Ed io ap|)re8«io : Le profonde co-^,
Che mi largi<iron qni la lor parvenza.
Agli occhi di laggiù son si na^^rose, .
Che Tesser loro v'è in 5«o!a credenza;
Sovra la qudfli fonda f^^ta speno,
E però di suiiitanzla prenHe intenta ;
E da questa predenzà ci conviene
Sii i€;dzzar senza avere a!lrn M<ta;
Però intenza di argoménto (iene.
Allora udii : Se quantunque s* acquista
primo duce ilella Cliiru dì Gnu Cripto.
Primipilo «liccviivi lUi Ki>in«iii il capo
delta pnma etnluria uolPonlioo «(•'
Trmj.
èO. e$pre$si, chiari: mi ainti ad
Mpffiniermi run rbìamu e pi-«ri<i une.
62. é»i tmo caro finte, lnlrtuli di
-%.^anio, frali'lhi in G«!iu CrMlueeom-
fèfnn nell'apiwlolalo.
63. ehf mite ee. : rho tero indirii-
lè Riima nei buuai eimluiui e odia vera
Ma.
64. Fede è euslanzia ee. : la fede
è tirlù y i\uMì aiiiiiaiixa , u suaRÌNlniza y
•alla €|ualtf ai f nJa la uperao/a d«lla
keal luiline el«*rua.
65. IT urgnmento re. ; ed è argi»-
ment(>,(iiiiM«hlrHiii>ne e lume, ondi* Tia.
telU'tlu e cniitltillii n rieil< re i|iii'lle niaa
cbe non può eolie iiHiiirnli «tin* fune
aoBipreiidere. \eJiSaii l'avloagli Ebrei,
eap. 11.
66. quìdilaie, lerm. tmlast. ; vate
aKema, natura, •! quid rtl.
68-6!) p9rrki Im Himm. Sellini.
j( Pmolu; il ^u«|f d tuie rlie la fede è
I ebianiala |N-ri-iorrhe in*
60
65
:(>
7i
to.
duce I' Domo a ■pei are. e fa e-iblere io
:arlO Biodo DeiriDU'Ikllnlc e%%e «he si
sperano e rbe non esiatooo anaan ; t
dÌMe iiiullre rhe la ^ de e argomnUo, k
dìmoilraxioue, e lume per cui TintH-
letto é convinto e poltrito a rrcdm
fernianienie i|nflle nt^e rhe duo «ade, *
elle non intrude colle sue fona aata-
rali.
7 1 Chr mi Imrtfisean qui tt.; At
^dì mi SI miiktirfno niaiiiffste.
73 re in sola credenza: la lare
etislen/u non ha allni fuiid^inevlo cbt
la nvelazii'Ue e la fede, mitlrc della
speranza
73 prende intenta , preofle noac
e ConriMto.
7I{ E ffa questa creienza. E da
qni*«lrf fi'ilf UiMi|;iiM i hr parta oj^ni Doalre
raiponMiiif Hill, non alti imciili cbe da aa
priiiri|iiii 'Il |>rinia evidcnia.
77 Sittittiizzar, ai(*i>nienta-a: am-
ia arrr altra rùia, m-uzj ««hJit allr--.
ieiU'i prova alcuna heiiMbile.
78. l*rro intemm ec. Perni assa
fodi* prende denouiinaziooe iT 9Wf^
WUnlo.
7U-8I . Se quantunque ee.'n^mn-
to in leira p r %ia ili a nini aesl rum rato ti
appn'udt' fiiN«ip intoo diriltammlc, ea>
mv ta bai inteau le parole di S. Paolo,
Giù per doUrina fosso cosi inlei:<),
Non t'avria Ino^ ingegno ili sefitta.
Cu^ B^rò Aa quetl' amore arcco;
Indi iioggiiuise: A^àai beo» 6 Irascorsa
P' està monda già la lega e il ppf) ;
Ma dimmi «e In l' lui nelli lua bor^.
I^d io : Si, l' Ilo SI iDcidn e si tonda,
Cbe nel sdd conio nulla mi s' irrinrae.
Appf«=M) U-sci (Idia Iure profonda.
Che li eplondeva: Qiiesla cara gioia,
a la quale o«m virlù si fondft,
unae n venne ? Cri io; La IsrL-a ploia
^V Dello Spirilo Sunlo, eli'é diffusa
,-""jf ■ Iti SD iBvacchie e in m le-^ove qwia,
'^f sillogismo, die la mi he wybinM
ArotaniMite t\, che in vt^nw d'olla
Osjà iSnwslniiiDn mi pare altti!--a.
Jù adii poi- L'«nli<^ e la uowlla
Proposizione cbs si ti iimeliiude,
Perdié l'AiM-tn fer divWhi fuvellu ì
Ed io : I.a provB rbe il ivr mi dischifide
Son l' oiiofL- i«[nite, i
Non wi dò fi?i
cavilli .1»! «■•noi
■Urlili Ilici, ini il parlar <■!■■■' cwf, bui ■••■•■ iJwTr*, ^ii4riii|>«-
- (/iHila cara i/ioin te . .|<it>ii *ir4ù pi<-n ti r («m wf ^rrwlr li wwfan
DEL Pl&ADISO
1li^^po;Io funimi: Di, chi t'assicura
Cile quell' opere fosser? Quel medcsmo
Che vuoi provarsi, non altri, ti lì giura.
Se il mondo si rivolse al crì^^tianesmo,
Diss' io, senza miracoli, quest' uno
È ul, che gli altri non sono il cenlesmo:
Che tu enlra.'iti povero e digiuno
In campo, a seminar la buona pianta.
Che fu già vile, ed ora è Talta pruno.
Finito questo, l'alta Corte santa
Risonò per le spere un Dio todiamo,
Nella me'ode che lassù si canta.
E quel Baron che sì di ramo in ramo,
Esaminando, già trailo m'avea,
Che all' ullìme Troode appressavamo,
-Bicominciò : ta grazia che donnea
Con la tua menle, la bocca V^gi/pB
Insino a qui, com' aprir ai dovMf
Si eh' io approvo ciò che fuori emer^ : -■
Ma or conviene esprimer ^ftel che àfidi,
E onde alla credenza tua s' oCTer.'^e.
ipm foiic.
—Orni
ll-lll Il>r/«ll«; M
L-^c Ihm.
OS. E ^I Ssnw. e**, S. Itf-
|inn ha tiingnii <li preti. DHnqi» In dti (nidi iti nietli iatftr». 1
prati UBI «m con nn'alln che hi bi- chutii-l primi tanpi iliH* kaja*
Mjao tniloMal* *i proli; • tflftla
aìióe d trgomeBlire, dis dirai neUa
Tolto (1 craiitnciiaio i
^lla eli* ari ili» t II
priiodi iBUa il quilili chr dinn
tarila ■ pBlanu agli Biiin'D>) ■ ira
la ttmM piatila , a praJiitr la
piiDiarlirhIc», dw/u gidr-la,
«neh* ai tiiiK prr •mpliea mh
eontroiìamnjrnaerSawtoJM
il Aaron JfaiiHiinloittB.sJ ■lari
di pan. in parla <JaUa pr^fM
ll6-IIT.fUlra(lDBa'«M«,Cb' '
anwlataina «IT «Urna /mait, A
ntltria airii artiroli di •nt'% \wèà.
Bilnil
•pi» |aMr< di «ipfrb.. , di ..d.u .li
U€lUi M Die di San(-Au<->ia<>
1 1 K-< 1 1 . p«r Ir tprrr , pai rirrnli
IvniSKH di thv mpra é d'ilei al >. Il,
un Dia lodiam-, .<» Te Dcum lauda-
;;rt
CAISTO TEMTES
TO.
0 santo padre y o spinto, che Tedi
Ciò che credesti si, che tu vincesti
Ver lo sepolcro più giovani piedi,
Comincia' io, tu vuoi eh* io manifesti
La forma qui del pronto creder mio,
E anche la cagion di lui chiedesti.
Ed io rispondo : Credo in uno Dio
Solo ed eterno, che tutto il ciel move,
Non molo, con amore e con disio;
E a tal creder non ho io pur prove
Fisico e metafisico, ma dalmi
Anche la verità che quinci piove
Per Moisè, per profeti, e per salmi.
Per r evangelio, e per voi che scriveste.
Poiché r ardente Spirto vi fece almi ;
E credo in tre persone eteme, e queste
Credo una essenzla si una e si trina.
Che sofferà congiunto $unt et este.
Della profonda condizion divina
Ch' io tocco mo, la mente mi sigilla
Più volto r evangelica dottrina.
423-126. ek$ tu vineeiti ee.: dM
correndo al lepolcro di Gesù Cristo tìb-
cctti il gioTioe Imo coodiscepolo S. Gio-
vanni, cnlraado prifna di lai in qiol
sacro recinto.
4 28. la forma pii del pronta ero-
der vaio: la formula della mia fede
eh' io toQ sempre apparecchiato a ooo-
fessa r francamente.
429. Im cagitm «ti lui, il motivo dì
esso mio credere.
452. iVoM moto, noo mosso da al-
cuno (Iddio), tutto il citi moiO€ eo%
amore • con ditto. Si è detto altrore
4-he Dìo avendo messo nel priww wkh
bile no grand' amore a deaiderìo dal
cielo empireo che gli sta sopra , a par
questo ciascuna parte di esso primo mo-
bile appetendo di congiongern caa la
parte reipetliva dell'empireo, no nasca
quel valociisimo movimento ai' egli ha,
e che eomonica a latti i cieli sottoposti.
Vedi Conv.^ ir. Il, cap. 4.
435-438. non ho io pur prot$ Fi'
tic€ • wutafiiiee. Dell' esisteoia d'oa
Dio solo od aterno , non ho solamente
[>ruTa fisicha a metaJGsiche,cioè, dedotta
673
425
i30
436
440
dalla oaasriaiioaa della aatora, o dallo
proprietk del nostro intelletto , ma ec.
— ma d«Umi ÀncK» et.: osa no tal cre-
dere il mi dh anche la ferite che quin-
ci, iì qni , dal cielo, tiene a manife-
starsi in terra per gli scrìtti di Moi-
sè ae., e per voi, o Apostoli, che scrìTO-
ste, poiché l'ardente spirito di Dìo 9Ì
fece almi, cioè, vi fece chiari, illoni-
nati, T* inspirò dopo la sna discesa so-
pra di voi.
444. simf el effe: alla Trìaith si
convengono il plorale ed il singolara del
verbo et fere: tono (sont) in quanto allo
persone: è (est) in quanto alla uniti
d'assensa. Vi unum Deum in trinila'
té, et trinitatem inunitaU veneremur.
— Che toffera: è mudo ìnd., che iof»
ft%, dall'ani, toffcrarc
442-144. Della profonda condi-
zion et. Del profondo e incoocapibila es-
ser divino in unità a trinità, di cai tocco
mo, di Otti, cioè, ora parlo, ia pia laoghì
la dottrina evangelica mi tigiUa, a
suggells, noè m'impronta, m'imprima
la mente. Nel Gidf. AnL in luogo di
eondiiion l«gfeùcoiii)\WK:;Wi^«^A'«^^
674
^W^
l#
150
PARADISO
Quest' è il principb, qiiesi*è la fovilla
Che si dilata io fiamma poi vivace,
E» come stella in'cielo, in me scintilla.
Come il signor eh' ascolta qoel che i piace,
Da indi abbraccia il servo, gratulando
Per la novella, tosto cfa*ei si tace;
Così, benedicendomi cantando,
Tre volte cinse me, ti com* io tacqui,
L* apostolico lume, al cui comando
Io avea detto ; si nel dir gli piacqui.
qaaiido Het Ace^eniem md Demm
^porUt trtdtre quia ti.
^Ì4S. pati che ipimee, ctoA, oorcUt
■ lai graU. È piòoidioaia lei. òtiCoà.
Attg. , Antald , Chif . « Caci. — La eom.
è fmH che pioct .
449. Da imdi. -Quudì. — gr^t^
lamdo rall^randflu.
450. tolto eh'ri ti tace: dopo cht
OMO wnro ha finito di raccontara.
4S2. Tina oo/le eim$e wis, tra falla
ni gì. ò inUinio la fraota.
glio rìtpooderebbe a qoell' «iM a fi'fM
aasanza, che tofrera eomgitmlo mui
et est.
445-447. Quett'é il principio, m.
Quatta credenza dall' etiatfoxa di Dio
io tra persona a in una aola a«eoza è il
principio fondamentale, ohe di mano io
mano dilatan<losi , vieo poi a formara
l' integriU dtlla fede cattolica. Dalla
quel virtù ornandosi l'anima risplaoda
agli occhi di Dio come una strila. Di
questo principio parla l' Apostolo
CMXTB VEliTE9IllIOQlJIlinr9.
U P0^m uuorm0 mUm 9*nù lt9l..§iem étUm Spentiti. Tn damamdt gt» f»t
umm na^emd€ p»r tut Sfatar», alle mttn ém0 tngyumrmU Ha »t. t'i«>*4 l* tegmitm'i
tÀpmtoU deUm Cmntm, tuttm MMgtmuU éi tmtr, » «i mmtsrf me* em-9» fsh mttrt Mi
féigM. Po» 9»tg*st m OtMtf, eke /«• im <«i nguM'dmvm «■n««a, « gti munuytìm et
jnrnfr m $ptnf. mtmém ei.mr Imtti gtt mttn tmarutto m ttrrm U $ao carpm. Lm ime» Mi
km «MMf ImM ittlmumu U t'mtm, ckt «M mgd« Bomtnm tàt gU è mttamf.
So mai con tinga che il poema sacro,
Al quale ha posto mano e cielo e terra.
Si che m* ha fatto per più anni macro.
Vinca la crudeltà, che fuor mi serra
4. eonlinga, a% venga , dal lai. con- So ni vi aoo ronsomalo. Nna
tingere. — poema tacro: cosi chiama
la sua Commedia , poirlie tratta di coaa
rijjoardanti la fede a hio.
2. Ai quale ka potto memo ae.:
hanno concurao a formare questo Poe-
■a il cielo, la arienza delle cosa diTi-
ve, Bealriea, eccitala dalle altra doune
heaedvHe di che si disse ori Canto II
MVtnf ; lm terra , l' umana ragioiia a
k Sloa«»lia, parsonìficHte in Virgilio.
5. Si che m'ha fatto ce: UbIo c<h%
glio esprimersi l'vffello di m
luogo, forte ed asvvdno.
4 . Vinca la crudeltà ae
una qualche aperaaaa dw il
Poema , con che lavoivTa
eterna a sé stcaao e alla patria
placare una vnha la cruda
chi govrroava Firenae ; Ma
aere che «elle tirannidi di m
nodo siano, aitano wirimt
«idotoia etl.
re
CANTO TBNTESIMOQUINTO.
Del belk) ovile, ov' io dormii agnello
Nimico a* lupi, che gli danno guerra ;
Con altra voce ornai, con altro vello
Ritornerò poeta, 'ed in eoi fonte
Del mio battemmo prenderò il cappeHo ;
Perocché nella Fede, che fa conte
L* anime a Dio, quiv*entra*io, e poi
Pietro per lei si mi girò la fronte.
Indi si mosse un lume verso noi
Di quella schiera, ond* osci la primizia
Che lasciò Cristo de* vìcarj suoi.
E la mia Donna piena di letizia
Mi disse : Mira, mira, ecco il Barone,
Per cui laggiù si visita Galizia.
Si come quando il colombo si pone
Presso al compagno, 1* uno ali* altro pande,
Girando e mormorando, T affezione;
Così vid* io Tun dall' altro grande
Prhicipe glorioso essere accolto,
Laudando il cibo che lassù si prande.
675
6
to
15
so
5. Dtl heUo 09ÌU, aelU dttk «
FirMM. — 99* io d9rmu agfttiU ce.
Ecco il delitto grande e impettleMbile
di Dente: I' eMci-e stato afneAe, ne-
mico ai tapi divoratori di4le patria.
V agnello eJbe deniie, trae aero V idea
d' no' innocenu sicura , e di quella aio-
eerilk ebe aoii ceaoece soepetio, ed igno-
ra ^elra^ae arUfisto, unde mom ha
Bckenno coaUo la malignità e Tiairidia.
6. dkefM.elie eli' ovile.
7. Con altro voto et.: cioè, eoa
altra pia glorieee feme e con veale non
di aempliee eittedino je di megietinta ,
ma di poeta. L' idra forse è tidla dalla
treaftfrmatione Orasene làibmm aiirfar
tu aliUm ee. Vedi Ode \X, lib 11. Al-
eani però pensano die Peepi eaaieni, Mli
éltrm rare, con nitro «elio . ecccnnino
agli effetti cagi- noti in lui delle ionaBÒ
tempo eoprarvenatagli vrcchieita.
9. il empp9llo. Intendi la «offOM
dell' aUero. È dal proveai. aapeft,
ghirlenda.
40. eonle , cioè familiari , a , nome
l' Apostolo , dowietticho.
42. «er Ui, per la profcwitia dw
ioleei detta detta fede, tra vallt mi
gire intorso deHa franta. — 51 , eioè
come bo gih detto. (Vedi il t. 49S del
Canto prrc.)
U-^H.MquenatthUra Da i|Mlla
aebiere di beati spiriti ^ di evi al ▼. 44
del Canio precedente fa detto , ehi ti
f^ro spere inprn àtei poli. — «N^wel
la ]»nim'iiaec.:flelle qnekosci 8. fìa-
Cro che fu le pn'misià, il prima, -dai
tiearj di Gi^b Cristo, da Ini medaaÌBa
laaciato el governo delle soa Chiesa.
47- IS. t7 Bonme. Int. S. lacopa
apoetolo , in divozione del anale i pelia-
grini visitano il sepolcro di lai ia Con*
pootella nella Gsltzia.
20. r mno al/'olfr» pande: V ano
all'altro maniff^ta.Quebta leeinne è dal
Cad. Anuld. ,del tniuViv .e delPat.e7,
e mi è aembrata da preferire eOa aail .
f mno » l' altro pande.
24 . mormor«Mlo. Muimaarapr»
prìamente aignifica parlare soflMNMa-
mente ; qui è uselo per aimilitaAaa , td
eaprìmere qoel cupo roBMra cba fMa
tali animali.
24. La«'/«fido ee. : landaada Dia ,
la visione del quale è il cibo di tkt in
cielo pra»i/e, ti ciba ^ ofai ^
CANTO VENTBSIMOQUIirrO.
Lo nostro Impertdore, anzi la morte,
Neir aula più segreta, co' suoi Conti ,
Si che, veduto il ver di questa Corte,
La Speme, che laggiù bene innamora.
In te e in altrui di ciò conforte;
Dì quel che eli* è, e come se ne infiora
La mente tua, e dì onde a te venne :
Cosi seguio *1 secondo lume ancora.
E quella Pia, che guidò le penne
Delle mie ali a cosi alto volo.
Alla risposta cosi mi prevenne :
La Chiesa militante alcun figliuolo
Non ha con più speranza, com' è scritto
Nel Sol che raggia tutto nostro stuolo ;
Però gli è conceduto che d' Egitto
Vegna in Gerusalemme per vedere,
Anzi che *1 militar gli sia prescritto.
Gli altri duo punti, che non per sapere
Son dimandati, ma perch' ei rapporti
Quanto questa virtù t* è in piacere,
A lui lasc* io, che non gli saran forti,
Né dì jattanzia ; ed egli a ciò risponda ;
6T7
46
60
66
eo
lioechi nelFauia piit itgrttm, mIU
sUua dÌTÌM dall« altre, eo'iuoiCamU,
coi primari paitonaggi della corta dal
Cielo. Coma notai anche nel Caolo pre-
cedente, Dante immagina incielo ma iw^
p§ro e ona corte coi auoi Conti a Ba-
roni , a modo di qocllo ch'egli aoaliena
esser voler di Dio che sia sulla latra.
44 . La Sptwt», che laggik «e. In-
tende di quella aperanxa della alarna
vita che è TÌrtà teologica ; e dica che
bene innamora, perchè la altra ap^
rame non innamorano èen* , na ■ tor-
to , a per ingannare.
45. di età, con rio, col fero Tadato
nella corte celestiale. — eomforU, ta
conforti, faccia piò ferma.
4G>47. IH quel eke eU'è: dimmi
che eoaa è speranza, a eomo $e na In/Io*
ra, a come la menta tna ta n» infiorm,
sa ne adoma quasi di oa lieto Ìora cha
rierea.
48. Coti teguio 'f ueomia l«-
«M ae. : tcA seguitò a parlare il fa-
condo Apostolo.
49-&I . E ^eUa Pia ee.: t Batàti-
ea, cha mi aveva condotto laaaè, «aak
cominciò a rispondere prima di ma.
52- 54 . La Chieta mUikmU m. La
^esa militante non "ha alcuno tnPaaoì
figlinoli piò fornito di spcrann di co-
stui (di Dante), com'è lerMio, cioò^ co-
ma apparisce a pnò leggerai io Dw, H
quale come sole illumina tutti noi.
55-57. che d' Egitto ee, Cha dalla
achiavità del mondo venga alla calaalo
Gerusalemme, prima cha ali eia prB-
Berillo il miUtare, doò, au poeto ter-
mina al suo combattere nella vita aar>
tale, cha è atato di guerra.
58-60. che, non per taporo Son
dUnandati ee. : cioè, cho noa aoao a
lai (a Dante) domandati da to par aa-
Kra deome non avevi bisogno di aaptr
litro a cai io ho risposto, poichò tatto
sai e vedi ia Dio)^ ma parehò afU rap-
porti *^\i aomim qaaalo qaaata firtè
t* ò ia piacerà.
61. non gli taran fbrU, man gK
faranno difficili, aia farilmaala potrà
dichiararli.
02. Né di iaUanxim, aò gli §••
K la gTHua di Dk) ciò gli comporti.
Come (liscenle, eh' a dotlor serondft
Pronlo e libenla in quel eli* egli è esperto.
Perchè la sua bonlì si dÌss^«»iHla ;
Speme, diss' io, è uno Bllender corto
Della gloria futura, Ìl qiul produire
Graiia divina e (irecodenlc nnerto.
Da molle stelle mi vien questa Inre ;
Ma quei la distillò nel mio cor pria.
Che fu soinmo canlur dui somirro duce.
SpL'rino in le, nell' alla Teodla
Dii~e, color che 5anno il nome tuo-:
£ chi noi sa, s' egli ha la feda mia ?
Tu mi sLillasti con lo stillar suo
Nella pistola poi, si ch'io sor piene,
E in altrui vostra pioggia repluo.
Meulr'io diceva, dentro al vivo seno
Di quello incendio tremolai'a un lampo
(ommo Jm<. D.tidd»,ib. mi* Itili
Ih cuergU l'illro; rd ceco li nginnt
di D.u, dg» <«D.ma « tallo il «^l
Hrch* *> 111 riipulD Buirìn.
7S ^prrr» ia (* M. Kd «>
63- gti romponi, gli r«iw;)>
uloii U.vidd« diN^ Sp<nao r. h »
loro cb. HO.» il »oa.F l.a m »» <
«•polo, - ,ka doll-r Hc-nda, cb>
Uio|. lì chi, >»■.!• t.d. «MMu.»
«B.;U.™di«™™p™d™do.l.n.^
u ^anb. BOI» T — ■wJl'alU TmAi.
d«, HI •■blini .M «Btió ìb W> i
es- ia«^. di kuoM toKiii. iti
ut Ubtmt. — iit 4tHl cktjii « »p*r-
dai.»» »JI.«.;iUt>.
lO, illqilllb>€b'<:gl>h.DH,<>>4>CU. »
7t color eh» immUmw tot
(»■»..
ee. PvOii l> »a òonU ,i diia-
■IÌ1..IÌ, la IMI *«.l«, U UD vilo«, Il
IB. ri>ii>JilUlMM«cDi4<iUti
w. «Uli.»».
,olU l> lnÌ4ri«>islM di Dù, • «lìk
C<<iU.CHt.,vu.,Cl.ig..«ltWio»*d<
«l„d.i»i.Ui.,g«i.,«iMi'.,S-.
noninoile ii> n.t di <,.ekU Jolo» |«k.
dai amMlutiM agni dubbi.-u>,H ilrb-
7T. ffr«« piente, d-è«UH"
di D*.lddB.
i|MT*ii» i t«tM di) Umlro Mlf •«>■
78 ««.Ira pfog^te «.; U M
(«IH : ^w Mi «ria ecpHlalia /iiM-
a,ll.l«,.p.-«d.,oi,.«^i,„p|^
rìpio.o.ri.«».m.liri. ^^
lU tt priMKJHUifcW ■MT'IÙ.
79. al «»•«»(»., «MmIm-
TU. Da molle tlcllo: iiÌM,d* MolD
n di aa-\ [uuco .» tra 1. riti.f^
M d.1 S.«U ApoMU»,
(Ut a' •Itilo.
T2 Chf. /» loHmi coniar Jcl
^ I)^.iU.
CA?!TO YENTBSIMCtQnnfTO.
Subito e spesso, a guisa di baleno.
Indi spirò : L* amore ond* io avvampo
Ancor ver la virtù che mi segnelte
In6n la palroa^ edall* uscir del campo.
Vuol eh' io respiri. a te, che li diletta ■
Di lei, ed emmì a. grato che ta diche
Quello che la Speranza ti promette:
Ed io : Le nuove e le scritture anticho
Pongono il segno,. ed esso lo mi addita.
Deir anime cbe Dio s* hft fatte amiche.
Dice Isaia, che ciascuna' vestita
Nella sua terra Ga. di doppia vesta;
E la sua terra è questa dolce vita.
E il tuo fratello assai vie più digestat
Là dove tratta delle bianche stole,
Questa rivelazion ci manifesta.
E prima, presso il fin d* està paròle.
Spermi in fs di aopra noi a* udì;
A che risposar tutte le carole;
82. iptrò, mandò Taori coUl toc*.
83-8 1 . ccr la tirtk : verso la Tirlà
della speranza , die mi trgaì In firn la
p4dma, fino alla palma cha riporti mI
martino, e all' uscire del campo di bai-
taglia, quando dalla tì(< (emporaU pat-
tai air elema.
83*8S respiri a t$, riparli a la,
che ti dilHU Di In, il qaala U diirUi
di questa Tirtù. Vedi sopra le parola di
Beatrice al terso 52 e seg.
88-89 Ld nuove $ U teritture
cnlieh» ee. Cioè: tanto il Vecchio cha
il Nuovo Tctlame.ktu potarono iltégno,
il seguale, a dimostraiione di eia dia
la speraofa promette ; a questo eegmn
tcritloraU mi dice la natura del prrmio
sperati». Dei vari minli di punteggiare
ed intendere questo lungo bo preferito
quello proposto daliMsraelila A>bib,
che è anche sosteoato dal C»d. Siroo.
461 della Laurent, da dm ora veduto.
Naila pasMta edizione io propoaera
un altro modo di leugere, che ancor
Don mi dispiaea, ed è questo:
Stilo: U Boote • U «<riltarf anfie'te
pùof ytt» il MRBo. UÀ «ww : L • Ha «Mita.
D«lr«Mnir eli* Dio • Uà folto
Dico Isaia m.
679
86
90
9j
PoAgoiio il $egtio: fisttn il ttr* damanli
aiiaa, a
Mdtuù: E l'ApoatoU rìapoaa:
aamela. E Dante sogfifiafa^
90-91 ùtU'mmimt itu Die»
dM ciaacwiadella animadbaDìo t^è ala^
te., tare vetlita di doppia tlda mUi «m
terra, àaè ad Ciala,.ch« è \m pwpria
tiUk a patria dei prcdattÌBati, aaa ai*
aattdo questa oootro moado cba «i pel*
la^naggit» a un esilia. NeU^ tmm Itr*
rm : p*asrbba 1' «fi^JP* n^'"> ■lAa
a Dio; ma rappor HJ^Mliaia dà wm
senso più bello.
92. di éttpipia «cete: ddla giani.
eaziana a beatJÀodJne dell'anima • M
carpa, come lo dichiara aocha fatta d
T. 427, Con le d%to eUl9 «t. Erco la
parole d'Inaia : 1» lerra tua diylfcig
p ttide^nt; lettilia tempitermmmié
aù.ls.,61. 7.
94-96. E il l«M frmUllù, a Sta
Giovanni, attoi vie pie di§9Mlm, Bdlo
più difsrila, schianta , ea la amaifadÉ
BiirApacalissa.
97-98. E primtm te. Castr. a iat.:
E pretta il fin éCeelt pfU, mritna
i'idì sparaat ia la. — Parala ad tal-
ma IX.
99. U cmroU, ì ondi da'hMli
Poscia tra es»; un lame si scliiari,
SI che, se il cancro avesse uti tai cristallo.
Il verno avrebbe nn mese d' on sol di.
E come snr^e, e va, eU entra in ballo
Vergine lieta sol per fare onore
Alla novìzia, non per alcun Tallo;
Cosi vìd' io lo schiarato splendore
Venire a' due, che sì volgeano a ruota,
Qual convenìasi al loro ardente umore.
Hìsesi II nel canto e nella nota,
E la mìa Donna in ior tenne l' aitilo,
Pur come sposa tacita ed immota.
Questi é colui cbe giacque sopra il petto
Del nostro Pellicano, e qnesti fue
Di su la croce al grande utOcio elelto.
La Donna mia cosi ; nò però piue
Mosser fa vbla sua da staro alteota
Poscia, che prima, le parole sue.
Qoale è colai eh' adocchia, e s' argomenta
lai-IOa 51clif,i«tI«Mcrae>> t«
>» tl>< il
oipncoi
fianclù col birto, r
«pauLi il idU. Gib pDito,
tiilDCHpaflrtBM curro; qaol
Uni., dina, — lU ptri piiM ce. f ■*■
Ni p«ri io isc parola (di Br*lnM(ai»
■tn>ltiiiaTÌil(pi4 dnp«,(fa* Hìaa Jil-
loilanalUnIi ijliitpnitali.AiMMte
inDanii, *. Ilt, (h* Bcatrin ili*«i
imnDfa raardando negli Aiwti*!!. On
Jr« qui che alla pan «WM> In aw (irti
dal-r.
di q.«
CANTO TENTESIMOQUINTO.
Di vedere eclissar lo Sole un poco,
Gbe per veder non vedente diventa;
Tal mi fec* io a queir ultimo fuoco,
Mentreché detto fo : Perchè t' abbagli
Per veder cosa, che qui non ha loco ?
In Terra è terra il mio corpo, e saragli
Tanto con gli altri, che il numero nostro
Con r etemo proposito s' agguagli.
Con le duo stole nel beato chiostro
"Son le duo luci sole fbe salirò ;
E questo apporteraf,ltfki mondo vostro.
A questa voce 1* inflanuntto giro
Si quietò dkm esso il dolce mischio,
Che si facea del suon nel trino, spiro,
Si come, per ceanr attica o rischi».
Gli remi, pria nell* acqua ripercossi.
Tutti si pbsan al sonar d' un fischio.
Ahi quanto nella mente mi oommoaiiy
Quando mi volsi per veder Beatrice,
Per non poter vederla^ ben eh* itf fossi
Presso di lei, e nel mondo felice !
vederlo McliiHra an poco, • pori! nio
Toler vedere diventa non cedente^ àoè
rimane abbagliato; tale io divootai, doè,
diventai abbagliato, nel finanni in ^mA"
l'oltimo tplrodoro.
422. Mtntrechè ddto fu, incU
mi fa dotto.
423. Ptr 9$der coia, du qui tv.
Dante si affiaaava nello tploooort £
San GiovaoDi por vodero ao ora la«è
anche col corpo. Qaeato dubbio ori
nato dalle parola di Gesà Criato iator»
no a lai : Si€ mun volo vMnon éom§e
teniam.
424'426. $ taragli te,: tartvri,
lark ivi cogli altri corpi fino a tasto eho
il nomerò di noi beati cmcoado ti af-
gaagli eoli' eterno propoiilo^ doè raa*
giunga, compia y il nomerò decretato da
Dio ; che è qaanto dira fino al giadiiM
anivenialo.
427. Con U duo itolo: eoo le èuo
florilicaxioai, cioè, eoa quella delPaai-
ma e con quella del corpo.
42S. Son U duo luH «ole «t
Cioè, la loco di Gesù Cristo e quella ^
681
iSO
i26
i30
135
Maria Vergine, che ri tokero ora ora
alla tua vista risalendo all' Empireo.
Vedi Canto XXIII, t. 420.
4 29. nel mondo vottro, nel moado
abitato da voi mortali.
450-432. Tm/laaiMalo giro , Fag-
girarsi di quelle tre fiaoune. — SiguiO'
Id, cessò , con omo U dolco mitàUo:
unitamente alla dolce mistura dei suo-
■e, cioè, al canto armooissate eoi ballo,
dM fooevmii nel trino tpiro, die spi-
nva da quei tre splendori.
433-435. 51 come cc»:ù quietò, ia
quella gaisa cbe por cccntr fatica, per
riposare da una fatica, o per eesfor ri-
$e iOy o per iscbivara no pericolo, Gli
remi si posano a un tempo stesso a un
Sscbio del comito o del piloto.
456-439. ÀM guanto nelU moih
te ee.G>str.: Ahi quanto, per noo poier
▼odor Beatrice, quando mi Tolsi a lei ,
rastai commosso nella mente, beoeliè io
forni accanto ad essa, e nel mondo !••
lice 1 Nuta che SanGioTauoi coUa tubU-
mitè dei suoi ceneetli eeelissa Betlrico^
la Teologia.
CASTO. VEXXESinOSESTO.
Menlr'io dubbiava per Io viso spcnlo,
Della fulgida Qamma che lo spende
U'^i uno spiro che mi fece altento,
Dicendo : InUnto c.ìm In ti riscn»
Della vista che bai in me nmsunls,
Dcn é cbe ragionando la coK^iease.
Coniini-ia duntiuo, e di ove i' ap^auia
L' animit lua, e fa ragion che Ria
La vista in ìe smarrita e non defiuila;
Perchè la Donna, cbe per qaceU tlia
Regfon tì con(luc«, ha nello sguardo
La virlù eh' ebhe la man d' Anania,
Io dissi: Al suo piacere e tosto e lardo
Vegna rimedio agli occhi che fiir porle,
Quand'ella entrò col fuoco ond'ìo sempr'anìo
Le Ben, che b ooolenla questa Corle,
Alfa eé Omega è di quajila scrìltura
Hi legge amore o IÌe\enM>iite o forte.
i-3 MtnWladuòiiiiraH
it»eiHi
H<li4la n
a» _ 15 JJ.«.«,
> ■ l« piiK», àt.f
lU-lg LoB
penti t'ImpMinaiMx
*-• ■ «io«iiie..U,'*fB-r'
::sz,tT.
■ M Li B,rt-t«»*
«Ut Tirtn di TeaA«(*t&.¥tAs\*fa»K
CANTO VENTE6IM06ZSTO.
MS
Quella medesma voce, che paura
Tolta m* avea del subito abbarbaglio^ so
Di ragionare ancor mi mise ia cm'a;
E disse : Cerio a più angaslo vaglio
Ti comiene schiarar ; dicer coovienli
Chi drizzò V arco tuo a tal beraaglk).
Ed io : Per filosofici argomenti^ 25
E per autorità the quinci soeude.
Cotale amor oonvien.che ia me s' impronti ;
Che il bene, in quanto beu» come s* intende.
Così accende amore, e tanto maggio,
Quanto più di bootatè in sé comprende. 30
Dunque alPessenzit, ov*è tanto «ai^vantaggio,
Óm ciascun beo cba fuor di lei si trova
Altro non è che di suo lume un raggio,
Più che in altra convien che si muova
La mente, anMmdo^ di ciascun che cerne 36
Lo vero, in che si fonda questa prova.
Tal vero allo intelletto mio sterne
Colui che mi dimostra il primo amore-
Di tutte le sustanzie sempiterne.
4 9. Quella medetma toc$. S. Gio- ù peccali , «/»oepTt«c( ; • ignoranze li
rfaiaioò anche il Salmitta : Ignorantiat
■MM nt memiuatit, — mutgfio, nag-
gi«ra.
81-56. Dmmptt Mil'énmuUm «0.
Ordina e ini.: dnnque a Dio (eaaema che
ba laalo vanlaggio aopra tulle le altre
eMenae, clic ciaacua beoe che è taerìdli
lai altro acuì è cbe aa raggi» del Ioni*
eoo) eooTÌeoe cbe laacDle di cbieenM^
coaoaaa, la Terìlà su cai ai (uaila l' ar*
goneoto aiipra eaaacialo, ai oaaoTa^
aMBodo, più cbe verso di altfa naaim.
37-3'J. fai vero, tal verità, tleme^
appiana, Blende innanzi, didiiara al aaia
iotelletlu Colui ee. , dtié Pialoaa, il
qaale dinmatra nel sao Simpuaio, caM>
ra {àoè il aoauno beoe in se diRaaivo^
«aere il primn di iatt« lo tuiionaié
ttmpilomo, «uà di lutti i;li tHa. Noi
per te «nalaasie seai^iXeraa ialasderiv
aM» gli angeli e le auio» amaaa. Altri
f ugliuov che Colui the mi ditmoUraoCm,
aia Insilitele, che nel libru Ae coiuif di-
ca : • La catena degli eflclli a datla caflM
• non è infinita ^ per la qaal coaaèdia^
f ccssiliipeivenu-eaduuacagHioeclMsia
• cagione di latte le altra , àaè a Dio. •
Tanni.
21. in cura, in daaiderìo.
22-23 . Cerio a più angutto rayiàp.
P^re cbi> con questa mctafura abbia vo»
luto dire: conviene cbe i taoi caacelli
escano dall' interno dell' anmao tuo piA
definiti , oieglio schinrati, cooie asce dal
vaglili che abbia angusti furi, pia acfaia*
rato il fiore della farina.
24 . Chi drizzò «a. Obi drizzA ccak
Tamor tuo verso D.o.
2'i. Per filato fiei argomenti, per
discoi so di ragione.
2tì. E par aiutorilà te. : a aer rìra-
la/ione, che proviene quinci, da Dio.
27. t'imprenli, s' impronti, a* ini'
pr ima , o si ecciti in me.
28-30 CM i7 Ae»eic.Peroccbè il be-
ne (in quanto e bene) tosto cbe viencono-
aciato accende dell'amore di se,etanlu
piò quanto più esso racchiude di boo-
U. L' uomo non può amar dia il beaa }
a ae accade cbe ami il mala, noo Ioam i
come ai.ila, ma ia quanto lo ««da aa
bene: onde tutte le nostre colpe nasco>
no da on^aberraziitue della monte, e
laolo aaona il oooie cbe dai Greci ai dà
684 DEL PARADISO
Siernel la voce del verace Aut()re,
Che dice a Moisè, dì sé parlando :
Io ti farò vedere ogni valore.
Sternilmi ta ancora, incominciando
L'alto preconio» che grida l'arcano
Di qui laggiù, sovra ad ogni altro bando.
EJ io adi* : F^r intelletto ameno,.
E per antorìtade a lui dbncorda»
De* tuoi amori a Dio guarda il sovrano.
Ma di ancor, se tu senti altre corde
Tirarti verso lui, sì che tu suono
Con quanti denti quesi' amor ti morde.
Non fu latente la santa intenzione
Dell' aquila di Grìsto, anzi m'aoooril
Ove menar volea mia professione.
Però ricominciai : Tutti quei morsi.
Che posson (ar lo cuor volger a Dio,
Alla mia caritate son concorsi ;
Che Tessere del mondo, e l'esser mio.
La morte eh' el sostenne perch'io viva,
E quel che spera ogni fedel, com' io,
Con la predetta conoscenza viva,
IO
IO
hi
60
42/0 li farò vedere m. .* io ti mo-
strerò ia me congiunte (otte le perfezio-
ni. Ego ottendam omne bonum Ubi,
Ei., C. 53.
43-44. Stemitmi In ee.: to ^re.
• Gioranni , total vero mi, dimostri nel
principio dell' mito preconio, che grida,
Kbblicn, laggiii, nel mondo^ l'arcano
I qni, doè il gran tegreto, il gran mi-
stero della incarnazione del Verbo , coi
egli annunzia fonte di vita , di Inee , di
grazia e di yerità , qualità tolte cbe co-
mandano amore.
45. Sovra ad ogni altro bando :
qiesie parole dipendono dalFagg. alto
espresso sopra. cine il preconio o il ban-
do |evangelicoj alto sovra ad ogni al-
tro Dando \ io qnantochè il Vangelo di
S. Gioranni è l'aqnila dei vangeli.
40-48. B iondC: ee. Ed io ndit
rispoBdcrmi: Condotto da naturai ra-
gioìse e dairantorilà divina concorde
alla ragione, riserba a Dio il eovrmuf,
ti prìflcipalf , da' Ubi amon.
49. mitre corda , mUn m^i\.
50. 9Uon», svoti , dic%.
51 . Con gmanii demii ee.: ciȏ,4
quanti motivi, con quanti
amore ti punge.
52. latente, naacoeln , «^w..
53. Deir aquila di dritta. InL à
San Giovanni , a cui ai db per iaa^pa
l'aquila per lo slancio sabliae cea che
da principio al suo Vangielo.
54. mia profeetioma : la
ne da mici sentimenti rigonrd* «D'i
di Dio.
55. Tutti aun morai. ContMM la
metaf. Tutti gr impolsi , o tatto le le-
gioni.
57. Alla mia earitetia «e.; harna
cooperato a trarmi verso P omor fi OSa.
58. Che tetterà del mtmrft or .2 po-
nicele la creazione dell' Caivotoo , 0 A
meec.
59. perch'io viva, por aateni
l'eterna vita.
•0. B quel che aperm oe. r o !• ift^
rama data a tutti i fedeli di «■ fmsh
dina do^o la morte.
^\-^ . C«iw \% •vv«teAW «t.t <
CANTO TENTESlBIOSESTa
685
Tratto m* hanno del mar dell' amor torto,
£ del diritto m* han posto alla riva.
Le fronde, onde s* infronda tutto 1* orto
Deir Ortolano etemo, ani* io cotanto
Quanto da lui a k>r di bene è porto.
Sì conV io tacqui, un dolcissimo canto
Risonò per lo cielo, e la mia Donna
Dicea con gli altri : Santo, Santo, Santo.
E come al lume acato si disonna
Per Io spirto visivo ebe ricorre
Allo splendor che va di gonna in gonna,
E lo sveglialo ciò che vede abborre,
Si nescia è la sua subita vigilia,
Fin che la stimativa noi soccorre ;
Cosi degli occhi miei ogni quisquilia
Fugò Beatrice col raggio de* suoi.
Che rifulgeva piò di miU»,milia;
Onde, me* che dinanzi, vidi poi,
E quasi stupefatto dimandai
D* un quarto lume, eh' io vidi con noi.
E la mia Donna : Dentro da que* rai
Vagheggia il suo (attor l* anima prima.
Che la prima Virtù creasse mai.
Come la fronda, che flette la cima
Nel transito del vento, e poi si leva
66
70
^6
SO
S6
(Itila ragione e dalla aatorìlk, IntU ai
hanno (le predette cote) dal mar tenp**
stofto del tortoe ingannerole amore b<m»
dano, e portato a/la rito, al termÌM
sicaro e tranquillo , del diritto tmorty
all'amor di Dio.
64-66. Le fnmd$ §e. Int. faeri di
metafora : le creature che adornano lat-
to il mondo, cbe da Dio è coucnrato e
proTTcduto, io amo a roiin:a del bene
che loro è porle , comunicato da Dio ;
cioè: io amo in loro la perfetiont t
r opera di IKo. Questo è vero amort di
canti, che ri diffonde per amor dd
Creatore aopra tutte le crealaro.
. 70-72. ti ditonna. (Cesta il tooso:
è an neutro paat.) Vno »i tveglia per li
TÌrtà nmtà che ricorre, cIm ti rÌTolft,
allo splendore che patta da una bcm-
brana all'altra dell' occhio; le qutf
membrane tono come gonne o reità di
l'Mfo, che i Ètici ebiàmeao ttmieh0.
73. eia che vede ahhorr§, riiiiii
dal lume e dagli oggetti intomo.
74. Si neteia, ai priva di ditctni-
mento. — U tua mòlla vigiUm, Vìm'
proTvito suo tvegliamento.
75. Fin eh§ ec. : findiè ben riiTt-
gliato ed avvetsato alla luca non rietf*
•occono dalla faeollà giadieatrica.
76. quitquilia, qui fai* ingoaibray
ìapedimeoto.
78. pOi di mille Milia, laataM
pie di mille miglia.
79. me' che dinmai, BM|lia A
prima.
83-84. rmgkeggim ee,T FanoM di
Adamo, la prima creata dalla TÌrIè pii»
ma, da Dio, lietamenla eontampla isM»
morata il tuo fattore.
85-90. Come la (^roiid%«t.^«^^«ft-
aioo inotaentaia %\ ^oT\^aft\tMi»«*>«**
keUezza A* un% ^ttcÀ% ^\e^% ^ ^f^
Coma U lr<md% t^ \\«^\^ '^***
686
0BL PAEAD190
Per la propria ▼irto che la sablima,
Fec* io m Unto quanto ella diceva,
Stupendo; e poi mi rifece sìniro
Un disio dì parlare ond* io ardeva;
E cominciai : O pomo, che maturo
Solo prodotto fosti, o Padre antico,
A cui ciascuna aposa è filia e naro ;
Devoto, quanto pone, a te supplico
Perchè nrì parli; tu vedi mia voglia,
E, per udirti tosto, non la dico.
Tal volta un animai coverto broglia
Sì, che r affetto convien che si paia
Per lo seguir che foce a lui i* invoglia;
E similmente l'anima prìmaia
Mi facea trasparer per la coverta
Quant*6lla a compÀcermi venia gaia.
Indi 9pirò:'Seiii'eHermi profferta
Da te la voglia tua discerno meglio
Che tu qualunque cosa t'è più certa;
Perch' io la veggio nel verace speglio
Che fa di sé pareglie l' altre cose,
E nulla face lui di sé pareglio.
IO
»
•»
!ld
!• pature del Tento e poi si rialza per
la propria TÌrtù o naturai forza rhe la
riporta in alto ; tal rrci io , i^<ìipendo ,
rMtaodo con istupore e lonza parola,
t» tallio qtutnto eila diceva, cioè, per
tanto tempo, i|aanto ella parlava, oasia
«•flirt Beatrice parlava: poi mi tolse
spello stupore, mi rifare fiewro, fraii-
cOj un desio di parlare er.
91 . O ponto, che mmturo te. Ada-
s* fu crealo in virile uiainritk, a diffe-
renia di tutti gli «Itrì che maturano a
gradi.
93- À cui ciaintna tpota ce. : ogni
àanme maritata è fifjlia d'Adamo, • mo-
{;li« d'un iiglio d'Adamo; dunque è ■
ui • figlia e nuora.
94. tupplieo è fatto lungo sulla a»-
coada sillaba , sebbene Beli' u!io ai pro-
ouusii brera: ma molti altrì termiai
aggi brevi a'iorouirauo lunghi negli an-
ticfai poeti ; COSI troveremo eùUàem al
Caato XXVIII, ver«o2(.
•e. £. par wlirli ce.: « \)n\«MÀ«
et Barrarti ciò c^ conaaci . ^r wMi\t«Bi-
mallere tempo , a |>«t i&OìiK\ «ìV\1o.
07-102 Tal Tolta un aaiaicicr
Talvidla un animale rlt«* mia n<perlocM
on panno, broglia, sì agita in si faiti
Siiisa. rhc convi<-ne the Vaffcllo, ■!••»
e»idcrio o la voglia clic ha d'asdrr
fuori ai niaiiìfritti, aitrao il BiTiafato
rhe dietro a anello f< Vinroglia, ita
il panno che lo in%olgr, qaaai
diijii: in siniil e**'** ' anìaM
(AdHmi'j fHOfva II apparire J9€r
fa. cioè, pt*r il lume «-ntio iJ ^aalteri
nasruhiM. quanto pel dekiilcrio et tfOt-
piaci'imi rrnia gain, «li%eoiva allegra,
f (i3 «pird.maiiilò fot^r- Uvere,f•^
lo — pro/frr/a.mnnifi-xlata AlraoiO^
Lanifnr intric di Da Ì9 bann* Haalt
I Oli. 108 ail verace epeglie Ckt
fa <ii tè pareglie ce. Svi «era sfcr
chio |<h«f è I)m>, in cui i beali «eg^>
ra|i|Me»rnfate tullff le rose) duT^l'
efit e cose pareglie di «é, pari, agaa& s
seste^fte.i-ioejerendtf «ernaBeatr faab
aoiio. e ntuna, cii»^, mentre aiaBaeMi
Y^k^ ^*^« Viw ^«.tv^Vn^ 4f^ «a« aaaab i
CANTO TarTESlMOSESTO.
Tu vuoi udir quant* è die Dio mi pose
Neil* ecrelsò giardino, ove costei
A cosi lunga scala ti dispose;
E quanto fu diletto agli occhi miei,
E la propria ragion del gran disdegno»
E r idioma eh* usai e eh' io fei.
Or, figlinol mio, non il gustar del legno
Fu per sé la cagion di tanto esilio,
Ma solamente il trapassar del segno.
Quindi, onde mosse toa Donna Virgilio,
Quattromila trecento e duo volumi
Di Sol desiderai questo concilio ;
E vidi lui tornare a tutti i lumi
Della sua strada novecento trenta
Fiate, mentre eh' io in terra fu*mi.
La lingua eh' io parlai fa tutta spenta
Innanzi che all'ovra inconsumabile
Pone la gente di.Nembrotte attenta;
Che nullo effetto mai razionabile.
6S7
ito
ii»
120
itt
roDo il Galrani e il Ntnnucrì, la TbM
propelli, pareth, pari, limile, «il è ^uì
omU coi gt'Q, corae il iimilit dii La-
lini, che onivisi col geoit. egaalmeote
che col dativo Qursla lei. è del Cod.
Vaticano e di molli altri. Anche io |*aD-
oacciodal Bagno si legge uomini pmr9-
gli, cioè, uomini pan . agiiili i;cani
però hanno ehe fa di tè pareglio mtl§
altre cote, e nulla face lui (a W\\di ta
partgiio: dove pareylio Hai ebbe nel
tenao di rappresentamento : Iciioaa
e aento che torna benÌHsiroo.
1 4 et 1 1 Nell'ercelto giardino nj
Nel terrestre ParaiiiKo, ove Bi'8(ric» ti
feca abile a aaliie qnauù per la langa
scala de' cieli.
I f 2- f 14 f quanto fu dilHie te.
E YDoì sapere quanto tempo si dileUa-
rono gli occhi miei della TÌsta di eiao
Paradiso teriestre, e la vera casiuna
deirira divina contro, di me, e il lin-
guaggio che usai e del ana!e io fui aa*
torà La Sci itiura dice che Adamo diedi
il vero nome alle cose.
tt!>-tl6 Ort qui or è particella
che serve alla trausixione del ragie-
namenlo, e bU per adunque. — del la^
gno, cioè del lutto del hgoo. È frati
wntlorafe.
•417. ti intpttmf del §efm, D
tnpaasara oltre i <linnÌDÌ BrwerìUi dal
folere di Hiit, cioè la dMVDbidienia.
118-120. Quindi, da «pel («ago,
cioè dal limbo, onde , dal quale, Bm»
triee mnase Virgilio in tao soeeorao, di>
fiderai questo toneilio , qoaata ida»
aann di Beati concordi in nn aiedi-
simo volere, quattromila treaento eoo
9olumi^ rìvolurionif di sole,oaaia aom.
Ha aegutio Dante il calcolo d* Eaaa
bio, rbe dalla creatione del mondo alli
morte di Gesù Gitto pone 5252 «loi ,
da' quali sottraendo i 930 ehi Adani
visse, hmangnno appunto 4303. Nai
Codd. Antald. e Ang. Icggm qnÌ9Ì ìm^
vece di quindi.
421-123 ff v(rf< lii{ «e. E f idi il
iole tomnrr a tutti i htmi, cioè, a tatti
i aefni Della tua ttrmda, dello lodia-
co, noveceuto trenta volta, cioè fini
990 anni.
123. a/r iVftì jiuwimiimMIì.* ti-
l' epera che non potava oanaro t»mi0
mala , eoodi^la ■ tarmiM , «iè alte
torre di Babei.
t7I-\» .CH^imUo f^UA<«uA,w>''>
piinocr\\« m«\ nvan% «^«v% 'VT^**^'^*w
diW arVAT\o ÀAV %»m% ^^^'''•^j^^
dwrabUe tempra , «w^ ^ ^M«««^
089 DEL PARADISO
Per lo piacere nman, che rionovella
SegucDdo il cielo, sempre fu darabile.
Opera naturale ò eh* uom fovella;
Ma, cosi 0 cosi, natura lascia
Poi fare a voi secondo che v' abbella.
Pria eh* io scendessi all' infernale ambascia,
/ s* appellava in terra il sommo Bene,
Onde vien la letizia che mi fascia ,
EH si chiamò poi: e ciò conviene,
Che 1* uso de* mortali è come fronda
In ramo, che sen va, ed altra viene.
Nel monte, che si leva più dall'onda,
Fu* io, con vita para e disonesta.
Dalla prim* ora a quella eh* è seconda,
130
IS
140
(Inrcvole : Per lo piacere mnan, a ea-
U'ione della volontà o appetito dagli
nomini, die rinnovtlla, che ti rionoTa,
cbo soggiace a canibismento, Segittndo
il cielo, secondo il vol(;er del ciclo, oa-
sia la posicìonc e l' influsso d^li aatrì.
— Vane edizioni portano millo affèUf,
430-132. Operm naturale è A'
uom ec. Iiitondì: T espi intere e il ma-
oifettare altrui i proprj concetti par-
lando, è coaa che proviene da natarale
disposizione ; ma poi di parlare in qae*
t>to o in quell' altro modo, la natura la-
scia fare a voi altri nomini tecondo che
9' abbella , cioè, secondo che vi piaea.
£ gravissima questione se V uomo abbia
potato inventare il linguaggio con la
forzo naturali, o se l'abbia appreso par
divina rivelazione. Ne lascio V indagina
ai Fil(«ofi.
133. all'infernale ambascia, al
limbo, che è la parte supcriore del-
l' Inferno.
434. 1 t^ appellava ec. Il Lain*
predi sostiene la presente lezione eoa
un Codice da lui veduto in Napoli , e
ricusa che Dante con tal segno abbia vo-
.utu signiGcare il nome ebraico hkovah,
con cai era invocato il nome di Dio , a
^e abbia fatto uso della sola iniziale I
per denotare che la predetta sacro-
santa parola non si poteva scriTera io-
(eranieata , doo cbe prutenrt dai tro-
iani. Lo ateito LampreAV aX ^«no VSft
legge SI, in Uoqo dì EU, «tcon^oA
detto CoJ. — S. Isidoro, d'iclro\%iMiU
di S. Girolamo , mnw odia ava £!(•
Mologff, che da principio gli Ekni
chiamarono Iddio col nome di f f af^
scia di Eloi. — Altri leggono Um; é-
tri El. Ma dovendoai cercare a Die aa
nome die appartenesse ad aoa liaga
di cui non nmanga più traccia (vei
sopra T. 12-1), coDverr«rbbe piò I ck
Et , voce che si ha ncir ebraico eant*
iciuto : del resto an misterioso I 1^
nevasi pure sulla porte del tampe
d'Apollo in Delfo, e intorno a \mà »
goo scrisse un opoAculo Platarea. Gè
osaerrava molto acutamente lo Zanetti.
435. fa fea'xsa ehm mi feucia: i
lieto spleutloro che mi circonda.
436. e ciò coiwitnm: e tal aiM
mento bìsojTna che Na ; o^ è aaeaala
V aroana natura.
437. è come fronda ee, G rìeavda
il celebre paragone oraziano: Ot ailw
foliis pronot mutantur in mmmma ee.
431). A>f monU,ch€ H Uvm et^
cioè, nel monte del Purgatorio, cha pii
d'ogni altro s'innalza sopra la eciaa
del mare che circondano la terra, e ìa
cima al quale è il Paradiso Iti mafia
440 con vita purm, con vita i»*
nocente, prima del mio
turbata dalla concupiacenià . •
afa , e con vita soggetta alla
sceoza dopo il mio peccate.
44l.l42.D(iffaprfna*of«4
«\«\. . B^vw ^ii: uv % M <
\u\ otMVo ^ VQA % ^^\\n^ «ili \
t\\* tft^vì\V^^ aWa ua.\A
CANTO TEffTESIMOSESTO.
Come il SnI TiiTita quadre, air ora f«sla.
«pMdranl*, onn la qsirt* pula lUI PaniliH
CAUTO VENTESmOSETIUflO.
Al Padre, al Figtio, allo Spirito Santo
Comiociò gloria lutto Ì1 Paradiso,
Si che m' inebriava il dolce canto.
Cìli eh' io vedeva, mi sembrava un rbo
Dell'universo, perchè mia ebbrezza
Entrava per 1' udire e per lo viso.
O gioia I 0 ineffabile allegrezza 1
0 vita intera d'amore e di pace I
O senza brama sicura ricchezza !
Dinanzi agli occhi miei le quattro làce
Slavano accese, e quella che [irla venne
Incominciò a farsi più vivace ;
E tal nella sembianza sua divenne,
Qoal diverrebbe Giot e, g' egli e Marie
Fossero augelli, e rambiassersi penne.
La provedenza, che quivi comperle
Vico ed ulfido, nel bealo coro
Piradl» «»<.«.»•>
S «l'i ■
<À*lr.: Tali
S. d'»
^rX^Vl .
. fittila >V prU vniM , dal* 3
IJ-là, »(.. - ^
E tal <ti«ii»ir 11 lamr ii S rMn, ^MC 1
ilinrnbb* il piaarU fitni*, n mtnlg^
!«-<■ I
30
$90 DBL.PAftAIMSO
SìIeDzio posto avoB'da ogni parto,
Qaand' io adi* : Se io mi trascoloro»
Non ti maravigliar; che, dicend' io,
Vedrai trasiooiorar tolti costoro.
Quegli eh* usurpa in terra il luogo mio,
Il luogo mio, il luogo jnio, che vaca
Nella presenza del Figlinol di Dio,
Fatto ha del ciroìtmo mio cloaca
Del sangue e della pozza, onde il perverso,
Che cadde di quassù , laggiù si placa.
Di quel color, che, par lo sole avverso,
Nube dipinge da sera e da mane,
Vid' io allora tutto il ciel cosperso :
E come donna onesta che permane
Di sé sicura, e, per l' altrui fallanza.
Pure ascoltando, timida sì fané.
Cosi Beatrice trasmotò sembianza ;
E tal eclissi credo che in ciel Tue,
Quando pati la suprema Possanza.
Poi procedeller le parole sue
Con voce tanto da sé trasmutata,
-49. St tomi tratcoloro.Se io pai- vidi tUiora tulio H citto eotptrm tfi
quei colore che dipinge nube dm «rrf
g da mane per il tale avverto. Qm^
•lo coloro che tla nulli ■« e da tera S-
piag# una ouvoU ,cli« ai tr«ri di cooln
al *4tle f è uu ro««o iafocato. — Itili* 6
del , tulli i c«le»li .
31-53. che permane, cbe ai atofCW
ai rìnuoe, di m tieura prr la coocvm
di tua inUfgriU ; e per V altrui fallmt'
IS
•• dal mio colore ad un piò acceso , sa
io mi tingo io rosso.
20. dicend' io y mentre che io dico.
22. Quegli eh' usurpa ee. lolco-
di; quel UonifaxiuVIII die t*iu in terra,
mal tiene , perchè da Ini usurpatii e per
catliTC arti conseguito, il mio la«igo nel
sommo pontificato. Si miti la triplica ri-
potinone del luogo mio, a dimoktra-
lione di forte sdffjno.
23-24. che vaca N§lla pretewia
del Figliuol di Dio: cioè, che agli
occhi di Gesù CHhIo è come te T^ssa va-
caola , perchè uccapatu da un indi*gao ,
0 bmtlamenie abuMto. Si nuli che ao
Booifaiio non è papa davanti a Dio, lo
è però davanti agli uomini, che debbono
lanpro f cnorarlu coma vero ? ieano di
Griato.
2S-27. del eimiterio «io, cioè,
della mio Roma, nella «|iial«* è aepcdlo u
corpo mio. — cloaca D*l »angme oe.,
YQol dira ano aantmo di crudeltà • di li-
bidioà, par coi il perverso cb« eoddo di
:l*Maè , Locifero , «i placa , ai oooaoU
■ggiA noi suo rabbiooo doloro.
28-50. Di quel color M.CoaCr.: lo
IO , e per il (alio altrui , Pure aual-
tonilo^ solamente prr udirlo
ti fané , si f.i , diviene (imida.
34. Cofi firalrtce li
hiama: dei «iiuperj de' aaoi
non ba colpa la Kfliijtoiii
dolente , e n'arroosa.
55-56 lai relieti «e. Tito
mento di srmbiaaio credo rko fu
cielo, Cloe negli Angeli, ^memia
Crtsln putì in rruro.
58-3tl Con voce tesate ém ék m.
Con voce lauto cambiata dniin ptimMn,
par la veeuietira del looo , tjka wmm fi
maggiore il nolainento del coluaa , w^
tato Miiira al v. 13 o a«f . !■ Weoo, Il
Toeo di S. Pietro camb:ò n«lla rogiaM
•lasaa die molalo •' ora il naa chiaro.
cimo
40
M
M
Non fb la Spwft di GriMKi«llef»tt
Del nngqe ano, diiLìB, di qmà di CIMd,
Per ewere ai Mi|iiiila d' oro onta;
Ma per aoqoislo &. otia- vber lieto
E Sìtto e PJOi#<Caiffllae Drbaa»
Sparaer lo aongpatddfa OMlto fleta.
NoB fo nostra ioleiKMMitoh' a dastra mano
De' nostri soooaaer parte aedoBM,
Pirla dair atoa, del: pafoi crìiiiliaBa;
Né chela dilavi^ chani'far coocewey
Diveoisfler eegaacaiaJa veaeilla,
Che oontra i:battBMtf oombiittaaa»;
Né ok^io fossi i^midiidgiUo
A priTìlegf maduli^a mendaci,
Ond* io.8avanlatamiiio^«dìifevili0b
In vesta di paelar lapiiiapaci
Si veggiaa.di ^pHMbtpar Intli i pncU:
Odiiosa di Dio^.peaehè por- giaci 1
Dersangoe noetro-ÙMmioi a Guaschi
41. 4{Ite«f. LiM,Ctit*«aiite ìSI%JU:jaÉk'Ufiinif9mrmmit9è
faroao wectori di 8. Fin», nuli, cht fa flw iaiafuifdi
«■rtiri. prifUrii • •
riOei, lodoM w ^«U fonUyiA ffl. 51. Qméff
traffic» 1 4i pnitUiniMM. iiw - mi' — tj *' * "' ^'***^
4S. /feto. piMto, dal ht. /Mw, ^^sa pfrimUiipndà, fm^tiimU
da mi deriTi la parafa fMU$ laM^M «gltodrt afiaaipaii, o pa Iwm» fa ^fo>
manie uiala.
46-48. Jfo» /fa Mflm fa f— file,
«e. Caatr. a fai.: mum fu TaloalàaaaliA'
rh« parla dal popolo arialianii aadaHfta
deaira OMoo dr oaatri MMaoMurL do^pan •
pi , a parto alfa araiaira : doè, am aaa
parta ìum» ri|oardata da faro ano oaifcfa ■
di orodifatiooo,, OMllala , ornar fal« , .«
V altra awililo , abkaUuIo a jlgwagaito
(a par odfa di parta Siadono al* diaiÉf
dal papa i GoaM, parakè pradilaaisalfa.
MOMrtro I Goiballini , ^oaai aoMnoaiMlL
50-51. IKoaniiaar «ff Mocolo «i. ;
cbo, dipinlonolfa baodiora pa|iafa,dina*
(aiaor OA aafO»di gorrraciNilroiGlHW*
liol , cbo araoo pur ballaiiala a «omM.
di OOM ModaMOM Cfacao* fa osofa Boi^
pirtefgfa. E S. Poolu ditaachiorwMMlt
cbo aporoaM Crialo ooa t' Im diatioHMO
di Gtaulao odi Groeo, iiorclio «ali è Si»
0 Signora di ■liarricowlfa eoo UiUi.
f<
89. O Hftrn éi IKo «i. O^lfi^
doU» afaoB , pafaM fot
if paraM «•• aorfbt — JM
iofoaodiO-tftfiM^ I>i8"a»
•llffit od olIrtffMlMi. Ha iNyiM4Bl
M» ME kaUa liawaa, oowhè'^aiBn
luplo dai fMMfwH. B fw» fa Mmo
éi IWo ooi in? «aafa aoolro yii !■(■
è'ilaalito foiirob Maaodi Dw^UMapi-
rtU ilp»ral*ro.
ia«ae IM mi
priiriaooio dMMlodai Mali oHa
UdaviMooo dal aao|M afaoio4oarij;
t* apforooafaooo od lOifMifMfoi IfM
drUbora oalfa Gì
OiOVOMN I&Ii OBliffOiOO, O I
tafoa ool paoUira-Qi
M.I«ODpod*Bo«diCa
pi «ol Mi diGiof«Mi X&UaaH8l6.
S' appareccbian di bere : o boon principic
A che lìl fine convìeu che la caschi I
Ha l'alta providenza, che con Scipio
Difeiie a Roma la gloria del mondo,
Sorcoirà loslo, si Cora' io concipio.
E !□, figliuoli che per lo morlal pondo
Ancor giù tornerai , aprì la liocca,
E non asconder quel eh' io non ascondo.
Si come di vapor gelali Bocca
In giuso l' aer nostro, quando il corno
Della capra del eie! col Sol si tocca ;
In gn vìd' io cosi l'etere adorno
Farsi, e fioccar dì vapor Irionranli,
Che fallo avean con noi quivi soggiorno.
Lo viso mio seguiva i suoi gembiaoli.
E segai, iln che il mezzo, per lo mollo,
Gli tolee il trapassar del più avanti.
Onde la Donna, che mi vide asciollo
Dell'attendere i[
Il vi.so, e guarda ce
Di eulBi dice il VilUni nd I b. SI, eh*
■KM* sBi rnem n (ulti i Iwaeliij di
e tu 3
mica Cirùgi», Sotcarri lailo, vic-
corrvii pretto , jl cdm' £0 etmcipio ,
dilla Ckitm a <l(ll' impera 'di Roai cit-
I
i . par lo mortai pondo : pel corpo
gne l' aert nailro fiacca in giiuo di
ipoWgaliUI, rÌDÌpiiiic, niiiiila già a eli
oedii, (|UBÌ laBH,la ona, cha por è mi
ifora è lolla dal libro dei Salmi dolo ibbiM.
;. Qntnilo il eajttcococ
qntdtiit ili ruport Irianftntì, m £
conlraria ÌI àoccar ddU ocn t<db ■»
lira tfrra.
TS-7S- Lo tiu mie. U mia ibk,
tfguivainioi irmbimittì, ttfùunii
jMi, 0 iiicEi<il«,j|nrhcflawi». F^
lo moUo. Gnehl lo ipuia D«di> ni
mi e ma. prr hmt molto, jJI Mk,
tnlia ed eiio ei'io, imprdt . il Info-
iar (olilo per pomr) dtl piiauMi:
IratcorrfT pH tunaf. Vtdi di qsMi
diilinfl toccala ancha al Cinta UlU,
t. 115.
76-77. Ond, la Don^m. tk, al
t aiciolto te.! onda Bailrka, Al
virfa Hiollo dal ifiirara ■ll'iuta-
CAKTO YEMTESiafOSETTIMO.
Dall' ora eh' io avea guardato prima,
r vidi mosso me per tutto 1' arco
Che h dal mezzo al fine il primo clima ;
Si eh' io vedea di là da Gade il varco
Folle d' Ulisse, e di qua presso il lito
Nel qv^l si fece Europa dolce carco.
E più mi fbra discoverto il sito
Di questa aiuola ; ma il Sol procedea,
Sotto i miei piedi , un segno e più partito.
La mente innamorata, che donnea
Con la mia Donna sempre, di ridure
Ad essa gli occhi più che mai ardea.
£ se natura o arte fe pasture
Da pigliar occhi per aver la mente,
In carne umana, o nelle sue pinture.
Tutte adunate parrebber niente
Ver lo piacer divin che mi rifulse.
Quando mi volsi al suo viso ridente.
693
90
U
90
95
79-81. Dall' ora ec. Dal Umpo
ìq cai io areva altra rotta guardato di
laaaà la terra (Vedi Caoto XXII, far-
*o 451), a quello in cai poscia la riga«r>
dai, vidi che io aveva percorso iotieoM
coi Gemelli V arco che dal meridiano
all' orizionta ocddeotale forma il pri-
mo clima. Avea dnoque girato un qua*
drante , o od quarto della afera ; che
vuol dira , che erao eorse sei ora da
quando guardò la terra la prima volta.
— Dante , secondo la geografia da' aaoi
tempi , pone i termini dei climi ai ter-
mini del nofttro emisfero. Queati clioai,
dice Piero di Danto, son linea stasa
d' oriente in occidente , che fanno va-
riaro il temperamento degli animali , a
gli nmani costumi.
S2-%h.Sieh'io9edta$e, Si ch'io,
trasportato alP oriuonte occidentala, a
troxiixlomi perpcodicoiarmeota aopra
di quello insieme col scgnu dei Gemal*
li, vedeva di U da Gade (Cadice) il
lungo ove follemente Lliksc tentò di na-
vigare a fece naufragio, cioè l'oceano
atluotico. — e di qua presso te.: e dalla
parte orientale del nostro emisfero io
vedeva fio presso il lido fenicio, dove
Oìuve trasformato in toro rapi Euro-
pa. — ti fece Europa dolce earco*
E\irop9 àireaae dolce po>o a Giove, che
in forma di toro se la portò ani deno.
85-87. Bpiikmifora ee.EUaito di
Sneste aiuola (iot. la parte^ terreaire
al globo) mi aarebbe stato piò aeoper^
to; cioè, ne avrei vedale nna manior
diatesa oal lato orientale: ma U SoU
aotlo i miai piedi (poiché i'otUfa sfera
in cui io era, è al di aopra del aele)
procedeOt endava innaosi a me, par-
lilo un segno e piu^ distante nn aegno
lodiacale e più. Dante ara n^ aegno
dei Gemini, e il sole era nei prìnù gradi
d'Ariete: dunque tra lui e il aole eri di
mexzo il Toro e parecchi gradi dell'i
te , onJe al di là del lido fenieio «re
ombra. Vedi per maggiore scbiarimeBlo
di questo luogo, le due Appendici alla
fine del Canto.
88. donnea, amoreggia.
8'J. dì ridare, di ricondurre, di
fiaaare novamcnte. Da riduire, ad'
disire ee., levato IW, ai fece ridiirt,
oddure ee.
91-93. E se natura ee.: e ae la na-
tura o l' arte produssero pasture, cioè
belli'ixe onde pascere gli occhi per aver,
per attrarre e occupare le menti, Vasta
(la natura) ne'corpi umani, l'altra (l'arle\
nelle sue dipintura^ \n\\a ^^oa^* ^^«
tì:S. cKa mi tx\u\w^ ^«* >^«>fc^
\ettti« ai sv^tu^^v^t ìN^*^ ^^•^ ^vo^*
CANTO VENTESIMOSETTIMO.
«95
Colui cbo il cinge flolameote ìoleiide.
Non è suo moto per altro di-tinto ;
Ma gli aUri soo mifuratì da qqesto,
Si come diece da mezzo e da qainto.
E come il tempo tenga io rotai ta4o
Le sue radici, e negli aitn le fronde,
Ornai a te puot* esser manifesto.
0 cupidigia, che i mortaii affondo
Si sotto te, che nessuno ha podere
Di trarre gli occhi Aior delle tne onde !
Ben Gerisce negli nomi ni -il volere ;
Bla la pioggia continua converte
In bozzacchioni le susine vere.
Fede e innocenzia son reperto
Solo ne* parvoietti ; poi ciascuna
Pria fug}:e, che le guance sien coperte.
Tale, baibuziendo ancor, digiuna.
Che poi divora, con la lingoa sciolta,
Qualunque cibo per qualunque lana ;
E tal baibuziendo, ama ed ascolta
cidi SODO goTcrnati, intesi, da mn A^
feto.
il inoto ciii|uet(o cielo dultiilo.ipiMrat*
da altro mulo, ma egli misura lotti gli
altri, pcrckè éa lui «oiiu im|imai.
417. Si come diece ee. : ti ra«a h
misurato il «licri dalla «ut mele, e'xok
dal cinque, e dal mio quinto, die è il
due. Non «odo i niiasfrì maf;{*iorì cha
prodaci>ao e miaurtno i minori, ma i
minori tono effrlturì dei iiiaf{|«iori . CvA
misura del dieci M>no il due a il da-
qae, perchè è prodotto dal primo np4^
luto rinqoa Tolle, a dal seconda ràd-
doppisto.
H8-I20. S cime il tempo m.
E come il tempo, in colai tegto (va*
i\è
120
125
130
so) , cioè , nel Primo Mobile , abbia
Le sue radici^ cioè roriijine tua oa-
culta, e negli sltrt cieli te fronde, noè
i moti a noi \isibli, onisi ti può aa-
aere msoife>>to. Gli scolaf^tici «tlrilMirQ-
do al Primo Mobile l'orìgine del »>••
to, a lui attribuivano psriinente 'a pri-
ma misura del tempo, e non al Soia.
I2U422. O cujndigia Èqui «Q*
eaclamaiione contro gii uomini mal ciNi-
sigliuti y cbe per la cupidig a delle nli
tempnnilì perdono V eterna. — «f*
fènde, aiTifiidi. sommergi. — folto fi,
■d toni gorghi.
424. Bm fiorisco ee, Bon worf
alrooa Tolta odi' umana rofonth niu-
ebe virtuoso prmoatto ; aia è VD «art
eha Dt*n «iene a irutto.
425-426. JTa la pioggia $e,:m%
come la pi«iggi> continua e«*nvette le sa*
ttflc vere in bonaechiani (ftosiae gaaate
a vone), evmi i frequenti sttmdi a OMla
operare trasmutano il baon velerà.
427. Son reperle, si ritrovano.
428. eiaseuno: doè, • la feda a
Pinn<«enia.
4 29 . Hen coperto. SoUiotondl étllo
primo lanugino.
430. Tale, balbuxiendo. lUnno
odia prima eti, quando dod fiwflM an-
cora kpi'dite le parole.
431 . con la lingua sciolta' addta
cIm ha la lingua, giunto dPelh in ani
paria spedilo.
432. Qoofunqno cibo: ^aMto-
dia cibo vietato dalla Cbìesa od domi
di digiuno. — per qnalìinqno Iimm.
in qualsivoglia stagione, nella quela dal-
la Cliirsa è onlinato il digiuno, o fotl-
tìasi astinenza.
La madre sua, che eoo loquela intera.
Disia poi di vederla sepolta.
Cosi si Ta la pelle bianca ocra
Nel primo aspetto della bella Gglia
Di quel che apporta mane e lascia sera.
Tu, perchè non li tacci maraviglia.
Pensa che in terra non è chi go
Onde si svia 1' umana famiglia.
Ma prima che gennaio lutlo si sverni.
Per la cenlesma eli" è laggiù negletta,
Buggeran si questi cerchi superni.
t fuori Mìt
AZiUs» Coli li fa te. CMU.eint:
Ctai la pitU bianca Htl primo atptl'
la, della brlla figlia (U f ufi che ap-
forla mane t loMia f - - - "
Giulia Catrtj di* ■Urinai ilFi^
563 ^ umi • 6 en, BKBtn ^Mt* ■»
tono iotcTC I «trirltH Àefa m*ÌA itf^
nt oiuira la itila figlia di colti) tk»
leailo iaàeia teraj àoi dui ai-it, prr-
dhii aniii'uLro ti ■(Lribuiti dugli «n-
lldiì GIhoG II g'ocruiiMU di tuli «li
ÌB altra lunu (CuId 1X11 , i. I (C) è dil-
: Q^gli tlt't padre d'ogni morlat
na-m. u.pcrMet.ui.
d«GoliA 111 11*0 «bbì tii|(iiiDff ili min*!'
pliferti É Unti diturdiui, tappi, p*i>u>
unJo i'iaiiwnlaHi IiuBdn ruuiint
luni^lil ti nia, !■ CUI, pu Ul moda,
142-143. ila prima 'et. Uà prim>
tb* il niu* di loniiai», liKiando di ip.
ta palle dal papa Crr(arÌD Siti sd ISO. Qv
anta p<r ainuta
1 leoiporCic .
alo anua di*M il PMnna: CM
1 plana «ui mUTtamttwàmh
«.lilabafirn^M*!!
liuiJiDafa.iB •*«),■«
lUDiia ai Mlcolm mI •■
CIATO TeKTEìmtXieTrtMU.
Che la forlnoa, che taulo s' aipelta.
Le poppe volgerà u' sod le prore.
Si che la classe correrà direiU i
E vero frutlo verrà do)io il Qore.
Meme, mi pnvU ood li ■niloraii cui tUu* H po(rctb« pnuda' aii «ti
DHlr» nodo di »d<n. — Ckelafnr- dì HMf, «im* %iUi Ulid» pr<
tuna u..* eh* li prMtlli s il ixuna' Ltiini li (kii
ni* (la riTsIuiiia* pulitici pu il (alilo ■ poppi p» Idi
Vtttrv) d» «n luw dgiidirie •'«ptl- iti poMI. Ad >
la, (oliirì in tona naltarìu l( otti, ■ tgurala, • tu"I air*, cut id
•llora la claiH. la Oolta, tonni pel do ('id.linautk e dal lata
atto vvno, Va|lìo astafa dia la parula lal« rilipata^
ltapr<M
laralipn
Illa uaì.
AwBKmtB Al. cAi«r«t KlLVll.
Dall'ara eh'i'o atea guardafo jinnu (e.
Dionitino». CIiBU * Dna «ma aa^ nri direms akaiia «M dalla I
di Una a di oiais mapni* tra iau yiliidi'iu il» la da IsiaDlo a pananM.
sarchi paralMi all'equalar*. Al lampo Talomao ara di opiaioBa oha li la»
di Dani* ì clini limilri (ranu ««la nbna dai aliai abitabili aaa al <a(a«>
ra<l*>ii»taai«t«UaiMng a'iuaa ccku- un, gatia la dwala di rfarfM art
pi**e afila parla abiiabila dui glul». agutli, chaparforr* il aala da lanata
La laafbeua dal fii>nio auMilain a pwanM atgii a^iitMJ. E D«bI« anp-
(Ira.- ai«li« il auiaigawia nella ana la, acba Gaufa all'onasla a Cada al-
pnow ilima. dfia dal (rado i2 >h al SO </l> Ma dal
Il ptinw aliffla ceninna» » nno rI-^w U. r>ln>, «a d.ll* .lari Ealorta.
■ '•qatliva doif il finn pia Isnun da- Incuoia lona di fiali appBBls al Ira-
rata p<r era 13 l/i, a taiiuiaaia h tana i anni gradi di tìtmild a Mito il
do.« t. a di 13 ■/> '^•"' "-• '' P''»'- Taro. jVhl. *l(..|,.ai, I,'ftr«Mt*f<M
pio dal Hcoado, eba Utniaara dona f I wlnmuUra alnmla, Cap. X.)
il lian» pià,luD|a ballata par «ra lt>ticniiinala«ial La niaioai 4ai ali-
.«»/.,
16>/.
(luì». J(nMtlD«'>«aiiiMiallaMi'a
li priniodiiiii larnalr* a*i*a prin- ài un «fiw r pra. Sappiale U
cipioa fradi liadiri > nniD. ara (IH ad pnoia di Arliia, poailaBa
I
Ule par lo ipalo di (ti or*.* ■ l'ini
rUmi t! Blrode di IcTiiil* * pnni
nll'arb- irtt la Finreia.mi
SII l'oHiiItiiU, e poirvm Boa calii
»• la Fmreia.ma ucWpmdl'an
lii«(a occidtnlalt drl prina clima EH ti, ac, eamt ti cn dbU*, ai Iona n
Ito»
E p-r U .1
lido drlla FtHHia ETn t
«Bda r* rapita Eurna. Qtnln lido i UlUlt. va non il Par«;rt«ia;'il ^m-
lolla il OH-idiiDO dì CanuiJFBinie, • la, aiilip-ulo al clima quarto, ara da la'
lp*IU ti climi iiaaHo, Diciluiiirn'iia- JiiUdIc bf p pia di i
pera di dna ett (fitaKro «uise nrr| il itatla ciriKuiletcau la
(iarao del primo cliDiti dunque ai Ira- drcFoii».)
jr^
rulli ieomeiMarì, •leUoaDcb. rcaaatart al pala, Ma * bmÌi
P. Punta topra citala, ditaiiii die la n- iella ii« inna, ditltaaiWBila <a
JioHpfrcui DaBlanaa vedetaaldi li Unte Ira riiini. Intrida, tiHB|
al lita IcDitio, m 1« lai
rtgBiiJari, la loal ragione
biH«.
uT^alliia U
da mMk dJuM
Il tcBperala a daBa
Salilo Daaledd Pu^atarW, «BaM
isaaatliidBUiia, ni putiAdoaciogli
la da par me, ebbi [inno
d'amica ad (na do! p'd ili.
laHatalaal WnpemlM»», Lawi|rniilB
liif wl», paithi Jiriiiara pia latannila
il pa^a ia fanttaot, isflia aai ripai^
toawUaaw iai*tnlk,«rlnJlti'ndw*
OB Wpa •mifìa ù lailsrìdì Haute.
•ifniit Biaathl erna la niia uninisi», i
la rbe mnaFda il lii> tnicie, <«»> i
IìbhI* tea i'vButaceillaniaalB tram.
parlila dina ,l.l
d* Dtnic aal tax
diiliii|iuBa liiiiii
cluni dituai ilali^
CANTO YBBITESUiOaBTTIBfO.
«99
Dal lato d'oeddaste l'aatoM m-
eenna toltaato d'avar visto
ài U ila 6tÌ9 n TftrM,
cioè Tooeano atltatieo, non aoaaaam-
doai a quell'epoca elie vi foaaa TAmaiv
ca. Secondo le cognizioni (*eograficlia dai
tempi di Dante, Cade doveva' Irovarai
1 0 gradi all' occidente del oiertdiaDo, m
cai il Poeta si trovava, a alia ìa ^al-
l'iatante Tcniva a paasara fm. Firmiti,
Eacori — '■■larpatatiooa eha non
laada d'inlrodarra.^aaldiaeoaa d'arbì*
trarìo, particolarmafllc rispetto al oie-
ridiana^ aoMa cai era Dante quando la
prnM ^«lUa mardò la terra dalla co-
jtallaziona da' Gaaìoi ; ma non eoooaco
paaao dall'Autore da cui queato oiarì'
diauo poaaa daduni ; che se veniasa fat-
■to-di Craivarlo, si-aonfermerebba o con-
.ftalarabibaU.flait
la. •
cjkxvm wvsnmnmmrrAwm.
IO
f^tdt U Poeta «a pmmta Imentiuàuu , 0 ÈUtrm hmw Mt^. dl^pisU f ptik prossimi mi tss0
somm più tpUndsmù « pim npé#l. Q%0tpmmméU éÈidmm Mmmum i futi-mm #li •rdlmi mmgstitL
Beatrtc* gU $p*tga eomt eomtordi U ststtmm d^mM», CM ttétus ài %msi ttrà4, Mèbsms Im fMtffi
U mof « la ìms trsseamt tm rmgm»9 dgJftWMnmti ef entfw, 9 m fMfU m mtsmrm ekt tttu
aeostmmo.
Poscia ebe incontro alk TÌta presente
De* miseri mortali aperse il vero
Quella che imparadisa la mia mente;
Come in ispecchio fiamnia di doppiere
Vede colui che se n* al'.oma dietro, 6
Prima che 1* abbia in vista od in pensiero,
E sé ri voi ve, per veder se il vetro
Gli dice il vero, e vede ch'el s'accorda
Con esso, come nota con suo metro ;
Cosi la mia memoria si ricorda
Ch* io feci, riguardando ne* begli occhi,
Onde a pigliarmi fece Amor la corda.
E com* io mi rivolsi, e furon tocchi
Li miei da ciò che pare in quel volume,
2. aper$9 U vero, manifestò U f^ a'aecorda eoo eaao vcro.eouia n
nta.
3. Quella eKe imparadita. Bea-
trice , che bea la aaia ueuie della baa-
tìtudine del Paradiso.
A . doppiero, torchio, o torcia di ce-
ra, COSI dello dal lat. de bassi tempi em-
pier ìut, forse perchè formato coU'aoi-
ra a doppio più candele.
5. eaa aa n'alluma dietro: cba
r ha acccao diaCro le spalla. Qoalcha la*
ato gè n'allumi.
6. Prima chs Cabiia Imvitla:
prima ch'abbia vista quella torcia, o
t' abbia par pensato.
7 . il Cairo, lo specchio.
8-9. i* accorda Con tuo ic.: doò,
la Boia musicala col maCro dai
ovvero, eoma apiega il Biagioli , aaflM
a' aaeorda il canta eolia aÙMua del
tempo.
40- N. Cogì la mia memoria ee..*
eoa) io Oli ricorde d'aver fatte ; pe
cbè guardando nei begli occhi di
tilce, vidi dipinta l'imnsagiue di
paacie rivolgendomi vidi verameata
42. Onde a pigliarmi aa. : dai <
li, e della virtù dei quali. Aflier
per preadrrmi e legarmi.
14. U miai: gli occhi miei.—- 4a aia
eka pare, da ciò che ep parìaee, ai ■•-
aire, in quel volume, in ^ael aielo fal-
gctttcai.
QDandimque nel suo giro ben s'adocchi.
Un punto vidi che raggiava lume
AcuIa si, che il viso, cb'egli aITcx-a,
Chiuder conviensi, per lo forte acume -
E quale siella par quinci più poca.
Parrebbe luna, locai» con »3o.
Come stella con stella si colloca.
Porse cotanto, quanto pare appreara
Alo cinger la loca che il dipigne.
Quando il vapor che il porta più é s|>e^-io,
Distante intorno ul punlo un cercbìo d' igoe
Si girava SI ratto, cli'avria vimo
Quel molo che più tosto il mondo cigrie ;
E questo era d'un altro circancmto.
E quel dal terzo, e il terzo poi dal quatto,
Dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quìnla,
Sovra seguiva il setlinio si sparlo ^^
Già di larghezza, che il messo di ìatia ^H
intero a conleucrlo sarebbe arto. ^R
Cosi l' ottavo B il nono : e ciascheduno ~ ■
Più lardo si movea, secondo eh' era :•
Il numero distante più dall' ono.
E quello avea la Gamma più sincera,
gif»t« iahint» al ^«ml>o , L*»!— fi»
•nei» tlU"!* fa Dvtate. t «a ^ito-
di chi T(J«> Ultalu MtttM ••• b»
0 idtllroplatiM* pw h rAaiawM
"io fìn'jr'
46. Pb pmUa; in qnnta punlo
Gpiiil* !■ diiiolli , chi tutto «Mipiiu
i« ìb un psnlo, il [.iiula, il priMulc
il !■(■».
w.:(b«|li eediicliK illiiuiiia, roawn
^Ktlutéitt ftrlo fori» atumr.r'
IB. ^apoM. pM n-ooli. — niiii
ti, di qui, <l>ll. u.-l« irr,..
10-21. Puntiti lanate. Coir.
Uni. e» tw (lo 'iti"»" 'I''»" p«
)■ Uaunou), UDX lì mllou (Itili ce
(Idia, ptrribk* Inni |ia (rtulttu),
sa. Ferii nifanlo . fiumto n
CMtr. ■ iat.: fant fiuiil« appritia
qnulla vicina, Jfo. a Hata (rAlont
rari tiitgtTi U tua cke 't óipigiu. I
* (amala a talsrito , i^uiflila il rapai
cba fnilt rMnoa t jiu *tnm ■, »l««
(liittDltj uu ttt<ti<u d' iani . ^^^'>°
«air'
citi» dia pi,
a-iLii.
2A. E fUMIa rra *c. Q«>^ i^
l'tiiirlic* miliai), iliiirìfca^iiMf'
Sl-iS.Simvtrf„tr^t^Catm»i
PnnE'>l> ''(IT» "■ ti") rf «Pi* "■
diforf In». ù«. ,t Mw ■V*^.
(te fi i-rua rf( Jmw . d*t fln^ r
ilcni cirtola, Mrtt««
fS-SS MMB^rik' tra MfvaiM^
cAirio
PAlOb
Wl
Coi iD« disiava la AniUa pwt ;
Credo però cbe pia di lai •* invanu
La Donna mia, ete mi vadava in teora
Forte aoapeao dina: Da quel ponto
Depende il cielo e latta la nalora.
Mira qoel cerchio die pie gli è oongìantò;
E sapjM die il ano aMMrere è d foslo
Per l'aflòcato aoiora^ end* egli è ponto.
Ed io a lei: Se il mondo fmae poeto
Con rordine di' io veggio in qoeOe mote,
Saiio m'avrebbe dò cbe m'è propoato.
Ma nd mondo aendblle d poeto
Veder le vdle lanlo ^ò divina,
Qoan^dle aon dd centro più reaMa.
Onde, ae il inio dido dee aver ine
In^djaesto mito ed angdico tempio»
Cbe ado amorfe loee ha per cooflney
Udir con? lemmi aneor come V enmplo
E i' esemplare noo vanno d'on modo;
Cbò io per me indamo a dò contemplo.
38. Cui min ii$Unm Im fmOki
pwrm: Ja €« in omoo «litlnto il j
io loddtiBUBo cht art il oiiilr» 4
40
IO
U
• la
eli|.
SS. Crfil9|wrd:Mr
M io «rada, perchè pii di lai
pie parlaeipa dal vara di lai.
40. !• DoMM «te aa.
dia BÙ vadara fortamaa
emr; \m aariaiiih di aasara «'di ^mI
ponto Inmioaao a di ^oraanlj aho di
arano intono, diaaa aa.
41 -42. Ho qmd pmaio Dtpmi$ m^
Is qoel ponto è la divina EHaoai, • H
principio aaoloto, da ani è tallo g
creato e dipanda • ém f«o mmiiu»
44. «i foflOp ti ntto, ab ardaelau '
46-48. 5a il MOMloaa.Sa ioavdMi
i aioli ■cfifo di loco, di moto 0 di pr^
gl^ oan qnail' ardine cfco ai vagfani y a
ali aanhj ; aiaè, aa i eioli pie fOHMii M
contro faaMn pio lardi alM naa ìbm
i aiali vicini al atniro, aia dio M'è pr»>
iPMla^nMaw avanti on do ia,nMoinfci
no tòte, appagato, fMto auntanlo.
'^^"09* 9tu moHwO opMatoHOf ■ai'
l' ordino detta aalaati tiare, i< paoli r;^
<f^, ti vadano, li eotta Ionio ^ rfM.
^, ieia<fr«^k«olw,i«alOFié del divine
a 0 pi* viM. Nel Cod.
v^^^Oi ^B^W^^^^W w^^o^^^B ^^^^^^^W— — — — — ^ _ ^ — — ^
■ergine portata la firianle l^%9m, dlt
ai0HMB caia>v.
ai . mtU OMlffV* dilM !■¥■• OM* Ì^
— ■ *g
H Ma» tiatanra di
■■ w neee nen, parcfeo dn omo al Bo*
ampli dapprano la ntofniloanndl Din.
04. thè aoio «mori aa.: oltoi I
oMno non aano altn den eerpoMl, IM
ioleMcnIe l'Empireo, dm è aiala di «w»
ffo e di Watiicnnta aaoiaMt.
aa^aa* i* aimiNo # m isia mi
and aiali intono; F iMwpfgre * il
nmlo hndoeao ed eafchjfihviBMg,
«aho iopra i^è dello. E^oado:
OMMMmyofo ^wafi •» mm
ann vanno d uenUiila \ wmwmm
. ndl'MaMptert I dwett pie il.
oM d pnotn eono i pi* perfHIi. ad ilU
ilaM Moadtdo^dm^MtmyaW^lJifaP-
C4IfTO YENTESmOTTATO.
Come rimane splendido eeereno
L* emisperio dell* aere <}uando
Boree da quella goaneia, ond'ò ptù leno,
Perché si purga e risolve la roffia
Che pria *1 turbava, si clie il del ne rìde
Con le bellezze d^ogni sua paroffia ;
Così fec* io, pd che mi provvide
La Donna mia del suo rìì^ponder chiaro,
E, come stoUa in cielo, il ver sì vide.
£ poi che le parole sue restaro.
Non allrimenti ferro disfavilla
Che bolle, come i cerchi sfavillaro.
Lo incendio lor seguiva ogni scintilla ;
Ed eran tante, che il numero loro
Più che il doppiar dagli scacchi a* immilla.
733
80
86
90
più ristretto; allf tfera ttcllaU oocllo
de' Cherubini , i Troni al del « Sa*
turno ec.
80-81. quando ioffia Borta da
quella guancia ec. I doìlici veoli ai ri-
ci ucunu a «quattro; oguuuo di questi eoo
faccia ttoitna , aecond» gli imiiiagioa>
van gli •ntii-lii, ne spira Ire, duv io tra
direzioni, dalia Uicca , dalla gnaiicta
destra, dulia siuititra. Dalla guancia ai-
nistia s«>flia l'aquilone, che è il soffio
pie forte, dalla destra un T«*utu piÉ oail*
che cbiamaao eireiv. Il Celli peiis^ eh»
la Toce Uno non possa star qui per IciM,
mite, piscavole, come inieitduoo UMÀ,
perche quieto ventu miti* ut»» b4s(«r«bW
a prudur l'eflrtlo che »i accenna di apas>
care il ctelo dalle nu«u|e, a farlo ttar%
no ; ma che teno sis dallo s|iagiiiiul«
lleno che signilica piano , gmf/iiùirdo; e
mi par che abbia ragiona.
82. roffia. Il \ i>c. della Cni«« afi*>
ga densità di va|ien. Roffia la RMia*
gna si usa a sigiiilicare quella soxsara
che sopra le monete o s»pra alti a cua«
lasciano le dita di chi le maneggia; •
ODO è inverisimila eh« qai Danta aai
questa |»arola luetafuricauiente nel deW
to tiguiGcato, per denotare la nebbia •
la nuvola che oscurano , a dirai qaaà ,
imbrattano il cielo.
U Che pria 'l turbava. Coék Pc^
Ravea. pie chiaramenli> dflla rom.,db«
pria uiurbmiem, dove pure bis«<gna sui-
ti iiteodcra H lidio emisfero dell'emù.
SI d'ogni «uà |>cro/]|ta. Intandi :
éi tutta la sua comitiva , ciuè del sole,
della luna , a della stelle. Paroffia o-
parroffia^ voce antiquata, fu usata tu-
cho da Brunetto Lalioi e dal Buecoflait
io aignilii-alo di ctioas'fi'oo. Saaoofdo ii
Buti , aignilica eoaduuaziama di cbeo«
cUaaaia , a aecondo Benvenuto , peari§.
86. del iuo riepintder ekimrm^ 4k
•00 chiara riapoata, mi pnm9idi,m»
•ooeoraa.
ST . S, come rifila in eieU, U9§r
9Ì vide E da ma si vide chior» il voro,
eooie chi.ira si vede stella io
sa. fMtoro. rbialtaro,
89-90. AoM mlirimenU fi
Cnatr. e int. : farro cba bolle oho
tilla allrimenti cooir, dal modo cho,
i oerchj sfavillarono, levaron lavillo.
91. 1.osoeaii4soloro0.:qootto-afo>
▼illoro da corcbj che parava «o ii
dio , era seguito , imitato da d
aetotilla che io altra miootiaaime hvi^
Ione si moltiplicava ; ovvero, ogoi
tilla si faceva anch' casa a girare i
•1 eerehi» infocalo oad'era em
93. ^immilla, contiene io aè 3
mille più volley che ool coolieoo ìl-de»>
piar degli seaccbi, eaaia il rceoNilo di
•aao duplicare. So odia prima eaacHt
delio scarchiere si segna 1, Bollo M-
eooda X, nella torso 4, nello quarta 8,
Dalla quinta 16, o via sioo aHo aaaaoB-
taquattresiroa raddoppiando, a» verrà a
formoro un numero di 2e «in ^ €oi%
DEL FAnOOIMI
!o senliTa osannar di coro in coro
Al panto fi.sso cbe gli (iene all' uN,
E (erri sempre, nel qoal sempre Toro;
E quella, che vedea i ppnsier dubi
Nella mia menle, dis^ae ; I cerchi primi
T'hanno mostralo i Serafi e i Cherabi.
Cosi veloci seguono i suoi vimi
Per simigliarsi al punto ijtianlo ponno,
E posson qnanlo a veder san cablimi.
Quegli altri amor, che dintorno gli vonno.
Sì chiaman Troni del diviao aspetto.
Perchè il primo lernaro terminonno.
G dèi saver che lutti hanno diletto,
Quanto la sua veduta si profonda
Nel vero, in che si queta ogn' inlelletlo.
Quinci si può veder come si Fonda
L'esser bealo nell'alto che vede,
Non in quel eh' ama , che poscia seconda
c«i6«nB NI» qatnlilh dì milioai wr-
quanta lono pMli bÌA ilio, ni MVI
im per v..d«lo. AiloJ. al «mail
fi.-. Wi.no, cU..«om,r.ec«n...i,
pr«rnll(olD ■ Oli H di Pm\t , t qni!-
■riiHllo di grani d..pli«.I<. igemiÌTa.
405 Quegli altri amor. ^T
.Uri api. iti arutnti. Hi. dinlnna |fi.<
I0.0, vmno. Y.ono.— F0M.O 1 1. B»
LkI. p«r Miy »«(11> M n» uac-
diian ABt alla im ; M che dji phnia
il nsaina « rìae, ma remilo al cal-
«.r-*dop„i.„ Ì'V_CU —
mnoiiMr. a fondo It .M* M H«i
cola, tn>Ò th. Br-B avM in tulio il i..»
varbl l-Bc» VAnaliHdrrtiU.t
regno graso abbaila ma per aailiirarla.
QgoU Womllt diTu «tur Tolgani t
m. TV«i Jd 4h<M HM*
lunpn di Dania.
M-OS. lo itniiva «amar H foro
Di.»«nn.pirilo.lC.BtaIX»S
do' Troni; '^
fa «miM. In «hiDti di coro In cor» ^o-
Ond. rin,)^ , M DI. .LIluÉl,
tMnounM. — llpwnlofiHo.tttU,
tOS » primo lerJTto»*»
CM;H timairuM.clia licna mi curi
inlnrao ■ a», nel laro dori, Dal Igon
cinn)t"iii di Irò oorì. Ha aHlullb^*
At loro ooB*ione,
M. pm. rnroBo.
.tribuiiono fauan* da D„ „ta, «.
lione.
tallo tede» i Cbeiublm o i BecaOni,
407 piMafo.-intmfi.taM.,-»
Jo.i«.,laloro,»diit.«.
m.*.«o(«*«i. il«rol.|,ao.i,la
408. «eiroroeo.. inW.,*.
fona d'anoreehr. Diagli niiÌKa.—
I'ol.imofioed.'™,rid«d^
Viml. «ncbi, l<sa<ti..
440.114- £-,^^.,,.^^.1.,
401-403. Pir limlsKarH ec.! par
farli limili al punto. ■ Dlt..qBtnl-i poa-
«nD[ . laniop™»™. lui fami i>niili,
Iddio, e non |;ii> odi' otto d'aiurit
cbe noB d»pu ti eonleaif Uf*. IìmIh
CAIVTO VENTESlMOTTATa
E del vedere è misura mercede.
Che grazia partorisce e buona voglia ;
Così di grado in grado si procede.
L' altro temaro, che cosi germoglia
In questa primavera sempiterna,
Che notturno ariète non dispoglia,
Perpetualemente Osanna sverna
Cou tre melode, che suonano in Uree
Ordini dì letìzia onde s* interna.
In essa gerarchia son le tre Dee,
Prima Dominazioni, e poi Yirludi;
L' ordine terzo di Podestadì ee.
Poscia ne* duo penultimi tripudi
Principati ed Arcangeli si girano;
L* ultimo è tutto d* angelici ludi.
Questi ordini di su tutti rimirano,
E di giù vincon si, che verso Dio
Tutti tirati sono, e tutU tirano.
E Dionisio con tanto disio
A contemplar questi ordini si mise,
COSI con S. Tommaso la questione aeo-
l;istira : m quo eontiUal ieatiiudifoT-
malit, in visione an in amor$,
4 12. E del vedere ee. E I' open
meritorie sono minura al vedere ; aoA :
tanto piò i beati veggtmo Dio , qnanto
piò SODO ricchi di opere meriUirie , le
i{nali sono V effetto della gmia divina
<• delF umana volontà. Nota Mereeile,
che vai premio, oxalo qni per merito,
perchè questo è causa a quello.
4 1 5-4 4 7 . 1' fl/<ro temaro, dbo eofi
tjermogtia^ l'altra irrarclna, rbe ceù li
t-onserva in questo paradiso, che è nnt
•■terna primavera cui non dispog'ie onl-
tarno ariete ec. Prende le similitudine
lidio spogliiirsi che fauno nli elhcrì in
ferra nelt' autunno , quaudo il aegao
«teli' ariete, opposto al aule, gira di
notte sopra il nostro emisfero.
418. ferma. Uno de* significati del
verbo evernare è il cantare che Cmbo
(jli occelli in primavere ascendo dal
verno. Qui il Poeta si vele di qncelo
verbo e aignifirare il cantai e degli aii>
:;eli , relativaroonle alla mt'kifora aalo»
redente di primavera tempitemm,
419. Con tre melode , cou tre om-
Jodie — Irte, tre.
705
115
120
fS&
IjO
BUtO
fa trino.
420. omle e' interna (ferbo for^
o da tema), dei qaali a' intrea , sT
ino.
421 . Dee. Appella Dee le tra adiie-
rt angeliche, alludendo al laogo di S.
Giovanni: lUot dixii deoi, id fiioa
«erMo Dei faelut e$t.
424 ne' dvopenullimi tripudi.
nel eercbio settimo e oelP ottavo, ore i
detti cori tripudiano.
42«. d' mngetiei Imdi: di spiriti le-
ateggianti che hanno solamente il nome
di angeli.
427-429. di tu tutti rimirano.
Ognuno di qneoli ordini al di sopra di aè
rimira, è intento, fisso eolio s^rdo,
nellu splendore divino , vinto e tirato da
Ini ; e al di sotto vince e tira l' ordino
o il cerchio iulerìore ; eoeiechè tuUi qne-
ali ordini eiigelici sono tirati verso Dio^
la cai gioì ia rifulge d' ordine in or^na,
e ognuno tiia nn altro; come ù è an-
poulo veduto e V venire nei Cieli cha
tatti sun mossi e muovono. Cod i 8a>
rafin- rimirano in Dio e tirano i CW
tubini ; quenti rimirano nei Serafini ,
e tirano i Troni ee.
430. £ Dionisio. S Dionisio Arco-
pagita nei libro De eéktt. ikierarcK,
706
ì'ji
DEL PAEàDBO
Che li nomò e distìnse, com' io.
Ma Gregorio da ìbì poi si diviste;
Onde, BÌ tosto come gli ocelli aperse
In questo ciel, di aè medesmo rìse.
E se tanto segreto ver proflerse
Mortale in terra, non voglio eh* amnairi ;
Cile chi *l vide quassù gliel discov^erse
Con altro assai del ver di questi gin.
ISe. ionio fcyrrfo ver . verità co-
luto MS oiU agli «iccki degli «(•aiti.
-» BnJ^wt», |ioM in vi»u , Ba£i-
fetlò.
137. Jfortofe in terra- cìoè,Sm
dnaigi qMadlo ara io Cem fra' ntr-
UU.
458. ehi 7 €ida , eiuè S. Paole, è
où era tlal» disev'polo.
159 Con aiiro Mad, eoa •Hr»
■oka CMC reUtÌTe alla oatara il<|Ii
aoff li, datti giri, in qaaoio alla lir»
dìspuiùiiuae circolare intoroo a Dio.
1 52. Gregorio. S. Gregorio Magno.
Questi pose io loogo J^i Troni le Pol^
fttk , e i Trtini in laogo da' Principali , •
i Principati in langu delle Doniinazionì,
e le Di'Oiiuaziuoi in luogo delie PiifeiU.
454. come gli occhi aperti at.
Ofviosa initgine che il Prirarea oih
E io io OD suo bel sonetto in morta di
aora:
r DclP ct'-ni" huM
QasaJo n itrai di cliiuJrr . fU «echi aptni.
155. di sé medesmo riso. 8. Ora*
forìo rise dei suo injaoao.
CAVrO VESTTESCflOIVO^O.
BtmtfiUt MrfKCo t/ dtitdenm di Danf«, gli duktsra il mo-lm dm Dim «malto meHm
gli Àmg0ti, dtUm '• Hw aatUmvmte « <*ttm mmttum pnm i. lk*f» ragumit
Amgtti. p'tmdÉ oeemsmHt dt nttnwart im tmatttudut di tgnt ^naatuomt elkm r
«M atto lulU uitote, mu mm kt dmi pttiptn, m pam^m i/i dmf-nmm , dtmtmtitMs • ,.
pndumn è di ptnmmdtrt gli ««nint md es$0t enst*mui * thtmdé Im ^*g.m—tu
fmti imftinm dW iy«csM*tfa jmwott a/Uàtt imdtUgtmam mt stmplut pat ttv
Qnando amboduo li filali di Latuna,
Co\ eri i del montone e della libra ,
Fjntio de!!* orizzonte insieme zonn,
Quanf è dal punto che il zenit i libra,
Infìn che T uno e l' altro da quel cinto.
Cambiando 1* emis|H?po, si dilibra ;
Tanto, col volto di riso dipinto.
4. 4 figli di Latona, il Sole a la
Laoi.
2 Coverti ee.: cine , quandnsi tro»
fano io due seijni opporli , come sooo
P Ariete e la Libra.
5. Fonao ee. Fanno sona, cininra ,
a al m- desimi d«*irarìrionle, einè aono
draondati dal mt'drtimn orìrrnnto.
4-0. Qtant è ee.: «lutnto corre di
(colpo dal ponto io coi lo fenit tiene in
e(|oilibrio il mie e la Haaa, cioè,
mente aiti rispeltiviifffi^«|« ni
emisrem. inSito a f|n^ll' mHrm
Vunn (le lane) «orf^ dall'
I' altro (il M>>r| seende awilo di
per lo rbe I' ano e I* altra
cmÌ!«lerondt7i>r«,c«r« d*'
tbilaaria dui delti» errr
Tantn , e«oè per altrrtlMHn
tempo, UeaUiix col rollo éipiulo
aeri-
CANTO TEllTES1MO>'OKO.
707
Si (arque Beatrice, rìgaardando
Fi::o nel ponto che m'avera vinto.
Poi cominriò: Io diro, e non dimando io
Quel che ta vuoi udir, perch* io I* ho visto
Ove s' ap{.anta ogni «òì ed ogni quando.
Non per avere a aè di bene acquisto,
Ch* esser non può, ma perchè suo splendore
' Potesse, risplendendo, dir : ittssisto ; 15
In sua eternità, di tempo fuore,
Fuor d* ogni altro comprender, come i piacque,
S* aperse in nuovi amor P eterno Amore.
Né prima, quasi torpenle, si eiarquc;
Che né prima né poscia precedelte 80
Lo discorrer di Dio aofrra quest* arqoe.
TO i BiiTe OT^DÌ an^Iiei .Ma nwni&mor
ffflcsée iMglto per l'«ntileai eoo I' «mo-
T9 «Itmo — maperchè iuo tplendO'
rv«0.r ma affindiè il «u» raggio rbitlen-
diettdo m altra nra^iatf nza piftnae aire :
10 imaiaCo io quelle. GK AngeR e le mt-
••rì oalure aooo a|»reclii della Zirlai
beau. E eHrere ha detto, Canto XIII:
Gè eh» Bi4i ■•••rt • riè eh* poè ««fin
Mm e«- m-tt ■plteit-»r «h awrila ìém
€iw»aii.ia»M, aMO^, il eMlmelNu
t<et «■■ bi>fila1* n mt rtfgUrf aJeaa ,
46. in tua eternità, d( tmtpo fS»»-
TB, ee. Intm«li : pnma che fiwae il lea-
po, perchè il tempo e»aiincÌB eolia ctm-
iMuie;e laon d'egni CAmpreodereoma-
•• , io m-do eoitipremibile •olameale a
INo, perche il mòdo della Cretaoot k
•eprinlrll lyihtie.
17. come i ptaeqma, eonit a lai
fMei)iie, leciindo la aoa Tolootà.
49 A'é prima, quaH torpenk, ce.:
•è prima della ereaciooe ti «tette Iddio
^•ui inerte.
20*21 . prtctdette. Prererìace ^e*
Ita In , che e del f.iid . Rstcnte e dei Ire
Patav. 2. 9, a7, alla cimb. proetéetle,
perche è più Hiiiira e pia •implica 0
aeoflf» e , che fi prima e it poi no» pr»-
ttérUam U ditettrrwr di Dio titprm ̧
mtqme . noe Tatto della creatiooe ; per-
et«wrhe prima della rreariooe non era il
molo , e per r»n«rQurnra il tempo , oè
il prima oe il dopo , che «o«» ^%s<\ Xv
tOt rideota neiraapellOf ri^
oel ponto che m'aveva abbagliato^ ai
tacque. Il paote in die il a- le e la lana
tono nel aàedeaimo orinoale qaaai bi-
laiicitti dallo zenit, è oo istante 9 « ao
iataate appanto Beati ice tacendo faar-
dò , poi cominriò ec. — La let. tkt U
tonit i likra è del taMo Viv. e^le'Cidd.
Pat. 9 , 67, ed e pia rifilare e piò
chiara delia eoa. eAa U tenit iniikrm,
LaKid. e ver} Codd. lesino : Qmanfé
dal punto che ii iien§ m libra,
42. Ocea'«pfr«iil«ae :cHiè4aDio,
al quale e presente of^ni lunno ed «fni
lampo. In Dio ai rtunneono talli gli
apafi e tatti i tempi , e ai acorgwa» tatto
le eaiateiite. Qaesto princi|ii* f« pé evv
lappato dal llallebi^nrbe , ehe fa aHis-
gera agli apiriii creati tolte le lerv par>
oeaioni e idee aell' Ki:te primo.
4Ì-45 Beetnee aqe«ln eoaeanatd
che Pente eolee sapere iwtnrna alle 1 rm
none deiramveraii,e«M porla : ffonpor
atere a tè §e. Cottr.: L'etena» Amore ia
eoa rteraita, foore di aempo, Caur d^ogni
altro comprendere, s'aperae, enma i
piacnne, in om>ei amor . non per a*ara
acquieto di bene a ae, eh'esaer n*m pnò,
■a peieheaat* splendore p(»teese risple»"
dando dire f«a«ttio- NiKa: ftaa per
a $è di èene mr^ftiito, mm per
più febee. — S" aperte in marni
, crei , prodosae gli Angeli , c4m
chiama nuovi anuìri, perrhreffellf pri-
mi drll'eieni«am»r suo. A'trilif>g ii«*ae
amor, Iciieae per cai a* inteaderebbc-
DEL PAUDISO
Panna e malerìa coni;ìnnte e puraite
U^iro ad allo c^e no» avea Tallo,
Come d' arco tricorde tre saelte ;
E come in velro, in ambra od in eristallo 9
Bangio mpipnde si, che dal venire
All'esser lutto non è intervallo:
Co« il Irirorme eHeUo dal suo etre
Neil' esser suo raggiò insieme UiUo,
Senza dislJnzion nel l' esordire. ìt
Concreato Tj ordine e coìlrutlo
Alle suslanzie. e quelle furaa cima
Del mondo, in cbe puro suo Ai produlla
Mfhllii ; Bi «TTtrfirt ilie Mck Ib
lonijioB* (Hcfra «4 alte, ti poli.*
I
SppCM crNli I
ftrtbatur luptr
a SpiriMt Vti aitUn prr li <
i pewùt II qnal fuma 1 certuacnl*
ncno ftliw itfìi fmti\Xa.
SS, faivla ( malin'a. Li [ptrii,
icwidD |)j Atitliplelici j « «fiifll e^« ta-
^eUu Ji iDlU Ib FiTme-CcHU/imnle,
IcmporgitH, D aDiUoiiDlB «Ile di'lli
iliMC inedidic, e pureldr, « nrlli
\iir|ialU. CovgiiHitt pulì ebbe lon
33. Viciro ad alien
dt,l«nu>i>it>niì(l(,r
lu* MM fkth , di* mw puwi fi
^vead Oli tempo* ixtanUaamaitl*
di , If* ufII«.
«tnif Art ragipa dalU Jhh ad «di ■
BBll'oubrs, alr«Mcr IsUt.ill'iMt
*• r.u>> . (<i uiM
ilibi]ii»,l>u„lin,k«ra'
lui cttMU cri [iiiuni, «tdii fiiHt f imil
(itFl tontlm, pcrchtrianla cuDrvniu
(tltina vuImiI). — Virj imi i'itauai
•uf^ra aJ atin, baniiit uieii-a ad •(■■r,
in acro fallo.
«inraaMp
CANTO TmiaiMOROKo.
Pura potenzia lenna la parte ima;
Nel mezio Btrìiue potenzia con atto
Tal vinte, che giammai non ai divima.
Jeronìmo vi scrìsse Inngo tratto
Di secoli, degli angeli, creati
Anzi cbe l' altro mondo fiisge bllo ;
Ha qaeslo vero è scritto io molti lati
Dagli sCTÌllor dello Spirito Santo;
E tu lo vederai, se tten ne guitti:
£ anrbe la ragion lo vede alquanto.
Che non concederebbe che i motori
Sanza sua perfezion Tosser cotanto.
Or sai tu dovo e qoando questi amori
Furon creati, e come; £i cbe spenti
Nel [no disio già sono tre ardori.
Né giugnerìesi, numerando, al venti
Si tosto, come degli angeli parte
Turbò il soggetto de* vostri elementi.
L'altra rimase, e cominciò quest'arte
Cbe tu discerni, con tanto diletta,
Che mai dal circuir non si diparte.
Si. Punyolfntia K. Mìt tmm»
in molli ÌMgh: d'Ili dÌTiu ScriUon.
t il uilinu , i^,l, ii pmrm pel*»-
, rìD^urHiniKHlolrinicni'ui»
eh. gii inirli doliaiLi molurì dt-iìtU
• llrgi.TiliinnelcrFJHibliinirì.
•loHro liiitii limpo prÌT> dd lo» ilio,
BS-S6.ff»(-H».i™K«.C«lr.
iit.:»cliiai<>,(rili'liricli|>«rla
ciò in(aili.toli ddlt pcrf»ioM Im.
1 bau M mondo, Tai ciini, aa
« rfo«.tio*...,pr.t-.liirirf.--
;.mt , tJw MI H ditima gimwal.
|«.«(o,pri.n,,L,ill,«poto-«.
«. Ftiroi.cr«a«.e<(w«:p«rM
[ aou « KÌ,.glit mii, ilrtHM p»Uii-
1 emalto, quelle luUiua , ck» , tb*
poro *ilo del ToUr di Dio, otim ia
10 diipalc ■ rKtxre t • f»f» ; iip»
■a iilinte.
«.,.^mli,C(«dÌ«pr™J™...
48. Ir. €fA>ri, tn molSri fi «0-
tMlafooM. Par., C*Dii.ll,T.ia.
«nte bruna.
rj IMI dinima.
57-39. /mmiriiw «■ »crt»»ft «e. &>.
ani parie drfliiiiG«lirik(ll<.duù.n*-
ripÌU.do d.f cMu .rnnr , larb.r. ìCm.
Foi .«.ini. df|ÌÌH|:.li, intorno .rU
poli, trtalilMUtemib, di ureli.
t ch'(e>i *<f'"^ cn*" ■"'"' -^
40. Ma fanlo ttn tt. Hi mwtt
striti thr io li he dHI* , cioè cba |li
iB|^1i lanHW creiti Bella Unto Mipe ptrli
41. Dogli icn'Ilor Mh èpirii» iabu
S2-U. L'allTttt.,
u d a||ini
DEL FAJUlRBO
Prinripio dui cader (u il miiladettft
Superbir di colui, che tu vedesti
Ha Intli i pesi de! mondo coslreUo.
Quelli, che vtKij t)ui, Turon mod«ati
A ricono^rer sé della bont^le,
Cile gli avea tMi a lauto inumder presti ;
Perché le viste lor furo esaltale
Con °raEÌa ìliutninanle, e con lor merlo,
Si c' lianno piena e Term* volontate.
E non voglio che dubbi, ma sia cerio,
Cbe rice\er Is «razia è nieriturto,
S«rondo rbe 1' ufTelto l'è aperla
Ornai dintucco a questa coosislorio
Puoi contemplare bskìiì, % le parole
Mie son rkoUe, seni altro aiulorio.
Ma, jierchè ìn terra per le vostre scuole
Si lejige die l' angelica natura
È tal, che inlande, e si ricorda, e vaole,
Ancor dirò, perchè tu veggi pura
La verità che laggiù si confonde,
Equivonando in si falla lelinra.
Questó suslaniie, poiché fur giocondo
Della faccia di Dio, noo vo^sef viso
Da essa, da coi nulla id naMrondoi
Però non hanno vedere interciso
SS. PrtM'pÌe,\i prìmini rimpoe.
SS-ST. it mtltdelbi SujhtÌiìt di
nM, t€.: dot, li milcdrtli iiiprrbii
Tita a 6. Uva
.»|t»D<lMÌ|l', .
n* »■ bnntKlf, t
H. a hiiibi intruder prali
r*nili> lino ■ntellMenti.
Gt.f>nTfii,1>DD£..— hvlii
li MnpnHitiilc ■ Invìi
Dii i OkH. Cui. i
arCoro,... nntOtimtt
60, SnoniTa <lt« rB|bi
U. Ornai -rffntonwM.CMr'
CA^TO TUTUIIIOSONO.
Da nuovo obbielto , e però luHi bisogna
Rimemorar per concelio diviso.
Fi che laggiù non donnendo ai sogna..
Credendo e noQ credendo dicer vero;
Mii neU' uno è più colpe a più vergogna.
Vui non andate giù per no aentiero
Filosorando ; tanlo vi trasporta
L' amor dell' appartala e il ano pensiero.
E anror questo quaaaù si comporta
Con men disdegno, cbe quando è posposta
La divina scriuora, o quando è torta.
Non vi si pensa quanto sangne co'Oa
Seminarla nel mondo, e qaanlu piace
Chi iiinilmcnle con essa s' accosta.
Per apparer ciaicun a' ingegna e face
Sue inveniiiini, e qselle son trascorse
Da' predicanti, e il Vangelio si tace.
Un dice ctie la Luna si ritorse
lun hinnD iJ irirrr intertUe, BT. L'amor itU'tppartma :
ìt loro DirBti è nMinu fi hu pnufr» jiiit. dfltmppar
-■■• - n Iftdjrna (wrt- Difdninm). tlin' '"
rir. eiui la tMullk drU. ww
CAKTO VENTESIMOIIONO.
liZ
Che se il valgo il vedesse, verlerebbe
La perdonanza di che si confida ; •
Per cui tanta stoltezza in terra crebbe,
Che, sanza pruova d*alcan testimonio.
Ad ogni promission si converrebbe.
Di questo ingrassa il porco Sant' Antonio,
£d altri assai, che son peggio che porci,
Pagando di moneta senza conio.
Ma perchè sem digressi assai, ritorci
Gli occhi oramai verso la dritta strada.
Si che la via col tempo si raccorci.
Questa natura si oltre s* ingrada
In numero, che mai non fu loquela,
Né concetto mortai, che tanto vada.
E se tu guardi quel che si rivela
Per Daniel, vedrai che in sue migliaia
Determinato numero si cela.
La prima luce, che tutta la raia.
Per tanti modi in essa si recepe,
Quanti son gli splendori a che s* appaia.
4 i 9-4 20. tederebbe La perdonmh
%a, YtidreLbe cbc bella* pardootota, o
iuclulgcoza, aspettar ai potea<>« da «a
aoiDo cbe è pieno delio apirìto dal dia>
«0
125
130
i35
pieno dello apini
volo, non di quel di Gesù Cristo.
421-123. Per cui tanta HoUetxm
fe.Per le quali iiidulgeuze è venata a tale
la ttollezza, il (anatÌKUio della genia, cb«
ad ugni promessa di quelle, seuia altra
prova uè di autunUi in cbe le promette,
uè di giustizia di caa.>a, eomverrtbba ,
rorrerc'bbe in folla, civcameutf crrdula,
dove le fosse indicato. Io certi tempi Al-
cuni furbi, pn littiindo della dabbenag-
gine da' popoli , impfMituravano !• pie
iarghe indulgenze, e quelle barattava*»
in denari scialando e ridondo alle apai>
le dei aeaiplii-i. Bis«»gna ricordarsi a
questo proposito della famosa oovdla di
FraGpulla cou tanto spirito narrala dal
Certaldese.
42^»-426. Di questo ingroMia U
porco. S. Antonio si dipinge col porco at
piedi a dimoatrsre la sua vittttria sol dia-
volo tentati>>e. Qui però il l*oeta perii
porco di S. Antouio intende i sum frati
corrotti, ebe ingrasMvan nell'Ordiaa
questuando a ooiiie ài eiso santo, o pa*
gaaJu i deroti beaeUttori ik vaoa
, e di falsi perdoni , cbe il Poeta
chiama wwneta eenxa conio,
427. perchè eem digre$ti at$ai,
perchè d siamo dipartiti dal prof arilo
■oaCro.
429 S\ t^ la 9ia eo.: d «ha la
TÌa (affrettando il passo) si facda bre-
ve, come è breve il temjpo che li raata
per visitare questi luoghi.
450-432 Questa no/tira, la natara
angelica, gli angeli, fi ottre ^ ingrada
In numero. \ a SI moltiplicandosi di gra-
do io grado, d'ordine in ordino, dia il
namero non può da mortale né caprì-
DMrsi , né immaginarsi.
434-43j. clìe in tuo migliaia ee.:
che nel numero espresso dalle parole di
Daniela profeta «t ee/a,doè non ai OMai-
feala, nnnicro drterrainato. Jfiilta snitr
Itnas mintilraòanl ei, et decite mif-
Utt cantena miUia astistebant et; in
fvale capreesione vuoisi intendere d'an
naaer» grandissimo, e iodelioilo.
436. La prima luce. Iddio. — la
raia, due, irradia, illumina casa na-
tara angelica.
457 . si retrpe , ^ r\ti«^%V^.
A^\i. gli splct^doTX . ^\ ««^ % «•
dia •' appaia, %% <v^«Jà i^ tn»v«»^-
-u
DEL PARADISO
Onde, però die air atto che concope
Sei;uo r affetto, d* amor la dolcezza u
Diversamente in essa fer\'e e tepe.
Vedi V eccelso ornai e la larghezza
Dcir eterno Valor, poscia che tanti
Speculi latti s* ha, io che si spezza ,
Uno mancndo in sé, come davanti. !..
i race* ('<'tla divina locr, e m>'«Lii>'è
«Mere fnUi mA inmagìnc it L»ie ~ fi
9pt%ia, ù divide p«r l« rifl<wow iel-
la im magi ne ana cbe ai fii in uati iafr
TÌdai.
445. £7ii0 flUfiriMloie. : roiiva-
docQli ti^ntpre ovUa aoa Minplìciià bm
e inJivìsiliie. cnme era inn«ui «li
crvazlonr degli angeli. I- ti CjiìIj \U\
MmiloMDla:
459. Onde, però che et. Onda^p^
l'orclic al tifivi min jIo allo di Tcdmcd
i nsicinc di Cfiicrpirc meoUlniente Dio,
si propor7ÌoD.i Taroorr de^beati Tcrao
lu tteuo Diii, consoijiiita che, caaeiid*
in eiasruQ an(*f lo divi-na la Tiaioaebca»
ti fica, sia aurora in ciaamno di fasi dir
ycno il ferxoro e il lepore della rari-
lj,rli« ne è i'flTvUo. — {fi et$a natura
«ngviica y owia nei diversi iudiridai di
lei.
444. Cliìama ipeeuH, speechi , gli
angrli, come quelli che dj sé rìflettuoo
Ttrnm* b-4itali» il tm--* nzz ar- lUu
Licroaluii Ql« nuiaiicBJ m im
CAKTO TREIVTESOIO.
I jHffUro trir-ttie Intorno 0I puaio fytenrm agU •c'iu érW Hight.-H ,■ m^'^i tt wotft » fU>
triu, du tfi t-imtm bttletta t-nmt cnuintm, che teud. cgmi eomrrttm. 0 Uto sof» tm ptm emm^^n
Ime» /'« ilu€ nvt difiiittt Jt pnmHUtn, émi f .«.« r».-oH lavtilg ekr ti fmn g himi «i ^Lrft f ^^<
fmmMo mtlie mmJt. Oimnim •* ^lurllt »l Putta, m uUmts i« «awM /u a./ ug/à ■,««' 1, /umrm ÉS^m
dttimutm amUri, é st^r*m qu/Uo tlcpmnt mm gmm mumt-o dt gni It «n ^-| ,. «j, '«latf tfi«HM»
J«irc stgguati 1 Bcéti, t in Mì-£M mJ cmi mi Irvi^ pr.pm'ato f/f i' tm^erufu-t A T\g%.
Fur.^c scinìla miglia di lontano
Ci fiTxe Torà sesta, e quMo monrlo
China pia T ombra quasi al lotto piano
OiiLiiidu il mozzo del cio'.o a noi iMufoniJo
4 -3 F'trfr armila mitjlin di /»»-
lano. \uo\e il l'i>rlo d.m- un' idoa iU'1
ni<'dii cnn rlic ilikpar^r ai sui<i orrlii il
liiMnfii di Ciislo; e !•» rB««.iiiiii;<rM al
dilfRn irM a p«-«» • p*'*'" di-ll»- Urllr tal
far iii'lni<*rii«. M" "**>■ '""••' toliodrtlu.
.— Toro ir$ia il iiu'//«»«»»*wo. Ci /Irr-
fif ardi' riRunrilo a niM Italiani, f or-
tt eiica, a«M i»»«U nii;;lia di luntjnSf e
qùntii niwdt. inclina IN.inLra Mia a for-
na di cono in linea «rwionlale , dalla
nafte di poiirnte. Quando re. IVr tro-
^arc c«n frrct««i
i ila laperc r\ir \
tontrl tli»aU
P
le qn.ili il »«ilo ne pcrnirre tV» F"
ppin ora. S. .Uni,,,,,. .1 ,,i,aiio delìll*»
^ il h\W\, r il iiiry/.. ,„pnn ^d«ia--»
da un iliil(» liiii{.n /fi, ,r MtOO m^y"
ì^ m.nMlirr;iniio alla pr ma wa dr
piiirnii. tlisiiiiiu. i,„ ,,u.iilranle di sle 1
dall' ota Mslj, „....|,., «j^m iftòrea.lr
^uali il Milc piTii'iie fiirMocpwv 1
nii'iira Kil iccn ih.. |„||| quetta far*
Cra4 «irne a dire, che maiiu w«n
circa al na^n-r del ii^lf.
4-0 (Quando U messe dele%fk*.»\-
lorclir il 1111//0 dvl vielu. 1 ke r il bis al»
^ da lawra c\ir Va eucuixVi v«.* ^'c\\% VpT«\«*Ao \%\\» .vv* wx ^^.^
Comim-ia B brai UÌ, ette alcuna slctla
Pi^rde il parere infino a qnmlo Tuado;
E come v>on la irliiarùsinia ancella
Del Sol più oltre, cosi il ciel «i chiude
Di vista in vi.<ta inQno alla più Mia:
Non alLrìtn«n(Ì il Irionfo, che Inde
Sempre diniorno al punto che mi vinse.
Parendo tnrhiuw da quel ch'e»U iiichiudc,
A poro a poco al mio veder si stinae ;
Perche lornar con ali occ!» a Beatrice
Nulla voJere ed amor mi coslnuse.
So quanto inflno a qui di lei $i dir«
Po3<« courhiu^o tulio in una loda,
Poco sareliba a (urnir questa rte»~
La bellezu eh' io vidi A inii<noda
Nmi pur di U dn noi. ma certo io credo
Cile solo il 8D0 Fjllur tutta la goda.
Da questo passo linto mi roncrdo.
Pili che giammai da pnnlo di luo tema
Sujiralo fo*se comico o trngcrto.
Clic, come Sole il vi^ che ptii trema,
Cdài lo [imenibrar del du<x« nai>
IC-ie £( «MMito (Mm a 4
>ÌD l.l.ltolll»dfil>ql|irÌ«Ì«
' M, tl.e ho ^. K.: Ji In al a
ti piiou (IWt).u> ««uMimo li •Ielle iianio l'iMit , Paro untt*. i
pjà pi«n>lt ■ nLsni, |>« tHtnnim li rrl»b« luriieitiilf, a /crkjr furila ■<(*.
Iiu* li JiltfHi* di nait* <■ aitnu la ■ Jlr siaiiuini* i|ii>1 <4i* dMrtt fa»
1-9 £ni*Mr{rii. fi ■!>■•(■ (U <l* tm-li, '
t> Ktn», (a el<•ar^Hima ntUa Drl ÌtmWiì.
!■ Idia. L«u>i>li< iiuiii<ni>>*^r
I. ««Ig (hi Mi* 1M>*
cU woo fmt (Il o. ilii M ncl>. 22 Da ^ohM pi
t0-t2. (I UialfOlhtludtiaa (ts p.u d.ll« via
lr>pa<ti* hiliirri.ll uuaU ci» «I* ItBM, 2j-2< SupralB
■ ' ■|*.|l*,.rW«n- ■
K
chi ul(|ik|l4,ttkf atrMxIva* iiin- fff- lai- toptat. •
ti. al mìo fler )l illiua, ili* ilu fmMa >li yiii JaOinl Buaaffisa«l
I lilla Jnpar» , ai Jìl'n*. •■• trumanil^, i
f4.H. fitTtU KuiU ttitr*. 2V-2T. CM. MW«al««r. Ciit« i
La mente mia ù* sé nipflesma sc^mo.
Dal primo giorno eh' io vidi il soo viso
In qaeAa vila, insino a questa vi-ta,
NoD è il seguire al mio cantar preciso;
Ha or oonvien che il mio seguir desista
Più dietro a sua bellezza, poetanrìa.
Come aH'nltìmo sno cia'<cuno artista.
Cotal, qual io la laecio a maggior banilo
Che qnel della mia tuba, che deituce
L'ardua sua matoria lerminando,
Con alto e voce di spedito duce
Ricomiociò : Noi semo usciti faon
Del maggior cor]» al del eh' È pura loca ; [•)
Luce inlellellual piena d' amore.
Amor di vero ben piea di letizia.
Letizia che trascende ogni dolzore.
Qui vederai l'una e l'altra milizia
Di Paradiso, e l'ona in quegli a^|)etlj
Che tu vedrai all' ultima giustizia.
I
ioli)».
mU a>iil«. Il U DiQor Ji ,è >l«,i ,
troni» naa i. — ekt d^mf tMt
■DO larmiiia, f 'ardtM ■wUn-to. i «M
pani*. O.Jtrv Codiri icgaoDS: eoaie
Sito in eta..
P^no» e «ad. I-Ilo d.i Ut., <i*i in
M. Ih fwtlnf>f(a. Ini. lu r|gn(i
'™"d»( «*,»*«• CM^, M,^
Um.infiauiili morule— iiuino
aoMfUgltla.mailliTitlirh'ebbi
•UMlqBMl>|»g(»dclPt...li>a.
»»,cbF>bl.r«ria|[i;allrl<Ml^b«i;
«J({,l(Vtp.r.(.M; .wMd^
». Jta » Il i»jBÌr»K. .- n^r Wll»
cmfiMa,
il ÌM» ipitia Ji Idnpa noiI fu vrlri-
w, iMMti mii il MpU-nr M mo
io t'-^'ilUXtfcNjK. h«M
>nUi, U parlm di Ui. - Din» »■!«
(Fraina * ffnm» miu la mttiiéi
mirri BtiIriM, un un» li killluin»
P,ni«-, , ta «r«.Ì 4ttU MI. hofr'
S|1it (U Fale« Porli..«ri , a .uu rfi"*
ladina drll-Hin». la». iMn. M
m"^; ™ "°.'.i"b""lM.''lL'".
l'i; ni 1ìit|pii noftal* poiM pili**
•litini, di* t larm-M di ripwi dl'iu-
daS.D l>Dalol.auwl«ag».lii.,*iw
»)-B3. «.«■€<»**««. HI» «1
43. d<>!:..r», J.il«m, riMn,
JB-C. luna rlollra mIUalam.
ni MIetn psilmilo, ivi ttnla, «ih.
m rìb^m. <' Di' ""''ni *«ii chTiS^
Gi»»la,ri<.i..ll'«tran.adì,..p.<,„
U.«.- «atra . rttj; a..^.w .«.^
M«lak.i\«i««fi»i. ^
nlliiii an a la li aiaOrart *( «ìA
■Iw wrpanla i wtla ka dw », bW
del uiiuLiiaeMla. ^ ^f*—
W^.r.tal,«„(.l«,Wl|,*,t.
L
CANTO TBENTESIMO.
Come .«mbito lampo che discetti
Gli spiriti visivi, si che priva
Dell' atto rocchio di più forti obietti;
Cosi mi circonfulse luce viva,
E lasciommi fasciato di tal velo
Del suo fulgor, che nulla m' appariva.
Sempre V Amor, che quieta questo cielo,
Accoglie in sé con si fatta salute,
Per far disposto a sua fiamma il candele.
Non fur più tosto dentro a me venute
Questo parole brevi, eh* io compresi
Me sormontar di sopra a mia virtute ;
E di novella vista mi raccesi,
Tale, che nulla luce è tanto mera,
Che gli occhi miei non si fosser difesi.
E vidi lume in forma di riviera
Fluido di fulgori, intra duo rive
Dipinte di mirabil primavera.
Di tal fiumana uscian laville vive,
E d' ogni parte si mettean ne* fiori.
Quasi rubin che oro circonscrive.
Poi, come inebbrìate dagli odori,
Riprofondavan sé nel miro gorge,
E s' una entrava, un* altra n* uscia fuori.
717
50
55
60
«5
4S-4 8 . diteetli ee.^ disgreghi, dine-
pari gii spiriti tisi vi, SI cLe priva P oc-
chio dì ricevere Tallo, l'azione, di pia
forti obietti. I più forti obietti aooo
•jacHi cho per maggior copia di lare
sono più polenti a colpire il trnso della
\itta. L' occhio abbarbagliato dui lanp«
recta inabile per nn poco a vedere tltira
luce anco più forte.
49. mi eireonfulte, mi folgorò
d'intorno.
52-54 . Sempre VÀmor (son parole
«li Bratricea Dante), aempre Iddio, ek$
éjueta, che contenta, che fa beato que-
sto cielo, accoglie in tè le anime am »Ì
fatta Moluttf con til saluto, per di-
sporìe alla luce di tua vitta, quaai co-
me l'uomo dispone t7 eandelo, la caa-
'lela, al lame che dee rendere.
57. Me iormoniar er., che il mio
valore a* era fatto più gmnde.
58. E di novella visln mi raee€$i.
Ik-lla forma di dire! ripresi una viali
più forte della prima. Gli ocdii ai dia-
aero lumi; qmodi beo ri riapoade D
rmeeendere.
59- 60 . Tale, che ntUla lme9 m.: tale
che oetauna altra loca è Unto para^
tanto risplendente, che io ooo avaaai
pi'tuto difenderne gli occhi miti, cioè,
eh'i» non P avesti retta, aoateoata.
62. fiutilo di fulgori, aeorrtato
fulgori, o, dove cootinui folgori aada-
Taoo acorrendo com' onde. Qncata b-
tiooo a cui m'appiglio è delle prioM
edii. di Poi., di Jesi, di Nap., e ai vari
pregevoli Codd. La com. è fulvidt* ài
fulgttriy che potrebbe apìegarai, fulvo
negli splendori che mandava; o man-
dante fuKi tplendori. Altri testi porta-
no fluridn di fulgori, che aarcbbo la
ateasr ch< flmiàt*
Of. rhi on H^^etmMerivé^ cai ava
contorna . legati ir oro
6S. miro gurge, raaraviglioeo fa-
me di luce.
"^IS DEL PARADISO
L' alto disio che mo t' infiamma ed urge
D*aver notizia di ciò che tu Tei,
Tanto mi piìace più qoanto più turge.
Ma di qae>t* acqua convien che ta bei,
Prima che tanta aete in te si sazi :
Così mi disse il Sol degli occhi miei.
Anche soggiunse : lì fiume, e li topazi
Ch* entrano ed escon, e il rider dell' erbe
Son di lor Toro ombriferi prefazi :
Non che da sé sien queste cose acerbe,
3Ia é diretto dalla parte tua,
Che non hai viste ancor tanto superbe.
Non é fantin che si subito ma
Col volto verso il latte, se si svegli
Molto tardato dall' usanza sua,
Come fec* io, per far migliori spegli
Ancor de«;li occhi, chinandomi all'onda
Che si deriva, perchè vi s' immegli.
E si come di lei hevxe la gronda
Delle palpebre mie, cosi mi {jar^-e
70
,»
70. urge^ slìmolt.
74. tei, vedi, dnirtnlìq. rcert o
reire.
72. quanto pf& lurge» q«an(o è
più tnr|;iflo, più inlenso.
75-7 1. Afa di quest'acqua ee. Qai
il Poctt prtisc^^ue la melnfint dvl Dame
di TÌTt lue«. Iii(«-iitli : ma roiivirne t-lie
(■ luti la TÌKta in quiMa 'nce, prima
dw il tao de-idrrìo in «Ma ai ac<|uii*ti.
79. it Svi degli occhi miei, Bca-
trÌM.
76. H tnpaxi, le faville che itc-
ra veduto uscire ed rntrare nelle rì-
Tiera di luce: e qii«^t- (runie Tediatati
in epprcMo ai ▼. 94 e teQQ.) &ooe |'i
infrii.
77. • a rider dell'erbe, éoh dei
fiorì ; i anali, come vrd.<ai ai dvlli ver-
•i, fono le animp unian* brute.
78 ombriferi prrfazi, eenni pre-
ttminari ad> uibrativi, lijjurr p'cdlino-
•Irali^e del loro vero, o di quel che ao-
Boio realtà.
79. da iè acerbe, difficili per tè
Me ad inti>ndi>rei.
81 . riffe ancor tanto iuperht, ti-
flo Hie tanto a' innalci. che taiit» ftoasa.
Qui la parola iuperbe è UMto nel senso
che ha talvolta nel lat. la voee ttper-
bui, di mito, elevato.
82. fantin, bombino. — raa. vj U
fretlidoMmtrnlc. Ilal vn bo lat. ms.ii.
riiere. nari|ni> i'aiit. iloliauu ntf*.
81. MoUit tardalo et. Mate pii
tardi dell' ora in che ^ «ulilii fBfftn.
85-86. per far migliori ^"
Ancor ec. CtMr. : per fmr rffffiaab
ipegli Ancor miijlitrri. Co*, ferbi
81 elle i mici cM-dii Ji*eDu»croaacù
più forti di q«i*| che erano, W ìMP'
a{«rt-hi alle c««e ili fa ••ri, oaaàa a rin^
Tero le inimaj^ini degli lìbieCli orts*.
che è quanto ilirc, per «ttaan mtf '
più Id \iitu vì*.i\a.
8i'.-87 all'onJar iot. albiirr'
di lume di che al v. 62. ^ Ck»MÌd:-
rito, che arorre dal divin (n«k, atif
che la ti\ta drllc anime ei s'imam$l .
vi » fjcria ni<gliiire, e \t d-vaagaiW
a ao»tenerc la pieoetra dclUlia i-
Dio.
88. E H coma, e tosto d», S W.
di quell' unila, òerec /• gr^màm JlrUr
palpi bre mie, be« ve reairvimtk, PoiW
d. Le m.e iialprbre ; cha è nmut^én-
appena mi \ì affarnai.
89-90. rofi mi parve Di ma te •
CARTO TREIVTESIMO.
7li>
Di sua lunghezza divenata londa.
Poi come f^nte stata sotto larve,
Che pare altro che prima, se si sveste
La sembianza non soa in che di-;pai vo :
Così mi si cambiaro in maggior feste
Li fiorì e lo faville, si eh' io vidi
Ambo le corti del ciei manifeste.
0 isplendor di Dio, per cni io vidi
L*a'.to trionfo del regno verace,
Dammi virtù a dir com' io lo vidi.
Lume è lassù, che visibile fare
Lo Creatore a quella creatura,
Che so!o in Ini vedere ha la sua pace ;
£ si distende in cirraìar figura
In tanto, che la saa circonferenza
Sarebbe al Sol troppo larga cinlura.
Passi di raggio tutta sua parvenza
Refìesso al sommo del mobile primo,
Che prende quindi vivere e potenza.
£ come clivo in acqua di suo imo
Si specchia qua:KÌ per vedersi adorno,
9c^
9^
iOO
10^
110
mi parte che la 6(pira Hi quell'aeqM
che (iianxi era lun|;a, diwnine mCunìla.
La lunjhcna «Irl Giiaie atirnifica il pro-
cedere delle ert-atara da Dio ; la figura
pei circolare die prende, il ritumu di
esae «1 Ivro pi incìpiii.
91. itala tallo larve, aiaU na-
•cherata.
92*'J3. Che pare altro che prfaia
ce. Coalr. e mi . tlif sr si «ti^tp la aei»-
bianza nini aaa, in che disparte, riiiè
•oCUt alla quale ai nascote, par tali' al-
tra ^» quella che era prìua che ti tri-
Tesliase ce.
01. mi ti ramhiaro in m^gfor
fette: mi §i mostrai unu in ma^ijinr le*
tùia, mi apparvrru in piò bella fitta.
95. Li fiori e la favilla, cioè, le
•Bime e gli anfri-li.
96. Amho le enrlir tanto qnMIa de-
gli Angi'll, le faville, che quella dèlie
ttimc, i fiori.
99. ettm' io h vidi. Qneata triplice
ripctàziooe della rai-ileBÌma partila vltfC
in rima, non e s«*n7a il %um perchè: il
Poeta vuleva rìrhianiiir l\iliui atlen-
f ione su questa miracolosa vitiune, che
èli punto più importante e la eataatrofe
del Pitema ; e però nota enfaticamente
prima il fatt» della «isiooe a lui ginota,
poi il iiie/.Ko linde l'ebbe, e quindi pre-
ga di poter descriverne il eonae, ripe-
tendo per trf viilt«> in line di verso qaafi
a modo di trionfo il eoONeguit» vidi,
CiHii ostei vani Hill altrove ripetute per
iiin-1 niaiiiiTa !a pMroln Critlo.
IU2 Che tolo in lui vedere m.s
cbe tro«a la so<i pare 8*do nella viatA
di Ini.
I05. Sarebbe al Sol troppo tmrgm
cintura: n'avanzerebbe a Usctare il
fole \ dunquf multo più ampia delia ór-
Confeienza di lui.
106 Fatti di raggio tutta mut
partenza ee Quant' egli anparikce, ai
fonila d*on raggio solii ed ua.te che
rìfl.-tii^i al tommo del mtìbile priato,
•Ila parir !»u|ieriore del prim*» mobile^
il quale appunto da que>to raggio pren-
de vita e putetixa di operare nei cieli
sottqiosii.
I0*J-I ILE roine diva ee. E come
cffeo. Citile, in acqua che scorra all'ima,
ana falda ai syecvlwm^ i^^mx ^«t ^«àk^^
Ito
DBL PARAJ>IfO
Qaando è nel verde e ne* Gorelli opimo ;
Sì soprastando al lame intorno intorno
Vidi specchiarsi in più di mille soglie.
Quanto di noi lassù fatto ha rilorno.
E se r infimo grado in sé raccoglie
Sì grande lume, quant* è la lar^liezza
Di questa rosa neir estreme foglie ?
La vista mia nell* ampio e nelPaltezza
Kon si smarriva, ma latto prendeva
Il quanto e il quale di quella allegrezza.
Presso e lontano lì né pon né leva.
Che dove Dio senza mezzo governa.
La legge naturai nulla rilieva.
Nel gialio della rosa sempiterna (*)
Che si dilata, rigrada e redole
Odor di lode al Sol che sempre verna.
Qual è colui che lace e dicer vuole.
Mi ti asse Beatrice, e disse : Mira
Quant' è il convento delle bianche stole !
Vedi nostra città quanto ella gira!
Vedi li nostri scanni sì ripieni,
Che poca gente ornai ci si disira.
Hi
ij)
i!i
Gì
tdorno, Quando è nel verde ^ aaando
è opimo, rino, di vonliira e di fiori,
qaaodo è primavera. Io molli testi ù
legge Quant' è nell'erbe ee.
412. iopraslando si rifcrÌKe tlte
anime che ti bpccckiaiiu nel lume sotto-
stante.
444. Quanto di noi ec. qoante
anime partendosi dai corpi mortali han-
no fatto rilorno a Dio, dalle coi mani
erano ascile in prima.
44G. quant' è' immaginate quan-
ta esser dee.
447. Di questa rosa ee. Il Poeta
diri in appresso mme la ktioltura di
questa celeste gradinala imitaske la for-
ma di una rosa .
418. fie/r ampio, nell' ampieiza.
449. prendeva, rninpiendet a, ab-
bracciava.— Apprendeva legge il Cud.
AnUld.
420. Il quanto e il quale, la quan-
tità e la aualilk.
4 2 1 - 4 25 . Pretto e loiiloiio ce .\«vl.*.
Tidnanza e \ontftna\\iA nt pon nklcro,
né ajgiuiiQe ne UijjVie \\»iV. %\ \%^*i:«\^
perocrhè dorè Dio goTcraa ■eoirìa'
terposi/iime delle cause tccoode, tnA
legge di natura |»er le queic le am»
più fortemente agisce io Vicinaanape
debiilmenle in dì^t^nza, nullm rtfùw,
niente fa, o non ha ivi alcan Inugs.
424. AVI ginilo dtila rMc Im
rosa aperta mostra uri oetitrv akiftUi
gialli. Qui a%endo il l'uele «eft*>«ifl4b
e uua rosa la cii culer grada fiat ^
seggi dei Ufdti, cIiìuiqìì il guttoÀ em»
roM il cii Colar luiue t he ere ari mit»
e nel fiindo dei gratli eM-endcoti. L.
qualdie Codice leggeM // fi§ii» ésìié
rota.
n Forma del Peradìso.
125 rigrada, k'iniMize pTgraf.
— redolf, oli zza ; lUi Uc rvrfeler*.
4 20. che sempre rema, cW in
proti u;*e eterna priuiaterj.
420. Quant' è il cusarmle •.;
qaanta é r.iduiianza di culvr.» che»ea
edi»rni drlle bianche alale, drlleW*'
cUe %ef>li ! Ni'irA|Micelisee i Bmati cht
i':
CANTO TRENTESIMO.
7H
In quel gran seggio , a che ta gli occhi tieni,
Per la corona che già v* è sa posta,
Prima che tu a qaeste nozze cent,
Sederà Talma, che fia giù agosta,
Dell'alto Arrigo, eh* a drizzare Italia
Verrà in prima eh' ella sia disposta.
La cieca cupidigia, che v'ammalia.
Simili faltì V* ha al fantolino,
Che muor di fame e caccia via la balia;
E fia Prefetto nel foro divino
Allora tal, che palese e coverto
Non anderà con lui per un cammino.
Ma poro poi sarà da Dio sofferto
Nel santo ufficio; eh* el sarà detruso
Là dove Simon mago è per suo morto,
E farà quel d' Alagna andar più giuso.
izs
i40
145
4 34 . Per la coroiui, mtraviglioto
per U corona imperiale posta sopra
esso.
435. Prima ehe iu ec. Prima Ae
tu in qaesto (jaudio del cielo perrengt.
436. che fia giù agotta: cioè, eh«
in (erra sarà augusta, avrk imperiale
dignità. Qui Dante finge di predire
nel -1500 la coronaiione di Arrigo di
Lucemburgo, che segui nel 4308.
458. m prima ch'ella sia ditwh
gtm. Cbe Terrà a riformare Itulia pneit
<he ella sia giunta a qnol grado di ci-
viltà che B richiede per eaaer Imim or-
dì nsta, onde sarà van» ogni svo tenta-
tivo- — Vedi P%rg., Canto VII, ? . M
in nota.
439 9' ammalia^ ti affottort, •
quasi per occulta malia ti goasta nel-
l' animo e \i corrompe.
440-441. Simili falli 9'ha ai fm-
MinOj ec. Dipinge l'imbi>ciliitè elapn-
zìa degli uomini agitali dal diabolico spi-
rito di divisione, cbe paragona al bam-
bino che morendo di lame caccia da sé
la balia cbe vorrebbe ristorarlo. La ba-
lìa era Arrigo, il fantolino erano gl'Ita-
liani; il ricreamento, la rcslaaraziooc
bell'impero.
442-443. B fia Prefrllo nel fora
ditino ec. E ellora, qoando Arrigo mo-
Terb air impresa , sarà prefeUo nel
foro dtrinOy capo supremo della Ghie
sa, la cui autorità è solo nelle cose spi-
rit«ali e divine, ial ec.
4 44 . Kon anderà con Ini oc. : gli
iàrfc contrario, gli farà contro, tanto io
pelcae, cbe in oecvito. Abbia» parlato
molte altre volle di <|«csta oppoaiiione
di Clemente V ad Arrigo «i Lnsacflir
burgo.
4 46-147. ch'el mrà délruto là
doro Simon mogo ee. : cb' <^ sarà
per suo merto cacciato già nella M-
fia diiv^è Simon mago. CleBcnta moti
nel 4314.
448 E foràqueld*Àlagnmoe.E
farà cbe Bonifazio \ 111, natiTu d'Anacni^
Sreripiti pio gin per entro el foro. Vedi
nf.. Canti» XIX, v. 76eaeg. — andar
pie giuro e les. dei Codd. Aot., Cbig.
• Caet. La com. : eiter pik giuio.
K\
lU
DEL PARA DUO
CAMTS TMVmAMammWHMWMi
Mtmtn il Pottm ttm
m, mrgtMéogU M MTBic mUtH émèèm, m mlg**
e Im9ec0 Ji t/vmm mecmmf S. Mtnmrém, aàt gU
tute mttntt U —ftu^mù. À ht pttmm él
din m Imi grmxui «otsmtm. Dtpm ci*. 5.
t0, é tmtmmf fh «ecouM Im pUt
tmitm imMimma dW
im Ùammm «m gtè tmrmmtm mrUm mm m» dU t
ie M«M rjUgl^trt ,0im pfrgm m rw»-
r pmile m fmn» a fmrm£*'
, Im Mmdn et Dm.
Id forma donqoe dì candida ro<a
Mi si mostra^'a la milizia santa,
Che nel suo sangue Cristo fece s(K>sa.
Ma Taltra, che volando vede e canta
La g'oria di Colai che la innaniora,
E la bontà die la fece cotanta ,
Si come s<-hiera d*api che sMnGora
Una fiata, ed ana si ritorna
Là dove suo la%oro s'insapora,
Nel {Tran fior di<icendeva, che s* arioma
Di tante foglie, e quindi risaliva
Là dove il soo amor sempre soggiorna.
Le facce totle avean di fiamma vi^a,
E r ale d' oro, e Tallro tanto bianro.
Che nulla neve a quel termine arriva.
Quando scendeen nel fior, di banco in banco
Porge\-an della pace e dell* ardore.
IO
a-3. ImmUixia «ml« te. IhWihIì
!• attMM «mtDC riM Gf«u Cristo ctì
meno lUI tuo saainc fece tac ipw ,
•ni a tè.
4. l'altra, gli tnf^Hì.
^. che U fere eotmmlm, cbt la fcca
A nobiW, si «rtrlM.
7. eh» ^in/Lara, die m p«M m i
fiorì per («ricarsi «Iella materia o«<U
pai cwnyaiie il iniel«.
8. Unm fiatm, ed urna. La Nid. té
allrì leali Unm fimèm, ed akrm.
t. Là dote, aM*al%eare, s'i'i
rttf n cuaverle in doler miele.
IO. liti gran fiw, od gran
^io che \ a «Il grailu io gra«lo a gaiM
delle fiiglie nella rtnt^ e pei quali gradi
•ODO diairibuili i b«*ati.
41-12 e quindi ritmlira «e..* a
qaiod. «sM icliiera degli angeli ai rial»
Mft al tao amnre, a \>io
48. Lf /iacee ee. W etAor* i\ ^*wk-
■a Tifa dcottta la carilÀ^ V« aVx 4^ qc%
Mgoifieaao la sapieoaa; H
lapnriU.
15 a 9««J fermlM, o ^««l
di btaa«-lie<za.
46 di baneo im hmme»^ S
in grado — di bianro in bimmet^
il diala, legg^ od i Omdd.Cmm,.
e quraU lei. e bella. K« vaW il
Cnai sarebbe ri|ieluU l« vm
èooila Umilia, aolee.; parrà
•ggettÀv» e i|ui aftOanb*», « i|
cuai no vnai di uoi mcd«ai
d» tigni bruifNie diverga è TrMi
p«eti. I griidi della roa
biaorbà, p«*iebè i Ut-ati cfcr «■■
erann weNiiti «li candide tMe ,._
bimtteo in bianco «i^nifit berrkbc
■n nriline in uo allro d«| graa
gradualo, o d«-lia ranilida ro^a
la ebiama il IWta C(«i il prrl
CmX»\ TO% v*» TWttt^ ^«HMrei la eoa
CANTO TBEHTESmoraiMO.
753
Ch*egli acqaigUnran ventilando ilflanco.
Né lo inicrporsi>tra il diaopr» e il 6ore
Di tanta pienitQdine volante
Impediva la viijtta e lo Sfilendore;
Cile la luce divina è penetrante
Per l* universo, secondo rb' é de^^,
Sì che nnlla le poote eef«re ostante.
Questo sicuro e gaudio» r^no,
Frequente in gente antica ed in no^nella»
Viso ed annere avea tutto ad on segno.
0 trina luce, che in aniea stella
Scintillando a lor vista si gli appaga,
Guarda quaggio.^ alla nostra procella.
Se i Bart>ari, venendo da ta( plaga,
Che ciascon giorno d' Elice si cuopra,
Rotante col suo figlio ond* ella è vaga,
Veggendo Roma e l' ardua sua opra
Stupefacensi, quando Laterano
Alle cose mortali aedo -di sopra ;
SO
SS
SO
Zi
1 8 Ch' egli acqmiilaran , che nù
•nge i irquistavano rentiland» 9 Mtn^
co, battendo le ali io allo, o, oelrelc-
varu a Ilio.
«»-20. Aie U ÌMÌfrp&r9Ì€9. Ot$lr,
e int.: Né Vimlerporti di imulm w
tante pleniiudime, cioè, tli ianla • ik
denta moltiUidioe d*»ageli valwili tra
il diiopra € il finte, cioè tra il itivi»
trotto , eh* era ìm alto, e la raas^eh»»-
maseva aolto aa.
21. impedir m la viilr* Uafadiv»
la viala di Dania che non pnicaaaaiMIma
Dio, e lo splendore di Di» eh» mm fa»-
tesse diarcMore agir nerbi di awallaiiU.
23. secondo eh' è dffma: aeeaBdt
il medod'aaaare e la TÌrta «li ciaaeMia
parie. Vedi i primi veni del CmiIo 1 4à
questa Caalifla.
24. eti9re ottanU, farle inp«dW
mealo.
25 «{euro, lr8iM|villo.
2fi. Frefmomto m., nvvMPat». èek-
moli del VecHùo e Noovo Te»iaiu«mlo.
27. ì'iao oe.T avrò gli «celli e il ^
siderio rivolti interanaale ad wi ■§•
eoo, a Di«.
28. O 4rlM luce ar. Si aeeMu»la
triniti dell* penoao disìae ia nna anln
rtseaia.
29. ti gli appaga. È queata an'an-
lira forme delia seconda pertnoa del
pres. ind. della pi ima cooiagaxiooe co-
piala dal lat. Goar da amm, fwroè, ai
fere I».«imi^ Imghàrmi oaàa'appagm
ala ^ni per appaghi. \ arj eMwpj an na
hanno negli antichi serittori ; dm M ci-
lare nn* a»U di Oinllo d' Aleaao :
§» ■« ali EvaogHIn,
Ali
^i
cìoèaei
50. alla naolra prartHa, al
dtnato e se^nvidlo alalo d' llilia.
51-33. éa tei pl^«r.: de til r».
giMM delle terra, die in ciiaann gìnnio
venga ad eaaere coperta dalla «aalallt-
tiana aeltrntr innaia- ini ■inaH Eliaa
( l' Orsa niaggiiawl, che ai aggira vicina
all'altra enairllatiana càa ha naoM dal
saa Sglimil» B«N>|«, a Artara. Accaaaa
i barbari drl Sellenirione ai «Mali ratea
tempre mi ca|io quelie coetellaaioai^^
tea preaao al polo.
54. Fatdma tma apra, l'aecelw
taa fabbrirbe; o le ardae awli , i
graaditiai lavori, a i moaoawatf «R etri
è tpania
5*-«i . «|«mdn IjaterwM» X^arw^
nMnrUii o«dè rtl aoxtr»^ ■"«•■■■V^,
tcin^ «lc\ 0*%V.^A«o vr\ Vafi»^ *5««»^
1S4 DEL PABADUO
Io, che al divino dall* mnaiiOy
Air eterno dal tempo era venntOy
E di Fiurcnza in popol gtnslo e sano.
Di che sìu[ìOT dovea esser compiuto 1
Certo tra esso e il gaudio mi fooea
Libito non udire e aUimi muto.
E quasi peregrin, die ai ricrea
Nel tempio del suo voto riguardando,
E spera giù ridir com' elio atea ;
Sì, por la viva luce passeggiando.
Menava io gli occhi per li gradi.
Or su, or giù, ed or ricirculandò.
Vedeva visi a carità soadi,
D* altrui lume fregiati e del ano riso.
Ed alti ornali dì tutte onestadi.
La forma general di Paradiso
Già tutta lo mio sguardo avea compresa.
In nulla parte ancor fermato fiso ;
E volgcami con voglia riaccesa
Per dimandar la mia Donna di cose.
Di che la mente mia era sospesa.
40
1:1
.'O
•ia toUe le parti del niondneilairulliroo
ti'tioiitrione, posposto ogni altro tempo-
Tale interesse, corse io gente a Lateraoo
arirevere la (*rao pordonanza.
57-58. lOy te. Frrrhè questo verso
bini alla misura^ deve farsi di duo siila-
\e io, ed evitare, come tanto altre volto
ii>ii Dante e gli antichi poeti, l'elisione
lU'l monosillabo che avanti vocale. Lq
M<l. ha: lo eheera al divino dall'um»-
9io,E alVetemo dal tempo venuto . M a
JK-Ila lei. che ho seguitalo si ha migliore
andamento di frase e maggior forza ; e
ainiili versi non son tanto rari in Dante
» negli altri poeti antichi.
59- E di Fiorenza ee.: e da un
»(>polo corrotto e folle come quel di
Firenze , a una società di giusti e per-
ii ili cittadini.
4 1-42. Certo tra etto e il gaudio
«e. Orto, posto in roez7o ad esso stupore
e al gaudio, m'era diletto il non udir
variare, e tacermi: e ciò è ben naturale
M quella disposizione d' anima.
43-45. E quoti peregrin ee. E
«nasi uellegrino che si ricrea al riguar-
éare il tempio de\ tuo ^ulA\ù«^\\\«a-
pio che aveva fatto voto di visitare |, (
spera, rìtoroalo a casa, di ridire «t i
questi ora a qae(vli come esso tespv
sia fatto e che contenga.
46". paleggiando, spaziaodo din»'
semente.
48. Or9Vk,or gii^ or in alto, crii
basso, ed or ricìreuiando. ora attorv,
in cerchio. Mio $u, mo già, 9mtt>
ciremiando. leggono le edizioai difcni
dalle Nidub.
49. a caritè 9uadi, peiMadcab,
moventi a carità.
50. D'altruiiume, dì qoéWàe
emane Iddio, e del guo riso, e del {si-
gore proprio , che nasce da seatìU )f
tisie.
54 . Ed atti ornati di tmitt •■«>
ttadi. E movenze adurne del bcflai
delle attrattive di tntto le TÌrtè naoito.
M . Iit nulla pmrU ee. : scesa »
seni ancora aflisaaCo in almui Mtt»
particolare di ceso.
55. riaeceta, fortemente aweess.
57. ùi che la wente mia ee.' ìa-
torso elle quali io avea qaaldie dsà-
blo che mi tenca sospeso.
CAMX> TRENTESIMO PRIMO. 72S
Uno intendeva, ed altro mi rispose :
Crcdea veder Beatrice, e vidi an Sene
Vestito con le genti gloriose. m
Diffuso era per gli occhi e per le gene
Di benigna letizia, in atto pio.
Quale a tenero padre si conviene.
Ed : Ella oV è ? di subito diss* io.
Ond' egli : A terminar lo too disiro «s
Mosse Beatrice me del luogo mio ;
E se riguardi su nei terzo giro
Dal sommo grado, tu la rivedrai
Nel trono che i suoi morti le sortirò.
Senza risponder gli occhi su levai, 7$
E vidi lei che si facea corona,
Rillettendo da rè gli eterni rai.
Da quella region, che più su tuona,
Occhio mortale alcun tanto non dista,
Qualunque in mare più giù s* abbandona, 7S
Quanto li da Beatrice la mia vista;
Ma nulla mi facea, che sua effige
Non discendeva a me per mezzo mista.
^rt che TI tlireblM per dai, E p«r
coDTÌneerM di ciò, redàsi il Canto Mf.
dal Tarto 7 io Ik.
69. Nti trono che i tmoi wurti as.
— AVI trono m dba twH merii Im ior-
tim, Icfffe la Nidub. Ancba di q«i, ea-
■w da altri luoghi, ti \eda die Beatriea
BOB è aempra nel poema nn' idea , wam.
qoalcba vulla è lempliremaata l' aidflMl
lara a reale della gioTine Portinarì.
74 . dka f< ftM eoronm ee..* iflt
da' raggi eti>mi, die da tè rfieltara.
75-7S. Ita qn»tta region «0. Gaatr^
Aienn occhio mortale, «fuatvmqm» pie
fià f ' abbandono in mmr§, fWM dUf
telile da quoUa regione eh» pOt w
hunm, guanto ee. E rad dira, dw tià
rigvanlaiae dal fondo del pie alto Ba-
ra, Tedrebba I' oltioia regiona del-
l'atmoafera HMtto dittanta da lè, di
58. Uno intendeva: nno era il
intendimento, e la mia aspettativa, cioè
di Teder 6i>atrica e d' ivere •cbìari-
mento da lei : — ed altro mi ritpoee,
ed altra una beo dÌTeraa enrriapoaa al-
r intenzione mia, e alla mia aapctla-
tiva. Beatrice ha già eonipitu il a«o
afficio ; e condotto Dante alla tiaiaoa
di Dio, ai toma acni' altro al too aaggìo :
e coti vedemmo avvciiir di Yiigilia au
Faradito terrestre.
59. Sene, vecchio, dal lai. »§ne»
60. con le genti, cioè eom le genti,
come le genti; e 8cri>eti ancba e^tle,
della qnal liicuzioiia parlammo altrare.
Questi é S. Bernarao, adomo dì ona
vette timila a qoella degli altri Batti.
64 . per le gene, par la gota; dal
lat. gena.
68. Dal tommo grado, facendoti
dall'alto ; oaaia nel teran giro partaado
dal grado uipremo, ove ha il troaa Ma-
ria. Il Biagiidi legga colla e»m. nri
terxo giro Dei tommo grado, • apio>
ga, od teno acaooo in giro dd grado
aommo. Ha qoaodo mai giro ha aSgoi-
icato teemnof Ancba leggenda dei, wÀ
md rho fi»aae il mio occhio da
77-78. Jlii
tanta dittaoia noo era di aicnno imp^
nulla mi fmeee^ Dna
mi fmen,
di aMnaoti
dimeoto al veder mio. — per
mietei, àoè frammitta ad aleno corpn
poeto fra gli occhi dd rìgnardanta a
l'aggetto vadota.
7t6
DEL PABAOMO
0 Donna, in cui la mìa-sperMisa vt^e,
E che soffristi per la mia «tiute
In Inferno lasciar le 4110 vestige ;
Di tante coeo, quanto f ho vedale.
Dal tuo podere e dalla tua bontale
Riconoeco la graiSa e la virtule.
Tu m* hai di servo tratto a tiberUte
Per tutte quelle vie, per luti* i modi
Che di ciò £ire «vean la potestale.
La tua magnLGcensa in me costodi.
Si che r anima «lia, che fatta hai sana.
Piacente a te dal corpo ai disnodi.
Cosi orai ; e quella M lontana,
Come parea, sorrìse, e rì^uardommì ;
Poi si tornò ali* etema fontana.
E il santo Seno : Acciò che tu aasommi
PerfoUameote, diase, il tao cammÌDO,
A die prego ed anoor santo mandommì,
Vola con gli occhi per questo giardino ;
Che veder lui t* accenderà lo sguardo
Più a montar per lo raggio divino.
E la Regina del cielo, ond* io ardo
Tutto d' amor, ne farà ogni grazia ,
Però eh' io sono il suo fcdel Bernardo.
79. vige, dal Ut. vigere - ù man-
tieiM figoroM e tempre verde.
8t . In Inferno lasciar le tue te-
ilige: Iwciar l'orme de'saoi mdU
piai io loferoo , nel Limbo , do? e ti
recò ■ troTar Virgilio.
84. e la tiriute , e la (urea di ve-
dere Unte e ai mirabili coae.
88.. La tua magni/icenxa, gli «Iti
taoi dooi. Niuua e* m , arroiido Dante
medcùmo nel CttntUo, Tratt. I, IO,
• WUtgnifica, cioè fu Unlo grande, qun-
to la graniiezaa della propria boola, la
qnale è madre a comiervali-ice delle
altre graiulcxze ; onde, nulla graodena
Suole r nomo aver maggiore che quella
ella virtueaa uperaxone ec. • l>a qmc>
•le parole beo ai puà raccoglier il vero
Muao della naroin magni^tensm. È oa-
Mrvaxioae del eh. 1*. Ponte. — cimImIì,
IO
«
cf
fj
li\
92. Cofme parea, come appariva.
88. ii tornò, ai voliò, dal prò-
featale tornar. — all' eUrma fonta-
na , cioè a Dio , aleroa Ionie di baat
94. auommi , cva4nem al aaaai
cioè all' uh mo tcnnina.
OC. À the, al <^m\ fioe. — pnf*>
il pregar di Deaii ice. — ed ennor •aac
e la niaat(Ma carili verno diì le. Abo"
credeno ai poua riferire a laaiiei a^
che questo amor eanto. A aie aaa fan
98. Che tedrr Ini . c4è la vbtt A
lui. racemifere lo tguardo Fiè ^
farà più vi\o lo sguardo. Leaieee br-
liaairaa e confortata dal veeae &I ^
Canto prcc. : E di morelte «aia «
roccest. Pureccbi leali haaoei'aiiafr
rd, cbe a me par aullo preaaica; qual-
cuno acuird, che pur potrebbe eùit
99 a montar: ad àReltrortì cn
caaa, a peortrere, ori diivioo aolead«a*-
192 5.lieniar«looae^«aoalvdbf
•iodi Koiilaiue in Biirgi^Ba ■■! IÌ9l
r o il primo abaie di Ckiar avalla: ^ir-
eilè per la sua doUrioa a laiììn ai
gran potere augii aoioù, e fK adaii pia
importanti del eoo accolo oor la ma^
CANTO THEtlTESIMOrRIMO.
lìl
Qua-e è colui, che forse di Croazia
Viene a veder la Veronica nostra,
Che per 1* antica 'fema non si sazia,
Ma dice nei pensier, fin che si mostra :
Signor mio Gesù Cristo, Dio verace,
Or fu si fatta la sembianza vostra?
Tale era io mirando la -vivace
Carità di colui, che in questo mondo,
Contemplando, gustò di quella pace.
Figliuol di grazia, questo esser giocondo,
Cominciò egfi, non ti sarà noto
Tenendo gli occhi pur quaggiuso al fondo ;
Ma guarda i cerchi fino al più remolo.
Tanto che veggi seder la Regina,
Cui questo regno è suddito e devoto.
Io levai gli occhi ; e come da mattina
La. parte orientai dell' orizzonte
Soverchia quella dove il Sol declina ;
Cosi, quasi di Tallo andvndo a reonte
Con gli orchi, vidi parte nello stremo
Vincer di lume tutta T altra fronte.
£ come quivi, o\'e s* aspetta il temo
Cile mal guidò Fetonte,, più s'infiamma,
£ qiiiuci e quindi il lume si fa scemo;
gior parte governai oasi per il di lui
consiglio. È noveralo tra' Padri Jella
Cliiesa , cil è celebre la sua difoiione
Tcrsu la Msilre di Dio. Mori nel HS3
101. la Veronica notlra, ta vera
iniagine di Gtad Criat», il aanto roiU
Veronica vicno dai lat. tera e dal
106
IH)
116
ilo
1S5
no
(jreco (con , fera imagine. — K con-
scr>'a in R<»nia , rd era antiramenle oa-
g. Ilo di molli p«'llrgrinag(*i. Vi allttdf
i:.rlie il Petrarca in quel Suaelto:
M \t*i il Tcccliicrvl ac
IOj Che, il quale, per f amliea
fama, rlii' sia quella ininia;«i«e laacttta
iii'jire^'Sa di Cripto oiedesiino ia no
f -./oK'Uo rbe gli fu porto per ascili-
(v.i.fti il sudore, mentre audaia ad esser
cr-*ciriMii , non ti taxia di riguardarla.
toc. fw( pentirr, dentro di sé. —
fin che ti moitra , nicnlie gli ti la fe-
dere, o fiodiè si tiene scoperta.
III. fililo di' quella pace, tua-
poro nelle %w.' ciuilcmplazioni ^nella
Le: I Illudine di che ora gode.
4 12. fHfilo 9t9erfi$€9mà9, q[«flrta
baaliludiue eelnala.
\ 13-1 1 1 non ti tare nolo, non
ne acquisterai bastante conoacenaa, Ta-
nendo gli occhi pur «puiggiuto, gnar-
^ndti aidanicnte qnagfpè.
HO. (a Regina, Maria Vcrgina ,
chiamala da &inta Cliicen Uegimm omli,
V20 Soverchia, in Uwo.
121. Coli quati te. Così girando
gli ecchi quasi dal fondo di nna Tallo
all'ala-su di nn-iaontef vidi nello f<ro>
mo, oell' oltinio più alto cerchio, uoa
parte di esso rincer di luce tutte le
nitro parti della sna circonferenza.
421-126. E €owu quiti ee. Int.: a
come in quella parte, o?e ù airHta il
timooe del carro del aole ohe Fetonla
non seppe guidare (oaaia dova il iole
sta per i»pniitare), pie a'infiiMOM il
ciclo , ov\ero etto lume; M.fuind-o
quindi il lume ti fa aemnaee,^ ataar
d'essa P.iite, di qua e di Ifc, ilkuaa
pei de di iua viverla, ros) ee.
^^^^"
1
Cosi quella pacifioi ortfiamma
Nel mezzo s' avvivava, e d* Ogni pnrle
Per ìnoùì modo allentava la tiamnia.
E a quel mei:to con le penne s[iBrW ID
Vidi più di mille Angeli feslanU,
Cia^cuQ di.ctlnlo e dì (iilgore e d' arte.
Vidi quivi a' lor giuochi ed a' lor cauli
Ridere una bellezza, che letizia
Era negli occhi a miti gli allrì santi. ra
E s'io avessi in dir laula divizia.
Quanta ad imai^tnar, non ardirei
Lo mìnimo teuìar di sua delizia.
Bernardo, come vide gli occhi miei
' Nel caldo auo calar fì^si ed alleuli, i«
Gli suoi con lanto affetto volse a loi.
Che i miei di rimirar fé più ardenti.
Bgtrndf|li.><iìcbìriidì Fonemi, (alia rU di^ i.otì cbc io 1* rni^in»
poi (oniiiM id nllrì (Hipol'i , > <h( pars 458. Lo Brinim* Umlar, <m »
Hunri nelle lolcnni proreuioni. La fn ii «primera )■ Biniiu Mri< U
«wrriera, ■ lignlEaK cbn Unii HO. tfil eaUo tuo tahr fu^^
irìoBt, ftr !• imort. allmU: iwll' .rd«.i. fiitt.» Ji b
)2B. Itti nniD. ov'ai. k,. rli. L'.gBiunlo di calda ■ »«<«-
inCi<uiMndì,Nnloidirtl3or». è «iou, a». >.!< ■ f.n» taHitJ^
ptr pia D meno ■pltii'lD», e d'arKr . . Imtilk, « 1. foni MV m.uDM.
(35 o'Jor i|Ì«MM,.'lutl,lpuJj. più vojliuH. "^
CAnìTO TREMTESiaiOSECOEVDO.
. c^u...^,.^... ,P-,.,..,„-..«,..,««„,^<«,^^ 1
.i,i.u-«-...i.» ■^ .♦»-*■•««-.»*— 1
Affello al suo piacer quel contemplante, J
Libero ulTii'io di dottore assunse, ^^^B
E cominciò queste parole santo : ^^^H
La piaga, Aie Maria rìchiu^ ed unse, ^^^|
Quella eh' è tanlo bella da' suoi piedi, ^B 1
1 (-8, JA«i.»l.«p(*-«r. Et» *-6.Lapi«a».rhsMmia»^0*;
■mpr* «.gli ocrhl f. =11 '«(.eli» del h» O^l'a fht i U-nlo biUn dai fMi •
-^«.«, eioè, ÌB M.rli ì-f rain. (.nli Boria. *«Wefc, flp«„ ,ÌU.Ì.
WlDÌ*.IOT-m),f<»l(»iil«HpI<i»l«, pinfachitlariauaueriekiZu.lìif
*.fBclfl d'iiiniirmi. do, ( c)i« poi Hu.i VarglMn«ÌK*>
CiiNTO TRENTESIMOSECONDO.
È colei che V aperse e che la punse.
Neil* ordine che fanno i terzi sedi.
Siede Rachel di sotto da costei,
Con Beatrice, si come tu vedi.
Sara, Rebecca, Indit, e colei
Che fu bisava al cantor, che per doglia
Del fallo disse Miserere mei,
Puoi tu veder cosi di soglia in soglia
Giù digradar, com'io, eh* a proprio nome
Vo per la rosa giù di foglia in foglia.
£ dal settimo grado in giù, sì come
Insìno ad esso, soccmIodo Ebree,
Dirimendo del fior tutte le chiome ;
Perchè, secondo lo sguardo che fee
La fede in Cristo, queste sono il muro
A che sì parton le sacre scalee.
Da questa pflAte, onde il flore è maturo
Di tutte le sue foglie, sono assisi
Quei che credettero in Cristo venturo.
Dair altra parte, onde sono intercisi
Di vóto i semìcircoli, si stanno
Quei eh* a Cristo venato ebber li visi.
Ito
iO
i5
20
26
(roari partorendo il divlo Redentore.
Illa percuttU, dice Sant'Agoitioo, iila
fonovtl.
7-9. KelVordine che fanno i ter-
%i tedi : nei ten' online di sedie ($9di
dal aing. itdio per ieggio) , nel tono
grado, aiede Kachele, la bella figlinola
di Labano moglie di Oiacttbbe, a peri
con Ueatrire; come fn dflto gik dal
Poeta al Canto li dell' In /eme M'ar-
guenti versi : Lucia.... Si moue, even-
ne al loco dot' io (Heatricr) era. Che
mi sedea con l'anlica RaeheU. Bea-
trice è fi|;nra della Teologie , Bachete
della vita contemplativa : e perdi sono
collocete l'una accanto all' altra, perchè
la Teologia stlmge contemplando m Dio.
10-12 5ara, moglie d'Abramo, Jl*-
beceOt moglie d'Isacco, Iwiit, la libe-
ratrice di Betnlie ; coM, Kalh Moabita,
moglie di Boox, bisava del re Devid, il
^«ale per dolore del sn» peccato ai rìvol-
•e a Dio col Salmo, Miserere mti, Arai.
45-45. dt ioglia in taglia, di gra-
do in grado, Giii digradar , suceedeni
una sotto V altra, com' io, eh' a proprio
nowM ee. , come le redo io ck« iiofliaii-
dole per proprio nome vo gii per la roM
di faglia IO foglia, d'ordine in orKm.
4 6-4 8. fd al «ef Itmo grado ingié
ee. Sette sono le donne gik nominale , e
tolte Ebree ; ed altre pure Ebree suc-
cedono di grado in grado per lo ingpn ;
Bieche formano una linea che (Nrtme ,
divide, attraversa , luffe le chiome del
flore, eioe tutti i gradi del cerchio.
49-21 . Perchè, teeondo ee. Peroc-
ché iioesle donne sono come no moro da
cai divid«insi questi gradi per la diatin-
liooe dei Beali accondo il modo eoo cb«
la loro fede gnardò io Cristo. looaoii la
Bedeoxioiie la fede goardava in Cristo
veotoro ; dopo, in Cristo veooto.
22 Da qoMla parte, onde U fiora
k wkaiwro: ci<ii , ove non è scanno elio
M voto, ove tulli gli scanni sono pieni.
25 onde $ono intorciti Di tòUoe.*
dalia qaale i aemicirooli sono iotirrotti
da apaij vooti.
27. Qa/ei eh'a Crittovemtlo eèèer
H 9iti: che mirarono a Cristo già T«in*
IO| e credettero io loi.
CANTO TREHTESIMOmiMO.
7f3
Ch' egli acqoisUMran ventilando il Banco.
Né lo iniirporst'tra il dÌMf)r9-e il Bore
Di tanta plenàliidiRe votante
Impediva la vista e lo splendore;
Cile la luce divina è penetrante
Per r universo, secondo eh* è degno,
Si che nulla le poote essaere ostante.
Questo sicuro e gaudioso regno,
Frequente in gente antica ed in novella^
Viso ed amore avea tolto ad an segno.
0 trina luce, che in anica stella
Scintillando a lor vista si gli appaga,
Guarda quaggioì^ alla nostra procella.
Se i Barbari, venendo da tal plaga,
Che ciascon giorno d* Elice si cnopra,
Rotante col suo figiio ond* ella è vaga,
Veggendo Roma e l' ardua saa opra
Stupefacensi, quando Latcrano
Alle cose mortali aad^di sopra ;
iO
S6
80
Zi
18 Ch'egli aeqmittaran , eht etti
an|;p i sct^oittavano rmii/aiMfo il ilcn*
co, ballfiido le ali io alto, o, oell tic-
varbi a Dio.
\9^'20. Né U initrportiee. Cotlr.
e int.: A'é l' imterporri di ImM «o»
lanle plenitudimt, cioè, tli Unto e tk
denta moHiludiac «i'aogeli valwili Ira
t7 diiopra e il fiore, einé tra il àkvm
Iroso , cIm era w allo, d la rgaa^eheri*
mMie^a aolla te*
21. Impedirei Im «atte* iaifadiva
la viala di llanlt che non puteaMailima
Dio, e lo splendore di Di» cka ii«« f%m.
lesse diareodore aflinerlM di eaa« DMto.
23. ieeondo eh' è dffnm: eeemmim
il mado d'essere • la virté di ciaaaMit
parie. Sfdì i primi veni ilei Caale 1 ék
qiMtla Caaliea.
24. efierv otlanU, ftrlt impad»*
meato.
25 tieuro, tranquillo.
26. frefveii/e ce., nnvcpaao- dar-
taoli del Vecrkio e Nuova Te»i«iueMÌa.
27. f tao ae.r ava kIì ocelli e il èt^
siderio rivitlti iolerameale ad ■• ■••
Cno, a Dio.
28. O irima luet ae. Si aeeann» la
triailk della peraooe difioe ia ana aala
etseare.
29. tìgli appaga. È questa on' to-
tira forma delia seconda pertnna del
pres. ind. della prima coniugazione co-
piala dai lat. GÓai^ da caiat, jmrm, ù
fera Its-oaia, !• filtra? aadfapfMfe
tta qai par appaghi. Varj aaaaipj aa na
banno negli anliehi seritlori ; ma aa al-
iare aao aalo di CJello d' Afeaam :
tt «MI «Il EvMifHI^ ewn«li Ji«a{ glan,
A««n ■*■••■• iHMt IO tal
filari»
50. aiia aaelra praetWa, al
diaalo e sonavidln stato d' haUa.
51-^. Al lai plafaar.: da tal ra-
giaiM 4ella terra, (4ia ia ciaataa ffiaraa
veaga ad narra coperto daNa «attoHa>
tioaa teltrntvinnala- daiHMaaia EKaa
{V Orsa maggiival, che ti aggira vieiaa
all'altra ettstrllationa cka banaata dal
saa Sgli>iol«i B<H»to, o Artara. Aecaaaa
i barbari drl Sellentrione ai mali rslaa
tempre sol ca|»o quella eoetellamnai rbc
toa preaoo al pido.
54. tardma ma. apra, l'acceln
tao fabbrirbe ; o le ardne mali , i
graaili<ia* lavori, a i «oaaateall di cai
è sparM
morUli anfUk «it toxkT%^ w,tj,a«a» «^
lampa ^\ Gm\»\»\V^«\ V5«ft^ •««
•u
DEL PABADISO
Onde, però che ali* tifo che concepe
Seguo r affetto , d* amor la dolcezza 1 40
Diversamente in easa ferve e tepe.
Vedi r eccelso omaì a la larghezza
Doli* elenio Valor, poscia che lanli
Specoli fatli a* ha, in che si spezza,
Uno manendo in sé, come davanti. 14^
i rtraì della Aiwa luce, e anHlraai»^
CMnv fatti ad immagine ài Dio. — ti
ipexui, si divide nrr la rìfliwooe del-
la immagine sua che ai fa in laati iadi-
TJdai.
445. Uno fmmnemdo m. : rimaan-
459. Onde, però che te. Onde, p^
roccìiè al deleroiiìiato alle di vedere tà
insieme di concepire menlalmente Dio,
M proponiooii 1 amore de' beati Terso
lo stesso
Dio , conscfpiita che , esaeade
in ciascun angelo diversa la viMoaebaa»
tlGca, sia anrura in ciascaD» di essi dir
verso il fervore e il lepore della cari-
tà, che ne è rofrello. — In ena natura
angelica , ossia nà diverti iudividai di
lei.
444. Ciiìama tpecuH, specchi , gli
angeli, come quelli clic da sé riflettono
da egli aempre nella saa aempliciih dm
e indivisibile, come era innaazì alU
creaiione degli angeli. E al Ciato IIII
liaùlmcoto:
Fcr na b'«t«tr il soa ra;;^ lar« tJ«u.
Qw4 ^prcckiaU. la a>.«r «««^ to-m,
£l*roaluM-aU riiu«ii«Dil it ana.
CABnro TREimEsmo.
I angelico trii'uéio Utomc mi pual» ^o$€nrm sgli oHU éelC flifhirH • m^ ,ì gj ^^g^
triet, eh* ài tattm Mlezia f'OVi cnsamm, che eeetd- sfM eomnitm. « l>im sef» im pam
EgiM ir gm «M<irv mftfEmiptrfi «« /«mh^ gli éiMpomt la wtMtm mt ttjurt ttt Dumi té* um
tue* fm liMt mt di^nit di pnmniv€rti, dmt e .mt» tsrtm fmvtU* ekt n fmm gttmmt m* t^m
IbnuuM mttle mmdt. Cumrdm u fmetle ti Pogtti^ t atlmla.-** «iiMw fu ta ugU ^ctfti. 'mmn
di9€mmlm eutotmrt, é »off*m ^eUm tinmni «a grum hiijiwo l'i gral* in fi-u tm fàtmam dtmaa
dmtt teggoMM I Btmlt^ r m m<;xm mJ t*u «« i/iwo pr.pm'Mo per t' tm^traturt ^,- ngm.
Forfè scmila miglia di lontano
(^i fiTve Torà sesta, e qiie.<i^(o monrlo
China già T ombra qnasi al Iclto pinno,
Qiiundu i! mezzo de! cielo a noi prufondo
4-3. Forte temila mi/jlia di lon-
iano. Vuble il l'i>eca it«iie un' iili-a «lei
m<Hli> con dtr dt»parTP ai mioì orrbi il
trionfa di Crisi»; e li» ra<Miiiiiii|ìa al
diirfyn-irsi a pero a pi*ro «li'lle tielle sol
far del ipnriio. Ma noia runir io ha dello.
-— t'ora tetta il in«nr20|tìornfl. Ci fer-
re, arde ri(*uarilo a nni Italiani, for-
se, citca, sei mila mìijlia di Utnl^na, e
questo mondo inclina l'iiinbr<i ma a for*
ma di cono in lince orìrinutale , dalla
parte di punente, ^iftiniio ee. iVr tra-
Tare con precìsiniie l'ora qui indiiala
i da sapere dir la nreonfeieina della
(erra ara alimata di miglia 2tMaO, del-
le qn:tli il sole ne perrorre SSO p»
P(»ni ora. Si«lunqiit« il quarto del 3iM#
è il 51 00, e il iiN'Fy.i ;i,.mA èdaiaak
da un «lato Iiio|;a forge 6000 iMf'ii
ivi oi:iu< lieruniio alla prima ara dr
giorno, (listali Ir un i|U. idrante di sic i
(iulPora fcOkla, iiii';Ii4 <JU0 tacifta.lf
quali il sole perenne prrsao a aar* i"
un'ora. Kii ecru clià» iniia qucala f>*-
fraià «iene a dire, che nNMca aa'an
circa al nascer del aolr.
4-6 Quundoil me»o tfWHHkal-
lorchè il nicFfo del cielu^cke è il me ahi
{profondo «lai b.ii«o all'ali..) .^ J.
a noi, eumiocia a far$i {«|, csLèa «te-
CkKTO TUmUIMU.
ComiDria a tani tal, che alcuna Della
Perde il parere ìdQix» a qnesio tondo;
K come vicn la cbÌBrìsùma aucella
Del Sol più olire, coai il ciel ni chiude
Dì vista in ?Ì!U inGno alla più bella;
Non allrimenli 11 trionfo, che lode
Sempre dialorno al pania che mi vinae,
Parendo incbiuso da quel ch'egli iiicbiude,
A poco a poco al mio veder si sliiwe ;
Perchp tornar con gli occhi a Beatrice
Nulla vedere ed amor mi costrinse.
Se quanto inrino a nai dì lei » dire
Fosse conchiufO lutto in una loda.
Poco sarebbe a fornir questa vice.
La bellezza eh' io vidi si traintoda
Non pur di Ik da noi, ma cerio io credo
Che solo il ano Fattor tutta la goda.
Ita qncslo paeeo vìnto mi concedo,
Piii che giammai da pnnlo di suo tema
Supralo Tosse comico o iragedo.
Che, come Sole il viso che più trema,
Cosi lo rimembrar del dolce rìso
ririi j>«i primi ilborì , ihtU
iltlLi Ptrdt il par*n , tftmt
Al piimo •llH^iirt cvniinri»!! l
pia picroU ■ nLaiti, p*ì cmec
fili |lT»di. tino ■11* luiiciiin.
T-0 Ecvmi ti.B. t> iiiÌHi*(L>
li mn», fa ehìBriuima amvIkDtl
£01, l'iariiri, «Hi iltitl litkiudtDt
ciila ia «Illa. L'cgiiilii iiiiini<||ii«fir
■i)(aiG< ire In (ihiì» drili itilln Ji ausa
cb* mbJ oiBir gli m ibi'jrl fida.'
10-12. Il Irinafo rtr iaii .
Itioarii Jriciirì HiBrlùÌ,c1>e (nir
tW ni aU.>o1:b, t Xt girali ■ luti
tirar, paiiriioiiriMxkii
delti ardili »(il>n.'
Ai. •! mi» vr'-'cr $t itìtiM.,
U-H.''ltrthé AuJIa ttitn, ÌJ-ÌT. tÙ. tomtSottn. Calli.
pitathiUcH>uiiHi« Jrlla|iaaadaii- ( ini.; p''rii>ctli* c*b* il Mila acMU,
■Il jF|U«n|tli,td aliar, iVaam diaiiaawc, impitnliMa , ti cita, l' ac-
p*r Biiiritt, ou coMrÌM* M. ibi*,* k TÌiM,<t(ftk*r(ai»,>(M>A»
CANTO TBENTESIMOSECONDO.
Sola ti può disporre a veder Cristo.
Io vidi sovra lei tanta ailegroiza
Piover, portata nelle menti sante
Create a trasvolar per quella altezza,
Che quantunque io avea visto davantc,
Di tanta amnniraziou non mi sos|)ese,
Né mi mostrò di Dio tanto sembiante.
E queir amor che primo lì discese,
Cantando Ave, Ètana, gratta piena,
Dinanzi a lei le sue ali distese.
Rispose alla divina cantilena
Da tutte parti la beata Corte,
Si eh' ogni vista sen fé più serena.
0 Santo Padre, che per me comporte
L' esser quaggiù, lasciando il dolce loco
Nel qual tu «iedi per eterna sorte, '
Qual è quell' aìt\iA, che con tanto giuoco
Guarda negli occhi la nostra Regina,
Innamoralo si che par di fuoco ?
Cosi ricorsi ancora alla dottrina
Di colui, cb' abbelliva di Maria,
Come del Sol la stella mattutina.
Ed egli a me: Raldezza e leggiadria.
Quanta esser punte in angelo ed in alma.
Tutta è in lui, e si vo'.em che sia, .
Perch' egli è quegli che portò la palma
Giuso a Maria, quando il Figliuol di Dio
Carcar si volse della nostra salma.
733
90
95
iOO
i05
HO
89 portata nelle utenti tantt, cioè.
portala , quasi in attnilaDlJ va&i, oe|li
angeli cri «li , ileatinsU , a Irapiasare
\oUndu dal trono di Dio allo Aedi dei
lloati, e da queale al detto trono. Il Po-
ramni auir autorità del Veiiotello ktst
portata dalle.
91-93 Che quantunque ee.: che
lutto quello clic io aveva veduto prìntt
di allora non mi tenne sospeso in tanto
animiraiiuiie , né mostrommi coao dio
a Dio a6af)nii|*liassf tanti».
94 . E quelV amor che primo h
diseete, ee.: cioè, l'angelo Gobhdoy
clic annoDiiò a Maria il gran mistero.
99. ogni vista: ogni prospetto,
o(;oi vedoto di esso paradiso, l'utreb-
bc però prcodersi U parola vista
'm sen«o àtMiprtlo o i>ofto d'ogni Wtto.
400. eomporte^ comparti, ooatiosi.
405. Con tanto giuoco. Con mm-
bionte di tanto godimeoto.
406. fieorti ancora alla doUri'
na «e.: rìcorà uovamooto airittnini^
so oc.
407-108. eh'abheUita di MaHa,
cioè, che diveniva pio bello por la rìflol-
M^^bellezza di Maria, che rsli «fluivo,
-mtétém raggi del sole si abbelliteo fo-
Imu Io sU'tIo del mattioo.
409. Baldexxa, nemrik d'asiao
Oliata eoo lei ma , che , come dico il Gt>
oorì . ai m«Nitro ocgli occhi.
4 1 1 . ti volem che sui, perla coaiiB-
te ouifurmità dei nostro volerò a qoalW
di Dio.
734
DEL PABAEMiO
Ma vieni omti con gli orchi, si rom* io
Andrò parlando, e nota ì gran patrici
Di questo imperio giustis^simo e pio.
Quei duo cbe seggon lassù più felici.
Per esser propinqnissimi ad Augusta,
Son d'està rofta quasi due radici.
Colui ohe dt sinistra le s'aggiusta,
È il Padroi per lo coi ardito •lusfo
L* umana specie tanto amaro gnsta.
Dal de>tro vedi quel Padre vetusto
Di Santa Chiesa, a cui Cristo le cl]ia^ i
Raccomandò di questo fior venusto.
E qui'i cbe vide lati* i tempi pravi.
Pria che morisse, della bella sposa
Che s*^ acquistò con la lancia e co* davi,
Siede lungh^esso; e lungo 1* altro ()osa
Quel duca, sotto cui visse di manna
La gente ingrata, mobile e ritro:«a.
Di contro a Pietro vedi r^leru Anna,
Tanto contenta di mirar sua figlia.
Che non muove occhio per ciiniiire O-^anna.
E conlro al maggior Padre di fdmi«;!ìa
Siede Lucia, che mosse la tua lìonna,
il 5- Il 6. il eom' io Andrò par-
Imndor cioè, iiiprrssu il mio parlare,
secondo quello rlji- ili (|ue«li priniHrjipi-
riti ti vprrò ilichiiiranilo « mano a mano.
— patrici t patnzj , tciiatorì , o prima-
rj dell' impero.
tl8. (Juei duo ec. Intendi Adamo
e S. Pietro ; l' um» mpn del Vfcrfaio Te-
tUim'nlo,r altro dai Nuovo, coma qui
appresao •) dirà.
HO. AuguMtm . la rr];ina del cielo.
121. (e t'aggiutlm, le ala presto.
E un ^erbn foiiiiattt dalle due pai ticelle
lai. ù'i e jìixta.
122. •/ Padrt, per lo nti ardilo
f7«ul(i #c. Adamo, cbe mangiè del vie-
tato p«imn.
124-123. quei padre tHumIo Di
Santa < hiega, S. l'irim.
126. di q^etio fior 9enm$to, di
Z arala bella rota* cioè, del Prfradiwk in
■rma di rota liipirato. TiM étko da-
t€$ raf ni fmUtrmm.
1 27- 1 2B. S quei ek$ vido re. Arren-
na S. Gìo. Ev«n^cii»ta, cbe % -Je i iewpi
gravi ..detta brlla tpoga Ch» i
ttà ec.: cioè, le ciil<iiuiU fatar
S. (Jiiesa che ila Ge^ù CriMii fi
hlalii collii »aa l*4aai>.ii«; r tmrm
vrdiile Mflla tua e«taai m damil
PApoca'ix»**. — elaxi (Jal lai. e
chi"di: riKi I'AiiImU. e allrì I
ci»m. chiavi. Hai a nf ehit
osalo Mniir;iiiirnli> ri>nie di
«30-132 /«MffàVjM». «icii
S. l'i tnt.— e iumjo 1' altro pm
e \icino <id AiiaiuM su'ilr !Mtiaè,J
po|iolo « li.-io.
iTib. Che non iiiiif»er «ccM
qiiaiituii(|u<' canti i«»anna a Dia
S4-ni|>ri> i;li i>rrlii acreù J'anMra
pia la SILI rt<;lia Mniia.
436 E roHlro al maggior i
E diiiiii|ii(iii ad Aliamo, Belli
oppi«iN liflla rota
137-438 #.«irf a S Larìavc
martire, die nrll'lif/emo. Cai
T. 97, feciKido il tfnao tnaaii
Gjpira ili'lla ilivina ijraa'a illaa
— che motte la tua Oannc da
CAi>TO TRENTESIMOiECO?(DO. 735
Quando chinavi a nrinar le ciglia.
Ala perchè il tempo fogge che V a^^sonna,
Qui fa rem punto, come buon martore I40
Che, com*e«;li ha del panno, fa la gonna;
E drizzeremo gli occhi al primo Amore,
Si che, guardando verso lui penetri,
Quant* è («ssrbìl, per Io suo fulgore.
Veramente, ne forse lu V arretri, i4S
Movendo Tale tue, credendo oUrarti,
Orando grafia com'ìen che s* impetri ;
Grazia da quella che puote aiutarti :
E tu mi semini con Tafiézìone,
Si che dal dicer mìo Io cuor non parti. 150
E cominciò questa santa orazione.
nmsftti Beatrice in tuo sorcoiio. quando potii dc'salmi, Sai. lt»9: • Ta Iddio
conti "(^li> haw pf r ifroartimnilo d-V ano mi ■IbNiidiiiiare, «0 fort9 siifOo
Dim<> t'arfrcttsvi ■ riliToar Orila ««Iva. «Mltalii miri nem tri re.» Enalla Collai.
1 39 Ma perchè il tempo fugge m. dt'SS. Padri, Cud . Rie. C(»ll . I , C. XX :
Ma perchè fotice il tempo dì <|aeata tot t Dio ha comandalo agli Angeli che ti
Tisiooe, la quale è qwati ■« Minao ■ p|«»rdiao... «e per aTveulara (m oca
le per divina graiia cniicrdotn. ncappi alla pietra ce. t
Ut. Che, com'egli ha del panma^ 446-4 i7. JHoreiub l'ale tue. pro-
re: che fa la vette più o meno ampia cedendo u«l la fiducia delk* tue fono. Gli
tcc<>n<lo la qoantili del panno che ha. insinua l'omilU. — Orando, coli' ora-
445. ne forter è il mudo laliao m
forte, affii che non per aTvenlare. B 449. E Im mi eegui. Coti molli
rosi difalti spiega IÌ«nveiioto: e JVe eccellenti Cod. e stampe: la Cum. iP 1»
forte Im retrocedat et elongerit a fine mi eeguirai.
intento. • Veramente è nel «ensu del 450. (a cuor non-parti, in m»
Idi rerum, e vale ma. I>el ne asolo i* disfienga il tao cuore.
italiano nella str&sa sigiiificaiione del 451. guata tonto oraaiona, lo
ne Ialino, affin hi «oii.sihaonoallrì santa oraxMMie rulla quale eoomcia il
cseropj negli antichi. Riuaidcachi, Ea- aegueute ultimo Caulu.
CJkXTO TKBHrEMMOTRRSO
ìm BtmmnI» wrrgm m» mfftthtmtf tea» la ermm r»fitUm Btrtlte mimn lìmmt» m 9téam Dkn r
périki fot eh étm gnttm ttt trmr pi^mm ééUo tmi^t mm wtémt». A #• rai. «f Fm«»
mttt» «wM . im »pt^§* mtUm etgrmm lm*r , 0 m mm tnthn c#rr*i« «rwryff emitmt» mtltmké»
riM/«à t^9é* il tnàmmtmmtl» ptium étWummmm «'/f«r / mu/« «/i m«« */«ai«/«na éi wTfnff «1
mté» étltummmt dM» éimmm «otarM mlT mmumm. Òm m«>'«v*cm «^lM</«rr gU mcenst* Im fenm
9Uwm, tdtm im »m*g9t mm fM lo fmmtmmm §n mmmtm, « Im «uhmm Umìsm.
Vergine madre, fi^^ia del tuo Figlio,
Umile ed alta più che creatura»
4. gglU dei tuo Figlia. Meri» A alla VerRÌno: Cfnui H gui la Mi
figlia di Cesa Crìsbi io qnenio egK 2. Tin'I^ ed a/la : vm^/e per la dt-
è Dio: Cristu è Bglio di Ilaria u sposso»* drl «no animo jo^fo per l*ec-
qosnto è uomo. Cosi 'a Chiesa etnia cclsa dignitk di co; fu ii^estl«k.
CANTO TaEIfTESIMOTERZO.
•737
Più alto verso F ultima salate.
Ed io, che mai per mìo veder non arsi
Più eh* io fo per lo suo, tutti i miei prieghi
Ti porgo, e prego che non sieno scarsi, 30
Perché tu ogni nube gli disleghi
Di sua mortalità co* prieghi tuoi.
Si che il sommo piacer gli si dispieghi.
Ancor ti prego, Regina, che puoi
Ciò che tu vuoi, che tu conservi sani, 35
Dopo tanto veder, gli affetti suoi.
Vinca tua guardia i movimenti umani:
Vedi Beatrice con quanti beati
Per li miei prieghi ti chiudon le mani.
Gli occhi da Dio diletti e venerati, 40
Fissi neir orator, ne dimostrerò
Quanto i devoti prieghi le son grati.
Indi air eterno lume si drizzare,
Nel quel non si de* creder che s' invii
Per creatura V occhio tanto chiaro. 45
Ed io eh' al fine di tutti i disii
M' appropinquava, si com* io doveva,
L* anior del desidérip in me finii.
Bernardo m* accennava, e sorrìdeva,
Perch* io guardassi in suso ; ma io era 50
50. Per U miei prieghi, ■ liTor
dei mìa pregbi, o «cdoechè t« en«4i-
i onci »riegliì. — Ci ekimdom li
lùiMMio 1# mani weno à\ le,
o le p«laM, ebe è etto di chi
prtfa MpplidìeYole.
40. Gli oedkt te. loleodi |K eeeU
di Maria Vergine.
44 . Fini neU'araior, d»* is San
Benardo, ehe era l'oratere • l'iattr-
cewnra a aeine di tutti.
45-45. Indi alt etemo Immeee.:
iadi gli oodii di Maria li Tobero a Die ,
■al male son ti poè credere dw altro
eechio di creatura miri een altreltaBta
À9. ài Urne di tulli i ditH: a Die.
47-4S. /hid, ac<{«etai, o,ebbeflMÌii
me , eom'io doieom, com'era natarale.
49-54 . Bernmrdù m' oeeemuitM, e
eofridefoa «0. S. Bernardo, aorrideodo
per la graiia che io etera rìcervla di
giapoere a tanta altcna,mi faceva cenno
acctoccbè alsaan gli occhi a Dio \ ma io
\1
27. vario l'ulUma eelnU, ▼creo
Dio. che è il termine nltimo della hea-
titnaine.
28-50. Ed io, éhé mei non daalde-
rai di rodere per me piò di qnaUo che
desidero che regga egli, ti porgo ae.—
che non eieno teani , cm non man-
chino di eCTetto.
51-52. ogni nube gli dieUgki Di
iua wtortalità: cioè, gli ditleghiy db-
sipi da lui ogni nd>bia provanieola dalla
taa mortale oonditione.
od. «7 fommo pioeer, Vioy gH ei
ditpieghi, n Caeda a Ini apertamente
vedere. Un modo aimile n vide naato
nel Canto XXV del Pwg.^ v. 51 : Sa
la veduta etema gli dispiego.
56. Dopo tanto veder, dopo ai
maraviarMiea viaione del Fandiao a di
Dio. Alooni eatendono qncaCo «ttfirv
anche aU' Inferno e al Purgatorio. Man
k neceasarìo, ma potrebbe stara.
57. Finca ec. La tua cnstodia vinca
i moti dell'umane paiaioni.
Già (UT ine slesso ul qn&l eì to!»**.
Che ta mia vista, veDeodo sùiaira,
E più e piti entrava per lo riggto
Dell'alta luce, che da sé è rera.
Da qaioci innanzi il mio veder fa maggio
Che il parlar nostro, eh' a tal vista redc,
E cede la memoria a tanto oltraggio.
Qnal ò colui che sonniaodo vede,
E dopo il sogno la pascione impressa
Rimane, e l' allro alla mente noD rìede ;
Colai soD io, rbo qaasi tolta cessa
Itria visione, ed ancor mi distilla
Nei caor lo dolce che nacque da essa.
Cosi la neve al Sol si disigilla.
Cosi al vento nelle foglie lievi
Si perdea la eenleniia di Sibilla.
0 somma luco, che tanto ti lievi
. Da' concetti mortali, alla mìa mente
Hipresla un poco di quel che parovl ;
E fa la lingua mia tanto possente,
Ch'una favilla eoi della toa gloria
PoKsa lasciare alla fiilura gente ;
;iA alvali, iiccoine egli vol«irB- l' ingfl^na Ai Ddnt# , a dir
a
J
M. la paititmt {mpntm, M,
Itsiidi. £ral lux mi
taf nc.t to nàtggiQeB i*
Hit, Il qailfl è ÌiK»fl
<,u<l cb'ìo tidi.
•0. ladro, il iDfMcWfcM*
Kloglian.Ui , il tìjilb. U «bmW.
aS-M. CaHtlT.
i
ST. Sa
Kwmoiit Hd< a Mulo otlragfia, ■
•lillignDjHiiaJill'iItcBaddkcaH
cb* in liti, ai pnt «d «m aidir Ì\e-
Ira. — Mrogtia miei da olir*, ni in
> Mnao ooa ai aaa prà.
1. MMuaailo t4-it, •aila alninn
. . . B aoipa. Si nuli in qiola Inltn
fvU BHariiliaa dal l'otta, ■ la Te-
e, NartBVi,«lw,
wa (etimi ÌMii oncùll tmÙmiì^*,
•ITP, ma il T»la rt«M« cb*H fava
11' aprir dalla (relU, mi Maia ÌbAot-
^^. UUni. fila, Db'ot-
illi, «1 ilixipra da' ••Dcaii!,
6i.HiprMa, i"
CANTO TEENTESIMOTERZO.
739
Che) per tornare alquanto a mìa memoria ,
E per sonare un poco in questi versi,
Più si conceperà di tua vittoria.
Io e redo ) per T acume eh* io soffersi
Del vivo raggio, eh* io sarei smarrito,
Se gli occhi miei da lui fossero aversi.
E mi ricorda eh* io fui più ardito
Per questo a sostener, tanto eh* io giunsi
L' aspetto mio col Valor inGnito.
0 abondante grazia, ond*io presunsi
Ficcar Io viso per la luce etema,
Tanto che la veduta vi consunsi i
Nel suo profondo vidi che 8* interna,
Legato con amore in un volume,
Ciò che per l' universo si squaderna ;
Sustanzia ed accidente, e lor costume,
Tutu conflati insieme per tal modo,
Che ciò eh* io dico è un semplice lume.
La forma universai di questo nodo
76
so
85
90
75-74. Che, per tornare ee,: ehè
toroaDclo alla mia memoria qnctta taa
gloria da me vedota. — E per iimare,
e risnnaDdo.
75. Piià ti conceperà (da eonce-
pere, lo stesso che concepire) ee,: si
acquisterà dalla gente una madore
idea di quella toa magniCcensa , ài
quello splendore , onde saperi • vinci
igni intelletto.
7G-78. Jo eredo per Vaemme ee*
Costr. e iut.: io credo che te per Paca-
mo eh' io tiìtteni del vìto raggio divino,
che soverchiava la vista , i miei occhi
fonerò averti {àa\ lat. averterà, ?ol-
tferc indietro^, si fossero rivolti da kd,
da eno raggio, in altra parte , mi lani
smarrito, né l'avrei più potuto fiaaaro.
Ud simil concetto si trova espresso od
Purg., Canto IX, v. 452 : ma faccioni
accorti Che di fuor toma ehi indio^
tro ti guata.
70-81. E mi ricorda ee. E mi
ricordo che per questo motivo io foi più
ardito , mi feci più forte, a soilenort
l'acume del detto raggio, tantoché io
giunti, congiunsi, L'atpelto mio, il
mio sguardo, col Vahr in/iniio, con
l^io; vidi nella sua essenza.
K2. ond'io presunti^ per la quale
io fui ardito; onde mi venne l'ardire.
S4.TatUo,ehelavedutavieontvm'
fi. Tanto che vi distesi, vi spiegai tatto
quanta la fona della mia vista. Dico
eontunti, perchè la sna vista era limi-
tatalo la loco per cui spadara era iafini-
ta, onde la sua veduta vi ti eontsmava.
85«87. Nel tuo profondo ee. Nel
profondo della divina casenxa lAdi dko
e'itUema, vidi racchiudersi, eontenor-
ii, legato insieme in on volamo eoo
dolco vincolo d'amore (Spiritme Do-
mini continH omnia^ tutto quanto pw
la ereaxione n manifesta oiffaio, ti
tquadema per ^umiverto. Aceemra i
tipi d' ogni cosa croata che io Dìo aoao
daU'etomith.
88. Suttanxia, tatto ciò che oer aè
iOisisto.— >ccei(iciftlc, tatto dò eoo op-
poggia la sua anasistenta in altra cosa,
0 che può esservi o mancarvi sema cbo
ceni d' esistere la cosa a cui i'ippo^
già. — e lor cottutnej e loro proprietà
o modi di operare.
89. Tulli conflati, tutti contorti ,
collegati 'j per tal modo, in modo eosi
maraviglioso ed ineffabile. — Quati
conflati leggono varj testi, ed è buona
ItifiMie.
Ul. La forma unkertal ec. L%
CANTO TEENTBSIMOTBBXO.
744
Ma , per la vista che s' avvalorava
In me, guardando, una sola parvenza,
Mutandom* io, a me si travagliava:
Nella profonda e chiara sassistenza iis
Deir alto lume parvemi tre giri
Di tre colori e d* una contenenza ;
E r un dair altro, come Iri da Iri,
Parca reflesso, e il terzo parca fuoco
Che quinci e quindi egualmente si spiri. 120
0 quanto è corto il dire, e come fioco
Al mio concetto 1 e questo, a quel eh* io vidi,
È tanto, che non basta a dicer poco.
0 luce eterna, che sola in te sidi.
Sola t* intendi, e da te intelletta m
E intendente, te ami ed arridi !
Quella circulazion, che sk concetta
Pareva in te, come lume reflesso.
Dagli occhi miei alquanto circonspetta,
Dentro da sé, del suo colore stesso, i30
Mi parve pinta della nostra effige.
Perchè il mio viso in lei tutto era messo.
^ in loi , %ma tota parvenza, éoh la •«•
^ faccia una e medesima, t« travagtùmaj
cioè, si cangiava riguardo a me , M tra-
■* smutava in meglio al mntartì , alFar-
f valorarsi, della mia virtà Yiaiva: in
Jf somma non si cambiava Dio , ma où
■^ cambiava io nella fona del Tedara. — >
^ ii travagliava t secondo il Lani, Tal
ik quanto iramtaUava , andava altra il
i^ vallo, àoè, passava ad altro modo a
ìà forma.
là 4 15-447. JVeUa... ftMfifleiiMifi-
^ l'alto lums. Nella divina lomiiMaa ai-
■f senxa. — parvtmi, sottint. vadara: ot-
É vero il verbo sing. è unito al noma plv.,
come spesso usavano gli antichi, • il pò*
polo usa comunemente. Mi si fecero To-
d ere d'una confenefua , cioè di ana
stessa misura , tre giri. Questo è figu-
ra della Trinità divina.
449. Parea refletio , pareva pro-
veniente. — e il terzo ee. : lo Spirito
Santo. Dice che parea fuoco ^ per esprì-
mere un attributo del divino aoMra.
420. Che quinci e quindi ee. Cba
«piranse dall'uno e dall'altro dei due
(Tiri, rioè, cbe procedesse dalla prima a
dalla seconda pertona.
J
90
»
. I
> ■
V
I
424. O quanto è earto. Coma ap-
panto avea annunfiato sopra al ?. 406
«••Sff-
422. a quel che io vidi : in paro-
gooe di quel cbe vidi.
423. JS Ionio , ciba ee. : è sk scarao,
dia la parola poco non basta ad capri-
maro pieoamante questa scarseaa.
424. iidi (dal ìat. fùio , il) , abiti ,
alai. DriM lum ett;... ei ipeo ofl <ii
liiea. S. Giov., Epist. I.
4 2a-4 2G. Sola l' intendi ee. E q«i
espressa teologicamente la Trinità: la
loco inielligenU h il Padre; l'fofeUfl-
to a intendente è il Figlio ; o V amoro
0 la compiaoenza del Padre a del Fi-
glio , è il Santo Spirito.— le arridi: ti
compiaci in te stessa.
427-132. Quella cireulazion, ee.
Quello dei tuoi giri che pareva procode-
re da te, come il ragffio riflesso procedo
dal raggio diretto, alquanto dagli occhi
miei eireonspetta , guardata intorno ,
parevami in se stessa dipinta dell'uma-
na effigie, ma col colore stesso della
divinità; laonde {perehi) la mia vista
tutta era intesa alla detta drculazione.
Dice del IMO colore, per dimostrare eh*
DEL pAnADiim — cKirro TBEjrrestMaTEBio.
Qual 6 il gootnòlra cbe tutto s' aBige
Per misurar lo cerchio, e non ritrora.
Pensando, quel principio ood' egli todÌB
Tale era io a quella vìsia onova :
Veder volea, come sì convenne
L' imago al cercbio, e come vi s' tndtn
;iò le proprie penne;
Se non che la mia menlo fu percossa
Da un folgore, iu die sua \
All' alla fantasia qni mancò possa:
Ma già volgeva il mio dìsiro e il vrik,
0 ruota cbe ignalmenle é mossa, '
L' Amor che muove il Sole e 1' oUtb siello.
il icrbo di Din, ficendoii uomo « ilsrì: ftnht Vnm,
jHod »ral permaiuil, ' ' '- -
E Pe,L PAD AD ISO.
743
JknìwUÈim et^onresIÓBi.
Pag. 31. Alla Snt dclh ooU 69 d «ggiugat • Il conctUo • tolto òtSU ptrob
del Vugelo di Sa» OiofiUMi > Lmm m tmebHt imeH, •
» 38. Verso il fiat della noia al vano S9, dop« la parola »«■ f l« Jlgiim hm
spotm, si agginiifa t • M «valsi oaiatlcfa, eiò cha far potrdba
qaaleha cosa a favori daOa etaanoa lai. smcetétil^ trovarsi ^idla
frate di Dante perlàttfaata coalbraia all'csprtssioiia di Paolo Oro-
sio ìk dova comioaia • partara di SamiraMida» aasaado oaoko làdla
che DaaU abbia latto ia ^aaito astore qiaaato qni acctona di lai.
JVteo^ dlea èslit sm€€9sHt Sèmirmmlt surorj eba corrispoada a
naeemlttie m ifteo o^li smm jpoM. k
» 901. lo fina della boU ISft dal caato XXIX dan*/i|/enM , si ^n^ t
«Uo pregevole codiet aaialantaadlalib. Coaaaaala di Sicoa, iavaco di
trmM lo Sirieem ha iw—am Sirieemj a il sig. Gattaao MilaMesiaha
■i avvertiva di qnaata var.« ai Acara pw aapara» cba StHcem bob
h on eognooM ab «a ac^pnanona, ma un varo Doaaa, a atri ma ri
coDviene l' articolo. Slrteem b accorciaBMBto & BMmHHùtms od
era uno dei Mareacotti di Sitaa. L' Abbmgbf^t di cui ai pala
pia sotto» sta beat roU'artkolOt percbb k va sopraaaoaM di oa
Ul Meo di Raaiert dd* Polcaethiari saaaso.»
• S86. In fine deHa noU i3b si aggia^i m S^bbmrcmrst vale propriaMiala
tirarsi sa la vtsia finaaidola aHa datara» per diaporsi a far ^aal-
cbe eosai altrimaati, aatlagaraL »
• 410. Aggiungi ia fiaa alla aoca lOi • B Ibrso ara regola d' arte A maaia-
nere l' oseoro toao pvoftlico la bocca al parlante fratello. •
» 480. Si aggionga qnasU aola al Ytna 167 1 m P^l» M «oifelleplMo «r. Il
sospetto al re di Fraaaia vMna più spaeialawnta daraata il poaiiÌ«
ceto di Bcocdctto XI, cbo ai aaiatrò alcaaa volta aioko iapialMita
degli oppressi gUbalUai i par cha aiaffto ^aal papa, Filippo si ado-
prò per farne eleggtrt aa alm a sao BMdo, cba poi iodasaa^ par
esscrae nMglio sicaro, • trasportwa la teda ia Fraacia. •
RIMARIO DELLA DIVINA COMMEDIA.
abbia
Inr. Là tua paura, che, podar di' cfU abbia, S
7* Poi li iìtoIm a qnaU' «nfiaU labbia.
Consuma dentro U con la toa rabbia.
U" Nallo martirìo, fuor ebe la toa rabbia, 65
Poi ai rÌTorM a m* eoo ntif lior laUtia,
Cài' auiaer Teb* ; ed ebbe, e par eh' egli abbia
25" Ed io TJdi on OnUoro pien di rabbia <7
Maremma non crrd' m die tante n' abbia,
Infin dove comincia nostra labbia.
29" Dell' unghie Mvra «e per la gran rabbia 80
E ti trae^an giù 1' angine la ecabbia,
0 d' altro pesce die più larghe l' abbia.
PcB. Mia cunofccnza alla cambiata labbia, 4T
23* Deh non contendere air asciutta aeabbia.
Né a diretto di carne eh' io abbia ;
abbo
IRP. Più pienamente; ma perdi* io non V abbe, S
3.*** CItè non e impre«a da pigliare a gaUko,
Né da lingua che diiami "f—a e babbo.
abl
Pab Negletto fa nomato, e Deci, e Pabi
6" Esso atterrò l' orgoglio degli Arabi,
L' alpeatre rocce, Po, di che tu labi.
abile
Pak. Innaaai che all' erra inconsumabila
26* CItè nullo eltetto mai razionabile,
Seguendo il cielo, aenipre fu durabile.
47
125
Par. Che, tempre che la vottra chieea vaca,
ìiT V oltracutata tchiatta, che •' indraea
Ovver la borta, com' agnel ti placa,
27* il luogo mio, il luogo mio, che reca.
Fatto lia del dmiterio mio cloaca
ette cadde di quaaȏ. Uggia ai placa.
ns
23
l>p. CaggioQo avvolte, poiché l*alber Iacea; 44
7* Coti teendemmo nella quarta lacca,
Clte '1 mal dell' nnirerto tutto intacca.
12* E in tu la punta della rotta lacca II
Clie fu concetta nella Calta tacca:
Si conif quei, cui l' ira dentro fiacca.
Pi b. Cile ne condoue in fianco della Iacea, 74
7* Oro ed argento fino e cocco e biacca,
Fretco tmeraldo in l' ora ebe ai fiacca,
aeee
ìnr. Ma vergogna mi fer le aae MinBean, M
17* I' m' attettai in tu quelle tpallaoca:
ijow? io credetti : Pa che tu m' abbraeoa.
aed
PcB. GikMMaragoa, trittaia tagli flrMCl 44
ti* O Aobeam, gik aas par «ba ■inacd
Nel porta «n earr» pri— ah' altri U cMSl.
tur.
42*
45*
45*
48*
22*
as*
24*
23*
3t*
M*
54*
Pvm.
3*
8f
43*
2*°
aeda
Come onella die totlo il piano abbraeda, 53
E tra'l pii della ripa ed otta, ia traeeia
Come toleaa nd mondo andare a caoda.
Di qad che credi die a me todditfaccia ; 83
Però ricominciò : Se l' nom ti facda
Spirito incarcerato, ancor ti piacda
E chinando la mia alla tua facda, 29
E quegli : 0 flgliuol mio, non ti dispiaoda,
Etti^raa indietro, e latda andar la tracda.
A 'quali ancor non vederli la facda, 77
Dal vecchio ponte gnardavam la Iraoeia,
B che la feria timilmrnte tcacda.
Ma Barbarioda il chiute con le braoda, SO
Ed al Maeetro mio volse la facda :
Saper da lui, prima di' altri -1 Jitfacda.
Con tiuiil atto e con tiiuile facda, 20
9 egli è che ti la dettra costa giaccia,
Moi fuggirem l' imaginata cacda.
Come '1 tapin che non ta che d facda ; 41
Veggendo '1 mondo aver cangiata faceia
E fuor le pecorelle a pascer caeda:
Di quel aoverehto fa nato alla faaeia, 4::8
Quel che giaceva, il muso innanai cacda,
Cono face la coma la lumaccia :
Gli orribili giganti, coi minaccia 41
F^ b scorgeva già d' alcun la facda,
E per le coste giù ambo le braccia.
Eran 1' ombre dolenti nella gliiaeda, 3'>
Ognuna io giù tcnea volta la faccia:
Tra lor testiinoniansa ti procaccia.
Da meuo'l petto ancia fuor della giiiacda; 20
CI» i giganti non fan con le tue braccia:
Ch' a ooei fatta parte si confacela.
Ma la bonb infinita ha ti grao bracda, 421
Se 1 pattor di Cotenia, di' alla cacda
A vette in Dio ben letta questa faccia.
Volgendo a lom e qua e la la facda, 44
Qnvi ara l' ArcUn, che dalle braccia
E r altro die annegò correndo in cacda.
Trafogd Id dormendo in le eoe braccia, 18
Che mi acoat* io, n come dalla facda
fa l' nom che tpaventato agghiacda
Per Id, tanto eh' a Dio ti toddisfacda, 71
Atedtando, chinai In gin la facda ;
Si torno sotto H peto die lo impaccu :
Paad di fuga, e, veggendo la caccia, 4 Itf
Tinto di' io levai in tu V ardita facda,
Cooae fa il merlo per poca b nacda.
Buonagionta da Lucca ; e quella facda 'il
Ebbe la Santa Chiesa in le tue braccia:
L' angdlle di Bolscaa e la vemacda.
accio
IRV. Pereb* io pregai lo spirito più avacdoii 4 16
40^ Diaaeni : Qui con più di mille giaccio:
E '1 Cardinale, e degli altii mi tacdo.
acco
Inr. D>iinUUd^«te^\x%>MtwkVL«MM^ v^
RIMARIO DELLA DIVINA COMMEDIA.
Ptm. Gli f pigoli di qndla regge tiacra,
9^ Non raggio A^ oè si mostrò ti aera
Metello, per che poi rimase macra.
acri
4V* B della mente paggio, e cbe mal nacque, 12S
lo non so ae piò dìsM, o •' ei si Ueqoc,
Ma <iiiesto intest, e ritener mi piae(|oe.
Air. Freno a suo prode,quciriii>m die non nacque, 2ft
7** Onde l' umana spezie inrerroa giacque
Fin eli' al Verbo di Dio di scender piacque,
44* Onesto cb' io dico, *\ come si tacque S
Per la similitudine die nacque
A coi sì cominciar dopo lui piacque.
39^ Foor d'ogni dltru cpinprend«:r,e*ane i pUeque, 17
Né prima quasi turpente »i giacque;
Lo discorrer di Dio sovra quett' acque.
acqui
PiE. Tre tolte dnse me, si eom' io tacqui, <S2
34* Io area detto; si nel dir gli piacqui.
434
Inr. E ueeaano era «tato a vincer Acri, M
27* Né sommo uBdo, ni ordini sacri
Cbe solca far li suol cinti più macri.
acro
rea. 0 tu, che se* di là dal lume eaero I
31° Che por per taglio m' era parai* aero),
PAa. S« mai eontinca cbe il poema sacre, I
25* Sk cbe m' ba Catto per più anni nacro,
ada
lar. In vera perfeiion giammai non vada, HO
0^ Noi aggirammo a tondo quella strada,
Venimmo al ponto dove si digrada:
8^ E diss«r : Vicn tu solo, e qoei fon vada, IO
Sol si ritorni per la folle «trado :
Che «ci>rto 1' hai per t\ boia contrada.
t J* Li passi miei per si selvaggia strada, 03
Che ne dimostri la ove si guada,
Che non k spirto che per 1' a«r vada.
f'V* E poi ngiugoerò la mia masnada, 41
lo non osava scender della strado
Tenea, eom' nom che riverente vado.
IO** Tutto elio nodo e dipelato vado, li
Nepoto To dello buona Gualdrada:
Fece col senno assai e con la spada.
88* a erudcloiente, al taglio Oiila apodo M
Quando avem volta la dolente strado ;
Primo eh' altri dinami li rivada.
Ot* Sotto il chinato, quando un navoi vado iti
Tal parve Anteo a ma dio alovo o kodo
Cb' i' avrei voluto ir per altro strodo.
Prt. Com' non che tono olio smorrito strada, HO
4* Quando noi fummo dove la rofiodo
Ove adorena, poco ai dirada ;
4* E diversi emlsperi; onde lo rtrada, 71
Ve<lrai enm' a costui oonvien che vado
Se r intelletto tuo ben chiaro bado.
IT Grida i signori, e grida lo controdo, ISTI
Ed in vi giuro, «* lo di sopra vada,
Dfl pregio della borsa e della spada.
iy Vedeva io te segnata in so la strado li
0 Saul, come in sa la propria rpodo
Che poi non acuti pioggio né ragiadaf
<<r Duo Soli aver, die 1' ona e V altra strada lOT
L' un 1' altnt lia spento; ed è gionta la spada
Per viva forta mal convico che vado;
Itf E brìgavam di eovorchior lo strado 123
Qoand* lo senti*, eome eo«a dio coda.
Qual prrnder suol colui di* a morte vada.
23? Un alber che trovammo in mena strada, 431
E come abete in alto si digrailo
Cred' io perdio persona su non vada.
Str Valse alle guanco nette di ragiada, 53
Dante, perchè Virgilio so ne voda.
Che pianger li convien per altra spada.
P4ii. Come tenne Lorenzo in su la grada, 8.1
•i* Cori I' avria ripinte per la strada
Uà cod salda voglia è troppo rada.
S* Tal che fu nato a cingersi la spada, 440
Onde la traoda vostra è fuor di «trada.
39" Gli occhi oramai verso la dritta strada, 428
Questa natura d oltre tf ingrada
Né oonoetto Bsortal, che tanto vado.
ade
Inr. L* altro piangeva st, die di pleiade 440
5* E caddi, come corpo morto cade.
4 1* Biscauo e fonde lo sua facnltade, 44
Paossi far fona nella Deitade,
E spregiando natura a sua boutade :
13? Che spesso volto I' anima d cado 423
B porcile tu più veleni ier mi rado
Sappi ebo toato ohe l' anima trado,
Fom. Per lo scoloo cbe si fero ad etade 401
12? Co*\ tf allenta la ripa che cade
Me quind e quindi 1' alta pietra rada.
Il* Facea lo stelle a noi parer più rado, 77
E correa centra '1 del, per quelle strado
Tra' Sardi e' Corsi il vede quando cado ;
31* Non rogiodo, non brina più su cade, 47
Nuvolo spetM non paion, né rada,
Glie di la cangia sovente contrade.
3S* Memoria, intcUigenda, e voiontado, t3
Senta rcvUni, per so sleoea cado
Quivi eonosoo prima lo sue strado.
13? Qual Temi e Sflnge, men ti penuodo, 47
Mo tosto Ileo li falli le Naiade,
Sema danno di pecore e di biado.
Pai. Priodpio fa del mal della cittado, CU
40? E deco toro piti avscdo cade
Più e Meglio una cìm le einqae spadou
ndl
Poi. Le immogittl di tanto umilitodL, M
40? Ereo di qoo, a» fanno i passi radi.
Questi ne invieranno agli alti gradi.
42? Disse: Venite; qui son preMo i gradi, Vj
A questo invito vengon molto rodi:
Peràhi 0 poco vento cod codi?
Pai. Nel some eoo, do qnosto dignitodi, feO
7* N4 rieovrar poteod, so tu bodi
Senio pasaar per un di mesti nodi :
SI* Menava io gli n<xlii per li gradi, 47
Vedevo vL<i a carìtb suadi.
Ed otti ornoli di tutU oneatodl.
ado
Iinp. DlMcnde mal alcun del primo grado, |f
8? Questa qoci>tii>n feo' lo. E qod : Di ródo
Facda il cammino alcun per quale b vodo
Fom. Cbe seilea li, gridando ; So, Corrado, a\
S* Poi volto a aie : Per quel «ingulor grado,
Lo suo prime perchè, che non gli è guo4a,
Pae. Come tu vedi ornai, di grado in grado, ì'ZJ
3? Riguarda bene a me si eom* io vado
SI riie poi ksppi sol troer lo guado.
43? Mia donna venne a me di vai ili Pedo, 4 J7
Poi «eguitai lo imprrador Corcai^
Tanto for V«o« oifivov \\\ i«ea»\ \« ^^t^A»
RISIARIO DELLA DIVINA COMMEDIA.
4(0
ìnr
8
Pi R. Che U toa tUnu mto pianger dUa^ia,
19" NepoU lio io di U e^ ha Dome Alagia,
NoQ faceia M p«r tsamplo malvagia ;
afflo
r. La via è longa^ e il cammino è malTaglOi CR
i* Non era camminala di palagio
Ch' atea mal laolo, • di lama disagio.
affila
IXT. Dinanzi tf}\ occhi, falto della taglia 63
21* Di fuor doralo MOf ȓ cb' egli abhaglU;
Che Pcderìcu le melica di pai(l>a>
24* Con r animo che Tisee ogni battaglia, SI
Più longa «cala cootìoq che ti Mglia :
Se lo m' intendi, or fa ■! cb« ti vaglia.
Pm. Schermar lo Ti«o tanto che mi vaglia, 36
15* Nub ti maravigliar m ancor t'abbagli*
Messo è, che viene ad invitar eh' som a«glia.
Pak. Che cieco agnello, • molte volte taglU TI
ta* Se tn rìgnardi Lanl ed Urbisagli*
Diratro ad «aaa Chiiui e 8iaigagUa,
affile
iRf . Come coltel di scardova le acaglk, SS
2)1° 0 la die eolie dita U dismaglia,
E che fai d' eaaa talvolU UMgua :
affli
Pra. Che spera in Talamuna, a parderagU 153
43^ Ma piò vi perderanno gli ammiragli.
Pah. M.iiln>c!« detto fa : Perchè V abbagli V22
20' In T«rra è terra il mio corpo, e aarag li
Colf i' eterno proposito a' ag gnagU.
affilo
PAt. Tolta m* avea del sabito abbarbaglloi 30
2b* E disse : Certo a piò anKa»to vagii*
Clii dritto r arco tao a tal bawaglio.
23* Salendo a rigirando la aaonlagna tS
Tanto dica di farmi aaa compagna,
Quivi oonvien cba teuta lai rimagnn.
Pae. Cangem l' acqaa cba Vieeau bagna, 47
flP B dove Sila e Cagnaa a' nccompngnn,
Che già par lai carpir ai fa U ragù.
affne
PUE. Da' tool gentili, e cara lor magagna» 4 IO
6^ Vieni a veder la tna Roma cba piagna,
Cesare mio, perchè non m' accompagna?
42* Sovr* a' srpoUi le tombe terragna 47
Onde li molta volte si n piagna
Ch* solo a' pU da delle calcagna:
4ìr Che sola sovra noi omai si piagna? 50
Bastiti, e batti a terra la calcaign*,
Lo rege eterno con la rote magno.
«f Che m' intenda eoloi cba di U pUgna, 467
Non por por ovra ddle nota magna,
Oacondo ch* 1* stali* aon compagna;
affni
410
l«f
S*
3./*
438
03
affna
E però se Caron di te ai lagna,
Finiti I questo, U baia campagna
La inrntc di ^«dore aaci»r mi bagna.
E veKitio «d ogni man cruide campagna 140
Si cmiv «d Arli, uve 'i &i>d«ao stagna,
CIte Italia clnodit e i «a«H termini bagna,
Appir driralpi', che serra Lamagaa
Pi-r millr funli, credo, e piò, si bagna,
luil aoiaa rlf nrl detto lago stagna.
Si lf\a e goArda, e vede la campagna
Uilorna a casa, e qua e la si lagna,
pili rirde, e la sprran^a ringa^agna.
S«>l c«in un Irgnu a con quella compagna
L' un litu e l' altro tuli inMn la Spagna,
K l'altre che quei mare intomo bagna.
Lo\ati quinci e ni>n mi dar pia lagna;
Allor lo preM per la cuticagna,
O die cap4-l qoi sa non li runagna.
D' ogni c(>- luine, « ptcn d' ogni magagna, 452
CIte col [wnciure sptrlu di Bomagaa
In annuii in Oocito già «i t»agaa,
I>i»(>crgr««e odor per la ranq>agna, 2
lo mi n>tnn9i alla Oda compagna:
Chi m' a^ria trailo sa prr la amatagna?
45* Che volli* dir lo spirto di Romagna, 41
Pereli' egli a me: Di ma maggior auga^aa
Se n<- niircndf, prrche mt-n srn piagna.
Si movca lotta quella torba magna; 06
Maria core* «un fivtta alia aMotagna;
ManUla, • p*l oars* la bf agna.
2V
2
W
xr
PCR.
I»*
fui
85
IHY. Mi tn aeatrali gli apiriU magni,
4* io vidi Elettra con molli compagai.
Cesare armato eoa occhi grifaipÌL
46* Con noi per poco, e va là cui compagni, TI
La gente nnova, e i subiti guadagni,
Fioreaxa, in te, sì die lo già ten piagai.
3S* Ed era quei die sol de' tre cumpagai, 4 49
V altro ara quel die la, Cavili*, piagai.
Poe. Per eh* aon gli ebbe Gedeoa compagni, 425
24 SI, arooslati all' on d*' duo vivafiai.
Seguite già da miseri guadagni.
Pai. C ha disviate le pecora e gli agni, 434
flP Per questo l' Evangelio e i Dottor aaial
Si atodia A, cba para a' lor TivagaL
affuo
Ixr. PaaaoCodto; * qualsia qaaUoaCa^M^ 449
44* Ed io a lai: Se '1 pr«acaU rigaga*
Perchè ci appar par a questo vitagao?
32* Così volse gli artigli al soo eompaga*, 437
Ma r altro fa bene sparvier grilagno
Cadder nel meno del bollente btagno.
23* A volger muta di molin terragno, 47
CooM 'I Maestre mio per qael vivagno,
Coma ano figlio, e non
OffO
so
ilir. Che qni staranno ruom porci in braga^
6* Ed io : Maestro, molto sarei vag*
Prima die noi uvdwioio del lag*.
2Br Clie avere inte«> al tuoio ed ali* aptf* 416
Vedi le triste die lasdaroa V ago,
Frcer malie con erbe e con imago.
Pvn. Che i marinari in metto al mar diaaafa; 30
49* lo volsi Ulii><«e dei «uu cawinin vag*
Rado sen parie, si tattu l' appago.
33^ Tr'ambo le raotp, e vidi uscirne aa^nfo, 461
E, coOM ve»|>a die ritragge l' ago.
Trame del fuodo, e gisaen vago vaf*.
lìffra
tur. Kstoia in pria di Neri si dioiagra,
24* Tregge Marie vapor di vai di Magra,
E con tempesta iupetoosa ad agra
443
Poe. e comindai
35^ Sai
30
Un» et» •! imi*, fnM ibUl T
r»Jit irOn • budàni uà Lii.
r CoaM>fdU,Hi'f ■lealirUI. M
OÌM Miiil, aUtf •« 4lli imi
ftwIi'W ri MMIirM Ultima
r l>iUtelnMB,>aHrtnu4>l 3
B MEI I (n n> galu«> mIiI,
r lll«M,ilnn.irliil,»tU;
I* FnfL « H : «M (■ «■! HmamL
U II ■! 41w : vi^: Ila MT
Mtftì n |HM tt, («in : Ebe Liàt
Citf lUaUcVI^IlBllollllolDtlillli
■, -bH ìlHIHn tmf UMl,
y «Uéi •Md.U ed «m, t pn«<>
BbiiMl ^ Chi •M' !• l' tiH<
RIMARIO DbLLA DIVINA COMMEDIA.
CIte alcoD altro la ijnetta tiirb» %*U.
il* Uè ferma (ed* per «Écmplo di' •!•
Né ptr altro arg'imrnto t\w non pait.
98* Si, di* l'afTett') convirn che «1 paU
E ainiilmentt 1* aoiina priraaia
Qaant'rlla • cuiopiacenni veoia fata.
IST Per Daoiri, «edrai cIm in toc migliaU
La prima luce, cba lotta la raia,
• QiuÌDti Ma f li •plesdori a dia a* appaia.
alo
110
1M
I
( 9* PaHaromo Ira i martiri e gh alti spalili.
Por. Porto t' a%«u <lioanii agli ameraUi, 410
81* Mille disirì pia die «amma caMI
Qm por auTra il grifuiM tUTaa saML
Aldo
hiff. Oa dhced M ctreUe primato
S* E tanto |>ià dolor, die pagne a foalo.
Por. llicuminciA il corteM purtinaio: 03
9* Là ne Teoimiuo; a lo icaglion prìmaie
Cli' io mi •percliia>a ia e**o qaale i' p^io.
Par. R^ftcer al Toole, ed atea Gali saio 101
iff Grande ara già la eeloona dei Vaio,
E Galli, f qMl eh* arroaaaa per lo ttalo.
ala
Poi. Dove r aeqoa di Tevere t'insala, 101
a^ A quella foce lia egli or dritta Pala;
Quii Teno d* Acheronte noa al «ala.
t* La piò rotta mina è naa icala, M
Or chi *a da qnal man la en^ta cala,
Si che p«M.ea aalir ehi «a aeai' ala?
1 1* To.to, n\ che poesiato maoTer l' ala, 18
Mostrate da qaal mano in Ter la aeala
Quel ne ingegnate che nii>n erto cala :
13^ Noi riavam<i al aomm«i dHla ^eala, I
Ln munta die, nalt-ndo, alirai disoMla:
17* Volc^niroo i mMtri patti ad ana acala: 03
Senti mi prf4t«> qua<i un wonver d' ala,
Patijier, e'* «"n M-ni' ira mala.
2? Do» iniian7i alir>, |>rrod**nilii la arala 8
E qualf il ciritgnio clic Irta 1' ala
D* abhandiKiar h* nidi», o ^\ii ia cala;
PiR. Che ti c«>iiiluc^ «o |>fr qndla «cala, 88
\tf Qaal li ntz*y-9 il tin d«-lla «oa fiala j
Se non cimi' ai--iaa rb' al mar non al cala.
taf Con nn a<>l ct-nno uà per qaella «cala, 101
Ne mai qua;;t;iò, do\o «1 monta o cala,
Cti' agguagliar ai potceee alla aaia ala.
alba
Pm. Vrif £Ì<ino in oriente, innand all' alba, 8
llT Mi Tenne in ao^nto ana femmina balba.
Con le man moucbe, o di colore aoalba.
nira
Por. Lnngii di ti di notte fona a ealea, 89
ti{* Talf prr qurl gifon ■un paMo falca.
Cai boMU Tolere a gio<to amor cRTalca.
alchl
Pra. \ja caTall^r di fchiera elio eatalchl, 03
'IV* Tal ai I irli <la nii con maggior TakM;
Ciò far del mondo ai graa maliicalchl.
aida
rvR. Coropreniler dfll' amnr eh' a te mi «calda, IM
31* Trattando) X ombra cnmo eoea aalda.
al de
lar. Pioiran di fa»m dilatate falde, W
14* Vu»h Ali>k«andr» n qurlle parti ralde
l'iamuir cadere inliuu a terra tald* ;
Inr. Cbè ra' avea gtaorato V ua ribaldo
22* i'oi ftai famiglia dd bnoa r« Tebaldo:
Di dio rendo ragiono ia que^o eaUo.
Par. Dd collo eletto dal beato Ubaldo,
44* Oado Poragia aoale fre«ldo e caldo
Per grere giogo Nocrra ohi GaaUa.
23f Domini faro, aeeoal di qael caldo
Qai e Maocarin, qai è Romoaldo,
Pensar li piedi, o Icaaeffo il
aie
IO
44
4T
44
yf. Bi
aldi
•aap(*,f
131
Vn. Cocrattibilo aaeora, ad lamertalo
T Perà, ao V arrotaario d' ogai aaalo
Ch' asdr doToa di lui, o '1 dii, o 'I
IP C'baaao polcnia di faro altrai aaalo:
I' soa falla da Dio, aaa nereii, tala,
(fé fiamma d' etto incendio noa m/
4P Diog«nc«, Anaaaagora a Tala, 487
E Tidi 11 boooo accnglilor M qaala,
Tnllio 0 Uno o 8oB««a morale :
44* Ingiuria è il fino, ed ogni fin eotak 38
Ma perchè frodo è deli' uom proprio aaia,
Gli imdtilenli, o pia dolor gli oMalo.
43^ C ha riceTato già 'I col|io aiortalo, 38
\id' io lo Minolaaru far eoUlo.
Heutre di' 4 ia farìa, è buoa dio ta II cale.
4T* Cia aalla grorpa del fiero animala, 88
Omai *\ acentlo per ai fatto «calo:
A Cile la roda non poe«a far awla.
84P Ed ag;;rappoaai al pd eo«a' ama aba tali, 8D
Attieuti ben, dt4 per ootali aealo,
CoaTionai dipartir da tanto aula.
Por. Qaaato aeoao ad andar, ohe 11 poggia aala 88
4P Ed egli a ma : Qoo«ta montagna è lal^
E quanto aom più Ta ea, e mea fa aula.
IP Po«le in 8Rara del freddo aaimak, 8
R la nntle do' pa«-<t, eoa che aalo,
E il teno già chinava ia gi«M l' alo;
4QP Appiè dell* alta ripa, che par aalo, SI
E quanto 1' ocdiio ado potea trar d' ala
Qae«ta enraioo mi paraa colalo.
4SP Bianco Toatita, o aella faccia qaala 88
Le braoda aperte, od indi anaraa P alo :
Ed agcToleaieato amai d aata.
Hf La te»ta di mio 8glio là, dal qaala 88
Neatro dia la graa doto ProTcìualo
Poco Talea, ma par aoa facea malo.
83" Nd limbo ddr inforno Gia\onalo, 44
Mia benToglienia iuTervo te fu qaalo
A di' or mi parran corta qoe<ite acala.
2Ì9P Un carro, in >n deo rote, trionfalo, 107
Ed 04ao iòndea ta I' aaa e V altr* alo
A eh' a nulla, feadcodo, faeea malo.
81* Per la mia aiorte, qual coaa mortala 88
Boa ti dciTerl, per le primo atrdo
Dintr^ a me die o->o era piò tale.
Par. Per tempo al pan dfgli aoKell, del qaala 14
3P Metter potete ben per l' alto aalo
- Diaanti all' acqaa che rìloraa ogaalo.
41* Pii caramcato; e queato è qaelle ttiala 18
Ta proTerai ti come ta di aalo
Lo acendere e il talir per V allral aedo.
SI* MI eooiadb, ta U laraaU qga^W %
Gkè U bdUuR RÉba^ 4te ^m. Va nitìfi
Cca>bRA «a4«U,^EMriU^^«"^«
RIMARIO DELLA DITINA COMMEDIA.
9
TST UMJÌro ad «fio cb* aoo «tm ftUo, 23
E come in vetro, ia «mbra od io triiUIlo
Air euer tatto non è intcnrallo;
almtt
Far. Cb«ilToctn>aM»dofaeft,prì«eh^alti'ftljBa 110
0^ Ben ù ocATcnno lei lasciar per pala»
Chfl »' «eqnistò con l' ona «l'altra palma;
32? Quanta mmt poote in angelo ed in alna, 1 1O
Perch' egli è qnegli elio portò la palaa
Cercar ai toIm della nottra talma.
alme
Pin. V «dire, ed a mirare ona dell^ alma 8
8" Ella giunse e ktd ambo le palma,
Come diceiee a Dio: D* altro
fnr.
Zi*
PAB.
2k*
Almi
Prroceb' io ne Ted4>a trenta gran palari
Rafèi mai amèch tabi almi.
Cui non al conrenien piò dolci aalmL
risico e metaflsice, ma dalmi
Per Moiftà, per proreli, e per salmi.
Poiché l'ardente Spirto Ti fece almi;
alo
Pati. Non t' era ginnto ancor Sardanapalo
15" Non era Tinto ancora Uontemalo
Nel montar so, cosi sarà nel calo.
alpe
Ptb. nìcorditi, lettor, se mai nell' alpe
17* Non altrimenti cbe per pelle talpa;
alee
I>r. BaMando '1 tIso, ma poco gli valse:
18* S« le faiion che porti non st>n false,
Ma die ti mena a si pan^enti salsa?
Fi r. Iiunisgini di bea segoendo false,
9Bf* Ne r impetrare «piraziun mi Talea,
Lo riTocai; si puco a ini no calaa.
alla
Pah. Tal sicnoreggia e Ta con la testa alta,
V i'i«n;:ira Feltro ancora la diffalta
Si, che per simil nun s' entrò in Malta.
allo
65
134
107
47
131
50
416
l57. In luogo aperte laminoso ed allo,
4" <'<'la diritto, sopra il Terde aasalto,
Clic di vederti in lue stesse m' eaalla.
9^ Baltfsn^i a palme, e gridavan sk alto, SO
Venga Medosa, si il farcm di saMlto:
Mal non Teagiammo in Teseo l'assalto.
Fra. Quando citiamo, per totlo <pieU' aaaalle 110
tr Sf la lacerna die ti mena in alto
Quant' V mestivrv infino al soasae saulto,
FAtt. Italica, citv Mede intra Rialto 20
U* Si leva un colle, e non kurge moiraltO|
Clie fece alla contrada grande assalto.
allro
Pr n. Mentre cbe si per l' orloi, ano innansi altro, 1
'JO" Dic«Ta: Goarda; giovi cb' io ti scaltro.
alYO
Fra. Sovr' eseo Gorion ti guidai salvo. 23
'J7* Credi per csfto che, se dentro all' «Iva
Nea U peirahfco far t n capei calTo.
alci
Far. Dello Spirito Santo, magri o acaU, ICS
21* Or Toglion qnind e <iaindi eld rlncaU
Tanto eon graTi, o ehi dirìetro gli abL
also
Ì^T. Con ({Msto tìto già di babo in balae, tC
29^ Allor si rappe lo cemvn rincollo;
Con altri che V odlroo di rimbalio.
Por. Videmi il Doea mio, s« per lo balzo 68
UT Lettor, ta Tedi ben com' io innalzo
Non U mararigliar a' io U rincalzo.
Inr. B letterati grandi e di gran fama, lOI
15* Priscian sen va eon quella torba grama,
S' avessi sToto di tal tigna brama,
20P Non più Bcnaeo, ma Mincio si diiama 77
Non molto ba corso, che trova nna lama|
E suol di state talora esser grama.
SI* Questi può dar di <|nel che qui si brama : 125
Ancor ti pud nel mondo render fama;
Se innanxi tempo grazia a sé noi chiama.
Saf Fu mia risposta, se domandi fanu, SO
Ed «gli a me : Del contrario bo io brama:
Che mal sai lusingar per questa laoM.
PcR. Vedova, sola, e di' e notte diiama: 11S
0* Vieni a veder la gente quanto B''ama;
A Tergognar ti Tien della tna faoia.
15* Pia T' è da bene amare, e più tì e* ama, 74
E se la mia ragion non ti disfama.
Ti torrà questa e dascun' altra brama.
17* Spera eccellesoa, e sol per questo brama 116
È dii podere, grazia, onore, e fama
Onde s' attrita si, die il contraro anu;
23* Si goTemasM, generando brama, 85
Già era ia ammirar cbe si gli afTaoM,
Di lor maerena e di lor trista squama;
Par. Di quel Maestro, che dentro a lè l' ama 11
10^ Vedi come de indi si dirama
Per soddisfare al mondo che gfi chiama :
17* L' anima santa di metter la trama 101
Io comindai , come colni die brama,
Cbe Tede, e Tuol dirittamente, ed aau:
Inr. !>' un peocator li piedi, e delle gaesbo
Hy* Le piante erano a tatti acceso intramba;
Cbo speaato averian ritorte e stramba.
Ixr. Con la test* alta a con rabbiosa fama,
1" Ed ona lupa, cbo di tutte brame
E OKilte genti (e glb Tiver grama^
15* Cbe V ona parte e V altra avranno fi
Facdan le bestie Fieeelam* strame
S* alcuna surge ancor nd lor letamo ,
27* Si che, con lutto cb* e' fosse di raaaa,
Coek, per non aver via, ne forame
Si convertivao le parole grame.
33* La quel per me ha 1 titol della fama,
M' avea mostrato per b suo forame
Che del futuro mi squarcio il velaiM.
Pub. Quand* io intesi U dorè tu chiame,
21^ Perclié non rrggi tu, e sacra fame
Voltando «cntiréi le giostre graaie.
Par. D' un modo, prima si morria di fama,
4^ Si si starebbe un agno intra duo bKwìsA
8k ii starebba «a «a9M\aXt% ^'«o 4aM*ei.
tr GhalMt«M^«^'^VaM9ua\akV«m»>
23
47
11
TS»
RIMARIO MLLA DimU COXHEDU.
11
23" e quel Unto wmè mII« mm gnuw»,
Dell' Evangelio Cero scodi • lance.
anche
ItiF. E che gik fo, di qocfte animo staaebn (0
T Maestro, disù hil^ or mi A aneho :
C!ie è, che i ben del mondo lia ri tra braacbo T
21* Carcava un peccator eoo embo 1* anche, K
Del nostro ponto dìMo: O Malebranche,
Meitctcl «otto, ch'kt tomo per anche
22* Si com' ei dico : e nefcli eltri n6ei anche M
Usa cua eeeo donno Mtchrl Zanche
Lo lingue iur non ri lentooo atanehe.
SS" Chi Branca d' Oria non mori nnqnanche, 140
Nel fo*ìk> MI, diaa'ei, di Malebranche,
Noe era giunto ancora Michel Zanche,
i\* Si Tolge appnnto in ani crooso dell' anche, 77
Volse la tetta or' egli avea le tai
Sì cita in lofemo i' credea tornar
anelli
Int. Goalendi con Siamoodi e eoa LaaliraMU 13
33* In picciol oorao mi |»areafio stanchi
Mi parca lor ^edar fender li flanchl.
pAa. Cile moovonqnesto atollo non soamaacki, 410
8* Voo' tu che questo ^er più U e> imbinncHf
Che la natura, in quél oh' è uope, *
INP. Ed on serpente con sei pie ei Unda IO
*i5** Co' pie di meno gli OTtinae la panda.
Poi gli addentò e 1- una e l' altra guaMU:
34** Si che mi tinse l'nna a V altra gnaacit, 3
Cosi od' iOf che soleva la lancia
Prima di trista e poi di buona «anH»i
l'I a. L' altro vedete n'ha Callo alla guanda 407
7 ' Padre e snorero eoo del mal di Frandn:
E quindi viene il dnol die si li landa.
VT Che traggo un altro Carlo fuor di Praaciii 74
Sena' arme n' omo, e solo con la landa
Sì, eh' a Fiorenia fa scoppiar la panda.
Par. Per suo valor, che tragga ogni bilanda, 83
5* Non prendano I mortali il voto a etnàd* :
C)>ioe fo Irpto alla sua prima niandn{
13* Si traste per fermar la beila guaadu, St
Ed in quel che, forato dalla landa.
Cito d' ogni colpa vince la bilancia.
|Np. ▼ailmmo,alpcdra,e,perqudck'ltl«'aen,3
il* Qaai e quella ratna, che nd lance
o per tremoto, e per sostegno manne;
47" Segnato avea le suo sacchetto biancoi 05
Or te De va: e pcrcM se' vivo
Sederà qai dd mio sinistro
27'' GinHoce il liuned dal nido bianco, 80
E quella a cui il Savio bagna 1
Tra tirannia si vivo e stato franee.
I ru. Dall un, quando a colui dall' altro flaneo, 74
•" (a rto. Maestro mio, disc' io, unquanen
La dove mio ingegno parea mance,
11/* Or dal sinistro ed or dal destro flancn, 20
Lawi non eran mossi I pie nostri
Che dritto di salita aveYa manco,
•,'jr Venire appresso vestite di bianco ; OS
L' acqua «plcndeva dal sinistro fianco,
5* io rigaardavs in lei, eumo specchio anco.
r^n. T4I Ilice, e qaa«i lott<i era la bianco 44
1" Qosode Beatrice in sul sinistro fianco
Aqmla d nea gli a' afbae unquaace.
40" Fo«si il partire, amd aarabbe atMe 30
Or ti rimna, lettor, ferra 0 tao beoen,
S" eaaer vud liete assai prima che attfloe.
S4* B l' ale d'oro, e P altro tanto bianco, 44
Quando sceadiena ad fior, di baaeo fai banco
Ch'egU acqaiataTaa TaatUando il
In. Dico che afrivamaM id naa landa, 0
44* U ddoraaa adtn 1' « ghirianda
Qdii fermammo i piedi n randa n rania.
4IP Che Tenia Terso noi dall' altra baala, 00
Il buon Maedro, aaau mia dimanda,
E per dolor non par lagrima spanda:
Fon. B perb aoa attese ade Amanda: 77
43^ Virgilio mi Tenia da oadla banda
Perchè da nulla apenda e* inghlrlaada:
37* Donna Tcder andar per aaa landa DO
Sappia, qualuaqae il mio nome diaaada,
Le belle maai a fand uà» ghirlanda.
9ff Sa Lete ai paiaasaa, e tal TiTanda 443
Di peatimeato che lagrime apanda.
PAt. Già non atteadcre* io taa dimanda, 80
0^ La maggior Tdleia dm Pasqua dijptada,
Fuor di qud mar che la terra inghbtaada,
44* Perchè qud aegue lui, cani' d comanda, 422
Ma il ano peculio di nuoTu Tivanda
Che per divord aaltl non d apuAa :
23f È ddla gente che per Dio dimanda, 03
La carne de^ modali è tante Manda,
Dd nascer ddla qaerda d far la ghianda.
440
Imr. Godi, Florema, poi dm aa^ d grande,
20^ E per lo Inferno il tao aouM d spaBda^
PVB. Fé savoiuae con fauM le ghiande,
23* Mde e locaste furoa le TiVande,
Perdi' egli è gloriose, e tanto granda,
Par. Volgeaad drea noi le dao ghiriande, 30
43* Poiché a tripudio e P altra festa gnala,
Luce eoa luce gaafieae e biande,
SS* Presse d compagno^ Pano all' dira ptada, 30
Cod Tld> io Pnn dalP altro grande
Landaado il dbo che lasco d prende.
ouidl
UlP. Ch'aTeanIetarbe,ch'eraaiBdteegrtadi,30
4* Lo buon Maestro a um: Tu non dimandi
Or to' che sappi, innand che più andi.
Par. Modrarti un varò, a qud che tu dlaseadi IO
0^ Lo Ben che tatto il regae che ta sMadl
Sua proTedensa la queoU corpi granA;
4SP Pia gaadioae a te, non ad dimandi.
Tu credi il Turo, che i minori e i
In che, prima che pead, U
andò
ìyf. Di quede impedimento, ot* lo ti
2f Questa ddeae Luda in ano dimando,
Di te, ed io a te le raccomando.
ter Poeta Toid I peni, ripensendo
Egli d moaee*, e poi cod andandu,
Ed io lo aoddidcd d sue dimando.
43^ Di qud Bmnan, che ri rimaner, piBii
Se fosse pieno tutte '1 mfo dimaiMov
Dell' umana aatara poste in bande:
41^ Che praceddtcr me slmoaeggiande,
Laggih cascherò io dtred, quando
AUur eh' io fed U cubito dimando.
21* Cod di pente in peate, dtio vis^mAa
Vani— n^ %%enwua»^
^1* C«aAKlO % ooYimtiJ^
423
77
74
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RIMARIO DELLA DIVINA COMIIEDIA.
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O da palei o da ommcIm o da tafani.
Di Malebolgi*, • (;]i altri pianti Tani ', S
Qoale nel] Arianii de' VinÌ7Ìani
A riiupaluiar li Ircni tur nno «ani.
Eco) i' An'.!cl di Dio : pir;;« le mani : 21)
Vpdi clw sdegna gli ar^fomi'nti amani,
C!ie I' ale «iif, tra liti «i lontani.
Buiina uinilLi, a gran tiiinnr m' appiani : 119
Quvi^li è, rispotv, l'ntvfnran SaKani;
A ivrar Siena latta a!U' «uè mani.
0' un allni pDiu», e o in nutlto lontani,
\ i«li ^riite iMilt' cs«t aliar le mani,
Q.u«i brimoti fantilini e vani,
('•un* ii> dr.ir adtirnaruii roU«> mani ;
K kìj, per eli splendori nnlelorani,
Qiiiiil» tomandii alber^an men InntanL,
Trjlland-) più &ilor con le «ut* mini,
Tu; [la-i'.i ri faca il flu-ne lontani ;
Anc.ira freno a tiitli nr^--;:li umani,
Qm-ll' Aw'icato de° teiii|>i cri«tinni,
Or se In r occ'ùo della mente trani
fili deli' otlrnva c«in sete rimani.
Cui I Ile tn \nni, cita ta mn«ervl auii,
Nioca tua ^nardia i minimenti omani:
l'vr li miei pneijlii ti clituilun la
U"
27«
no
65
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tot
107
(»
119
33
Tal rnipa a tal martirio lui condanna; 05
t'.in lui cen va r.lii da tal parte incanna:
S.i|>4Te. e di ml'ir rlie in vt ni«anna.
t:>>n uli altri, innauTÌ a:;li altri apri la canna, C8
K itiNM*' (> In. cui ri>I;i4 n-<n rundaniia,
Si- IrvM*^ '.iiiiii.'li.ini-i non ni' ins-inna,
r.i'i « unneiu a !•', «'intaiiiln Osanna, 11
!•■ «-..VI a n«i I-I r-iliiiiiii.i aianna,
A rt-ti-i \a clii piii di gir »' aflanna.
|)i i]iii-l rhf il ni-I Ti'liirr luro aininanna, liT
i!Im>, 4f> I' aniivrilf-r qui ni<n m'incanna,
r lu- r r m-i >'\ rtin^-la oin nanna.
Ciifl' iihl>ii-li>i rii:nun, c':e'l ••«*n4<> incanna, 47
1 1 %irlii r'i' 4 rj.Kin di'imr-o ammanna
K iifllr ^ •■ i ilei i-iiitan-, o-ianiia.
Il iimlri- >ui %rriiiii-ntK (ìio^anna, 80
>--n p>*r Iti ini-iiil'i, per nii ini» s'afTanna
Va |MT aiitiir di'lla \erAr<> manna,
it\ r quella friu'^tiiia rlie il rundanna? 77
Or In *' i *e, rli^ \U'ii «■•dere a M>ranna
r.->ii lj ceduta C'irla \ nni «panna T
Qui I ilitra. ^i>tl-i cui ìi^^r di Hianna 131
Sii rnntn» a l'irtm tedi Milt'rc Anna,
rbe min uinuve nrrliiii pt-r cantar* OMona.
arnie
l.f li-wri-.e ap^n>e, e m<i<tr*irci le aanne: 23
I-: I Dura 1111(1, di*le«e le Mie «panne,
La cillu dt-ntru alle brimn^e canne.
anni
r 'I cran Ceni inro di*-^ : E' aon tiranni, 101
Oiixi >i |>-. III.' -n II «pii'titi dinni :
«.III- fi< t;iiili.i a%i-r d-)l<ir>i<i anni:
*>' .irrc-l i |>uiiti. ciare |hiì rfiit' anni 38
IVro va i-llrr : i ti «vriu a' panni,
Olii' \a |ii-inu'<'nlii i «u-'i firmi danni.
C.iir i|iiti l'c 4 «n nrl mio M <an (ìinranni 17
I.' un >ii-::li qiiili. ■iii'''ir n>tn e mi>lt anni,
K qfif.ti «i.i «ii;;;rl r.i' icni Uituio iKanni.
"^wiA ;:ui-rra ui*'«u-ir di- «ani tiranni; 38
H ninni >lu, t ini i> >lala muli' anni:
Si fi te <>rtia rictiprr ro' Hi<>t vanni.
F^li e ^r Dran< a d Ori:i. e sun pia anni 137
29
r credo, dim'io lai, che ta m' inganni ;
E mansia e !>«• e donna e retto panni.
Por. Ft»«i clii amata, e fui dogli altrui danni
13" E perchè to non credi ch'io t* inganni,
Gi.i disrendendu 1' arco de' miei anni,
La<tciala tal, rliu di qni a mill' anni
Come ali- annunzio die' fotari danni
Da qaal die parte il perìglio lo aaMnni;
Di qm-ata flannua ttcìsi ben nilP anni,
E se tn credi furte eh' io t' inganid.
Con lo toe mani al lembo do* tuoi panai.
P4a. Molila, Samurlirt, o quel Gioranni,
4" N>in lianno in attm cielo i loro scanni,
N^ haim'i all' e>scr lor piò o meno annL
9^ Sd' ebbe rliiarìto, mi narrò gì' inganni 2
Ma di«M: Taci, e lascia Tulgor gli anni :
G.a^to Terra dirictro a' rostri danni.
1C" Quaiforii vostri antichi, eqnaiftargUaani2Ì
Dileni deir oril di San Gio\anni
Tra os»rt degne di pia alti scanni.
17** Per la novella età; che par novo anni 80
Ma pria riie 1 Guasco l'alto Arrigo inganni,
lu non carar d' argento, no d* affanni.
33^ Doli a Diinna del cielo, a gli altri acanni 20
Ciisi di contra qncl del gran Giovanni,
Sofferto, 0 poi l'inforno da duo anni;
l!vr.
•*•
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Por.
3»
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131
fi
A far Irtr prò, ed a fuggir lor danno,
Venni qaac^iu dal mio beato Kanno,
Cr onora te o qnei die udito 1' hanno.
Vidi il maesiM di color die vanno.
Tutti r ainmiran, tntli oni>r gli fanno.
C*ie innanii a-,;li altri piò pr««fo gli alanno.
Parlerei a quo' don, elio 'nsieiiie vanno, 74
EJ egli a me : Vedrai quando «kgranno
Per qa«-ir amor che i mena ; e quei vorranm».
riM' tolte queste a «iuil pena Manno SO
l'I gli rìtpoìii: Garco, il tuo affanno
Ma dimmi, *« tu «ai, a die verranno
fjnaiidti di Jo^affa qui torneranno
Suo ri miteni di qiie«ta parte hanno
Cile r anima ri-l cnrpo morta fanno.
Quelle fieri' trhagce, c'ie io o«lio hanno
Qani le bralle Arpie |i>r nido fanno,
C-m tristo annnii/io di futani danno.
Pvr lo qual ui'U t«-iiie^li ti>rrr a inganno
Tal mi Ire' i-i, quai ^m rulur die klaano,
Qua-^i «t III nati, e ri^iMnidor non sanno.
in ipifUa p-irte del giovin«-tt>i anno,
E gli le notti al meno di' srn vanno:
Ad nna, a due, a tre, o P altre stanne
Y. rio die fa la prima, o 1' altre fanno,
Semplici 0 quftì', o lo 'nipenlie non sanno :
di' io ne muri', come i 5rne\i sanno, 66
io Simo Diiiherto : e n<>n pure a Bo danno
Ila ella tratti mìci nel malanno.
Che nflitk pur non fatica m-ni iranno,
AUor fec' io rome mlor de \aniio
S.' non die i ct-nni alimi «o^picar
Comincia io: ed egli: Ombre elio
Si oonie i pere^rin |ien«iM fanno.
Che fi vkIjooo ad e«sa e n<in ristanno;
Per sua dilTalla in pianto ed in affanno 08
Perei le il turbar, che siitto da s* fanno
CIte, qnanto puapon, dietro al cali>r Tuan,
I^ di«lin/iiHi, rhe denir» da «è hanno, 119
Qiicoti organi del mundi» cosi vanno,
riif ili ftu prvn«Uiiii>, e di sotto fanno.
Ciie la furia al voler ai nicchia., e Imma V^
Voglia afw>l«\% tMk t«y«^*«\& i&' ^lasaK^^
.18
1
80
\A
II
" f^^I^ir"' "**^ Ila^f
Uni* »« f"'''»'*|iii*'l>ló il'C. M
inflto MB II riM«, rniM [In «n
RHl-iinlwKUlIfivilrito.
O* A (Min nlv^i m il (w.
On«l> ««Mimi. U MI» (1K
r t J Slllt (SU • BobiU ri« pfici,
Vtifin ippmuhm di ■mr Ttnc
»« COMMEItU.
nr anJtCKBU, t a tn(llU ti MB.
Il* Bmui Bla Gna CHriA, M- m,
Tal. »i t. Blru4> iT.!.»
CMlmi>luda. (ula « ■!_«• !•■
I^FlK.Mti. . tjUi,(MMr«lW '
0 Jlhu di £ì^ y«U ^ (M'
!• (Il «»•»■••■•) «
"■«rrtsaariffiù''" _ "
Ell> (Uda jii Im Mia i|HiiU,
Cba Mila « ogW dii |U » 4>iisl
anri t(iif mu la famli «w».
Il* gnUdw frHditlU 4' «• «' ■!* (Il
■L Portailta'iviaapaalLaiBriclUiifa, 1
tr B^ «111 MlllTT ■! rir t IH iiiila.
api ■Mdib la ■■MI» lanb aiuL
■ ■•• H CaafHuU» •«a Cut*.
a!!l flTÙiia « la aU Simuli ;
39* CNiiBlaaiwaHriHnllHiala,
Oo uà amnt mliiaimi ani ^iiinU.
' Cnala In fi tIiU blixBimla
L' aiisa f eoi Inla • Mia pianta
In mila • a Mila Mia IH ■aUi.
r Ls^ÌM|lltl>n|a.>d tlHubiaala 0
cu oaiarafia ,H hI amila «naia,
r ff apaiwali alla luka (rtim[u)la, ti
Cai lìaa rltanal par iDtIa «ut*
tal. Iti' k HCTlil M w •Il HmbluU;
I' Di Itala ptaA^lH nlula 3
CU la bea «ilu I puilniil*
'!• IBilbi al Ka pSun qial oaluaplula,
E coalariò Mda pania •ult :
/• Plnir, txHtatt mOi aaHI •uiU, I
rfNnaik'laiÌiltkalU,ataalUfilull| m
■ »1* Hl^JbaHl r^4ltaaU,
II* ■ i Aaniirilnr talU iiuU, K
SatdlU'IaiÙltHtilirBll
ll'E'SaiiMaSlHlalwBpltiTHU, V
Pt.c>*mnla*ai«UIU^(Or^ m
E u <M (Hwa w pm ri* ttuli,
GiUir IIIcMa, « rMra, a IdU I tufl.
ìi:
vJ^, Ralitoi, tolfl |U lodil ui .
Chfl, pir miirii, ha ohaI puii tutL
nii uiu lufll DcthJ ngU.
B* ruil, • iMUr « •WH tftmrisb.
Il (Ih ala iifilill 1 >»1 HmbliiiU,
«• Mr Iton. t^!!^'^ S^, ^u ''
Dm BunUa 1. ^ UH iLuiU.
J1* VIA plt 11 ^Ba ik»(<ll rcriuU.
VMI falli i>lac (IHCM al •' lacaaU
Era aa|U HtU • littl fli iHri hhU.
«wto
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ila^aadolldilhiTiaK
I ■ M Wdla amiatnla.
jhaiia < Itàiafa 4al iMrin <viU :
-|lHiplrula.>M»a>4l'MÙk! U
1 HW <U ta Ila U ul eulub,
Kl O^ la tal wlila «al (lu nula:
i" aia Ila ll.paato tglll ^laila
Chahl MfB«l«4'11IRD*IAHe^aal0:
Ha dnlra lalla ^lotM. * (n<i Itala, «S
(Mate U pnM, ho Xruaia.
w<na DI' «ppan*. Ila t«
■amala «m- ■■ Jd t^K^
La_l. U fMll»ri <aBj..-al ^
he a laa* 4Mnta>«, •< alIrdM
(« Wl ptK« M)> «fInU BHta.
^-•i*«l<.a*>U.
a>«,C^.Uab a
I «lUlllaaiM Hdn M«Ull Hill.. \ IT VU» ì«1mJ... I. bm*l
PUH UHMM>i4niM,|Vt riluti I
m. Cb. «« ti pitiu. . «« >l nJ.ppi..
Il* o™ A.\ IMI r-HCilK ■*■ lo uppil,
Blpriilidi fa «M, I liMa la
>■ Hi ^iiula dina: Ukìi Ini. • Tua,
aatat fa ■A' : tHiU, ^ ■( liiu ^
«!««,*•* il • rei
ir ci«4*4 JiÌÙÌbishUi, vH<urARà. n
Svin la partfi di' Il pHwbfa « cttcì
ii»t I^i1iu*il g
^«1 1 pince» '• nm^^kBU
Chi inpdllfa «Min HmulfiH
"»J'
'SSl,
i.Tiir.r5
RIMARIO DELLA DIVINA COMMEDIA.
IO
33* Dn paolo lol* m' è maggior laUrf^o,
Cbe f« MeUiino amoiirar 1* ombra d' Argo.
•ri
l:«r. Ma ri non stette là con otti gvari, 1t3
8° Chioaer le porte qne' nostri a? vorsari
E ri^oUe$l ■ me con paosl rari.
Pra. la rampo gionti eo' loro aTferaari, ttA
13* Holli far quivi, e folti negli amari
Istilla presi ad ogni altra disparì :
29* Villi doo ferchi in abito dispari, 131
L' on si mostrava alcvn de' famigliari
Agli animali fé eli' all' ha piò cari.
Far. R<rgal prudenza è quel federe impari, 101
43* E se al iurM dirini gli ocelli chiari.
Ai regi, cba eoa molti, • i boun eoa rari.
14* Per h padri, a per gli altri dm far cari, 65
Ed ecce ÌAt4*rao di diiarena pari
A guisa d' orìuunte cbe rischiari.
aria
410
Pak. Ne' priegbi fatti a Dio per raidlaria,
2(f V anima gloriosa, onde si parla.
Credette in lui che potevi aiutarla}
2-t* Per la errate fede, a gloriarla, 41
Si ooiue il baccellier s anna, e non paria,
Per approdarla, non per tarniuiarla;
arto
IM. Risposo! mio Maestro, a tormentarlo; 4T
28* A me, che morto soo, eoavicn menarlo
E questo è ver cosi com' io ti parlo.
Pt'H. D«-l beaeOeio tuo Moia ginrarl», OS
5" Ood* in, elio soli>, inaanu agli eltri, parlo,
r.iie siede tra BiMaa^na e qa^l di Caiw,
11* C^ie sostrnea nella prìgi«>n di Cario, 137
l'iu o<»n dirò, e scoro so che parlo ;
Peranno si, el>o ta potrai chiosarl*.
Par. Quinci si mo9«e spinto a nomarlo 68
13* U<>menico fa detto; ed io ne parlo
Elesso all' orto soo per aintarlo.
Inr. ette passa i monti, e rompo mora ti anni; 3
IT* Si cominciò lo mio Dota a parlarmi.
Vicino al On do* passeggiali marmi :
28* S airestaron nel fosso a rigaardanil, 88
Or di a Fra Dolcin donqaa che i' arati,
S' egli non voul qui tosto seguitarmi,
84* Ch' al mio Mseolro piacque di moairarai 47
Din ansi uii si tolse, e fé ruttarmi,
Ove eon\ien che di fortena t' armL
Prn. VAm piaona 1' avarixia, per porgarad, 88
'22' Or quando ta cantasti U eroda and
Di-«e 1 Cantor do boovlia carmi,
27* Giltsto mi sarci per rinfrescarmi; 80
Lo dolce Padre mio, per confortarmi.
Dicendo: Gli occhi suoi già veder panai.
8i* Al petto del gnfon seco menarmi, 113
Disier : Fa die le viste non risparmi ;
Ond' Amor già ti trasse le soo armi.
Par. a Dm p«'r graiia piacque di spirarmi S3
(i^ E al mi» Belhsar comiuendai t' arad.
Che segno fu eh' io dwvessi posane
4^ Lo tempo verso me, per culpo darmi 407
Perche di provedenxa e boon eh* io m^ armi
lo ooa perdessi gli altri per miei carad.
Cba il corpo di «oalal è tora.caraa.
20* Veggio Tender eoa 8glia, e paUeggiaraa, 80
0 avarisia, dio pool to piii farne,
Cho non ai enra della propria caraa?
Par. Pia vinto la apparenza dalla caiaa 16
44* Né potrà tanta loco affatiearaai
A tutto eib cba potrà dilattama.
Ixr. E se noa foaaa cho 'a ni pasto if Arao 446
tv Quei eittadin, cba poi la rifoadarao
A«rvbber fatto lavorare indarao.
Vf Del Casentia disecadon gioso la Arsa, 05
Sempre mi stanno innanzi, o aoa indarno;
Cho '1 malo oo4' io aol volto ni disearao.
Por. Dirvi ehi sta. aaria pariara indarao; 90
44* Se ben lo intendimeiito tao acearaa
Quei cho prima dieaa, ta parli d* Ara*.
Par. Troppo la geata, o par aoa stare ladaraa, 401
II* Nel orado tasso, intra Tevera ad Arao,
Cho lo soo membra dna anni portaraa.
arne
PrR. Oir>«ro ìaevalr» atti, e dimandamt:
J* t 7 auo Mietilo : Voi potile aadMna,
•-»o
Inr. SI coma a Pula pipati del Qoaraava, 448
il* Fsnao i ttpolcri tatto il loco vara ;
Salto cho 'I modo v* ara piò amara;
P«R. B ritrarre a color cho vi mandato, 19
5^ Se per veder la ma ombra restato,
Facdanli onore, ed esser poh lor caro.
8* Dicendo : Vedi là 'I aottro avvertaro ; 18
Da qoalU parie, ooda aoo ha ripaio
Porse qoal diade ad Eva il dbo amaro.
0* Ella ti tolse, e coma U di' fii chiara, N
Qui ti posò : a pria mi dimostralo
Poi ella e il sonno ad oaa se a' andare.
Il* Non spermeotar eoo I' antico aTvartaio, 90
Quest' ultima preghiera. Signor caro.
Ma per color che diatro a noi rastara.
\T Como Almaoao a taa madre fa caro i!l
Mostrava aomo i Igli si gittara
E cooM motto lai quivi laaciaro.
43* Di vostra coscienta, ti cba chiaro 89
Ditemi (die od fla gratioao e earol
E forse a lei sarà boua, t' io V appara.
48* 81 nel tao lume, eh' lo diseemo eluare 4 1
Però ti prwgo, dolce Padre caro,
Ogni buono operare e il foo ooatrara.
22* Cadea dall' alta roeda oa liquor aUaio, 481
Li doo poeti air alber t' appreesare;
Gridò : Di qoasto «ho avrete caro.
24* (E drizzò gb occhi al cid), di'a ta Ba aldara 88
To ti rimani ornai, cbe '1 tempo ò aara
Vcaaado taao A a paro a paro.
2R* Per ^ad eh' P odo, in me, e tanto cUara, 407
Ma, te le toc parole or ver giorato,
Nel dire e nel gaardar d' avermi careT
28" Né credo dia U mio dir U sia mca cara, IH
Quelli eh' antieameate poeterò
Porse la Parnaso csto loco sognala,
air Cim' dia panca me; perdio d'asaio 88
Ella si tacque, a gli angdi cantare
Ma oltre pidt* meos non pateaio.
SI* Ntlla frunte degli altri ti moetraro, 90
Dopo la tratta d* oa sospiro aatare,
E le labbra a fatica la (ormare.
12* L* inno dm quella geata alior castana 62
S* io potosai ritrar corno aaaonaare
CU occhi a eok yv^ x%%^«c «MN^^^nat^v
r AR. Vat Av^etoaVa^ Otìtk A% ^koìko % tw»v ^*^
T CtìuSoTtaa % ma% VmV vV» \s\iV»% ^ tì*a»x* -,^
i or Gì» AàiAtq %A Wai^À«
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^B 8 RIMAIIIO DELL* nrvIKA COUfDMA.
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Ki bitta* BmUim Pili:
* T>*V H M Hi pM A ul TlIL
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■r Oh d) HtU bmU inn (Il Muli : ti
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_ Fi-Ut. . HM.'irCV"!.
Di ipti^u anai. te ittMi;
rei, hiiliba «ofH teca ayiiia ma*
It b« li iw4* «■ 1* Mn»i
T. ili wJkI ». ,^to i^n—
01», siIoHiMUfalimM
HriSSr
niMARIO DELLA DIVINA COIIIIEDIA.
B
?P Hcn T* UTe>t*t«. mt •toAaU il pam», 03
Dritta ••!!• U via per entro il cavo,
Dinanti a me del Sol rh> era ffik laue.
Paq. L' hai come dèi, è V areoairato eaMo, 89
4** Ma or ti t' aitraTema on altro paMo
N(in D* osdreoti, pria faretti lasM.
13* Per farti maover lento, cnro' Doin lastn, 113
Cli» ipiegli è tra gVi stolti brne abbaMO,
C4M| neir un come nell'altro pa^vi;
14" Ana>r mi scuserà di quel eli* io la»M, 4OT
Di cumo in corno, e tra la cima e il basso,
Nel congiongerai iosieiiM • nel Inpasao.
•Sta
I^r. Per V alito di gib che Ti si appaMa, 107
48° 1^ r>nd<i è capo ti, dw non ci ha^ta
Di'll' arco, ote lo tcoclio più «ovratta.
Fin. Dilla doppia trintiiia di Giocarla, SO
2J* Per nuel che aio & con ti>co tanta,
La ft!^, sema la qual ben far non basta.
asti
ìyt. Cbe Mtn qulnc* entro sa V nnehia ti buti 89
2U^* Latin «>ero noi, che ta Tedi «i puasti
Ma tn chi te', die di nni dimandasti?
Prn. In litica la morii*, ore latciasli 71
4* Non Min eli t->ìitli rterni per noi guasti.
Ma c^m del rrroliio uve »iin |{li occhi casti
22* Ti ^tt-ni-branin ri, che tu dritzatti C2
Kii «•;;li a lui : Tu prima m' inyiasti
E pili appretiM Dio ai' allominastu
Si'* Gri<ijvan<>, e mariti ciie fur ri<ti, 43 1
E i|Ui'*lo iw>Ao ertilo che lur batti
Cun tal cara contiene e eoo tii patti
2«' Mj iure rende il Salmo IMteinstt 8j
E tu I he ««' dmanii, r mi prr :,-i«>|{.
Ad ogni Ioa quc>tiiin, Ijrit.i rlii> haflL
Pah. ><>d ri poria; però I e^eiiifiln l>*Nlt 71
I* S' io era sol di ma quel ciie cn'a>ti
Ta '1 sai, eb« eoi tuo luoie mi IvTuti.
aato
Ixr. Perchè '1 pregti, die mi Lirgltte il pasto, 02
44* In oM^o 'I mar riede un pa4r<c gnaulo,
Sfitto '1 cai rrga fu giit 'I uikimIì» casto.
83" La bocca ftollo\ò dal Acro pasto 1
Del capo eh' agli atea di retro gaasto.
ostro
f^r. In poco d* ora, a prendr *ao rlneartra, 14
Si* OmI mi fere nMguttir lo Mastro,
E coti UM»! al mal giunte lu'mpia4ro:
Pam. Al pie di qu*-Ila cnice riir«e an a!>tra 90
4«i* >« ti parti la gemma dal ano naytro,
Ciie parrà fuoco dtctra ad alaba->tra.
•ta
l>r. die nai Iago M cor m' era dorata 30
4" I*: come quei, die con K-na alfanoata
Si «l'Ige all' srqaa peri;:liii«a, e (ruata ;
'J" C l' i' mi tia tarJi al t^iCfiti» ledala, C5
Or ma'>«i, e ron la toa |-ir li ••mata,
1/ aiuta M, eh' i' m* mi cxnflala.
5'' Eoamina li* oiI|n> iitll' enlriila, S
Di&i, che qa<ndi> 1' anima mal nata
E qo«'l n'n'i-rit'ir drllr |icci-ata
8"* C>ic «aliali quilU li'rra tnmMilata: 77
N 'n «mta iriiiui fjr t:r4[ii!>' B;!^irata,
rM-itH, Ci Riiiiò, ipii e r (•iilr-iti.
t«r' Rmpiv.t lui, r una e 1' altra li-ita; M
Allwr sorta alla Ti>ta Kiqterchiata
Credo dia a> «fa laglnoeddon leTati.
14* Sirn dipattiti, a perdiè men eradata 89
0 Sol die sani ogni Titta turbata.
Glie, non mea che aaTcr, dubbiar in' aggrat.i.
taf Forse a questa roTina, eh* è guardata 83
Or to' che tappi, cb« i' altra Qata
Que-ta rocda non era ancor cascata.
14* Che tirn Tolte le spalle in Ter Damiata, 401
La tua tetta è di flo* oro formata,
Poi è di rama inflno alla forcala :
IO* Orgoglio e dismisura han generata, 7 1
Cosi gridai colla faccia leTata i
Guatar l' un V altro, com' al Ter ai faata.
3(r .>rl t^mpo che Giunone era emcdala 4
Come uiottrò gii una ed altra fiata,
33* Noyella Tebe, Dgncdone e il Brigata, fO
Noi pa^^amm' oltra, là '«e la gelata
Non Volta in giù, ma tulta riversata.
l'eri. Ami ad aprir, all' a tenrria serrata, t2H
V^ Poi pmse r uteio alla porta sacrata,
Cile di fuor toma ehi indietro si gnata.
42* O gente umana, par Tolar su nata, IKi
Menocci oTa la rocda era tagliata:
Poi mi promise sicura 1' andata.
4 1* Quando rimembro con Guido da Prata 401
F«rderigo Tignoso a sua bngata;
E 1 una gente e 1' altra * di retata;
46^ Ihiio d' inferno, • di notle priTata 1
QuanV esser può di nuTui tenebrata,
22^ Dvlla «era crvdenia, st-minata TT
E la parola tua sopra tiHx.ita
Ond' io a Tisitarìi pre4 u-ata.
2^ Caulaudo come dunna innamorata, 1
Bfdtt, quorum tetta sunt pettata.
20* Feiiiniiiia t<<1a, e pur teste formata, S6
8-jtt» 1 quel, sa dirota fosM stata,
5-nlite prima, e poi lunga flata.
80* La parte oriciital tutta risata, 2:1
E la fi rei a del Sol narrare ombrata,
L'occiiio lo sn-.ti'nea lunga fiata:
32* Poi ci-rcliiaro una pianta di<i|>oglisla 38
La diiitma sua, che tanto «-i dilata
Ne' bocchi lor per alteria ammirata.
Pah. C>n Tuce tanto da «è traiinutata, 3S
27* Non fu la S|MMa di Cri>to allevala
Per easera ad acquieto d* oro Mata;
ate
l>r. SI del cammino e A dflla pletata, 5
'£* 0 Mote, o a'.ti ingegno, or m' aiutata :
Qui %\ parrà la tua n>l>ilitate.
3* Fecvmi la divina (Mitettate,
Dinanri a ma mm fur coso creata,
Lanciate ogni speranaa, toì eh' entrala.
5* Mos«i la Toca: 0 anime afTanoata,
Quali eolombo dal divio el.iamata,
Nulan, per l'aer dal Toler iwrtata;
48^ Poi elle lo ardite femmine spietato
Ivi om he^^ni e om parola ornata
Che prima i' altre a«ea tutte ingannata.
10^ < Ite le COKO di Dio, che ili b.intato 3
Per oro e per arenilo adu'tcrate;
Perocché nella trrta bulica stata.
2t* C-rre\an genti nmli* e hpavrntato, US
dm serpi la min dittro aiean legate:
E 1 capo, ed craii dinanii aggroppalo,
27* A\ean le lud mie si inebriato, S
Ma Virgilio mi disse: Clie pur guateT
' I.ncciii tra r ombro triste smiT/icale?
3if Di Guido, 0 d' Alessandro, o di Inr fiali- ^ Tt
D«>nlro e* è 1' una (ik^ t« V %T\i^\kva\«
5
8U
89
li <i sviorfa: Or pvl Lt «■tfettlil*
r llll «*> Hdn ( M po|,|lU,
.iu^J'2Sk
s- i^^-'f^-'r^tiT'if* i*^** ** ^
_ OtklUIlt i|>eu»uiagUi\IU.
jc-a
BQIARIO nELLA DIYiNA OOVMBDU.
95
47
Qiriad Ulà, €MÌ 4dl' •Un» lato
$• quioà • quindi ^a non i gwUlo.
XP Gridaran gli altri} • l' animai binalo:
E «olio al temo cb* agli av«a tirato,
E qotfl di lei a lai lasciò lagato.
P4B. Clic, per foKgir perielio, contro a grato 401
4* Como Ainiouno, che, di ciò prexato
Per non perder pieth ri fa apietato.
V* Giù poco tempo; e, m piò («mm alato, SO
La mia letizia rai ti tià CfJato,
Qaati animai di sua seta fasciato.
13" Critottomo, ed Anselmo, e qael Dottate 437
Rabano è qui, e Ineemi da lato
Di ■pirito profetico dotato.
iV k rilevarti, e didimi trailato 83
Ben m' accora' io di' i- ara più lavato.
Che mi parca più roggio die V osato.
46" Si die non piacque ad Dbertin Donato 440
Già era '1 Capontacco nel Mercato
Buon dtladino Giuda ed Infangato.
IR' Mostrommi l'alma cbe m' a^ea periato, IO
lo mi riTobi dal mio destro lato
O per parola o per alto, segnato,
21* Del viso mio neU* aspetto beato, »
Conoscerebbe quanto m' ara a grato
Contrappcsando T un con T altri» lato.
I^r. Con tre gule caninamente latra 44
6" Gli ocdii ha vermigli, e la barba anta ad atra,
GrafBa gli spirti, gli scuoia, ed isquatn.
r«R. Bruto con Cassio nello inferno latra, 74
<r Piangcne ancor la trista Cleopatra,
La Borte prose mbitana ad atra.
•tre
Inr. E ebc altro * da voi aH' idolatro, 443
10° Ahi, Costaatin, di quanto mal fu maire,
Cbe da te prese il primo ricco palle I
mtrìm
P«R. E non molto distanti aDa tua patria, 407
21" E fanno un gibbo, cbe si chiana Catria,
Cbe suol easer dis|Mslo a sola latria.
|Nr. Cbe girando correva tanto ratta, SS
3" E dietro le venia si lunga ti atta
Cbe morte tanta n' avesse disfatte,
ir Con le quei la tea Etica pertralta 80
Ineontinenia, malitia, e le matla
Men Dio ofTeode e men biasimo aocatla?
iì" Che tu d sii, mi disse, giù t' acquatta M
E per nulla ufTeniion di' a bm sia fatta,
Perdi* altra tolta fai a tal baratta.
2K* Che diesi, lesto ! Capo ha Cora fatta : 407
Ed io v' aggiunsi; E aMrtc di tua schiatta;
Sro gio come persona triste e matta.
PCB. Dal cadiT della pietra in igeai tratta, 90
15* Cxmì mi parte da lue» rif ralla
Perchè a fuggir la mia vista fa ralla.
r
PCR.
Psa
Noo vrdl tu la morte che 1 cembelle
Al mondo »« far mai p-rs^ae ratta
Com' io, dopo ciitai perule Catte,
Fossero sUtf- di saaeraido fatte;
Ed or pari-\sn dalla bianca tratta,
1/ altre toglien i' andare e tarde e filli.
Uomini siati*, e non /M>«»rr malte,
107
ckaliMU Obito
•tu
iRr Capido A per avansar gli ovaatli, 71
40^ Di sotto al cepo ario eoa gli altri IraM
Per la fessura ddla lastra piallL
Por. Nascere a ehi la vede; coel fatti |St
40^ Ter è cbe piò e mena eraa contratti,
E qaal pie puleasa avea aegU aitt,
Par. Che aarcU vlslbiU rifatti, 47
44" Come da più letiiia pinti e traiti
Levan la voce, e rallegrane gli atti;
IO* Era gib grande, e giè ereno trettl 107
0 quali vidi quei che son disfatti
Fiorian Fioreau in tutti saoi gran falli.
atto
Irp. Faor d* ana eh* a seder si lev*, ratto 30
0* O la, che se* per qoesto 'aferao traila,
Tu fosti, prima ch^ lo disfatto, fatto,
r TolU m' hai sieurU raadaU, e trailo 08
Non mi leader, disa' le, cosi disfallo;
Eitroviam l' enne aostre insieuM rella.
0^ Perocdiè V eccbio m* avea tatU tratta SS
Ove la an paato faroa dritte retto
Che membra femminili avicno ed allo;
21* Tra gli scbeggioa del ponte qaatto qaatte, 80
Perdi' lo mi mossi, ed a lai veaal ratte;
Si di' lo temetti aoa tsawiar patte.
PcR. Un lume per lo mar fMJ^ A ratto, 17
T* Dal oual com' io aa ^mitìtM ritrailo
llividil piò laoente a mamam UIA».
45* EsUUea di subito cNafi^^ 80
Ed ana donna la sa P Mirar, caa alto
Perchè hai la coni verao Rei ratte?
Xf Poi e' bai il sangaa mio a te al traile, 88
Perdiè mea paia il mal tataro e 11 Catta,
E ael Vicario sao Cristo esacr calla.
21* Vegg' io a coda d' aaa beatia tratto 88
La bestia ad ogni paaao va più ratto
E lascia il corpo viiroeate disfatto.
25* Di dimandar, venendo InOno all' allo 44
Non la«ciò, Mr 1' andar cbe Coese ralle,
L' aree del dir dio intino el Cerro bai tratto.
28^ FaUeve nel parere il Inngo tratto 44
Ma quando l' fui ti preaso di lor fallo.
Non perdea per distansa alcun sao alle ;
Par. L'alto valor del voto, a' è si fatto, 20
S* Cile, ad Cmnar tra Dio e P aomo U
Tal qaal lo dico, e fas^l col sao atleJ
ir Quel cb* io or aomerò h (Irb l' atte
le vidi per la croce aa laoM tratto.
Né mi ta ade U dir priaia ahe U fatto.
20^ ^el mcBo striaso puleaiie con atta
Jeroaiaao vi ferisce lungo tratto
he r alU« aeado (bsae Calle {
Mr. Pale i aaper cbe 1 fri, perchè paaaaf a I4S
4lf E gih 1 Maestro mio mi richiamava:
Che mi dieeete chi eoa lai ri stava.
46^ Currcado, d' aaa lorma ehe peasaTR 8
Veaiaa ver noi; e dcKaaa gridava:
B«eere alcaa di aostra terra prava.
17* Coel la Bere peesima ri alava 20
Nel vano latta saa ceda gaktava,
Ole a guisa di scorpiea la i^aaU '
48P lapp- U v«« «a^ «^ «MBn« ^
?uot 4A\% V>«b% % <^%»«e^ * , ^ .-
1s
BnURIO DILLA MmiA GOnBDLL
17
la
PCI. Tanto manfigUar Mlt taa gmU, 14
14* Ed io: Per m«a Tofana si «pmU
E ccolo miglia di cono noi sana.
21* La M(e natoral cba mai noa aaiia, i
Samaritana dimandò la graiia,
26* Donna A di aopra dio n' acqoisU grada, IO
Ma M la vostra maggior voglia taaia
Ch' è pien d' amora a piò ampio ti aparint
28^ Ed avTegna eh' assai possa assar sasia IM
Darotti on eorolltrio ancor par gratin;
Sa oltro promissioa tcco si spaila.
Pai. In cielo A paradiso, a si la grana 19
3* Ma si com' «gli awi^ sa on cibo aaila,
CIm qoel si ciiiera, a di qaal ai ringraiia ;
4P Ow bastia render voi grasia par gratin; 123
Io veggo bea eba giaaunai non si aasin
Di foor dal qaal nessun varo si spnaa.
S* Del trionfo eternai concede grafia, 110
Del lame che par tatto il dal si spaiU
Di noi chiarirti, a tao piacer ti aaiin.
«f Deir alto Padre die s«upra la saiin, 80
E Beatrice eoaùndò : Ringraiia,
Scuibil t' ha levato per saa grula.
SOP Veder non pvò delU divina grasia, TI
Qaal lod iletta che in aera si spaila
Dell- ollima dokcna eba la sòia;
.11* Tatto d' amor, ne farb ogni grasia, 104
Quale i colai, che fona di Craada
Cile par V antica fama nos si soia,
asle
iMr. Al drudo sao,qaandodisaa: Bolo graaia IS4
18* E qaind sien la nostra vista aaila.
T4
> %R. Prima aha tanta sete in ta al
W* Anche soggianse: il fiama, e li topaiU
Son di ior vero ombriferi praiMii:
aslo
iMT. TI si Umì veder, tn aerai saile:
M* Dopo ciò poeo, vidi quello strallo
Che Dio ancor ne lodo e ne ringraiU.
Iti» Se* tu gib cosU ritto, Bonifailet
W tn fi tosto di queir aver saalo.
La bella D«inna, e di p«ii flana atrasio?
Pcn. Ubaldin dalla Pila, e Bonifatlo
24* Vidi me^i^r Marchese, eh' abba apada
E ri fu tal che non si senti saiio.
33* La bella Donna aaossesi, ad a Staile
tP io aveeei, lettor, più lango apatia
Lo dolea hèt che mai non i^ aviia aaaio;
Pah. Di<aggaacliaBBa, a parò aon riagnale
«5* Ben suppUeo te a te, viva tapaiio,
Perchè mi facd del tno
M
SS
»
134
l'ir. Sappi di' l' ftii il Camidnn de* Pani,
:CI* P«m:ia vid" io mille visi cagnastl
E veni sempre, de* grlati guani.
vr.
21*
rra.
68
A Einier da Cometo, a Blniar Paiao, 19T
PiH ti rivolse, e ripasso «si il guano.
Coorinciò agli a dirw, a tu, Cagaaiao, 1 19
Libieuceo vcgna oltre, a Draghignattn,
E Farfarello, e Rubicaote pauo.
L' odor ab' asce iel pomo, a dallo aprano 0%
S3P I aaa pv oa falla, «Mrfa I
le dieo paaa, a darnP dir aallàao;
bir. D'AbalaoBflgUa,aqaanaailM,
4* Abraam patriana, a David ra,
E con Eachala, par ani tanto n^
Pvm. Lo dal perdei, cbaparnoa awfiP:
7* Qoal è colui cka caaa imaail n aò
Che creda a no, dioando: dPè, MB è*,
ìT Quivi paravi morto in Gdboò,
0 folla Aragna, al vedea io te,
Ddl' opera dia mal par ta ai fa I
tS* A lai di dir, lavate driUa la pie,
Modlmam, m mm widttitU mt,
IfMfiaHM, «r oM wléMOt me.
IHT. Tra' qnal eooabbl ad Ettore ad
4* Vidi Camilla a la Pentadica
Che con Lavinia ma flglia aadaa.
IIP E menommi al oaspagUo eba piasfaa
O Jacopo, dioea, da Sant' Andrea,
Che colpa ho io della tua vita raaT
90P Tede lucciola giù par la vallea.
Di tanta flemma tolte risplendea
Toate aha fU Ih 'va 1 fondo paraa.
SIP Ed ^11 a ma} Coaaa 'i mio aorpo ataa
se
41
t
t»
ISI
Cotal vanteggio ha questa Tdami
Innand eh* Atròpoa aHiaaa la dea.
'sa. Ond' ned 1 sangue, |i Mlcnal lo
«• n lini- il iiii III mhéìì ■Hill
AaaaiplòlhdMdilllaMB ~
D' aver negletto elb dha ftl
lidoUb imperador fc, Aa i
TI
92
fc, Aapalaa
SI che tardi per altri d rierta.
flP E, re D^mm lamdMtM, ad paraa 140
Tale iaugiae appunto mi randea
Quando a cantar can organi d sica:
IQP Disse a dolce Maaatro, che aa* avea 47
Perch' io mi moed col viso, e vedea
Onda m* ora cdul da mi movaa,
tflP Vidi gente per caso dia pianfca. Ti
jidktntt fùvùmmto amimm mem,
Qie la parola appena s' intendaa.
SI* Prima raggiò nd monte ateraa, 65
Olovana e bella in aogno mi paraa
Cogliendo flori; a cantando dieea:
Pab. Non è se non sfdeodor di quella idea S3
IIP Cile queUa viva luca che d man
Da luL aè dall' auMir che in Ior a' Inliua,
23* Un 8d che tette quante V aacandea, 'Jb
E par la viva Inca trasparsa
Nei viso mio, die non la aosteoaa.
M* Esaminando, gik tratte m' avea, < 16
Ricomindò: La grada che donnea
laalBo a qui, eom' aprir d dovea;
21* Di quaate duole; ma il Sol procedea, »c
La amate innamorata, che donnea
Ad eaaa gli occhi più dia mai arduo.
SI* Carte tra asso ali gaodte mi fkcea 41
E qaad peragria, aha d ricrea
E spera gih ridir eom' elio atea ;
ebbe
Inr. Di mia db, dova cUaeoa dovrebbe
27* Ciò che pria mi planava, allor aa*
Ahi miser lasso I e giovate MMhlb%.
Pca. DelU ml% V\\.%% «^ ^tmut wwl ^«r**»
l t2f* &• ah UiMl \0M»^ A\" % «fcWKÒ^vA
1^ coi &\ tM v« «jrvV%\%>a*x^"^
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VÌS»
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niHABIO DELL* MVIHA C
0* Di]mHB>K»U>>|Hln<>||lt. »
M* laida aoJar I DoapafaK a ri patHf |la TI
Ut. QoM tlamdHaiaal'aH*n({Iii: ID
ir PU laatmaM HD jnt, pH« di' H «Kla «
11' CdtbrilM«lillHlHiirimv>dU4lU>,'ili
OM I HHit», «a * ami (ki II tiiiiol
(• (■ u* II. iV )■ w IH H* Il •tiatll''
STU-TtlliWBlhinlHlIpittK iffl
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PU. U la: Nh%, panM lapaZIiM ••nl*«'
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DI U laxIiDili MriliUl Jl-fnfll
Ci* ia Mftga, . fòt. «r ik. 1 pn|i
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W ue^^af itlMU<ra.t«loIIrUt, !
0 DELLA Divmt COHKETilJl.
KjT B dLCD eV mM niiffldpr bI iqunU IL Iti
f Ouill • ii*« *•' «-frtU Iti mio.
IMpMBM •nallÒlUiJI Ma.
IN luMiUU gM it c«»a~ li «t» ;
!• «ubila il blb |>dlMD •< uilo
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[>, a Dtntiflli • dn quii (fU M
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' CMl tela adTi, • wn I * p>i<i «11.
QBItL letttdcUB Dame fru ii tftiU -,
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OiibU nun tlbut If m ni peli»,
li itiMl' •Un > pia • |4b (li imiu
■d^ntwc^ai-vM
D.U tlin. Il ata — '^■ii f^^
'°''''"™'f'<*»lll<*lH— »
RIMARIO DELLA DIVINA COmiEMA.
57
roL Seaa ai fi, Atfaennl MamoB*:
S* DbpoMto m' •▼•! eon li rat gHWMa.
W
ISU firn.
^VK. La (cbU dM pcrd* Grni«slfnime, 20
9F f «rcM r occliiaic aiwlla »rn/a grmiM:
Beo avrìa qaivi enno-rioln 1' fiiiuir.
fxn. farrva in prima d' ingigliarsi all' «finnie, 113
18" 0 dolce «trlla, qotli e quante anilina
Effetto »ia del cid che tu in^rmiiir !
IIT Di qsel di Spafcaa, e di qttcl di RormoM, 125
Vedra^M al Citittn di G«*niMlf iuom
Quando il coalrarìo aegiirrk wi anuM.
MBml
PCR. Ch' lo eaddi Tlnle, • quale allora femml, IO
SI* Poi, qoandu il cor virlà di four rradeniail,
Sopra ma vidi, e dicea '■ Tirmmi, (iemiDL
fAB. Cile qoeita fiuta piesioM Ingemmi, 86
W 0 froiida mia, in che io romplaennnii
Colai principio, rispondendo, fammi.
ir
Ond* lo a !«1: Lo itmio a 1 graada aeanpio
Tale orarioo ti far aal anatra tempio.
S<iTra Sennadierib dentro dal tempio, SI
MtMtrara la mins e il erado seeapio
8a«f«o aitiaU, ad lo di aaagna t' ampio.
M>plO
Del Qompararo e vender dentro al taa^ln, ISS
0 milbia del eiel, m' io contemplo»
IMti sviati dietro al malo esemplo.
In qnesto miro ed angalieo tempio, O
Udir eonviemmi ancor eooM V «aeapln
Cbè In par ma indarno a^sM eontanpld.
SS
Inr. E dicd paaai fcmmo in enllo atreaM
ti* E quando noi a Iri venati semo,
Gentr arder propinqua al loofo
'va. E d* ogni lato ne stringea lo stremo,
4* Qoandii noi tlimroo in su P orlo snpi
Maestro min, diu* le, che via farrnio?
7* Qnand'io m'arciirsi die i munte era
Cola, disse qarll' ombra, a' andcrcmo
E quivi 1 nuovo giorno attenderemo.
4|P Gridando a Dio: Ornai pia non li temo: 129
fare volli con Dio in su lo stremo
Lo mio dover per penitente scemo,
17* Si porga qui ÙH gim, do\e «emo? Il
Ed egli a me : L* amor dfl bene, acesM
Qni si ribalte il mal lardato rrmo.
Tt Rimase addietro, e la quinta era al temo, 110
Qoando 'I mio Dura : lo credo ch* allo atremo
Girando il monte lome far solrmo.
38* 8# forar a nome \n<ii «aper ehi seme, IO
Fa rotti ben di me volere scemo;
Per ben dulrrmi prima eh' allo stremo.
*k%. A giudicar; che n<ii, che Dio vedeaao,
20P Ed enne dolce così fatto scemo,
Clw qutl e'ie vocile Dio e noi volemo.
31* Con gli occhi \idi parte nello klrrmo
E otme qui>i, ove s' a<petta il temo
E qulnei e quindi U lume ai fa sceme;
empia
'AB. 5ark la compagnia malvagia e scempia,
17* Cl« tutta ingrata, tutta matta ed empia
Ella, non tu, n' avrà ma^a la tempia.
empie
iMF.
2r
Inr.
2t*
Pab.
Ta aentirai di qua da pkdol taapa
E aa gik Caeaa, nou aana por taape.
Ciw pie al fravarh, eooi' pffc ■> atlaaya.
Che 1 8eb I cria sotto V Aquario Uapta, 2
Qoando la brina in sulla terra asaempra
Ma poco dura alta aua panna tempra;
Muoversi, a render voer a voea In tawnri I4i
Sa nea eeib dove il gioir a*
Pvi. Ah!
Ili
123
Ttt. IWi tnremdo perb le lucerne empia, 422
35* Quel cb era dnllo y traaae in ver la teuipia,
D«cir gli orredii delle gole eeemple:
*CB. E cerca e tmva, e queir ulcio adempie 131
IST E ci»n le dita della de<lra so-mpie
QeeI dalle ditevi a me «opre le tempia:
*«R. Rivolta s' era al Sol ebe le riempiei, 8
gP Ahi, anime ingannate, fatue ed empia,
Driaaado la vanita le vostre tempie!
iplo
rr. Dimmi, ptnkè fati |>epoie « •• copio
SO*
tur.
5*
0*
itr
13*
15*
ir
2r
21*
SE*
rr
SI*
Pfi.
4*
\"
Il eantar dt que* che oetan
Ha poicbè teteai nelle dold tempra
Doona, perchè k b staospeuf
122
TIel freddo tanno, a acblera larga e plana ; 41
Di qua, di Ih, di giù, di oa gli mena;
Non die di posa, ma di minor pena.
Luogo se* messa, ed a ^ fatta pena, 4IT
Ed egli a me: U tua dttb di* « piena
Seeo mi tenne in li vita aerena.
Colui, che attende b, per qui mi
Le sue pamb e il modo della pena
Perb ta la rispedita en<l piena.
E poicbè forse gli fallia la lena,
Dirttro a loro era la aelve piena
CooM veltri eh' usdsser di catena.
▲mi r ulUmo di* quaggiù ti menaT 47
Lasso di seora in la vile serena.
Avanti die 1* etk mia fosse piena.
Poeo pie oHre vcggb in su la rena SS
Quivi n Maestre: Aerioecbè Inlta piana
Mi disae, or va, e vedi la br mena.
Ai marinar eon r ateo della sdibna, 20
Tabir eeal ad alleggbr la pana
E nascondeva in man che non baleoa.
Di serpenti, e di si diversa mena, 83
Pie non si vanti Libia c»n sua rena ;
Pnidnre, e rencri eoo lafedbena,
Piane per Indugiar d' ire alla pena, 1^44
Né nurte H gionae ancor, né otlpn B ■Hit
Mi. per dar Ini esperienca piena.
La vortra aeonala e fk'^Udima pco*
r IM d Aratae, ed Albero da Siena,
Ma quel perdi' b mnrT qui non mi
Verso *1 grafllar, che talvolta la aabiMB
Queir anima laa^ «ho ha maggior ncol.
Che il eape ha dentro, e fbnr b gamba ■■
Che m* avaedùvi un poco aaenv l^
Che a lui (ul iM^ àaab\%VrA».
DalT ornate AvlVVm ^ «m««
m, per \»« V WI&» «w» «^
\Vk
V4N
KssT.^rsi-rsr' "
'"*E^r?j::;;^'°S-'^riS
U BlIiJ^H^ <*■ piloti)
..K^-r.-^i.-nr..-:?-^
..S;>S^^""
FH IbhJHK iWU <<•' l9 <U» i M
U HDto, * IldH d' ori», ig « b>»l.
.S^BSTr
c«t).M,.M*<|il.l»»H..-*^
L'iU.IMl<n..Ì7lI«>lo«u>l.» 1
Ed i., M IIH.I ^ «K-'r«,Mfc
On4'un.p<»iQan|,l.i*iH
L. !»« dliuriJu, ^i. t», U ([Iti.
tSsSSS:';?-
Li Uifn, 4 fMU tatù II drliu»
B«AltIO DBLLA MTIIIA GOHIIBDIA.
14* Poi tanno ftUl mU procedendo,
VoM ebo (innM di eòntn, dietnle:
f i^ Per q/aeX eb' io vidi, di color, Tom
Tosta far Mvra noi, perchè eorrondo
E dou diaanii grìdavtn piangendo:
Par. Dt fieri lupi, ifnMlniente teta«Bdo;
4° Percliè, •' io mi tacete me non ripr— ia,
Puicb' era neees<(trto, né eomnendo.
It* Che pria ■' tven parlalo, lorridenda
Coi) com' io dd *mo raggio m' accendo,
Li tooi pentieri onde cagioni, apprendo.
fSP Già d^ atto in atto, tanto divenendo,
E qoetie conlingamo estere intendo
Con seflM e mbu umt il «icl
eae
iTir.
tr
3|o
roB.
I5*
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107
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3f
PAK.
T
r
14»
ir
ir
2;*
V altro è Oniio antire che vienn,
Perocché ciawnn meco ci eonvieM
FannMtti onora, e di ei6 fanno
Lo Genesi dal principio, convi
E perchè l' woricra altra via ticnn,
Dispregia, poie'iè in altro pon la
Tn credi die qui sin *l dncn d^ Ateàa,
Partiti, bettia, die oveeti non vìmm
Ma «asti per veder le vostra pan*.
Mi dlMo: Guarda qoel grande «hn tkna, 83
Qoanto atpetto reale ancor ritiennl
Li ColchI del nwmttn privati '
IH a fatti animali, as^ai fé
E s' ella d ele'^anti e di baleno
Più giuUa e più discreta la ne m.»,
Del tno oonjiiglio fai per alcnn bone,
Che le terre d' Italia tntU pi
Ogni vilUn cho pnrteggiando
U U itrb. td ella : L' altrui
Ond' eOi: Or ti conforta, che
Giustiiìa vnolei, e pietà mi riticat.
La mente p«re alle cose terrena,
QaeUo inflnit-» ed ineffabtl bene
CooM n Incido corpo raggio vican.
0 con men dte non dee, corre nel Imm, 101
Qnind comprender pnoi eh* esser naafieae
K d* ogni operatioo che mertn peMu
In alto. Isso alle cose lerrcnei, I IO
Come avarisit spense • eiascna
CoA gfanlttit qai stretti ne tiene
VoliiMr parte, e parte in ver V
V nna gente s«n va, 1' altra san Tiene,
Ed a gridar nha pie lor si con>ÌeM:
Clio ti menavano ad amar lo bene
Qoai fosse attraversate, o qnnl cnlmw
DuTrseìti toA spogliar U spene T
E falla dissimile ti sommo bene,
Ed in sna dignità mai non riviene,
Contra mal diMtar con ginsle pene.
Cotante effetto, e discemesi 11 bene
Ma perebè le Ine voglia tette piene
ProoBdere ancor oltre mi conviene.
Di gratuito lume il sommo Bene;
Onde U vision crescer conviene,
Crescer lo raggio cbe da esso visae.
Doke armonia da organo, mi
Qaal si parti Ippolito d* Atene
Tal di Fiorenu partir ti o
k corto recettncdo • quel bene
Danqne nostra vednta, cbe confiaaa
Di cbe tutte le co«e son ripiene,
Sovra la quel si fonda 1' alla speae,
E da questa crednsa d aonTlena
Prrb interna di argomento tiene.
Ei s' appellava ia terra il
80
107
47
44
SO
74
ÌÌ\
£ri si chinine pali • «ik «MfkBti
In rame, An aaa va, ed altra viaaa.
81* Creden veder Beatrica, e vidi nn 8aaa 89
DilAmn «m par gli eeeU a per la gmM
Qnnla a taaia padre si aaanaaa.
l!(P. Qnaado PeteaU abbandeab li ftnai, 107
ir Né qnand' Icaro misero la reni
Gridando U padre a Inii Mala ria tieai;
Pro. Ed un di anelli soirti diaee: Vieni 113
18^ Noi Siam di voglia a morerd A plaal,
Se villania noetra glnstiria tieni.
19* Vod t' Iw messe, dicea : svrgl a vlaai, SS
8n mi levai, e tutti eran già pieni
E andavam col 8ol nuove alle raod.
A voti manchi A con attri bMl,
Beatrice mi guardò eoa gli occhi pieal
Clio, vinta mia virtù, dioli le rcai,
Li moderni pastori, e chi li meni,
Caopron de* osanti lor gli palafreni,
0 pasiema, che tanto sostieni I
2r E gU occhi avea di lelixia al piaai.
Quale ne^ plenilnnil sereni
Che dipingono U del per tatU I lorf,
90* Vedi li aeeiri scanni al ripieni.
In qnd gran seggio, a dm tn gli
Priam ohe la a queste
Par
4*
2|«
187
181
131
81 levar eeato, md eoesns temi snU,
IMti dlceaa : Btiudiàiiu, fiUwtmàtj
Mamièms e tf ««• UUm pl4mi$.
Pai. Isara vide ed Era, a vide Beaaa,
r Quel cbe fs poi eh' egU ned diti
Che noi aegniteria lingnn né penna.
ir Qndla che l-wto aMverà la penna.
Li A vedrà U daol che aowa Senna
Qnal dm nwrrà di colpe di o ~
«■■e
17
SO
118
II
iRr. Lo eamiadar eoa P altre cha poi
r Ma aeadlmen paura il sao ^r dleaae.
Porse a peggior sentenda eh* d nea
ir Sk volli dir. ma la vece nea voae 09
Ma ceso eh' altra vdta mi aowaann
Con lo braccia m' avvinse a mi seeteaae:
2r Quando di maschio femosina diveana, 41
E prima poi ribatter le convenne
Cbe riavesse le maschili penne.
3S^ E di troppa materia che in là vaaaa, 129
Cih ehe non eorse in dietro, a d ritana,
E le labbra ingroasè quanto winvaMa
80^ Di Mirre aederata, che divenne 88
Questa a peccar con eaeo cosi veaae,
Come l' diro, cbe in là sen va, aoetenae,
PVR. Trattando 1* aere eoa V eteme P<nae| 83
T Poi come pie e pia verso vd voum ut-
Peretiè V occhio da preeso noi soilNli^
r U pioggU cadde, ed a' fossaU vflMR 110
E eome a' rivi grandi d convi
81 ndnb, ehe nulla la ritenne.
8^ Erano la veste, che da verdi
L' an po«o aevr* a noi a star A
S die la gente in oseaso d contenne.
24* Che U Notaio, a Onitlona, a me rileaaa 50
lo veggio bea oeme le vosIm ^imm>
Clm M\ik noAia cea^o wa %:«^«BaB*.
2r Parola n»b^ a m«\ waWm \\xw»*
VVi
1* k III [«■><°'; • 1^ tim*: I» •«(
Wl. riHito [. M»to ■»*.■■ ^M-W it H
r Timi» 1111 wUrtoit ' •«(
OH U rH» PhA MiwkM.
■ qa* I Mn-tm k iMl^
r rM>(yi_f^A'<iiLtitata,tri^
.lA COVHEDU. Il
1 iiwjw lirìiiii ■■■
In. amiitUiàK
fti-fc 1. Hm .IH*. ^ J» è) iiiKu
■ . — . .j- .
r fwMdnadbillltMate, «
r - ■ ■■ ■ rrf-..
\ VwKKSSfii
^
e (U •un Ha • £a hr pwt ir n
r LtKUa* lafir pvr lì invi ictu r*^
' tv 0 iW'rllcHH, eh* II' enfigli.
U* raHaanBMH>U,('liilb>d'iauÌ3>'-. ^
Orni ta" "icS*)! rtTl ""'"'
Ha ^ >' U hH> « £K^ ^i °^u :
tv* Hi pircbt n|ti ■•' d» <li » Jihihq, T I
TlII* COmiCMl.
T«il «H>1> iifU r k> ■«• **■
MI. «rt. M cìilW'W »<»
^ ^__ T«K <*. .• *jj« « i. .F _
Err*srs".sts s*s 5
»' »l.rt.Vii rHtfUiiwJI». ■
Qal Ito» 1* Il 111 un H l>K)«K
fi ck' io ne* H Intn •■«>> (^
>r It>U> Spini. «»■•,(*■ ^>^ •
a glni^ H.ll., , IBM finv
^Tr«lo,<ia.l«™n«..U^«^ _
w.iià^^tmaS^ut^
srS?.5sK,
.. ru., ^.u, "" _.«.'|
... ',*""•>— ■"-!?• .1
IU*<l>»(U««h
BIHAEIO DELLA DIVINA CUmEDIA.
faitao tlU l«ni«r«,
m il pailar cult cl<iv' en.
b* !• aiMi afrvi vi«l>t do\' era, 14
lae—timiinn d' anime aoa adiieraf
riava, oime tm»! da ^ra
«aar par la icallUia erra, HO
I ala, qsaodu ridi di' i' era i
Ma, fanr die dulia fiiTa.
la 4i ùo qoant è •e%era, 110 '
il dimaodù pni dii pkIì era : |
pu è, in quella (Illa fera,
ri, cune r orrihii il<>ra 59 I
piccar, ciimc di calda cara
aè r allru già parrà quel di' era : i
Ndrai dir, quel da Diiera 118 '
liaaandatii altri chi t tra, j
fé Fitiffvflia la RorKirra. i
piadi in IMI picdnla p^ra 116 I
uaii, qaaad» di U è vra:
BGpri, si ciiiiM priiB* era.
I ctNMKziim com' < Ila è vera, 50
NI vide mai r olUina «era,
0 pncii tempii a «ui^^rr era.
* quella clic ha 1' anima inlera: 11
ib' ki atprrifDiia vera,
rinqaania gradi «alitii era
1 t«ii arbitrio tanta cera, 1 13
I ella: 8c nuTella vera
1 a air, die kì* «rande Ti era.
«ucaM di qarlU riderà, 36
ra dia di ciò dimandala era,
e 'I Dome di tal \all« pera : i
cipiii del di' par della tpara, 3 ■
ir«%a kìj in «rr la «ra |
|j, a qai laeua nntta era. I
r cmniacianoi, la -pera S , I>p.
tua immacioe Irfgiera : ló*
n pria, che gij ari cwreara ara.
ide alla genlf di' arvera
fofve appar la eoa inaten
aarur cii« haaaa «ia la cera.
M a dakitar TaNa matera,
Imanda tini ered>-r ai' arvera
r qurlla ccrdiia dov* i» era :
•Ita di hir raaau tdiian,
a la Rfate cb^ lì era,
iRroxa e (wr vuler W^Klen.
itm a nn lame, die li era
14
17
V Tea porti, ebaaaa sala la qoaalaapava, Ilo
Ta f ani aapcr clri è 'a qarsta lantora,
Cuma ranfiii Jl iole in acqaa owra.
11* Pania del cardila, la che aranti ^ «ra.
Ed io «eaU* daaAri* a qodla loanera,
Incooiindaff, hecadoti più non:
13" Ed artedaa girani per maniera,
Ed avrà qaa J l' ombra della vara
Che circa lava il poato d >v' k> era ;
11* Nascerà aa laitni «ipra qoel dia v* era,
E A «Maa al aalir di prima vera
Sì dM la viala pare a nua par vera;
Iff* Diicew fifa da Fi* ole, a già era
lo dirò eo«a iacradiMle a vera :
Clw al aomava da qoei della Para.
18* U afaviUar dell' amor dw h ara,
E eaac aa^lU sarti di riviera,
Paanodt uè or loada or looga icUara;
27* 5* adampiork ta ta l' ulliata «pan.
Ivi è aarCalta|Mlara ad ialera
É ogat patta n Aira aempr ara :
37* I.a BMidra aaa, die, eoa loqnela tatara,
Girt «i fa la polla bianca, nera.
Di qaai che apporta aaaae a la<«la aera.
28" Piò lardo al OMvea, secondo e l' era
E qaelo avaa la flamiua piò •incero,
Ciwdo parb dia pia di lei •' invera.
90" Tale, dw aalla laee è tanto mera,
E vidi laM ia forma di riviera
Diplala di arirabii primavera.
33^ PanliPla gaardatsl ia savo; ma la ara
Che la aria fiala, vcaeado aiacera,
DdP alta Iwa, ebc da sé è vera.
123
71
63
131
35
50
SO
Gcala avara, tavidiona • aoparba:
sor II serba.
m
35
PCB.
Il*
m va, sucKiunv, a viea la sera ;
•Mr y otridriile fiiin •' annera.
1 lei, venxi qoe^ta rìvirra,
li rimeiutirar dmr e qual ara
e lei, ed rlla primavera.
« a ^irtù crv«ciuU m' era,
, paati »iKii per \n n<»a vera,
a prumU«ii>n rrnil-mu ialera.
air ice vnlla in mi la Tirra,
I velli, ni oilri* U mirra
:ha r altre qui quaml ella c' era.
[lervcclie i:ij nr^li ucclii m'era
•ayi in sa la ti rra vrra,
r vidi alla biloriur (ifra.
giuuia, a la mondana cara
va di \* mane e di qua sera
Biiperiti, e 1' altra parte nora,
rgna, il iiridu drija spera,
it* IO dirittu alla luniirra
più a*«ai di qui-l eh eli' era.
ia>ti>rr, alla («^K* siartra
rdctti, e no die «uo dir era
IraddiAione e falsa e vera.
La laa fcrtaaa laato oaor li serba.
Di ta: Ba langi ia dal becco V erba.
La rabbia Bornlina, cho taperba 113
La vusliB ■oariaaaaa è color d* erba.
Per cai tf* eaee della Irrra acerba.
29 3(r Ma vefgeadoail in e<4o iu trassi alPafba: 77
; Cosi la audra al figlio par soparba,
' Seala il aapor della nietatn acerba.
65 Par. Qaai al fa Glaac-> nel guatar datT erba, OH
, I* Trasaanpar aigniScar per verba
i A cai avparleasa gratia serba.
riU ■ 11* !«iaUa praaaaaa del Soldaa naperba Ifl
E per Irovara a coa^ersione acerba
Ecddtaai al ballo ddl' italica erba ;
erbe
Ptn. Ch'aidraM od cscooo, e U rider dair erbe 77
3ir Noa dia da aè sica qae^la com acerbe,
I Cha aa« hai fiata ancor laato sapcrba.
i7
1:^
80 :
. I>p. Diaaad palTawa va ■aperbn, 71
0* Gli oodil mi kIoIw, e diisc : (>r drUaa il aertio
'.Ki Per iadi ava qprl ramino é più acerbo.
SI* E panala ad parca adi allo acerbo,
L' aosan sdo, cb' era acato e «uperbo,
il . Ed d leaca da' pie giierroito il nerbo.
35* Spirta mam vidi ia Dio tanto superbo,
Fi sì fiaggl, die ima parlò piò \rrlio :
V2% Venir gridando: Ov' è, ov'* l'acerba?
, Pia. eia si godeva iolu del mi«i verbo
iV* Im auo, tcmpraado il dolce oia 1' arerb>iv
1 : 1'/* In tutto r aaivcno^ cW A v»« %«^te
K ciò ta en\» dAAvX ^r«kuS«^«^M^
^ Ver MA aaisA\%t VasM « t.%^4A %xKte%'.
3J
11
I
sx
«■UÓte <ca>^, ^ pAiu ^^Jt^
RMARIO DELLA DITIRA COHMBDlà.
47
SQP MoMiai, • 0 Dms sin ti MOMe pffU
CoiM li T« par muro ftretlo •' ntrlt;
nra. Tedrai U •taigliaDt* m amila InfenM, 449
0^ Ma GOD dtr volta mm dulora admoM.
ermi
iRr. r«rd)è un al mosae, a gli allrì ttettar (anni; T7
24* Cr<>cli tu, M alac^da, qui cedermi
Srcarw già da tolti i voatri Klxrmi,
PVB. Clic, della titta della naenta infrroii, 122
4€^ Nun t' accurgele voi, cb« noi kian «armi
Che vola alla gioatiiia tenia «cttcroii?
Pam. Ver me ti fece, e il »oo voler piaccnni 14
IT Gli ocelli di Beatrice, eh' aran Canai
Al Olio diate ecriiOcato (Sanai.
in. Ddr oa de* Iati fanno aU' altro adiarm;
4* Qoaodo ci aeoTM Cerbero, il gran vanM,
^un avaa Beaibn» cbo tcneaae fenao.
4S* Clie t' e giovato di ne fare adieraMt
Quando '1 Maealro fa aovr' etao fenaoi
Sodi cui tangao dnloruee temo T
V^ Finae in Egina il popol tatto iaferaa,
CIm gli animali, inOno al piccii4 veràa,
Secondo cba i poeti bamo per fenae,
Ditollo al qaale è conaecrato oa
Coal riciiaiiaciuainii il ter» aaria \
Al aarvigie A Dio ni (ei al (enaoi
l>4
ram.
21*
1I9
tt
Inr. La cara e boooa iaagine patema
io* M' iDMgnavatc come V nom a' ctmu:
ConvÌ4fa cÌM> nella mia lingua %i aeeraa.
28^ Pi:m1 con mano a gaiaa di lanterna, 122
Di I» facci a a ae stcaao lacerna,
Cnm' caaer poó, Quei aa cbe al governa.
33* Da un dimonio, che poscia il govenn 131
ivila raina in al fatta dstrrna;
Dell' ombra che di qua dietro al vana.
PcB. FuKgitu a«ete la prìgi»ne eterna? 41
4* Clii «' lia guidali T o dii vi fa Inerma,
Ciie tempre nera fa la valle infema?
3Qf Sorgrran pretti ognun di «na caverna, 44
Colali, in aa la divina hattcraa.
Mini»! ri e met*aggier di vita eterna.
31* A lui la borea tua, u die di<cema 437
0 i<tplcnd«ir di vi\a lane rima,
Si di ParaaM, o be«ve in tna dttena,
Par. S"!, riguardando ndla luce eterna, iO
II* Tu dulibii, ed liai voler che ti riceraa
Li> dicer mio, eh* al tuo «eniir ai tti-nUf
lir Tanto, che tot» prinripto non diaccraa SS
Pero nella giu«tiiia aempitrrea,
Oim' ucciiio per lo mare, entro a' interna;
21* Pfntc al eon«iglio die il mondo governa, 71
lo seggio bea, diat* io, aacra loccma,
Ra^U a teguir la provvidroxa eterna.
28^ In questa primavera aoropitrma, 416
PiTprtualemrnte (Henna ««erna
Oidini di letnia onde t' ialrma.
9Sr Clie i»^^ Dìo ««ma almo governa, 422
Nel giallo della ro«a «•mpilrraa.
Odor di li>de al Sol die fwmpre vena,
33^ Ficcar lo «■«•• per la luce eterna t3
^el tao prufoodu «idi die «' interna.
Ciò dia per r aaiver>o ai aqnaderaa ;
PCI. Gli Aaairl, poi dw te morto OlateM,
12* Vedeva Thnia in cMcre a In «avcRM:
Moainva il aegao die II ai diaeanal
14* Moairandovi le aaa bellase etana.
Onde vi balle dii tatto di^ecrao.
Par. Virtà di carità, die fa voleraa
3* Se ditiaMÙmo caaer più aoperaa,
Dal voler di colai die qui ae cena;
7* Multo ai mira e poco ai diaeena.
La divina bontà, die da aè aperaa
SI, che diapiega le bellane eterna.
8f E come la voea voee ai diacene,
Vid' io in caoa laee altra laceraa
Al mode, cnde, di lor vltte etetaa.
SS* Trivia ride Ira le aiate elerae,
Tid' io, aopn migliaia di tanraa.
Come fa U aartro le viale aapena;
28* La mente, aaModo, di riaKua dm
Tal vero allo latelletto aiio atema
Di latte la aaatantie aeapitema.
eral
IHP. FtstUm lUrt» Pf9é*umt Infermi
»4* Ditte ì Ma«*lro mio, aa tu 'I di
Par. Novallameala, Amor, elie II del geveml,
4* Quando la raòla, die tn aempiterai
Con V anauaia die temperi e diaaarai,
21* Paaaa che ia lem aua è chi gevval ;
Ma prima che gennaio tatto ai aveni,
laggeran al qòcati eardii aapani,
SO
440
71
47
l>r.
4*
aeU'Iafena,
7*
4W
440
TI
42*
47
Fm che P avrà rii
Oad' le per le tao BM* paaao e
B trarrotli di qoi per mogo el
Là entro eerlo nella valle cerno
Poeterò. Ed H mi ditae : Il A
Come la tedi ia qoetto baaee iaferao.
ar i' diaerd qaaggia ad baaao iafam»,
Ma eerte, poeo pria, te bea diaearao,
Levò a Dite del eerdiie aoparao,
21* Che fecar di Muatagaa il mal gaverao.
Le città di Lamone e di Santcrap
Che mata parie dalla ttate al mao:
SOP C>»e famaa come maa bagaala U
Qui li trovai, e poi volta noa
E aun credo die dicao ia acmpilemó.
Fra. Noa vid' io diiaro ai, eom' io diiwraa,
4r Che '1 mcaao cerchio del aaolo ai
E che aempio rimaa tra 1 aele e il
8^ L* Aagd di Die mi preae, e qaal A
Tu te ne porti di coalai l' elerao
Ma io farò dell' altto altro governo.
2S* Che, qaaalo darerà l' ato oiodenao,
O frate, diaae, qae«U eli' io U acirao
Fu miglior fabbro dd parlar materaa.
27* Fu corta, e famuo in tu 1 grado «aperaa, 43S
E dìMO : Il temperai Aaeeo e l' eterao
Ov' io per aw pia dira non ditcoraa.
Paa. Latin, riapoae qarll' amor paterao, 8
47* La coatiageaaa, che faur del qaadoraa
Tolta è dipiata ad colpetto etemo..
2lf Di che ragiono, per 1' arco aapenO| SS
Ora coaotce dw il giudiau eterno
Fa craatiae laggiù ddl' edicrao.
404
413
IM. CV éV ta A(àX a\m% Vj«n% % 4à iw*\ h -^
* T La«|aaAa,%Vk V'aJkaV*'*'*»*^^'*'"^
DIVARIO fiELU n
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f Blr^ft Urna Min t.^n^
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P •KHUrMwKU.riM.lihi». tJ
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hiT. tal frvUa ttm», I Hhlfn Utìi « fimo : 41
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■«•Ciliil, (Minn<>h,HrWiÌÉHH<, B
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iil.ll>latwK.rlaMa<KU-a.
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CiJiBla U ptin a lali mia ala IM -,
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l:ir. Nfouido la riniitra innuui spcMo; 83
9^ Beo m' aceoni di' egli era del etel bimio,
Cli' io steifi cheto, td inctiinatsi ad ees».
17* Farem noi a Cliiron ooatà di iiretio: 65
Poi mi tentò, e diete : Quegli è Nesae,
E fé di eè la vendetta egli tlcsso.
'2ir Di taa lezione, or penta per te at«Mo,
Quando la nostra imagine da preMo
Le naticlM bagnava per lo fetao.
'lif IliC4>niinció lo apanraU* appresso,
Ma slicn le male branche un poco in cmsh,
Eli io, seggendo in questo loco stesw,
'JST Lo tempo • piioo ornai elw n' e ounceaao,
Se ta avessi, rùipos' io appreasp,
Forse m' avresti ancor lo star dimaaao.
33" Tutto quel giorno, ne la notte apprctso,
Come un poco di ragi;Ìo si Ta messo
Per qaattro visi il mio appetto stesso ;
Ma per la sua follia le To si presso,
Si come i' dissi, fai mandato ad esso
Cile questa per la qaale in mi sun airaao.
E tutti gli altri che vrnieno appresso,
Sema vostra dimanda in vi confesso.
Ter che il lume del s«>le in terra è feaao.
Perch' io varcai Virgilio, a fe'mi praaao, 53
Era intagliato 11 nel marmo stesso
Pi-rciie si teme vfBcio non oommeaao.
Che il mal che s' ama t del prossimo, ed aaao 1 13
j'i chi, per ef4er sno vlcin sopprcsao.
Gir el sia di sua grandeua iu ba»so iMSfo.
Per poco amor, grtdavan gli altri appreaao; 1U4
O gente, in cni fervore acato adf«so
Da v«)i per tepideua in ben far mesto,
Dianii non er io s«»l; ma qai da proMo 123
><ii rravam partiti già da esso,
Tanti>, quanto al pcder n' era penneato;
E nv'ì venimmo al grande erboro ad aaao, 113
Trapnofate oltre lienia farti preaeo;
E questa pianta »i le^ò da esw.
Anime «ante, il fuoco; entrate la
Si diHfr come noi gli funimo presse:
Qaal f colui che nella fossa è mesoo.
\i-nuta prima tra il grifone ed eaeoi, 8
E un di loro, qaasl dai del moMo,
Ondò tre volte, e tutti gli altri appresto.
VkH. Dinanii agU occhi tal, die per te slaaao 99
S ' lo t' Ilo per certo nella menta mesao,
¥> nirclic sempre al primo vero è pNMo:
7" Si alto e SI magniUco precesso, 113
Clif più largo fu Dio a dar m stcaao
r.lK* n egli ave^M sol da sé dimesso.
17" Si farà c«intra ir ] ma poco apprtaao 68
Di ^111 bentialitate il suo processo
A^«rti fatta parte per te steeau.
vf* Allo >tremo del mondo, e dentro ad «sao 41
>on pt'teo san valor si fare improsao
>i>o rimanere in infinito eccesso.
'H* Trionfo, per lo quale io piango spiato UH
Tu non avresti in tanto tratto e
Glie s^goe il tauro, e fui dentro da
TP Parrrbbo luna, lorata eoo esso, 20
For^ ciitanlo, quante pare appretto
Quando il vapor die il porta pie è
.yf* Parava in te, come lume relleòao,
Dentro da se dei suo c«>lore stetso
Percba il mio viso in lei tutto ora i
I M. RuppcaBÌ r alto toaao Beli» latta
i *•
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PC II.
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98"
99^
V
Paa.
14"
Cnmt pcrsoaa tkt ptr itna è tota:
Clw mogglila coma fa Bar par totapatlt, 3(>
La bufera iafanial, eho mai non rtttt.
Voltando a pcreotendo li molesta.
Guardommi un poco; e p4ii chinò la toata : Ifl
E 'I Duca dista a me: Più non al datla
Quando verrà la nimica podestà,
Ha non perù di' alcuna sen rivesta: lUt
Qui le strasidnrreiuo, e per la metta
Ciascuno al prnn dell' ombra sua mola-ta.
Mentre eiio torai parlerò con qoeata, 41
Cosi ancor su per la strema testa
Andai, ove sedea la gente me»la.
E com' ei giunse in sulla ripa setta, 65
Con quel furore e con quella temptata
Che di subito chiede ove s' arresta.
Come la madre di' al roaaor* è detta, 38
Che prende il figlio e fugge, e non i* trretla.
Tanto che solo una camicia vetta.
Se non lo far: che la dimanda onetla Tt
Noi discendemmo il ponte dalla tetta,
E |ioi mi fu li bolgia manifciita:
E gli orecchi ritira per la testa, 131
E la lingua, di' aveva unita e protta
Neil' altro si richiude, a '1 fumo ratta.
I^vò 1 braccio alto eon tutta la tetta 128
Che furo : Or vedi la pena molesta
Vedi s' alcuna e grande come quetta.
Carlo Magno perde la santa gesta, 17
Poco portai in ìk volta la testa,
Ood' io: Maestro, di, che terra è qottU?
Quando vidi tra facre aUa ima testai 38
Dell' altre due, dia s' aggiuttneno a qaetla
E i'i giugneiio «I laogo di-lla cresta,
Addiissandosi a lei s' ella s' arresta, 8:<
Si t id io iiioYrr, a venir, la teata
Pudica in faccia, e nell' andare uaatU.
>ave senta nocciiieru in gran tempaatt, n
Qoell' anima gentil fu cosi pretta.
Di fare al cittadin suo quivi festa;
Ti fia chiavata in uieno della teata 137
Se corso di giudido non s arresta.
Andava, cominciò: Driua la texta; 77
Vedi colà un Angd dio t' appretta
Dal st'rvigio del di' 1* anodla testa-
Quando una doaaa apparve aaata e pfutta 96
0 \irgilto, Virgilio, chi è questa?
C«>n gli occhi fitti pure in quella
Per la i-agiono ancor non maiiilccta
Ed ecco del profondo della to^ta
Poi grido forte : Quel graiia m' è
Venia gente col tiso incontro a
Li veggio d ogni parto farsi pretta
Sema ristar, coutente a breve fetta.
Di t' altro vuoi adir, eh' io venat pretta ti
L' acqua, diss' io, e il suon della Ibffttlt,
Di cosa, di' io adi' contraria a quatta.
Da tutte parti per la gran fwresta, 17
Ma perdit '1 balenar, come vieo, retta,
Nel mio pensar dicea; Che cirta è qaatta?
Or dalla rossa, e dal canto di quatta 19H
Dalla sinistra quattro (aoeaa fetta,
D' una di lor, di' avaa In ocdti ia latta.
Velala sotto 1' angdica fetta,
Tultocliè li vd cbo lo aondea di
Non la laadaaaa paror aiaaifaeta ;
Del minor cordilo una voce modeata.
Risponder : Quanto Ha lunga la Cnta
8i raggerà dintonio ttcA»\ -^tn^^.
Vet \a caiuA ttì % \«^ % mia.'e»«^^%^
•s
35
"tf^
mMARIO DELLA DIVINA COMMEDIA.
S5
MaUvft Ì0 Mne» Mpttto di dlettro :
SO^ Tirtnalneiile, cb' ogni abito dntro 116
M* ttnto pie maligno • più tiUeitro
Qaant' rgU ha pia di buon vigor termlro.
Al. Scalzasi Egidio • acalusi Silvestro 83
II** Indi tea va quel padre • quel maestro
Che già legava 1 amile capestro ;
età
il
w
hr. Vestite gi^ de' raggi del ptaneta,
I* AUor fa la paura an poco qucta.
La notte, eli i' passai con tanta piéU.
4* Onorate V altissimo Piicta :
Puieliè la voee fn restata e qneta.
Sembianza averan né trista né Uet«.
7* Con r altre prime creatore lieta 95
Or discendiamo ornai a maggior pidl*.
Quando mi mosd, e '1 troppo star si viaU.
«4* Diss* egli allora, cbe s' spjiella Creta, 9S
Dna montagna v* è, che già fu iiaU
Ora è diserta eooio cosa vieta.
18^ Di Gerienf trovammoci; e 'I Poeta 90
Alla man destra \idi nuova piéla;
Pi clic li prima bolgia era replrla.
i8^ E guarda mb la mal tolta moneta, 98
E se non fosso eh' ancor lo mi vieta
Glie tu tenesti nella vita lieta,
39* Me ptà d' un anno la prcow a Oaala, 98
Né dolcezza del Iglio, né la pidU
Lo qual dovea Penelope far lieta,
27* Già era dritta in su la lamma a qjMta 4
Con la licenzia del dolce Poeta;
Po a. E veagonti a pregar, disse '1 Poeta; 44
5** 0 anima, die vai por easer lieta
Venian gridando, un poco il passo fwla.
14" Ed ailor, per istringermi al Poeta, 140
Già era l' aura d' ogni parte qoela,
Che dovrla V «om tener dentro a saa Mala.
•2\* Non so qual foMO più, trionfo lieta 14
8t disse prima, e poi : Qui non si viola
Nostra sembianza via per la diala.
31** Quando vodea la eoaa in s4 star qaeU, I2B
Mentre die, piena di stapoea e Uola,
Cile, saziando di sk, di se aaaaU;
I' «a. Per trionfare o Cesare e poeta, SO
4" Che partorir letizia in s« la lisU
Peneia, quamle alcun di s4 aaaala.
n" Da indi mi rispose tanto lieta, 80
Frate, la nostra volontà quieta
Sol quel cb' avemo, e d* altro ma d anata.
5" Prrroote pria die sia la corda qatto, 83
Qiii\i la Donna mia vid io si lieta,
Clie più lucenti» se ne fé 1 pianeta.
12* Della fede cnsUana, il sante atleta, 18
E c«)nie fu creata, fu re|>leta
Che nella madre lei fsee proCata.
15" Con perpetua vi»ta, e che m* asacta 88
La voce tua sicura, balda e lieta
A die la mia risposta è già decreta.
iV Induce, falseggiando la moDeta, 148
Li si vedrà la superbia eh' asseta,
81, die non pub soffrir dentro a sua
'J7* incominciò, ridendo, tanto lieta.
La natura del mote cbe quieta
Quinci comincia come da sua aeta.
•te
t%T. CsuM r dico fa, che per la ade
3QP 0 vd, che scasa alcuna pena side
Diss' e^ a od, guardate e attendete
frn. Ver noi, dicendo a Boi: Se voi sapete,
2* E Virgilio rispeic:Tcl«aMc
Ma nd sem pcregrln, come Td
8* Che questi è corpo umao ehe vd vaidi.
Non vi maravigliate; ma etedda,
Cerca di aoverebiar questa parale.
1* Posdacbè l' accogliente onóte e Ueb
Sordel si trasse, e disse: Vd chi slaUT
21* Tanto dd ber quant' è grande la ade,
B il savio Duca : Ornai veggio la rate
Perchè d trema, e di che coagaodde.
28° Cbè tutti questi n' hanno maggior ade
Dinne com' è die fai di te perde
Di morte entrato dentro dalla reta.
Sy* A disbramard la decenne sete.
Ed esd qdad e quindi av4n parale
A aè tradii con l' antica rote;
Pa>. Non 8^ aoradraron, ceoac vd fatela,
T La concreata e perpetua ade
Vdod «masi come U dd vedale.
8P D* «n gira, d* na girare, e à aaa mè§,
Fot th» imttméuié» U Uno dei momlti
Non Be roea dolce an poco di qaida.
2i* E roratdo alqaanlo : Vd bevete
Cosi Beetrice: e qadle adaM liete
Piammewdo Carte a galea di
etl
Pub. BwI la BgUa di Tiieda. e TcU,
22* Taeevand aabedae già fi poeti.
Liberi dd salire e da' pardi;
eto
«t
T4
17
113
Poi. la eaa prasaarien, se tal(
8* Vedi oramd se ta ai pud far
Cooe m' hd viale, ed eneo eeU dii
40* D* iaUgU d, ehe aoa par Pdidde,
V angd cbe venne in terra ed deereto
Gh* aperse U Cid dd sae hugo divieUi
Che se vedale avcsd aoai farsi liete,
Di aaia semeaia colai paglia miele.
U V è laesticr di censorio divieUT
Che dò noi seda, ma, scasa decreta,
440
44*
90*
O Signor mio, quando sere io liete
Fa dolce T ira tua nd tao segretel
tP E sappi ehe, d tosto com' d fde 88
Lo Ifolor primo a Id d volge Ude,
Spirito aaovo di virtù replcte,
Psa. Dd sae laam fa Udd sempre fdde, 499
4* Ed ora ù, usa' a dio decreta,
Che d« cbe acocea driasa ia aegne liete.
ir Ed aacor saria Borgo più quieto, 48«
U casa di die aaeqaa U voalro Bete,
E pedo Bae d veatra viver Ude,
2!1* Dd aaagae mio, di Lia, di qad il CMe, 44
Ma per acqaisla d* osto vivw Ikte
le
chiara giù di pietra ia pidra, »
d cdlo deUa cetra
ipognavent
etri
80
Pvi. Al ea, ad A, e se vnd di' le t* faMdri
49* Ed egli a me: Perahè i aeetri dlraU
SàMM fooé 0go fui sucssssor ^*< _^
Paa. a che, gaardaado ^sav^Vià^ iimii#i^
i ir Veram«rt«,ahWn«V%V wtvl^»^
\K1
I
I
i mutino DELL* Divnu
Nnli'lg osa tMi U fi^fH aln. Sbai\ui, pwHlUbM
r>. Fi'lu'nTS'lOUItHe
N(H Minto CfiilD, pv i' tfptllnH 17
Kurt* iKtatU 9v m inltinu,
Pw* ani nbkv (Il Hdil 01(4 H'°»
> UqU, d» li « EirùXmBi
«■1 il n«l> talli « p.r~M
:av
RIMARIO DELLA DIVINA COMMEDIA.
57
fvt. Cbt, qumi» DomjiUn li pcnefMlU, 81
Vr B nnilre cb« di là per me ti ttclU,
Fer dispregiare e me toU' eltre sette;
24* Dirctro ai dillator tea vanao itrelte, S9
E qaal pia • gvardare oltre ti aette,
E qoaai contentato »i taeette.
25* Per l' altroi raggio clie in tè li liBelle, 92
Cori r aer ticia quivi «i mette
Virtualmente V alma d»e rittctte:
28^ Pro^rpina nel tempo ette perdette 80
Come %i volge, con le piante strette
E piede innanzi piede appena mette;
2r Melle figlie d' Adamo, e benedette M
Poscia die i fiori e 1' altre Trcsclte erbette,
Libere fnr da quelle genti elette,
83^ Et iunun, sorelle mie dilette, 4 1
Poi le si mi->e inoanxi tutte e sette.
Me e la Donna, e il Savio cbe ristette.
Pak. Non vanno i lor pensieri a Nanarette, 137
9* Ma Vaticano, e V altre parti eletta
Alla militia che Pietro segaette,
Itf* Le lor figure com' io V ho concetta; 86
Mostrarsi dunque in cinque volte sette
Le parti s) eoroe mi parver dette.
aor' CU' io vidi le duo luci benedette, I-M
Con le parole muover le fiammette.
25** Ancor ver la virtii cbe mi scguette 8')
Vuol eh' io respiri a te, die ti dilette
Quello cbe la speranza ti promette.
29" CM né prima né pearìa precedette 20
Forma e materia congiunte e pursilu
Cune d' arco tricorde in saette;
etti
17
iMf. Comincii>'poi • dir, son tre eerchietti
II" Tolti son pien di spiiti maledetti:
intendi come e percliè son costretti.
14* Ma, com' io di.si lui, li suoi diipeUl TI
Or mi %ien dietro, e guarda die non aelU
Ma tempre al boncu li ritieni stretti.
23* Si li notai, quando furon eletti, 88
O Rnbìcante, fa die tu 11 nictU
Gridsvan tutti iAMeme i maledetti.
27" Domandommi consiglio, ed io taceiti, 96
E |wi mi disse: Tuo oor non sospetti:
.Sì come rcm^trino in terra getti.
32" Valsimi a' piedi, e vidi due *ì slrelU, 41
Ditemi %oi, cbe si strìngete i petti,
E poi eh' ebber li vi«i a me eretti,
Poa. Deir alla ripa, e stetter fermi e stretti, 71
T 0 ben finiti, o già spiriti eletti,
Cli' io credo die per voi tutti s' aspetti,
ti' Per cupidigia di costa distretti, IDI
Vieni a veder Monteceki e CappeDclli,
(>j|or già tristi, e costor eoo sospetti.
2i* Perdiè VirgUie e S^e-ie ed io rìstrctU, 419
Hicordi%i, dicea, de- maledetti
Teseo combatter co* duppj petti;
l'AH Però n' è data, pcrdM fur negletti M
3° Ond' io a lei : Ne mirabili aspetti
Cbe vi tra«muta da' primi eoneettU
tf* Produccrcbbe si li suoi effetti, 407
K ci6 esser non può, se gi' iuiaOeUi
¥. manco il primo die non gli b« perfetti.
W* K la ratlice tua da <]ue|li ••petti ai
E voi, mortali, tenetevi stretti
Noa cono«damo ancor tutti gli eMIi:
:i * Di paradiso, e 1' una in quegli aspetti 44
Cerne sabito lampo cbe Ai^^fHì
VtU'Mlh l' oceliio di più torli obietti ;
IC
I!»*
42»
\
Inr. Cortese I te, pensando I* atte alMIo, 4T
T Mon para iadegno ad oone à' lateUelte :
NdF empireo del per padre elette :
8* Qui si convien lasciare ogal sospeUe: 14
Noi sem venuti al loco ov' io t' be detto
C hanno perduto U bea delP inUUetle.
5* Del nostro eoaor tu hai cotanto adattai, 421
Noi leggevamo un giorno per diletto
S.ili eravamo e seni* eicnn sospetto.
9* Quella, die piange dal destro, è AUtlo: 47
G>ir unghie si fendea ciaacana il petto ;
Ch' i' mi strinsi al Poeta per soepotto.
4 (li* Desteto m' era, non mntò aspettO| 74
E se, eontinuando al prisao detto.
Ciò mi turmeata pie dio qaeelo Mlow
42* E '1 mio buon Duca, che già gli era al pollo, 88
Rispose : Ben è vivo, e al aoletto
Neoeaaitk 'I e* induee, e non diletto.
44* E puro argento oon le braccia e ^ p«ll0| 407
Da indi in giuae è tutto ferro eletto,
E sta io su quel, pie ubo hi sa T altro, «tlto.
45* Ficcai gli occhi per b eotto aspetto 28
La conoscensa saa al mio iatdletto;
Bispoei: Siete voi qai, ser Braoetlot
Clie si divalli gib nel basso letto, 96
Riiubouiba U sovra San Benedetto
Ove dovrla per mille esser ricetto;
E poi clw tutto sa mi s* ebbe al petto,
Ne d ateneo d' avermi a eè ristretto.
Glie dal quarto al qnint' argine è tragitto.
23f Ma quei pie, che cagion Ai del difiUo; 428
Ma poco valse: die l' alo al aeeprtlo
E qnd dritto, volando, anse il petto:
23^ Portandosene me sovra 'I sao petto.
Appena furo i pie suoi giaati al lotto
Sovresso noi: me non gli ora seeaoUo;
28^ Di multa lode, ed io pwò V aceetto;
Lasda parlare a me, eh' V ho ceocatto
Perdi' e' fur Grcd, forse dd tao detto.
28^ Goerdommi, e con le man s* aporao il petto, 29
Vedi come storpiato è Maometto.
Fesso ad vdto dal meato al eiaflaUo:
Clio s* accoglieva ad sereao ntpotlo 44
Agli ooebi and rieomiadb diletto,
Cbe m* avea coatristaU gU occhi e n petto.
2* Per abbracdarmi eoa d grande alMM, 7T
O ombre vane, fuor dio nell' aspsAlo !
E tante mi tomai eoa eeae al petto.
8^ Bioado era e bello, e di gentile aapetto ; 497
riand' i' mi fui nmilmate disdetto
mostroasmi noe piaga a somme Q petto.
6" Noo M ammcadava, per pregar, dUetto, 44
Veramente a cosi alto sospetto
Che lume fie tra -1 vero e l' intelletto.
7* Par con colui e* Ita si benigno appetto,
Guardate Ih, come d batte il petto.
Italia saa palma, sospirando, letto.
40^ V(>i dete quasi eniomata in difetto.
Come. |*er sostentar solaio o tetto.
Si vede giunger le ginocchia al petto,
>un li lia grave, ma fieli diletto, 13
Poi gianti fammo all' aagel benedetto,
Ad un scaleo vie aica che gli altri entte.
Mal* altro paoU errar por malo aUtelto, 95
Mentre cb' egli è no* pnmi ben diretto.
Esser aoa paO eacien ix vm\ 4£d«K»»\
ttk %\ A\mM\T% tA% Ocwa \« ^«NNjk
Petii^U ouAa i«<|jku\tt\v(VA\*>Ntt
80
74
Pvn
4*
4IM
49
45"
47*
48*
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MT1NA COMHRnU.
RIMARIO DELLA DIYIlfA COMMEDIA.
S9
Pik eonfcanMlo, o qnd eh'el più apprcna.
1C° Voi mi 4»tc • parlar tolta haldem,
Per tanti rivi a' empi» d' allrgnnxa
Perette può sostener che oon ti >pena.
2(* mente daniandu, della foa riechena
Di quella cir io nutal di più bellena
Che natio ti lasciò di più clilarena;
25** Inclita vita, per cai la largìietza
Fa rì>mnar la Speme in qiie>la altana;
Quante Ge^ù a' tr« fé più cliiarana.
27* Dell' anivi*rH>, pcrcliè mia elibrcna
0 gioia ' o inéuabile allegreiia I
O M-nu brama ticara ricrliena !
29^ Segue V atTelto, d' amor la doleana
Vedi r eccelM oaai e la larghessa
Specoli fatti a* ha, in cita »i «pena,
90^ Si grande lama, qaant' è la largbeàta
La Tinta mia nell'ampio a nell' altana
Il quanto a il qoale di quella allegrata.
32' Più a' assomiglia, etw la »aa cliiarcna
lo vidi aovra lei tanta allrgreaa
Creata a trasvolar per quella allena.
I :« r. Grand' arco, tra la ripa secca a 1
7" Venimmo appio d' ona torre al A
<(r Latriamolo II mom, a gimmo la ver lo
Glie 'nfln laseè faoea tpiacer mu»
17* Munta dinanzi, di* lo voglio
Quale colai, eli' è A pre»so al ripmaa
E Irìema tutti» pur guardando il raraoi,
32* Patti iMrr fri-dJu: onde mi viro rìbrcao,
E mentre eh' andavamo in ver lo
Ed io tremav a nrll' eterno
Pilli
23-
l>r. Del diavul vizj assai, tra' qoali odi'
::S* Appresto, il Doca a gran pasai san g>,
Oiid' io dagl' iacarcati mi parti'
28* Dinaiui a me sen va piauirendo AD
E tatti gli altri, die to vrdi qui.
Pur \ivi ; e perù «oo fc»»i e>»M.
Ov menò Cripto lieto a dire Eli
F.<1 ili a loi : Forese, da <|oel di'
Cin<|o' anni nun M>n volti in^no • qni.
PàK. SptnHi In le di sopra noi V od),
25" Poscia tra esM on lame si schiari.
Il verno avrebbe oo mese d' on aàl dP.
I^r. Moo latria altrui passar par la aon via,
< ' Ed lia natura si malvagia e ria,
E dopo il pa4o ha più fame dio pria.
4" Ma pa^«a\am la selva tottavia,
Moo «ra longa ancor la oitstra via
Oh' riiiivprrin di tenebre vinda.
4 1*^ FaNitj, ladronereio a simonia,
i'er 1 altro modo aneli' amor é* abblia
Di die la fede sp> rial si cria:
43" R<*a d'>vrrl>b' r>str la Ina man p4à pU,
Gniie d' on «tiuo verde, eh' arso rin
E ri cole per vento dia va via:
tv Della sua «cnrìada, e dUso: Via,
lo mi raggiunsi con la acorta mù:
D<i>e uno »«<>glio della ripa nscta.
19* r.ir |Mine»sa le diiavi in ana balla T
>e Pier ni gli altri ehiesero a Mattia
>fl looKo ciie perde 1' aniou ria.
2(f E iiiJirln» vmir gli convenia,
Fop<e prr f-ir/a fij ài péri t$U
Ms icaoi fidi, aè credo eba tià.
17
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2»
5
Ito
lt«
80
121
»3
71
1.3
32
71
22? Quivi mi adat a fiat baiatiaria, 59
E Ciri atto, a eoi di bocca nada
Gli fé sentir coma F una sdroda.
23? Taciti, soli, san/a compagnia, I
Conte i frati minor vanno per via.
23? Coa>igliò i Farisei, die oonvania 116
AttraverMtu e nodo è per la via.
Qualunque paMa roni' ei pesa pria :
24* Meglio di lena di' i' non mi scntia; S9
So per lo scoglio prendemmo la via*
Ed erto più a<'MÌ che quel di pria.
28" Cita n' avean fatte i borni a seendar pria, 14
E proaegoendo la ^oliaga via
Lo pie sema la man non ai apedia.
27* Per non dir più, a già da noi sen già 2
Quamlo on' altra, die dietro a \A Tania,
iVr un confuso soon che fuor n' inda.
32? To bai da lato qod di Brccheria. 119
Gianoi del S«ildanler credo die aia
Ch* apri Faenia quando ai durmia.
PcR. Per lui campare, a non e* era altra via 08
1* MiMtrata Im lai tatù la gente ria;
Che porgan sé sotto la tua balia.
3? Puasa IraMorrer la infinita via, 9i
State contenti, umana gente, al quimj
Meslier non era partorir Maria ;
\Z\ \^ E riposato della longa via, 131
I Ricorditi di me, die son la Pia :
Salsi colui che innaoellata pria,
8? Ma nelle facca F uceliio si smarria, SS
Ambo vegnon del grembo di Maria,
Per lo serpente che verrà via via.
9? Quando V anima tua dentro donala SI
Venne una donna, e dis^a : 1' aoo Lada :
Sì V agevolerò per la sua via.
12* Buon ti sarà, per alleggiar la via, 14
Coma, perchè di lor asomoria aia,
Portan acgaato quel di' clll eraa pria;
19? Altri rimondo qni la vita ria. Itti
Savia non fui, av%egna die Sepia
Più lieta assai, die di ventura mia.
14* Cli« ne nvogliava amore e oofto«ia, HO
O Brettinoro, die non faggi via,
E molta gente |icr non sseer ria?
IO? Uberi MiggÌAcete, a qndla cria M
Però, M il mondo prùcnte disvia,
Ed io te ne saio or «era «pia.
i7* Dentro da >^, die di fuor non venia 21
Poi piovve dentro alF aita fantasia
Nella sua vista, e coiai si moria.
20? Ed io attento ali' ombre eh' i' sanUa 17
E par ventura adi': Doira Maria:
C«>nM fa donna dia in partorir aia;
21* Clia Cristo apparve a' doo cb' arano ia via, S
I Ci apparve uà' ombra, a dietro a noi venia
I Né tk addeamo di M, d partt pria,
M 22* AnUgooe, DciOU «d ArgU, HO
I Vedeai quella cbe mostrò Langia-,
' E con le suora sue Deidamia.
38 28? Sobitaoiente cosa cha disvia 3K
Dna Donna aoletta, dia si già
Ood' era piata tutta la saa via.
tr Cosi di Moiaò «orna d' Elia, tt.)
I Tal toma' io, a vidi quella Pia
I Fu da' mici paaai luago il turno pria ;
02 81? Or tra or quattro, doìóa aalaaodia 2
E laatrica aoapirosa a pia
Pik aUa Cnioa vi «amfidy^ìftwAi^
14 • fk\. fontano '\fu&ciaion\«\ % v*^ V^^
*• Da' SetalLa wAoÀ «ìtxa v^^ vt V«»*^*^
l Qaal ^laaAiet "luAf^i^VAtÀnis
96
05
I
65 >
^b
'VkMev*-.
RIMARIO DELLA MVINA COWIKUA.
61
Pai. Di tallo ■•« p«r p« B e per ICE,
7* Poco tofrcrM iM eoUl Beatilo»,
Tel, che nel fuoco ferie l' oom nlioe :
f af Troveio in terre delle «ne natrice,
O padre mo veremeote Feliee i
8e interpretete vel come «i diee I
f 4* Del MIO fMlere e A quri di Beetitei^
A ooetoi U nestieri, e noi vi diee
D* nn ellro fero endere elle redioe.
4y* Pure aspatUndo, k» (tei la taa rete:
PoKieinldlaae: QneL de col li dice
Gireto te n BMale in le prime ooniee^
VP VidP io «MlM Mi ftmt ek felloe,
E Ire Irte tnleiai « Beetrice
Che le ato IMMìI Bel nd ridice ;
SS* Qoeade vi inld pv veder Beetriee,
freaen dllai, e aàl mondo felice I
3(f rcfebi temer e« (li occhi e Beetriee
Se qwile intao n mI di lei il dice
PocoetfebbeftfmdrfoeeU Ticeu
14
T7
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Int. Le meni elio con mkedno le leh^
99* Da indi in qae
Come diooMe: 1'
Hf Ceaceron tatti.
Si hìitorar di aemè di fofnddwi'
Lengair |^ spirti per diverte Uebe.
Pam. Di lei, ed emmi e eredo che ta dietw
aS" Ed io: Le nuove e le acrittaie eatiebe
I>eU> enime che Dio •' he fette
on iweiiuo le nan^
l'nonea>^J^B;
Ti li fer^, per tao Wa Ctf.
fi dbconvien flrvttere B dewe loe.
18^ Yenedico te* ta Caedanimico :
Ed egli a m«: Mal Tolcntier lo Ac»;
Che mi fé eoTTenir del monde aatieo.
Poi. Le eoncabina di Tltone entioo,
9* Fuor ddli breoda del ano dolce eoice:
2ir Che m* eaeondera qnento bene io dico,
Dimmi imi* è Terenzio, nostro entioo.
Dimmi ee aon denneti, ed in qnel vieo.
Pai. Gli concedette, in mano a qnel eh* io dico,
<P Or <iai t^ emoiire in eld eh* io ti replieo:
Della Tendette del peceeto entioo.
Il* Ho io appreao «pel che, a* io ridico,
E e* io el vero aon Uiaido aarieo,
Che «pMcto tempo diiemerenno enileo.
S8* Solo predotto ibali, o Pedre eniice,
Detoio, mento poaae, e te enppUco
B, per «Arti laeto, non U dico.
io
116
leu
Pab. Filippi, Ocail, Ormenni e AlberieU,
10" E Tidi oeA cnndl come entichi.
E Soldenierio Ardinfhi e BoelliMi
lei
Che parton pojtek lor le poocatrid,
IJffnbo le pendici
mr
44^ Lo fondo mio
Percir io m' ecoorti che
'1 pasco
IkWedJ
UcL
80
62
PCS. Menane, disse, dunque \k ^ve dici
7* Poco allungati e* eravem di lid,
A goi^e che i vellonl sceman ooicL
Pai. Ma or m' einte de che tu mi did, 6B
3" Me dimmi : Voi, dae siete qui IsUd.
Per più vedere, o per più ferri amldt
8* DiTerseownte per diversi ufOd? 119
Si venne dedooeodo insino e quid;
CoQvien de' vostri effetti le radid:
lar De Bagnorcgio. che ne* grandi idkl IS
lilominato à Agostin soa ipid,
Glie nel cepestro e Dio si fwo eìaicL
IT* Saranno ancore si, che i ead niond 86
A lui t' aspetU rd a' suoi beaeSd;
Cembiando ennduion ricebi e wendid ;
Zt Andrd parlando, e note i gran patrid 116
Quei duo che seggon lassa pia felici,
Son d' està ruea qoad due radicL
telo
Pai. Solco creder lo esondo in eoe perldo, I
8* Eeggiasee, volta nel leno epiciclo;
Ico
lur. Parlando plk aseei ch^ i' non ridico: 111
6" Quivi trovemmo Plulo il gran n— loo
IO Qua entro è lo secondo Federico, 110
indt s' escose: ed io in vrr 1* entioo
A quel perlar die mi psree nimico.
15* CbediKTMdJ fiesoleeb antico, 03
P«>.
Ite
Ih? . Che ta ad aegni, od to atrA taa nUa,
I* Or' adirai le dispomlo strida.
Che la aeeonda Biorto daaeaa gridn:
11* PbA F aoaio asaro la colai che d Oda,
Qaosto aaodo di retro par che ucddn
Onde ad cerchio secondo a' annida
42* E disse a Nccm»: Tene, e d U giddn,
Noi d movemmo celle eeorta Oda
Ove i belliU fecean alle strida.
14* D> acqae e di Croade, dm d ddam Uà;
Bea la scelse già per cane 6da
Quando plangea, vi fecce far lo grida.
Che, dietro e' piedi di d fetU gdda.
Ed aao incocnneiò : Ciascan d Oda
Par che 1 voler neapossa bob ridda.
10^ Onde la Scorta mia sapnta e Oda
Si come dece va dietro a saa guida
In cosa che '1 molesti, o forse aaeida;
20* Cui traditore e ledro e petridda
E la miaeria dell' avarD Mida.
Per la quel sempre conviea om d rida.
Pab. Dritti nel lame della dolce gaida,
8" Non ti maravigliar perch' io sorrida,
Pd eopra il vero ancor lo pie non Sda,
1^ Eilpastor della Chiesa che vi gaida:
Se mela capidigia altro vi grida,
Si che il Giudeo tra voi di voi bob rida.
Il* La sposa di colui, eh' ad alte grida
la aè dcara e enche a lai pia Sda,
Che qniad e quindi lo fiseser per
19* Viver di dtledini, a cod 6da
Maria mi die, cUaaaU in alto grida,
iBsieoM fid cristiaao e Cacdag^da.
22^ Oppreeso di elapore alla mia gtfda
Sempre eotk dove piO d conflda.
28* A predicare, e por cIm ben d ride.
Ma tale aced nel becebdto s<
La perdenania di che d conOda;
Iddi
Iirr. Naofc treTaglie e peno, qaanto lo tUdlf
r Coam fa P cada U w>Tra CariddL
Cod ccBTiaa che qai la goato rlddL
Ide
biF. Biepeoo, poi che lacrinur ad vidck
I* Che qaeeta beaUa, per U q^eLta.
Ma UnVo \o >w^Vw^ Om'^
S* GtVAò mvnoa % vae^ <^K«Aft «^^^J^^
Guarda wm' «ftVn^ « *iv «k\Va>\^*»*
ti
118
88
8
104
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181
1
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I
niMARIO DELLA DIVINA COMMEDIA.
63
Iglò
É Pub. Tolto m' ofltni pronto al rao Mirif io, 104
aS* Fd egli • ami Ta liiei tal Te»tigio,
ClM Leto Boi p«« Mrre né far bigio.
Pah. Non è, m bob 4i qBolla alcoa vottigio II
S^ To Tool Mper m oob altro Mrrigio,
Cb« 1> aaiiBB éuuì ài Utigie.
Iiir.
atp
Pini.
Inr
leu
B Tobor cantra lat tnttl I rondgU: TI
Innami che V obcìb Toatw aii pifUt
E poi di roneigliaml ai «oBsiglL
Clio veggendo la awgUa oo' doo IgU 5
Gridò : Teadiam le ràU. A ali' io pAgU
E poi difltcao i dispialati artigli,
Mi disto, di parlar: hm parla, o Agli 419
ar Ood' io: PtfM dw in ti maravigU,
Ma pia a* immiranoB to^ ebo ti p(gU.
29* Erano abitnati: sa di gigU 446
Ami di roM e d' altri fior TennlgU:
Che tolti ardesacr di aopra da' dgll:
Pai. Co' Goelfi anol, ma tema degli aitigli 107
e* Molte naU già piaBter U flgU
Che Dio traomnti I* armi per anoi gigU.
49^ Poi che ba pasdnto la deogna i if^ 91
Cutal fi feoe, e A levai li dgli,
MoTca «oapinta da tanti emuigU.
23" Carne ti fece; qniTl aen li gigli, 74
Coti Beatriea. Ed io, cb' a' anoi conaigU
AUa battagUa da' deboU dgU.
IgUa
Che balenò ona Inea vemlglU, 4S4
E caddi, eome l' noa cni tonno plfUn.
Lacmia, Jnlia, Mania a Comigtta, 128
Poi che inaaltai nn poco piò la dglia.
Seder tra Bloeo6ea famiglia.
45* E «i Ter noi agmiavan h dglia, SO
Coti adocchiate da ootal famiglia.
Per lo lembo, e gridò: Qod maraviglia t
Ciò eh' io dirò, non tara maraviglia, 4T
Com' i' tcnca levate in lur le ciglia,
Dinanii all' odo, e tnttu a loi t' appigtta.
E tronco '1 naito infin tolto le dgUa, 95
Ee^tato a rìRoardar per maraviglia
Ch' era di four d' ogni parte vermiglia;
Con tatto di' ella vulce aodici atif Uà, 99
lo tea p<rr lur tra ti fatta famiglia:
Cb' avevan tre earati di mondiglia.
E eontra '1 tao fattura aliò lo dgha. SS
0 quanto parve a me gran meraviglia,
L' ana dinanti, e quella era vermigliai
E «idile guardar per maraviglia 8
Pvreliè r animo tao tanto t' impiglia.
Che ti fa ciò che quivi ti pitpiglia?
Subita vede, ond' d d maraviglia^ 41
Tal parve «quegli, e pei chinò le mglla.
Ed abbracciullo ove '1 min«>r t' appiglia.
Spazio all' etemo, ebe un muover di dflia 497
Colui, die dd eammio ti poco piglia
Ed ora appena in Siena tra pitnif Uà,
Poiehò gita te a' ò la tua famiglia, 44S
Ben fa BagnacavaL, die non rilglia,
Cbe di figliar tal conti più a' impiglia.
18" Innata v' è la virtù cIm onnsiglia. 82
Quctt' ò il prìndpio, la onde d pq^
Che buoni e rri amori accoglie e vigtta.
28? Per tè o per tuo ciei, cuneeite a fl^ia 419
Non parrebbe di Ib poi meraviglia,
S^oi» §eme pa/ete fi »' api>igU». l
»*•
POB
5*
41
44*
Pai. a tanta altaatt. Boa è BMaavigiia, 41
40* Tal era ouivi la qMita faad^a
Mottrando coma apira e oobm figlia.
Il* Con la tua donna, e con quella uadglia 89
Né gli gravò viltà di cuor le dglia.
Nò per parer ditpctto aBuravigUa.
45* Favoleggiava con la tua famiglia 125
Saria laaota allor tal maraviglia.
Quel or tarla Ciadnnato e Cemlglia. ^
48^ Per giudicar da bugi miUa migUa 90
Certo a odui ebe meco a* aaaottiglia,
Da dubitar aarebbe a maraviglia.
27* Nd primo atpdto, ddla beUa figUa 4»
Tu, perchè bob ti facd maravigUa,
Onde ti tvia l' umana famiglia.
28* Suffidenti, non è maraviglia: 58
Coti la l>(Mina mia; poi ditoe: Figlia
Ed intomo da eaao t' aaaottiglia.
tr Tanto cootanla di mirar tua figlia. 434
E contro al maggior Padre di faadgUa
Qaando abiaavi a miBar la dglia.
IgUo
Inr. Laago la proda dd boUor TenBlfUa, 404
42* Io vidi geaU aotte ÌbIbo al dgUo;
Cbe dier ad aangua e noli' aver di plflla.
2Sr Dlsee; e preacgU 1 bracdo ad rundglio, f4
Draghigaaxio ancbe i voile dar di piglio
Si volte intorno intomo con mal piglio.
24* Lo Duca a me ti volto con qud |MglÌo 29
Le bracda aparae, dopo dcaa anuirigHa
Bea la raiaa, e diedeni di piglio.
Pvb. O è mutato la Cid bbovo coadglio, 47
4* Lo Daca mio allor mi die di piglio.
Reverenti mi fé le gambe e il ciglio.
8^ Ecco di qua chi ne dark condfUo. 93
Guardommi allora, e con Ubero pifUa
E tu ferma la apeoa, dolce flgUo.
1* Fu meglio aaaai cbe Vinddao ano 9glto 404
E quel Nasdto, che tiretto a condgUo
Mort faggeado e ditflorando il giglio:
23* Non mi far dir mentr* io mi maraviglia, 99
Ed egU a me : DeU' etemo condgllo
Rimata addietro, end' io ti mi totUglio.
27* Turbato un poco, ditta : Or vedi, figlio, 38
Com' al nume di Titbe aperto il dglia
Allor che il gelto diventò vermiglio;
Pab. Qodla per madre tua, quatto per figlia, 9
8* E da cottd, ond' io prindpio piglio,
Cbe '1 Sol vagheggia or da coppa or da dglio.
10* E giutto U popui tuo taato, dm U gigUa 452
Né per dividoa fatto vemiiglia.
90^ In quanto afletto f u dd ano coadgUa, 41
De* dnqnc, dm mi fan earcfaio par d^ia,
La vedovella contdò dd figlio.
83^ Vergine madre, figlia dd tao Figlio, I
Termine Ateo d' etemo eondgUo,
Inr. Di Logodoro; e a dir di Sardigaa 99
22? Omè! vedete 1' diro die digrigna:
NuB t' apparecchi a grattarmi la tigaa.
Pvi. Pier Tra vertere, e Gaido di Caniigaaf 99
14* Quando in Bdogna un Fabbro al ralUgaa?
Verga gentil di piedda gramigna T
S2r A tè traendo la coda mdigaa, 431
Qud d»e rimaaa, come di graaaigBa .
Forte eoa tatcBdoo ea«ta« bMA.^;»!^
Par. Td cb•1inMa%tkctlùlvVk'|^3|.^^ "*■»
Ma par «(ft\B\ «V« v««^* * «i"** %w».^*n
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milJlHlO DELL* CrviN* COMMEBU.
L'^;.'^ !si.nr-^sr
P.»,<|HlM>-|M.»r.li>l~.
VUnl. • «mi ■■ ■> u «Hw.
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RIMARIO DELLA DIVINA COMMEDIA.
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t ■ 'I ' rimi .i- ■ n .vlr; \ i- 1 !.• [ <.|il!.!
N' u \ Il Ih- Il Icrli i.lr ii.i.tii iUi'illi-;
7^ i;, .JlJ.i>l \i1lVÌ«»11IU' fj\illc,
io tlubilsTt, e diccft: dille dille,
Cb« mi diiMU con 1« dolci ttille;
«V* Sorgono ianacrabill faville,
Risargar panr* qmiaii pia di ailte
SI eooM U Sai. «ha r Mcwds, ■ortill*;
lui
Quanto pareri ardanta ia qgtP faTilli,
Poada che i cari a loddi lapilli,
Foacr silnuio agli aagdid aqoiUi,
Ilio
Da Cristo preM l' olUno riciUo,
Qoando a colai di^ a tanto ben aoitOla,
Ch' egli acquiate nel ano farai poaillo;
DiTeoÌHer fegnaeoio in vaaciilo,
Né cU' io foaai figora di aigillo
Ond* IO aerante arroaao a diafaviUo.
Ilo
101
<4
A».
107
SO
Ime
PcR. Tanto die gli au;;i'llL'l(i ppr le cime
28° Ma con piena l«tiiia l' óre priac.
Che tanaraa bordone alle tm lUàe,
l'i
Pai. RelU mia aenta, diaaa: I cmvIiI pfW
28" Goal Tclod aegnew» I enei ?tad
E poaaon qnanto a veder aan aabDail
Imlo
IHT. Che falaal li BMtaUi eoa alchimia:
V Coa' i'foi di natora b«ian aaimia.
137
Par.
a*»
Non Tede pie daU' ano alP altra alilo:
Coma gli angel che venun liMfo 11 MOe
Poi Tolan pin in fretta a vanae !• Be;
^
s
Comincia' io, daU* alte prlaMln,
E fegnitai: Come il Teraoa atilo
Che miao Roma teco nei bnon Hai
^ In. lo dico acgaitando, eh*
^ IP Gli occhi noatri n' andar aaao'aUn
^ M* Parole e aaagne: end* io laadai la
^ S? egli aTeaae polnto creder prima,
^ Ciò e' ha vcdato par orfla mia riaat,
^0 1^ Eletto aeeo rignardando prima
^ E come qoai che adopera ed iatian,
Goak, levando me aa ver la eiaa
I
44
iplcndore aaaaipià
ISP Ond' io levai le mani in ver la
Che del aoverefaie viabile lima.
40* Rivolga il cielo a aè, aaprai: aa
latra Sic>tri e Chiaverl a* adiaa
Lo titol del mie aaagne fa aaa
Inr. Poeda eoo pochi paaai divaataHM,
ir Aaaai leggleramente qaei aallaae,
Da quelle cerchie eteme ci partiaaai
Imo
Inr. SeBMM parlami, a) eoa' le aliae;
28^ Cori parlammo inaino al laogo pria»
8c pia laaw vi faaae. tatto ad faao.
Pwi. D* aleana ndbUa andar davanti al nriat
1* Qae«UliolctU intomo ad iae ad Im,
Porta da' giaadii aevra 1 aoUo 1
17* Né oer aè ataata, alcaae eaaar dal ,
Rena, ae, dividendo, beaa atiae,
Aaor naace in tre aiadl ia veatro liaa.
Pai. Fuoco di nube) ae V iaipeto prteo
I* Ren dèi pia aaairar . m bene attaM,
Sa d* alto aonte aeeode giaao ad iaa.
SO* Refleaao al aoaao del aoUle pria»,
E come dive in aeqaa di aaa bw
Qaaada è aal verde e ae* fanttl «fiat;
4»
IS4
Hfl
ÌMW.
M<
Cinqnemil' anni e pia, 1' anima ariaa
aeamlaUaa
raa.
ir
iir
Dorme lo ingegno tao,
L«i tanto, e ak travolta ndla
A giudicar, %\ come qaei che aliaa
Cli' io ho veduto tatto U verno paini
Pofcia portar la roaa ia aa la dana;
Dell' albero che vive ddla daa,
Spiriti aon beati, che già. prima
Si cir ogni muaa aa aarabbe opima.
39P Fu frequentato già in aa la cima
Ed io a<« ourl ehe aa vi portai prlai
La verità die taalo d aublima;
2flP Vaglicggia 11 tao fatter V aaiaw pelaa,
CoaDo la fronda, che Sette la cima
Per la propria virtà ehe la aabUaM,
IT DeU' attendere ia aa, ai diaae: AdtaH
Dall' era di' io avea gaardalo priat,
Che fa dal meiao al Bne il prima iUaat
Alle aaataade, e qaalle fatua ctaw
1S4
n
Pura/ilauffa Iwae la paria iaat I
ra/riW,<*eflaMMJaeaffMMU *
Mena gli apirtl ora la aaa r^iaa.
Quando gUagea davaati alla raka,
Beatemmiaa quivi la virtè diviaau
A riguardar a* akan ae ae adefiaa:
Tra'U avanU, Alicbiae e CaloMan,
E RarbarkeU gnidi U dodaa.
9P Moatar potrete aa per la raiaa,
LeDaca atette uà poco a laata dUao,
Colui che 1 peoeater di Ik Hdaa.
Sr E cai gik vidi aa In terra Latiaa,
RimemMU di Pier da Medicina,
Che da Vertalle a Marcabè dioUaa.
tr U valle, oade Haaado d dkhlaa,
D* uà oorao aadra: e tutta la Catea
Degna pia d' eaier fitta ia gaialiaa:
Pia. Volgiand indietro , che di qaa dkfaiat
4* L' alba vinceva F era aaltatiaa,
ConobU U traaMlar della aariaa.
SP Di VaMiaagra, e dì parte vMaa
Chiamato ai Carrado MalMpIna:
A' mid portai l' amor che qa raUaa.
0^ La lendlaella prciae alla mattlaa,
E che la aente aoetn peDogriaa
Alle aae vialon qaad è diviaa;
4r r anima è qui Ira voi, dw da laliani
0 fraU aio, daaeaaa è dltadiau
Che viveaae ia ItaUa peiufilaa.
47* Piangendo forte, e diceva: 0 ra(dM,
Andaa t* bai por aaa pevdar Latba^
lladra^aIUtua^Y>^«i^iM ~
Ut gueuaguU«laoaaae»»t*dA«
YAtf UMMU vdL%Mwu <Im ^i^
Xt C\akuuf**itìta,%"^««^'*»''
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14
KIUMO DELLà DIVIXk COmOU.
W F<nblilli«>ii>lntai|«il3la>'illu.<l
Cnd di mUt Imui» JiilBi,
MU f nfoWi «Aliali diilu
rH "in I' «utdtu Mlrtot.
■• Inai |lt «uUi t Hm di milllat
Ounrdila qwUi «sfa 11 Sul JkIIbi -,
ir- Mlf mit^n maal, or (HlBdl [ir qaiM
A.CoBllfUnH4ltH; liitnie qdiDd,
Culit* ntn. •: eÀ li d» ilid.
Oh ai U|un «B 11 M^rlKi.
rl>.mRIIo.di*«II»4uUld<d«'ilira^
>mr<.ndi(ViBii
nati, tÙ gih llrqe 'I oanOn'
M Urti «rt, ^«1— ^i^
' M Ciani •«0>UUo* III niiMD^ Mi r' T>»> n «al HlMlila M Hl^
Siili— «ìwi^i-iMN-. ^ w *— «-^gu-^aSi^i—
RIVABIO DELLA DITINA COUIBDU.
07
Ei oomlBdò : QimI forlmu o ^mUiio
E chi è quetU the mostra '1 etmmiMf
l<f Cbt '1 Mion ddl' «equa a' «ra ri vidiio, 01
CooM qoel flame, e* ba proprio ctomino
Dalla •inUlra «osta d' Apeonino,
WP Tra Garda e Val Camonica, Pennino <0
Loogo è nd mesto là dova 'I Trentino
Segnar potrìa, m faaaa qoel cammino.
VP Conosci ta alcon che sia Latino 65
Poco è da on, che fn di Ik vicino:
Cb' i' non U^merri unghia, nò nocino.
35* Cbe sotto '1 sasso di Monte ATcntino S8
Non Ta to' suoi fratei per un cammino,
Del grande armento, cb- egli ebbe a Tidno :
VT Con onesta oraiion piedola, al camniao, IB
E, Tolta nostra poppa nel mattiaou
Sempra acquistando del lato maneuio.
2r Ch' i' fai de* monU U intra Urbino »
Io era ingioso ancora attento e cliiao,
Dicendo: Parla tu, questi è Latino.
98" Venuto se' qnaggià; ma Fiorentino 41
Tu dèi saper eh' i> foi >1 Conte Ogollno,
Or ti dirò perdi' io son tal Ticino.
Pvi. Come gente dio pensa suo cammino, 14
a^ Ed ecco qnal, in '1 presso del matttao,
Già nel ponente sopra '1 suol marino;
5* 11 traviò ai ftoor di Campaldino, 88
Ob, rispos* egli, appiè dd Casentino
Cbe sopra l' Ermo nasce in Apcanino.
i5* Guarda il calor del Sol cbo si fa Tino, 77
E quando Lachesls non ha più lino,
Seco ne porta a l' umano e il divino.
Pae. Vostri risplende non so dio divino, N
3" Però non fui a rimembrar festino.
Si cbe rafOgurar m' è più latino.
V' Per seme da laoob, a vien Quirino 431
Matura generata il suo cammino
fie nun vioceeso il provveder divino.
I(P Che Domenico mena per cammino, 95
Questi, cbe m' è a destra piò vidao,
E di Cologna, ed io Tomas d' AqaliiD.
49P 11 Calavrese abate Giovacchino, 140
Ad ioveggiar cotanto paladina
Di fra Tommaso, e il discreto latino;
«3^ Correr lo mar per tutto snoeamaaino, 411
Non creda monna Berta a sor Martino,
Vederli dentro al eonsitlio divino ;
iS" Cbe tu non ti rivolgi J bd giardino 71
Quivi è la rosa. In cbo il Verbo Divino
Al cui odor si prose il buon oammlno.
8ff SimUi fatU v' ba al fantoUno, 4 IO
E (la Prefetto nel l&re divino
Non suderà con Ini per «a cammino.
SI* Perfettamonto, disse, il tao «anwalnoi, flS
Vola con gli oecU par questo glardiaa ;
Più al montar per lo raggio divino.
:il> Francesco, Banodatlo o Agostino, 19
Or mira l' alto provrodor divino,
Kgualmente ompicrk qaoslo giardino.
sa,
Iii4««
Dd nostro delo, cbo pie m*è
Questo centosim' anno ancor a'
Si cb' altra vita la prima
A dano tempo gft stallo proplnqao,
S9* ffd qaal0 no cJnqaooanto dìed • flnqpi.
f «wf gif «alo dM «0 iai MlMM.
fase
iRr. DI LaacUlotto, corno amor baMaio: i»
V Per più flato gli ocebi d aoaplnao
Ma solo mi pwato tm quel cho d iìam.
8* Por dio 1 Maestro accorto lo sotpiaM, 44
Lo collo poi con lo bncda mi euno,
Benedetta cold che in te s> indnao.
T Quel odor dio vUtk di ftaor mi idaai, 4
Più lesto dentro 11 suo nuovo rutrlaàn.
24" E dimanda qnd colpa quaggiù 1 plaat: 138
E 1 peceator, dio intese, non i^ inUio,
E di trista vergogna d dipinse;
33f Oocdar giù per lo labbra, o '1 gelo striata 47
Legno con legno spranga mai non daao
Conaro insieme : tant'lra U vinse
Poi. Trovò l' Arehian rnbesto: e qud aoafdnit 125
8* Qi' lo fd di me quando 11 ddor mi Tiato:
Pd di sua preda mi coperso o dnao.
Pai. ai sno edlegio, e il collegio d slrlaio; fft
2Sr La dolca Donna dietro a lor ad plaM
81 sua virtù la mia natura vinse;
V E mane e sera, tetto mi risViaso 811
E com' ambo le Ind mi dipinso
Che lassù vinco, cobm Quaggiù tìbm,
VP Sempra dintorno al punto che mi tinaia, 44
A poco a poeo d mio veder d stlnw;
Nula Todara od amor mi ooalrlaao.
tesi
Pub. Tra vdto diatro a Id lo mani arrlad, 80
T Di maraviglia, credo, ad diplnd;
Ed io, sognando lei, dira mi plad.
teUi
Dir. Sempra la qndl* aria aeau loaipo ttait, 28
8* Ed ks di' avoa d* error la testa dnla,
E dio gsat' A, dio par nd dool d TWaf
41^ Tkorammo risonar qnell' acqua tIaU, 4(M
Io avca ana eorda intorno anta.
Prender la bmsa alla pdlo dipinta.
9P Porra minidri ddla fossa oninta. 88
Laggiù travammo una gente dipuda.
Piangendo, e nd sombianto stanca e riaU.
Pam. Ma Ttaeo Id, perchè vaolo esser data, 88
20^ La prima vita dd dglio e la qnlatn
La rogioa degli angeli dipinta.
lai. Tra farlo laCsrad di saagno flato, 88
0^ E eoa Idra Tordisdma eraa dato:
Oaia lo lavo tampio <
lati
Pub. Aaeor ad vollo tao preaao cbo aliati,
49P Plea li tad pU dd booa vder d viali,
422
Ma 8a diletto loro esser sa piatt.
lato
Uff,
M
Cbe ad a naaa, d lieve, od lo in spiati,
Si* B so aoa foaao, che da qud procfaùo,
Noa so di lai, ma io aard bea datei
ti* Noa 80 io dir, ma d teaaa snidali
D* Ma onlaaa ohe 1 laatra avvialo
81 raTTolgoTa iaflao d gira qalBto.
Pia. Pettt, dasonn saria di color dalai
7* Noa'\v«a par antan Id dl^tnln»
Vi faan% và VMnqjKAn NstteKe*».
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0 DELIA DltUU CtimUtMk.
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r CaalHM «•, a qiwl.. l<Ht° d>U> »
r tn-MnilinaM, f|Zc1kh1iU> K
rw 11 Mu • r>r (Il «U Hd 4cl |«Ud,_
Mi, nnk' I* tif (1° >• MI* IM'IMt*
a dH r iMiifit Ti iw M Ulto Mio,
rtt. Mli un* ila» ■(4<> Il Hiftili In:
CI» U innDm t* w uhII*.
V OvlSi>l.(Mi>rii'>nriil>nlMil|*U;>.>
1 1* ^q^ njfùi M 9Hk uri Hiirih lu
r Olili !• Hi'-l», n, i|ul nu IH
(■•tH P«1'IK cM Mi IM ri b
'MrsijKxr
Mi.r>,i<iiili>ri<Hli>iii'lBMbli> irib. loci» la «tnillli ■■•««■,
r CM lo dtBWB, US Inb liwii, a if oii«.fcilfiw.ti.'«»niii ini ma^
rMiiDkiUeUMUIIiiuliilrils, Il fuma liU. .«Ul. « Cmtn.
Li bbU Mia tu IK luto Bwita ,l%t. T 'T Tll lai ani imi,
r rjia «4nni j* In HT tHn iurrilii iw ! cvrfÉiMliManMrril^
hnKi*Ut>n,<VtMnWaitkM(s, Ini Ct' l' w Ima ijln _t ma mNbb
K<IMU<ail*(V*n|wMU. I V EoapulinaHarUiiUitbw*
<naaHlliiaU,ailiiwHHHii CkaiHHn «■■«•■•■ha.
l' tiHl Jl DU, cH la •«■• Int. Il- L'iw«iiiin|U"w'«*Ji, »<
M-Uiiwt p»iadHlD liana tiEti, ■•" Tal al Hdi' M ashlofira^
AlnlttmatiamaadlllBHtì CtaCt nM»4 a^nia r<n>i
OU»**d»utUl>Uli>>«\a<>. \ti>.V4L».;».A..K »!(■■■•■■* Il
RIMARIO DELLA DirillA COMMEDIA.
S9
«r
Pik eaabnMlo, • qnd eh* «i pie appmta
~ " halilei
2V
Voi mi òéU • ptriar lotta
Per tanti rivi t* «nii>ie il' allrgivtsa
Pcrciiè può MMitener che ni>n ti «pena.
mente dantando, ddla *oa riecheoa
Di qoella di' io notai di piò bellctu
Che natio vi lasdó di piò cUiarena;
25** Inclita vita, prr coi la lar|licna
Fa ridonar la Speme in questa altena;
Quanta Ge«à a' tre fé più cliiarana.
27* Deir nnivfirw, percliè mia ebbrcna
0 gioia ! o inerfabile allcgrena i
O s4-nia brama «irara licriima !
29^ Segna I' atTettoi, d' amor la doleana
Vedi V eccelao ornai e la largbcsu
Specoli fatti a' ha, in cl*e ti spena,
ìlf Si grande Inma, qoant' è la larghetta
La vi«ta mia ncU' ampio o nell altana
Il quanto a il i^ale di qoella allegreoa.
Più a' anomiglia, die la «oa diiarcna
lo Tidi aovra lei tanta allegrezxa
Creale a tratvolar per qotUa allena.
32»
l.<«r. Grand* arco, tra la ripa secca a 1
T* Tanimmo appiè d' ona torre al d
ftr Laudammo il maro, e gimmo in vcrlo
Glie 'nOn lassù facea spiacrr «ne
17* Monta dinand, eh' io voglio
Quale eoloi, eh' è sk pre>s<i al ripm»
E triema (otto par goardando il rano,
33^ Fatti per freddo : onde mi vira ribrcao,
B aaentre eh' andavamo in ver io
Ed io tramava ncir eterno
Ixr. Del diavol viij assai, tra' qoall odi'
2T Appresao, il Doca a gran pesai san gt,
Ond' io dagl* iacarcati mi parti'
Vr Dinanii a ma arn va |iian;;en«lo AD
E tolti gli altri, die In vedi qai,
Por vivi ; e però «on fes»i Ci>8i.
Cbf menò Cristo lieto a din< Eli
Ed io a Ini: Forese, da ■{ocl di'
Cinqo' anni ni>n »on vulti in^no a qni.
Sptnmt te fa di sopra noi s' odi,
3S* Poacta Ira aav on lame si schiari.
Il Temo avrebbe on mese d' on aél dP.
Pn.
Pan.
131
SS
.lon laaria allnd passar per la aoa via.
Ed lia natora si aul%a<;ia e ria,
E dopo il pasto ha più fame dia pria.
4* Ma pa'isa«am la saUa tuttavia,
Moo ara hinga ancor la nostra vln
Ch' nuisperlo di tenebre vinda.
1 1* Fallita, ladruocccio e simonia.
Per r altro modo quell' amor é* abbUn
Di dia la M* sp>ual si cria:
43* Ben dovrel>b' ««««r la tua man più pia,
Collie d' un stino verde, eh' arao aia
E cigola per vento ahc va via:
l«* Drlla s«a scnriada, a disse: Via,
lo mi raggiunsi eoa la aeocia asta:
Df»\e uno «otiglio della ripa usda.
%T eie punasau le chiavi in sua balla?
>c Pirr né gU altri dtieaera a Mattia
Nrl luogo die peri* 1' anima ria.
Vf E indietro venir gli eonvenia.
Ferve per fona ^a iipàrìuU
M* ioaot ridi, aè endo eba aia.
2P Quivi mi adat • fiat kmllarin, SS
17 E Ciriatlo, a cui di bocca usda
Gli fa aentir coma V una admda.
23^ Taciti, soli, san/a compagnia, 1
17 Come i frali minor vanno per via.
23^ Consigli*» i Farisei, die convanin US
Attraversale e nudo è per la via,
2S Qualunque passa com' ei pesa pria :
24* Meglio di lena eh' i' non mi scntin; S9
Su per lo scoglio prrndi'iiiiiH) la Tia«
5 Ed erto più avi«i che quel di pria.
28" Clw n' avean fatte I borni a scender pria, 14
E proseguendo la ^olinga via
1 (0 Lo pie s«>n>a la man non ai spedia.
27* ?vr non dir più, e già da noi sen gin
Quamto un' altra, die dietro a Id ti
116 Per un cunfuM suuo dia fuor n'
32" Tu bai da lato quel di Brccberia. 119
Gianni del Suldanier credo che ala
80 Cir apri Faenia quando si durmiau
PcR. Per lui campare, a non è* ara altra tU 08
1* Mostrata Iw Ini tutta la gente ria;
Che purgan sé sotto la tua balia.
3^ Puasa trascorrer la influita via, ti
121 Slata contenti, umana gente, al fate;
Meslicr non era partorir Maria ;
I3t S^ E riposalo della lunga via,
I Oicorditi di me, die soo la Pia :
Salsi colui che innanellata pria,
8* Ma nelle facce V occhio si «roarria.
Ambo vegnon del grembo di Maria,
71 Per lo serpente che verrà via via.
9* Quando 1' anima tua dentro dormia SI
Venne una donna, a disse : 1' ano Loda :
Si r egeviderò per la sua via.
12* Buon ti sarà, p«r alleggiar la via, 14
1 13 Coma, perdiè di lor memoria sia,
Portaa segnato quel di' elll eran pria;
13^ Altri rimMido qui la vita ria, llfl
SS Savia non fui, avvegna die Sapia
Più lieta asaai, che di vrntura mia.
14* Clie na nvogliava amora e oortaaia, HO
1\ 0 Brettinoro, diè non fuggi via,
E molta gente per non cseer ria?
10^ Liberi Koggiaerte, a quella crìa SO
08 Però, na il monde presente disvia.
Ed io te ne saio or vera spia.
17* Dentro da ^, die di fuor non venia 23
Poi piovre dentro all' aita fantasia
Nella sua «isla, e coIjI si moria.
20P Ed io attento ali' ombre eh' i' saaUa 17
E par ventura udì': Doira Maria:
Coma fa donna d»a in partorir aia;
21* Che Cristo apparve a' duo eh' arano la %ia, 8
Ci apparve un' ombra, a dietro a nai venia
Né d addcmmo di lei, ti parto pria,
22f Antigone, Deifile «d Argia, 110
Vedeei quella che m<»strù Laugia;
E con le suora sue Deidamia.
28* Subitamente cosa cha duvia 3K
Dna Donna soletta, df si già
OS
SO
38
6S
92
14
i
Ond' era pinta tutta la sua via.
tr Cosi di Moisè «orna d' ElU, M.)
Tal toma' io, a vidi quella Pia
Fu da' mici passi lungo U fluma pria ;
t3i* Or tra or quallro, doìea salmodia 3
E Baulrica soapiresa a pia
Più alla Cniea al «amMlh ìftwAi^
Pam. f nnUno '\fuv\aaaian\»% « ^«c^ ^i^^
4P Da' Setafta «AuV fJiaa \Wm: \»«à,%^
Qua! ^nnAa ^w»1»V!^ V» «àw», w^'m»*^^
*«»
RUIARIO DELLA DIVINA COMMEDIA.
61
*kM. Di Iglto a», pv p«r B • pw ICE,
1* Pmo toffcTM OM eoUl B«atric*,
Tal, cbe nel faoeo farìa 1' qob uIìm :
13^ TroTito in terra dalla taa nolrioa,
O padra HO TeraoMiiU Fdioe 1
Sa intarpntala trai oone si dica !
14* Dal Mo puUrt a di qael di Baatrlea»
A eoatoi il aasticrì. e noi tì dica
D* «n altro varo andara alla radica.
W hu« aipallaado, io fui la taa radio»:
Poaeia M dkwa: Qoel. da cai si dice
fiinto b« n ■Mmta in la prima oomiea,
Sr turi» «Mtaa M iMea si fdioa,
■ taa lyi iKlaiM « laatriea
Cka te ate iMlMit aal mi ridica ;
ad valsi pw veder Beatrice,
A M, a od mondo felice I
tornar con gli occhi a Beatriea
_ ^ alo inlao a Mi di lei d dica
flaaa aanbba • Isnnr poesia liea.
i4
T7
8
»
m
14
bt. La Baai alsd eoo aabadoo la IdM,
9^ Dn MI in qaa mi far Inaarpl aalSha,
Ca«a dicesse: l' non va' ^ iHìMn:
Sr CMCtroB lotti, a poi la KfBlI mMK
Il ristorar di seme di furmidia|
LiBf air gli spirti per diversa mcba.
fàM, Oliai, ad ammi a arado che tn diche
SIP Bi fe: La nnove e lo scrittore antiche
che Dio s' ha fatte aasichc,
ichl
Pab.
(HàcnAoMidi
> f ayaniafia Ardi
PfB.
r
Pab.
r
«•
lei
Cht parton pc^tta lor le peccatrici,
La mado eoo i^mbo le peodtci
' io ab' aooor»! che 'i psMo era licL
disso, dunque là 're dici
aUnngati e' eravam di liei,
A gnifa ohe i valloni sceman auicL
Ha ar AB* aiata ciò die tu mi dici.
Ha dUaMi: Voi, dia siete qui feiid,
tu pia vedere, o per più farvi amici?
Divanusento per diversi ufDci?
S tanaa dadnccodo in«ino a quici;
GsBvlea do' vostri effelli le rsdici :
Da Bafneragio. cbe ne' grandi nflci
IIIgMinatii ad igostin son quid,
Cha ael capestro a Dio si fero amid.
lafanan ancora si, che i suoi nimid
AMI' aspetta ed a' suoi i)«nefid ;
lo eimdizìon ricchi e mendid ;
parlando, e nota i gran pstrict
9aai dao che seggon lassù più felici,
la 9 aaU iosa quasi due radid.
telo
la mondo in suo pcrìdo,
Tolta nel terso epicido ;
ieo
w
80
8U
83
82
Ilo
428
88
ili
flB assai ch^ i* non ridico:
Qaivi trovammo Plulu il gran nemico.
Qan antro è Io secondo Fi-denco,
Indi s' ascosa: ed io io ut J'sntico
A ^nd parler ehé mi ptreà nimico,
di Fittole ab antico,
il3
HO
03
n d UA. parine bfli fu. whmv.
fi dlsconvisii firattare Q delea lae.
liP ▼anedico so* tn Cacdammico: IO
Ed agli a me: Mal volantiar le dico ;
Che mi fa sovvenir dd mondo aaUee.
Poa. La eoncabina di Titone antico, 4
0* Pnor dalla bracda dd sno dolce amiee:
2af CIm m' ascondeva quanto bene io dico, 15
Dimmi dov' è Terendo, nostro antico,
Dimmi se son dannati, ed in qnal vieo.
Pae. Glieoneaddte,inmanoaqudcb'lodieo, 18
8^ Or qui t* ammira in dò eh' io ti r^lieo :
Ddla vendetta del peccato antico.
Il" Ho io appreso qnd che, s* io ridice, 118
E a* io al vero son tlmÙe andee,
Cha qoesto tempo cbiaaiaraano antlea.
88^ Bob prodotto fòdL, e Padre antieo, 88
Datala, manto poese, a te anpplice
E, par Hurti temo, non la dico.
Ida
Imr. Cha tn ad aagnl, ed io sarò tot giidt, 118
I* Ov' adirai la dUparata strida,
Cha la seccoda morte daaean gridn:
ll'PnòPnomonsaraincolaicbadBda, 18
Oneste modo di ratroparche nedda
Onda nd cerchio secondo s' annida
42* E disse a Nesso: Torna, ed li guida, 88
Nd d movemmo eolla scorta 8da
Ove i bolliti facean die strida.
44" D* aaqna e di fronde, che d ddaiM Ida; 88
Bea la scelse glh per cuna 8da
Quando piangea, vi facea far la grida.
Pct. Che, dietro a' piedi di d fatta guida, 82
8* Ed uno incominciò : Ciascun d Bda
Pur che '1 voler nonpossa non ridda.
18* Onda la Scorta mia saputa a Ida 8
fi coma dece va dietro a sua guida
In cosa che '1 molesti, o forse aneida;
20^ Cui traditore e ladro e patricida 404
E la miseria dell' avaro Mida.
Per la qoal sempra convicn dia d rida.
Par. Dritti nel lume della dolce guida, 88
S^ Non ti maravigliar perch' io sorrida,
Pd sopra il vero ancor lo pie non fida,
8* E il paktor della Cluesa che vi guida : TV
Se mda oipidigia altro vi grida,
fi che il Giudeo tra voi di voi non rida.
41* La sposa di colui, eh' ad dte grida 88
In se dcura a anche a lui più fida.
Che quinci e quindi le fbsser per guida.
fS* Tiver di dtUdini, a cosi 8da 484
Maria mi die, chiamata in alta grida,
Insieme fai cristiano a Cacdagdda.
22? Oppresso di stupora dia mia guida 4
Sempre colà dove più ù confida.
29^ A predicare, e pur che ben si rida, 448
Ma tde nccel nel becchetto s'
La pardonania di che d confida;
iddi
iRr. Nneve travaglie e pene, quante le riddi? 88
7* Come fa V onda Ik sovra Cariddi,
Cod CQBvien cbe qui la gente ridiL
ide
iHr. Bispeea, pd cbe lacrimai «i -^Aa^ ^(^
r Che q^aéiàa ^«slùa^ v«^ \% ogikil Via ^^ilA^
Ma tanto \o 'mveA\%», t\» V ucò^-.
5" Gridò MintM « me, cijianÀo m\ VxA»^
Guarda com' enVn, « A\ cbàVuW^^*-
v\
niki*nio riELu mx'ni. commsum
EIIDB»Bil*tllll.ruiJi«F«lrfd>* I 1^
• ' N.I. ^ «1 11 ràir, u d [Mi. ilar. Ck> ttsaln 14111, fif—i—
«•cta.flB'UiUH.iiùiildrnLnTiaf ii« « a- il la Wk In* !!«»•«
■■CM irti Urtili, itdw 11^ Hrìla » Tal. iM Abik • <i«tH |*kn.
Tn Bte- HI •HliUi all' M n fuS.
ir II t)i|Hn • ■ Jv, «' lo tttUl
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MKUpiMiaa-utUlpiUI.
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1 iir wu, • tilli • hi i~ippi(lU.
I. 'J ■HI Infi •rib. !• tliilx, t
■Ig pnn ■ » |iu mwtitili».
Tll pÉi« ta»tìl, • BOI rtiidi !• tit1i^
U •UnJ.Ui «•'■ mlng. .' .ppiiLii.
CaM, Ite M «BiDls ni pò» plflii
U « iJi-M b m«. M pl>pl(U>.
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l«lfvula «aH «fon • tamt Wk.
da U ani imtm, • OH r|if>lirijil|lla i
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ibiUrunlibiiBinililli.
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fc (Miuii t nUur !• iltUL
IfUo
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Il'tl>nal.i.]n>.,tllu, 1
ubi«Jt.4.rdlpl|b.
la Hflig iiui eb. VlKillu Hi Balla
E quii NiHlls, dit >tnU> • SHalfla
M.ri hitoO. • 1UI«>4> U (l(ll,i
' :i«iBibrduB«ii'i.mliunTi|U*,
ptt iHdn fH^ nflU HI BiBt,
-M.od'l.frtwIpIgA'l^
Fai taflrtf Ila « la agfpa se la fll|
do U wiFvl «a tuia, aka a |i(Ua
k- Haanda la Bal<i|u m rubbnTnlN)
d aUi Hill, dia ti |lk kiaiÌH
Hli'a.biiWll'iutt.ilt.
I%f. THir.Mn1>.,.n«1n>*M
RIMARIO DELLA DIVINA COMMEDIA.
Ima
H
3* Tornao de* aoctri visi le pintiUe
Noa vico meo forte alle nostra papilla;
7* Ef qoasi Teloctséima faville. 8
lo dubiUva, e dicea: dille d'illef
Cbe mi disseta con le dolici stille;
%t* Sorf^ono inaiunerabili faville, l(H
Risorger parva quindi piò di mille
' Si come il Sol. cIm 1' accende, sortilla;
1111
fHA Qoanto parevi ardente in qne' favilli,
V Posda cbe i cari a lucidi lapiUi,
Poaer silenzio agli angelici squilli,
Ulo
Pak. Da Cristo presa l' altimo sicUlo, lOT
M* Quando a colui eh' a tanto b«» sortillo,
Ch' egli acquistò nel suo farsi pusillo;
S* DiveniMer segnacolo in vessillo, SO
Me cb' io fossi figura di sigillo
Ond' IO sovente arrosso e disfavillo.
ilo
re». Kob vede più dall' uno all' altro stilo : C3
MP Come gli angei die veman lungo il Nilo
Poi volan pia in fretta e vanno in filo ;
Pai. Comincia' io, dall' alto primipilo, 59
Vfi E seguitai : Come il verace stilo
dw misa Eoma teco nel buon filo , *
I
in. lo dleo seguitando, eh' assai prima
f* Gli ocelli nostri n' andar suso alla cima,
tt^ Parole e sangue: ond' io lasciai la cim* 44
9 egli avesse potato creder prima,
Ciò e* ha veduto pur colla mia rima,
9IP Eletto seco riguardando prima 23
E eoma quei cbe adopera ed istlma,
Goal, levando me su ver la cima
Zr Ha fece volger gli occhi alla sua eima, 5
Coma '1 bue Cidiian cbe mugghiò prima
Gba F avea temperato con sua lima,
nn. Allo splendore assai più che di prima, Il
IIP Ond* io lavai le mani in ver la cima
Cha del soverchio visibile lima.
ItP Eivolf a il cielo a sé, saprai : ma prima, M
latra Siestrì e Chiavcri s' adima
Lo titol del mio sangue fa sua cima.
MP Cinqaemil' anni e piò, 1' anima prima 02
Dorme lo ingegno tuo, se non isiima
L« tanto, a si travolta nella cima.
f AB. A giudicar, sì come quei die stima I3<
IIP Ch' io ho veduto tutto il verno prima
Poscia portar la rosa in su la cima ;
18* Dell' albero cba viva della cima, 20
Spiriti son beati, cbe giò, prima
8k eh' ogni musa ne sarebbe opima.
2P Fu frequentato già in su la dma 38
Ed io s<m quel ehe su vi portai prima
La verità che tanto d sublima;
af Vagheggia il suo fattor V anima prima, 83
Coasa la fronda, ehe flette la cima
Per la oroprìa virtò cbe la sublima,
17* Dall' attcaidere in su, mi disse : Adima 77
Dall' ora oh' io avea guardato prima,
Che fa dal meno al fine il primo clima ;
2SP Alla so^taniie, e qaeile faroa cima 32
Fara ooteatià Uaoe U puU ime i
Tal rùaet ebe giuamai jmo ai dirima.
69
14
137
35
ime
Poi. Tanto cha gli augelletti per la dma
28^ Ma con piena letixia l' óra prime,
Cba tenevaa bordone alle tua rime,
imi
Pai. Nella mia mente, disse: I oerchi primi
28" Così vdod seguono i «noi vimt
E poason quanto a veder son sublimi
Imla
iRr. Che falsai li metalli con alchimia;
28P Cora' i' fui di natura buona seimia.
immo
Inr. Posda eon pochi passi divenimmo,
18* Assai leggieramente qud salimmo.
Da quelle cerchie etema ci partimmo.
Imo
iNr. Senza parlarmi, sì com'io stimo;
29^ Così parlammo insino al luogo primo
Se più lume vi fosse, tutto ad imo.
Poi. D' alcuna nebbia andar davanti al primo 98
I* Qoesta isolelta intomo ad imo ad imo,
Porta de' gioodii sovra i mollo limo.
17* Né per lè stante, alcuno esser dal primo, I M)
Resta, se, dividendo, bene stimo,
Amor nasce in tre modi in vostro limo.
Pai. Fuoco di nube) se l' impeto primo 134
i* Non dèi piò ammirar, se bòia stimo,
Se d' allo monte scende gioso ad imo.
30^ Reflesso al sommo del mobile primo, 107
E come clivo in acqua di suo imo
Quando è nel verde e ne* fioretti opimo;
Ina
Inr. Mena gli spirti con la sua rapina,
5* Quando giungon davanti alla mina,
Bestcmmian quivi la virtù divina.
21* A riguardar s' alcun se ne sciorina:
Tra'ti avanti, Alichino a Calcabrina,
E Barbariccia guidi la decina.
23* Montar potrete su per la mina.
Lo Duca stette un poco a testa ebina.
Colui che i peccator di Ih nndna.
28" E cui eia vidi su in terra Latina,
Rimcmorìli di Pier da Medicina,
Che da Vereello a Marcabò dicbina.
82P La valle, onde Biseniio d dicbina. Si
D* un corpo usdro: e tutta la Caina
De(;na pia d' esser fitta in gelatina:
Pei. Volgianci indietro , che di qua didiina US
1* L' alba vinri'va V ora mattutina,
Conubhi il tremolar della marina.
8* Di Yaldimagra, o di parta vicina IM
Chiamato fai Corrado Malasplna:
A' miei portai 1' amor che qui rafOna.
9* La rondinella presso alla mattina, t4
E che la mente nostra pellegrina
Alle sue vision quasi è divina;
13* S' anima è qui tra voi, dte sia latina ; 93
0 frate mio, dascona è dttadina
Che vivesse in Italia peregrina.
17* Piangendo forte, e diceva : O regina, . 35
Ancisa t' hai per non ^rd«c \.%,Vvoa\
Madre, aWa Vua, ^tv^ <« »\V vWc^n^-
28* Qut ut guia al som »«n» \nxùk * »«*» «•*»»•
Poi »' ft&Gos* Tvel l^oeo «^ ^^ aJ»»%»
32
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RIMARIO DELL* DTTIM
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■ Tulg th> i>||^>«lu' U Rtflu,
r». rKMiU ■ » tali Riipii ■ rtw.
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ir cU[iiiiiimllirli.M«idilaKUi4
ir Ut, «uls «Mai*, ronjiil' liU
rwilHht Bil II 1«H U «tra iirid.
rit-Hft; ftr*ttì'lmiaàH tiPb^i.
•te nm III nmi> iirii U[d t hwi.
ODIrdh ni dlw, h '
Qni Biitan te sui, «il bndw.
Ni nr luflMU « irulf dldu,
Mr«i«Bt»»ii<^iiititt«in, ini
II* m Cini > « CWtaUi I di FlHldH,
U • Tnipluw^ .D.Ì» cosili^
Hi (id nri lU Ita V ■_*■!■ k^
r. OM Hi HnaiS ^ Ha In dMH,
' l)iid>m.H,liM.liaU
Ma «Mail* M (■ IM te«*
■U'iUnH>i.,ÌMInl
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HIBIBIO DELLA D
Ctam «Hi tvm, e b> pwpriii «r
Dilli ibilili* uria « ipMilu,
IT Tn Otrda • Vii Cuuniti, Pool*
S^ Csn wu milia plsiiili, •[ ciu
Oh, rlip»' tfli. aiipM dil C>
Osati, iba ■' I ( iirfn pi* .Uh.
t ti C«»»CM, ad II taui 4' AqiUu.
Ad InnUr Hlala hIWIb
Di In Tmuh, ■ Il ìbenli kUw ;
Qilll • !• tMh 11 II» il Tirte ttrim
Eiimbita Jiih><itiH
VOI ■■ (Il «Ul H> tl*>* flB4lk> ;
nb ti BvoUr p«r !• nccl*A*lBB-
r FfUUHB, BlHMto > itoliha,
Cinlwiat a^lM 4mU (UHlK
,1. M ■»!» >lriMt.> plk >> 1 ini^Mn.
> Qwttcalalm'iiinnuicoTi'lKUriii.
|Hl Hlor Ibi lilU « tnar al Pj"^
; dlnuill ^ »lpl fiut(lt t eIm: t:
L ■! penttar, tilt ibtava, 041 ■' IflflllH,
TntùriliHliIunifcialAt tmlioinllLll tì
Tal il HA pftdi isl DBBtn* ■ nliiM.
U twoellce^ ■UoaUffglokllIrUlB; 0
E mi» • uri, tiHla ni rifMiai ■
E un' uik. !• iDd _i t\c&i,
Brmpn 4lAlDrdB ài pu^ bL bI tI«m, I
Do HmOV qKl]' Kma UbIb,
lati
itiiiuio DEUA mviitft cmncDu.
I
qSvllt«l''lBiU,<a
Mia inlMta oBiAikn iMn
M- THla chiL mi) ••>' ^ Kftf»v,
la l«il tH DoUi « nm i* mittiu
BmicUa qoilli ìon IL SJ <kIIii1!
M. Coft Urti foU jin*: laLnlB qidD
Culaio min, •: Baii lo eIk lUu
.L rgcMiU ( na mìi RliiiiTi • Ma
t* ts B>Uo>BsnT> lulo rialid.
Indi
T PIÒ, iiumig pH ■ a, l>« «111' I
Bota n', (lilba, ebi ooi 4Ueiiii
H ■!■« MiU^^ • nSr
T*t.*Ki^Ì?"
Bdls* lui; Chi ^PJkIhk,
^ OlHwl» •IhIU^«MMhK> ^
K' Qnrt> spmS t.da m'i?^
If Dl.ud.1 ..% pM ìli?-!»
c«l*« -Irti. f'S.'iyrfii.ii*
Evirimi pwMiH^Mrtirifc
tv Ci» eh' <D ditt i^ftìU ntmt*.
o i|iia^ (DTt a^fii iHV ili£.
«CMUMiMlpiaM
" '•^rMjjaM w«MI
BIMARIO DBUà DIVUIA COMIIBDU.
eo
41
I»
M p0Moa f«r lo evor loìtw « Dio, S6
là P mmh M moodo, e l' esMr aiOi
«pil dw fp«r« o|pii ledei, eom' lo,
S* Palla sii graDdt, A tè ttawa «do,
Apri xii orai • rigvarda qatl too fa»;
Stf fatto a Mtlcfler lo rito mio.
9^ La fonna qui del pronto creder ndo,
14 io rispondo : lo credo in ano IHo
Non moto, con amere e eoo dieiot
arcu
Che
B
97* Noà ti aanfigliar ; che, dicrad* io,
Qvegli di^ «arpa in terra il laogo aio,
Nella preacnta del FigUaol di Dio,
9^ E di (liù Tincon al, die verao Dki 4S
E DioDiaio eoa tasto dialo
Che li nomò e dlaUoaa, coat* io.
S4* Di bfoigna letida, te allo pio, e9
Ed, Ella oT' è? di adito diaa> io.
Mosae Beatrice ae del luogo aaio;
S3* Gioso a Maria, quando il flgliool di Dfa» US
Ma Ticn onai con gii occhi, A con' lo
Di qaeato imperio glaatiaaiao a pio.
lir. Prendeade pih della Meato ripa, 17
7* Ahi gioflliiU di Dio, bitodii atipa
E parche noatra edpa é «e acipa?
Il* In aa r eatremitk d' oi^ alfa ripa, I
▼enimow aopra piA eradcle atipa:
91* Ore a' tfghinge coli' otlara ripa, 80
E TÌdivl entro terribile Hlipa
Che la memoria il eangne ancor mi adpa.
SI* E aon nel pozzo intorno dalla ripa O
Come, quando la nebbia ai diatipa,
Ciò die cda '1 vapor che l' aere atipa;
iplo
PAt. S* apparecchian di bere ; o buon priadpio, IO
27* Ma V alta proTidenia, che con Sdpio
Soccorri toato, d oom' io condpio.
Ipto
Pva. Tal che parea beato per iscripto; 44
9^ Jm $xitu Itmet d» JÈfxptù
Con quanto di quel aalmo è poacU aeilpto.
Iqiui
Pae. Benigna volontade, in cui d Uqoa |
IS^ Come cupidità fa ndl' iniqua.
Ira
Isir. Parole di dolore, accenti d* Ira, 96
8^ Facevano un tnmnlto, il qual a* af firt
Come la rena qaando il turbo apin.
7* L' anime di color coi Tinte l' ira: HO
Che Mito 1' acqua ha gente che aeepira.
Come r occhio ti dice u* che a' aggira.
T E'I più lontanddddehetnttogira: 99
Questa palude, che il gran pnzao apira,
\y Don poterne entrare omal sena' ira.
Il* Son ci puniti, ae Dio gli ha in iraT 74
Ed egli a me : Perchè tanto delira,
Ovver la mente taa altrore mira?
%T Che mori per la bella Deianira. 08
E qnd di mezzo, che d pdto ai mira.
Queir altro è Polo, che fu d pien d* in.
91* Per fona di demon eh' a Urrà U Un, US
Quando si leva, die intorno ai mira,
Ch' egli ha aofTerta, e guardando aoapin ;
90^ Di aopra, che par «orgvr della pira, SS
Biapotemi : Là entro ti martin
Alla vandatU oorroa toaì all' in:
88^ Quando IMaaitro ad dlaia: Off pvnln, 181
Quand* lo 1 aenti' a om pariar eoa ira,
Ch* aaioor par la memoria mi ai gira.
84* Vano di noi: però dinanzi mira, 2
Come, «aaado una groaaa nebbia apira.
Par dà longi un muUn die 'I Tento gin;
PVK. O dolee padre, Tolgiti e rimira 44
4* 0 igUuol, diaae, inain quivi U tira.
Che da quel lato il poggio tutto gin*
S* Qud da Eati il fa far, che m' aTea la in 77
Ma a' io Coaai fuggito in Ter la Min,
Ancor aard di là doTO ai apira.
14^ Dell' antico aTveraario a aè tì tin; 140
Chiamavi il dolo, e intorno vi d gira,
E V occhio Teatro pure a terra mira;
19^ Che farem noi a chi mal ne diaira, 104
Poi Tidi genti acoeae in fuoco d' ira.
Gridando a aè pur : Martire, martira:
17* Nd qud d quieti 1' animo, e deaira: IS
Se lento amen in lui Tcdcr ri ttii%
Dopo giusto pentér, ve ne martini- .
18^ Gli occhi riToifi d logoro, che gin 09
Quale il Maun che prima a' pie d min.
Per lo Mo del patto el»e là li lin|
SIf Come furò le spoglie, d dia l' ire HO
Indi accuoiam col marito Saflra:
Ed in infamia tutto il monte gire
25* Sovra tant' arte di natara, e spira 71
Che ciò dio trooTa attivo quivi tira
Che vive e aente, e aò in «è rigira.
Pit. Nabuccodunneor levando d' ira, 14
4* E diate: lo veggio baa come ti tira
Se ateaaa lega a^ «he fuor non spira.
0^ Se in mano al terzo Cesare si mira 80
Che la vita giustizia die mi spira
Gloria dt fcr vendetta alla sua ira.
7* Di complessKin putcnsiata tira 140
Ma noatra vita senza meno spira
Di se, si die poi sempre la disira
IfiP Che 1 uno e 1 dtro elerndmaata apin, 9
Quanto per mente o per ucdiio ai gin
Senza guatar di lui dii ciò rimira.
IS^ Sempre 1' amor che drillaiuente spira, 9
Silenzio pose a quella dolce lira,
Clie la drstra del cido dlenta e tira.
18* ffullo creato bene a se la tira, 80
Qude auvreMo 'I nido d rigire,
E come qud cb' è pasto, la rimira ;
VP D' entrar ndl' alta ruota che vi gira, HO
A Voi divutaioente ora aoepira
Al passo furie, che a aé la tira.
28^ Qnaggiò, e pia a sa 1' anima tira, 80
Comparata al aonar di qudla lini
Del qude il cirl più chiaro a' insaura.
SIT Mi trasse Beatrice, e disse: Mira 128
Vedi nostra dtta quanto dia gira I
Cha poca genia omd d d diaira.
irano
PAt. Priadpati ed Arcangdi d girano; I2S
2SP Queati ordini di au tutti rimirano,
Tutti tirati aono, e tutti tirano.
Irei
l!<r. Noa Ti dbpiaecU, a« ri laoa, dird 198
SS* Onda ad ambedue poadamo uadroi
Cha Ttgaaa d' aalo ioado a diparlird.
Ir«
Irf. Nd fuoco, percbò apena di Tcaira, HO
1* Alla qua' pòi aa la fami MUt%>
BUAIIO DELLA DIVINA COMIIEDIA.
71
Chi wuàn fa lopra tifitA Miro;
4* Che quegli •pirli eh* OM t' «ppuln, 13
Ma toUi rinno bdlo il prioM gln^
Per lenlir più • mcn l' ettrM tfkn,
8* VcAito a Doi TCBir, laneiaodo U gli» M
E dentro a <|IMÌ ebo più inntol igpiriw.
Di riadir bod foi Mua àukn.
Hf Giu«o In Cieldaom, «I «M éa mtifln fH
Vedi oltre flammeggiar P ariate i|ln
Ote a eonuderar fa pM èht «in.
1 1* Fa per Onorio dall' etano ipin fS
E poi che, per la tcte del narthr»,
PrrdicA Cristo e gli altri che il aagolro;
l|P Cominciare a Tederà, e fare on gin 74
O vero afavillar del unto spiro,
Agli ocelli miei, eh* nati aòl toffriro 1
18* Pensa che Pietro e Paolo, che morirò ISI
Ben pooi ta dire : lo ho fermo il distro
E die per salti fu trailo a martiro,
23r Onde si cumoava il bri lafBro, 101
lo sono aoMre angelico, che giro
Che fa albergo del nottro diaira;
SIP Alla aia Duana diritab lo spira, B
Ed ella : 0 loca eterna del gres Tiro.
Ch' ei ptirib già, di qocslo gaodio auro,
SP Soa lo dao loci solo che salirò; I3B
A questa Toco 1* ialaaraiato giro
Che si faeea nel soon del trino spira,
SI* Ond* egli: A terminar lo too disln OS
E se rignardi sa nel temi giro
Nel trunu dte i sooi merti le sortirai
12* Clie sempre sanU il iiaerto o il sarfin O
E sotto lai eo«l aHmr sortirò
E gli altri ala qoaggiè di gira la ginw
Inro
Pab. Romani incontro a Brenno,ineoatfe a Pirra,44
t* Onde Ton{uato e Qoiaiio che dal dm
Ebber la (lama cbt toloaUer mirro.
Uiela
111
m
44
Pat. La picdola tallea, era ona Msda, OB
IP Tra l' erba o i fior venia la mala slrifcia,
Leccando «omo bestia che si Usala.
tv». Trovai por sei le lettere, ebo Ineiso
I9P A «he guardando il mio Ooca aorrba.
IIP Fino alla fine col Bgliael d* Ancfaise,
Foi quando ftor da Boi tanto diviso
Nuoto pensier dealro da me si
TT Volemd ster di qaat indi sorrise.
Poi dentro al fonco lanaui mi si mite,
Che pria per lunga strada ci diTlso.
fu. Come nel lume di qoel elei si mise,
8P E se la stella si cambi* o rise.
Trasmutabile sua per tatto fuisol
iO^ E si tutto il mio amora la lai si mise,
Non le dispiacque; ma d aa ao risa,
Mia meala aaita in pia cose diviso.
aSP A eontemplar qoetti ordini si miao.
Ma Gregorio da lui poi al divise;
la qaasto del, di sé medcsow riaa.
lai
Por. Teaaado (^ occhi con fatica Od
li* O, dlMi lai, non se' tu Oderìd,
Che alluminare è eiaamata in ParidT
Par. Di tntte le suo foglie, seno assisi
aP Dall' altra parie, onde sono Inlerdd
Qoel ek* a Cristo fenato obbor II Tld.
ISBMA
Hr. Seasiaator di Mandab e di i«i
SS* Un diavolo è qua dlctm che n'
Blmetteado ciascua di questa risoM,
lami
19
Ili
n
Zi
Mr. lodi mpper la rasta, ad a (\agglnl
40" tn tmmtm aoa saria pelata dird
l-frciiè al Maestro parve di paiiM.
Irti
*r1ll
l>r. Disse: Dentro da'l
'iC Maestro mio, riapoal, ]
Glie co^ fa«s«, 0 ^ '
PCR. ivd ora intendo aiodfaf qoegll apirM
4" Coa' io r ho tratta, aaria luago a dirti:
Gmdocerlo a Tediti o ad adMl.
47
05
Fra. F.r' lo di là, rispose qartlo spirto,
21* Tanto fu dolce mio vocale «pi rio,
Dtfve merlai le tempio ornar di mirto.
Prt. Federifi MicHm, e quel da Pi«a
<r Vidi Còatf Of«o. e r amma divisa
Girne dirva, non per eii||>a oimmi«a;
Par. Crrdfntli) quella quindi e«M'r •lecisa,
V V. for«e «oa sentenda e d' altra guisa
Con ioleniion da aaa esser deriva.
iMhlo
Par. Si qai«l6 con rN^n il iIdIcc mi*cbio.
Iti* Si e<>uw, [irr ff»- jr fgtic» o rischio.
Tolti §i poséo ti toatr d' aa fadiio.
se
17
:ì3
431
PAt. Quanto aaa difetliTl sinofinal
i <* Chi dietro a Jura, o ahi ad
E chi regnar per fona e per
1.1 r.
8P
38*
POE.
i*
r
4*
ir
ir
SOP
Qodla lettara, o oeslorBed a elao: i3l
Quaado loggeunw U diaUlo riso
QueOI, ofaa aal te BO aoa ta dielaa,
Soolopl*«Hte!aagUm'oraavTlao IO
Chi è ia ani «mo, cho vioa d diriao
Ov' Eteoclii eoi ftatel (k miao?
D' aa giunco scfaidlo, o che gU Uel 1 nao, n
Che aoa d «oaverria l' occhio aerprtn
Ministro, eh' è di «ad di Paradisa.
Tu aiP, cad aadaado Tolgi 1 tIso, lOt
lo mi ToM TOT lai, 0 gaardail Iso:
diriao.
123
41
Amar dd san aaitdfo folpr «In^ 407
E pcreU lBtcad«r aaa ai p^
Da qarlloodlanagBlaflMIoi
Veggio Mi AiagM aalnt la liidaUaa, M
Seggiolo aa' altra ToMa oaaev drKf«M\
E tra «aarV \%di<««L\ ««mv «mìk^».
M%i aoa V %>w\ tSM«aa«Jw*« a^ "^'^V
06 tte V an^dlVo '\% lih wi«% •
niHiinio DCLLit ntniu ramraru.
U- M t*«v wl M (li «ii'kd rwiln. 31
39' Ot iMInitiill Milli pn bitn, 01
Col F ulte pwo «In IB «**.
I«- Irsuto Itomi dal (iiulii Sin, <e
Mg •nHuds, M nhllnilt.:
t pai MhU li rilui4i olM,
<«■ Caflul^ Il Jin^T^ i> i^ln
UI.«w.liM^.d0..llr>
toJ U piluiD r«ni, M o. inln.
IB qQvIlB p«rU. ot* torg* Id apTLn
Tuia u>- U « ^ p«ta ÀUn.
Oli DM ww Mi w nlla (Un:
«■ Il'•^■•lt•UBILt4lll>•1l•'•c■plri: IIB
0 *iMu • nL.tti'^Ji'ìlSr
ì> Ha I 'Tt'l"*— .
&Mi.i.pi,ui.««_.^sr
nt ht <i ■■11. MjrZ-uJiiijiir
rv wntidu -— -nfclMWT
ir cu (. T«n<n,'q«ui, £!?!3_
RIMARIO DELU DIVINA COMMEDIA.
73
B dinuida m fai eoa prieshi mista.
P4ft. Predar! eoM ai «i fcc* in Tisttf $8
V Per Itlintr luca felgor •' acqouU,
L* ombra di fuor, come la mento è trltfa.
13" Smilemento operando air articta, T7
Però M il caldo amor la chiara Titta
Totta la pcrfeiion qaiTì s acqaista.
14* Veloci • tarde, rinnoTando Titta, US
MoTeni per lo raggio, onde si luta
La gente con Ingegno ed arte acquista.
«P Da poter arme, tra Marte e il Batista, 4T
Va la cittadinanza, eh' è or mista
Para Tedeasi neir nltimo artista.
W E il doca Gottifrcdi la mia Tìsta 47
Indi tra l' altre loci mota e misto
Qnal era tra i cantor del cielo artisto.
3af* Per farmi chiara la mia corta Tista, I iO
E come a bnon cantor bnoo cttaristo
In che più di piacer lo canto acquisto ;
ir Silloginar sensa aTere altra Titta; 77
Allora adii: Se qoantonqne s' acnista
Non t' aTrìa laogo ingegno di aefista.
90^ In questa vita, insino a questo Titta, 29
Ma or conTìcn che il mio seguir desista
Come all' ultimo suo daseano artista.
31"* Occhio mortale alena tonto non dista, 71
Quanto b da Beatrice la mia Tisto ;
Non discendeva a me per messo mista.
tote
71
Mr. Quando n' apparTer dno figure misto
2S" Persi le braccia dno di quattro listo;
DiTeoner membra che non fnr mai TÌsto.
Por. Tra la menana e le tra e tre liste, 410
39* Tanto salivan, che non eran Ti»to;
E bianche 1' altre di vermiglio misto.
31" Rispondi a me ; che le memorie tristo 41
Confusione e paura insieme mitto
Al quale intender fur mestier le Tiste.
totf
ea
Ijir. Se ta mangi di nei: tu ne vestisti
33** Qneta'mi allor per non farli più tristi:
Ahi dura terra, perdio non t apri^?
Prn. Poi dimandò: Quant e che tu Tenisti 56
8" Oh ! dissi lui, per entro i luoghi tristi
Anrnr die l' altra si andando acquisti.
Par. O Buondelmonte, quanto mal fuggisti 440
40^ Molti sarebber lieti, che soo tristi.
La prima volta eh' a città Trnisti.
iato
l^r. Da bocca il freddo, e dagli oedii'l cor tristo 38
xr Quanti io ebbi d' iatomu alquanto Tist«,
Cite '1 prl ilfl rspo avéne» insieme misto.
f\%. Si come dell' agricola, che CaifTO 74
12? BfU psr%fl messo e famigliar di CaitTO,
Fu al primo cnn^ìglio die die Cristo.
4 V* Clic in quella croce lampeggiava Cbbto, lOi
Ma dii («rende sua cruee e segue CavfO,
Veggcnilii in queir albór baleodr Caino.
\T Kun kali mai chi n'm crrdrtte in Caiaro, 401
Ma vedi, molti gridan Caisro, Cbbto,
A lui, die tal die non conobbe CaifTO;
'2(r Quel ciie tu vuoi udir, perch' io l' bo Tbto 4 1
Non per avere a «« di bene acquisto,
Pute^u*, ri<kplendrnd<i, dir: >usst*to;
tr ^nia battemmo perfetto di Crutto, 83
RÌKuariU ouiai orila faccia die a Crvio
Sola ti può disporre a veder Cristo.
totr»
Inr. Del lungo scoglio, pur da man tfalttra, 53
W Già Ter lo fondo, dove la ministra
Punisce i falsator che qui registra.
Por. Viene a Teder la gento che ministra 5'J
SIT In su la sponda del carro sinistra.
Che di necessità qui si registra.
ita
4
77
Vi
SS
Iiir. Nd mesto del cammin di nostra vita
4* Che la diritto Tia era smarrito.
4* Cbe di lor suona su nella tua Tìta,
Intanto Toce fu per me udito :
L* ombra sua toma, eh' era dipartita.
(T* Mi pesa «ì, che a lacrimar m' invita:
U cittadin ddla città partita:
Perchè l' ha tanto discordu assalito.
48" Guidnguerra ebbe nome, ed in sua Tito
L' altro di' appresto me 1' ama trita.
Nel mondo su dovrebbe esser gradito.
24* Ecco un degli anzian di Santa Zito : 38
A quella terra che n' è ben fornito:
Del no, per li denar, vi si fa ita.
29? A lui che ancor mirava sua ferita, 77
Chi fu colui, da cui mala partita
Ed d rispose : Fu frato Gomita,
Por. 0 induraste, vi puoto aver vita, 40t
4* Poscia non sia di qua vostra reddita;
Prender il monte a più lieTe salita.
4' Di fuor da essa, quanto fece in vita, 431
Se orazione in prima non m' aita,
L' altra cbe vai, che in del non è adito?
0* Che ne mostrasse la miglior salito ; 88
Ma di nostro paese e della vita
Mantova.... E l' ombra, totta in tA romita,
7* Quanto, più die Beatrice e Margherita, 428
Tedeto il re della aempUce rito
Qnetti ha ne' rami tuoi migliora otdto.
V Venni ttamane, e tono in prima vita, 59
E come fu la mia risposta udita.
Come gento di subito smarrita.
44" Pria die si penta, I' orio ddla vita, 42X
Se buona oraxioo Ini non aita.
Come fu la venula a lui largita?
48" È da materia, ed è con Id unita, 50
La qual fenia operar non e sentita.
Come per verdi frunde in pianta vita.
W Né più salir poticti in quella vita; 410
Fino a quel punto misera e partita
Or, come vedi, qui ne son punita.
TBt Ester, cb' io foasi avaro in 1' altra vita, 32
Or sappi cb' avarizia fu partito
Migliaia di lanari hanno punita.
23? Nel qual mutanti mondo a miglior vita, 77
Se prima fu la po^sa in to finita
Del booo dolor di' a Dio ne rimarita,
Sir Di mia seconda etade e molai vita, KTB*
Quando di carne a «pirto era salito.
Fu io a lui men cara e men gradito ;
PàR. Lttdda, «pesta, si>lida, e pulita, 32
3? Per entro ȏ 1' etema marglicrita
Baggio di luce permanendo unito.
4* E differentemente bau dolca «ita, V*
Qai si moslrsrun non perdiè Mwtito
Della ccle^tial e' ha men salito.
6* Coni diventi «canni in nostra vita, 425
E dentro alla pre<^nte marglicrito
Fu r opra grande e bella mal gradita
T" Questa natura al suo Fattore unita, 3^*
i Ma per sé stessa pur fu cU% ^vadAN%
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|M 1. 'i|>«i. IH», tk' i. HI ■Hli".
omti al diyala i ifuinarrE la Mafllu. 133
un qnuJo, »|lu^ Mtlt • lotUi,
Cb' .[11 t taf IH^ • sMn A ■iiinM.
■a a* pmaa ai oallbi 4ik w ti afCBa,
Vi (pai da rraln, uà ah' alOi» f afa^ni.
qaalT aaoc il apoflU.
r,".'yzr:
^P flIHARrO DELL.^ D
VI» coxamii. ^^H
^B L.Dut.i»f.*»i: rwiwl.lm
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te- f™ r M ta—, . u Mi * i-n. i.« m
E^r£*r.*jr^.
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Hi |>IÌ<M FaUn tirflit dia ■«•
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l'.I.AHÌMlnitbU.aD>l l'Ito. »
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U-cte(M'iHrHit*.IM»«vriA '
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s.'r:ri.!:r;4i^tt,.
K^;-rj=r.-i
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TalItnWt»*; Vi.l<H>lK.<ti;
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PII. Hata U|Ba oaHlaa ahi U paia
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r.i.^ir,|ioiu.4i,«i.ulo::(,rtL
rU,.il»UM1,«mM.ì.i,h^ «
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Minisela la a tdte Mb.
RIMARIO DELLA DIVINA COMMBDIA.
101
«U McM ri? «U ti MM ai qoMlo motto,
Par BM, pw ■«, • il IwM eb' «ra retto.
yt Che III, doT« parcami in prìoia sa rotto, Tt
fidi ODA porta, • tro frodi di tolto.
Ed on port>or eho oocor non facon OMtto.
41^ L' •ni'na mio, del tormento di sottoL 137
Ed olla a mo: Chi V ba dnn<pM ooodotto
Ed io: Cottai eV è meco, o non fa motto:
41* a, cbo »i fa doUa rendetU ghiotto; 422
Qoetto triformo amor qoaggin di aótto
Cbo corre al ben con ordine corrotto.
23* Io ti credea trorar laggiù di fotto, R3
Ed egli a mo : Si toito m' ha condotto
La Nella mia col ano pianger dirutlo.
30^ Ed a coloi che 1* ha qos5»ù condotto, 440
L' alto frto di Dio aarebbo rotto,
Poaao gnatota aenaa alcnto acotto
lar. Hi veggio Intorno, comò eb' i' mi mera, 5
•* l' oooo al terrò cerchio della piova
legola 0 qualità mai non l' è nova.
S* Non abigoUir, cb' io vincerò la prvova, 42i
Qoosta lor tracotanza non è nneva,
La qual senza aerrame ancor ai trova.
44* Perchè, io co»a n* apparitco nuova, 428
Ed io ancor: Maestri>, ove ai trova
E r altro di' che ai fa d' oaU ptovaT
27* L' aquila da PolcnU la ai cova, 41
La terra che fa già la langa prova.
Sotto lo branche verdi ai ritrova.
Pon. Ch'io solva il mio dover», anzi cir io maova: 02
40^ Coloi, die mai non vide ooaa nuovi.
Novello a udì, perdiè qui non ai traeva.
43* Spirilo eletto, ae tn vuoi cb' to amova 4 i3
Oh qoe»ta è ad adir ai eoaa aaova.
Perù col progo too tolor mi giova.
34* Si sente, si elio snrga, o che ai maora 89
Della mondizia i sol voler fa praova,
L' alma sorprende, e di voler le giova.
22* Che porta il lume dietro, e sé noo^va, 68
Quando dicesti: Secol si rinnova;
R progenie discende dal del nuova.
3flP Che si alti vap»rì hanno a Inr piova, 443
Questi fa tal nella «uà vita nuova
Patto averebbe in lui mirabil pruova.
Paa. Ma perchè sappi die di te mi giova, 437
9* Sempre natora se fortuna trova
Fuor di sua regioo, fa mala prova.
St Beato spirto, dissi, e fammi pruova 2li
Onde la luce che m' era ancor nuova,
Segnelte, come a cui di ben far giova :
*JS* Cbo ciascun ben che fuor di lei d trova Ti
Piò die io aMra convien che si muova
Lo vero, in cite si fonda questo prova.
33* Per mLiorar lo cerchio, e non ritrova, 13 1
Tale ora io a quella vi%ta nuova :
L* imago al cordilo, a come vi a* isdova ;
ove
.nr Lo secondo giron dal terzo, e dove 5
4(* A ben nianiCestar le eoeo nuove.
Che dal suo Idtn ogni pianto rimuove.
34* Di «ne potenza coclra -1 aomoM Giove, 02
Fialte ba nume; e fece le gran prove,
Le braccia eh' ei mrn4, giammai non mveve.
33* Prrch' io : Maestro mi<>, questo dii muovoT 401
On'l celi a me : Avacclo tarai, dove
VrKi;*'"'! ' Il caci'in clie 1 fiato piove.
PcR. E se nulla di noi |.i-ta ti muove, 440
0" E so licito m' e, o sommo Giove,
Soa U giasU eceU ImI rivolti altrovcT
S3P Faoco di apetaa nabe, qaando piove 440
Com' io vidi calar V accel di Giove
Non die de* lori e delle foglie aaove;
Pan. La gloria di Colui che tolto maova 4
4* In una parto più, a meno altrove.
3* Ella è qoel mare al qnal tolto ai nMwre 86
Chiaro mi fu allor com' ogni dove
Del aommo ben d' un modo non vi ptove.
4* Già tutto il mondo quasi, si che Giove, 82
L' altra dubitatìon die ti commuovi
Non ti potria menar da me altrove.
7* Non ha poi fine, perchè non si muove CK
Ciò che da otta senza mezzo piove
Alla virtodo delle cote nuove.
42? Pur come gli ocelli, ch'ai piacer che i muove 20
Del cuor dfll' una delle luci nuove
Parer mi fece in volgermi al suo dova;
W* Perchè non toma tal qual ei si mnove, 423
E di ciò sono al mondo aperto prove
Li quali andavan, e non sapean dove.
48^ Bima«ero ordinate, ai che Giove M
E vidi scendere altre Ind dove
Cantando, credo, il ben cb' a aè to bmovv.
22f Quivi sostenni, e lidi com' ai mnove 443
Quindi m' appar>o il temperar di Giove
Il variar die fanno di lor dove;
24* Solo ed eterno, die tutto il cid maove, 431
Ed a tal creder nt>n ho io pur prova
Audio la verità elio quinci piovo
37* Il mezzo, a tutto I' altro intomo muore, 107
E questo dolo non lia altro dove
L' amor che il volge e la virtù cb' ci piove.
Nr. Venia si piaa, che noi eravam naovl 74
23* Pereti' to al Duca mio: Fa che tn trovi -
E gli occhi si andando intomo muovL
Pai. Esperienza, se giammai la pruovi, 85
2f Tra specchi prenderai, e dae rimaovi
Tr* ambo li primi gli occhi tuoi ritraevi.
OYO
RI
iKr. Clio mi commise qoest' aSeto naovo;
Kf Ma per quella virtù per cui io uMOVO
Danno an da' tuoi, a cui noi aiamo a pnmvo,
oxlo
Pai. Sen giva, e chi aegacndo taeerdorio, S
44* E chi rabare, e chi civil negocio,
r affaticava, e chi si dava all' ode;
l^r. Quest'inno ai gorgoglian aclla atrooa, 423
7* Coti girammo dolila lorda pone
C«in gli occhi %olli a chi del fango Ingozza .
28" r.on la lingua tagliata nella Uroata, 4IH
Kd un eV avea l' una e I' altra man mvzu.
Si dio 'I tani^ue facea la facaa
ozxe
Pan. La saa serittura ften lettere m<«cac, 4 Si
49" C parranno a dascon I' open* aoaze
Nazione, e duo corone han fatto bozze.
oxsl
I^r. La sconoscente vita, che i fé toazl, SU
7" In eUrn) verranno agli doc rozzi;
Ci'l pugno chiuso, e questi m' cria moni.
4 Divi!iit caminu.
"..'XJri;*^^'»"
fc[in II (oal J-ipp» In»» «■ «Ji
UT Mi • liMb «Illa inrli Ut,
OlwBliultfall^Mwàl^ ■
IM niilu, m «a tf la ^1 1«
"Il ifiMil ■■ IMI
l<«pW.Wbd<an.Mk^ «
ObJ' •di * ■■: ki CWUa il^
c« •> • DI M M> Ihb ihIii
RIMARIO DELU DIVINA COMMEDIA.
105
Pai. Coiim H MgM M noodo • itP noi dad t
90P Parò che tott* quelle vive lod.
Da mia OMmorìa labili a eadocL
acla
Pim. Per tatto Q tempo ehe '1 rooeo gli abbraoU : 187
a^ Cba la piaga dasscoo «i ricada.
sr
IIF. Cooie fi cooTcrrebbe al tristo bnee,
Sàf r preiDereì di mio concetto il raee
Neo Moia tema a dicer mi eondooi.
ada
Congiorato da qnella Eriton emda,
Di poco era di me la carM noda,
Per trama no spirto del eerehio di Giada.
Nella quel ei distenda a la 'mpainda,
Qniiidi passando la vergine cnida
Senta coltura, e d' abitanti noda.
Cioè, come la morte mia fa eroda,
Breve pertocio dentro dalla ninda,
E in che conviene ancor eh' altri li ahladi
ade
l!ir. Al nocdiicr della livida palode,
3* Ma queir anime eh' eran laasa a soda,
Ratto che 'nte«cr le parole erode.
Wtr Si vider mai in alcon tante erode,
Qnant' b vidi due ombre soMrte a nuda.
Che '1 porco quando del porcil ai aeUada.
PVft. Cotesta oblivion ciilaro eondiiudo
9|f Veramente oramai saranno nude
Quelle loovrire alla taa vista roda.
Far. Che Tagliamento ed Adiee rìchiudai
9^ Ma tosto Sa ehe Padova al paloda
Per essere al dover le genti eroda.
2-1* Propositione che si ti oonchiode,
Ed m: La prova che il ver mi ^tahiada
Non scaldd ferro mai, né battè ancada.
SQP Del Sol piò oltre, cosi il eiel si chioda
Non altrimenti il trionfo, che loda
Parendo inchiuso da quel eh' e|^ [
adi
Par. Prima Dominaaioni, e poi Tirtadl|
Si* Peecia ne' duo penultimi tripodi
L'altimo è tolto d' angelici ladL
2S
»
44
Inr.
ado
Lasciai 1 collo, e sia la ripa
tT 0 to, aba leggi, adirai noovo lodow
Qod prima, eli' a ciò fare era pia
Po a. A me rivolse, qoel feroce drodo
tr Poi, di sospetto pifno e d' ira
Tanto, che sol di Uri mi fece scodo
Par. Sitto la pfotccion del grande scada,
taf Dentro vi naeaoe 1' amorose drada
Benigno a' sooi ad a' nimici crado}
r
4»
ne
155
ìb
137
Si al venir, eoa le parola taa.
Or va, che nn sol volere è d*
Co*! gli dissi, e poidiè meaee foa,
22* Ad artigliar bea loi, ed aabedaa 140
Lo caldi» sghermitor cobite foa :
Si alieno tovlscata 1' ale laa.
35* E miseU la coda tr* ambedaa. iB
Ellera abbarbicata mai non na
Prr 1' altrui membra avviticehié la na:
2B* Cd eran dae in ano, ed ano in dna: 125
Qoaado diritto aopl* dal peata tea,
Par appreiearaa le parole eoa,
82* Per la freddare, por col viso ia flaa 58
Se vaoi saper chi aon cotesti dna,
Del padre loro Alberto e di lor fan.
Pub. Additandomi oa balie poco ia aaa, 47
4* 5n mi apronaron le parole sna,
Tanto ehe il cinghio sotto i pie ad ft».
8* Tacito poscia rigoardar in sue, 23
E vidi osar dell' alto, e scender gioa
Tronche e private delle punte eoe.
12* Del mio Maestro i passi, ed ambcdoa II
Qoando mi disee: Volgi gli occhila gtaa:
Veder le letto delU pianU taa.
15* E, Btmti miurUonlts, ftaa 38
Lo mio Maestro ed io soli f*Vtdaa
Prode acquistar aelle parola saa;
10^ E di noi parii pur, come sa taa 21
Cosi per una vece dotto fue.
E dimanda sa qoind ai va eoa.
18* Disse: Volgiti in qoa, vedine dna 181
Diretro a talli dieaan: Prima tu»
Che vedesse Giordaa la rade saa.
2r Simonlde, Agatone, ad altri pian 107
Qoivl ai veggion della genti taa
Ed Ismene A trista come fue.
21* Ed io rimasi in ria eoa esso 1 dae, 9B
E qaando innanii a noi éI aatrata Am,
Come la uMnta alle parole eao:
29^ Vratiqoattro seniori, a doe a «a,
Tutti eantavan: Benedetta toa
Simo in etemo le belletso toa.
9T Mise taar teste per le parti eoa,
Le prime eran comota eooM bae;
Simile ametro ia vieta mai aoa flìa.
Par. Assai mi fo, ma or eoa ambedoe
I* Entra nel petto mie, e spira toa
Della vagina delle membra tao.
f* Una natura ta Cristo as<er, noo plaa,
Ma il benedetta Agabite, alia tm»
Mi diriaaò eoa le parole sua.
7* £ qoeeta è la ragioa pcreliè V aoaa tea
Donqoe a Dio eoovenia con le vie tao
Dico eoo l' ana, e ver con antbadaa.
8* Tanta s' avea, e : Di, chi sa' ta? fte
E quanta e quale vid' io lei far pina,
Quand' io parlai, all' allegreno saal
II* L' altro per sapiinua in Urrà tao 88
Dell' an dire, perocdiè d* ambedaa
Perchè ad un une far 1' opere saa.
18^ Che r amena natura mai non fon, 88
Or, s' lo non procedessi avanti piaa^
ConUncerebber le parole tao.
45* Toa cognasione, e aita cent' aaal a pian 88
Mio Aglio fu, e tao bLsavo tao:
Ta gli raccorci con l' opero tuo.
Il* Clio del faro e dal chieder, tra vd daa, 74
Coa lui vedrai eolui che Impreaao tao,
Che notabili flen l' opere sue.
SI* Onde riguarda come paò lagglaa l<N
SI Oli proscrimer le parole sae,
A dimaodaria amiltoanta chi tao.
2P Del aosira Pellicaao, o qaasti tu» 118
La Doaaa mia coei; aè però plaa
Poeeia, ehe prima, alle parole aaa.
ST E tal adissi credo dia ta del Am, 85
Pel pfocedetler la parata aaa
Cba la ■■alilaata aoa d anta pian:
83
148
17
14
IM
44
affa
Iir. Ha tolta loro, e podi a qaacta offa:
RUIABIO DSlU
I
Kr'3^K:;s:':^s:!r
.e 2* '•^«sEtrtL-.
IMI' din l»lsl>, • <h> Mi nm» •InRt. IM
U tif «iD irnWBlU C ■>■ Hnrti
Cb. eoa eli «clìt • a>l uh rio» xKTi.
QsiihI* fCi^Aui ■■ lliginpii, (la ■' ilUtf!. <)•
CU ^ »-7.1f . t^ >« b lulh.
14* 1. iK H «- l«l<^ pnvt. M
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CU .bU ni, d* emiri '1 <!•« Bu»
D,h' è,, m,>al, q»U' »>l. jilnmi;
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B.tHt.|ù.d^^«<.MI>.lfa...,
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RIMARIO DELLA DIVINA GOVMBDIA.
107
ComineU dooqw, • dì ove •' «ppanU
La Ti»U ia U •marrita e non derunta ;
ante
137
Ijiff. Dissa: Chi fosti, chv per tante ponte
43" E qoegli a n«ii: O «niine, che giunto
C lia le mie frondi n da me di>>j:iuntC|
4 ir Perebè A forte guizzavan le gionte, 2(1
Qnal soole il fiainmaggiar delle ooea onta
Tal era II da' calcagni alle ponte.
antl
Nr. L*anticoTer«>;eqaando anolftor KÌaatl,20
IC* Qaal aoulen i campion far nodi ed «oti,
Prima dia aien tra lor battati a ponti;
auto
Tant* era pten di sonno in ra qnel pvnto, 4 1
Ma poi ch^ io fai appiè d* on culle (Inalo,
Che m' avca di paora il cor eumpontoi
Da ogni mano all' opposito ponto, S3
Poi H Tolgea ciascun, qoand' era gionto,
Ed io eh' avea lo cor qoaai componto.
Pia noalra oooosccnra da quel punto, 407
Allor. coma di mia colpa eompooto,
Clio '1 MIO nato è co' tìtì ancor eongiimio.
Che fa natnra, e qoel eh* è poi aggionto, 63
Onde nel cerchio minore, ot' è '1 ponto
Qoalonqoe trada in etemo 4 eontonto.
Fermò le piante a terra, e in on pania 423
Di clw cia->can di colpo fu componto.
mff.
4*
!•
44*
«•
Però si moase, e gridò: To se' giunta»
410
PIM.
r
r
ir
2r
Quando mi Tohi tu paMa^ti il ponto
E ne' or «otto V emispcrio giunto
Cnvercliia, e sotto '1 cui c»lrao coosaito
Già era il sole all' orixzi>nte giontO| 4
Jeras«l«'m col sbo più alto punto:
Perche fuoco d' amor compia in nn poato 88
B Ih doT* io fermai cotesto ponto.
Perchè il prrg'i da Di» era tli«giunto.
Falti sicor, cnè nui siaro» a huon pula: 47
To ee' ornai al Purgatorio giunto :
Tedi r entrata U 've par disgiunto.
Uomo sì duro, che n«n fosM ponto
Che qoando foi ^\ presso di liir giunto.
Per gli occhi fui ili grave dohtr muntoL
Iton vedi to ancor: quest'é tal ponto
Si clie, per sua dttllrìna, fé di>igionto
Perette oa lui non vide orbano assunto.
Anzi el;e «imo in sé, mirandi» il itonto
Mentre eh' i' era a Viri;ilii» congiunto
K discendendo nrl mondo defunto.
Forte sospcM», disse : Da quel punto
Mira qo«rI cerchio die pio gli è cnngtmlo.
Per r affocato amore, ond' egli è ponto.
53
«
47
41
^AB. Dire, color che aaano il noma tao : 74
2S^ Tu mi stillasti con lo stillar ano
Ed in allrei vostra pioggia rapivo.
api
P( R. Tanto piò trova di can farsi lopl
44" Discesa fioi per più pelaghi cupi,
Che non temono ingegno che la ocevpL
So
\yr. E disse: Taci, maledetto lopo: t
7<* Non è senza cagiim l' andare al oipo:
Fé la vendetta del superbo «tropo.
appe
rrn. Voglio dia to ornai ti disviloppe, 33
33" Sappi che il vaso, che il serpente nappe,
Che vendetta di Dio non teme aappe.
¥v*. Per gli occhi il mal die tetto il mondo ocapa, 8
28* Maledetta sia tu, antica lupa.
Per la toa fame senza fine copa t j
ape j
Fan. Immagini chi bone intender eu|>e I
43° Mentre eh' io dico, come ferma rape) '
Inr. Mi ritrovai per ona selva oscsra, 2
4* Ahi quanto a dir qoal era è cosa dora
Che nel pensier rinnova la paora!
2* Di cai la fama ancor nel mondo dora, SO
L' amico mio, e non della venterà.
Si nel cammia, die volto è per paora:
4* Sette Volte eerdiiato d' alte mora, 407
Qoesto passammo come terra dora :
Giugncuimo in prato di fresca verdora.
8* Ripiidiera soa carne e «oa Agora, 08
Si trapassammo per sozza mistora
Tocrandii on poco la \ita fetore:
44** Por lo % incoi d' amor die fa natora: 98
Ipocrisia, lu^ingha r chi afiattura,
Rufllan, baratti e simile lonlora. ^
48* Tra i peno e '1 pie deli' alta rìpa'dora, 8
Quale, do\e per guardia dello mora
La parte doT' ei s<»n rende Agora ;
24* Che la mia G>mmrdia cantar non cara, 2
Rislrmmo per %eder l' altra feuara
E \idila mirabilmente oscora.
23" Avendo più di lei clic di eè cara, 41
E giù dal c<illo della ripa don
Clw r on dei lati all' altra bolgia tara.
2S" 8* appiccar si, alia in poco la giontora 407
Togliea la coda fessa la Agora,
Si facce molle, e qoella di là dora.
28* E \idi cosa di' io avrei paora, 413
Se non che c<m<icienzia m' atsicora.
Sotto 1 o<ibergo del sentirti para.
31* Lo sgoardo a poco a poco raHIgara 3S
Gisi, forando 1' aura gr>sMi e scora,
Fnggrmi errore, e giognémi paora.
roB. Cli colombi adunati alla pastura, 423
2f Se cosa appare ond' elli abbian paora,
Percliè assaliti a <n da maggior con;
3* R'itto m' era dinanzi alla Sgara, 17
lo mi «oUi da lato eoo paura
Solo dinanzi a me la terra o^icnra :
9^ Giovanna, o altri non badi me cara; 83
Ed io a lai : Quel forza, o qoal ventora
Che ni»n si sep|ie mai tua seit<)ltura ?
8* Monaldi e Filippescbi, aom senza cara, 407
Vien. erodel, vieni, e vedi la pressora,
E vetlrai Santali-ir com' è s'icnra.
8** Quanto in lemuiina fnoc<> d' amor dora, 77
^on le fark si bella K-|Hillura
Com' avria (alto il galU> di Gallura.
0^ E che muti io conforto sua paura, 83
Mi cambia' io: e come senza cura
Si iiii>Hse, ed io dirrtro in ver 1' allora.
IQT* Per ineiiMiIa taUolta ona (ì.:ura fSf
La qiu! fa del non ver vera rancora
Vid IO ador, qaaado feti b«a «ìx'k.
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(OS nlKktllO DELL» DIVI»* COUUDU.
ICtrWiHiTn^UnllKteiJgn, «
Ck^II. Cmtitt <Mt rl>lu>
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■r »• i< ■» twte . r iBn bhTIts
tlH lu(ln nwd t f(bi41 il iklBL
Tiu. a r>M i« iMk iw 1.1.
niMAFlIO DELLA DIVINA COMMKDI.V.
HM)
iir;;<>
r'' H Son Goido Guinicelli, e ^n mi purgo 'r2
2Br Qaali nella trìatitia di LicarKo
Tal mi fae* io, OM non a taalo iaivrgo,
ari
Inr. Tiatm» «M, Amt tk* IIM«0n dori, 44
44* CU è «Mi cruda tka non par ebt enri
A dM fa pioggia naa par cìw 1 martnri?
W* D' ineenararli, t\ eha pia non dori, I f
Per tatti i ccrdii ddl' lofanw oaeni
Non qocl che cadda a T«b« giù da' anri.
Pri. E gimtitia • •perania fan man dori, 77
19^ Se voi Teoite dal giaear slairl.
La voatra destre alen acnpre di tari.
Pai. Chi, per amor di tota die non dnri 1 1
Vf Qoala oer li sercn tranqoiUi e p«r{
Morando gli occhi che «tevan denri,
S9P Tn aai che tante Tolte la flgnri, S3
Lara la testa, e fa che t' aMienri,
ConTien eh' a' noatri raggi aft aalvi.
arll
iRff. E il nna pnrie e f altra, eoa ginni* vU il
7* Pereotaranal incontro, • paada nnr B
Gridando: Perchè ti«iT • pmhè karilT
amo
P«M. Ndr ora che non pnò il caler dinmo I
«9^ Vinto da Terra • tnlor da
Inr. Se non eteme, ed io eterno dnro:
•* Qneete parole di colore oecnro
Perdi' lo: Haeetre, U tcnse lor ^ è
9* Ch* ella mi fece entrar dentro a and
Queir è 'I pi* basco loco e 1 pi*
Ben so 1 cnmadn : però ti tà seenra.
•r Di onesta CooaMdla, lettor, U givra, Itt
Ch> io vidi por qncU' acr groaao • tmn
MenvigUoan ad ogni eor sknro;
31* Ogni nem v'« harattier, ftaer che IwImu: 41
Uggi* '1 bnttd, e por lo acoglb dnn
Con tanta fretta a segnitar le tara.
2IP Non polann ire al fendo per 1* eacnin: TI
Dall' dti« dngUo, e dlsaentiam In mm ;
Cod già veggio, e niente af^nin.
21* Otte vetU U eodn d dosso dnre : 49
Diaao : QnaaU è da' rd dd fnoeo hn :
B d vedite andando mi rancar*.
3iP Perso d* esser nemato d escara. 4M
QndU aonA, eooo foese nn tawiaw
«o dM non parve nMB Ibn,
44
419
4U
Cd braedo ano dM non parva nMB iam
9T Che dd nd loco, ondo pariare è data,
CocM nd fnmmo già nd peno acnia
Ed lo idrava ancora air dte mar»,
Pan. Lor oca girh ; ma non perh die paia
4«* O Ofdia de* Pantdi, slraro
Chi far lo possa tralignando aacaia.
«S* Vano di nei. oooim la notte, osoMa,
Qaaato no tolse gli occhi e P aor naia,
sr VolfiU la qaa. e vieal dira deara.
Qaaado mi vide star par fcnaa a éMa,
Tra Beatrice e te è qaesto mra.
Pai. Fatto avea prfaaa, * pd era fattala,
i^ Divoata in apparsnia poco * oc
CoB occhio chiara a aoa aBsUa
tfP SlapaUo; e pd mi riian
BcMBlndal:OpoM,ch
A cai rianana sposa è 9glla a
vo
443
{J I i t" .1. in ' ■ 1 t •, .|iii '■I.' '..ri') il II m;
Il I <|ll' -ti I llt< , <.||<l<- il li T«> *- III it«ll>
yuri clif cn-dittcri) la Cristo veuluru.
arpa
Pai. Di qadla leggo, il cai popolo asarpa,
15° Quivi fa' io da qaatta gaato tarpa
Il cai aoMW ■olla anima ddarpa,
orro
IPF. In ana horta gialla vidi anarro,
47* Pd procedendo di mio sgnardu il
Mostrars aa' oca bianca piò die '
arto
iRr. Dd fosso, eha neasana mostra il fàrto, 41
99* le stava sovra 'I ponte a veder sarto,
Caduto sard gih scasa aaaar arto.
74
Int. Che 1 tiea legato, o anima oeafaaa,
91* Pd disae a me: EgU stesoo a' oacBM;
Par an Ungaafglo ad msado aaa a'aaa
Pia. Ch* U malo amor ddP <
4r Seaaado U aeaU' osaer rieUasa:
Qadfan sUU d fdb dogaa
4r Al caaU mio; e qad moao a' i
LaagfaoMo me per far eeld eeatasa.
94* DI, A, ae qaest' 4 vera; a tanta
Era la mia viltà taato coaftera.
Che dagli orgaai sad fosco discbiasa.
93^ Meaalo ad ceso, e, ceam ta so* asa,.
Como aaima gentil cho nea fa scaaa,
Toeto com' è per aegao faer diacUasa;
4»
Pai. Ndando od a Skhao od a Croaaa,
9^ Né qaella Rodopea, che drlasa
Qaaado iole ael caora ebbe richiaaa.
4S^ $• fede mcrta aoetra maggior mata,
O smagmia mmu, o mptr infkam
Bit mmfnémt mriiJmHmm ndtum?
Il* Ddlo 9pirÌto 9anto, eh' è diffosa
ft silleflamo, cho U mi ha eoachlasa
Ogai iimaatrariea mi pan ottasa.
Pak. CV lo traval 1, d fa prima corvaica,
47* ladi rlspooo : Coadsau tasca
Par oaatiih la laa parala brasca.
«3
ta
lar. Al lovaar ddla amata, dM d
r Che di tristida tatto od coafaao,
M* Peneah* lo ferite soa ricUasa 41
Ha ta chi so' dM la sa lo aenU» ■mc,
CV è ciadicata la sa le toa accasa?
Na. Sovra la facda, nea mi serica ihlaaa 439
41* a* «ho vededi fa, perdd aoa scaaa
Che dalP etera» foele son diffase.
Par. Prima ch* an' altra d' aa cerchie la drfase, 9
IT Caato, dm tanto vinco nodra OMao,
QnanU primo splendor qad eh' a' itfaaa.
Isr.
Par.
r
ani
Malara e trasmalara; a qal mi
Ed awcgaacb* gli occhi mid coahd
Nea poter qad foggird taato i '
Patgi'mi, a ad sa' abile id chtasi,
Oemlal poi, a md pi* eh' a boa ad.
Dio lo d sa ^aal pd mia vita fmit
17* Per tao pariarr, ma perdi* t> aad
I4i
194
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0 PELU oiTiRi conuiik.
• I^IUMil»..
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zrDi'rtB.ÙnMHd^tavT^ DI
V K !• iMua iiJi^ l.bli «w. III
uwl' Ir •• sanali Iti Ilio mUmt
«iIhI, • «l>U «_«■ il «do iMm.
*i-Ml>«*^Mi<i,li<>i>iu* a
V lill(llcl^U(nfaaiaiiiÌH<w. U
piityi «•••* iHi* iMfiidiT a' •« iUhi
E tal lU «dTìl^IllH > oJìrll.
T* ■iImAMit, pMIMinUrlriiB. M
QhMi dInkMaii laiw il WH ;
Mi pvfiV la aamwntait IruppB cl4«i>t
0 DELI A nrTIDA COMHEDIA.
M ! Or dinU Jm^ ( «kJ c^i
lì'taM liuto éBf T^tfglU VVtd,
ni. A«r HBata 11 tal 1' •■•1 liiliii,
29* Mimi ^iEiwh. •! la llilala
^fl^:?r*".'i^^
swMli
r (Hill 1 tUMlJll wiDtuiri»
^'taSX""
«jrt.j.rii«.,
l'E.pind.lliBll.tolliliil'
• •IHllMFS>)W>'«t|«lU.
em4d ipnic. af{Hi «Milo tnlU ;
• a riiHHirr» I». il- ili .11» mu
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MiÌSmIU
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inUMO MUA BlflHA COOIMA.
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I» Di* tt iMoi, Ml«, pnOir inUlt
Cmi^ to p«lM taMr to vlM MtMto,
B poi eh* te a teff» il Attratti^
Binwwiiiiliwprito
MP ?e<l ofgtaMi qMHl^ M
r «i te il M coB> «ril è «ra kalK
B«4tt 4a tei piMiMn «gli tatto.
PC». Cb*» M potato «fwto voter tatto,
1* Bdiitar votato tvn fratto
W 1— iltrto è <oto te pit tati»,
ir Pw IMO ol ctoto, il OMM M tatto
lo etil itoio, te voi fa»
rlwbti^lolW«,op•r■•ll
ir Or to' h»l poièitoi i*oiM
Coso li frWM tt §«■•, «fV» tt I
Cbo fratto gSìn pri» obo Mite tatto;
a*QalnfaMVonioavi»o«ocalftattoi 44t
U ■TfiToW ijatotra altor» tatto
Mito ftvooa P aittao oiolialto:
rA».?MiadioiMaBlnMk«ratto li
MP B pinM faio, qaab or», ta cootiilto.
hofaBd
Niaia»a«d,4oÌal
«horiaflMloI^
«*»
I»
sèi* «Mi» ila
toaOM^ttlaltofl
okolowvteaitan
tewSSft
Iif.
ir
•Mtoa
latto <1
•A». (Mk fi«tl «tf to «0^ o« d
ir Otoimito tetra. • ooAav lo
Cho gih por b»ialtai» la P
FIMR.
US
RIMARIO DELLA WWmk COMMEDIA.
•• Me ti Utel, Mtor, pnodar fratto
Con* io polea tener lo Tbo ««efaittOf
3t" CoaÉ' «1 •' MoeM e «ne, • ceaor totlo lOl
B noi ebo te ft t«m al distratto,
E in «pel aiedasao ritoniA di batto:
34P Vedi oggiBMi qnont* «hot d«o q«el tatto tt
8* d fti d bd con' egli è ora bratto,
Bondoe dft lai pMcederi ogni latto.
Pi r. CM, m potato ovoito «odor tatto, tt
3* E diiUr vodisto Mata fratto
Ch' otcmalnaBto è doto lor per latto.
10* rar taso al dolo, il eana ao tallo AB
So eoa! inae, in tot fora dialiallo
Par boa, loUdt, o per aMlo, «ver bHlo.
ir Or n'hai peidaU;i>8oaoosaadM latto, SS
Coiao d friace U aamio, ovo di batto
Cbe fratto gnaia pria dio MMia tatto;
28^ Oaiprinaveraioaipro od ogni fratto; 14S
lo ni riToU addietro allora tatto
Udito avean l' aitino coatratto:
Par. Vide ad aoanoUnirabUo fratto SS
^ E perdi* foaae, qaale era, in coatratto,
ckafa
iadi
Del peeMniva, 41 4
Sr Sotto bMiaiatowl
Avvenga che da U
2r Cantra U piacer di Dm,
Ch*, qaanhuiqaa la
Non di paraalo, aè d'olm iih
»* Dd trionfo 4ì Crialo, a latto 11
Panairi aha >1 eoo
Che paatar oai eocvtai
SriCdP oaior eoo raggto
Cennaato fc ordiio «
NelMndQ.iacb
Pai. QaeDe gcaU di> to dltoo, edd
4S* Che averi* dentro, « aeotoav b
Ch* gii per barattai* ha r
riNK.
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