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Full text of "Paradiso"

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ì 


LA  COMMEDIA 


DI     DANTE     ALIGHIERI 


La  presente  ristampa  colla  data  del  18G3  si  distingue 
alquanto  dalle  precedenti  per  alcune  aggiunte  e  mutazioni 
fatte  qua  e  là  nel  C!omento  dall'Autore  di  esso. 


L'  Editore, 


LA  COMMEDIA 


DI 


DANTE  ALIGHIERI 


pioiniTiiio 


NOTAMENTE     RIVEDUTA     NEL     TESTO 


E  DICHIARATA 


MA    BSVIVOIVE    BIANCBI. 


IOTA  nmOM     COAKtMTA  Dlt  BIMAKU». 


EJiiioM  «torMlip*. 


FIRENZE. 

FELICE  LE  MONNIER. 


1863. 


i^-H-i,"»-.  (.3,3 


Otftor 


AVVERTIMENTO  DEL  COMENTATORE. 


Il  Comento  che  per  tre  edizioni  consecutive  è  Tenuto  alla 
luce  sotto  il  nome  del  Costa  e  mio ,  esce  ora  col  mio  nome 
soltanto;  non  già  che  io  abbia  avuto  la  vanità  d'esser  solo; 
cfaè  non  potrei  ad  ogni  modo  dar  gran  peso  a  siCTatti  lavori, 
dove  so  che  molta  è  la  fatica,  poca  o  nulla  la  gloria;  ma  perchè 
se  numerosissime  erano  fin  qui  le  aggiunte  e  i  cambiamenti 
d'ogni  maniera  da  me  fatti  alle  note  di  quel  valente  Filologo , 
tanti  altri  ve  ne  ho  latti  ora  all'  occasione  di  questa  nuova  ri- 
stampa ,  che  il  comento  di  lui  può  dirsi  quasi  sparito ,  non  es- 
sendoci rimasto  che  certe  annotazioni  comuni ,  quali  trovansi , 
parola  più ,  parola  meno ,  in  tutti  i  cementi ,  e  che  io  ho  la- 
sciato stare  ogni  qual  volta  ho  creduto  non  si  potesse  far  me- 
glio. Vero  è,  che  non  amando  io  ingannare,  come  non  mi  piace 
d' essere  ingannato ,  debbo  confessare ,  che  chi  si  metta  oggi  a 
cementar  Dante,  ben  poche  volte  interpretando  od  osservando 
pu<S  dire  con  verità  primtis  ego.  Il  comento  alla  Divina  Com- 
me<]ia  si  lavora  da  cinque  secoli ,  e  letterati  molti  e  di  molto 
ìn^f^vmo  vi  han  dato  mano  in  tutti  i  tempi  ;  e  tanto  per  la  illu- 
strazione istorica ,  quanto  per  la  spiegazione  del  senso  sì  lette- 
ne che  allegorico  sono  state  scritte  migliaia  e  migliaia  di  pagine, 
biche  può  dirsi,  che  in  questa  materia  si  patisce  più  del  troppo 
che  del  poco  ;  per  che  tutta  la  lode  che  oggi  rimane  a  un  cemen- 
tatore ,  quando  cose  nuove  difTicìlmente  si  posson  dire,  è  il  cri- 
terio della  scelta,  e  il  modo  dell'esporre.  Ma  che  dunque?  mi 
potrebbe  taluno  rispondere:  non  ci  sarà  egli  più  nulla  da  fare 
dof-io  di  te?  É  omai  tutto  chiaro  in  Dante?  —  Adagio  un  poco; 
r\ù-  [»er  istrìngermi  ragionevolmente  colla  prima  domanda,  biso- 
;:n:iva  ch'io  mi  fossi  dato  vanto  d*  aver  sempre  veduto  e  scelto 
li  meglio;  e  questo  io  non  l' ho  detto,  né  lo  presumo.  Alb  se- 


1  DEL  COHENTAn 

conda  risptm do  senza  esitanza,  che  molto  anzi  rimane  dell' ose) 
e  del  dubbio  nella  Divina  Commedia  ;  ma  dico  al  tempo  Bloti 
che  lab  oscurità  e  dubbiezze  sono  di  lai  natura ,  che  j  conit 
tatori  non  possono,  e  forse  non  potranno  mai,  dileguarle  :  ed  ( 
1  poche  parole  il  perchè.  Primieramente  ,  te  imagtni 
finzioni  composte  e  presentateci  dall'Alighieri  non  sono  sempn 
o  almeno  non  appaiono  a  noi,  cosi  certe  e  deliDÌte,  che  non 
possano  volgere  in  Lutto  o  in  parie  a  piii  e  diversi  sensi  :  quindn 
divisione  degl'  interpreti  secondo  lo  spirito  o  la  preoccupaiioc 
di  ciascuno,  la  qualiti)  dell'  ingegno,  degli  sludj  ec.  Manchìam 
in  secondo  luogo  di  molte  notizie  parlic^lari  riguardanti  la  vita  d 
lui;  conosciamo  poco  gli  uomini  con  cui  ebbe  che  fare;  non  ci i 
chiaro  abbastanza ,  e  per  ogni  rispetto,  l'andamento  delle  cose  d 
quel  tempo,  certe  opinioni,  certi  usi;  perlochè  sono  lasciati  alL 
congettura  e  al  forse  parecchi  passi,  che  per  piìi  e  migliori  cogni 
uoni  sarebbero  manifesti.  In  terzo  luogo,  è  da  considerare  la  na- 
tura delle  parole,  che  non  essendo  numeri ,  non  rendono  sempre 
un'idea  certa  e  immutabile,  ma  divenute  talvolta  col  variare 
.  .plei  tempi  edeghusi  capaci  di  più  significazioni,  tengono  sovente 
,lospeso  tra  l' una  e  l'altra  l' interprete.  E  a  tulio  ciò  s'aggiunga 
I  l'incertezza  del  lesto  in  (anta  diversità  dei  codici,  de'  quali  non 
e  trovi  pur  uno,  per  quanto  pregevole  sia,  che  non  porti  più 
L,t|ua  più  là  degli  errori  palesi,  e  roen  felici  lezioni;  lanlo  che  non 
I  polendo  un  comentalore  dar  tutta  la  fede  ad  un  solo ,  e  quello 
[  seguire  da  capo  a  fondo,  è  costretto  S  comporsi  un  testo  raccolto 
I  do  cento  manoscritti  e  stampati  ;  i  quali  sebbene  non  presenlinu 
I  ,]dlra  differenza  che  di  parole ,  pure  queste  non  di  rado  son  tali  da 
liltorturare  il  cervello ,  senza  che  si  possa  dopo  tutto  uscire  all'atto 
B;#el  grave  dubbio  se  si  abbia  in  nessuna  delle  noie  lezioni  la  ge- 
Auina  dell'Alighieri.  Equeslaè  forse  la  solvente  piii  ampia  delle 
^ispule  e  delle  gare  dei  letterati;  lai  cbe  io  son  d'avviso  che  se 
|1é  fortuna  impietosita  di  tanto  loro  arrotarsi  tirasse  fuori  oggi  o 
K^omani  dalle  tenebre  dove  si  giace  il  codice  autografo  del  gran 
iPoela,  sarebbe  risparmiato  per  questo  solo  lato  un  buon  terzo 
Pdcl  lavoro  a  chi  coracnla,  e  alliettanlo  di  noia  a  cbì  legge. 


llBL  COmilTATOlB*  VU 

Onte  lono  k  agionì  che  in  molti  luoghi  fimno  difficile  e  dub- 
Hèi  eoofiellD  di  Dante;  e  finché  rìmarranno,  i  comentatori 
Mtto  sempre  alle  prese,  e  nd  gran  campo  ddl' opinione 
ckì  lerri  l'ima  parte,  e  chi  1*  altra. 

Mi  venendo  ora  a  dire  qualche  cosa  del  mio  hvoro,  ripeto 
fiddie  anco  neDe  precedenti  edizioni  avvertii,  che  ho  mirato 
priaeqialmeote  ai  giovani,  coi  quali  non  si  vuol  essore  né  tnqppo 
imliì,  per  non  lasciarli  al  buio  o  imbarazzati;  né  di  soverdùo 
rsp'ssi,  per  non  recar  loro  fastidio.  Perciò  io  annoto  tutto,  ma 
(atto  speditamente:  poche  citazioni,  pochissimi  confronti,  e 
ailofi  soltanto  che  sian  richiesti  dalla  necessità  di  ccmvincere  il 
iettore:  rarissime  qudle  esclamazioni,  così  frequenti  ad  altri 
■odemi  comentatori,  sulla  bellezza  dei  versi,  dei  concetti, 
deOe  deaerisioiii ,  perchè  troppo  ripetute  stancano  ;  e  sono  poi 
anco  vane,  quandoché  chi  ha  un  po' d'anima  la  sente  da  sé 
senza  bisogno  di  svegliarino,  e  chi  non  l'ha,  non  serve  che  il 
cooMOtatore  gridi  bada  bada.  Quanto  all'accennata  difficoltà 
della  lezione,  e  per  quel  che  riguarda  l'allegoria  principale,  per 
b  prima  ho  sempre  seguito  la  più  sempUce  e  quella  che  ho  sti- 
auto  la  più  conveniente  al  contesto ,  scegliendo  dai  codici  e 
dalle  edizioni  più  accreditate ,  e  fuggito  in  ogni  caso  l'arbitrio, 
a  costo  anco  di  ritenere  talvolta  qud  che  apparisce  men  chiaro  o 
men  buono.  Quanto  alla  seconda ,  persuaso  che  quella  allegoria 
non  sia  governata  da  un  solo  e  medesimo  concetto  (conciossia- 
chè,  secondo  i  principj  di  Dante,  la  Rigenerazione  morale  ^  che 
certamente  è  l'intendimento  primario  del  poema,  non  si  possa 
operare  senza  la  riforma  politica ,  perchè  il  Guel/Umo  è  disor- 
dine necessario,  e  solo  \  Impero  conduce  il  mondo  a  virtù,  sì 
che  l'uno  è  respettivamente  quasi  sinonimo  dell'altro),  ho 
messo  in  mano  ai  giovani  questa  doppia  chiave ,  di  cui  volgen- 
do accortamente  ora  l' una  parte  ora  1*  altra ,  potranno  aprirla 
quanto  basti  ed  intenderla. 

E  qui  mi  cade  opportuno  di  (are  una  dichiarazione,  la 
quale  potrebbe  dirsi  vana  e  ridicola,  se  non  fosse  provocata  dal 
nial  giudizio  che  fin  dalla  edizione  precedente  pronunziò  contro 


DEL  COUBNTATOBB 


I 


le  mie  note  uno  zelante  censore  di  questo  mondo.  Col  qualf 
farócome  fece  con  Filippo  di  Macedonia  quel  buon  uonio,clU| 
l'ivato  con  una  dì  quelle  non  tanto  insolite  sentenze  sbrìgalìvfj 
il  capo  e  il  collo ,  e  parendogliene  male ,  né  polendo  far  oltf 
ee n'andò  dicendo:  m'appelleróa Filippo  digiuna.  La dichi» 
none  dunque  è  questa:  Quando  iodico  che  Dante,  quanto  AlI 
verente  e  devoto  al  Papa  come  vicario  dì  Gesù  Cristo  e  Cl^ 
della  Chiesa  universale ,  altrettanto  è  avverso  a  lui  come  pn 
cipe  temporale;  che  dalla  potestà  secolare  e  dall'avarizia  del 
curia  papale,  ora  sotto  fìgura  ora  scoperlamenle  espresse,  i 
petendo  egli  la  più   forte  opposizione  al  rinnovamento  dell' in 
pero  latino,  ripete  altresì  la  massima  parte  dei  viij  e  dei  ma 
d' Italia  e  della  Chiesa ,  e  via  discorrendo  (e  queste  cose  no 
gliele  fi>  dir  io.  ma  provo  che  veramente  le  dice),  io  non  son 
sostenitore  o  seguace  di  queste  sue  opinioni,  che  anzi  ì 
piij  luoghi  all'occasione  lo  ho  notate  come  esagerate,  e  parr 
di  passione;  ma  quali  che  fossero,  non  potevo  dissimularle  m 
falsarle,  quando  era  necessario  che  l'esponessi  a  intelligeni: 
di  varj  punti  del  suo  Poema. 


E  questo  sia  suageJ  cL'ogni  uomo  sganni. 


^. 


Quanto  poi  a  chi  patisse  scandalo  per  le  acerije  riprensioni 
della  vita  irreligiosa  e  del  mal  costume  dei  prelati  e  del  clero 
di  quei  tempi,  dirò  che  costui  non  deve  aver  mai  letto  quel  che 
già  scrissero  su  bic  ai^omcnlo  uomini  santissimi ,  come  un 
San  Pier  Damiano,  un  San  Bernardo,  una  Santa  Caterina  sanese 
[non  vo' dir  del  Petrarca  percliè  non  è  santo),  che  altrimenti  ni 
bì  scandalizzerebbe  né  farebbe  le  maraviglie  per  tanto  meno 
che  ne  ha  detto  Dante.  Eppure  i  liberi  scritti  di  quei  sapienti 
noD  sono  stati  per  anche  da  alcuna  potestà  condannati. 

Del  rimanente,  ho  voluto  che  a  questa  nuova  edizione 
lelU  Divina  Commedia  fosse  premessa  la  vita  che  del  sommo 
i  icrisse  con  molta  eleganu  il  Bruni ,  detto  comunemente 
tarde  Aretino;  e  a  parecchie  notìzie  che  forse  i  giovani  pò- 


ArrUTIMElfTO  DEL  COMBNTATOBB. 


IX 


Ina  desiderare y  ho  supplito  con  alcune  brevi  note,  che  ho 
fute  a  pie  di  pagina.  Ma  chi  gradisse  acquistare  più  profonda 
cognizione  dell'uomo  e  delle  sue  opere  può  ricorrere  agli  eccel- 
soti liTori  del  Pelli  e  del  Balbo,  dove  troverà  largamente  da 

Finalmente,  a  maggior  pregio  dell*  edizione,  e  provvedendo 
ttcke  al  comodo  degli  studiosi  di  Dante ,  il  tipografo-editore 
^  ha  noito  il  Ai  mano ,  col  quale ,  sol  che  ti  ricordi  d*  una  finale 
à'm  verso»  potrai  ritrovare  ogni  passo  che  ti  bisogni. 


Brunone  Bianchi. 


i854. 


— *»•*" 


l 


VITA  DI  DANTE 

SCRITTA   DA   LEONARDO   ARETINO. 


Afcado  in  questi  gtoni  poeto  flne  a  un'opera  tsni  Ingi,  mi 
venne  appetito  di  volere,  per  ristoro  dell*aÌl^ticato  ingegno,  leggere 
Ileana  cosa  volgare;  perocché,  come  nella  mensa  an  medesimo  cibo, 
cosà  negli  stodj  ona  medesima  lesione  continuala  rincresce.  Cercando 
ndnnqoe  con  questo  proposito,  mi  venne  alle  mani  un'  operetta  del 
Boccaccio,  intitobta:  Deità  vila,  eoiiumi,  e  $iu4i  del  elari$timo  Poetm 
Amie.  La  quale  open,  benché  da  me  altra  volta  fosse  stata  dlUgen- 
lissiniafliente  letta,  por  al  presente  esaminata  di  nuovo,  mi  parve 
che  il  nostro  Boccaccio,  dolcissimo  e  suavissimo  uomo,  cosi  scrivesse 
la  Tju  e  i  costumi  di  tanto  sublime  Poeta,  come  se  a  scrivere  avesse 
il  Filocolo,  o  il  Filostrato,  o  la  Fiammetta;  perocché  tutta  d'amore 
e  di  sospiri  e  di  cocenti  lagrime  é  piena,  come  se  Tuomo  nascesse 
in  questo  mondo  solamente  per  ritrovarsi  in  quelle  Dieci  Giornate 
aiDorose,  nelle  quali  da  donne  innamorate  e  da  giovani  leggiadri 
nccontaie  furono  le  Cento  Novelle;  e  tanto  s*  infiamma  in  queste 
parti  d'amore,  che  le  gravi  e  sustanzievolj  parti  della  vita  di  Dante 
liscia  indietro  e  trapassa  con  silenzio,  ricordando  le  cose  leggieri  e 
ucendo  le  gravi.  '  lo  dunque  mi  posi  in  cuore  per  mio  spasso  scriver 
di  nuovo  la  Vita  di  Dante  con  maggior  notizia  delle  cose  slimabili. 
N^  questo  faccio  per  derogare  al  Boccaccio,  ma  perchè  lo  scriver 
mio  sia  quasi  un  supplimento  allo  scriver  di  lui. 

I  maggiori  di  Dante'  furono  in  Firenze  di  molto  antica  stirpe, 
iountochè  lui  pare  volere  in  alcuni  luoghi  ^  i  suoi  antichi  essere  stati 
«li  quelli  Romani  che  posero  Firenze.  Ma  questa  è  cosa  molto  incer- 
u,  e,  secondo  mio  parere,  niente  è  altro  che  indovinare.  Di  quelli 

*  Qveftto  medctinio  ginditio  lal  lavoro  del  Boeracdo  proouosiarono  altri 
«alcali  aomioi,  coaw  il  VdlaUllo,  il  Bisdooi,  il  Mafici  aella  f^trcmm  iifutU-mlm, 
rJ  altri;  ou  coatottocio  io  aoo  d*opiaioiM  dia  meriti  Mopre  d'taacr  tconta  ia 
■i«Uo  cesto  la  aarraiioaa  del  piò  aotico  «criuora  della  com  di  Daota,  a  quasi  a 
.m  cooicMporaooo. 

S  II  vero  BOOM  fa  DmrmnU,  cbt  poi  all'ou»  fioreotioo  fo  abbreviato  io 
sacllo  di  DmnU. 

*  lo  alcooi  looghi  ddla  Commulim,  m»  eoa  molla  inccilciaa»  fa  <*eiiiiodi 
;«eaia  siu  aotica  origine. 


I 


%„  Vlt*    DI    DANTE. 

che  io  bo  natlibi  ti  trilavolo  suo  tu  mraser  Cacclagalda,  civaltc 
iliirenlìDo,  il  quale  milllb  Mtlo  l'imperadorCurnilo.  •  Questo  messe 

Caccìagulda  ebbe  due  fratelli,  l'uno  chiamato  Uuronla,  l'altro  ElUec 
Di  HoroniD  non  si  legge  alcuna  successione;  ma  da  Eliseo  nacqu< 
quella  famiglia  nominata  gli  Elìse!  ;  e  torse  nnche  prima  avcano  qae 
Sto  nome.  Di  messer  Cacciaguiila  nacquero  gli  Aldìghicrì,  eoa)  nomi 
nati  da  un  suo  Qgliuolo,  il  quale  per  stirpe  materna  ebbe  nome  Aldi 
gbieri.  '  Uesser  Cacclaguida  e  I  fratelli  e  I  loro  anUchi  abitarono  quag 
In  sul  cauto  di  l'orla  San  Piero,  dote  prima  vi  s' entra  da  Uercatc 
Veccbio,  nelle  case  cbe  ancora  oggi  si  cblsraano  dclli  Elisei  ;  perche 
a  loro  rimase  l'anlLcbilil.  Quelli  di  mcsser  Cacciai^iida,  delil  Aldi- 
gblcrii  abitarono  in  su  la  piazu  dietro  a  San  Martino  del  Vescovo, 
dirlmpello  alla  via  cbe  va  a  casa  i  Sacchetti;  e  dall'altra  parta  gì 
Stendono  verso  le  case  de'Danati  e  dei  Giuochi.  '  Nacque  Dante  nelli 
anni  Domini  lìGS,  poco  dnpo  la  tornata  de'  Guelli  in  Fìrcnie,  aliti 
in  esilio  per  la  BcooOtta  dì  Uonlapcrli.  *  Nella  puerizia  sua  notiilo  li- 
beralmente e  dato  a'  precettori  delle  lettere,  aubilo  apparve  in  lui 
ingegna  grandissimo  e  attissimo  a  cose  eccellenti.  Il  padre  suo  Aldi- 
ghieri  '  perde  nella  sua  puerìiia  ;  nlentedi manco,  confortalo  da'  pro- 
pinqui e  da  Brunetto  Latini,  TalenUssimo  uomo  secondo  quel  tempo, 
non  solamente  a  litteratura,  mi  a  gli  altri  studj  liberati  si  diede  ; 
nieute  lasciando  indietro  che  a|^rtenga  a  far  l'uomo  eccellente:  tiC: 
per  tutto  questo  si  racchiuse  in  ozio,  ai  privnssl  del  secolo  ;  ma,  vi- 
vendo e  conversando  con  li  altri  giovani  di  sua 


Il  lUigiii)  digli  àldighiiri  di  Ptmn.  Il 
ini>  dil  DiirM  dilli  milR  JUIfhlfo, 
Mitt^i  AUtgbtr- 


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▼ITA  DI   DANTE.  IIII 

aeeorio  e  vtloroto»  td  ogni  eserctxio giovanile  si  trovava;  inlantocliè 
ia  q/ÈtXÌM  battaglia  memorabile  e  grandissima,  cbe  fli  a  CampakUno, 
tei  giovane'  e  bene  slimato  si  trovò  nell'armi,  combattendo  vlgoro- 
ttOMnte  a  eavallo  nella  prima  scbiera,  dove  portò  gravissimo  peri- 
colo ;  perocché  b  prima  battaglia  fu  delle  schiere  eqoestri,  nella 
qaale  i  cavalieri  che  erano  dalla  parte  delti  Aretini,  con  tanta  tempe- 
sta vinsero  e  snpercfaiarono  la  schiera  de*  cavalieri  iloraitinl,  che, 
sbaraltalì  e  rotti,  bisognò  fuggire  alla  schiera  pedestre.  Questa  rotta 
tm  qneOa  cbe  fé  perdere  la  battaglia  alli  Aretini,  perchè  i  loro  cavi- 
vincitori,  perseguitando  quelli  che  fuggivano,  per  grande  dl- 
lasciarono  addietro  la  loro  pedestre  schiera;  sicché  da 
qoindl  Innanii  in  ninn  luogo  interi  combatterono,  ma  i  cavalieri 
•oli  6  di  per  sé  sema  sussidio  di  pedoni,  e  i  pedoni  poi  di  per 
sé  sena  sussidio  de* cavalieri.  Ma  dalla  parte  de'  Fiorentini  ad- 
divenne il  contrario;  che,  per  esser  fuggiti  i  loro  cavalieri  alia 
schiera  pedestre,  si  Cerone  tutti  un  corpo,  e  agevolmente  vinsero 
priaaa  i  cavalieri  e  poi  i  pedoni.  Questa  battaglia  racconta  Dante  in 
una  soa  epistola,  e  dice  esservi  stato  a  combattere,  e  disegna  la  for- 
ma della  liattaglia.' 

E,  per  notizia  della  cosa ,  sapere  dobbiamo  cbe  Uberti ,  Lam- 
berti, Abati  e  tutti  li  altri  usciti  di  Firenze  erano  con  li  Aretini; 
e  tutti  li  usciti  d'Arezzo,  genliluomioi  e  popolani  Guelfi,  che 
in  quel  tempo  tutti  erano  scacciati,  erano  col  Fiorentini  in  questa 
battaglia.  E  per  questa  cagione  le  parole  scrìtte  in  Palagio  dicono: 
SconfUii  i  Ghibellini  a  Certomondo;  e  non  dicono:  Sconfitti  gli  Are- 
ttnà;  acciocché  quella  parte  degli  Aretini  che  fu  col  Comune  a  vin- 
cere, non  si  potesse  dolere.  Tornando  dunque  al  nostri  proposito, 
dico  che  Dante  virtuosamente  si  trovò  a  combattere  per  la  patria  in 
questa  battaglia.  E  vorrei  che  il  Boccaccio  nostro  di  questa  virtù 
avesse  fatto  menzione,  più  cbe  dell'amore  di  nove  anni  e  di  simili 
k»gg>erezie  che  per  lui  si  raccontano  di  tanto  uomo.  Ma  che  giova  a 
dire?  la  lingua  pur  va  dove  il  dente  duole;  e  a  chi  piace  il  bere, 
sempre  ragiona  di  vini.  Dopo  questa  battaglia  tornatosi  Dante  a 
ca^,  alli  studj  più  lerventemente  cbe  prima  si  diede  ;  e  nondiroanco 
niente  tralasciò  delle  conversazioni  urbane  e  civili.  E  era  mirabil 
rosa,  che,  studiando  continuamente,  a  niuna  persona  sarebbe  panito 
rh'egli  studiasse,  per  l'usanza  lieta  e  conversazione  giovanile.  Per 
la  qual  cosa  mi  giova  riprendere  Terrore  di  molti  ignoranti,  i  quali 
credono  ninno  essere  studiante,  se  non  quelli  che' si  nascondono  in 

*  La  katUglia  di  Campaldiao  aYTcnoe  nel  i989,  «quando  Dania  avea  S4 

«■DÌ. 

*  Si  fa  erano  di  questo  fallo  d'arme  anche  nel  V«  drl  Purg.^  dorè  si  parla 
irlla  morie  di  Duonconle  di  Montefellro,  capitano  per  gli  Arclioi. 


V  Eolitudliu 

*  rimiMHl  li 


solitudine  ed  in  otto:  ed  io  non  vidi  mai  niano  di  quesli  C! 
rimossi  dalia  conTersazionc  delli  uomini,  elle  sapesse  tre  lelHh 
L'inBegno  gronde  ed  allo  non  ba  bisogno  di  [ali  U 
verissima  conclusione  e  certissima,  cbc  quelli  cbu  non 
non  ajiparaiio  mal  ;  siccliÈ  stranarsi  e  levarsi  dalla  ci 
mito  di  quelli  cita  niente  eoo  atli  col  loro  basso  ingegno  ad  imprcn 
dere.  Né  solamente  conversò  citilmeolc  Dante  con  li  uomini,  ma  »o 
Cora  tolse  moglie  in  sua  giovanezza  ;  e  la  moglie  sua  fu  gentildonna, 
della  famiglia  de'  Donati,  cbiamata  per  nome  madonna  Gemma,  della 
qoale  ebbe  più  Hgliuoll,  come  in  altra  parte  di  quest'opera  dimo- 
streremo. Qui  il  Boccaccio  non  La  ppzienza  e  dice  le  mogli  essere 
contrarie  alli  studj;  e  non  sì  ricorda  cbe  Socrate,  il  più  noUle  Slo- 
BOfo  che  mai  fusse,  ebbe  moglie  e  Qgliuolj  e  uDci  nella  repubblica 
della  sna  cittì;  e  Aristotile,  cbe  non  si  può  dir  piil  lì  di  sapieou  e 
di  doltrìDa,  ebbe  due  mogli  in  varj  tempi,  ed  ebbe  llglluoli  e  rie- 
cbene  assai.  E  Uarco  Tullio  e  Catone  e  Varronc  e  Seneca,  litinl, 
sommi  DIosoB  miti,  ebbero  moglie,  oOci  e  governi  nella  repubblica. 
Siccbè  perdonimi  )l  Boccaccio:  i  snol  gindic]  sano  mollo  Qcvoh  io 
questa  parte  e  molto  distanti  dalla  vera  opinione.  L'uomo  ò  animale 
civile,  secondo  piace  a  lutti  i  Hiosoli.  La  prima  coogluniione,  dalla 
quale  multlptlcaia  nasce  la  cittì,  è  marito  e  moglie;  nò  cosa  può  es- 
ser perfetta,  dove  questo  non  sia;  e  solo  questo  amore  è  naturale, 
legittimo  e  permesso.  Uaiue  adunqoe,  tolto  donna,  e  vivendo  civil- 
mente ed  onesta  e  studiosa  vita,  In  adoperato  nella  repubblica  as- 
sai; e  Qualmente,  pervenuto  all'eli  debita,  fu  creato  de' Priori,  non 
per  sorte,  com'.-  s' usa  al  presente,  ma  per  eleiionc,  come  In  quel 
tempo  si  costumava  di  fare.  <  Furano  nell'  uOcio  del  Priorato  con  lai 
messer  Palmieri  degli  Altoviti  e  Neri  di  messer  Iacopo  degli  Alberti 
ed  altri  collcgbi;  e  fu  questo  sno  Priorato  nel  milletrecento.  Da  que- 
sto Priorato  nacque  la  cacciata  sna  e  tutte  le  cose  avverse  eli'  egli 
ebbe  nella  vita,  secondo  esso  medesimo  scrive  in  una  sua  epistola, 
della  quale  te  parole  son  queste:  >  Tutti  li  mali  e  tulli  gì'  inconve- 
nienti mici  dalli  infausti  comiij  del  mio  Priorato  ebbero  cagione  e 
del  quale  Priorato,  bencliÈ  per  prudenza  io  non  fossi  de- 
floo,  nientedimeno  per  fede  e  per  eli  non  ne  era  indegno;  perocché: 


ih  Ha  Vi 


■'iSgiugpoisaa,  B' 


0  gii  pusati  dopo  la  batuglia  di  CainpaldiDO,  nella 
e  ta  p«e  ghibellina  fu  quasi  al  imio  morU  e  disfatu,  do*e  ni 
il  Ma  bncìullo  oell'anai,  e  dove  ebbi  lemenza  molta,  e  nella 
allegrena  per  li  var}  casi  di  quella  battaglia.  ■ 
M  le  parole  sue.  Ora  la  cagione  di  sua  cacciala  voglia  par- 
te rKContare;   perocché  è  cosa  notabile,  ed  il  Boccaccio 
a  eod  asciuttamente,  che  forse  non  gli  era  così  noia  come 
i,  per  cacone  della  storia  che  abbiamo  scriita.  Avendo  prima 
«  1M  (alti  di  FIrenic  divisioni  assai  tra  Guelfi  e  Ghibellioi,  final- 
:  mani  de'Unelfl;  e,  stata  assai  luogo  spazio 
>  in  «inesta  forma,  sopravvenne  di  nuovo  un'altra  maladì- 
1 1  GuelS  medesimi  i  quali  reggevano  la  repubbli- 
||C  li  a  UMne  delle  Partì,  Bianchi  e  Meri.  Nacque  questa  perversità 
e  massime  nella  famiglia  de' Cancellieri;  *  ed  es- 
logift  dMsa  tatta  Pistoia,  per  porvi  rimedili  fu  ordinato  da' Pio- 
li dM  1  api  di  queste  Sette  venissero  a  Firenze,  acciocché  \i 
o  maggior  lurbazìone.  Questo  rimedio  fu  tale,  che  non 
I  ■'  Pistoiesi,  per  levar  loro  i  capi,  quanto  di  male 
m'flSRnlìBl,  per  tirare  a  tàqiietla  peslileniia.  Peroccbt,  avendo 
e  parentadi  e  amicizie  assai,  subito  accesero  11  fuocg 
<,  per  diversi  Eivori  che  aieano  da'parenlì  e 
I,  elM  non  era  quello  cbe  lasciato  ateano  a  Pistoia.  E  trat- 
iria  puUics  el  privatim,  mirabilmente  s'ap- 
e  e  divisesi  b  cIM  tutta  in  modo,  cbe  qoasi  non  il 
■  nobik)  ut  plebea  cbe  in  sé  medesima  non  si  dividesse; 
bit  Bs  «omo  particnlare  di  stima  slcona,  che  mtn  fusse  dell'uni 
.  E  irovostl  la  divisione  essere  Ira  fratelli  carnali;  chà 
e  r  altro  di  U  teneva. 
■neido  git  durala   la  contesa  più  mesi,  e  in  ulti  pi  Ica  ti  gli 
imente  per  parole,  ma  ancora  per  btii  di- 
i  m  acerbi,  cominciati  tra' giovani,  e  discesi  Ira  gli  uomini 
Mn  eU.  h  ditt  stava  tutta  sollevala  e  sospesa.   Avvenne 
■iMJn  Dante  de'  Priori,  certa  ragunaia  si  le  per  la  parte 
ri  a«na  (lti«M  di  Sanu  Trinila.  Quello  cbe  trattassero  fn 


I 


I 


cosa  mollo  scgreia;  ma  l'cITctto  fU  di  far  opera  con  papa  Bonif 
ilo  Vili,  il  quale  alluva  seJeva,  che  mandasse  a  Firenze  mess> 
Carlo  di  Valois,  de'  reali  di  Francia,  a  pacificare  e  a   rìfonnsi 
la  cillk.  '  Questa  ragunata  sentendosi  per  ì'atlra  parte  dei   Biai 
chi,  tuliilo  se  ne  prese  suspinone  grandissima,  intantochè  presei 
l'armi  e  forDiroDsi  d' amisU  e  andarono  l' Priori,  aggravando  la  n 
gnnata  fatta  e  l'avere  con  privato  coiisiglÌD  presa  deliberazione  dell 
stato  della  cittì  :  e  tutto  esser  fallo,  dicevano,  per  cacciarli  di  nrci 
te  ;  e  pertanto  domandavano  a'  Priori  che  facessero  punire  tanto  pn. 
sontuoso  eccesso.  Qaelli  cbc  aveaoo  fatta  la  ragonata,  icmendo  an 
oora  essi,  pigliarono  l'armi,  e  appresso  a'  Priori  si  dolevano  dell 
avversali,  che  senza  tleiiberaiione  pubblica  s'erano  armati  e  fonili 
cali;  affermando  cbc  sotto  varj  colorili  volevano  cacciare;  e  doman 
davano  a'  Priori  cbe  II  (acessero  punire,  si  come  turbatori  delh 
qgiete  pubblica.  L'nna  parte  e  l' altra  di  fanti  e  d'amlsU  forniit 
«'erano.  La  paura  e  il  terrore  e  il  pericolo  era  grandissimo.  Essendc 
adunque  la  città  in  armi  e  io  travagli,  i  Priori,  per  consiglio  di 
Dante,  provvidero  di  fonllicarsl  della  moltitudine  del   popolo;  e, 
quando  fiirano  fortificati,  ne  mandarono  a'  conlini  gli  uomini  princi- 
pali delle  due  Sello,  1  (|uati  furono  questi:  messer  Corso  Donali, 
messer  Gerì  Spini,  messer  Giaochiaoito  de' Pazzi,  messer  Rosso 
della  Tosa,  ed  altri  con  loro:  tutti  questi  erano  per  la  parte  Nera,  o 
furono  mandali  a' confini  al  castello  della  Pieve  In  quel  di  Perugia. 
Dalla  parte  de' Bianchi  furon  mandati  ai  confini  a  Serezzana  messer 
Gentile  e  messer  Tarrigiano  de' Cerchi,  Guido  Cavalcanti,  Baschiera 
della  Tosa,  BatJinaccio  Adimarl,  Naido  di  messer  Lottino  Gherardinì 
ed  altri.  Questo  diede  gravezia  assai  a  Dame;  e  coniuUocbÈ  esso  si 
scusi,  come  uomo  senza  Parte,  nieniedimanco  fu  riputato  che  pen- 
desse in  Parte  Bianca  e  cbe  gli  dispiacesse  il  consiglio  leniito  In 
Santa  Trinità  di  chiamar  Carlo  di  Valois  a  Firenze,  come  materia  di 
scandalo  e  di  guai  alta  cittì:  e  accrebbe  l'invidia,  percliÈ  quella 
parte  di  cittadini,  cbe  fu  confinata  a  Serezzana,  subito  ritornò  a  Fi- 
rensc;  e  l'allra,  ch'era  confinata  a  castello  della  Pieve,  li  rimase  di 
fuori.  A  questo  risponde  Dante  che  quando  qaelli  di  Serezzana  fu- 
rono rivocatl,  esso  erj  fuori  dell'  uQcio  del  Priorato,  e  che  a  lui  non 
si  debba  imputare.   Più  dice  die  la  ritornata  loro  fu  per  la  iuBrmilì 
e  murte  di  Guido  Cavalcanti,  il  quale  ajnmalbaSereztana  per  l'aere 
cattiva,  e  poco  appresso  mor).  Questa  disaggusBlianzs  mosse  II  papa 
»  mandar  Cario  a  Firenze,  il  quale  essendo,  per  riverenia  dol  papa  e 

<  È  di  DDIin  clw  mIIi  BiKiKoDt  delle  cigioni  ■  v.rtixli  .li  qu»»  p"1i  ' 


iiÈt  OM  di  Fnnti»,  oDoreTolmeoU  rìcevnU)  Della  dllk,  di  Rubilo 
rinfsa  dcMra  I  dtudini  conOuUi  e  appretso  cacdb  ì»  Parte  Biut- 
l'a.  ■  L>  cÈ^tne  la  per  rÌTelaiione  di  cerio  iralUio  fallo  per  mesier 
Hero  Fcmali  suo  barone,  il  quale  disse  essere  sialo  richiesto  d* 
ire  gcMiltwmiai  della  Parte  Bianca,  ciob  da  Muldo  di  messer  LolUuo 
Cb<!t>idini,  da  Baschiera  della  Tosa  e  da  Daldiaacc^io  Adimari,  di 
adupvrar  ti  con  messer  Carlo  di  Vakiis,  cbe  la  loro  Parie  rimanesse 
Mtfierìore  sella  ìem;  e  cbe  gli  iveano  promesso  di  dargli  Prato  in 
goTMVO,  H  tacesse  questo:  e  produsse  la  scrillura  di  quesu  ricbie* 
SU  «  promesM  co' suggelli  di  costoro.  La  quale  scrittura  originale 
io  bo  TedoU,  peroccliè  ancor  oggi  È  io  Palagio  con  altre  scriltiira 
pafeMiciie;  ma,  quanto  a  me,  ella  mi  pare  forte  sospetta,  e  credo 
ocfu  die  dia  sìa  Ottisia.  Pure  quello  cbe  si  tusse,  la  cacciala  segniti 
dì  taiia  la  Pane  Bianca,  masiraudo  Csrìo  gnnde  sdegno  di  questa 
ridiiMU  •  promessa  da  loro  fatu.  Dante  In  queslo  tempo  non  era  In 
Hrwiw,  aM  era  a  Roma,  mandato  poco  avanti  arobssciadore  al  papa, 
per  ofleritc  la  concordia  e  la  pace  de' cittadini  ;  nondlmanuo,  por 
Mdt^o  4Ì  coloro  cbe  nel  suo  Priorato  conllnati  furono  della  Parte 
Hm9,  tS  b  cono  a  casa  e  rubata  ogni  sua  cosa  e  dato  il  guasto  alta 
MK  poMeufooii  e  a  lai  e  a  messer  Palmieri  AIIotìU  dato  bando 
iloBa  peuou»,  per  eoolunucia  di  non  comparire,  non  per  feriti  d'«)- 
via  del  dar  bando  fu  questa  :  cbe  legge  fecero 
ersa,  la  quale  si  guardava  in  dietro,  che  il  podestà  di 
se  e  doresse  conoscere  de'  falli  commessi  per  l' addle- 
o  d«l  Priorato,  contullocliè  assoluiionc  fusso  seguila. 
l*c«  qiMtta  lene  diato  Dame  per  messer  Canlc  du' Gabbri  «ili,  alton 
ftàetlà  di  FirOBM,  essendo  assente  e  non  comparendo,  fu  condao- 
e  pubblicati  i  suoi  beni,  contuttoché  prima  rubati  o 

0  detto  come  passù   la   cacciata  di  Dante,  e  per  che 

:  ora  diremo  qual  fiisse  la  vita  sua  nell'est- 

a  Darne  la  sub  ruina,  subìio  parti  di  Roma,  dorè  era  ant- 

t,  t,  camminando  con  gnu  celerità,   ne  venne  a  Siena. 

I  ptb  chiaramente  la  sua  calamiti,  non  vedendo  alcun 

1,  Mlberti  accollarsi  con  gli  altri  usciti,  e  il  primo  accona- 

O  h  ka  una  congregaiionc  degli  usciti,  la  quale  si  fé  a  Gorgon- 

L  A*^  traUale  molte  cose,  lìnaluiente  fermarono  la  sedia  loro  ad 

t,  e  ^Dln  tcrono  campo  grosso  e  crearono  kiro  capitano  il  conio 

rad*  Romena;  fcron  dodici  consiglieri,  del  nomerò  del  quali 

i:  ed)  Bpemnia  in  sperania  sicttoro  Inlloo  all'anno  raillelre' 

;  e  allora,  (atto  sfono  d'ogol  loro  amisU,  ne  vennero 


É 


1111 


WTA  I 


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e  In  Flreiiie  con  granilIssimB  molllludlnc,  la  qnale^ 
solamente  di  Arezzo,  ma  da  Bologna  e  da  Pistola  con  loro  ai  fl| 
giunse;  e,  giugneoJa  imiiruvvlgi,  subito  presero  una  porla  di  I 
rcou)  e  Tinsero  parie  della  terra;  ma  llDalmeote  bisogni)  se  ne  I 
duuro  senza  frutto  atcano.  '  Fallita  dunque  questa  tanta  speram 
non  patendo  a  Dante  pl<i  da  perder  tempo,  parti  d'Areno  e  onde 
sene  ■  Verona,*  dove,  rlceruto  molto  cortesemente  da' signoti  de! 
Scala,  con  loro  Tece  dimora  alcun  tempo,  e  rldnssesi  tutto  a  tirailt 
cercando  con  buone  opere  e  con  bnoni  portamenti  riacquistare 
grazia  di  poter  tornare  in  Firenie  per  ispontanea  rivocaiioDO  di  ci 
reggeva  la  terra;  e  sopra  questa  parte  a'aOatìcò  assai  e  scrisse  pi 
TOlte  non  solamente  a'  particulari  cittadini  del  reggimento,  ma  ancor 
al  popolo;  e  intra  l'altre  nn' epistola  assai  lunga  che  iacomincia 
PopuU  mtt,  quid  feci  HbiT  Essendo  in  questa  spcrania  di  ritornar 
pervia  di  perdono,  sopravvenne  l'elezione  d'Arrigo  di  Lutinborgi 
Imperadorc;  per  la  cui  elezione  prima,  e  pai  la  passata  sua,  cssendi 
latta  Italia  sollevata  in  speranza  di  grandissime  novitì.  Dante  noi 
potÈ  tenere  II  proposilo  suo  dell'  aspettare  grazia;  ma,  levatosi  col' 
l'animo  altiero,  cominciti  a  dir  male  di  quelli  che  reggevano  la  terra, 
•ppelUndoli  scellerati  e  cattivi,  e  niinacclaudo  loro  la  debita  vendetta 
per  la  potenza  dell' imperadore,  contro  la  quale  diceva  esser  ranDirc- 
HO  ch'essi  non  avrebboo  potuto  avere  scampo  alcuno.  Pure  il  leone 

•  Dal  '(Ili  64  e  Kg.  del  CtDto  XTtl  di]  Par.  ti  ccngttLnn  chi  Dulg  bob 
pttDdtiK  pili*  1  qnetlD  utillo,  (Ih  fu  ■' n  luglio  110  4,  r<iTH  ptKhir,  prndeoti 

»«  *tdt<i  <]ikI  Diriii  iDiGcitBll,  0  ■»  |li  cmloi  ben  orilinili,  ptrinan  <bc  k 
iM|1la  iipilliR  e  r>i  btBt,  diB,  p<r  lanithii  fniii,  miDin  1 1  ^1,  liiri. 

■  So  ifbuia  rpixn  ddli  primi  ^Li  di  Dmu  ■  Vciooi  4  gran  ducRpuu 

nw  Bel  1303,  quando  n'eri  liiODii  Birtolomm»  dilli  Scili.  Ha  il  Pilli  k  ài 
«piaim  cbe  BSD  tì  iDdiiie  piimi  del  IMS.  quando  dominili  All.aìae.  Pinbl, 
•KWla  Ini,  Uno  iir  (Itali  del  1 S04  rimi»  in  Toicani.  da  cai  bob  l' itlgoUnì 
da  dopo  (•Ilio  iDlti  It  ipenniadel  (Wi  pillilo.  Quindi  li  net  ■  Batogaa  don 

(«aiBto<bei<e>KÌhiti»in>llS06.  Tn  a  S  e  il  7  »  itati  pituo  •  tignali 


V«»Bi  primi  del  I30B.  1. 
Phlra,  lo  lidio  Egllo  del 


■j>  pero  the  gli 


i 


|aen(|ii>a  Banalammia.  Vedi  Pur.,  Canio  XVH.  È  ■  confe 
>U  epKbe  dei  *>(j  togiiotai  d>ir*ll|liin<  io  quella  piiU  (  il 


li  limpo  d'Albo» 
■  re  però  cb«  qiie- 


VIT*    IH    li*I1TE,  111 

»  b  riTcreou  della  patria,  clic,  venendo  rimperadoro  contro  a 
Drcnie  e  poneDdosi  ■  campo  presso  alla  porla,  non  vi  volle  essere, 
wcoDdo  lai  scrive,  conluttocLb  coiifortalore  fusse  stalo  di  sua  venu- 
\3^  *  Morto  poi  l'iinpcradore  Arrigo,  il  rjuale  ucllo  seguente  siale  mori 
a  BaMiMOtenlo,  ogni  speranza  al  Lullo  fìi  perduta  da  Dante;  peroc- 
tìiè  iti  gnùa  egli  iDcdesimo  si  avea  tolto  la  via  per  Io  sparlare  e 
KriTer«  oontro  a'cIUadini  die  governavaDO  la  repubblica;  e  tara 
Boa  d  nsuva,  per  la  (|iiale  più  sperar  potesse.  '  Slccli^,  de]>asia  ogni 
(pcnnia,  povero  assai  trapassò  il  resto  della  sua  vita,  dimoraodu  in 
tir)  Inoglii  per  Lombardia,  per  Toscana  e  per  Romagna,  sotto  II  slis- 
tidio  di  vafj  sigaori,  per  ìuIìdo  die  Onalmente  si  riduiise  a  Ravenn*, 
ilvte  Qui  M*  vita.  > 

PoieU  dello  abbiamo  delti  aOiinnl  suol  pubblici,  ed  In  noe- 
ta fian»  mostrato  11  corso  di  sua  vita,  diremo  ora  del  sno  slato 
donmllco  e  da'  suoi  costumi  e  sluilj.  Dante  innani)  la  cacciali 
a  di  Firauc,  contutlocIiÈ  di  graudlsslma  riccheua  non  fusse,  Dien- 


4 


tedimeoo  dod  fu  povero,  mu  ebbe  pairìmonio  mediocre  e  suffieteoli 
ai  sUete  ODoraUmeaie.  Ebbe  un  tralello  chiamilo  Fnncesco  Ali- 
gbieti  ;  ebbe  moglie,  come  di  sofira  dicemmo,  e  più  Bgliuoli,'  de'qoali 
reso  ancor  i^gl  successione  e  stirpe,  come  di  koUo  raremo  inenEìo- 
De.  Caie  in  Firenze  ebbe  assai  decenli,  congiunle  con  le  case  di  Gierì 
di  messer  Bella  suo  consono;  possessioni  io  Camerau  e  nella  Pia- 
centina e  ia  piano  di  Kipoli  ;  suppellclLile  abbondante  e  preziosa,  se- 
condo egli  scrive.  Fu  uomo  mollo  pulito;  di  sutura  decente  e  di  grato 
aspetto  e  pieno  di  graviti);  parlatore  rado  e  lardo,  ma  nelle  sue  rì- 
Bposle  molto  sottile.  V  eOgie  sua  propria  si  vede  nella  chiesa  di 
Santa  Croce,  quasi  al  mezzo  della  cbiesa,  dalla  mano  sinistra  andando 
verso  l'aliare  maggiore,  e  ritratta  al  naturale  otiimamente  per  dipio- 
.tore  perretto  di  quel  tempo.)  Oileltossì  di  musica  e  di  suoni,*  e  di  sua 
mano  egregiameoie  disegnava.  Fu  ancora  scrittore  pcrTeiio,'  ed  era 
U  lettera  sua  magra  e  lunga  e  molto  corretta,  secondo  io  bo  veduto 
fa  alcune  pistole  di  sua  propria  mano  scritte.  Fu  usante  in  giovaneua 
ma  con  Blovanì  innamorati;  ed  egli  ancora  di  simile  passione  occu- 
palo, non  per  libidine,  ma  per  gentilezza  dì  cuore:  e  ne' suol  teneri 
anni  vers!  d'amore  a  scrivere  cominciò,  come  vedere  eI  può  In  una 
■u  operetta  YUlgare  cbc  si  cbiama  fila  Suvva.  '  Lo  studio  suo  prin- 

riil. 


u.d<  d.  p»l.R   d.1   .ilr>l<.  di  Di.U  dipint.  .n  fr..co  d. 

TtUc»  Oddi  od  < 

.<«••.  delU  rbko  di  S..I.  C.OCE.  in  u»  „on,  di  S») 

twtaata  il  guida  > 

un  niiicol.  cht  bea  nel  rùuciUn  an  [inciolliDO  cbt  r> 

diC»i«.ol,.i.cb.( 

.  itTrtubi  »  i.-ai.d.r<iiio.  Mi  nwlli  tllri  rìlnlli  farano  Uù 

Itini»,  Im'iihIÌ  c  oMibiU  <]tKll.  ci»  gli  ftct  Gi.lis  mIIi 

Cq^ll.  drl  piluM 

itti  PDIUI*  io  FÌRUK,  <h(  dopo  luerc  lUIO  •indiliciniaK 

-«^»ll<>  ..II.  BP.  m. 

no  di  Line,  la  da  uà  pm  umiDii  Qatirao  rìcbiiniil.  illi 

feu.F<.««r.J.irt, 

MUM  P^g..M 

ti.u...cb.ildi»s 

l'uu»  .111»  mie 

(..hM).»»». 

.  .1  Cialo  XI  M  Pm-g..,  il  B.ld.ii«i  alll>  vi»  d.  CioUo 

«.«»<}».,-. i.p. 

ora  fan  la  Mapali  altonj  largii  ul  diH|a.  d'  Disia. 

«  Ciol  :  eIiI»  u 

•    Il  pri-O  .» 

.<  di  OiDU  r.  p„  B»li«  G|lia  di  F.I»  F«li*iH.  <:ha 

mUi«t  ar».  odl'alk  di  riici  »  ubi,  «aligiù  |«i  »<»r>t 

ni  |i«ru<liDii>lt,i 

)f.ruqMir»..r.c 

li  ngbilcapuro.ibt  t«ri>elM<ti  .gai  biia.  •B'fIid,  t  da 

WMltUHllKÌ.I.I] 

<ba  1.  ktt  pMii,  a  U  pili  •bU.oì  iapiniiom  a  p«t,B.  La 

^fM  ■■«•*,  «di  K 

W.«W>li.Hl..l. 

>  ili  <tiKilD  iiw  inon,  diiKia  la  Tofin)  di  coimDIa  ad  al. 

4Mi  bMlli  1  Cut 

ai,  cha  baa  |>cr>Hl»CUo  Aa»n  i  li  Dacai  iklli  lua  aicDIc. 

ciptie  Tu  pOMis,  Don  ilerile,  ut  povera,  pè  ranlasiica,  ma  recondita 
e  irricchiU  e  ttabìliu  d»  vera  scienzia  e  da  molle  discipline.  E,  per 
dare  ad  inl^ndere  meglio  a  ehi  legge,  dico  clie  in  due  modi  divieno 
akano  poela.  Uà  modo  si  è  per  ingegno  proprio,  agliata  e  comtnaiso 
iÌ3  alcun  ligure  interno  e  nascoso,  il  quale  si  chiama  Turore  e  occa- 
pauone  di  mente.  Darò  una  almtlituiline  dì  quello  che  io  vo'  dire.  Il 
boato  Francesco,  non  per  Iscien»,  de  per  disciplina  scol^lica,  ma 
l>cr  DMupaiioae  e  astrazione  di  mente,  si  forte  ap]ilicava  l' animo 
suo  a  Dio,  che  quasi  si  trasHgurava  oltre  al  senso  amano,  e  cono- 
scevi d'Iddio  più,  che  nfe  per  istudìo.  né  per  lettere  conoscono  ) 
teologi.  Cosi  nella  poesia,  alcuno  per  interna  agitazione  ed  applka- 
lione  di  mente  poeta  Uivleae:  e  questa  al  è  la  somma  e  la  piìi  pei^ 
fetta  spezie  di  poesia;  onde  alcuni  dicono  i  poeti  esser  ditini,  e  al- 
cuni lì  chiamano  sacri,  e  alcuni  ti  chiamano  vati.  Da  questa  asirulone 
e  furore  eh'  io  dico,  prendono  l' appellaitone.  Gli  esempli  abbiamo 
d'Orfeo  e  d'Esiodo,  de' quali  l'uno  e  l'altro  fu  tale,  quale  di  sopra 
da  me  è  stalo  raccontalo.  E  fu  di  tanta  efficacia  Orfeo,  clie  sassi  e 
solve  noTca  con  la  sua  lira  :  ed  Esiodo,  essendo  pastore  rozw  e  in- 
dulto, bevuta  wlamente  l' acqua  della  fonie  Castalia,  seni'  aleno  al- 
tro suidio,  poeta  sommo  divenne;  del  quale  abbiamo  l'opere  ancora 
1^,  e  sono  tali,  che  niuno  de'  poeti  litterati  e  scientifici  le  *antag- 
gia.  Una  speiie  dunque  di  poeti  è  pt-r  interna  asirauone  di  niente: 
l'altn  spezie  È  per  iscienzia,  por  istudio,  per  disciplina  e  arte  e  per 
prudenza;  edi  questa  seconda  spetìe  fu  Daoie;  perocché  perisln- 
d(i>  di  fllosofla,  di  leologia,  astrologia,  arismelica  e  geometrìa,  per 
leiionì  dì  storie,  per  rivoluzione  di  molti  e  larj  libri,  tigilando  e  sn- 
d^ndo  nelli  studj,  acquistò  la  scienza,  la  quale  doiea  ornare  ed  espli- 
care co'  suoi  versi.  E,  percUÈ  della  qualitì  de'  poeti  abbiamo  detto, 
diremo  ora  del  nome,  pel  quale  ancora  si  comprenderà  la  sustania  : 
tnntuUodiè  queste  sien  cose  che  male  dir  si  possono  in  vulgare  idio- 
ma, pnre  m'ingegnerò  di  darle  ad  intendere,  perchè,  al  parer  mio, 
questi  nostri  poeti  moderni  non  l' hanno  bene  intese;  né  è  maravi- 
glia, essendo  ignari  della  lingua  greca.  Dico  adunque  che  questo 
nome  parla  k  nome  greco,  e  tanto  viene  a  dire  quanto  farìlon.  Per 
aver  detto  Insino  a  qui,  conosco  che  non  sarebbe  inleso  il  dir  mio; 
sicché  più  oltre  bisogna  aprire  l' intelletto.  Dico  adunque  de'  libri  e 
dell'  opere  poetiche.  Alcnni  uomini  sono  leggitori  dell'  opera  altruit 
e  niente  fanno  da  sé  ;  come  arvieno  al  pii)  delle  genti  :  altri  nomini 
san  tacilori  d'esse  opere;  come  Virgilio  fece  11  libro  dvlI'Eneida, 
Stazìu  fece  il  libro  della  Tebaida,  e  Ovidio  fece  il  libro  yelamorlb- 
leos,  e  Omero  léce  l' Odissea  e  l' Iliade.  Questi  adunque  che  feroo 
raperei  furon  poeti,  cioè  bellori  di  delle  opere  che  noi  a1ui\«^^Uk- 
tta;  t  noi  tÌMu»  I  ìéggliori,  ed  essi  farooo  i  facitori.  fii\aan&(>H 


liarao  lodare  un  valente  uomo  di  studj  o  <li  lettere,  osiamo  dima» 
dare  :  fa  egli  alcuna  cosa  da  sèT  lascerìi  egli  alcuna  opera  da  sé  com 
posta  e  EiitaT  Poeta  è  adunque  colui  cbe  fa  alcuna  opera.  Potrebbe 
qui  aicnao  dire  cbe,  secondo  II  parlare  mio,  il  mercatante,  cheserìM 
le  sue  ragioni  e  ^nne  libro,  sarebbe  poeta,  e  che  Tiio  Livio  e  Salo- 
Btio  sarebbono  poeti,  peroccliè  cìaKono  di  loro  scrìsse  libri  e  fece 
opere  da  leggere.  A  questo  rispondo  che  far  opere  poetiche  non  si 
dico  se  non  in  versi.  E  questo  avviene  per  eceellenia  dello  stile;  pe- 
rocché le  sillabe,  la  misura  e  'I  suono  6  solamente  di  chi  dice  in 
versi;  e  usiamo  di  dire  in  nostro  vulgare:  costui  fa  cantone  e  so- 
netti; ma  per  iscrivere  una  lettera  a' suoi  amici,  non  diremmo  cbe 
egli  abbia  fatto  alcuna  opera.  11  nome  del  Poeta  signiDca  eccellente 
e  ammirabile  stile  In  versi,  coperto  e  aombrato  di  leggiadra  e  alta 
finiione.  E  come  Ogni  presidente  comanda  e  impera,  ma  solo  colui 
è  imperadorc  cbe  è  sommo  di  latti  ;  cos)  chi  com|>one  opere  In  versi, 
ed  È  sommo  ed  eccellentissima  nel  comporre  tali  opere,  si  chiama 
poeta.  Questa  è  la  veritt  certa  e  assoluta  del  nome  e  dell'  cITelto 
de' poeti.  Lo  scrivere  In  stile  litierato  o  vulgarc  non  ha  a  fjre  al 
fotta,  nÈ  altra  dllfercnia  b,  so  non  come  scrivere  in  greco  o  in  latino. 
Qascuna  lingua  bi  sua  perfeilone  e  suo  suono  e  suo  psKare  limato 
e  sdentiBco.  Pure  chi  mi  dimandasse  per  qaai  cagione  Diole  piut- 

10  elesse  scrivere  In  volgare,  che  In  latino  e  liticraio  stile,  rispoo* 
derel  quello  cbe  è  la  veriiì,  cioè  che  Dante  conosceva  sé  medesimo 

'  o  più  alto  a  questo  stile  volgare  in  rima,  che  a  quello  latino  o 
lllleralo.  E  certo  molte  cose  sono  dette  da  luì  leggiadramente  In 
questa  rima  volgare,  cbe  nb  arebbe  saputo,  nÈ  arebbe  potuto  diro 
in  lingua  latina  e  in  versi  eroici.  La  pruova  sono  l' egloghe  da  lui 
fatte  io  versi  esametri,  le  quali,  posto  sicno  t)elle,  nientedimeno 
molte  ne  abbiamo  vedute  piti  vanta gglatam ente  scrìtte,  t^,  •  dire  i) 
vero,  la  vlrlb  di  questo  nostro  poeta  tu  nella  rima  vulgare,  nella 
quale  È  eccellentissimo  sopra  ogni  altro;  ma  in  versi  latini  e  in Ihosb 
non  aggiunse  a  quelli  appena  che  meuanamenie  hanno  scritto.  La 
cagione  di  questo  è  che  il  secolo  suo  era  dato  a  dire  in  rìms;  e  di 
gentilezia  di  dire  in  prosa  o  in  versi  latini  niente  lalesero  gli  uotniDi 
di  quel  secolo,  ma  furono  rozzi  e  grossi  e  senza  pcrlila  di  kUere; 
'  dotti  nientedimeno  in  queste  discipline  =1  modo  fratesco  e  scotasti- 

I,  Comlociosd  a  dire  in  rima,  secondo  scrive  Dante,  innanzi  a  Ini 
circa  anni  centocinijuanla  ;  e  i  primi  furono  in  Italia  Guido  Guininelli 
lulognese,  e  Guilone  Cavaliere  Gaudente  d'Areno,  e  Bonaginnta  da 
Lucca,  e  Guido  da  Messina;  i  quali  lutti  baule  dì  gran  lunga  sover- 
dtiò  di  scienzie  e  di  pulitezza  e  d'eleganza  e  di  leggiadria;  inunlo 
che  egli  è  opinione  di  chi  intende  che  non  sarà  mai  uomo  cbe  Dsnie 
naUgBt  In  <Ure  In  rima.  E  teramentaell'femirtbllcou  la  grandezza 


▼ITA  DI  DANTE.  xxm 


6  li  Mcen»  del  dire  sno  prudente,  sentenxloso  e  grife»  con  t»- 
rielà  e  oDpU  mirabile,  con  scienza  di  filosofia,  con  notizia  di  storie 
antiche,  con  tanta  cognizione  delle  storie  moderne,  cbe  pare  ad  ogni 
atto  essere  suio  presente.  Queste  belle  cose,  con  gentilezza  di  rima 
esplicate,  prendono  la  mente  di  ciascuno  c^e  legge,  e  molto  più  di 
goelU  che  più  intendono.  La  finzione  sua  fu  mirabile  e  con  grande 
i^gdgBO  trovata;  nella  quale  concorre  descrizione  del  mondo,  descri- 
aìoDe  de*  deli  e  de*  pianeti,  descrizione  degli  nomini,  meriti  e  pene 
dcDi  vita  «nana,  felicità,  miseria  e  mediocrità  di  Tita  intra  due  estre- 
mi. Né  credo  che  mai  fusse  chi  imprendesse  più  ampia  e  fertile  ma- 
teria da  potere  esplicare  la  mente  d'ogni  suo  concetto,  per  la  varietà 
detti  spiriti  loquenti  di  diverse  ragioni  di  cose,  di  diversi  paesi  e  di 
vaij  casi  di  fortuna.  Questa  sua  principale  opera  cominciò  Dante 
avaoti  la  cacciata  sua,  e  di  poi  in  esilio  la  fio),  come  per  essa  opera 
si  poù  vedere  apertamente.'  Scrisse  ancora  canzone  morali  e  sonetti. 
Le  canone  soe  anno  perfette  e  limate  e  leggiadre  e  piene  d' alte 
S  e  tutte  hanno  generosi  cominciamenli,  siccome  quella  cao- 
che  comincia: 


Amor,  cbe  maoTÌ  taa  virtù  dal  Cielo, 
Come  il  Sol  lo  qileadore  ; 

dove  è  comparazione  filosofica  e  sottile  intra  gli  effetti  del  Sole  e  gli 
eifetti  di  Amore.  E  l'altra  cbe  comincia: 

Tre  doooa  intoroo  al  cor  mi  ton  Tcoote. 

'  Non  t  facile  decidere  quando  Dante  comiociasM  la  Commedia  e  quando 
b  iaùaac.  Il  Boccaccio  dice  cbe  la  cominciò  prima  dell*  esilio,  e  cbe  a  quelPepoca 
•*a«ca  fià  composto  i  primi  aclte  Caoii,  e  dice  d'aver  ciò  saputo  da  Andrea  di 
\jtmm  Pof  gif  nipote  per  parte  di  sorella  dello  stesso  Dante.  Ma  quel  cbe  pare  più 
«frisànilc  ci  è,  che  Tidca  e  il  piano  dciropera  sia  anteriore  ali*  esilio,  leggendosene 
i|vau  nn  aonoasio  ancbe  in  6ne  della  Ftta  nuova j  ma  che  l'esecutione  sia  pò* 
aurwee.  Ma  w  pare  k  vero  qncl  cbe  il  Boccaccio  asserisce,  bisognerà  convenire 
dM  hmIic  variaùooi  dave  Dante  aver  fatto  in  segnilo  so  quei  Canti,  non  potendo 
pila  del  eoo  esilio  e  d* altri  avveninenli  avere  espresso  certi  concelti  cbe  ora  noi 
«1  troviamo.  Quanto  ali* epoca  in  cai  la  compì,  pare  cbe  non  possa  esser  mollo 
le«taua  dal  USI.  La  ragione  del  nome  di  Commedia  dato  da  Dante  a  qoesto 
alto  Utuco  h  poeta  nella  distintione  che  egli  faceva  dello  siile  in  tragico,  comico 
9à  efegimc*,  SùU  tragico  cbiama  il  sublime,  qnale  è  quello  di  Virgilio  |  onde 
&  in  alcwB  Inogo  il  nome  6* aita  tragedia  all'Eneide.  Siile  comico  dica  quello 
idi  fiore  e  di  aacaao,  elegiaco  quello  in  che  si  esprimono  gli  aSetli  dei  miseri.  Ora 
amlt*  ■mìiitiwintf  ba  cbiamato  Commedia  qoesto  sno  Poema,  quasi  volendo 
^nmMrrm»Ì0m0  •  rappretemtaMione  im  volgare  ora  mediocre  ora  umile,  a 
-jTf  fT  appasto  della  Commedia.  Un* altra  ragione  ancora  si  reca  di  qoesto  titolo 
«Ila  keura  e  Can  Grande,  ed  h,  cbe  il  Poema  ha,  conte  talvolta  la  Commedia,  on 
yrmoMO  aapro  a  rigido,  e  un  6nc  lieto  e  giocondo.  L'aggiunto  di  divina  non  è 
a  Daaic,  mk  trovasi  mai  negli  aoUcbi  Codici,  ma  le  fo  dato  in  seguito  dai  Ictle- 
tau  e  dagli  editori  a  dmiostratione  della  sua  maravigliosa  ecccUeuaa. 


■Ilrila  d'  I 


E  cosi  in  ninlle  atlre  cannone  è  Ballile  e  limato  a  sclentilìco.  Ne'  so 
DetU  noD  è  <Ji  lanU  vini].  QiKsle  sono  l'opere  sue  vulgari.*  lo  laliiK 
Kri&ae  in  prosa  e  in  versi.  In  prosa  è  ud  libro  chiamato  Monarchia, 
il  qoal  libro  è  ucriUA  a  modo  diiadariu),  eenta  niuna  genlilena  d 
dire.'  Scrìsse  incora  un  altro  libro  intitolalo  De  vulgari  eloquentìa. 
Ancora  scrisse  molle  epistole  in  prosa.'  In  versi  scrisse  alcune  eglo- 
ghe, e  '1  principio  del  libro  suo  in  versi  eroici  ;  ma,  non  gli  riuscendo 
lo  stile,  non  lo  segni.  Mori  Dame  negli  anni  mccckii  a  Ravmna. 
Ebbe  Dante  un  littliiiolo,  tra  gli  allri,  cbismato  Piero,  il  quale  studiò 
in  legge  e  dlTenne  valente;  e  per  pmpria  tìrtii,  e  per  favore  della 
memoria  del  padre,  si  fece  grand'  uomo  e  guadagnò  assai,  e  fermò 
suo  stalo  a  Verona  con  assai  buone  Tacullì.  Questo  messer  Piero 
ebbe  un  llgliuola  chiamato  Dante,  e  di  questo  Dante  nacque  Lionar- 
do,  il  quale  oggi  vive  (<d  b>  più  Ggliooli.  Né  i  molto  tempo  cbe  Lio- 
nardo  antedetto  venne  a  Firenze,  con  allri  giovani  veronesi,  bene  iu 
punto  e  onoratamente,  e  me  venne  a  visitare,  come  amico  della  me- 
moria del  suo  proato  Dante,  E  lo  gli  mostrai  le  esse  di  Dante  e 
de'  snoi  antichi,  e  diegli  ootizla  di  molle  cose  a  lui  incognite,  per 
essersi  slranato  lui  e  I  suoi  dalla  palria.  E  cosi  la  Fortuna  questo 
mondo  gira,  e  permuta  li  abitatori  col  volgere  di  sue  rote. 

imblBilimeBlo  iì  ukui  li  IfIIoiì.  k  un  CaoKolo  io  prati  ■  In  idi  Cib(ooì. 
don  »»•>  ipinl  molti  inni  di  GliiisBi.d'iitcoDiiiiiii,  di  lealoiiiicQouMl,. 
Lia  A  firn  Itllni»  io  ■)  nediilino,  r  inporliBliiiìno  |iir  li  urie  iwiiiH  tte  fi 
psrft  ^<1<  Vilt  di  DiBif,  I  ptt  il  gnait  lìale  cbt  ci  •&  lìl'ùUlliicsu  di  noli* 


""''"«"•■ 


Il  Midlì 


iroBcditrmkilii.iuliK 


INFERNO, 


DELL'-  INFERNO 


CAmre  FBinia. 


jttti/mtait  a  Pntla  tmtfs  mmm  mO»  fir  «mm  ùtlfUttìstbmm  •  teurmstlmm  ut  cut  t'era  smMtrU^ 
maàrmmt  m^M**  "wativ  Mot  tmtin  mm  ealit  dW  gU  ttitgg  davanti  ttlmtmimalo  dai  Sdt,  tr$  kettia  faro^ 
gUn  parmmm  damamn  ad  tmptdirgli  U  cammutù.  Ha  ano  c*«  a  lui  sUgoUito  4i  pruamta  tamtbrm  di 
rirgttm  tàa  I»  «mforia ,  a  gli  pramatta  di  trarlo  di  là,  facandoglt  attraavtara  l  ngai  da' Morti, 
r  Im  *eno  da  pnmm,  pot  il  Purgatorio  ;  domda  Beatrie*  V  «vrvMe  JtmalmejUa  aoadotto  al  Paradiso. 
Et  si  mmatt,  «  Dauta  lo  sagoa. 


Se\  mezzo  del  cammin  di  nostra  vita 
Mi  gtrovai  per  una  selva  oscura, 
Cbè  la  difilla  vin  era  smarrita. 


1 .  Sei  wuxwo  dektammin  èe.  Im- 
•tgm  poetìrtmratc,  die  te\  plenilanio 
li  m«rzo'érl  f300,  anoo  del  (pobbi- 
ic*.  (f  sasdo  egli  toccara  il  ^cnlaónqae- 
'im'  aann ,  rbe .  s«rr>ni]o  il  principio  da 
Imi  pwlo  oel  Conrito,  tratt.  4,  23,  ^ 
tmaaméeì  ctno  ordìnariadilk  vita  ama- 
M ,  «  tr«p«  ad  Ihoofo  della  réfpoot 
talfe  naaainni ,  twatt  la  visione  simbo- 
(«a  ibe  qui  deacriTC  come  proemio  al 
(r»n  %isc*^.iobietto  della  Commedia, 

2.  Mi  n/roro»  per  una  tetta  ee. 
la  «junu  fnma  malo  s'adombrano  pier 
iirtnAi  «  tUcgaóe  il  motivo  t  T  obietto 
M  Pome.  Lo  eorraziooe  •  i  vizi  del 
^r.-ltt.  erpnooti  BiMaiiDamcsito  atlU 
.ad'.  boTit^  crcdrn/o  r•lì^io^c,  Of  eoa  MT- 
l«ril«  foveroi  Irìstiasinii  «  eeadoliu  no- 
ria md  più  froA  disordme  o  sotto  pii 
ty««esuisa  oiisorta:  i  rìlUéiNi  tnnoli 
rcm.tn*  i  f  iitjdioi ,  la  plebe  tbrìglitta  e 
'«rrafoii  i  Geoodi^rqMMenli,  i  nogistroli 
■rori  e  vf  oali,  k  ncordoii  %oltl  «Uo  ferro 
:  '■  cfap  olc?r4o,i  prÌKrtpi  tirami^  «  Oo> 
^'•Mi  Jo*  loro  sA0{;clti  Mnte,  eoiKMciuto 
'4  wrrmtr  di  Unio  malo,  dopo  aver  fatto 
■--«>  rbr  rrrdnra  il  meglio  per  il  too 
l^  -**.  t«  l^e  ringefjno  «  cantare  lo n'yo- 
mrraiiome  morale  dell'  uumo ,  corno 
;r:o»o  p«MO  e  oecesMriu  alla  politica, 
w'  ':.  juUentìn  emtrt  Ijbrrtè  «  era  e  rdicttà 
{•  •«■  D«>fl  siano  bantu  ci>stumi.  Quanto 
f'  •  vie  •:pi ninni  polilÌ4br.  •  gii  licnt*  rbe 

:  rvyetai  da  Dio  doluto  sulla  terra  sia 


lo  Monarchia  vmitertaianJAa  con  corto 
leg{p  da  uo  imperatore  sedoote  io  Romo  \ 
e  ebe  il  guellismo  e  la  dominazione  ton^ 
porale  del  papa  sieao  altrettante  ntor- 
pazioni,  0  cogiooe  masaimo  delio  rovioo 
d'Italia. 

Immagino  adooqno  un  viaggio  ptf 
regni  de'  Morti  ;  e  mentre  egli  ravviTO 
le  idee  fondamentali  del  Cottolicismo , 
fostencndole  opportunomeote  cogli  or- 
goroenti  della  pia  aana  filosofia ,  svelo 
le  piaghe  d'Italia  passate  e  presenti, 
le  arti  degi'  ipocriti,  lo  infamia  da'  tro- 
dìtorì  ,  mette  nella  sno  luce  il  mole  ^il 
bone;  e  tatto  ciò  per  il  ministero  di 
quegli  spiriti ,  cbe  sono  in  loogo  dove  il 
Teiy»  fi  vede  senz'onlK'o  esenzo  dubbio. 

Ora  la  trloa  ouura  significa  il  di» 
iordine  morale  e  politico  in  generalo 
d'IioUi  e  piò  spenalmento  di  Firoafo 
(chiómoìo  lo  lUriita  §elta  oaeho  ol 
CoDtp  XIV  de)  P^nrg,,  v.  C4),  dove  si  ero 
perduto  ogni  virtù  e  ogni  lume  di  civile 
sapienza ,  tolcbè,  piò  che  abitazione  di 
nomini,  ero  divenuta  nido  di  bestie.  Mi 
rifrorot,  m'avvidi  d'essere.  Se  ne  av- 
vide più  porticotarroente  nelle  tempesto 
del  4500  e  1301,  dalle  quali  travolto 
dovè  fieatire  tutto  il  peso  d'uno  feroce 
onarrhia. 

3.  Che  la  diritta  via  ee.;  percioo* 
che  la  via  dHla  rH(Tioiie,  della  giu»ltziaO 
(li  Dio  era  smarrita  univeisalmeolo  Ib 
dove  io 


Alii  quanlo  a  dir  qual  era  È  (^osa  dura 
Qiiesla  selva  selvaggia  ed  aspra  e  furie, 


Tanlo  È  a 
Ma 


lura,  che  poto  è  più  morte: 
Irallar  del  boa  eh'  i' 


v'  Ilo  scorie. 

r  non  so  ben  ridir  com'  io  v'  entrai  i 

Toni' era  pien  di  sonno  in  sa  quel  punto. 
Che  la  verace  via  abbandonai. 

Ha  poi  eh'  io  fui  appiè  d' un  colle  giunto, 


4-  Mi  ipuailo  II.  Cnb-BiKÌ:  Àk 
Itanlo  i  diàra,  iorre!t«»Dl«,  co»»  i  di 
>,  ■  aamn,  quii  era  R. 

S.  tlltw  ulcaggia,  lolla,  ilne  noi 
i  busa  di  nilluta  amana.  È  imiului 
tuwttrortt  tiltU  a  \)ti-\ia;  ti  è  in  ai 
■riti  (ama  ina  ijxria  di  aupailaliti 
ifU'iia.Àipra,  orrida, lai. ntpn'iiilii 
mll.  Forti.  atBcile  a  lupcrani,  perì 

r.  Tanlo  è  amara:  h  inggionlu  a 


ala  rifordafin. 

8   tfdtmc&'f 
4Kr»il(D,Bii  " 


la  diteli 


gione,  le  «lolla  PHDÌoai ,  gli  «rro 
aalrudatlanin».  I)fiiUi.nlr«  dbIIi 
cogli  aliri  ciarlìi,  siiaiirlo,  ihb 
Olla  la  mìtlira  Beilrice  (ledì  ^rimpro. 


«  ti  olla  .Ima  «ai  Can- 


ni d  luciin  pigliiraipg- 
all|-ruviDÌI.:in(ÌI»- 
I*.  Cm  eh*  Danio  ci  noli: 


^ìlP«n.rr.  7o"ia"C"* 


dhh  tu  por  malvaatll  d'adm 
•Hello  (t'un>oni  IrlipliU  •  d' 


aa  aioao, 
ch«  Viglili 
uln,  ma  11  Mita  gli  lu  cagiona  di 

9.  diirallr>«».-  inlondaiT  iwrsp- 
pario  al  bne;  rio(  dille  toii  non  huuar, 
«rUili,  f  Bili  UM  la  Ire  Gero,  di  eha 
^ai«|Be«aaarìaiiieDl«dirr  prima  di  rae- 
coaMn  il  lurtanalo  ini'unim  d<  Virplia. 


ÌS.  appil  d'im  collf .  Il  colf*  tii>- 


CAIVTO  PRIMO. 


Là  ove  terminava  quella  valle, 

Che  nf  avea  di  paura  il  cor  compunto, 

Guardai  in  allo,  e  vidi  le  sue  spalle 
Testile  già  de*  raggi  del  pianeta, 
Che  mena  dritto  altrui  per  ogni  calle. 

AUor  fu  la  paura  un  poco  queta. 
Che  nel  lago  del  cor  m*  era  durata 
La  nelle  eh*  i*  passai  con  tanta  pietà. 

E  come  quel,  che  con  lena  affannata 
Uscito  fuor  del  pelago  alla  riva. 
Si  volge  air  acqua  perigliosa,  e  guata; 

Coà  r  animo  mio,  che  ancor  fuggiva, 
Si  volse  indietro  a  rimirar  lo  passo. 
Che  non  lasciò  giammai  persona  viva. 


iS 


20 


U 


Mgfi  Boiki,  CMiro  dd  qiulj  n  tf- 
{«MI  mt  €mfT9  «no  ttaropo.  E  qne- 
•li  è  M  tarrilHle  notte  pi«oa  di  pena 
•  di  mmmi»  di  cai  dirà  piò  tolto,  la 
^«al«  fi  citaadc  dal  ponto  del  no  rav- 
Ttimmmu  ari  4300  fino  al  tempo  die  o 
fv  AfWrU'  •  per  Arrìfo  o  per  altri 
lOBtapi  la  aperaBsa  del  riordinamento 
d'itaba,  per  c«i  farebbe  terminata  la 
tmiU,  9  U  ulta. 
W  atei  è  pei  glorani ,  che  oneste  ▼!• 
B  wtm  9omm  ebe  reapreaaiooe  alle- 
£  latti  Mibblid,  o  di  yari  casi 
partìenlari  A  llaote,  di  dedder),  di 
lpt1  aia,  poftrrion  io  gran  parte  al 
4See,  mm  riportati  indietro  e  riuniti 
e  diacfaatì  coaM  in  nn  qoadro  profeti- 
ca: «aiie  ■••  m  ptuò  aTeme  la  tpip(rarione 
cbe  dalla  atoria  contemporanea  ,  dalla 
«te  di  Dania  mededmo,  e  dadi  aeritti 
aire  ka  pr— nriato  i  tod  {indizj ,  ma- 
nifealate  %•  a«a  omnioni  intorno  alle  ea- 
paai  •  ai  riaedj  dd  mali  d' Italia, 
r  avvertire  aoebe.  per  il  retto  gindi- 
«f«vaai  madedmi,  che  redute  la 
I  tati*  di  persone  e  di  cote  ebe 
•Hla  prima  Cantica,  ti  vieae  a 
càe  qnetta  non   può  eatere 


•taU 


■■bblirata,  o  almeno  non  ha  riee- 
r«IIÌBaBMno,rbedopoU  1314, 


r  fcfcrat  il  Pacma  poaaa  eaaere  atato 
Ueato  •  cnflrinciato  aacbe  nn  poco  pri- 
aadel  4S00. 

1^.  tam^wmU,  stretto,  anfpntialo. 

47.  d^  Piirtt'  a  fola  onde  il  colla 


è  illnminalo  è  primieramente Critto,8da 
di  giustìzia,  e  la  dottrina  del  tuo  Vaogdo 
che  illumina  ogni  nomo  che  viene  nel 
mondo  e  lo  dirige  oer  la  retta  via.  ECrì- 
sto  e  il  tuo  Vangelo  fono  t ppnnto  i  aoli 
ed  etclutjri  effeUorì  della  vera  dvilti, 
non  potendo  esservi  senza  di  eaaiebe  bar- 
bane e  tervaggio.  Ma  anche  llmperatora 
che  deve  reggere  l'umanità  secondo  lo 
tnirito  del  Cntto,  è  disegnato  altra  volta 
da  Dante  sotto  l'immagine  di  un  sole. 

Sulrva  Roma,  che  il  buon  nnodo  fco, 
Doa  Soli  afiT,  dM  l'ina  •  Pallia  »trt4a 
Féota  f«d«f«,  fl  éA  BMiklo  fl  di  Dm. 

Purf.,  Canto  XTL 

20.  lago  dfl  cuore,  dicesi  la  sua  ca- 
vita sempre  piena  di  sangue.  In  una  for- 
te paura  il  sangue  rallentando  nella  tua 
drcolazione  vien  quasi  a  ristagnare  nd 
ventricoli  del  cuore. 

21 .  pietà  (dal  noroinatiro  lat.  p/e- 
tat),  posto  V  effetto  per  la  cagione,  vale 
qui  affanno,  pena. 

22  /eR4i  affannata,  è  la  respira- 
zione Hifiìrile  e  frequente. 

21.  gwita,  guarda  con  stupore. 

25.  che  ancor  fuggita:  ancor  tre- 
pidante per  l'avuta  paura. 

26.  lo  pasto,  il  luogo  da  lui  traver- 
salo, l'allegorica  seira.  CKe  non  tatciò 
giammai  persona  tira:  direbbeai  la- 
tin. qwB  non  sinit  esse  mtos,  doè  dorè 
l'uomo  una  volta  entrato  è  morto  al- 
l'umana ragione,  alla  divina  grazia,  alla 
libertà  j  e  non  ^  ive  che  la  vita  delle  bestie. 


DEt.1.    ITTER^O 


Poi  th'  ebbi  rÌp05alo  il  corpo  lasso. 
Ripresi  via  per  la  piaggia  diserta, 
SI  rhe  il  pie  fermo  sempre  era  il  più  basso. 

Ed  ecco,  quasi  al  corainciar  dell' erla. 
Una  lonza  leggiera  e  pfiwta  mollo, 


irlicoliri.  Coaw  fi 


28.   Poi  ck'tbbi  Hpnialo.  Alntnl  dintniiDlD d'tli  tn*  pMrìil  ha  Gni^ 

Vvdici:  Cmn'ii  |el>hi|  pRIdIO  wi  p-ini.  U  ileu*  ctgiriili  cb«  bin  generiti  la  M 

£9.  dJirrla:  abbinilaniU,  salila-  toc  li  inmleuniM.  Onali  ddhosbé 

in,  percbè  né  Flrni»  ■*  luhi  cunii-  i 

•wtu  ^u  di  mollo  lein|)a  qacl  tvltt  t 

SO.  SI  dlt  li  fii  firno  re.  Hi  •S'  do  ftr  boni  di  Ciacco  ri  irne  chi  n 

hilo  D*nM  di  oHerviiors  «unito  della  piriia.  hwUla  ed  nariiia  amo  l 

lucilo  dilli  felta  •  dnpD  ripoHto  co-  L'iimdia  à  tigQiUciti  por  li  Imaa 

iBBcit  •  perearrire,  ndlandnei  Ì1  modo  U  Htpéttla.  per  il  I«mu  dilli  Ioli 

MUv  di  ni  piiD*,  ali  lengemiiiiile  u-  digii  de{|1Ì  iireri ,  per  li  lupa  migri  i 

(Ut*  di  ptrcrgli  pieni;  pvrché  lola  in  lirimoioH'nipredi  parto.  Vera  èrbe  lui. 

^nol*  on  paò  aiirnln  the  l'f  pii  ftr-  '■  i  Coaimiiliiri  inlithi,  e  i  uiDderai  h- 

WvlimiiniiMipnpìù  hou dell'illro  deli  i|{liiBtie1iÌ,iiileadDiM  perii  loia» 

.fa  IMlD,  doveDdn  quitte  per  Tire  il  pu-  la  tiunria.  ol'jppcllladrj  pii«rì«R- 

T^MMOHirìiliirRleeU'igm  il  iliiiinndi  sali  jocrrlii  qnnti  (plegiiKiaipuaUi- 

MMtb^etti  texiiu.  mpDtre  Dvlnm-  re  h  «  lirì  Pillegurìi  iJ  un  luleod^ 

iriiiiaiiE  (neBlBeKtiui>iiBeBteinunte;diìi|iic 

i  ili  lUD-  ala  paviiitAf .  che  lutti  iruporti,  e  qa 

iltii,  poi  gnlùle  iniklnao  ti   tmcr  baon  eri- 

-      ma  du>e  d  pena  (he  11  rjjnie- 

imarlh,  eliiUr«U  niolfcr- 


riMcnMie  per  pror*.  I.i  nnxine  poi 
ftnki  Danieli  III  boIiIu^ubU  nnrii- 
MktM,  è  penhi  i>rn<li>  pmwUle- 
«Mtc  delta  (Iw  «ri  giuiil.i  ipiiie  d'uB 
,  pr«M  11  parola  risornaiiMnii', 


ramo  a  noi  rilona*  pollliea  t  alt*  «i- 
ì^o'ert  ch'e'i'qaeuL  èiì.tirnrm.r 


I,    B   tene    i|hiMii    ploiirggiari  *  pmsiiu..- iiiiili,;nii,  liir  >..li"  il  l.^it,  fi 

«dala   ìd   pniwiptu    railllit    ild-  il  pMiiinii  li/„io    iiliuilii' mi  |uir  cl.e 

T«a«,  •  U  ptaperilk  delli  piuue  inchi'  oli:'i  |»i.,i  dil  ('..l^mii   ii.m  '•■•la 

1.  t><  MUe  le  ■piugaii'ini  Jalc  a  i  •jucilg  .'{.i i'    Il  <ii..I.".i<i>m  C  -<ib. 


^pJtMI 


%l.  fili  «e»,  4iuu(  al  amliular  riareallni  frate  avara,  <nri'l<a>a  j 

MTtftS   1^  «c(u,naÌBa  il  principia  tuptrba,  e  intili  Uiola  e  uni  gnu  it 

sa.  Un*  hnlM  ktilera  ic.  Nille  culpa  d'ugiii  tuaxtnluii  l'ixvi'-fia  che 

'  appung-DealliHliii  di  eiiimi  h  mtnlrli4  dùgli «ahi pulii 

(>1  elTilc  e  murala  rìar-  e  marleronuM-  Li  qnilc  appcllmatf^ 


CA2VTO  PRIBIO. 


Che  di  pel  maculato  era  coverta. 
E  non  mi  si  partia  dinanzi  al  volto; 

Apzi  impediva  tanto  il  mio  cammino,  u 

Ch*  r  fili  per  ritornar  più  volte  vòlto. 
Temp'era  dal  principio  del  mattino; 

E  il  Sol  montava  in  su  con  quelle  stelle 

Ch'eran  con  lui,  quando  l*  Amor  divino 
Mosse  da  prima  quelle  cose  belle  ;  '         40 

Si  che  a  bene  sperar  m*  era  cagione 

mmbitio*0  CatadiFrameia  duminanti: 
anche  inNapiiti  (il  leooedalla  tetta  alta); 
e  la  Curia  papnU,  ette  io  antico  ebbe 


éi  i^*€ira  Wk»rtlrie9  conviriM  a  parer 
mim  colU  ìaiiBafine  della  lonxa  Uggtra 
•éifmiHtm  peitt,  m  ^aiilo  «Im  si  l'ooa 
cW  r«llr«  aeCto  lieta  •  bella  appareaca 
tradÌBBeot*  e  norie ,  non  al- 
ì  l'iaTÌdia ,  dia  paiaiona  viUe 
I  t*«ccalU  aenpre  «otto  la  ma- 
16  della  lealtb  E 
looelCaoloXVI 
▼••I  tirarca  tè  Gerioiie,  imina- 
fia«  4cll«  frode,  che  aoch'euo  benigna 
amtm  di  f^Èàr  la  ptlk,  chiede  a  Dante 
— arti  U  corda  die  atea  ciotaai  lianclii, 
•  MS  ewà  dica  cbe  avea  sperato  di  preth 
étr  ìm  Umam  aXU  pelle  dipinta.  On<le 
■ì  para  Ae  ai  poea«  dcdurreclie  Gerùme 
e  la  imium  wgniirhiao  due  idee,  odicia* 
••  ama  mi,  molto  tra  loro  affini ,  ^aando 
Mo  ■rdeaiaaa  virtà  si  possono  d«>- 
•  viaeere.  E  affini  tra  loro  sono  io 
VùKtidia  •  la  frode,  perchè 
lasinlUra  di  i^ai-lla,  perchè 
aaibcdoe  da  malignilb  e  vilU 
f  MÌflM,  •  perchè  lolle  e  doe  si  roo> 
proso  di  iprcioae  apparenze  per  ginn- 
fareptèticvrcalloro&ne.La  corJa  poi, 
la  «iili,  eoa  cai  tk  Tona  che  l'altra  ai 
prtodere  per  poi  calcarle,  è  U 
litb ,  la  lealtb,  non  difisa  dalla 
vifilOiKa ,  aecooda  l' inaef namcnto  del 
laaaelo:  fmea  in  bona  malum. 

Qaaolo  al  aeoso  particolare  e  coucrc- 
la  da  f  aata  allegorie ,  asse  postano  ri- 
ì  tra  poteolalj  che  pia  allora 
a  P  acfsiif lo  del  monte ,  il 
Nliaaalo  dell'  ordiae,  solo  poMioi- 
le,  aacoado  Daola,  pel  rìonov«aiento  del* 
rifgra  lalìoo:  a  tono  la  straaa  tavi- 
£aam  Pirtmei»  (cìltk  allora  di  molta  im- 
partaaaa  por  aaalsiaai  movimento  da  leu- 
atii  ia  IlaTial,  leggera,  nobile,  e  divisa 
la  lioarbt  a  io  fieri  (la  Ionia  leggera  e 
e  di  pel  aMcvlato)  ^lafttfcròa  e 


vaca  di  avara  (la  lupa  tempra  a rfam8ta|. 
Ramroentiamod  che  Dante  è  d'opi- 
■ione  che  talli  gli  acompigli  d'Italia  a  i 
mali  costami  sieno  cagionati  dalla  osar- 
patiooi  dei  diritti  imperiali ,  a  dall'  at- 
tanza  dell' allegorico  tole,rimparature, 
onde  lutto  era  telva  a  otcnritk. 

56.  CkTfui  per  riUtrnar.  Cottr.: 
che  piò  9oUe  io  fui  90II0  (mi  voltai) 
per  l'tmare  indietro.  V  ottinata  divi* 
tione  de' cittadini  di  Fireose  a  l'invìdia 
reciproca  dei  partiti  rendevano  impoiti- 
bile  qualao(|ae  accordo  per  la  riioma 
di  quel  gitverno. 

57.  dal  principio  [dal  per  al),  cioè, 
il  tempo  io  coi  quatto  avveniva  era  ai 
principio,  sul  comiociare,  del  mattino. 

58 .  E  il  Sol  montata  in  tu:  ini.  per 
l'ellittica,  prucederido  dall'eqninniio  di 
primavera,  in  cui  era  allora  in  compa- 
gnia  dell'ariete, verso  il  solstizio  df  estata. 

59.  quando  l'ilmor  divino.  Dìo 
creò  il  mondo  in  primavera  e  in  prima- 
vera  lo  redense.  Si  la  creazione  che  la 
redenzione  sono  qnasi  sfoghi  dell'amor 
ano.  Per  VJmor  divino  può  anche  in- 
tendersi il  Santo  Spirito,  essendo  scritto 
che  tpiritut  Domini  omatiteteloi.  — 

40   Moite,  creò  e  mise  in  mota. 

KK.  Si  che  a  bene  sperar  ec.  Cottr. 
e  intendi:  Sì  che  l'ora  del  tempo  (il 
mattino)  e  la  dolce  stagione  (la  prima- 
vera) mi  eran  cagione  a  sperar  berne 
di  quella  fiera  alla  («venie  la)  pelle 
gaietta.  Sperar  bene  della  fiera,  t'in- 
tende in  quanto  che  non  gli  avasaa  a 
nuocere,  o,  ti  aveste  ad  ammansire. 
Dicono  che  la  pantera,  e  lonza ,  nella 
ptimavera  ,  quand'è  in  amore,  come 
spanta  il  sole  ti  riutana. — Si  oascr\  i  cbe 


dell'  IMFEBHO 

Di  quella  fera  alla  gaietta  pelle, 

L*ora  del  tempo,  e  la  dolce  stagione: 
Ma  non  sì,  che  paura  non  mi  desse 
La  vista,  che  mi  apparve,  d*  un  leone. 

Questi  parea,  che  centra  me  venesse 
Con  la  test*  alta  e  con  rabbiosa  fame, 
Si  che  parea  che  1*  aer  ne  temesse: 

Ed  una  lupa,  che  di  tutte  brame 

Sembìava  carca  nella  sua  magrezza, 
E  molte  genti  fé  già  viver  grame. 

Questa  mi  porse  tanto  di  gravezza 
Con  la  paura,  eh*  uscia  di  sua  vista, 
Ch'  i*  perdei  la  speranza  dell'  altezza. 


il  mattino  è  il  tempo  della  tranquillità  e 
della  ragione,  perchè  io  quell'ora  l*ani- 
OM  ti  trova  più  libera  dalla  carne  e 
meno  soggetta  alla  tirannia  delle  mal- 
▼age  paasiooj  :  la  primavera  è  la  sta- 
gione  dell'amore.  La  ragione  adunque 
ridùamata  dalla  ealma  e  dalla  sobrietà 
dd  mattino,  e  l'amore  inspirato  dalla 
mitena  della  sta|pone  e  dalla  letiiia  di 
tutta  la  natura,  avrebbero  (cosi  augura- 
▼asi  l'infelice  Poeta)  fatto  tacere  l'invi- 
dia,  l'odio  di  parte,  e  addolcito  i  cuori 
dd  suoi  dttaoini.  Si  sa  cbe  ndla  pri- 
naTera  si  facevano  anticamente  in  Fi- 
renie  delle  allegre  feste,  dove  avvenivo- 
no  molte  rioondliazioni,  cbe  spesso  gio- 
▼avano  alla  causa  pubblica.  L  ad  ogni 
modo  l'invidia  è  passione,  cbe  il  tempo 

•  i  casi  posson  placare;  e  quella  pia 
etta,  Firenze  avrebbe  accettati  i  consi- 
gli dell'Alighieri,  e  per  il  bene  suo  e  di 
tutta  Italia  favorito  V  idea  dell'Impero. 

44 .  Ma  non  si,  ehe  paura.  Se  l'ora 

•  la  stagione  davano  a  Dante  onalche 
speranza  per  l'ammaosimento  della  (oii- 
%a ,  avea  sempre  che  temere  dal  tupei^ 
ho  leone,  perchè  il  vizio  ddla  f  uper- 
bia  è  Tizio  della  mente,  dove  nulla  pot- 
tono  né  U  solenne  spettacolo  ddla  na- 
tura, né  gli  affetti  d'umanità,  né  gli 
esempj  di  gentil  costume.  Ella  cammi- 
na per  la  sua  via  piena  di  sé,  né  cura 
fnon  di  sé. 

Riferita  l' immagine  alla  Casa  di 
Frtnda,  ognuno  può  sapere  dall'  istoria 
quanto  in  quel  tempo  a'intramettesse 
ndle  eoae  d'^lulia,  •  non  certo  per  farle 
dd  beoe  ;  e  quanto  intercala  aTcsse  ad 


oppord  al  ristabilimento  ddPIaMn 
È  noto  altresì  cbe  una  delle  eagiooi  dd 
l'edlio  di  Dante,  fu  Tavereoolrvial 
la  venuta  io  Firenze  di  Carlo  di  Valaìi 
46.  veneste,  venisae,  dall' antiquli 
velière. 

48.  ne  temette.  Il  tetto  Bargigi  hi 
tremetse. 

49.  Ed  nna  lupa:  sottiatoDdi  ap- 
parsami. Alcuni  Codid  hanno  ff#i 
lupa,  retto  dal  nome  la  vista, 
sopra  ;  ma  il  costrutto  procedo 
cbe  nella  comune. 

50.  netta  tua  magrezza:  tk  nugra 
com'era. 

51.  E  motte  genti  fé  già  viver  grU" 
me:  e  e  molti  fé  passare  una  dta  grmna, 
cioè  mbera  e  doloroaa.  S  sa  par  Pitlo- 
rìa,e  fora  ancoper  l'eaperìeiiza|qptnto 
han  dovuto  soffrire  e  soffrono  i  popoli 
per  l'avarizia  dd  re  e  dd  dttidini  po- 
tenti. 

52.  mi  porse  tanto  di  gravezza: 
mi  cagionò  si  grave  turbamento. 

53.  eh'useia  di  tua  vitta:  che  al- 
trui porgea  coli' aspetto. 

54.  Ch'  i*  perdei  la  tparanzm  del- 
rattezza,  cioè,  eh'  io  ditperu  affatto  di 
giungere  alla  dma  del  monte  IN  tutti  i 
vizj,  il  piò  terribile  e  piò  diffidlo  ad 
esser  vinto,  è  l'avarìtia.  Gli  altri  pava- 
ne, o  illanguidiscono  col  tempo  ;  questo 
riceve  alimento  e  fona  dd  tempo.  Ma 
oltreché  gli  avari  sono  il  mde  grande 
della  sodeta  e  diffidlmente  d  eoovorl^ 
no,  Dante  vedeva  in  ead  un  fortÌBaimo 
ostacolo  alla  immaginata  rigeneranona 
politica,  la  quale  gli  avari  potenti  aTTcr- 


CANTO  PRIMO.  9 

E  quale  è  qoei,  che  volentieri  acqaif^ta,  65 

E  giunge.*!  tempo,  che  perder  lo  face. 
Che  *n  tutti  i  suoi  pensfir  piange  e  s'attrista; 

Tal  mi  fece  la  hestia  senza  pac0|        j. 
Che,  venendomi  inconfrof^vpoco  a  poco 
Mi  rìpingeva  là,  dove  *l  Sol  tace.  oo 

Mentre  eh* io  ruinava  in  basso  loco, 
Dinanzi  agli  occhi  mi  si  fu  ofTerlo 
Chi  per  lungo  silenzio  parea  fioco. 

Quando  vidi  costui  nel  gran  diserto, 

Misererò  di  me,  gridai  a  lui,  65 

mmwn  ftr  tioRer*  ài  pi^IjifM'  Bi-  iriita  in  UtlU  i  tuoi  pentieri,  tei  ee. 
FclU|oria  éeW*  topajpb  Caria  58.  bettia  tenta  pae§:  bestia  prìrt 
,  cb«  tacb«  il  Petrarca  chiaiDÒ  àt  pace,  irrequieta  nella  laabrana  •eflu- 
I  BMiomim,  »  vedrè  egualmepte  pra  craseenti. 
te  ara  la  paura  a  la  diaparatioiia  60.  là,  dove  H  Sol  teéa:  al  laago 
'Aliffciari ,  p«retoccliè  ed  era  eaaa  la  dove  il  mistico  tuia  non  splenda  ;  mi  ri- 
pe aaCcat*  e  temibile  oppoaitione  alla  gettava  oelt'  antica  desolaiiooa ,  da  tmi 
rmmmmà*  Italia  sotto  oo  imperatore , a  m'area  sniirvato  la  speranta  del  Mtn&th 
«al  triatoaiampio  del  soo  attaccamento  ai  la.  La  iue$  è  timbolo  di  feliciti ,  la  f#- 
Wm  a  alla  graedene  temporali  renderà  nehre  Hi  miseria .  Con  simile  metafora ht 
fià  litri  «fiè  materiali  tali  i  Cristiani  ;  detto  altrove:  in  loco  d' ogni  luce  mmto. 
fMU  le  fMte,  cU  «•  caia*  ve4«  ^  '    Mentre  eh*io  nitnoea.  Prafarì- 
Nm  a  ^arf  hm  farirv  «««l'eli*  è  fliiolit,  aco  questa  lesione  a  quella  seguita  dal 
Bi  qoel  ai  paMr,  •  pi*  «itra  ■••  cht^4%.  c^j,  ^  j^  ai|,i  j | riiomavo,  perchèeoo* 
FTg^  caau»  XYi.  j^^^j^  j^i  ^^^  ^gg  j^j  Canto  nXII 

Ed  è  uat»  cba  quando  Arrigo  di  Lncem-  del  Paradito,  che  richiama  appunto 

kurg»  puaaè  io  I  talia  per  riconquistare  t  questo  fatto  medesimo:  Qwtndo  (Mnaoi 

meidiritlì  imperiali,  il  suo  pie  f»rt«aT-  a  minar  le  ciglia  Ma  il  mt'nura,  eooM 

«Huarie  fia  il  papa  Cl«nente  V,  aebbcne  spesso  il  mere  lat. ,  ha  oui  il  aeuso  di 

iauaaei  gli  arease  dato  parola  di  favo-  correre  Jreiloloto.  —  il  batto  loco  è 

lìrlo.  E  eie  avrauoe  perchè  da  prima  lo  1'  avvilimento  dell'  anhuo  per  la  fallita 

ceupdcrè  cwne  un  valido  m^tto  a  rior-  impresa  ,  a  V  apprensione  della  miseria 

àaara  P  Italia,  poi  lo  aospetiò  come  un  in  cui  doveva  contiunara. 

pencolo  al  suo  temporale  dominio.  63    parea  fioco.  Questo  passo  può 

S%  E  qmaU  ee.  E  eorae  colui  che  è  Irtterslmente  spiegarsi,  a  parar  mio,  in 

Jawdefsas  di  gnadagnara,  a  ai  attrista  due  maniere;  o:  •  Mi  venne  veduto  tale 

ausudo  giunge  il  tempo  die  gli  fa  per-  cb'avea  sembisnsad'nomocni  una  lunga 

aera  le  coae  acquistate  ;  tal  ee.  È  nato-  solitudine  in  luogo  affatto  deaerto  avesau 

riie  cW  ««auto  piò  grande  è  stato  il  estenuato  e  quasi  ridotto  uo'fimbrs;  a  o 


daaiderie  di  raggiungere  una  coaa,  tanto  piò  semplicemeote:  •  Chi  a  cagionad'un 
aaggieru  aia  il  delore  del  perderla,  lungo  silensio  avea  infiacchiti  gli  onnni 
Quauto  ai  era  Daote  eooaolato  alla  aola    vocali  e  a  pena  ai  sentia  parlare,  a  Edo 


pena  ai  sentia  parlai 
MPelWgorico  moote,  e  alla  spe-  Dantedirebbeinanticipanoue^riportaA- 
runra  ceueepita  di  giungervi,  altrettanto  dosi  al  tempo  in  cui  scnvea,pioUiistodiè 
si  uttrielè ,  quaudo  per  la  oppoaiiione  a  qnello  in  cut  gli  appariva  Virgilio.  Al* 
ém  cattivi  ai  vide  dduao.  Il  eoatrotto  legnricamente  potrebbe  aignificare la  di- 
dei  leruerio  aeu  è  troppo  regolare ,  ma  mentieanta  tu  cui  nei  lunghi  secoli  della 
va  fieae  eeai  :  B  f  ««le  è  qnri  che  eo-  barbarie  era  giadato  il  gran  Poeta  la- 
IralleH  me^nittm,  che,  ooai  giugno  il  tino,  onde  non  avea  pie  parlato  né  alta 
lem^a  ekoUfa  poréore,  piango  e  f'al»  oMste  né  al  cuore  d'alcuno  Ino  a  Dante. 


QubI  the  lu  sii,  od  ombra,  od  uomo  cerio. 

Itispaaenii:  Non  nomi  uomo  già  lui; 
E  li  parenli  mierfuron  Lombardi, 
E  Majiiovani  per  patria  ambodui. 

Nacqui  sub  Julio,  ancorché  Tosse  lardi, 
E  vissi  a  Roma  sotto  il  buono  Augosto, 
Al  tempo  degli  Dei  falsi  b  bugiardi. 

Poeta  fui,  e  rnnlai  di  quel  giosto 

Figliool  d'  Anfhi^,  rhe  venne  ia  Troia, 
Poiché  il  superbo  llion  fu  combusto. 

Ha  tu  perchè  ritorni  a  tanta  noia? 
Perchè  non  ^ali  il  dilettoso. monte, 
Ch'  è  principio  e  ra(;ion  dì  tolta  gioia  ? 

01  Be' lo  quel  Virgilio,  e  quella  fonte. 
Che  spande  di  parlar  si  largo  (ìumD? 
Risposi  lui  con  ver;;ognosa  fronte. 

0  degli  altri  poeti  onore  e  lume, 

Vagliami  il  lungo  studio  e  il  grande  amore. 


I 


'   M.0>ulHk<iIaii-{--chÌi.qii«(i9ÌL 

duri  agi  g»»»»  cHugl»  «  g«J«(u- 

r(  |><ir  le  f  per  la  L>i>  potrìl  quMo  niM' 

«S.  loffitardt,  di  «ii«»,  H.Ma~ 

t,.  J.  cÙ  ^  p.»  d/H.«  Vi  l*"  ' 

na^V  p«ln»  fiimnn  i  gmilMi  di  Vir- 
liGaTranmfnlF  tgli  «nnioi  in  AiKta, 

p>»  diimlf  d>  chia  cb*  il  l'oca  ipcr*  e  rIIhìì*  ■■ 

.  di  Cd.  r»>nreD  pM«,  «ni.  r<le.BÌ  incha  dilU  mm  iti- 

umili  KimuitilM,  Mri  mi  Airl^  di  LmRmbqriB. 

T*   O.'  r'  In  te.  PrdmHaqmttii 

1  l«nli   Cii.lto  IfK.illarim.Orn'lH.  — DiDivH^it 

r«|»w> H BMit,  Vìrgiliu  iiariai^an-  diHmalirncpDpri.iBHÌKikBigliMe- 

*'    "    '     "are  oniiniti  qukiai  ii  alWliaM  per  IiiniiBi«  «lU  foMUi  ■ 

ri  iS  Ai  mi  rU,  quimlo  orii^iie  èri  talins  1bi|H»,  « 


Cbe  m'han  fetto  cercar  Io  tao  volmne. 

Tq  se*  Io  mio  maestro  e  il  mio  autore: 
Ta  se*  solo  colui,  da  cui  io  tolsi 
Lo  bello  stile,  che  m*  ha  fatto  onore. 

Vedi  la  bestia,  pert^ui  io  mi  volsi: .' 
Aiutami <4a  lei,  famoso  saggio, 
Ch*  ella  mi  fe  tremar  le  vene  e  i  IMbi- 

A  te  convien  tenere  altro  viaggio. 
Rispose,  poi  cbe  lacrimar  mi  vide, 
Se  VUOI  campar  d*  esto  loco  selvaggio: 

Che  questa  bestia,  per  la  qual  tu  gride, 
Non  hacta  altrui  passar  per  la  sua  via. 
Ma  tanto  lo  impedisce,  cbe  1* uccide: 

Ed  ha  natura  si  malvagia  e  ria, 

Che  mai  non  empie  la  bramosa  voglia, 
E  dopo  il  posto  ha  più  teme  ctav  pria. 

Volti  son  gli  animali ,  a  cui  s*  ammoglia , 
E  più  saranno  ancora,  infìn  che  il  Veltro 


It 


S5 


90 


a6 


ICO 


S4.  ttnmr,  cioè  «Ueotamente  coosì- 


C  barilo  maniro  e  U  mio  aut0re. 
Ihatn  rW  «'  ìnupà  ;  amUnre  cbe  del 
(■•«MMw  oR'ÌMpirì  e  mi  incki. 

n .  La  Mio  ftilc.  InlciMli  il  caratle- 
ttfHfàm^  àk  cai  niaoo  è  niglior  mae- 
A»  S  Viiplia.  S^par  non  accenna  qai 
Itiat  adaflie  latine,  in  cui  imitò  il  gran 
f«ti,  •  IdOe  i|aali  ebbe  a' tuoi  tempi 


la  be^im,  cioè  la  lap4. 
«afflo.  Prcaao  i  Oreci  1  poeti 
col  aoiae  di  vofol,  M' 


t4.  arWe,  gridi  .-È  termioazioDe  prì> 
■bra  «Blla  accoada  voce  del  pret.  dcU 
f  iad.f  Ae  apeaio  a'iocoatra  negli  anti- 
da  arritUn  in  proaa  e  in  rima. 

flS.  iVa»  Imtcim  altrui  pmstcr  «e. 
L'itarifia  ara  coa't  forte, coa'i  aniveraale 
•  aael  taspo  per  le  ateaae  condizioni  po- 
lOcW,  cba  aoa  era  poaaibile  aradicarla. 
E  cki  avaaaa  Icaiato  dì  porre  an  argine 
aearala  iiaawnn>  coaaevcri  ordinamenti, 
aaontouna  impreaa  di- 
I,  sarebbe  iacorao  nella  atc«aa  aor- 
1*  Aa  ÌBcatttraroao  in  Boma  pagana  i 
fivaedà,  a  m  Boaaa  criUiaoa  r  audace 
himdèm  ém  Brescia.  In  tempi  di  fazioni 
a«i  araa  ^«€111,  il  denaro  era  tatto: 


per  eaao  le  magistratar^pereiaala  difesa 
della  persona  e  delle  me,  per  caso  la 
Tendelta,  per  esso  il  trionfo  delle  prò» 
prie  opinioni.  Cors  dunque  suprema  d> 
tutti  il  denaro. 

100.  Molti  ton  gli  animmli^  te. 
Molti  son  gli  uomini  bestiali  a  cui  onesta 
avarìzia  ti  manta,  si  unisce.  Grsndeèla 
moltiturline  d(>gli  svsrì,  più  asssi  cbe 
quella  dcgrìnvidìusi  e  deispperbi.  Presa 
Is  lupa  per  Is  Curia  Rovnana,  questa  cir- 
costanza potrebbe  signiGcsre,  rhe  molti 
sono  i  potentati  e  i  popoli  a  coi  si  è  col- 
legata  a  sostt^nimenio  del  suo  temporale 
dominio. 

101 .  infin  che  il  Vellro.  Io  son  d'ar> 
riso  cbe  il  reltro  cbe  qui  s'annunzia  non 
poaaa  esser  altrì  cbe  nn  valoroso  e  fortu- 
nato capitano,  cbe  guidato  dal  aolo  amore 
della  giustizia  e  della  salute  d' Italia,  rì* 
vendicbi  i  diritti  imperìali  su  Roma,  e 
fiaccate  quindi  le  coma  al  gnelfismo,cbe 
nella  cuna  romana  ba  il  più  forte  aoate- 
goo,  ntomi  il  paese,  come  dice  Petrarca, 
•  Aureo  tutto  e  pien  dell' opre  antiche.  • 
Quanto  a  determinare  cbi  sia  il  capitano, 
obietto  di  tanta  speranza,  non  è  coai  fa- 
cile. E  forse  non  era  questa  cbe  un'idea 
della  mente  del  Poeta,  il  quale  sperava 
che  prima  o  poi  si  dovesse  per  qualche 
grande  afferrar*  e  attoare.  Ma  se  pur  si 


I 


Verrà,  che  la  farà  morir  Ai  doglia. 

Quegli  non  ciberà  terra  né  peltro, 
Ma  sapienza  e  amore  e  vìrlule, 
E  sua  nazion  sarà  Ira  Feltro  e  Fellro. 

Di  CI  u  eli  '  funi  le  Italia  fia  salute, 
Per  cui  mori  la  vergine  CamìIlB, 
Enrialo,  e  Torno,  e  Niso  di  ferule: 


ilfaijn(lt,l'mni«ilvi  Icmpiiaruì  D(ol« 

«nlrvilo  di  allro  luDga  Del  Pofmi  (J'a- 
rodl»,  C.  svili,  larrblHrn  credlb'l* 
■opra  agni  litro CinGnnJailcliaSriI*. 
ID3.  Quelli  Bim  eibtrà  Itrra  ni 
palln.  QuhIo  vittro,  dot  il  naaio  or- 
(bulond'Itilii.naaiTrb  Eirnc.Dtrarh 
■Imiu  Mimi  né  di  lem  Didi  dcniro,  mi 
i  n^  rigurdi  iinnno  ritsKi  ■!!■  ■■- 
pian  •  ■!!■  rirlA  ;  toiinbi  l'ivariiia, 


SS, 


e  WiHlUitcìlrv  di  Rnmisni. 


Trirìji^ 


■ti*,  l'cfaigllii 


—PtUrottligtioraB- 

)àiion  lari  Ira  Filirò 

rnnQnimnllaioosHD, 

t>na  Ira  Mira  t  feltro, 
Edic«iclitD«nl(ibbia 
chg  il  fitltra  CKrìilor 
U^  iTrcbbt  iTiilo  luifoiw,  cioè 
'  *'  ireti  ad  smili  gtnilari. 
«pirgiiKlo  ha  credulo 


al  poU 


Twanari,!  lornaaH 

l'nnillt  prìmiLita 

qnaolrraginne  il  toria  uihuid  poK 
creder*.  Atlrì,  {ra'qnalì  BcniFaDla 
Inai*,  niagai»  Ira  fillra  a  fclira, 
litio  «  ciala  ;  cciD  che  UiatB  tirelibi 
BDiBcato  cbe  ^ett'eroa  larébbs  n 


■*r>blM  palila  fngan 
E  lal(  niTriiariuae  pi 
longhi  MPwrg.,  dd 


fdi  in  tiò  qKcI  che  u  diia  aie-  XXXtU 
!l  Ptirg  .  ycr,  S7. 

106.  IH  fUFH'tinib  JloKa.  Din 
milt  l'IUli*,  a  io  riguardo  il  no  ic*. 

•;.j»p"§j« 


a  Virgilio 


MaPclM 

;ti«dt,  lik.  ui, 

umili  ra)(IÌT*- 


rho  p«r  uwiUe  llalia  d. 
■i  il  Lilio,  0  qntlla  pari 


mtnla  a  Boa  parte  d'Halli 

407.  Pur  tua  moH 

r,rgilio«rt.p.rticol.rco 


]Ì  egli  ripriè  il  principio  del 


1UO.  Il  ru;9.  r,i<Fiite,  con  migliar  ai- 
poti  rimi  e,  por  U  Burialoefìin  •  IW- 
IO  a  fentl«.~MBri...ai  fmtU  ni* 
Binilo  neri  pv; fumilo.  Eurialo  offi- 
IO  (aniMi  (ToAV  ywm  <wH»ri.  C«W^ 


CANTO  PRIMO. 

Questi  la  caccerà  per  ogni  villa, 
Fin  che  I*  avrà  rimessa  nell*  Inferno, 
Là  onde  invidia  prima  di  parli  Ila. 

Oad*  io  per  lo  tuo  me'  penso  e  diecerno, 
Che  ta  mi  segui,  ed  io  aarò  tua  guida 
E  tran-otti  di  qui  per  loco  eteroo, 

Ov'odirai  le  disperale  strida, 
Yedrai  gli  antichi  spirili  dolenti. 
Che  la  seconda  morte  ciascun  grida: 

B  Tederai  color,  che  son  copienti 
Nel  fuoco,  perchè  speran  di  venire. 


43 

HO 


115 


h  mmi  «min  Esc»  ;  Tmmo  Sf^aolo 
àlit  if"  fatali,  MvÌM  i'  Enea,  e  et- 


JÈmè  Mia  fatm  eoaire  di  loi. 
\  ^aat.  lmtmt€9réperogniviUa  Qm- 
ifctgÉn  JTè  la  caccia  alla  impa  per 
Mi  laóllà  ^f  a  ella  ù  rieoTri .  Seo>a«lo 
Spitea  én  émm  accaaaati  aenai  la  lupa 
tÌAFtmnDa  fagata  da  lalle  legarti  per 
riHHiili  a  aapi««aa  del  fatare  salva- 
tal  i' Italia.  Ma  ^ai  ni  para  che  pre- 
«rifi  F  aMra  caDcetto  cba  nella  lupa  sia 
•walcfgala  il  farlfisoM»  sostenutu  a 
npitoaata  dalla  Caria  papale.  L' im- 
r  dd  9titr9,  eaaa  cacciatore,  bea 
caif  altra  della  lupa  »eiiipre 
a  cacciali  da  quello  per  nato* 
•  La  lapa  è  madre  dei  lupi: 
ivaalaaurri»p»odciile  pa- 
f  f«cl/l.  B  oeinicua 
i  èncccBariamenfa 
Cita  pai  ad  xeilro  sbanca»  ' 
è$  capittao  aroMla,'  d'  od 
fàstlaattfcliè  d*  aa  papa  o 
f  Ara  asta  aagaata  da  alcani  «naiuieo- 
Maty  m  rilava  da  varj  lB<»gl«i  drl 
fMMa,  m»  «»(natBmeuta  dal  &XT1I 
tfd^ìar.  a.»  a  65. 

Ui  là  mmét  iwtidia:  inteadi  il 
Ibiaia  iiaidiaaadel  bene  degli  uomini, 
-irrifcaia  poi  «allo  pi  A  della  santiU 
:kMaa,  a  della  pace  d'Italia.  — 
i;  avT. ,  arìnieramenta. 
US  Oarf'aoper/alaoNie'ec.Vìr. 
fiaW  giè  falU  iaCeadere  a  Dante  cba 
saa  db  a  allriseali  pcMaibila  per  la  aula 
aabrsa  4i  aalira  al  aionte,  troppo  pò- 
itkaaarvlagli  aataeolicbe  glisiopp4ia- 
zmm^ apecialatcata  per  partedella  lupa. 
ftaifBava  adaaqae  per  ottenere  1  ef- 


«taa* 


fetto  desiderato  prendeva  altra  TÌa;  pas- 
sar cioè  pai  luoghi  etarni,BegQÌtandolai. 
Il  olia  ba  implicito  l' infilo  alla  forma- 
liane  d'un  poema  soHa  stato  della  vita 
fuluia,  avente  per  fiaa  di  migliorare  i 
dissoluti  costumi  degfllhliani  eoi  terrore 
dei  gastigbi,  a  colica  nettamento  dcipre- 
mj  rtf  rn*i  a  cdl  aaadro  misarabila  delle 
turboli'nze  e  dé'dclitti,  di  abe  aempre  era 
pieno  il  regfii mento  piipularCf  edetllosca* 
dimento  d'ugni  bella  instituzione,  per- 
suaderli int'irno  alla  giustizia  eai  vantag» 
gi  dell'  Impero.  Que»lo  poema ÌM|^ra tu 
daVirgilio,  e  da  Virgilio  aiotato^avrebbc 
potuto  partorire,  oecondo  cba  sperava 
Dante,  qui'gli  effetti  che  si  aspettarono 
invano  dai  maneggi  del  partito  gkibelli- 
no, adalla  mussa  d'Arrigo:  avreobepoi, 
oim  foss'allro,  addolcito  ^amarena  del 
sa«i  esilio,  e  f»rsa  vinto  ctdia  maroviglia 
del  divino  ingegno  i^nell'  invidia  emdelc 
che  lo  Barrala  fuori  della  dolce  patria. 
Vedi  canta  X\V  del  Par.  E  ani  si  uoli 
cba  Virgili»  consiglia  Dante  a  far  quello 
chefecaegli  stesso, cha  per  circondaredi 
rispetto  a  di  religiosa  maestà  il  oa<>To 
lni|krro  latino  scriiao  \*£nHÌ9  Sennon- 
cbe  Dania  aristiano  avr^ba  soritto  il 
suo  Poema  sec(«(lo  la  cattoliche  creden- 
re,  e  convanientemente  alla  conditioui 
a  ai  bisi'giii  dei  tempi  suoi,  —aie', 
meglio.  Òli  antichi  dissero  aieio,  « 
per  apocupa  atei'  a  aie*.  «-  dUetraa: 
giudico. 

iU.  E  trarroUi  te.  E  ti  trarrò  di 
qui  facenduti  pauare  per  luogo  eteroo, 
cioè  attraverso  l^mferno. 

117  ia  ieconda  wwrte,  quella 
dell'  anima 

419.  Ntl  fuoco,  int.  del  Purgatorio. 


14 


DELL    INFEBNO 


Quando  che  sia,  alle  beale  genti: 
Alle  qua*  poi  se  tu  vorrai  salire, 

Anima  fia  a  rio  di  me  più  de<;na; 

Con  lei  ti  tasrerò  nel  mio  partire: 
Clio  quello  lm|>erador,  che  lassù  regna, 

Perch*  i*  (hi  ribellante  alla  sua  legge, 

Non  vuol  che  in  sua  rida  per  me  si  vegna. 
In  tulle  parti  im|>era,  e  quivi  regge, 

Quivi  è  la  sua  ciltade  e  V  alto  seggio: 

0  felice  colui,  cui  ivi  elegge  1 
Ed  io  a  lui:  Poeta,  i*ti  richicsuio 

Per  quello  Iddio  che  tu  non  conoscesti, 

Acciocch*  io  fugga  questo  male  e  peggio, 
Che  tu  mi  meni  là  dov*or  dicesti, 

Si  cb*  io  vegga  la  porta  di  San  Pietro , 

B  color  che  tu  fai  cotanto  mesti. 
Allor  si  mosse ,  ed  io  gli  tenni  dietro. 


« 


131 


131 


122.  Anima  te,  cioè  Bratrìce,  che 
nel  Canto  \XX  ilei  Purgatorio  si  mo- 
stri a  Dante  per  essergli  guida  al  fa- 
rad iso. 

12f.  q%eUo  Imprrador  ec,  cioè 
Dio.  Si  noti  questa  idea  d*  impero  e 
d'  imperatt>re  celeste ,  che  altro  «olte 
\edi(Muo  rìcom|iaiire  nel  ronio  ilo!  Po^ 
ma,  a  dimostrare  die  dovendo  la  tprra 
spiicclilarsi  uel  rii-lo,  il  (*o\rriio  die  ella 
dcre  adottare  è  V  impero .  un  impera- 
tore lassù,  un  impi'ralore  <|u«i]}|]iù  :  una 
(toma  celeste,  come  una  Ruma  terrena. 

423  ribellata  qui  sia  sfmpliee- 
mente  per  alieno  dalla  sua  legge,  o  non 
teguace  di  essa. 

12G.  per  me  fi  vnjna:  da  me  sì 
regna,  o,  ch'io  regna. 

127.  in  tutte  parti  ec.:  io  (mie  le 
altre  parti  stmtle  il  buo  potere ,  impé- 
ra; ma  quivi  più  particolarmente^  tifue 
il  tuo  governo,  rrgge.  Similmente,  l'im- 
peratore deve  imptraré  da  per  tulio, 
e  reggere  in  Roma. 

120.  cui  ivi  elegge:  che  elegge  por 
abitare  i\i.  Qualche  testo  porta  :  ehf 
quivi  elegge. 

152.  Aeeioceh'  io  fkgga  queito 
male  e  peggio.  Questo  male,  la  sei- 
vaj  e  peggio,  l'eterna  dannaxiooe,  a 
cui  mena. 

(33.  là  dot* or  dicesti,  cioè  pd  re- 
.Tni  deir  altra  vita. 


I3f.  la  porta  i\  San  PMftL 
Porta  di  San  Pietro  è  tanto  quella  dei 
Purgatorio  rlie  quella  del  Paradiso,  MT- 
ckè  d'ambedue,  egualmente  cbe  die!  f^ 
verno  spiriluiile  di-Ila  Chiesa  terreoe , 
che  lutti»  eoniprendesi  nella  Jenomian* 
tiune  di  Regno  de' cicli,  farone  date  da 
Gesù  Crìflo  a  San  Pietro  le  chiavi  eoa 
piena  aulniilà  di  tpcire  e  di  serrare. 
Quella  pelò  a  eni  mira  prosai  manuali 
Dante  è  la  porta  del  Purgalorio. 

133.  E  color  ec.i  cioè  i  dannati.-»* 
che  tu  fai,  rhe  |ioni ,  che  deaerivi.  — 
Mi   piace  avvertire  alla  fine  di  ^aata 

Srmiu  .Canto ,  rhe  aella  didbiarasiona 
ella  sua  continuata  allegorìa,  difficili 
in  veni  e  inreflissima,  mi  acne  atleaat«' 
a  quel  roiicello  che  mi  è  sembralo  a?er 

Sin  impoitanra,  più  gnodeua  e  più 
egna  ragnme  di  poema,  luijparoccbé 
non  mi  e  mai  pnlultt  andar  per  TaniaD 
quella  mikeiande  spiegazione  di  alcwii 
ascetici  Cumenlatori  rhe  aoa  ved«M  ip 
Dante  smarrito  nella  ielta  cbe  «■  pce- 
catore,  il  quale  cuiupreMi  tinalnienle  dal- 
r  orrore  del  suo  stalo  ti  rimette  pw  la 
buona  \ia.e  dopo  poehi  paaai  per^aHla 
t\  lafeiia  taliiienlr  atterrire  dalla  perra 
rhe  gli  move  la  lussuria  ,  poi  la  auper> 
bia  e  ra\arixia,  rhe  vetlutuai  impolente 
a  resistere,  si  de«-ide  a  tornare,  peni- 
tente «igliarcti,  a  quella  steua  selva  die 
poc'anzi  gli  avea  fatto  tanta  paura:  fio- 


CATfTO  PRIMO. 


45 


ck^  n  odo  iaipS«(<KÌto  di  lai  gli  inaada 
FtrfJlio  (•!!  poeti  p«(;aooi  perette  aoa 
•iittotle  anlràoa  eo«fctsnre?)ch«  lo  li- 
bffi  ^llt  telra  faeemlolo  piisMra  per 
rififeruo,  eoBcioniarkè  noa  gli  tia  poa- 
libile  Tioeere  allrimenti  la  lupa,  <|aella 
■ilaaU  ptttione  dell' avariiiaf  che  gli 
fa  tulo  oatacolo  alla  mIìU  dt]  monte, 


t  di¥»ir  «rtooso  eerittiaaa.  Qaeste  so- 
do ■lawria,  a  peeoraggini,  di  eoi  Denta 
MotiraUka  Targngna  se  toraassa  di  qoa: 
ed  io  rorrai  icosarle,  anche  nonostante 
la  ìnfelicalororombiaanone  nel  testo,  se 
il  Paate  non  si  fueae  spiegato  abbastanza 
nel  corso  del  Poema ,  e  soprattutto  se 
non  esistesse  il  libro  De  Uonarekia. 


CAiira  SEcaifiie. 


h  fttM»  •ttamé»  emmt»,  dofù  tm  fa— c«ifa—  mUm  mi  petti  mé'prUtdfi  dti  lon  pumi,  umrrm 
Oa»  tà$  etmt*é*rmmé0  tt  m«  /bne,  duttìè  <É*<f/«  imi  foutr  kmstmnit  mt  Urritit  timggném  Firgi-' 
'W  p-w^mtofU;  mtm  e࣠ pti  éitmi  m^férU  ripm»  piatmemtt  mnimm,  té  ifiSwwim  a  ugmirU  mm'mT- 

Lo  giorno  se  n*  andava,  e  V  ter  fcraio 

Toglieva  gli  animai,  che  sono  in  terra. 

Dalle  fatiche  loro:  ed  io  sol  i^K) 
M*  apparecchiava  a  sostener  la  $> narra 

Si  del  cammino  e  si  della  pielate,  6 

Che  ritrarrà  la  mente,  che  non  erra. 
0  Bluse,  0  alto  ingegpo,  or  m'  aiutate: 

O  mente,  che  scrivesti  ciò  eh* io  vidi, 

Qui  si  parrà  la  tua  nobilitate. 
Io  cominciai:  Poeta  che  mf  gnidi,  10 

Guarda  la  mia  virtù,  snella  é  possente, 

Prìon  che  ali*  alto  passo  tu  mi  fidi. 
Tu  diciyVhe  di  Silvio  lo  parente, 

CorrutlitSìfe  ancora,  ad  immortale 

Secolo  andò,  e  fu  sensibilmente.  ^  15 


S-4.  aal  «no  .  «(»l<*  ilei  talln,  per- 

At  Ti/|iltu  ara  J' altra  nutuia  Stafi" 

pmrmtUi  I  <  •  mi  4'«p*>neva ,  a  totU" 

iar  tm  §mfrrm,  la  noia,  ii  tra\aglio, 

cke  mi  avrebbero  cagi<Hitito  e  il  vMg;;ii», 

tb^srteCr,  il  doti»ri>M  e  eÀmpaH«i«»oe- 

lala  sfrtlarul*  ét'le  inrrmali  iiiiaerie. 

C  Che  ritr^rtàfe  :  la  i|aal  guerra 

4a  mt  a«4l«nuta  si  nrl  rorpn  prr  la  ma* 

lm«le  falira.  si  nell*  anima  per  l'iiier- 

caio  dì  proiisi   aff«'lii ,  nari   ri/ra/fa, 

rafprca«>ntjt«,  dalla  mente ,  AaìU  me- 

■ona,  tàgmfm  erra.  cf«>r  saiuesiriira, 

saa  vanr^^paate  ,  n>  piò  «lurbula  ilalla 

caafaaiMAe  ondVra  cinta  Iiii;i2«u ,  come 

4n«  al  ra»t'>  III,  v  31:  Edioek'atem 

ferrar  la  tetta  einta 

7    O J/u«e,  ouoki lidisiipliiic,  oaUo 


ingegno,  o  f'iniatii»  ;  orraro,  o  siiblTau: 
geuiu  iu»|iir4lnre; opulenza  iotellfttiva, 

8  O  menu ,  emierittiti  «t  :  a 
mciDitria  cba  acrb^tsti,  ritenesti  avme  d 
ritrngouo  la  ftcrìttu,  la  coae  da  me  fa* 
date. 

9.  fi  parrà    ti  manifesterà. 

42    mi  fidi,  tu  mi -ciimiiMlta. ' 

\ù  Tm  </tet;ncir Eneide.  Diso- 
tto lo  patente,  il  gf>nìl«ire,  nel  senso 
del  lat  parens,  è  Bni-a ,  pei  ch^^i|ee(NKla 
Viig^liu,  S>lv'0  naare  tiglio  ad  Enea  da 
Livima  ;  m<«  Liviu  !••  fa  lif^ho  d*Aticaaàa. 

14  ad  immortale  Secolo  »  ai  regni 
eterni 

15  feitit6i7m(n<e.  Intendi:  nella 
n'aliii  «lei  r«rpueaclU  capacità  di  tutta 
le  S(.'usazioui. 


45 


DBLL  nmuio 


Però,  se  1*  avversario  d'ogni  male 
Cortese  i  fa»  pensando  T  alto  effetto, 
Cb*  uscir  dovea  di  lui,  e  il  chi,  e  il  quale; 

Non  pare  indegno  ad  uomo  d' intelletto: 
Ch'  eì  fu  deir  alma  Roma  e  di  suo  impero 
Nell'empìreo  Cicl  per  padre  eletto. 

La  quale,  e  il  qnale  (a  voler  dir  lo  vero) 
Fur  stabiliti  per  lo  loco  santo, 
U*  siede  il  successor  del  maggior  Piero. 

Per  quest'  andata,  onde  gli  dai  tu  vanto, 
Intese  cose  che  furon  cagione 
Di  sua  vittoria  e  del  papale  ammanto. 

Andovi'i  poi  lo  Vas  d*  elezione. 

Per  recarne  conforto  a  quella  fede, 
Ch*é  principio  alla  via  di  salvazione. 

Ma  io  perchè  venirvi?  o  chi  *1  concede? 
Io  non  Enea,  io  non  Paolo  sono: 
Me  degno  a  ciò  né  io  né  altri  crede. 

Perchè,  se  del  venire  i*  m*  abbandono, 
Temo  che  la  venuta  non  sia  folle: 
Se' savio,  e  intendi  me*  eh'  io  non  ragiono. 


30 


46.  Vatvinario  d'ogni  maU^ 
«ioò  Dio. 

47.  Coriete  i  fu:  fn  liberale  a  lui 
ai  Ul  graxìa  È  lei.  del  Tetto  Viv.,  del 
Cod.  Frollani,  e  dì  ^oalch' altro.  ^ 
i^i^h  ef fello ,  cioè  ¥  impero  ronumo  , 
de  •rofenne  da  Enet. 

18.  U  chi,  quel  generazione  di  «o- 
Oliai,  il  popolo  r»Bono  ;  il  qunl»,  eli  a 
qulith  d'impero. 

20.  Ch'èi,  àiohf  perct(H;chè  Enet 
b  ee. — e  diiiio  fmpmee.  Notinl  CODIO 
de  fetta  alluvione  ai  rìlroediiern  il  con- 
oetto  del  Poeta:  Virgilierealò  io  Enea  il 
fondetore  dell'  Impero  iatieo;  e  come 
qnctti  fondazione  era  fatale,  il  ano  eroe 
è  eoodotto  pei  regni  eterni  ad  attingervi 
leaapieoza  e  la  forza  oecestariii  per  tanta 
inpreta.  Similmente  il  riftabiliroento 
dell'  Impero  è  volere  divino  ;  e  il  pre- 
eeello  e  predicarlo  e  ditpurlo  etaendo 
Dante,  che  può  dirai  il  precoraore  del- 
V  Impereiore ,  deve  4*uore  per  divina 
provvidente  condotto  pei  luoghi  eterni, 
e  eeeofflpagnato  e  asaiiitito  dal  Cantore 
delle  prima  mtHiarrhia 

22    la  quale,  Roma:  il  quale  , 


V  Imperio.  —  a  voler  dir  la  vero:  par- 
lando con  maturità  di  teoooi  e  eoo  eai- 
mo  libero  dp  poaaioni 

23  Fùr  MlabiVU  m.  loteedaei  :  fa- 
readalleDivieePniiVfideiiiedeitÌMlied 
aver  l'onore  di  quella  aaala  e  anreme 
Getirdra  am  aiede  il?icai4o  di  Crìate. 

24  V,  ^ove:  è  Ireacemeolo  iel- 
Vuki  lutino.  — fNoyf  tofspreaide,  nrio- 
ci pe.  Goti  il  Pairerca  nel  trioofed'Àoae- 
re  :  Dirò  di  «vt,  e  prinm  4d  BAOCIO- 
11,  Che  eoa  vita  e  Kbarià  m  wpogU; 

25.  Per  quttl' an'iala,  per  l'onde- 
te  eli' Inferno,  onde  gli  dhi  vanta  di  pio, 
e  caro  singnlaitneiite  ai  Nami. 

2f  Uitua  «iltorte  ec.:  intendi  In 
vittoria  di  Enea  contro  Tomo,  la  quale 
fa  cagione  chr  poi  foaae  findeta  Boae, 
ove  in  aeguito  ai  alabili  il  papato. 

28  lo  Vat  d'elexione.  Coai  èdiia- 
mato  S  Paolo  nelle  aacre  carte; cbe  è  lo 
atr*ao  che  dite  intlrumento  efflto  da 
Dio  alla  diffuMone  della  feda. 

54.  Perchè,  te  del  venire  te.:  per 
le  qnal  coaa  ae  mi  arrendo  al  venire. 
Ahhandonarti  del  venire,  vele  darai 
ciecamente  a  chi  ne  eondnce. 


CUlfTO  ncORDO. 


IT 


E  qoale  é  quei,  che  disvuoi  dò  che  volle, 
E  per  novi  pensier  cangia  proposta. 
Sì  che  del  cominciar  tatto  ai  toUe; 

Tal  mi  fec'  io  in  quella  oscura  costa: 
Perché,  pensando,  consumai  la  impresa. 
Che  fo  nel  cominciar  cotanto  tosta. 

Se  io  ho  ben  la  tua  parola  intesa, 
Rispose  del  Magnanimo  queir  ombra, 
L*  anima  tua  è  da  viltade  ofièsa: 

La  qual  molte  6ate  l' uomo  ingombra 
Si,  che  d*onrata  impresa  lo  rìvolve, 
Come  blso  veder  bestia,  quand'  ombra. 

Da  questa  tema  acciocché  tu  ti  solve, 

Dirotti  perch'  io  venni ,  e  quel  eh'  io  'nteei 
Nel  primo  punto  che  di  te  mi  doive. 

Io  era  tra  color  che  son  sospesi, 
E  donna  mi  chiamò  beata  e  bella. 
Tal  che  di  comandare  io  la  richiesi. 

Locevan  gli  occhi  suoi  più  che  la  Stella: 
E  cominciommi  a  dir  soave  e  piana. 
Con  angelica  voce,  in  sua  fovella: 

O  anima  cortese  Mantovana, 

Di  cui  la  fema  ancor  nel  mondo  dura, 
E  durerà  quanto  il  mondo  lontana, 


40 


45 


50 


bi 


60 


SI.  8i  MU,  dall' tutico  UÀUrt,  ri 
l«b   ■  filile. 

4r42.  ^lireM.  ^fliMtido  :  p«rchè 
!•  :  coiwiftimii  to  im- 
dalU  *  delib«raziooe 
41  wf  itart  Vlr|ilio^  U  qoale  ^ 
~  pnadpio,  fo  coti 
onjusMre  «fi'ìm- 
frtm  vaia  prapriaoifote  ttmànrla  ai 
tm  ttrwdmt;  ma  parckè  chi  ha  condotto 
•  lanMBa  ■■  lavoro,  ccaM  Ha  qaello  e  Io 
MHa  da  pwta;  caal  qui  resprcanono 
paM  aolaìamta  da  qaeito  lato  aignifi* 
9, miti  iti  pmtU,  mèb&mdonai  firn- 
frmm.  Potitfcbe  aocu  darai  al  rerbo 
Il  «iiMH  il  aaaao  di  annuUmn,  di' 
tfmn,  ritrmltmn,  il  gii  deliberato,  a 
b  aaaa  alarcbba  r|«aliDeole. 

47.  Im  Timolme  te.:  lo  rirolge,  àoè 
1»  dirtafBa  da  oaoraU  iaiprcaa. 
4S.  fmam£  vmkrm,  qoaodo 
In ,  pnìide  aoibra. 


49.  H  aofrt,  ti 


aoljca  in- 


minazione  del  preieate  del  aognuntìro. 

51 .  doUm,  dolse.  Dolv€  è  il  paasato 
del  verbo  doitrtt  tirato  dal  latiao  do* 
liilf,  mutato  1*11  in  «,  che  in  parcccin 
cali  anco  i  LaUni  tcarobìatano,  dioaflido 
foliitC  e  fo/vil,  fl/ua  e  tiUaa  te. 

52.  color  te.  Dica  toapesi  colora 
che  staoDo  nel  limbo,  perchè  noa  sooo 
né  dannati  né  beatificali. 

55.  piià  eht  la  SUUa,  t'uteada 
per  eccellenza  la  stella  di  \enno^  eoma 
la  più  bella  II  Cod.  Ang.  e  ano  dai  Pai. 
hanno  pOi  ch'urna  tietìa. 

57 .  in  tua  fattila^  può  inteodeni 
o  nel  lingvaifgio  della  naziooa  a  cai  ap- 
partenne ci«iei  vivendo,  o  in  quello  pro- 
pri» dai  Oleati,  che  eome  hanno  vtlaati. 
geliea^  coai  possono  avara  tmgtliea  la 
favella. 

59.  chini,  è  nel  sana  del  pigti  b- 
tiao. 

60.  quanio  U  mondo  lontana.  Lom- 
tana  è  osato  qui  oal  aeoso  di  ktnga, 

2 


48 


Mlilf* 

L' amico  mio,  e  non  della  ventara, 
Nella  diserta  piaggia  è  impedito 
Si  nel  cammin,  che  volto  é  per  paura: 

E  temo  che  non  aia  già  si  smarrito, 
Ch^  io  mi  sìa  tardi  al  soccorso  levata, 
Per  quel  eh*  i*  ho  di  lui  nel  cielo  udito. 

Or  muovi,  e  con  la  tua  parola  ornata, 
E  con  ciò  e*  ha  mestieri  al  suo  campare, 
L*  aiuta  si  eh*  io  ne  sia  consolata. 

r  son  Beatrice,  che  ti  laccio  andare: 
Vegno  di  loco  ove  tornar  disio: 
Amor  mi  mosse,  che  mi  fa  parUre. 

Quando  sarò  dinanzi  al  Signor  mio, 
Di  te  mi  loderò  sovente  a  lui. 
Tacette  allora,  e  poi  comincia*  io: 

0  donna  di  virtù,  sola  per  cui 

L*  umana  spezie  eccede  ogni  contento 
Da  quel  ciel,  e*  ha  minori  i  cerchi  sui: 

Tanto  m*  aggrada  il  tuo  comandamento. 
Che  r  ubbidir,  se  già  fosse,  m*è  tardi: 
Più  non  t*  è  uopo  aprirmi  il  tuo  talento. 

Ma  dimmi  la  ragion,  che  non  ti  guardi 
Dello  scender  quaggiuso  in  questo  centro 
Dair  ampio  loco,  ove  tornar  lu  ardi. 


75 


so 


i  Latini  che  OMroao  Ung{nquut, 
iMitano, jperiiittiMntiM,  di  lunga  dura- 
te. Coaì  Cceruna  disse  ùmgiiiqm  dtÀfh 
nt.  Alcuni  ùid.  portano  invecr  quamU» 
U  molò  Umiamm»  che  sigairubmilibe 
ifaanto  il  moto  dei  pianeti,  ond'è  roian- 
nto  il  tempo  :  ad  •  in  vero  eapraaaiune 
Bollo  poatica  ;  ma  la  noatra  armoniua 
■^io  cui  terao  antacedente  :  U  cui  fa- 
M«  duf  aneorm  mi  mtndo,  §  durerà 

64 .  L amico  wtio  ae.:  roomo  amato 
da  ma,  e  non  dalla  Cortana,  l'amico 
■io  ttortaaato. 

72.  Amor  mi  tmui§.  L'amore  che 
porlo  a  Dante  infelice,  e  io  lai  a  tutti  gli 
uomini  di  buoo  volere ,  mi  marna  dal  Pa- 
radioo,  0  mi  fa  parlar  coaì. 

76-77.  O  donna  di  virtii,  tolm  per 
mi  m.  Qui  Healriee  è  rìguaidata  come 
idoo  inaiame  e  della  Pilusiilia  e  della Teo- 
U|ÌB,  par  lo  quali  appunlo  l'omana  ge- 
liopòn  d'ondleaia  ogni  altra 


cosa  torrana ,  avendo  dall' ana  lo  oopn»- 
rioni  umane,  a  dall'altra  lo  fivnc. 
Anche  Boono,  da  coi  Danio  tasto  ooao 
tolae,  diaae  parlando  della  ilooota:  0 
virtmtwm  omnium  nmirix.  Uh.  S,  or.  4. 
—  Secondo  il  aiatoma  Tolemoieo,  il  ||fv 
mo  cielo,  e  il  minoro,  dm  ai  avvo^  i»> 
tomo  alla  Terra,  Saaa  nel  roBlro,èfMl 
della  Lana,  dal  (|nala,o  destro  il  fulo, 
può  dirsi  conleoata  la  Tom.— -Coalc»* 
io,  aiacope  di  eonlmmio. 

78.  t  cordai  md:  «oa  ilart  ■  p«è 
dividere  in  qoanti  cerdù^i  vaola. 

MQ.*e§ià  fo§§$  oc.:  qoaatan^  già 
foaae  io  aUo,  mi  pairehhotanli. 

81 .  PtA,  di  piò,  dawaBtefpM.  — 
aprirmi  U  tìio  taienio  oc.»  mamfmter- 
mi  il  tao  volere. 

83.Ì»  fuoile  eenf  ro,cioè  mI  Liaiho. 
La  terra  è,  nMne  s'è  gii  dcttoJI  eostro 
dolaistema  planetario, aeooodoToloaioo. 

84 .  DaU'ampio  loco,  doi  dal  Pwo- 
difo,  dairempirco,  che  è  il  ctalo  pia  am 


CAirXO  SBOOUfiO. 

Da  che  la  vuoi  saper  cotanto  addentro, 
Dirotti  brevemente,  mi  rispose, 
Petcb*  io  non  temo  di  venir  qua  entro. 

Temer  si  deve  sol  di  quelle  cose 

C  hanno  potenza  di  lare  alti  ni  male. 
Deir  altre  no,  che  non  aon  paurose. 

r  son  fatta  da  Dio,  soa  mercè,  tale^ 
Che  la  vostra  miseria  non  mi  tan^e., 
Né  fiamma  d' esto  incendio  non  m*  assale. 

Donna  é  gentil  nel  ciel,  che  si  compiange 
Di  questo  impedimento,  ov'  io  ti  majodo. 
Si  che  duro  gindicio  lassù  frang8* 

Onesta  chiese  Lucia  in  suo  dimando, 
£  disse:  Or  abbisogna  il  tuo  fedele 
Di  te,  ed  io  a  te  lo  raccomanda 

Lucia  nimica  di  ciascun  crudele 

Sì  mosse,  e  venne  al  loco  dov*  io  era. 
Che  mi  sedea  con  V  antica  Rachele. 

Disse:  Beatrice,  loda  di  Dio  vera, 

Che  non  soccorri  quei  che  t*  amò  tanto, 
Ch*  uscio  per  te  della  volgare  schiera? 


49 

SS 


SO 


n 


iOO 


i05 


p«  A  tetti.  —  I»  «nU,  doè  ta  dflNd«rì 
Ita. 

t,  in  temo  attiro  ;  da  far 


/taaiiM  d'etto  imeeniio.  L'e- 
è  aMtaforìca.  l'imfndio  è  il 
•  disparato  dcndcrio  di  Dio  che 
è  a  asU  iiaaiMu  che  ti  prova  oal  Liio- 
W;a«  icatrict  oob può  eaaeme  tocca. 
packè  è  acMpra  ìa  Dio  e  con  Dio  M 
i«la,Mn'larcniodi  Dante  il  faoco  raa- 
li  Ma  tiofii  clie  in  certi  luoghi. 

M.  Dammmè§fntU.  Le  tre  dome  di 
CB  ^i  ■  parla  forse  sono  ad  ao  tempo 
tf«a!i«aiabolicba.  Realmente  la  Donna 
MBlile  fmk  aaaari  la  vergine  Madre  di 
Dio  ;  altriflMDtif  è  la  dk'tfia  CUtnenxa, 
i  da^  i'oaibra  d'ignnraoxa  e  di 
>  ia  cai  aicdooo  gli  nomini,  e  il  di- 
a  la  aiaaria  che  gli  contrista , 
per  gìaato  ^odizìo  dò  loro  av- 


a  cai 


yC.  Atro  gimdieio:  qui  è  termine 
f  anoaa,  e  il  sogi^elto  è  la  Donna  gen- 
lOt^  A»  franga,  amraolliace  colla  tna 


intarc^oaa  il  darò  gindicio  o  U  atTara 
giaatiaia  di  Dio. 

07.  Lucia,  è  la  santa  martire  Sira» 
ensana,  s  mi  un'antics  tradizione  narra 
estere  stati  cavati  gli  occhi.  Vedi  C.  XXXII 
del  Par.^  v.  t3tt.  In  altro  senso,  derì- 
vaU  l'idea  da  lux,  è  la  grazia Ulmmi' 
nanUy  che  è  moaaa  dalla  divina  miseri- 
eordis  a  soccorso  dei  miseri  mortali. 

98.  fedele.  Vasssllo,  o  servo  de? oto 

100.  nimica  di  eiateum  erudite, 
cioè  d'ogni  cnidelti  e  d'ogni  barbane. 

t02.  Bachete.  Kacbalc  fu  figlUdi 
Labano  e  moglie  del  Patriarca  Giacobbe 
Gl'interpreti  delle  Sacre   Scrittara  la 
ponnoao  per  ùihalo  ddla  fita  oaalem- 
plativa. 

1 03 .  B  fair  ire,  la  fi(;1ia  di  Folco  Por* 
tinarì  cbr  l>ante  amò  gioviaetta,  i  qni 
frfita  siwb«ilo,  come  già  a' è  aeceaaato , 
della  eeienza  leoingiea  cW  attiage  da 
Lucia.  —  Ittdaài  Din  vera,  pareaìai 
Inda,  si  onnra  debiUroente  Di«»;avrTeni 
io  cui  l>iii  glnrifif^  mi  aaoi  doni  la-soa 
boat*  e  la  sus  fr«nd«taa. 

405.  Ch'  MMio  per  ie  ee.  Denke 


so 


rau/  niFEEiio 


Non  odi  tu  la  pietà  del  suo  pianto? 
Non  vedi  tu  la  morte  che  'i  combatte 
Su  la  fiumana,  ov'  il  mar  non  ha  vanto? 

AI  mondo  non  fur  mai  persone  ratte 
A  far  lor  prò,  ed  a  fuggir  lor  danno, 
Gom*  io,  dopo  cotai  parole  fatte, 

Venni  quaggiù  dal  mio  beato  scanno, 
Fidandomi  nel  tuo  parlare  onesto, 
Gh*  onora  te  e  quei  che  udito  V  hamio. 

Poscia  che  m' ebbe  ragionato  questo. 
Gli  occhi  lucenti  lagrimando  volse; 
Perchè  mi  fece  del  venir  più  presto: 

E  venni  a  te  cosi,  com*  ella  volse; 
Dinanzi  a  quella  fiera  ti  levai, 
Ghe  del  bel  monte  il  corto  andar  ti  tolse. 

Dunque  che  è?  perché,  perché  ristai? 
Perché  tanta  viltà  nel  core  alletto? 
Perché  ardire  e  franchezza  non  hai, 

Poscia  che  tai  tre  donne  benedette 
Curan  di  te  nella  corte  del  cielo, 
E  il  mio  parlar  tanto  ben  t*  impromette? 


Ilo 


1f5 


i'ZU 


iS5 


d«iramordi  Bettrice  la  tdotillt 
che  aecete  il  rao  Benio  poelicOf  per  cai 
divenoe  grande  e  immortale  ;  e  quell'a- 
mora  fa  emì  nobile  che  lo  ritraate  d'ogni 


406.  la  piita,  Tangosda. 

408.  Su  ia  fiumana.  Euprìme  con 
difena  metafora  l'idea  ktessa  della  tel- 
ra,  ove,  sa  cai,  o  a  rispetto  della  <|ttale, 
il  mar  non  ha  tanto,  perchè  nien  tem- 
peatoaodi  lei.  Èdichiaralu  in  parte  oue- 
alo  senao  da  nn  luogo  del  Canto  llV 
deIPMry.,  io  coi  yicne  indicata  Firenia 
prima  coi  nome  di  riva  del  fiero  fiume, 
poi  di  tritta  atha. 

4iù.  lor  proj  loro  utile. 

4 1 4 .  e  fiiet  che  udito  l'hanno,  cioè, 
chi  ha  studiato  nel  tuo  belio  siile,  e  lo 
ha  inteso. 

447.  PercM  «e.:  per  la  qnal  rosa  mi 
feeojpiè  presto,  più  piouto  al  venire. 

448.  volse  e  pur  Iftgiltioia  tennina- 
tioBO  doli*  nnlico  voglier^^  che  osa? aai 
por  «olrre. 

420.  Che  dd  bel  wtonte  se.  Intendi  : 
la  qoale  t'impedì  di  perteniro  prcata- 
BtBto  alla  pace  o  coB»olaiigoe  dm  ti 


aspettavi  vicina. — il  cortoandar,  la  via 
pio  spedita.  (Vodi  il  Canto  prceadwle.) 

i  22.  allelU,  alleui,  doe  alberghi. 

À26.BÌI  mio  parlar.  Viigilioaite- 
boleggia  romana  ragione,  e  apodtiM- 
te  la  civile  sapienza  espressa  in  forma 
p«>etica  Quanto  ragion  qui  vede  Dir  té 
poti* io;  da  indi  in  là  t'aepetta  Pwrt 
a  Beatricf.,  eh' è  opra  di  fede.  Rwr§. 
C.  X\  III.  E  può  dirsi  che  egli  è  l'aBcUo 
di  messo  fra  la  religione  oataralo  o  il 
Crislianesimo,  fra  le  verità  intaUigibili 
e  le  rivelate  ;  di  che  abbiamo  ana  prora 
nel  Purgatorio  al  Canto  XX 11,  dove  Sta- 
sio  conr«»sa  a  lui  medesimo  :  •  Per  te 
Poeta  fkii,  per  te  CriUiano.  •  Da  que- 
sta finzione  poi  si  vede  chiaro  il  doppie 
scopo  del  l'oema  sacro  :  la  feliciti  loffl- 
porale  a  cui  e  euida  Virgilio;  la  beati 
tudine  spiritUMie  ed  eterna,  a  cui  mena 
Beatrice  E  sono  queste  le  hssi  su  coi 
s'erge  il  maravigliuso  edifizio  del  Poema 
medesimo.  E  per  esserne  certi,  si  oda 
Dante  medesimo  nellalloiiareAia,Iib.o: 

•Quella  pro\  vidensa  che  non  può  er- 
rare propose  sll'uomo  due  fini  :  l'ono^  la 
beatitudine  di  questa  vita,  che  consiste 


CAUTO  SECOlfOO.  SI 

'    '        Quale  i  fioretti  dal  nottonio  gelo 

Chinati  e  chiusi»  poi  die  1  Sol  gP  imbianca, 
Si  drìzzan  tutti  aperti  in  loro  stelo; 

Tal  mi  fec*  io  di  mia  Tirtote  stanca:  i50 

E  tanto  buono  ardire  al  cor  mi  corse, 
Ch'i' cominciai  come  persona  franca: 

O  pietosa  colei  che  mi  soccorse, 
B  tn  cortese  eh'  ubbidisti  tosto 
Alle  vere  parole  che  ti  porse  I  135 

Tq  m' hai  con  desiderio  il  cor  disposto 
Si  al  venir,  con  le  parole  tue, 
Ch'  io  son  tornato  nel  primo  proposto. 

Or  va,  che  nn  sol  volere  è  d*  ambedue: 

Tn  doca,  tn  signore  e  ta  maestro.  i40 

Cosi  gli  dissi,  e  poiché  mosso  foe. 

Entrai  per  lo  cammino  alto  e  Silvestro. 

■dk  «MniMB  dcOa  sroprìa  TÌHè,  •    nnMMgli  aommi all'amaot Midiè.  •  R 
véÌB9  m  Sgnra  ;  l'altra,    •Strafa  :  •  è  oaccMario  che  alPolUma  di- 


dtoTeatrc  p«radÌM  m  Sgnra  ;  l'altra,    •Itrvfa  :  •  è  oeccMario  che  alPoltinia  di- 
^ii»<ti—  di  Tifa  eterna  la  quale  eoa-    •pantione  della  geaerasiona  nmana  aia 


m  ■•■  vma  «uviuo  isnio  aiUMM  \9CCO  «.W"  .,           *"  ••••§«mw  •  ihvhw  ^uvmi  pnnci* 

nel;  a  qacsla  pel  paradiso  celestiale  sNn-  P"  *1>«  aaranoa  di  gran  loca  par  tatto  il 

•■de.  A  pacate  doe  bestitadioi  bbogoa  pucna. 

per  dmraa  fliCBo  vaaire.   Imparoccbè  427.  (^iMife,  eoma. 

ali  prìMa  aarvegnamo  per  gli  amroae-  .  ^  ^*  ^<*^  Mi  fee'io  ee.  Coti  mi  rìal- 

*aMaa«i  ftkaofia  (ecco  I  irgUio)  parche  >*>  io  dal  mio  aftilimento. 

ydKaaf ■itiaaao,i€coBdo le%-irtu  morali  '*32.  frtmea,  cioè  liberata,  sciolta 

«I  ialdlcttaaii  operando  :  alla  sccoada  ^*  ^8"*  timore. 

peri  aawniiti-amenti  spirìtusli  che  tra-  -156.  Ta  m'hai  con  detiderio  il  cor 

'    •  P  asMaa  ragione  {ecco  Beairi-  àitpoilo  :  tu  m' hai  meteo  ia  core  taato 

"Aè  ^aaili  acgnitiaino  operando  desiderio  di  venire. 

lavìftàS]oaoeebe...Perleqaalì  -138.  propotto,  proposito. 

Jiaafaa  airaomodi  due direrioni  ^^0.  Tu  dmem,  daca,  guida, 

a  i  tea  Sai,  cioè  del  Sommo  Poa-  }^}  •  /«m»  •  terminatioae  l^ittìma 

il  ^aala  aaeondo  le  rivelazioni  di-  *  primitiva  nsata  dagli  aotichi  ia  verso 

e  l'aaiana  geaerasìone  alla  feliciti  egoatmente  che  in  prosa, 

la.  a  dallo  Imperatore,  il  quale  142.  allo,   profoodo,  difficoltoso; 

gli  aainiaettramenti  filosofici  di-  tiltetlro,  orrido. 


( 


CASTO    TERZO. 


Per  me  «i  va  rtelfa  dtlà  ihlente, 

Per  me  fi  va  nelF  eterno  dolore. 

Per  me  »i  va  tra  la  perduta  gente. 
Giuflisia  mouse  il  mio  allo  fattore: 

Feeemi  la  divina  poleslaie , 

La  »omma  sapienza  e  il  primo  amart. 
Dinansi  a  me  non  fur  cote  rrtale, 

Se  non  eteme,  ed  io  eterno  duro: 

Lnsoiate  ogni  speransa,  voi  che  entrate. 
Quesle  parole  di  colore  owuro  10 

Vid'  io  scritte  al  somma  d'  una  porta; 

Perch'  io:  Maestro,  il  senso  lor  m' ò  duro. 
Ed  egli  a  me,  come  pcrsoua  accnrla. 

Qui  si  convien  lasciare  ogni  sos^peUo; 

OgDÌ  viltà  (wnvitn  che  qui  sia  marta.  Ifc.  . 

Noi  seni  venuti  al  loco  ov'  io  t'  bo  detto  ^J 

Cile  tu  vedrai  le  genti  doloro»,  ^| 

C  baono  perduto  il  ben  dell'  intelletto.  ^M 

E  poiché  la  sua  mano  alla  mia  pose,  ^" 

Con  lieto  volto,  ond'ìo  mi  conTortai,  n 

Ui  mi-<e  dentro  alle  segrete  cose. 

Cliu'fnaniD(KW.:ni>t,  a»»-  Miulriad»  l'Interno  non  lu  (mio per 

n  Iddi*!  hlibnormi.  l' nono,  et»  iBcnn  usaiwilfM,  ma  ti 

S.  Fimmt  ta  dM»a  poltitale  te.  per  gli  AiiErli  nlwlli,  nantdi»  Cmla 

MMBMM  la  (rt  jKTiDM  divior  Dti  mijisinia  dal  tuH»  alanw,  fui  para- 

tmàtX'  (Uribali.  li» ni  éiabotoit  Ànfttittjut. 
Si  A«n  ttirnt!  di  i  tlMa  h-  <2.  Ptreltìo,  per  la  ijual  «M  M 

i»  j  pTÌDcipj  d'ArialMale,  tbt  in*-  dW:  «1*4  ifurv,  mi  i  Bp»,  mi  no 

^t«ltb«de[l«C(it((retla,alFiiorer>ils  pena,  mi  ipivcula, 
^l(rB«,illremaiicbc>Dl>eniutibili.  Dal  13.  «mu  mtidiu  oeeorla;  coma 

friasgnara  frana  quelle  cbe  Dio  aiea  colai  cbe  aita  ben  penetralo  la  cagiona 

LWHIoilirMla nenie  e  wnia  idrio,  ce-  dH  auo  tbjgolliiMDlo. 
rio  •riMÌp»  Il  aalerìaprima,  i  eie-  IG.  tnn.  tiaiDo. 

|li  »«»,  e  pie  lardi  l'anima  ama-  18.  Il  leu  le.  Inlendi  0.<.,  d»  è  la 

,  dell  altro,  quelle  clie  eran»  prò-  tomina  e  tuia  lerilà  ìe  cai  pui  ^atani 

"oHiuiKneeinflueDn  dei  l'inlclletlo  diduuo. 

al.  e  delle  tauia  teconde,  31.  Hi  min  imita  te.:  «'inlra- 

b.  VII,  *.  CT  e  tri.  Vuul  Jiiw nel  te^rcto ncaaao,  laipcaelnbite 

le  il  Potla  eba  l'iiiletae  k  ad  ogni  lirenla. 


E 


Qqìtì  9oqM,  pianti  cd'aM  guai 
Riaonavan  per* Pam*  tmui  stelle, 
Pareli*  io  al  comiDdÉr  ne  lagrìmai; 

Diverse  lìngue,  orrìbili  favelle, 
Parole df  doloro,  aocenti  d*  ira. 
Voci  «He  e  fioobe,  e  snon  di  man  con*  elle, 

Facevano^  nn  tomollto,  il  qnal  tf  aggira 
Sempra  in  queli*  aria' sansa' tempo' tinta, 
Come  r  arena  quando  il  turbo  spira. 

Ed  io,  ch^  area  d*  emor  la*  testa  cinta, 
Diasi:  Maestro,  cbe  è  quel  <±r  V  odof 
E  cbe  gent'èi  cbe  par  nei'dool  si  vinta? 

Ed  egli  ft  me:  QÓeBto  misero  modo 
Tengon  l' anime  trisie  di  coloro 
Cbe  visser  senza  inftimia  e  senza  lodò. 

Mischiate  sono  a  quel  cattivo-coro 
Degli  angeli  cbenov fÉmon  rìbeilH 
Né  for  fedeli  a'  Dio,  ma  per  sé  foro. 

Cacciarli  i  ciel  per  non  esser  meo  belli, 
Né  lo  profondo  inferno  gli  rìcevoj 


l^> 


ti 


30 


36 


40 


22.  fiwio  proprUacato  è  9 
21^ 


cioè  al  prìoio 


ft-Si.  Dimfm  Um§m§^  perchè  oek 
rUvM  nmmmi»  tali*  U  Batiooi: 
«rìNH  fmtilt.  U  parto  piò  orrilùle 
itmàTii  w^i'.fmroU  di  dolor;  U 
dlMftto  fl  fl«bili  paro- 


la i 


Iroachi 


pi  «e.  ■  aBai  f'agfira  eootioao  per 

■i  iHtoaiiua  Icaipa,  cioè  Mota 

■a  aalaralflKato  ed  eCema- 

•  laaca,  aaa  eaggrlto  ad 

aeeira.  Cmne 

fmmm.  daè  tmmm  fm  fareiia,  o  ^aal 


cbe  fa  l'areae 

,  aa  Tcala  tarbiaoeo, 

,  e  la  parla  ia  folta. 

m  tmrko  «pira.  Io  pei  è 

««Ina.  AacbeilBoe- 

alla  IV  Giara.  :  •  la 

tarbo,  a  efK  aeo  la 

ec.  • 

la  U$im  Hntm,  Altre 

■  é^mrwr:  ma  a  me  piace  pie  la 


priaaa,perebè  MetKotigiitficante  quella 
ceafaM«iaae«l»alordiaieala«be  eppaoto 
prende  la  testa  di  chi  reiiga  in  loogo 
dove  ai  strepiti  ed  nrli.  Dell'arrarf  son 
altri  i caratteri  Vedi  Virf. ,  Al.  Ili,  dove 
lo  descrire:  VTM  /H^dorbeirror,  ee. 

58  mi  tf  aol  «i  vintm  :  è  il  cieto  do- 
hr€  dei  Istlnl,  per  si^nifietre  cKa  lafor^ 
xa  del  dolore  ha  Tinto  quella  delt'aoiiBo. 

54.  Qutsto  minerò  aiodo;  iatendi 
di  orlare,  di  pisn|*ere. 

56.  «easa  infami^',  qaalclia  t«4a 
«•aia  /anta.  —  lodo,  lode. 

S9.  Aèjkr  fedéU  a  Dìo,  oao  ne 
prcser  Is  dilesa  da  bnonf  rasialift  per 
tè  foro ,  stettero  neutrali ,  peanroao 
solo  a  sé. 

41 .  iVd  Ib  pro/iMida  ee.  Cioè  :  i  de- 
li, per  noa  enermen  belli,  diseaeriaron 
quitti  Angeli  tili  che  ali  sTrebbera  de- 
lBrpati;nè  il  pmfondo  InfcmelirleeTe, 

Srrchè  gli  Angeli  rei  arrebber  d^elH, 
a  essi,  per  loro,  alrvaa  glorio;  cioè, 
BBS  qnslcbe  ee|pnne  di  vattló  nel  vedere 
cbe  qaei  cbe  si  stetter  neutrali  locon- 
trsroao  aISne  la  paniriona  atedesiaia. 
\srj  testi,  rarrlaall,  cbe  meglio  ri- 
sponderebbe al  presente  Hcete. 


DELL   IHFEBNO 

Che  alcuna  gloria  i  rei  avrebber  d' eWÌ. 

Ed  io:  Maestro,  che  è  Unto  greve 
A  lor,  che  lameutar  gli  fa  si  forte? 
Rispose:  Direrolli  molto  breve. 

Questi  non  haoiio  speranza  di  morte 
B  la  lor  cieca  vita  è  tanto  bassa, 
Che  invidiosi  soo  d' ogni  altra  sotìb. 

Fama  di  loro  il  mondo  esser  non  lassa; 
Misericordia  e  Giustizia  gli  sdegna: 
Non  ragioiiiam  di  lor,  ma  guarda  e  passi. 

Ed  io,  che  riguardai,  vidi  un'  insegna, 
Che  girando  correva  tanto  ralla, 
Che  d'ogni  po^  rai  pareva  indegna: 

E  dietro  le  venia  si  lunga  tratta 

Di  gente,  eh"  io  non  a\erei  credulo, 
Che  morte  laura  n'  aves^  disfatta. 

Poscia  eh'  io  v'  ebbi  alcun  riconosciuto, 
Guardai,  e  vidi  l' ombra  dì  colui 
Che  lece  per  viltate  il  gran  rìliuto. 

Incontanente  intesi,  e  certo  fui. 
Che  quest'era  la  setta  dei  cattivi 
A  Dio  spìucenti  od  a'  nemici  sui. 

Q» 


I 


.15.  Diarotli  ce. .-  M  diri  brdve- 

Sg.  colui  «r.  PKiro  Morouc  «cf.ti» 

mcolt:  dall' «mia atto  durra. 

lo,  clc«i>  pipa  cai  oone  dì  Cclnthwk 

«.(?«.«  ac..-,«HUooal,.nn« 

ipcnnii  di  tornare  al  Dalla,  cDmo  bri- 

pipalo,  IT  Imnando  all'eremo  fu  Incar- 

rerito  per  «rdine  di  ttonifatio  VtU  a» 

47.  CÌKS,  otturi,  abbiflta. 

•ucesiore,  rd  in  corcsrc  mori.  Quando 

il  Poola  icciiea  queite  CMe   hnt  C«U- 

iatidia  atDUa  le  altra  c«idaÌDiil  d'aui- 

medaDoale. 

Mi  id  oG°'  moti»  il  cindiiio  di  Dante 

49.  Ftmadilonie.:  il m.,oiih> 

condD  le  [almi  idea  del  mondo,  e  pjn  In- 

SO. Li  Mitlricordia  di  Diorupten- 

di   Bonilaiio  ch'isli   odiaTallnon  nik 
cMtorme  *l  Vanceto,  a  alla  Cbiot  th» 

iti  tilt  d'caicr  riccvuU  né  qua  ni  là, 

minln   dalla   e><"<>>''  '  <I>II*  ni.tdi- 

00.  i.iIlnl».po(liHii d'animo. 

c«di.. 

02.   MllM  «.;  tii;  0  nnlli,  rh* 

53.  tmttHO,  kandiora. 

ipiacdonoa  Dine  ai  Diaroli,  carne «illa 

M.<r<p(ii(pnw(«rffBBO.(ml.jna 

*  ptnldpi.  a«ur«,u.  i«,«c  d.  .nJf- 

G4.  Qut§ti  iciauralt te.  Cbi  «ain 

al  mondo  ama  dar  lejn»  ^  •«  »"• 

■  «ala  qui  (%nnia  b  idignaiUi. 

opere,  mai  oon  (u  vivo  rclaliTtnenla 

95. (t  lunga  traila,  li gianMgiiito. 

>|U  allrì  uomini. 

CAinO  TBBIO. 


25 


70 


75 


90 


S5 


Erano  ignudi,  e  stimolati  molto  tt 

Da  mosconi  e  da  vespe  eh*  eran  ivi 
Elle  rìgavan  lor  di  sangue  il  volto, 

Che  mischiato  di  lagrime,  a*  lor  [Mii 

Da  fastidiosi  venni  era  ricoHo. 
E  poi  che  a  rìgnardara  oltre  mi  diedi, 

Vidi  gente  alla  riva  d' nn  gran  finme: 

Perch'  io  dissi:  Maestro,  or  mi  concedi 
eh'  io  sappia  qoali  sono,  e  qnal  costume 

Le  (a  parer  di  trapassar  si  pronte, 

Com'  io  discemo  per  lo  fioco  lame. 
Ed  egli  a  me:  Le  cose  ti  fien  conte, 

Qoando  noi  fermerem  li  nostri  passi 

Snlla  trista  riviera  d*  Acheronte. 
Allor  con  gli  occhi  vergognosi  e  ìnissì, 

Temendo  no  '1  mio  dir  gli  fosse  grave, 

Inflno  al  fiume  di  parlar  mi  trassi. 
Ed  ecco  verso  noi  venir  per  nave 

Un  vecchio  bianco  per  antico  pelo. 

Gridando:  Guai  a  voi,  anime  prave: 
Non  isperate  mai  veder  lo  cielo: 

Fvegno  per  menarvi  all'  altra  riva, 

Nelle  tenebre  eterne,  in  caldo  e  in  gelo: 
E  tn  che  se* costi,  anima  viva, 

Partiti  da  cotesti  che  son  morti. 

Ma  poi  ch*ei  vide  eh*  io  non  mi  partiva, 
l>ìs<e:  Per  altre  vie,  per  altri  porti 

Verrai  a  piaggia,  non  qui:  per  passare, 

Più  lieve  legno  couvien  che  ti  porti. 

7}-74.f«MleotlH««,qQalcon(Iizio-     rabile  tradizione,  morali  a  rdigioai,  i 

anali,  icbbeoe  aìlerati  daU*iiBfflagÌDa« 
ziooa  dopo  imarriu  od  oacnrataii  r  idaa 
di  ereaxiooe.  ooo  pottfon  parò  affatto 
caDcellarei  dalle  menti  umane,  ù  cho 
non  coDosceaaero  sempre  in  qnaldie 
modo  la  necessiti  di  nn  ente  assolato, 
giusto  moderatore  delle  eose,  e  una  vita 
10  tura. 

80.  no  'l  mio  dir:  no  'l  sta  per 
non  il. 

81.  mi  tratti,  m'astenni. 

94  '95 .  Por  altre  9ie,  per  altri  por- 
ti. Intendi  allegoricamente,  con  altri 
modi,  eon  altri  aiuti.  Porti  dk  jnsi  Ir 
barche  da  passar  Sumi.  Verrai  a  piag 


€-0 


ae,olf|ya.  Le  fa  parer,  le  fa  apparire, 
le  afsna  a  moOrarsì  fi  pronle,  si  cnpi- 
Jt,  li  ardenti. 

7S.  per  la  fioco  /urne,  attraverso 
MCira,  o  laogvidamente  illumi- 


T#.  oonie,  manifeste. 
7S.  Jekmvnte  è  psrola  greca  com- 
ckc  aignifica  /fumé  del  dolore;  e 
IO  credcano  i  Gentili  che  l'anime 
per  all'Inferno.  Dante  non 
iJagnat»  Tileni  dei  nùtj  antichi  e 
par  Vonmmtmia  peclko,  eome  ^negli 
tka  HMlta  s'attefiera  alla  forma  «irgi- 
1,  •  pcrdiè  sotto  il  loro  ?elo  stanno 


m  realtà  nascosti  molli  veri  d'immemo-     già,  approderai  all'altra  riTa,  non  qui. 


Dtu.  inrBBNo 

E  il  Duca  3  lui:  Caron.  lu 
Vuoisi  COSI  colà  dove  si  puole 
Ci6  che  é  vuole,  a  più  non  dintandarai 

Quinci  fur  quete  le  lanose  gote 
Al  noccliìer  della  livida  palude. 
Che  'ni omo  agli  occhi  avea  di  fiamme  n 

Ha  quell'anime  ch'eran  lasse  e  nudi-, 
Caogiar  colore,  e  dibatlero  i  denti, 
Balla  ella  'nteser  le  parole  crude. 

Beslemmiavano  Iddìo  e  i  lor  perenti, 

L'umana  specie,  il  luogo. il  tempo,  e  il  i 
Di  lor  semema  e  di  lor  nascimenli. 

Poi  si  rilrasser  tulle  quante  insieme, 
Forte  piaugeodo,  alla  riva  malvagia, 
Ch'  attende  ciascun  uom  che  Dia  non  lei 

Caron  dimenio  con  occhi  di  bragia. 
Loro  accennando,  lotte  le  raccoglie; 
Batte  col  temo  qualunque  s' adagia. 

Come  d'autunno  si  levan  ie  Toglie 

L' una  appresso  dell'  altra  inQn  die  '1  rar 
Rende  alla  lerra  tutte  le  sue  spoglisi 

Simìlemenle  il  mal  seme  d'  Adamo  : 
Gitlansi  di  quel  lìto  ad  una  ad  una 
Per  cenni,  cgm'  augel  per  suo  rlrbismo. 


,(iMcUitp.Mi.n* 

.4t«i«h.'D,.u. 

«ula  «ll'iipM.|> 

;  •tini*  di  ■■■■  potMU  »p>rìo»'MII» 

rrt'*lHMH»r|i;c^aal'f  la  tana  piti 

Hm  eh*  tMrn«i  Ci 

nm,  il  q»l>  clA 

»n.;ur.l..idi. 

n.  »ui».(i 

puolt  fé.  ia  eie- 

l*,d*n  il  ■»!»•. 

n  h)  .llrì  «uno 

<b>  il  nlttt.   Tri 

em-  eh*   Virgilio 

CT  """r  ™"n 

■  iar|uilch>«l.. 

•tl»-lM««rigs^., 

etili  IcmbilaÌD- 

llm,tì^,p,Z^, 

BT.  Qmimri.  i„f 

—  lOHNf.  birbata 

W.dM™'»'n.fc.»rcl.idÌf»«,. 

1b>M,  «A.  b,  di 

400.  Ma  fwU  a 

Nim..  Nulid  ani 

ì 


I  Irtan  II  fnglit,  n  tlm- 


Cmì  sen  vanno  ea  per  l'onda  bruou, 
Ed  avaoli  che  sian  di  là  discesa, 
Auche  di  qua  nuova  sciiìera  s'aduna, 

Figlìuol  mio,  dÌKe  il  Msestro  cùiifse, 
Quelli  che  muoioo  Dell'  ira  di  IHo 
Tolti  convegiion  qui  d'ogni  paete; 

E  prunli  sono  a  trapassar  lo  rio. 
Che  la  divina  giasliiia  li  sprona 
Si,  che  la  lema  si  volge  in  disio. 

Quinci  non  pas.'a  mai  anima  buona; 
E  però  se  Caron  dì  la  si  lagna, 
Ben  puoi  saper  ornai  che  'I  suo  dir  suona. 

Finirò  quello,  la  buia  ramjiagDa 
Tremò  si  forte,  die  delio  spavenlo 
La  mente  di  sudore  ancor  mi  bagna. 

La  terra  lagrimo^a  dieiie  lenlo. 
Che  balenò  nna  luce  tenniglia. 
La  qual  ini  vinse  ciascun  seutimeoloi 


E  caddi,  come  1' uom  cu 

i  sonno  pipila. 

lil.ri«f>»lniaM  QoffMiU 

Mi»,  Dwlt4l>»*«l  blIBIlD.ill  HO,ù- 

SM»  «  DMt  .1  T.B.  73,  MaiMtro. 

•r  nJ  romctti  a. 

431.   drllo  tpmnila  ».  InlcnJi: 

.  tiS   n»<VM,  ^1,   ,i  rtdun.o 

pfT  «(ir.u  <l(llo  ipinnlucbe  n'ebbi, 

1"- 

127.  anima  òwma.  ■nlmo   l'nu 

mi  bit; XI  lulliiia  di  Mdart, 

td^.     0«d.    p».».  ■  fiiMli    „Ji    .1 

<S3-IÓ(.  lofriwxa.  |>i>D*  di  do- 

CMto il  liti  pMrgaiorw. 

loro  di  lijrin»  ^  dtrri>  «mio .  »fli& , 

IU.At>ll%»..itr«cì.>««. 

n>ndAeav<»l«,CbiBafni«.:iit.  il^nii 

m.  dU-l«u,   dir  »»<..-   cbe 

nnlo.  (Jnlchc  laU  rf'Wi*  («M. 

T.d  «ir.  ,nlU  .„,    r.Lb,.,  1.  ,„.,. 

)3S.   mi  rinlt,  mi  »ppr«H,OT- 

I 


88  DELL  IKFEBWO 

e  T'ibbiiOO  lIcuDO  riconoieiulo.  Dapocii  pitjido  ifrto  il  cuntro,  t  b 
balio  iccadDDo  per  iinellr]  nil  girsoo  tefpieoir  E  di  ifuftto  modo  i  il  li 
gio  «Do  a]  fonao,  uItd  ilciine  pirlicDlariU  che  ai  auUno  a  lao  Inogo 

Ruppemi  l'alto  sonno  nella  tesla 

Un  greve  tuono,  si  eh'  io  mi  riscossi. 
Come  persona  che  per  forza  è  desta; 

B  r  occhio  riposato  intorno  mossi,  • 

Drillo  levato,  e  fiso  riguardai 
Per  conoscer  lo  loco  dov'  io  fossi. 

Vero  è  che  in  su  la  proda  mi  trovai 
Della  valle  d'abisso  dolorosa. 
Che  tuono  accoglie  d' ìnlinilì  guaì. 

Oscura,  profond'  era,  e  nebulosa 

Tanto,  che  per  ficcar  lo  viso  al  fóndo, 
Tnon  vi  discemea  veruna  cosa. 

Or  discendiam  quaggiù  nel  cieco  mondo, 
Incominciò  il  Poela  tatto  smorto: 
Io  sarò  primo,  e  In  sarai  secondo. 

Ed  io,  che  del  color  mi  fui  accorto, 
Dissi:  Come  verrò,  se  tu  paventi 
Che  snoli  al  mio  dubbiare  esser  confortof 

Ed  egli  a  me:  L'angoscia  delle  genti 
Che  son  quaggiù,  nel  viso  mi  dlpigne 
Quella  pietà,  che  tu  per  tema  senti. 

Andiam,  cbè  la  via  lunga  ne  sospìgne. 
Cosi  si  mise  e  cosi  mi  !e  entrare 
Nel  primo  cerchio  cbo  1'  abisso  cigne. 

Quivi,  secondo  che  per  ascoltare, 

I.  otta,  pruEoodD.  Ig.  ChemM,  ilie  w  wlìi 

S.DriOoUtalo.  tnleodi  :  Io  dnllo      cunlntlD  al  «io  dubitare.  Lo  i 

7.  Vtroà,  (ilio Ila  : — piwla.atit-  d' ImpruiidirK  il  propnta  viagg 
nilà,  arto.  ^  Come  gii  n  i  drllo,  <i  24.  cha  la  per  ima  lenii 

a  trupoliata  all'altra  porli  del  lluiue  prendi  per  liinnrc,  o  che  In  i 

ler  viriD  dinna.  io-  limare.  Notili  de  Virgilia. 

D.  Chi  Iftono  aecDfIi«;cberìDiilHa  trnve  dirt  non  doiern  porUr 


11.  ter  ficcar  Io  cijd  al  fondo,  prcpare  a  fconderc 
per  ananU  tpini'cxu  la  visM  al  tondo,  mariBip.Diaiaaorea 
UOatJaau  al  fondo.  non  d  al  Irò  rei  clic 


33.  Quivi,  in  qasl  Inaga:  urmdo 
ehi  ffr  OKoltan,  modo  rllilli»,  (ho 
lale  ttcoKdo  che  aicMaiido  pitiftu. 


CANTO  QUA uro. 

Nonavea  pianto  ma  che  di  sospiri. 
Che  Tenra  eterna  facevan  tremare: 

£  cib  awenia  di  duol  senta  martiri, 

eh'  avean  !e  tnrbe,  eh'  erati  molte  e  grandi , 
E  d' infanli  e  di  femmine  e  di  viri. 

Lo  buon  Maestro  a  me:  Tu  non  dimandi 
Cbe  spirili  son  questi  che  tu  vedi? 
Or  vo'che  sappi,  innanzi  che  più  andì, 

Ch'ei  non  peccaro;  e  s'elli  hanno  mercedi. 
Non  basta,  perch'ei  non  ebl)er  batlesmO: 
Cbe  è  porta  della  Fede  che  la  credi: 

E  se  furon  dinanzi  al  Crislianesmo, 
Mon  adorar  debitamente  Dio: 
E  di  questi  colai  son  io  medesmo. 

Per  lai  diretti,  e  non  per  altro  rio, 
Semo  perduti,  e  sol  di  tanto  ofTesJ, 
Che  !«nza  speme  vivemo  in  dbio. 

Gran  duol  mi  prese  al  cor  quando  lo  intosi. 
Perocché  gente  di  molto  valore 
Conobbi  che  in  quel  limbo  erao  sospesi. 

Dimmi,  Maestro  mio,  dimmi.  Signore, 
Comincia'  io,  per  voler  esser  certo 
Di  quella  fede  cbe  vince  ogni  errore: 

Oscinne  mai  alcuno,  o  per  suo  merlo. 


irl  C^.  fi  rnta  SI 


Si- 1' etUha'no  meroD 

56.  porta.  Coiì  cirlir 


m  «VM  pianto  ma  eht  di  i 
Vm  (llm  dÌi.HBj  dIIi 

■ugù  41 .  tal  di  tanto  offt 


■a«hB<ÌHip<ri;w>l,iiiii»>piriia     irnile  itnmt 
r*  ««tai  i»  D>bU,  i  il  mu  fw  At 


V^'pHrai'.'c.'jJET,  t.  IO.  ' 


fmJcÌL*lHii,tTt1(pHierM.llp<ai»-      biaiiw  illn  peni  tde  anrlli  di  vltcM  j 
lotpiri  profanili.  4S^  timbù,   n(jnÌRn  propritnteflCl  J 


Àithtvinrtofni. 
U.  amdi.  ■>***■  S  Ifflill'in  t»«     frd«  chr  di       ' 
-      -  »•  e  1»  I*  n«ltr-     J-.-i. ■-!- 

■HpplllUCM  li  « 


>re,  ni  uri  luii  «aptnwvìi  4<H»  J 


0  per  allruì,  cbe  poi  Tosse  beatoT 

E  quei  cbe  'ntese  il  mio  parlar  coverto, 
Rispose:  lo  era  nuovo  in  questo  stalo, 

Quando  ci  vidi  venire  mi  Possente 

Con  segno  di  viltoria  incoronalo. 
TrassBci  l'ombra  del  primo  parenle, 

D' Abel  suo  figlio,  e  quella  di  Noè, 

Di  Moisè  legista  e  obedJentf; 
Abraam  palriarca,  e  David  re, 

Israel  con  suo  padre,  e  co'  suoi  nati, 

E  con  Rachele,  per  cui  laolo  fé. 
Ed  altri  motti;  e  Teceli  bedtì; 

E  vo'  rlie  sappi  cbe,  dinanzi  ad  essi, 

Spirili  umani  non  eran  salvati. 
Non  lasciavam  l' andar,  perch'  ri  dicessi. 

Ma  passavam  la  seUa  tuttavia, 

La  selva  dico  di  spiriti  spessi. 
Non. era  lunga  ancor  la  nostra  via 

Di  qua  dal  sommo,  quand'  io  vidi  imTuoco, 

Cb'emisperio  di  tenebre  vìncia. 


I 


tr>r>  duUiiu  in  quoto  punta  di  Ma. 

53  tm  PiutaUe,  Cràlg  IrioBbnU. 
55.  TTomeì,  !«■«  i  i|in:— pri- 
tù  p»rtiUt,  Aduna. 

57.  (  attdiniU  te.;  ftttti  iloti 


il  Firidki)  li  ipcMt  MtuOHilc  itft  li 
6\.  perehti  dienti,  iA\imtrfi 


',  Xoti  tralumja  ce.,  MatTm- 

Kpr.  FlUo   Biullo  TIMÌO.  IMt> 
Ili  binnn  luifj,  (  mi  Uih  «cb> 


mo  *J  nbbadirt  «Uè  U^gi  rbc  proniut-  a  multi  flllri  pirgcMili  udrei,  I 

glia.  In  ogai  muda  o  Hrc  rb*  ne  mulLi  lìpaiiuiiw  étìU  ii»u  unii  I 

riaU  dal  CvlM,  rbr  vnul  tilcrìls  l'aj-  Ù.  PI «M dot  lutnw ; ^ 

(dibrwaa,  caamlaauKiiFda'oidici  i    Pwli  :   dal  «Munto,   dalla  < 

t  dellaatattp*.  dalla  .a(ir  <f 

S9.  tiTmt  CM  MA  fwlrt.  Giinlibt 


naia  Itrult.-  la  i|U*l  parola  iigaìiica  GD    CAc. 

laaAtfotU»  it  $>i(ll  cuw  firn   II      tvuIo  il  >ifl 


-gì- 

•Ir 

GO    Cit. 


>d'l>ra<l<l 


Inda     Ungi,  dpri- 
Nua  mila  (ainrda  fsatla 


Aàinro  qoèaao.  m 

Di  lungi  «v'^Mnamo  aiioora  an  'poeo,  70 

Ma  Don  «  oh' ito  aoo  discvMKi  m  parte, 

Che  orrevol  gente  poaBed6a<qiiel  loeo  (*). 
0  to,  die  aum  ogni  €ideina  -ed  arte, 

QmHì  cbiiani  cfhanao-oolaiita'OiTaiiza, 

Che  dal  modo  dagB  altri  li  diparte?  76 

E  quegli  a  me:  L'onrata  Dominanza^ 

Che  di  lor  snoDa  so  nelta  tsa'vita, 

Graaia  acquista  nel  del  ohe  4i  gli  avanza, 
lotanto  voce  fo  per  me  udita: 

Onorate  T  altissimo  Poeta:  SO 

L*  ombra  sua  toma,  chVera  dipartita. 
Poiché  la  vooeib  testata  e  quota, 

Vidi  quattro  grand'  omhré  a  noi  'venire: 

Sembiaisa  «avevan  né  trista  né  lieta. 
Lo  buon  Maestro  oomlnciommi  a  dire:  8( 

Mira  cohu  con  quella  spada  in  mano, 

Che  vien  dinanzi  a'  tre  si  come  sire. 
Quegli  é  Omero  poeta  sovrano, 

L' altro  é  Orazio  satiro  ohe  viene, 

Ovidw  é  il  terzo,  e  1*  uKimoé  Lucano.  90 

Perocché  ciascun  meco  ai  conviene 

Kel  nome  che  sonò  la  voce  soia, 

ma  io  tmto  fopiakMw  comfiiìoae: —  f  ti  diparte,  g^iditliiigiM. 

Ma  M  ^ai  ém  vfocirw,  mi  77.  ntttm  Imi  «Ho.  nel  mondo. 

,  •  stia  per  vincea;  p^mo*  78.  ek$  ti  gii  «oanso,  che  ù  li  fa 

'  '■  bcavaao  «pamo  datb  mparìari agK alIfi^prmlcfiaBilalidalla 

i  «arfci  dalb  aaaoada,  e  laaa. 

pawiari  •  ptnti'  79.  f§r  wm,  da  ma. 

riapùmitn  •t^  SO.  rallùatmo  Potim,  aiaè Virgilio, 

^«i  il  acmoaia  -  84.  Samàimwut  ae.:  oaa  araaa  aè 

•  aaaircmiartra  tritìi  oé  liaU,  CMae  coloro  ' 


m  dirailawiala.— L'amif/arotfi     no  oè  io  loofo  di  laamaota  wà  ia  aaf- 

é  a  ano  bmo  dalb  «alla  dia-     fiarao  di  latiiia. 

la  ^«ala  ha  la  Sfarà  d'aaa  rfera  SS.  aowfitrlfatparfg:  falla  apada 

;  il  ^1  baio  è  rinto,     ètimfciiU  dalle gaairaaanlaladaOmaro; 

ia  fMlA  pnoMk  rerrliia,  al-     a  arrdo  aarba  dal  ptiawpalo  cba  tìaaa 

traile  di  amo,  da  i|a vi     sa  tat>i  i  poati. 

js^Ca  tifaaM,  priampa. 

X' olirà  ae.  :  castraiaé:  V  at- 

afta  9itn§  apprcaaa  aa.  :  —  téitm, 

è  il     ulinco,  KrilUir  di  Mlira  ;  ad  ^aal  |a> 

Bara  di  otrivara  egli  ka  aie  angiaabtà 

caa  arila  ancaa  «  a  pania  la  aa  aaiM* 

abitai»  da  GraliK  eroi,  ia     nato  pmUiwlo  ftirieo  rba  Urif. 

ad  ia  lett«»liaNai.  ai»aa.  ti  coaairae  IM  a— m  ae., 

doè  baooo  oomaaa  aao  ma  il  aaaw  di 
«.,  cba  dalla     Paala:  aoaw,  cba  talli  ad  aaa  raca  gri- 


>  •  laam,  di  cbe  ti  perla.  Allegàri-  87. 

mla^  il  loHma  lifnifiaa  laaapieaaa  di  SO. 

aan^cha  l^fi  dinlorao  a  aè  la  la-     Irò  afte 


3^  dell'  mnmifo 

Fannomi  onore,  e  di  ciò  fanno  bene. 
Cosi  vidi  adunar  la  bella  scuola 

Di  quel  signor  dell'  altissimo  canto,  fS 

Che  sovra  gli  altri  com'  aquila  vola. 
Da  ch'ebber  ragionalo  insieme  alquanto, 

Volsersi  a  me  con  salutei'ol  cenno: 

E  il  mio  Maestro  sorrìse  di  tanto. 
E  più  d'onore  ancora  assai  mi  fenno,  fui» 

Cb*  essi  mi  fecer  delia  loro  schiera , 

Si  eh'  io  fui  sesto  tra  cotanto  senno. 
Cosi  n'andammo  infino  alla  lumiera, 

Parlando  cose,  che  il  tacere  è  bello, 

Si  com'  era  il  parlar  colà  dov*  era.  io> 

Venimmo  appiè  d' un  nobile  castello. 

Sette  volte  cerchiato  d' alte  mura, 

Difeso  intorno  d' un  bel  fiumicello. 
Questo  passammo  come  terra  dura: 

Per  sette  porte  intrai  con  questi  savi:  ti.» 

Giugnemmo  in  prato  di  fresca  verdura. 
Genti  v'eran  con  occhi  tardi  e  gravi, 

Di  grande  autorità  ne*  lor  sembianti: 

Parlavan  rado,  con  voci  soavi. 
Tìracmmoci  cosi  dall'  un  de' canti  it6 

In  luogo  aperto,  luminoso  ed  alto, 

Si  che  veder  si  potén  tutti  quanti. 

Jarooo.  Vedi  vtrw  80.  —  ìa  vocé  fola  :  il  ticere  ora  quello  cote,  di  cbe  cn  ooi^ 

in(. «mila,  proferita  «Ilo ileaM  trmpo  do  veoienle  parloro  eoli  dove  io  cn. 

lotti,  M  che  paraa  che  fww  nna  iola.  406-iOS.  appiè  d'un  nobiU  culti' 

93.  fitrnno  ken».  Qoi  ituesot  omot  lo.  IleattelloiiniboleMit  prubobilBaHo 

debito  nhcio  di  tatti  gli  oomioi  onorare  la  tapienxa ,  che  anche  nelle  aorrt  carta 

la  fapieiiia,  cbo  ai  apeaao  al  nondo  è  ri-  ò  detta  torre  munilitMima:  le  tdlt  «w- 

lipeaa  e  ealcata.  E  lurM  vool  anche  reo-  m,  le  virtù  e  murali  e  civili  e  apecvlali- 


strare  che  tra  oneiaomnii,  aebbfae  dalb  ve,  che  la  c««litaiicono  :  il  bel  /IwrìmI- 

roedeiiiiia  proiaaiiooe,  non  era  invidia  lo^  reloouenia ,  che  è  il  mano  eoo  cW 

alcooa,  ma  ai  atimavano  ed  oooravaoo  anello  viftà  a'  insegnano  o  si  persM* 

«cambievolmeAto  ;  e  ciò  era  appunto  cho  dono, 

il  Poeta  rfpotava  degno  di  ludo.  409.  tùiM  te,,   corno  se  tscraUo 

95.  Di  quel  tignar,  d'Omero.  foaae. 

99.  sorrtft  per  cotupiaccoM  :  —  di  U4.  Parlatan  rado  te.  Varo  • 

tanto,  di  quell'alto  gentile  verso  il  sno  proprio  carattere  del  ragionatore  rilca- 

alnono.  »jvo  e  digniti«o;  il  contrario  diiliogvi 

402.  5i  tk'io  fui  tetto  tra  eoUmio  il  nariiero  arniganle,  vano  e  plebeo. 

ttmmo,  in  guisa  cbe  io  foi  sesto  fra  qoei  4 1 5.  Trmimmoei  te.,  ci  riliramoM 

snpienti.  da  un  lato. 

■103.  alla  lumiera,  al  luogo  tomi-  4 16.  In  luogo  aperto:  cioè,  doida 

noso,  di  che  al  %orso  (>8.  non  era  impedito  il  vede ra. 

40-l.dbef/lacrriec.:ècoQTenieolo  447.  si  potin,  si  potcaoo. 


curro  ipjAMSo.  33 

Colà  diritto,  sopra  Q  verde  smalto, 

Mi  fìir  mostrati  gli  spiriti  magni, 

Che  di  vederli  io  me  stesso  m' esalto.  iso 

Io  vidi  Elettra  con  molU  compagni, 

Tra*  qoai  conobbi  ed  Ettore  ed  Enea, 

Cesare  armato  con  occhi  grifagni.  . 
Vidi  Camilla  e  la  Pentesìlea 

Dall'altra  parte;  e  vidi  il  re  Latino,  m 

Che  con  Lavinia  sua  figlia  sedea. 
ridi  quel  Bruto  cbe  cacciò  Tarquino, 

Locreiia,  Julia,  Marzia  e  Comiglia, 

E  solo  in  parte  vidi  il  Saladino. 
Poi  cbe  innalzai  nn  poco  più  le  ciglia,  130 

Vidi  il  Maestro  di  color  cbe  sanno, 

Seder  tra  filosofica  £uniglia. 
Tutti  rammiran,  tutti  onor  gli  fanno. 

Quivi  vid'  io  e  Socrate  e  Platone, 

Cbe  innanzi  agli  altri  più  presso  gli  stanno.       i36 
Democrito,  cbe  '1  mondo  a  caso  pone, 

Diogenes,  Anassagora  e  Tale, 

Empedocles,  Eraclito  e  Zenone: 

44$.4triaB,  «cMlr«,  'm  dirìtton.  Ccttrt  t  moglM  ai  Ponpco.— JfarsMi, 

lat.  m'mmUù,  m  MoipMccM^tMto  mocliti  ili  Catone  OtioanM.— Corm^/ùi, 

faiArwM  PtaioM  a  ncordaroMM,  Coniclia,  fivliaola  di  SdpioiM  Afrìcaoo 

uàm%fmr  fXV  iaaMgiaa«ioM.  a  madra  da  GraecU. 

4U ,  ihUrm^  ftfli«aL  di  Atlanta,  429.  B  iotoim  parU  «a.  Saladina, 

inla  A  Ciati  finerè  Dardana  fao-  di  aanplica  aoldata,  giansa  cai  mo  va- 

'  di  Traia.  lora  a  Tarai  aignora  dell'  Efitio  e  ddla 

49.§rifm§ml,  di  apanriar  grifafno,  Siria,  a  fa  ^aegli  che  ncoo(|niatò  Gara- 

éièMria  Iwidi.  S\alHaia  dica  di  Gin-  aalcnaa  coutroGaido  di  Luaignanocba 

cIm  fa  nitrii ,  90getiaqm§  n'ara  ra.  A  ao  sAOimo  valore  ani  iMdta 

a  d* «n'anima  penclranto  amanite,  a  ana certa polilana di  caalu- 

•Invaca  dalb  lax .  com .  co»  mi  insolita  alla  ma  naiiona  ;  and'  è  che , 

fKm^ti,  i  Cndd.  Aag .,  Antald.  e  Fml-  non  avendo  compaflnia  di  inai  da  palar 

mm  kananiMi  oeeki,  ckae'i  sembrata  eonvarsara,  come  fan  gli  altri  per  di- 

■%fiae«.  —  mnamtOt  pertlié  coli'  armi  varai  grappi,  vedesi  tatto  solo  u  dia- 

isdè  rimpwa,  e  dairarmi  ebbe  gloria,  parte. 

424-4».  CmmUim  fa  figlia  di  Mala-  431 .  il  Jfoealro  ae  .  AnsloUle. 

Wra  desolaci, eam'è detto  disopra.—  456.  Dewtoeriio,  ehé'4  mondo  te. 

rsfina  dalla  Amanooi,  ac-  Democrito  fa  di  Abdara,  ad  insegnò  die 

.— iiilna,  radagli  Abo-  3  mando  fa  fatto  oer  il  fortoito  aaaana- 

manto  degli  atomi. 

4t7.  Tmr^^d^.  GB  anticbi  «sarano  437.  Diogmu,  il  Coleo,  fa  di  Si- 

trena»  A  lavar  l'I  in  corto  narola,  a  nope.  —  Jnaungom.  f«meao filosofo 

aaeiana,  p.  a.,  mnlari,  imqmrm,  éo-  dommatico,  maestra  di  Panda,  fa  «li 

imgimrim  oc.  datomene. — Toif,  o  Telato,  milmio, 


maglia  dì  CrtUaliao     nno  dd  salto  Sapienti. 
— /Mite,  figlinaladi  43$.  «mjMdnelff,  ffiwWo  a  Zeno- 


I 


I 


a  dell'  lltPERNO 

E  vidi  il  buono  arrcoglìlor  del  quale, 

Dìoscorìdo  dko;  e  vidi  Orfeo, 

Tullio  e  Lino  e  Seneca  morate: 
Euclide  geometra  o  Tolommeo, 

Ippocrate,  Avicenna  eOalieno, 

Aierroi»,  che  il  gran  comenia  féo. 
Io  non  posso  rilrar  di  tutti  appieno, 

Perocché  si  mi  caccia  il  lungo  loma, 

Che  molle  volle  al  fatto  il  dir  vien  meni 
La  !festa  compagnia  in  duo  si  scema: 

Per  altra  via  mi  mena  it  savio  Dura, 

Fuor  della  qtiela  noli'  aura  che  tremai 
B  vengo  in  parte,  ove  non  è  cbe  luca. 

M-  Altri  lr>  GloioB,  il  prìcno  d' Agri-      |-li  tìnatotì  otonelrici.  - 

«ala,  cbe  Kriut  un  poemi  dtlli  iHtura     Cliudla,  t  VauhrvilelSIilcina  mmJit- 

3(ll(  coh:  ili«oiiilaJiEf««,t)i<.pii>D      JE,  che  dt  lui  li  appdli. 

iwuno;  fl  il  Una  di  GìU>o  in  Cipro,  HO.  tono  lie  medid  ;  Ippocrala  Gnt* 

etui  f a  il  principi  drgll  Stoici.  di  Cnoi  Aiinnna  Arai»;  GaliiBa,  ■  Gt- 

l39-<40.  a  Inuma  aceagtOor  ilei  lena  £  Prr^nDio  Aiit. 
fiali,  fibucuri'da:  («wllenliTiccoglì-  1  il.il gmcamaite:Atttnt  An- 
tan delle  qoatill  D  liiln  dell'eilic  b  1»  coment!  Arìalolele. 

Irdtala.  Fn  d'Aoiurba  in  Cilicii,  a  Ure  diffusimrnte  i  prxgi  dì  ciuiDDodl 

tari  1* tempi. di  ISennF._Or/'«,  <ti-  km;  o  pimioiio,  dir  di<Mti,aonnrli 

via*  poeta  eionalgre  di  Traria.  IMti  fine  ad  nno. 

14I.TWKDK.  H,  Tullia  Cicerone,  1 1G.  «if  roccia,  où  fa  trMi,  ■'ia- 

~~      -  Line  Irbann,  wnilor  di  lira  g  4iT.  CAri»oJIiMU«re,.-<h*ipe>«* 

o.LaNid.  ìnieeedii^M  cidt     laniio  di  dire  della  me  ehelM  «eJale; 
ouia  il  diie  è  poco,  riapallO'  4l  dhIIu 


Urìa,  i 

non  ho  lolnU  qui  illoiitaBamii  dilli  re-     Tcdnlo. 

manta  —  amcca,  di  pilrii  Spijnonlo,     ione:   in  dw 

Sraeca  imitar  di  tragedie.  luce.  Luca  è  <l 

Ml-Buelideé  ilcelebreiulandc-     lerba  lucere. 

CASTO  Quiarro. 


Cosi  discesi  del  cerchio  primaio 

Giù  nei  secondo,  che  men  loco  cinghia, 
rimaio,  prime.  a.  einfkia,  abU accia,  eonprMde; 


curo  QoiNTO. 

B  (anio  più  dolor,  che  pngne  a  guaio. 
S[av\  ì  Hìdos  orrìbilnieiile,  e  ringhia: 

E^iainiDa  le  colpe  nell' entrala, 

Giudica  e  manda,  secondo  che  avvinghia. 
Dko,  che  quando  r  anima  mal  naia 

Li  vico  dinanzi,  tuUa  si  couféssa; 

E  quel  tonoscilor  delle  peccala 
Vede  qual  loco  d'inferno  è  da  essa: 

Cignesi  colla  coda  tanle  volte, 

Quanlnnque  gradi  vuol  che  giù  sia  ine««. 
Sempre  dinanzi  a  lui  ne  stanno  molte: 

Vanno  a  vicenda  ciascuna  al  giudizio; 

Dicono,  e  odono,  e  poi  son  giù  volte. 
0  lu,  che  vieni  al  doloroso  ospizio, 

Gridò  Mino.'i  a  me,  qóando  mi  vide, 

Lasciando  l'atlo  di  cotanto  uffizio, 
Guarda  com' entri,  e  di  cui  tu  li  fide: 

Non  l' inganni  l' ampiezza  dell'  enlrare. 

B  il  Dura  mio  a  lui:  Perchù  pur  gride? 
Non  impedir  lo  sao  falaie  andare: 

Vuoisi  COSI  colà,  àa\e  sì  puoie 

Ciò  che  si  vuole,  e  più  non  dimandare. 
Ora  ìncomincian  le  dolenti  note 

A  farmi>ii  sentire:  or  son  venuto 

Là  do^e  molto  pianto  mi  percola. 
r  venni  in  loco  d'ogni  luce  mulo. 

Che  mngg^ia  come  fa  mar  per  tempesta, 

Se  da  contrari  venti  è  combatl4it«. 


30 


ti>rt*4ehT.  m). 
I   pugnt  o  gsaio. 


In.  Alari  Um'  -  Slwni  Jftiwi,  (  erri- 
UkiMatt  fin)  tja.  —  ringhia,  ttau; 

S.  nrfr  mirala,  aell'  enlrm  che  U 
lÌMnn'uin»  ad  (rnhis  Hcniidii.  O 
mt^w,  iflll'ingirtfiH  d'*uo  eereluD. 

9.  reeorido ehé atrfingkiajttcfn^o 
ch'agli  d  rìn|[f  tolli  «kIi. 

10.  4  da  ttia,  1  per  ou,  1  a»\e- 
■ìmUi  In. 

U.CIsmtttelUnda.Unit  rli 
Ubo*  •iyiiBniI  gràdirin  dilla  emcirn - 
q  dia  «  wadaui*  <  li  1(^  in  rigisii 


ni  nuls.  Cbt  i  frenti  tmn  luci  ■!• 

lio,  t  locaiioni  OMUrorici  IraqnnU 
clh  Sion  CiFli!. 

13.  Qnmlunqut  frodi,  uvai 

- ""■''j- 

iS-lMtia»dB  ralla  di 


F*- 


i 


I 


30  DELL  INFEftHO 

La  bnlera  infernal,  che  mai  non  resta. 
Menu  gli  spirti  con  la  sua  rapina, 
Voltando  e  percotendo  li  niolesia. 
Quando  giongon  davanti  alla  ruina. 

Quivi  le  ftrida,  il  compianto  o  il  lamento, 
Beslemroian  quivi  la  virtù  divina. 
Intesi  che  a  cosi  fallo  tormento 
Gran  dannali  i  peccator  carnali. 
Che  la  ragion  sommetlono  al  talento. 
E  come  gli  stómei  ne  porUn  l'ali. 

Nel  freddo  tempo,  a  whiera  larga  e  piena: 
Cosi  quel  fiato  gli  spiriti  mali: 
Di  qua,  di  là,  di  giù,  di  su  gli  mena; 
Nulla  speranza  gli  conforta  mai. 
Non  che  di  (iosa,  ma  di  minor  pena. 
G  come  i  gru  van  cantando  lor  lai. 
Facondo  in  oer  di  sé  lunga  riga; 
Cosi  vid'  io  venir  traendo  guai, 
Ombre  portate  dalla  delta  briga: 

Perch'io  diasi:  Maestro,  chi  soa  quelle 
Genti,  che  1'  aur  nero  si  gaslìga? 
La  prima  di  color,  di  cui  novelle 

Tu  vuoi  saper,  mi  disse  quegli  allotta, 
Fu  imperatrice  di  molte  favelle. 
A  vizio  di  lussuria  fu  si  rotta, 
Che  libilo  fé  lieito  in  sua  legge, 
Per  torre  Ìl  biasmo,  in  che  era  condotta. 
83.  rapina,  ripidUb,  o  pitillculo 
rÉpìmflDUi  ìd  |ìm,  Tortjctf. 

Si.  itmmH  étit  nttna.  Intendi: 
pKNO  il  tulio  dirupilu  e  ■iUiumo  cIm 
«nrraiti  al  nnhin  icgaeaUi. 

6S.  OufH  I>  Mrida  «.  Si  Mltìn- 
Indt  fanno,  af:aiw,  a  limile. — Quivi 
II*  qm  pur  ad'Td.  e  inirui  cw  mie. 
prBta  uehfl  in  ilEri  unlton  iti  (r«- 

37.  InUli  te.  Lo  bJi  da  Tìr|[ilii>; 

dciJa  pani,  dia  bau  iipprai'nla  loilatn 
ÌDqmcla  e  apniprt  Iflupotatu  ili  ciii  * 

pmniiiia  di  imurD.  naliirr.  Hi  eiMU«i(itii  arfpalnidit,  u 

39,  talnle,  [^aia,  ÌDc1iiiai>i)ne;B  miqiic  tid'lun  uicl  lihrntmjvnt, 
«milin,  apiHHila,  S7.  l'rr  Imre  «.;  aw  toglierà  a 

AO.Btomtu.:  nmr  l'ili  iinrlano  liilnuil  liinpcria  in  tlM  ari  tmili, 

f^ituniclli,  t9<i  nuv\  Halli,  i|uil  «iiUi,  ii|inHtii>i  elio  (Ila  «J  Icneta  il  IgtiD  (• 

gmt*  iBqliif  ii'iti- 1  tornei,  ftoriif  Ili,  manaiilv. 


i 

i 

i 


Eir  è  Semiramis,  di  co 
Che  sagger  delle  > 

r  ddle  a  A'fito  u. 


li  si  legge. 
Nino,  e  fa  s 


oafauTiicfaalilnioDS  di 
tugftr  ttUi  «ktnnleTiKwIiliiin,  pm^ 

Il  nunciDia  6  fukb*  biun  Codicg  cha 


l'ulUiisi  belili 


lolenJo 


""",— ."  '"  "«-"r  ■——  ■- 

ni«,  rMoaUi  p*r  illri  nilinini,  fui 
qa*ai  ^  pwgirmi  illi  amxt  Isi.oiM 
IModa  IB  un  bd  Codkc  Mìt  UuHn- 
•iva  WflBilo  iti  D"  2,  cba  i  Ji  nii  no  di 
1.1  Ul  JUdm  Ji  r.ÌHto  di  Vo]  lg.n  ikIIi 
.liUdd  1370,  vUtiupnil  ncuddl* 

ni  ^oJii,  o  oliai]  titgstT  dtllt  ;  il  dm 

pvinuo,  «■  donA  esur  pnn  di  CoiLici, 
<hc  s  s  HOO  petduli,  a  non  >Ì  conouo- 
■B.  Cti  Boa  oaUnig  ni  pur  ncll«  lerti 
«dima*  tdll  idolUili  nal  IbIo,  e  mi 


11.  iUa  può  ruB 

modo  ellitileo, 


VUM.  QDd  cbcpolnltl 
«!(■  laÌDa«,  i  a£e  Vok\ 
r  dtUiB  a  mnd,  per  i 


dire  e  di  GdD  eoDtcUa,  dia 
0   ii|>nificare  l'«Mr   di   mi- 


ri(  dd  Nws  Bnlnnicg  dil 
Im),  U  ^«(le  parti  mg*  di 
BurfÌMBiil  pólilli  dudica:  ilui  ue- 
Crt,  <dul,  mamma!  ttt  ubira  dtdit 
fUotitm  quodtinii  nxuii'mir  Alii 
dirimi,  chi  iiiacdi-lte,  vMelitil  lue- 
,  mtil  Nimi  Tifi,  filio  nondum  sd  re- 
ffaAiM  opta,-  t(d  prlor  lenitu  prat- 
félrt:  tcwlgo  itsBli  IdjioD»,  «mniinel- 
!•  (ti*  oltre  a  ibaceiar  ditetljineQle  dal 
(«seno  frtteitalt,  diodo  ipieguìoue 


d'irer  Kgnttnin  BioìIduìi:  Chi  tmg^ 
gir  delta  a  JVIno,  a  fki  rta  ipota: 
T'ali»  la  larro  Ma  'I  SoliUnt  tamg- 
Je,  Li  quii  dinormili  dod  lì  Iti 
l' litri  WioM. 


trinimo.  PtnxcU  li  bgfa  in  Già- 

■ilo  Niaa,  non  lolandg  di*  Mia- 

itre  l'impara  in  dido  ad  goaiovi- 
:li;  innpailo,  qaal  era  il  ma  S|;[ìb  Ni- 


I 

i 


Tenne  la  terra,  che  '1  Soldan  corregge- 
L'  altra  é  colei,  che  s'  anciso  amorosa, 

E  ruppe  Tede  al  cener  di  Sicheo; 

Poi  è  Cleopatràs  lussuriosa. 
Elcna  vedi,  per  cui  tanto  reo 

Tempo  si  volse,  e  vedi  il  grande  Achille, 

Che  per  amore  alfine  comballeo. 
Vedi  Paris,  Tri^^tano e  più  di  mille 

Ombre  mostrommi,  e  nominolle,  a  dito, 

ali  «  Nino,  ni  mai»  tuiimnln  di*      ilSuld.n. 


T 


>d  EffiHo,  1 


ai  Nini 


.    .gl»l'iIlipWO,Dp»- 

fiatU  t«a«Hl  [w  qiatv  nm»  mi 

Jo«a>HnlDUu(IClTM«  t  l'imiBÌriiic 
■■di  qnrivnta  hs  Hra .  Svtbb*  iId^^  aa 
■ad*  far  qaaMD  t^llo  giuitiicala  *d(ì- 


tìt.  coWe*»  «'«kìmi 

C4.  Eltnamlt,  .  .  . 

ramIeAth-Ut*e.Ut;fi>e 

lui;,fnin>than(iuilcaB<C< 

li  Elam  tldi.icUiUgr 


vmmt,  parche  il  tafion- 


DM|it  figlia,  Di  >pcM.  Vedi  a  f.lK. 

lasgi  sifU  dirò,  cki  Dania  Hòaiera 
lerilU  iHCMdiflr,  lebbeu  ilamcelta 
cba  •>  rcaalla  lia'più  liafaiJa  (ckt 

TÌ«u  naiia  amia  il  air(lia)-,ail  lUQ^'r      iHili  ciiu  lum  gran  danna, 
dalla   pitò  ciiar  nata  la  ptiBi        '■-      " 


:bl1la  p-r 


ra  «a  etri  prabahilitt  acrilto  nffir 
d*IK  A»  pa  p*«  »>ila  agaalucuU  di 


I 


lilBt.lalI'Bi^adril'ail 


cilia  ara  Mpo,a  tot  pq  tanna  i 

piìaauaaadeL  MuHuImaiq,  i^ 
niaa  Snidano  a  Salljina  il  \m 
Uà  poKht  (U  (criliwi   dal 


tinituurla.  Dai 


LUanlaliatnlakiaawr*» 
incuu,  oMii  qnalia  iha  Aba 


pii  riapaHaalsadun.  C'-aiabò  io  ■]□>- 
■la  inatfinfa  della  •arili,*  mila  prwi- 


li1.VtdiPTÌi,TTÙ 


ai  ijuclla      gli  anticbi  re 


•  (afiBa  bM»  n«  nniba. 


/ 


CANTO   QUINTO.  39 

Ch'amor  di  nostra  \ita  di[)artille. 
Po-eia  eh'  i'  ebbi  il  mio  Dottore  udito  70 

Nomar  le  donne  antiche  e  i  cavalieri , 

Pietà  mi  vinse,  e -fai  quasi  smarrito. 
r  comÌDciai:  Poeta,  volentieri 

Parlerei  a  que'  duo,  che  ioBÌeme  vanno, 

E  paion  si  al  vento  esser  le^erì.  75 

Ed  ^li  a  me:  Vedrai  quando  saranno 

Più  presso  a  noi;  e  tu  alJor  lì  prega 

Per  queiPamor  che  i  mena;  e  quei  verranno. 
Si  tosto  cooK  il  vento  a  noi  li  piega, 

Mossi  la  voce:  O  anime  affannate,  SO 

Venite  a  noi  parlar,  s*  altri  noi  niega. 
Quali  colombe  dal  disio  chiamate, 

Con  l'ali  aperte  e  ferme ^  al  dolce  nido 

Volaa,  per  l' aer  dal  voler  portate; 
Colali  uscir  della  sohiera  ov'  é  Dido,  S5 

A  noi  veoendo  per  1*  aer  maligno, 

SI  forte  fo  r  affettuoso  grido. 
0  animai  grazioso  e  benigno. 

Che  visitando  vai  per  l' aer  perso 

Noi  che  tignemmo  il  mondo  di  sanguigno;  so 

Se  foase  amico  il  Re  dell'  universo, 

-  Ck'mmim'  9C.t  cW  awrirMM  p«r  eowtm&9€Ì  alm.  —  Vù9mk  :  thj  Godd. 

J'tBiiii.  tengon. 

7 1.  mfi^  ém»:  mam  FrmetMa  Mt-  85.  Dido,  DidoM.  Gli  «ntidii  prea- 

Malatosta  cofntto  di  lei.  dtT«Bo  MÌtmm»  folla  tele  qvale  il  nomi- 

•M  bflllÌMÌna  dooM,  nativo  d«i  noot  latini  ioTcce  dell'  abla- 

da  Poieola,  mariuia  a  tÌT«,  t  dicevano  Varrò y  Scipio  j  itr' 

MtlitaiU.  Innanorè  del  eo-  mo  M.,  j»er  Vmronej  Seipimo,  gtr* 


fwMo.  Va  OM  lai  «aaÌBO  dal  awrito  cka 


Ti.  A0  a  swiM  p  rW  gli  mesa. 

so.  Mmti  te  voce  :  aleooi  Codici     mercè  i  divini  veni  del  tao  Maestro. 


f7Mma.  Nomina  poi  Didona  partìéoltr^ 
monto,  oercbè  di  oioo'  altra  aooo  pia 
cdobn  sii  amori  0  la  dbperata  morie, 


Il  «ac»|  che  meglio  ooBBoonaool  87.  Si  forU  fu  ae.  :  tanto  potè  il 

Mpit$m,  prego  die  loro  porti ,  por  qndfuwtor 

$i .  fmMt  a  mti  pmrlar;  renilo  a     c\§  li  menoma. 


nrlar  aai,  ladota  la  prap.  a,  come  ai  SS.  O  animai  ee.  :  parole  di  Fran- 

éaaCBlo  sai  dalla  nota  SI.  caica  a  Uanlo  :  onJmaJ,  corpo  ammalo. 

!  maiar  poriata  :  totero  ala  Sentibilii  omimaHeorptuni  amia»al. 

la  cai  veameau  pardw  Volo.  Eloq. 

miàhmOà  a  portar  per  l'aria  lo  colooa*  89.  peno.  Il  peno  è  aa  eolor  tar* 


W.  aaaaa  biàafao  dell'  ali,  cbo  caao  tea-      cbiao,  o  comò  lo  dofiniaeo  Dante 

a  [enne;  come ao  dieeeso  :      nd  Como.:  aa  «dor  mieto  di  pnrporao 


I      I  1  •«  *— «^f  ddr  impeto  ddl'af-  e  di  nero,  ma  in  cai  viaoa  il  aero, 
imo,  pia  cW  dall'  ali.  Virgilio,  deacri-  00.  Noi  oc.s  aei  cba  aMriaiBo  ? ai^ 

v«éo  «al  V  dcV  Eaaide  la  cdmaka  che  taado  il  ooatro  sanpa. 
rèa  al  ■i'a,  tvaa  dallo  ttltroi  neqwi  91 .  amico  :  doè,  aodco  a  ad. 


DELL   IHFEBNO 

Noi  pregheremmo  Ini  per  la  taa  pace, 

Poi  e'  hai  pielà  del  oostro  mal  perverso. 
Di  quel  rhe  udire  e  che  parlar  li  piace 

Noi  ud iremo  e  parleremo  a  vai, 

Mentre  che  '1  venlo,  come  fa,  si  tace. 
Siede  la  terra,  dove  nata  fui. 

Sulla  marÌDB  dove  il  Po  discende 

Per  aver  pace  co"  seguaci  sui. 
Amor,  che  al  cor  gentil  ratto  s'  apprende. 

Prese  costui  della  bella  persona 

Che  mi  fu  lolla,  e  'I  modo  ancor  m'offende. 
Amor,  eh'  a  nullo  amalo  amar  perdona, 

Hi  prese  dei  costui  piacer  si  furie. 

Che,  come  vedi,  ancor  non  m'abbandona. 
Amor  condui,se  noi  ad  una  morte: 

Caina  attende  chi  in  vita  ci  spense. 


lipioM.-  1*  Kiiol.  t  U  I 
cui     Gli   •nlielii  ciinliiit 


■i  penti  cbe  i|0«U*  difSdliiitsIt 

Il  ■HoumilUo  ■  Uhv  per  mirilo 
mo    dilli   idetmiH  4Ì    colui. 


'rilX*^*<>I 


il  cpncvMJi  si  PvFtj  iMpparr  aan  tD4^j 

ilcndorfl,  che  qBf«(r  brevi  pivtei'tvti- 

nJInD  aMmiuMDle  mi  bulli  dal  icdM. 

97.  ili  Itrra  K  .-  K»«na.— naia 

08.  detete  :  il  Pomo  bd  moprìn- 


99.  PtT  atcr  part  i 
peuni  iiriae  cn  malti  I 

tùO.atenrQrnlil.hn, 
IMralaiiiHnFlIadiDi 

Pntaiil  M  cgr|ioniia, 
diiiiM  Hr  operi  di  chi  mi 


»»  troppo  ul 


k. 


fiaiila  di  foliDM  « 


«  Il  dag.uU 


,  perùoocbc  «Ha 
i,  chcn  II  pn- 
■  il  modo  irlifi- 
liaiitqaellW- 

'U  coddftDBi  del 


ut  una  BiDrIt,  ad  a»  tlMH 


QiMle  parole  da  lor  ci  far  porto. 

Da  cha  io  intesi  quelle  anime  oflfense. 
Chinai  il  viso,  e  tanto  il  tonni  buso. 
Finché  1  Poeto  mi  disse:  Che  pensef 

Qoando  risposi,  cominciai:  0  lasso, 
Quanti  dolci  pensier,  quanto  disio 
Menò  costoro  al  doloroso  passo  1 

Poi  mi  rivolsi  a  loro,  e  parla*  io, 

E  cominciai:  Francesca,  i  taci  martiri 
A  lagrìmar  mi  fanno  tristo  e  (ho. 

Ma  dimmi:  al  tempo  de*  dolci  sospiri, 
A  che  e  come  concedette  Amore, 
Che  conosceste  i  dubbiosi  desiri? 

Ed  ella  a  me:  Nessun  maggior  dolore, 
Che  ricordarsi  del  tempo  felice 
Nella  miseria;  e  ciò  sa  *1  tuo  Dottore. 

Ma  se  a  conoscer  la  prima  radice 

Del  nostro  amor  tu  hai  cotanto  affètto .. 
Farò  come  colui  che  piange  e  dice. 

Noi  leggevamo  un  giorno  per  diletto 
Di  Lancillotto,  come  amor  lo  strìnse: 
Soli  eravamo  e  senz'  alcun  sospetto. 

Per  più  fiate  gli  occhi  ci  sospinse 
Quella  lettm^,  e  scolorocci  il  viso: 
Ma  solo  un  punto  fu  quel  che  ci  vinse. 

Quando  leggemmo  il  disiato  riso 
Esser  baciato  da  colante  amante, 


41 


110 


115 


420 


m 


130 


fa  rifa  ei  tpmte.  ForM  V  iananortU 
énMi  cbi««a  9itm  le  èoUent  d^imnre 
ÌB  «IBI  alfe  Mali  eMa  fa  tpcnta.  Qaal- 
ffh»  Gal.  :  tkl  wUm  ci  spente. 

laa.  pmrU,  cioè  dette,  da  porgere. 

4§è.  «fflUtf,  offete,  travagliata. 

144.  mi  éolanto  pMto,  ciaè  al 
fHfaii  faKiarti  vÌQc«redairamorc.  cka 
9ai  fb  tm^emt  ad  eaai  di  grava  daolo. 

4 47.  J  fafWaiT alt  fanno  ce.  .*  ni 
laBaa  pm  caaiMaaiooa  tristo  liao  alla 
faeriaa;  •  ai  laa  piaogcra  di  tnatcna 
•  A  fialft.  Qocsto  concetto  è  didUarato 
dal  Fmttm  alcaao  nai  priaM  tanarìo  del 


44f .  A  Ai  e  eaiM,  a  ^al  aagto, 
a  par  4mI  awdo. 

420.  ItfnMiatiiTrttri.  loacanbia- 
•da  «Barn  nan  ancor  bea  ■•Difettala. 


4  23 .  ciò  «a  '/  fao  Dottore.  Accenna 
Boado,  che  oel  libro  De  Coni.  Pkiioe. 
ectmm  :  In  omn<  oitoertifala  fortmm 
infelieittUmum  getuu  inforùmd  ott, 
AttSfe  felieem.  Questo  aatora  ara  fanù- 
liarissino  a  Daata,il  qnale  dica  nel  Can- 
nilo d'aver  ia  etao  cercalo  conforto  al 
ana  dolore  per  la  ouHrta  di  Bealrica: 
•  INnnii  a  legger  oaello  noo  cooocdato 
da  Bolli  libro  di  Bocno,  oel  ^nala  «n- 
ptivo  e  diacacciato  comolato  t?  avaa.  • 

425.  offettOf  deùdario. 

42S.  Di  Lmteiliotto,  degli  amari  di 
Lancillotto.  Vedi  il  roaMMo  La  fcnafa 
rolonifa. 

450.  gli  aceM  ei  $o$finto^  intendi 
a  tgoardi  pieni  d' aoiaroso  dcaidarie. 

435.  il  disiato  rifo,  l' anau  bacca 
•orrideate. 


Questi,  che  mai  da  mo  non  Bn  dtvieo, 

La  bocca  mi  baciò  tutto  tremante: 
Galeolto  fu  'I  libro  e  chi  lo  scrÌBse: 
Qttel  giorno  più  non  vi  leggemmo  8t-anle. 

Hcnlre  cba  l'nno  spirto  qoeslo  disse, 
L'altro  piangeva  6i,  che  di  pìHade 
r  venni  men  eoa  com'  io  morisf*; 

E  caddi,  come  torpo  moria  cadcj 

'.  Gakolla  ftt  'l  libri)  i  chi  lo  HI .  nnrliie.  AncLc  qanU 

GilcDilu  en  il  notile  di  culai  nuiDiii'J.'lla  jirìm  pensa*  [ulrc 

umilio  tngK  ■idoÒ  Ji  Lanik-  (gli  ■nlwhi.  —  E.oiii  •irRliteni 

di  GluiH}  GilcoU*  li  ibiiaiì  tvlt*  pwtuip»,  cu  b'ati  aoa 


140.  ro/iroK.  Fdi 
g«TA,  Hrcbè  ij  riconoKfl 
dpaled«]U«ealuriddl 


;i,r 


:  Piah)  pitB- 


TANTO    SESTO. 


Al  lumar  detta  mente,  che  sictafnse 
Dinanzi  alta  picià  de'  dno  cOE^iati, 
Che  di  tristim  lutto  mi  cotifui^. 

Nuovi  lormenli  e  nuovi  tormciHati 

Hi  veggio  inlorno,  come  eh'  ì'mi  mova, 
E  come  eh'  i'  mi  vot^a,  e  eh'  ì'  mi  guati.. 

r  sono  al  terzo  cerchio  di4la  piwa 
Eterna,  maledetta,  fredda  e  greve; 
Regola  e  qualità  mai  non  l'è  nova. 

Grandine  grossa,  e  acqua  tini»,  e  nove 
Per  r  aer  tenebroso  si  r'rrerea: 


I 


.  .,.d.  I 


7  r» 


I».    Il  BHMBei"    Oil  1«. 


teJmHut      rinomi  ciw 


.      i  Idilli. 
)    Pirl'ttrltnttrBiB  L 


CMSKWO  ABSTO* 


Aà 


Fate  la  tem  >cke  questo  riceve. 

Cerbero,  fiera  crudele  >e  diversa, 
Con  tre  gole  caninamente  latra 
Sovra  la  geale  che  quivi  è  sommersa. 

Gli  occhi  ha  vermigli,. e  la  barba  unta  ed  atra, 
E  il  ventre  largOt  6  unghiate  le  mani; 
Graffia  gli  spirti,  gli  scuoia,  ed  isquatre. 

Urlar  gli  tà.  la  pioggia  come  cani: 

DeU*  un  de*  lati  fanno  air  altro  schermo; 
Yolgonsi  spesso  i  miseri  profani. 

Quando  ci  scorse  Cerbero,  il  gran  vermo, 
Le  bocche  aperse,  e  mostrocci  le  saune: 
Non  avea-  membro  che  tenesse  ferma 

E  *1  Duca  mio,  distese  le  sue  spanne. 
Prese  la  terra,  e  con  piene  le  pugna 
La  gittò  dentro  alle  bramose  canne. 

Qual  è  quel  cane  che  abbaiando  agugna, 
E  si  racqueta  poi  che  '1  pasto  morde^ 
Che  solo  a  divorarlo  intende  e  pugna; 

Colai  si  fecer  quelle  facce  lorde 
Dello  dimonio  Cerbero  che  introna 
L' anime  si  eh'  esser  vonrebber  sorde. 

Noi  passavam  su  per  V  ombre  che  adona 
La  greve  pioggia,  e  ponavam  le  piante 
Sopra  lor  vanità  che  par  persona. 


i6 


2U 


25 


30 


Zb 


^|  f  li  ftla  tono  Aat  tìz)  ofTascatori 
idi»  npomt  ;  con  gran  tea  do  dan^oc 
iftmtam  Ira  le  tenebre. 

13    Fmi§j  poTza  :   questo^  qneito 


iì.  éiienm^  i  trana,  altrimenti  fatu 
étlraNra. 

47.  kw»mi,  lezam^e. 

II.  it^mmUrm^  mette  in  ^attro  par- 
1  a^wto.  Q«eirt  in  principio  x'è  ag- 
/ÌMte  par  «Àl^lniurnlo  di  soono:  cos'i 
alW  attiao  fine  istato  ,   Ulu- 


31 .  i  miteri  profani^  cioè  i  mate- 
ria* eé  akietti  goluai,  quorum  Deut 

22.  il  §Tan  rrrmo.  Dicesi  remif 
%maf^tKmtaU  odlc  Scrittore  totto  ciò 
ót  farà  alMB»  foppliiio  dei  dannati  gii 
,  «vt  ai  generano  i  Termi  :  e  Cer- 
ioterpreUto  f  ala  d̀oraU>re, 


è  il  Termo  destinato  con  ragiono  al  tor- 
mento dei  ghiotti. 

23.  le  fanne,  gli  acuti  denti  da  fe- 
rire. 

25.  le  tue  t panne ^  le  mani,  quanto 
s*  allargano  dal  pollice  al  minimo. 

27.  frroMOf r  eamM,  famalickegolt. 

28-SO.  abbaiando  agugna.  SaUuh' 
tondi  il  paàUì^  che  segue  dopo;  cioè 
manifesta  eoll'aòèaiare  l' ardente  bra- 
ma cbc  ba  del  cibo.  —  intende^  è  ioteo» 
to:  — pugna,  s'arfanna  per  aodisfarti. 
È  nna  Tera  pittura  del  cane  allamalo 
cbe  inaspettatamente  trora  dbo. 

52  iiUrona^  stordisce. 

51.  adorna,  abbatte,  tica  proitrate 
a  terra. 

55.  ponavam  f  aaliea  lermiotiione 
UTOce  di  ponetam, 

56.  5opra  hr  vanUàj  sopra  i  lor 
corpi  Tani.  ombre  ^  eke  par  pertona, 
cbe  ba  sembianza  di  corpo  aoMiio. 


I 


Elle  Riacién  per  lerra  lultó  quante, 
Fuor  d' una  eh'  a  seder  si  levò,  ratto 
Ch'ella  ci  vide  passarsi  davante. 

0  tu,  che  se*  per  queslo  Inferno  tratto. 
Mi  disse,  riconoscimi,  te  sai: 
Tu  fosti,  prima  eh'  io  disfatto,  fatto. 

Ed  io  a  lei:  L'angoscia  che  tu  hai 
Forse  li  tira  fuor  della  mia  mente 
Si,  che  non  par  cb'  io  ti  vedessi  mai. 

Ma  dimmi  chi  lu  fé',  che  'n  si  dolente 
Luogo  se'  messa,  ed  a  si  fatta  pena, 
Che  s' altra  è  maggio,  nulla  è  si  epiacenle 

Ed  egli  a  me:  La  tua  città  rh'ò  piena 
D' invidia  si,  che  già  trahocca  il  sacco. 
Seco  mi  tenne  in  la  vita  serena. 

Voi  cittadini  mi  cbiamasle  Ciacco: 
Per  la  dannosa  colpa  della  gola, 
Come  tu  vedi,  alla  pioggia  mi  fìacco; 

Ed  io  anima  trista  non  son  sola, 

Che  tulle  queste  a  sìmil  pena  stanno 
Per  simi!  colpa:  e  più  non  fé  parola. 

Io  gli  risposi:  Ciacco,  il  tuo  affanno 
Mi  pesa  si,  che  a  lagrìmar  m' invila: 
Ma  dimmi,  se  tu  sai,  a  cho  verranno 

Li  ciUadin  della  città  partila: 

59.  patsarii  datQiitc,  fame  di-      tfrtjfit,  il  non»  pcmitilr  tua  dis  cbii- 
À2.  T»  fòlli  ....  fallo  te.  Ta  ai-  b3.  dunfiniii,  iglUliirìiillaMlal* 

ti.  moggia:  maggio  dinrino  gli  59.  Mi  ptiaHtc.  E  dtnDUn  Al 

iBtkhi  firwiafgìort:  (in  Fimiui'ip-  il  P'wli  11  idduiIciiÌ  ì  pomli  d'innia- 

pdli  Uillnn  con  quelli  Tua  n»  vii.  (ÌBeaii  (in  Ilio  KniB|  in  npoH  ero- 

—  MiUa,  niini.  uenlcdclli  lorgroilk:  th>  santi  Bn- 

St.di  Icv'UKmu.nal  n<iDdi>.  vllà  i  driemìniU  dilli  fani  deU'iui- 

t  datlo  per  a^pmuiane  ill'iUuilc  It-  paini  ■  prcfir*,  e«ì«lii  mijgion  na- 

■«trtM.  pnl»,  mlnnrn-iviaiaTMitnijieki 

93.  Class.  Non  tn  ni  quati  od  ti  mmiiida  li  idi  cBinpasiona  imo  i 


1  ilcuaibin  cnduU , 

•  ai  molli  turtì,  tL  linlo  dilli 
^1  .■«!  ibbiui».  .ino  iir  Irti  «li.- 

tanf  flì  ^1  T«nuit>  il  loprinnomi  (ti 
^      fm€B,citUnii«%ìe!i>6acÌteea.  Viro  Gì.  dilla  eiUd parlila,  cìtkii  Fi- 


CAIITO  SESTO. 

S'alcQD  v'è  giusto:  e  dimmi  la  cagione^ 
Per  che  l' ha  tanta  discordia  assalita. 

Ed  egli  a  me:  Dopo  langa  tenzone 

Yerranno  al  sangue,  e  la  parte  selva^ia 
Caccerà  V  altra  con  molta  offensione. 

Poi  appresso  convien  che  questa  caggia 
lidira  tre  Soli,  e  che  1*  altra  sormpnti 
Con  la  forza  di  tal  che  testé  piaggia. 

Alto  terrà  lungo  tempo  le  fronti. 
Tenendo  1*  altra  sotto  gravi  pesi. 
Come  che  di  ciò  pianga,  e  che  n*  adonti. 

Giusti  8on  duo,  ma  non  vi  sono  intesi: 


45 


66 


70 


T«fi  al  CmIo  X ,  feno  4  00  t  se- 


«7 


M  Hm  Imma  IMMM,  dopo  lu- 

C9.  Is  fmrU  Mthoggim,  Cot)  fa 
I  la  porto  Bionro,  ocrcbi  di  qaollt 
la  famiflia  dr  Cerchi  venota 
di  Val  di  Siero. 
ae.  C«cecré  r  aitrm^  cioè  la  parte 
fUra,  di  cai  orao  capo  i  Donati.  —  con 
wmiim  mfftmaUmty   eoo    graodMra   e 
laàat.   Qacota  cacciata  awanna 
_    ddlSOl. 

càff  fvatte.  la  parte  solTaggia. 

aS.  tnfrmirtSoU.  Dentro  tre  giri 

£  aalo,  fHMa  che  paasio  ire  anni.  Dal 

fitmSImmtm  di  oiano  del   1500,  epoca 

ddla  ViaMkt.  all'aprile  del  1302,  queo- 

bi  nroao  tolalmnitc  cacciati, 

95  «cai,  aiocka  ti  aTvera  la  pro- 

madaodoai  il  taito  anno  ioco- 

rr  aoito. 
tal,  di  Carlo  di  Valoia,  cfta 
iMll^taj^fta.  che  ora  (dicooo  alcuni  co- 
aaaM«n,lra^q«ali  il  CÒotat  adopra  dolci 
•  àaiafhavali  modi  coi  f'iureotioi  Ma 
afiigatioDe  scorda  dalla  Croao- 
■,  aeaira  sappiamo  che  Carlo  non 
vamM  m  Rrcate  che  oel  novembre  del 
ISOf ,  •  Cacci  accanila  com  che  atve- 
«va  Balla  prmaircra  del  4300,  qaando 
parlava.  Ed  io  fatti  rem  come 
IO  iatorao  al  Valob  Ugo  Capato 
■d  il  dd  Fmrg.j  ttno  70: 

K  OM  4bM  Mirflv  MM»i, 

I  oa  attfw  Cari»  f»*  4i  Fraacia 


era  a  qoell'  ora  Mòlo  di 
i  perete,  Tolaodo  riferirà  a  Cario 


di  Valoia  il  tette  piaggia^  eonrerrh 

Sraodara  il  verbo  piaggiare  oel  tenio 
i  eoiteggiar  te  marliMi,  a  dare  al- 
Fespreeaioae  di  presente  il  tono  di  pro- 
fetica visione.  È  noto  del  resto  che  Bo- 
nifaiio  Vili  avea  eoo  grandi  promane 
invitato  Carlo  di  Valois  fratello  di  Fi* 
lippo  il  Bello  a  passare  in  Italia  per  far 
l'impresa  di  Sicilia  ronlro l'Aragooesa ; 
e  che  venuto  il  principe,  mentre  si  stava 
in  Corte  del  papa  aspetlande  il  tempo 
opportuno  di  navigare,  fu  da  lui  man- 
dalo a  Firenze  per  comporre  quei  citta- 
dini divisi.  Il  Francese,  da  buon  pacie- 
re, vi  oppresae  il  partito  avverso  alla 
Romana  Corte  e  a  sua  casa,  e  carico 
delle  sp«>glie  bianche  e  nere  sa  n'  andò 
con  Dio.  —  Ma  se  a  piaggiarg  si  volesse 
dare  la  sigoilicaziooe  di  huingar»,  me- 
nar tue  arti, allora  questo  piaggialere 
potrebbe  essere  lo  stesao  Bonifaxio,  che 
mentre  mostrava  amoroaa  cura  della 
pace  di  Firaoxe,  cercava  aagretamenla 
tirarla  al  suo  intendimento  :  a  par  le 
forte  del  Valois,  che  poteao  dirsi  anche 
sue,  perrbi  da  lui  mandata  e  per  lui 
operanti,  vi  fece  da  ultimo  preponderare 
la  faxiooe  dei  Neri.  Vedasi  il  Compagai 
al  principio  del  lib.  Il,  e  il  Villani  al 
lib.  Vili.  Anche  il  Bati  riferisce  U  feilé 
piaggia  a  Bonifazio,  e  lo  spiega  :  e  Ora 
ita  di  witzio  tra  l'um  partito  e  tal- 
tra.  •  —  Piaggiori  significa  prapria- 
meote  «fidar  fra  terra  e  taare. 

72.  Come  che  di  eia  ee.:  aabbena 
la  parta  Bianca  di  »\  iniqua  appraa 
aiooa  pianga  e  s'adiri. 

73.  Ciotti  ton  duo  ee.:  due  giusti 
■omioì  fiorentini,  dia  io  qoalla  turbo- 


Superbia,  invidia  ed  avarìzia 

La  tre  favillo  e'  banoo  i  cori  accesi. 

l^ì  pose  fine  al  lacrìmabii  siono. 

Ed  io  a  lui:  Ancor  vo'  che  m' insegni, 
E  che  dì  piò  parlar  mi  Èict'i  dono. 

Fariuala  e  il  Tefsliiaio,  che  fur  si  degni, 
Jacopo  Ru^itìcucn,  Arrigo  e  il  Hosra, 
E  gli  aitri  fbe  a  ben  far  poser  gl'ingegni, 

Dlinini  ove  .'«no,  e  fa  eh'  io  li  conosca; 
Che  gran  detùo  mi  spinge  di  sapere, 
Se  'I  ciel  gli  addolcia  o  lo  'afemo  gli  attosca. 

E  quegli:  Ei  son  tra  le  anime  |hù  nere; 
D^ersa  colpa  giù  gli  grava  al  fondo: 
Se  tanto  scendi,  gli  potrai  vedere. 

Ma  quando  tu  sarai  nel  dolce  mondo, 
Fregoli  ch'alia  mente  altrui  mi  rechi: 
Più  non  ti  dico,  e  più  non  li  rispondo. 

Gli  diritti  occhi  lori*  allora  in  biechi: 

Guardommì  un  poco;  e  poi  chinò  la  [esla: 
Cadde  con  esea  a  par  degli  altri  ciechi. 

E  '1  Duca  disse  a  me:  Piii  non  si  desta 
Dì  qua  dal  .'non  dell'  angelica  tromba. 
Quando  verrà  la  nimica  podestà, 

Ciascun  rÌlro>'crà  la  (rista  tomba, 
Rìpìglicrà  sua  carne  e  ^a  figura, 


i  «rollatì. 


fento  j/li  al 


SS     V«frt„  colpa.    UUnJi:  Ul- 

F«-ilpi.JoWAI.gt,irri,.P.lt«,J«<, 

t- t\Uv  rkml.fi*  ali  grw:  coti  tuj 

irud*  ini»  Cud.;  Ctulnnli,  tbc  Ben- 

aaLci  i  U  coiDoi»  ;Ji  <i««r«a. 

mito  di  IdoI>  Jin:  JUtr  naitut  flv 

sa.  alla  mntt  K. .-  iè(  U  noi» 

rmllff  bwppH  Dm-iù. 

Khì  .1  n.««io  U  B.,a,«il  di   ■».  Si 

TMO   fartMi.ei/r«(»i«feH..- 

Diali  Jà  ili'  gnine  da  lnt|>uuli,  eh*» 

wtoilD.  T<nhi«ilil»llipronuiuiiri«- 

pici.»  Ji  moni.  aliliU. 

nù  r««lkwV™t  prùiafo,  FUlm; 

a^.  Pili  ixm  ••  dilla.  )Hà  lodii 

Mil  «l»D*  TolU  fTima-.  PUU?.  uc- 

05,   WfMM.-   àoi  prìin.d.1 

UiUà-.-Arrig,:  «ui,  cb.  pi.  „«. 

■II.I»  l'ii.|<!lkt  iwub.  |«r  1  ..■ì<«. 

mIi  pu.lil.8. 

96   -imita  podula.  Dio  dhbìm  li 

iffnt:  t'A  •DIFndi  ■  h^ifto  «tei  lors 

linu  pullulai.   Cw   nnrils.    mtlnla. 

OAfflO  SESTO. 

Udirà  quel  che  in  derno  rimboihba. 

Sì  (rapassaflimo  per  sozza  nistnra 

Dell*  ombre  e  <ieUa  pio^a^  a  passi  ienti, 
Toccando  un  poca  la  vitat^tora: 

PerchMo  diasi rMaestro,  osti  tomenti 
Crescerann'eidopo  iaipan  seotenza, 
0  fien  minori,  o  saran  si  oocendf 

Ed  egli  a  me:  Ritoma  a'ina  seienza. 
Che  vuol,  quanto  la  cosa  è  più  perfetta, 
Più  senta  *1  bene,  e  cosi  la  doglienza. 

Tuttoché  qoesta  gente  maledetta 

In  vera  perfezion  giammai  non  vada, 
Di  là,  più  che  di  qua,  essere  aspetta. 

Noi  aggirammo  a  tondo  quella  strada. 
Parlando  più  assai  eh'  i'  «an  ridico: 
Venimmo  al  punto  dovo  si  digrada: 

Quivi  trovammo  Piiito  ilgran  nemico. 


«7 


100 


105 


ilo 


115 


90.  fiK/  c^  HI  etemo  rimbùtnba. 
Là  iuJc  scvlcnca  cke  nmbomkerà  eter* 
L»Bn^ie  nelle  loro  or«cdii«. 

<02  Toccando  ee.:  ragioniAdo  un 
^oe»  della  vita  futora. 

lo5  fi  cocenti f  doè  cocenti  come 
H«  ora,  De  più  né  meno. 

106.  m  tuB  tcienxa,  alla  toa  filo- 


easere 


tee.  é9§H»nxm,  dolore. 

HI.  Di  U  ee.:  aapetu  d' 
ali  pcrfHla  di  II  dal  snooo  dell' ange- 
m  lraiBka,Tfcc  di  qva  da  eiao.Che  \  noi 
fir«,  tko'ìo  aaime  dei  dannati  dopo  ri- 


presi i  loro  corpi  venate  in  maggior  per- 
fexiono.  sentiranno  più  fortemente  il  do» 
loro  dei  tonaenti.  bd  è  dottrina  di  San* 
f Agostino)  che:  Cibili  fiet  reiwrrectio 
eamis,  et  honorum  gaudium  mtQUt 
erit^  et  maiorum  tormenta  m^ywa. 

1 14t  ti  digrada,  si  discende  por  fia 
di  gradi,  oscala. 

H  5.  Ptuto,  Dio  delle  rìcaken<*, 
figlinolo  di  aVi.ue  e  di  Cerer«. —  il 
gran  nemico,  cioè  della  pace  del  mou- 
do;  perckè  dalla  sete  dell'oro  e  dalla 
dismanra  delle  rìcrhme  derivano  i  più 
gravi  disordini  nell'  umana  (amiglìa. 


CAUTO  sfrrrino. 


'«  fB«/  étmiomto,  «  i€tmdt  con  PAtmmm»  m  wadara  Im  p^ 

eoi  pét$»  grumummi  peti,  «m  tk»  ti  ftnaiwm»  murtmmt, 

di  e*tf  pmttmm  Ml^aÉtft  mtkim  ot^è  Im  ptUd*  SHe», 

mlof90iài 


Pope  Satàn ,  pape  Satan  akppe, 

4 .  Papa  Satdm  ce.  La  toc»  pape  aeono  il  maraTfglioao  a  H  Itrrikifc,  ap- 

ìlaMste  •o'  carlaMaaiooo  di  patito  por  eie  eleaso  eha  no»  e' totali- 

I.  Alepfo  è  parola  di  iwerta  dono.  Vero  è  eba  iahini  opÌMM  eba 

«nfi»e*e  aifB«lMaio,  aebbcso  il  ooote-  qvetto  primo  vcrao  eia  tetto  di  parole 

ila  !a  fa  aradare  est  iotenrtiooa  d' ira  ebraiche,  e  eicftifiebi  :  Be$phnéeai  fa- 

e  di  ■inataia    E  qaesto  voci  aegreie ,  det  Satatti,  reopUndoat  fkeie§  Ha- 

^Hgi  pervia  dà  aag^  iacanto ,  aacrc-  toni  princijrii.—'  È  notabile  ^m  il  co- 


^V  HI^^^HI 

Ji                                                       DELL'  1 

IKFEBKO                                         ^^^1 

Cominciò  Pluto  colta  voce  chioccia                    ^^^| 

E  qnel  Savio  gentil,  che  tolto  seppe,                   ^^ 

Disse  per  contorlarmi: 

Non  ti  noccia 

La  tua  paura,  che, 

,poder  ch'egli  abbia,                t 

Non  ti  lorrà  lo  scender  quesU  roccia. 

Poi  ai  rivolse  a  quell'enfiata  labbia, 

E  disse:  Taci,  maledetto  lupo: 

CoDsama  dentro  te 

con  la  lua  rabbia. 

Non  é  senza  cagion  1' . 

andare  al  cupo:                         io 

Vuoisi  nell'alto  ià  dove  Michele 

Fé  la  vendetta  del 

superbo  slnipo. 

Quali  dal  vento  le  gonflale  vele 

Caggiono  avvolte, 

poiché  l'alber  Cacca; 

Tal  cadde  a  terra 

la  Hera  crudele.                         ts 

Prendendo  più  del! 

la  dolente  ripa, 

Che  il  mal  dell'  un 

iverso  tutto  insacca. 

Ahi  gioslizia  di  Dio,  < 

[ante  chi  stipa 

Nuove  travaglia  e  | 

}ene,  quante  io  viddi?              to 

E  perchè  nostra  colpa  si  ne  scipaT 

Come  fa  l' onda  là  sov 

ra  Cariddi, 

n»lo  ddl'Ollin...    .  (hi.nJo  Plulo 

troioiifulropu».,  e  iFÌts»»  paidii 

•  lida  II  rtiiioiiiJ  tundneiTt  l'onunilk 

,  d  a»r..igllè  diullo.  .  V..l,p.7r. 

2.  eMBtcia.  noa  fd  upn. 

5.  ckt  lulla  llppt.  iDcliE  1*  liosui 

ciKch*.  cbigti  rir>.[did.ipi«»Ur>- 

ìd  ni  pirlò  Fluì». 

5.  tU.  poi»  «.rpgioti,  qnilun- 

qu  potare  th'rgli  iblui,  o,  per  i|u-iilo 

JST^i-bbi., 

.i.  pi  gii,  prr  1.  d.1,nl.  Tip..  Jl-'p.. 

e,  tomi,  impeaiti.  AJlr.  €Ì.  Itr- 

<:b,..Dii  luli«  il  bilio  mttrBtìi.  la  iruit 

ri.  -  »«(<.  bil». 

7.  mqucU- enfiala  labbi».iiut\\. 

'  (8!"^'.n«a.iin*°ri«b''rade,'i'iÌol 

fKciigonti  J'ì™. 

dtli-unirim:  dui€  ti'as  pioili  (nlli  ■ 

8.  nat«kl|<>(«fo:  il  lupa  è  ■I>u- 

MadDirKim». 

llm^Jo, 

i9.2l.li,nlichi,tipas.fi«,t<pif 

41.  itni».  t  i-I  l'Inno  b..l,.[o 

lU  H'intirraEMiiIiildi  cbi  >^oti,ai> 

iMipiii,  •  "-l"  }"««>  Ji  pe™™,  e  gf 

u«air4dri.s:x,.vod,iu.Dio. 

(>1  tnimiìUo  ■  l«  trctaaUa  dim» 

i.  »  »  .-hIì]  .  parcbè  i  VmÀ  «t„li 

fWt  CWS*™»  ""x^  «■  C<«™ìw; 

ci ..,«««  (irip-M  ««H 

*:ii.X;.a™'.-"--"R" 

di  Eidl.1  la  onda  cba  fanjan.  d.t  Man 

.                   bir«,  1(1  «.  Altmù  pronduBo  fiacca  in 

laiiie,  r  quella  dia  luuo  dal  Tirru», 

l_      .^ 

M 

Che  si  franga  con  quella  in  cui  s'intoppa; 

Cosi  coDvien  che  qui  la  gente  riddi. 
Qai  vid'  io  genie  più  che  altrove  lrop|ia, 

E  d'  una  parte  e  d' altra,  con  grand'  urli 

Voltando  pesi  per  foraa  di  poppa. 
Pcrcolevansi  incontro,  e  po^ìa  por  IÌ 

Si  rivolges  ciascun,  voltando  a  retro. 

Gridando:  Perchè  tieni?  e  perché  burli? 
Cosi  tomavan  per  lo  cerchio  tetro, 

Da  ogni  mano  all'  opposito  punto. 

Gridando  sempre  in  loro  ontoso  metro. 
Poi  9Ì  volgea  ciascun,  quand'era  giunto. 

Per  lo  suo  mezzo  cerchio,  all'  altra  giostra. 

Ed  io  ch'avea  lo  cor  quasi  compunto, 
Dissi:  Maestro  mìo,  or  mi  dimostra 

Che  gente  è  questa,  e  se  tutti  Tur  cherci 

Questi  chercuti  alla  sinlslra  nostra. 
Ild  egli  a  me:  Tulli  quanti  fur  guerci 

Si  della  mente  in  la  vita  primaia, 

Che  con  misura  nullo  spendio  ferci. 
Assai  la  voce  lor  chiaro  1'  abbaia. 

Quando  vengono  a'  doo  punti  de!  cerchio. 

Ove  colpa  contraria  lì  dispaia. 


24.  riddi,  giri  ■  tondi 
\ì.  ita»  \,  ridda. 

25.  (nw,  n.,;<.ro„ 
27.  ToIIokIo,  «oii.„t. 

j,  come 

.—ptr  fona  di  poppi 
28..po«ÌopBrK...[ 

ìlS; 

30  P«xU(Ì«iÌ?«ii'>  diroDoiprii- 
fi(fci  tff\  «nri  :  pmM  burli?  nwi  e'' 
■1  (ri  *■  prodighi  ;  ani  ftrdit  rstnli,  p<r 
th»  |eth  TH  T  Si  rìniiroTErliui  ■  licroda 

krf  è  dil  pmTHiilt  furiar,  che  lAle 

(ucr  Ht«ralt.larf  0  dil  nts:  quindi  |>cr 

Htemioog  tnalocfHon.  (itltar  e<a. 

S3.   0a  ogni  mano  da  Dgni  pitta. 


:-39.  ckerxi,  rliirìci:   clitTaUi, 
la  cberìi:*.  Vadati  (inle  (bari- 


40-41 .  fur  gusrcf  Al  drlla  mml*. 


f^ti,  aan  ei  («■tro  [• 

Iroppu  parmncQla,  o 

43    laUai»,  lo 

,ln  »)Ia  parala  in|ior 

àot  pniSélitM  te. 

Iflidoli  m  parli  eoulra 


Qiifr.li  fur  cherci,  che  non  han  niperchio 

Pìlaso  al  capo,  e  papi  e  cardinali, 

In  cui  n.^a  avarizia  il  suo  soperchio. 
Ed  io:  Maestro,  Ira  qae^ù  coUli 

Dovre'  io  ben  riconoscere  alcnni,  Z>^ 

Che  furo  immondi  di  coletti  mali. 
Ed  egli  B  me:  Vano  pensiero  aduni: 

La  sconoscente  vita,  che  ì  h  sozzi. 

Ad  ogni  conoscenza  or  li  lia  bnini. 
In  eterno  verranno  agli  due  cozzi;  &^ 

Queslì  risurgeranno  del  sepulcro 

Col  pugno  chiuso,  e  questi  co'  crin  mozzi. 
Mal  dara  e  mal  tener  lo  mondo  pulcro 

Ila  tolto  loro,  e  posti  a  questa  zulTa: 

Qual  ella  sia,  parole  non  ci  appnk.TO.  tJ 

Or  puoi,  ligliuol,  veder  la  corta  bnlTa 

De'  ben,  che  son  commessi  alla  Furlana, 

Per  che  l' umana  genie  si  rabbuffa. 
Che  tutto  l'oro,  eh' è  sotto  la  luna, 

E  che  già  Tu,  di  queste  anime  stanche  ti 

Non  poterebbe  farne  posar  una. 
Maeistro,  di'.'!  lui, or  mi  di  anche^ 

Questa  Fortuna,  di  che  tu  mi  tocche. 

Che  è,  che  i  ben  del  mondo  ha  si  tra  LrancheT 
E  quegli  a  me:  0  creature  .'^ciocche,  IO 

Quanta  ignoranza  é  quella  che  v'offende! 

40.  Qiutti  fwr  cAfrd  (c.  Cs-  bidur  Ir  ielle,  penhé  kccbiu  pHUHi 
■Inuci  :  Qn»"  A'  Bnn  liin  coprnhio  «uiIihcdU  pniuiM  t  luì  ckf  t  <^ 
pilMfl,  cM  cupdli  «1  cai»,  tir  chcró      punì»  dello  innlrg.  Il  Cai.  FnUui 

Ib.  «aa  fi  no  topmìiiB,  tfus'  S«-1>U   Ifoj  dar*  >  aui  (owr,  ÒA 


\ 


i  fndifhi.  Il  mjim  tkiun 
•virili!,  E  DiMDru  Smil*  Jia< 
l^r«»bd>tt((ilniar(I< 


CU    funlr  ne*  ti  mmltro.  "» 

(•(   (vrla^uf/a,  bmetoIliB,  bm* 

CB    Per  chi  te-,  per  cui  |li  atuM 
i  «CMpiflliiM  t  ingona  ■  tufta. 
65.  E  ci*  già  fu.  poicliè  il  Uspa 
■UrallD  usIlD  «ll'oM 


tlimimmprmUóiiiliiUnarUalrmat-  d<^li  hbiiiìiI. 

fmmmrt^mifani/ltal  lainmntii  6i.  di  che  te.:  ii  che  mi  hi  mmt. 

•Ì|BÌIlnuU|>r<>Jig(tiU.pfnhtluic.>-  60.  ck  f  itm  dtl  mondo  «.;  li 

tae^M*t*f«  UUa  tuwli,  (Dmi  par  «ngi  qnala  lini*  cni  Ira  le  mani,  in  >iib  ba- 

■idic(,DB«*Ìafflli. —  (/utili iìttmit-  ha  i  beai  ili  quaU  lUDda. 


GAma  senato. 

Or  TO*clie  tii  mia  sentenza  ne  tmbocche. 

Colui,  lo  coi  saver  tnUo  trascende, 
Fece  lì  deli,  e  die  lor  chi  conduce, 
Si  che  ogni  parte  ad  ogni  parte  splende, 

Distribnendo  ogoaimente  la  loco: 
Sìrmiemente  agii  splendor  mondani 
Ordinò  general  ministra  e  duce. 

Che  permutasse  a  tempo  li  ben  vani, 

Di  gente  in  gente  e  d*  uno  in  altro  sangue, 
Oltre  la  difension  de*  senni  nmani: 

Perché  nna  gente  impera,  ed  altra  langva, 
Segaendo  lo  giodicio  di  costei, 
Che  è  occulto,  come  in  erba  l' angne. 

Vostro  saver  non  ha  contrasto  a  lei: 
Ella  pro%'vede,  giodica,  e  persegue 
Suo  regno,  come  il  loro  gli  altri  Dei. 

Lp  sue  permutazion  non  hanno  triegue: 
Necessità  la  la  esser  veloce; 
Si  sparso  vien  chi  vicenda  consegue. 

Qoest*é  colei,  eh'  é  tanto  posta  in  croce 


54 


75 


80 


85 


90 


,  cioè,  faglio 


imboccati. 


73  v'i 
teUvfalaaM 
rS(  ta  riarva  lo  aio 
Umdtà 

f^»  rÌMooiiiiiii  Mia  dottrino  cIm 
w|«c,  0  i  poitnao  mmto  di  Virgilio 
fcrw  3  dÌBeepolo.  —  La  Nidob.  Or 
m'  €kt  t^tti  mim  i§mtem%m  knboetke. 
74  ddmmémn,  dù  li  oondoc«,doè 


75  SidUofmifmrU{àt^éMti)mi 
§§m  fari0\éd\m  iem)9fUmU:  m  naa- 
U  cW  ÓBaesaodcfli  oMaCari  coioati  vol> 
■  la  mero  a  óoaciMO  degli 


7t 


sa.  ^wtmémmUf  imtfitt,  d'ana 


il.  OUn  U  àiftmiitìn  de' ttmmi 
»  lo  difcae  cIm)  r  «aaoo 
•  lai  Ovvero,  aeosa  cIm 
FuwaoaoBSO  poaaa  farvi  diFraa. 

91.  Fw«Ml  por  lo  ckc  :  oodo  av- 
«ÌM  cfco  —  odi  miirm  :  ooaì  aeglio  dello 
Cu;m  ,  0  r  mkrMj  leggoooil  cod.  Aotold. 
f  il  icolo  Vir. 


$3.  Segmmio  hgiudieio,  tecoado 
il  giudizio. 

ai.  Che  è:  l'Aldina  eAnf  è,  aegofU 
dalla  Cnisca.  Ma  è  do  aTTortiro  che 
apeaao  gli  anticbi  non  facevano  elkione 
nei  noonaillabi,  e  eh§  è,  por  ea. ,  lo  pro- 
nunziavano distinto  in  doe  «illobo,  aenia 
biaogno  d' interponri  il  d.  Noto  cib  per- 
chè altre  Tolte  aTrerrk  di  trovare  dei 
Tersi  in  Dante,  che  aembreranno  mon- 
chi a  dii  non  li  legga  con  «peata  vrror* 
tonza. 

83.  ntm  ha  eontrasto,  non  poè  con- 
trastare. 

86-S7 .  penegtu,  dopo  arer  prorre» 
duto  e  giudicato,  nw  r^ne:  eoegviset 
rio  che  è  del  ano  regno,  ciò  th»  code 
nella  ina  ginrisdiziooo. 

87.  gli  altri  Dei,  cioè  le  altro  re- 
telligenze  celesti 

8'J-90.  yeeeitità  ee.  Neeeaaith  di 
diUribnire  Toole  che  aia  Teiere:  o,  è  di 
tua  natura  V  euer  velncO|  non  mm  fer> 
me  io  un  punto  :  per  tol  ragione,  «I,  ti 
mondo  avvi  spetoo  chi  rieoTe  miilaMaafii 
di  stato 

91.  poeta  in  eroee.  Intendi:  ztìI- 
lane{;giata  e  beate mmiato. 


I 


Pur  da  color,  che  le  dovrian  dar  lode. 
Dandole  Liajimo  a  torto  e  mala  voce. 

Ha  ella  s'è  beata,  e  ciò  non  ode: 
Con  l'aitre  prime  creature  lieta 
Volve  sua  spera,  e  beata  si  gode. 

Or  discendiamo  omai  a  maggior  pièla. 
Già  ogni  stella  cade,  cbe  saliva 
Quando  mi  mossi,  e  '1  troppo  star  si  vie 

Noi  ricidemmn  il  cerchio  all'  altra  riva 
Sovra  ona  fonte,  che  bolle,  e  nversa 
Per  OD  fossato  cbe  da  lei  diriva. 

L' acqua  era  buia  molto  più  che  persa: 
E  noi  in  compagnia  dell'  onde  bige 
Entrammo  giù  per  una  via  diversa. 

Una  palude  fa,  e'  ba  nome  Siige, 

Cfnesto  tristo  niscel,  quand'  è  disceso 
Appiè  dello  maligne  piagge  grige. 

Ed  io,  eh'  a  rimirar  mi  stava  inteso, 


92.  pur,  ■OHI,  ffd  eolffr,  ttn  lede-  — dungn*  ceca  git  i2  ere,  panhò  era 

tn'an  dar  lodt,  «  proHUcru  i|iiiiilii  l' Caumoiio.  Ori  U  little  eadomi:  >Lsu- 

pravi idanitnU  dli  governa,  e  tfcaa  queliiD piualo il  mendiiRo,  a«ian«- 

anche  qnùnlu  [u  loro  benigni.  iinallF,  ed  ecco  lllre  6  ort,  ebe,  tf- 


■  Ile  prima  13,  tu  tS. 

94.  l'i.  ti  111.  400.  Noiricidruniio  le.!  lUraiaf 

95.  prima  cniIlilrB,  gli  Angeli.  Hminoi1nrcliiainlini>a1l'>llnma:Biii 

96.  Volsi  nu  ipara.  dei  tltn,  r'atammQ  la  «Irtila  dreolirc  per  tm- 
e  rata.  Onvcmcnl*,  iiual'*  il  penalFro  lar  l'allraripa  chetccBda  nai  fuvnaae- 
d«t  PocU:  dia  an'angtlica  mania  diia-  gviola. 

naia  Portana  at(piÌKe  aconi|>ìc  quag'  101.  5««ra  Bua  fonia  ao .:«•*,  !■ 

fpi  rio  (ha  altre  an^lictie  inlrllii;eiuD  Inogo duv'i una rnuli, eia... nenia ic..- 

ua  aaeolu  in   cui   I' aalrolpgia   ginili-      oaicana  luUa  quella  acqua  infamali,  l*    ' 

domma.  0||p  nenun  la  [h(i|nnla  Far-  105.  fuegini  ira  tuia  te:  fauit» 

t«a,  a*  con  Ule  appclluìnnc  non  a'  In-     langoii,  rìOcllLti  la  luca  molto  m«n  di    i 
leodian  la  gcculli  Jiipmiiionidrlla  di-      qsel  dia  (ircbbl  UUo  no' aeqaa  di  color  i 

*atB>"«-  '  103.  il»n-(a,Biniwfnìleill*altr*    1 

gidiiondl'allro.  , 

100.  Sliye,  i  dil  gr.  innrat,  dM  -i, 

gal  dir*  wlio,  Iriatou,  •  min  M-  \, 

Illa  la  B»U  dilli  noiii.  Dall' apor In ra  lOS.  JppU  dtHtwiaUgittpUigt.  i^ 

dal  Pnanu  a  qoalo  nunlo  icin  pauaU  in  fou>lo  alla  piaguil,  illa  ript  •laM'L^ 

la  .~  _  Si  coniinciì  cui  DiUino  :  più  per  cni  i  diiniK. 

— Lofiomoitii'aiul^ira;  1D9.  iiilMa,  inlcnto.  i 


CAUTO  nsmuo* 


83 


116 


Ito 


in 


Tidi  genti  fongose  in  quel  pantano,  no 

Ignudo  tatto  o  con  sembianto  offéso. 
Questi  si  percoleany  non  por  con  mano. 

Ha  oon  la  testa  e  col  petto  e  co*  piedi, 

Troncandosi  coi  deoU  a  brano  a  brano. 
Lo  boon  Maestro  disse:  Figtio,  or  vedi 

L'anime  di  color  coi  vinse  r  ira: 

Ed  ancbe  vo'cbe  tn  per  certo  credi, 
€be  sotto  r  acqua  ha  gente  che  sospira, 

E  fiume  polhilar  qnest*  acqua  al  sommo. 

Come  rocchio  ti  dice  n* che  staggirà. 
Fini  nel  limo  dicon:  Tristi  ftraimo 

Nèiraer  dolce  che  del  Sol  s'allegra» 

Portando  dentro  accidioso  fommo: 
Or  ci  attristiam  ndla  belletta  negra. 

Qnest*  Inno  si  gorgoglian  ndla  strozza, 

Cile  dir  noi  posson  con  parola  integra. 
Cosi  girammo  della  lorda  pozza 

Grand' arco,  tra  la  ripa  secca  e*l  mezzo, 

Con  gli  occhi  volti  a  chi  del  fango  ingozza: 
Venimmo  appiè  d*  una  torre  al  dassezzo. 

■piri  faimo  torger*  l'aeraa  b  L:>IIe. 

420.  «T  dU,  doTtecM,  otomm. 

422.  NtWùerdoUtthtéaMira' 

ìe^a.  DttjpvUfli,  evi  l' demo  ■orrìio 

ddU  oatsra  noli  potè  mti  tortaare  noi 

tmpo  ptlto  l'aaima  trisU.  La  lei.  dei 

tiMr  eecoHo;  coai  «rt     Sol,  cba  è  dal  Cod.  Stoard,  mi  è  aem- 

fP  Iracondi  a  gli  Aed-     braU  pi&  alafaaU  a  poetica  dalla  Coni. 

dal  Sol. 

424.  Mlalta,  fango,  dapaailo  cka 
fa  raeqvB  torbida. 

425.  9Ì  gorgoglimi  «e..*  atadaM 
dalla  ttroitOy  cioè  dalla  cuna  dalla 
gola  piena  dell' acqoa  della  paloda,  f 
tto  inno,  le  dette  parole,  a  aleoia  •  < 
8«oa  coofno,  ovale  è  meno  che  ai 
cargarinaBdeai.  Md  Gad.  8t«ard. 
legga: 

QomPìob*  kr  gwftcVa  orik  riliMH. 

428.  GranJTmrto  «e.r  graa  parte 
del  c««Uo  della  lorda  possa^  dalla 
pooaaglMra  :  t 'laitsso  (coQ'  talntti|, 
cioè  il  terreao  fradicio,  oaiia  il  paaCaaa. 

430.  al  dbufofo,  faabBMAt.  •!• 
l'altiaM. 


130 


411.  9 feto,  dee  cracdato. 
412    «ow^vr,  aaa  aolo.Al.i|oeate. 
4ia.  Cko  tolto  rmegmm  oc.  Sotta 
meéCmofÈM  aaoo  paniti  gli  Acódiciai. 
CeHe  aapra  pace  gli  ani  accanto  agli  al- 
ta giAvari  a  i  Frafigin,  qae|(li  percenti 

la;  cod  era 
Iracondi  a  |li  Acd- 
a  cai.  éom  aiaaicra  £  peeraton  agnal- 
tra  tara  coatmr).  i/ira  è  nn  im- 
alla  fendette  ;  Taa- 
è  aaa  trìrieaia  ddla  aMute,  aaa 
deVaaiiM,  percoi  l'nenM 
leataalbene; 
e  tmamm  aeicM  aoa  aa  aè  perdoaere 
■,  A  laego  ad  cao  petto  a 
e  a  nn  vaao  rancoradM 
h  eaanBHa.  Oacaf  Acddia  cbe  il  DaaM- 
■■I  iiiaiiiUHarfaai IrlfffMa oggv 
•Hi,  a  S.  Tenauea  afciama  raparalia- 
mm  SHMia  al  antaartalic»  (cka  fona 
'  ■■  ftraaalla  ottléwoo  ^NRmo),  è 
afirtin  fi  diaboSca  jaiaaan. 
Hk  *■  laaga,  vi  è. 
44f.  jr/!HMia^l«rarir.:aa>aa. 


in 
ai 


I 


CANTO  en-Ave. 


Io  dico  Beguitando,  ch'assai  prima 

Cbe  noi  ruBsimo  al  pie  dell'alta  torre, 
Gli  occhi  nostri  n'andar  suso  olia  cima, 

Per  due  fiammelle  che  i  vedemmo  porre, 
E  un'  allra  da  lungi  render  cenno 
Tanto,  che  appena  ìi  polea  l' occhio  lorre. 

Ed  io  rivolto  al  mar  di  tallo  il  senno 
Dissi:  Questo  che  dico?  e  che  rispondo 
Queir  altro  focof  e  chi  son  quei  che  '1  fenni 

Ed  egli  a  me:  Su  per  le  sucide  onde 
Già  scorgere  puoi  quello  che  s' aspetta. 
Se  il  fummo  del  pantan  noi  ti  nasconde. 

Corda  non  pinse  mai  da  se  saetta, 

Cbe  Bi  corresse  via  per  l'aere  snella, 
Com'  io  vidi  una  nave  picciolelta 

Venir  per  P  acqua  verso  noi  in  quella, 
Sotto  11  governo  d'  un  sol  galeoto, 
Che  gridava:  Or  se'gianta,  anima  fellal 

Plegiàs,  Flegiàs,  tu  gridi  a  vuoto, 


Tanta  t4  coauiunU  con  da  Imtgi  ié 
II.  ijuilL dui' aijttlla,  ^allixfaa 


;illo,  <T.  galeplot  gmltalla  (bamnwla) 

r  av-  dltetaoh  FgailmaU  gti  intichi,  con» 

arca,  i^isceaUIIgg*,  fiamanfiamnul.  Baco 

inars  «  Bacco,  ectnl'sllri. 

luini  19.  FStffit.  ChIhì,  pK-nwbn- 

n.  Haliti  ci»  qacl  lune  tho  aD|iaiisca  ili'  InFonio,  Condnci  li  anime  •  Dilt, 

per  l«H»  diilaoia  ù  piccolo  al  Potla,  comriricondoccainaniiMredaale.  FI»- 


5.  £i»-|ilIr*M.^ 
■MU  d»  da   loùlano 
■Iln  due.  Porrlit  Igllc 

|i»diUd.clll    bu. 

due  Ioni:  ani  alla  n> 
«.r^lra  all'Iuta™,, 
diavoU   alai»»   ìi>  tra 

puxiieiui'aiiiBia  che, 
1;  loVe  di  qa.  mena  < 
•a>iì»qBdladilia>u 
ednMMndIaDDalli 
et»  ha  ìnln.   Or.  »d 
pcnbi  jHin  dar  rinvili  < 

CAUTO  OTTATO.  55 

Dine  la  mìo  Signore,  a  qnesU  Tolta:  so 

Piò  non  ci  avrai,  se  non  pasBando  il  loto. 

Quale  colui  cbe  grande  inganno  ascolta 
Che  gli  sia  fatto,  e  poi  se  ne  rammarca. 
Tal  si  fe  Fiegiàs  nell'  ira  accolta. 

Lo  Duca  vaio  discese  nella  barca,  25 

E  poi  mi  fBce  entrare  appi-esso  Ini, 
E  sol,  qnand*  i*  fìii  dentro,  pan'e  carca. 

Tosto  che  '1  Doca  ed  io  nei  legno  fui. 
Secando  se  ne  va  l' antica  prora 
Dell'  acqoa  più  che  non  suol  con  altrui.  so 

Mentre  noi  oorrevam  la  morta  gora, 
Dinanri  mi  si  fece  un  pien  di  fiingo, 
E  disse:  Chi  ae^  tu  die  vieni  anzi  ora? 

Ed  io  a  hii:  S*  i' vagno,  non  rìnlango; 

Ma  ta  chi  ae*,  che  si  sei  &tto  brutto?  35 

Bispoae:  Vedi  che  son  un  che  piango. 

Ed  io  a  Ini:  Con  piangere  e  con  lutto, 
Spirilo  maledetto,  ti  rimsni, 
Ch'  io  li  conosco,  ancor  sie  lordo  lutto. 

AUora  stese  al  legno  ambe  le  mani:  40 

Per  che  '1  Maestro  accorto  lo  sospinse. 
Dicendo:  Via  costà  con  gli  altri  canL 

Lo  collo  poi  con  le  braccia  mi  cinse, 

Baciommi  il  volto,  e  disse:  Alma  sdegnosa. 
Benedetta  colei  che  in  te  s' incinse.  45 

Quei  fu  al  mondo  persona  orgogliosa; 
Bontà  non  è  che  sua  memoria  fregi: 
Cosi  è  r  ombra  sua  qui  furiosa. 

fti  é  4d  fwW  freeo   f^tya»,  !•      Danta  d«1  no  nobile  tdegn».  Si  aoli  la 
■via.  iialinzJoBo  efao  ^«i  n  fa  tra  irm  e  ttU- 


21.  Me  «MI  W  mnwt  «e..*  bob  d     gno;  la  prima  è  panita^  porckè  feaeral- 
*>ni  il  teo  filerà,  m  bob  pai  tempo     menta  è  mio  d'ooimo  uBpoéente;  il  te- 
a  paaaare.  eoodo  è  lodato, perchè  Baace  perlopiù 


24.  mìT  4ns  mtòttM,  BelP  ir«  cIm     da  odio  coBtro  U  tizio,  o  d* 

deDa  tìHb  coBcnlcata. 
per  lo  pendei  45.  db«Mlea'<«elBM,  ^rimaae 

iaeiBla  in  to:  oneato  modo  è  ioffìeto 
sa.  mm  miind,  eolio  oo^ro.  ìb  ydF  eapreanono  acrittwalo,  mmUmr 

M.  fBf«^  le  alafBaalo  pelode.  dirmmdmM  nWmmi,  noètemtifirà.  E 


^,  awinda  aa-     malo  Blenni  e*aTTÌsano  di  aniefar  l' In 
del  tempe.  per  le  eeelilnriaBe  del  4<  o  del  per»  che 

M.  niBiimiBjii.  Mseeooperri-     dtrcUero  tott' altro  eeBao  ^la  fraae. 


47.  B9nié  et..* 
'  «4i^  aaeer  eho  Ib  dtu         kaoBa,  o  Betasna  hnoBo  fBalilà^CréfiBy 
44 .  J/bm  adeywofB  ee.  Virgilio  loda      onora  la  soa  BMmoria. 


^^^^^^^■(^^^^^^^1 

1 

■ 

■ 

U6                                                        DELL'  11 

<FERKO 

Quanti  Sì  lenf^on  or  lassù  gran  regi, 

Clie  qni  staranno  come  porci  in  braco. 

M 

Di  fé  lasciando  orr 

ibili  dispregi! 

Ed  io:  Haeslro,  mollo 

sarei  vago 

Di  vederlo  altuffare 

in  questa  broda, 

Prima  che  noi  uscb 

ìsimo  del  lago. 

Ed  egli  a  me:  Avanti  che  la  proda 

a 

Ti  si  lasci  veder,  tu  sarai  sazio: 

Di  Ul  disio  converr 

À  che  tu  goda. 

Dopo  ciò  poco,  vidi  quello  strazio 

Far  di  costui  alle  fangose  genli. 

Che  Dio  ancor  ne  lodo  e  no  ringrazio. 

éO 

Tutti  gridavano:  A  Filippo  Argenti. 

Lo  Gurenlino  spìrito  bizzarro 

In  se  medesmo  si  volgea  co"  denti. 

Quivi '1  lasciammo,  chi 

■  più  non  ne  narro: 

Ha  negli  orecchi  m 

li  percosse  nn  duolo. 

cs 

Perch"  io  avanti  inlento  1*  occhio  sbarro. 

Lo  bnon  Maestro  disse 

;  Ornai,  figliuolo, 

5'  appressa  la  città 

e'  ha  nome  Dite, 

Co' gravi  ciltadin,. 

col  grande  stuolo. 

Ed  io:  Maestro,  già  le 

sue  meschite 

70 

U  entro  corto  n«lla  valle  cerno 

^0.  QHanlI  li  tcngoii  «.  (}b„1. 

62,  Miwr™,  ire». 

,  tUn^w 

GS.  Iniimrdameri 

««1,1.  « 

i-den. 

U,  li  mordevi  per  riLbl 

tilt  l'ir*.  rìpr«tTol<  In  tiKtr.  i  f.t.li 

B4.  <U.  pirli  «.l 

Mi  r.  •  nfl  .op.rJ.ri.  .i  s-1i  .p«i.l. 

65.  <Iu«lo.  «n  d'aloe 

«wlamc 

60.  itorro.  ipilinci 

69.  grani,  griii  di 

«Ip... 

■  ncUi 

SO.  Ì«  brt,o.  «l  p.»U«». 

dij«n..-Ilih.  P.Pood 

SS.  mlluffart.  int.  rtMÌ«.,  aitr 

d:«ered«aiu. 

i.rf.to  i,  .riM-           ' 

metti  aravi  cilladMùt 

ri.r.lli.'ine»,itnQol.i 

ogidteMii  E 

58     &D|»C<«po»,  p«.Jop<.[it. 

prima  toIU  in 

—  fwtlB  •!»>«>,  ur*  •Ir»!»,  rome 

Dil<:b«iBn>ii»o>l<>ro 

llaona. 

lieil- 

■ptMsl'b.  «a.Md*i  Ialini. 

(■d«>,»B>  primi  ibititi 

<ri  dall'In 

(ono 

iki  pir  loro  h  l>Ua:c 

l'iUgi" 

Ilo  di 

■  «dioMB  ■   niipp.  Arg.Bli.   .    C«lui 

fr«f^  percht  mollili  ù 

dlODIlì. 

Il  dalli  Bobil*  liiDigli*  dii  Cieeiuli- 

7fl.  miuhiU.  n.o«b 

«.lorri 

!coii 

ill^la. 

opli. 

T<.  nella  talU.  Qoou  till 

li  il 

l«lo«rei.,o,ehi««od« 

.opralo, 

J*'n<>ic».lli.LlIl<»<Bliid^liAJÌ- 

ripiidodcl  ouialo,  D'*Hp*F*tBda  IohÌ 

a  man,  onda  or  inda  (or 
ella  D  chiami  di  Difi  dil 

n«ri  «ri  di  pirl.  nntririi  ili' AligUic- 

.Ì«ar  dall'In- 

ri,  «  BU  di  («t  ■»■  hito  Sin  >FI»- 

,d«- 

•oiast  ■!  rìchiuig  di  lu.            '^'^ 

h. 

rimaDta  T>da- 

1 

J 

CANTO  OTTATO. 

TenDiglle,  come  se  di  Iboco  uscite 

Fossero.  Ed  ei  mi  disse:  Il  foco  eterno, 
Ch*  entro  le  sfiRK»,  le  dimostra  rosse. 
Come  tn  Tedi  in  questo  basso  inferno. 

Noi  por  giognemmo  dentro  ali*  alte  fosse, 
Cbe  vallan  quella  terra  sconsolata: 
Le  mura  mi  parea  che  ferro  fosse.- 

Non  senza  prima  fer  grande  aggirata, 

Venimmo  in  parte,  dove  il  noochier,  forte, 
Uscite,  ci  gridò,  qui  è  1*  entrata. 

Io  vidi  più  di  mille  in  snile  porte 
Dal  del  piovuti,  che  stizzosamente 
Dicean:  chi  è  costai,  che  senza  morte 

Va  per  lo  r^no  della  morta  gente? 
E  il  savio  mio  Maestro  feoB  segno 
Di  voler  lor  parlar  segretamente. 

Allor  chioserò  nn  poco  il  gran  disdegno, 
E  disser:  Vien  tu  solo,  e  quei  sen  vada, 
Che  si  ardito  entrò  per  questo  regno: 

Sol  si  ritorni  per  la  folle  strada: 
Provi,  se  sa;  che  tu  qui  rimarrai. 
Che  scorto  V  hai  per  sì  buia  contrada. 

Pensa,  Lettor,  s*  i'  mi  disconfortai 
Nel  suon  delle  parole  maledette; 
Ch*  i'  non  credetti  ritornarci  mai. 

O  caro  Duca  mio,  che  più  di  sette 
Volte  m' hai  sicurtà  fenduta,  e  tratto 
D*  alto  periglio  che  incontra  mi  stette, 

Non  mi  lasciar,  diss*  io,  cosi  disfatto; 
E  se  r  andar  più  oltre  e*  è  negato, 
Ritroviam  V  orme  nostre  insieme  ratto. 


S7 


7& 


so 


S5 


90 


95 


100 


Ti. 

t 


c4i 


kiftrm9.    DittiogM  3 
ia  alto  •  !■  btMo  o  pro- 
».  UjtwIUuim  ceoiiiMM  da  ^«aala 
fi  MI»,  •  va  ìm  a  Lacifaro,  aal 
faaitii  paacafi  di  para 


SS.  chUuero,  raflraaaroiio. 
IH.  la  foiU  tindm,  noè  lafCrailf 
che  follemante  ba  prcaa. 

92.  Provi,  prati  di  tomara  india- 


tro,  M  aa 


se.  Ch'  e,  Mipardacaiè  io.  — 
«o»  eradafli  Hi&nutrH  wai;  mb 
eradetti  di  rHomar  pi*  n  ^aaito 
mooda. 


•MI .  fNÌt.!!c<flrrMd,rarlcMMla. 
~    OiloW  pioMM,  aiaè  AmB  SS.  IT  elfo  perl^l^  di  |radU  pe- 

•  dMfafi,ahapiovvaraMlPui-     riaolo. 

400.  cMi  éUf0Ìl9,  ttà  marrite  a 

di  Barira.  402.  rcllo,  tostaoMnta. 


t4 


E  quel  Signor,  che  li  m'avea  menalo. 
Mi  disse;  Non  lemer,  rhe  il  noslro  passo 
Non  ci  puù  torre  alcun:  da  tal  s'è  dato. 

Ha  qui  to'  allendi;  e  lo  spìrito  lasso 
Conforta  e  ciba  di  speran7a  buona, 
Ch'  l' non  ti  lascerò  nel  mondo  basso. 

Cosi  sen  va,  e  quivi  m'  abbandona 

Lo  dolco  padre,  ed  io  rimango  in  forse: 
Cile  il  no  o  il  si  nel  capo  mi  tenzona. 

Udir  non  poie'  quello  di'  a  lor  porse: 
Ma  ei  non  slette  \i  con  essi  guarì, 
Che  ciascun  dentro  a  pruova  si  ricorse. 

Chiuser  le  porle  que'  nostri  avversari 

Nel  petto  al  mio  Signor,  che  fuor  rimase, 
E  rivolsesi  a  me  con  passi  rari. 

Gli  occhi  alla  terra,  e  lo  ciglia  avea  rase 
D'ogni  baldania,  edieea  ne' sospiri: 
Chi  m'  ha  negale  )e  dolenti  caseT 

Ed  a  me  disse:  Tu,  perch'io  m'  adiri. 
Non  sbigottir,  eh'  io  vincerò  la  pruova, 
Qual  eh'  alla  dìfension  dentro  s' aggiri. 

Questa  lor  iracoiania  non  è  nuova, 
Che  già  r  usaro  a  men  segreta  porta. 
La  qoal  senza  serrarne  ancor  si  trota. 

Sovr'essa  vedeslù  la  scritta  morta: 
E  già  di  qua  da  lei  discende  l'erta. 
Passando  per  li  cerchi  senza  scorta. 

Tal,  che  per  lui  ne  fia  la  terra  aperta. 


uul  diro  da  I 


II'  Interi 


che  t  io 


pua(<|DÌ  l'Ili  Crìais  ■DitiDdo  ti  Lìnib» 


I 


117.  rmri,  itati. 

i\»-H9.  It  ciglia 

n\  D-egiU  laldaiaa. 


■r.r. 


123.  (ThoI  Malia  diftluim  m 


ugrita  porta,  doiilli 


127.  valuCA,  inlnli  ta  la  lerilta, 

inoKoro.  Vedila  (ICanlD  ài,  Tene  I 

{2S.  Bglitt.:  •  gik  di  )«  dilli 
JHU  pntU  «fuda  UU  io  Bidra  dito, 
rlM bruci  iprìrè  la  porte  dalU  dUk,— 
l'aria:  arM  rìipella  ■  VirfiDs^  waM 
pFt  colai  cha  tcdìk.  Chi  ^Doti  pMU 
•adi  il  CtBto  Kg-  Il  Ball  ti  T.  85. 


h^ 


CAUTO  BTOMO. 


frmm  étl  Umettn,  Dmmta  te  tmtu^ 

0gU  té»  rMifwmmtktm  rtspoitm  «  tf  coma  r 

éM»  Fmrét  nUTMtt»  d$Um  tsnm.  Ctmt  o  U  ion  mrtk 

I0  tprm  Uvm  te  porU  <f  cita  CM- 

gli  tfinmi  0  gU  «rttiei. 


Qoel  color  che  viltà  di  fhor  mi  pinse, 
Yeggendo'l  Duca  mio  tornare  in  volta, 
Più  tosto  dentro  il  suo  nuovo  ristringe. 

Attento  si  fermò  com'  nom  che  ascolta; 
Che  l' occhio  noi  potea  menare  a  lunga 
Per  raer  nero  e  per  la  nebbia  folta. 

Por  a  noi  converrà  vincer  la  ponga. 
Cominciò  ei:  se  non^.  tal  ne  s*  offerse. 
Oh  qoanto  tarda  a  me  eh'  altri  qoì  giunga  ! 

Io  vidi  ben  si  com'  ei  ricoperse 

Lo  cominciar  con  V  altro  che  poi  venne. 
Che  for  parole  alle  prime  diverse. 

Ma  nondimen  paora  il  suo  dir  dienne, 
Perch*  io  traeva  la  parola  tronca 
Forse  a  peggior  sentenzia  eh*  ei  con  tenne. 


40 


15 


'  QiÈtl  eohr  ee.  lotcndì:  qael  eo- 

**^<Mt,  ma  wfimae  tw  v«lto,  «Modo 
^^  knum  •»•  mm  v«lta  Vh^ìio,  fo 
'^ff'm  cW,  tntmém  cm»  Virgiiio  cooo- 
1"t*  éà  ^mìI*  il  nio  tcaraggiaoicoto, 
FfnrttritlrinfCfM,  ritiruM  iodea- 
''•i  yiti  color  Mioro,  iotolito^veootogli 
*(  KM  mI  doloro  o  orfU  ààtfrao  «vato 
f»  P  ■ppoiuiuot  dei  diavoli.  Imooi- 
«I  a  pdkrt  di  Duite  feee  più  pre»to 
"'•fHit  a  terBoiti  il  toIId  di  Vii^Iìa. 

2.  §m  eofifl,  in  dietro. 

7.  Pmt  m  m»i  eoumerrà  «f .  Nao 


otmoaa,  ■01 


opvotmo 
I.  Aimya 


raaairara.  /"migg  aU  per 
.  ,  ,  dagli  antichi  il  gn  alcvna 
Hlla  n  paapoaavo  a  difaaira  ii^;e  aoco 


a.  tt  flML...  Para 
laa  w  Im  abkaadoDatodu  ai 
^■Hlo  «Hcw;  ovvero,  aa  aaa  mi  maoca 
ai  ai  fo  affario  in  aioto  in  caso  di  qoalf- 


diro:  ao     tromem 


che  forte  oppoiizione.  Ma  tal  sospetto  è 
aobito  troncato  da  miglior  ragioDc,  a  Vir- 
gilio lasciando  non  finita  la  proposizione 
incominciata  ,  cootinoa  alla  vrecodente 
Pur  a  noi  conterrà  vincer  le  punga. 
soggioogeodo  tal  ne  t'offerte;  cioè,  1) 
grande .  s^  potente  è  il  peraonaggio  rbo 
ci  fu  offerto  in  aiuto,  li  momentaneo  o 
qvasi  involoatarìo  dubbio  di  Virailio  è 
aataralisaimo  nel  ritardo  che  il  oro- 
■laaso  soccorso  facet  a,  a  cbe  già  ?eJem- 
0M>  aonwuiato  alla  fina  del  Canto  pre- 
cadente. 

a.  Lo  cowUneiar»  cioè  il  te  non , 
parole  naome,  cbc  davan  sospetto  a  Dan- 
to, ricoperte  eoffaUro,  cMèrioopeno 
calle  parole  tal  ne  i^  offerte,  cba  ao«o 
parole  diversa  dalla  prime,  cioè  pardo 
«conforto. 

44-45.  Ferdi'iotrae—impmrotm 
:  tirava  ^alla  ratMana  («t 
)  Forte  a  ptggior  t§mten*U; 
a  «n  seoao  farsa  pegmora ,  ék'  ei  noli 
ImMi  cb'  egli  nun  ebbe  in  mento. 


co  dell'  iHFEnno 

.    In  questo  fondo  della  trista  conca 

Discende  mai  alcnn  del  primo  grado, 
>  Che  sol  per  pena  ha  la  speranza  cionca? 

Questa  question  Tee'  io.  E  quei:  Di  rado 

Incontra,  mi  risposo,  che  di  nui  m 

Faccia  il  cammino  alcun  per  quale  io  vado. 

Ver  ó  eh'  altra  fiala  quaggiù  ftii 

Congiuralo  da  quella  Brilon  cruda, 
Che  richiamava  l' ombre  a'  corpi  sui. 

Di  poco  era  di  me  la  carne  nuda,  a 

Ch'ella  mi  fece  entrar  dentro  a  quel  muro, 
Per  trarne  un  spirto  del  ccrclùo  di  Giuda. 

Queir  è  il  più  basso  loco  e  i!  più  oscuro, 
E  il  pili  lontan  dal  cìel  che  tulio  gira: 
Ben  so  il  cammin:  però  li  fa  eecuro.  so 

Questa  palude,  che  il  gran  puizo  spira. 
Cinge  d' intorno  la  cillà  dolente, 
XJ'  non  potemo  entrare  omai  fenz'  ira. 

Ed  altro  disse,  ma  non  1'  ho  a  mente; 

Perocché  l' occhio  m'  avea  tulio  trailo  5i 

VAr  l'alia  lorre  alla  cima  rovente, 

0\o  in  un  punto  furon  dritte  ratto 
Tre  furie  ìnrernal  di  sangue  linle. 
Che  membra  femminili  avieno  ed  atto; 

n.  iM primo  !rra<fa,DEiirtkìo,daè      PomptoT  Si  immiguii  dio  rjnala  mf 

lt\  LiniltD.  >npri<TÌ>ene  ■  Virgilio,  tiit  t  Dllluil- 

18.  cionca,  tronit.  iDFiita  ponibile,  achs  In  a»  della  ine 

H,  piT  quale,   laciulo  l'irlicolo,  etHlria|;er  l'aaini*  di  ipel  IubomPoMi 

iflvMe  a  pil  quale,  come  pur  leggono  di  fttfta  miocalo  ai  nvi  ;  e  ceaì  allori 

tlcODÌ.  luUn  i^irà  piioo. 

SS.  CaniriuralDK.iKdngiDratadi  23.  Di  poco  era  di  mcec.:  in  <ia 

ErilDSO;  ansia  i  luru  qarlli  nina  di  '     ' 
mi  parla  Liu*dd  al  Irb.  6.  Eli»  ia  dì 
Tcuatlia,  e  di  lei  (>  vatie  Solo  l'ompeD 

par  inlanden  il  Dne  dalle  goerrn  111  '  Sa/dnlci'ot  ae.:  dal  àolodelto  pri- 

ana  padre  •  Caire.  Alcuni  han  credalo  no  mnbila,  dia  eepliene  o  maina  io 

JuinnuacroD<imii,pcrciocFlii  al  tempo  gire  ludi  gli  allridrli. 

ella  billaglia  Fanatica  Virgilio  noo  era  53.  anu'ira.  PaicU  ì  bncoi  swdì 

Egli  hidcUopac'anii,Botloil  huooAu-  SS.  Feroethi  Focdtio  tt.i  paroo- 

(piilg,  ni  polti  per  ci!nir(;uenfa  qiiolla      che  l'oethlo,  cioè  Dna  aeaaanow!  naia 
Érilon  eroda  rgleni  allora  dì  luì  nei      per  gli  orchi,  a^ea  rìrolla  latta  la  mia 


!l  ecrehÌDce..-  dilla  fliadcc- 


CANTO  NOICO. 

E  con  idre  verdissime  eran  cinte: 

Serpentelli  e  ceraste  avean  per  crine, 
Onde  le  fiere  tempie  erano  avvinte. 

E  qaeiy  che  ben  conobbe  le  meschine 
Delia  regina  dell'eterno  pianto, 
Guarda,  mi  disse,  le  feroci  Brine. 

Questa  è  Megera  dal  sinistro  canto: 

Quella,  che  piange  dal  destro,  è  Aletto: 
Tesifone  è  nel  mezzo:  e  tacque  a  tanto. 

Coir  unghie  si  fèndea  ciascuna  il  petto; 
Batleansi  a  pahne,  e  gridavan  si  alto, 
Ch*  i'  mi  strinsi  al  Poeta  per  sospetto. 

Tenga  Medusa,  si  il  farem  di  smalto 
(Gridavan  tutte  riguardando  in  giuso): 
Mal  non  voigiammo  in  Teseo  1*  assalto. 

Yolgiti  indietro,  e  tien  lo  viso  chiuso; 

Che  se  il  Gorgon  si  mostra,  e  tu  *1  vedessi, 
Nulla  sarebbe  del  tornar  mai  suso. 

Cosi  disse  il  Maestro;  ed  egli  stessi 

Mi  volse,  e  non  si  tenne  alle  mie  mani, 
Che  con  le  sue  ancor  non  mi  chiudessi. 

0  voi,  ch'avete  gì*  intelletti  sani. 
Mirate  la  dottrina  che  s'asconde 


61 

40 


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41>  U  etTMié  tooo  «na  tped«  di 


43.  fw^  Vìrfìlio. —  meiekitt»,  ter- 

44.  JMhrigfaa  et.:  di  ProMrpioa. 

45.  Erkn,  Erìoni,  o  1«  Forì«  ul- 

4S.  •  tecfvw  m  Umlo,  •  tacque  a 
^■It  parala,  o,  éò  detto,  si  tacque. 
M.  BftJmt,  colle  palme  delle  mani. 
M.  ptr  tttptUo,  eioè  per  tema. 
91.  HU  fmrtm,  coti  lo  faremo. 
^.  J|«|  non  fttngimmmo  te.  :  dal- 
Twtlkm9tm§imn:  male  facemmo  a  non 
t  m  Taaeo  Vmtiulio  dato  a  ano- 
«Me  rvdita  prova  ck'ei  fece 
di  valer  rapir*  Proecrpioa,  iiccome  la 
"  ÌB  Pihtoo,  che  deouno  a 

a  ~ 


U  Gtfmon,  il  capo  di  Medosa, 
rava  la  |cote;  pereto  dice  iien 
la  ntaò  tkkuo,  aoè  gli  oecbà  chiosi. 
S7.  JffUim  te.  :  cioè  impossibilo  sa- 
la tersati  al  moodo.  È  modo 


dittico  :  vi  si  deo  supplire  tperansa  o 
poiiibÙità. 

58.  iUsii  e  flieffo,  come  eUi  ed  ef- 
ìo,  dioevao  gli  antichi. 

59.  noi»  si  tenne  ee.  :  non  si  stette 
eonteoto  alle  mio  mani.  Bella  dimostra-* 
none  d' amore  1  e  orando  inaegnamonto. 
cho  r  amico  non  dero  solo  aiatano  dr 
conrigli,  ma  anco  di  fatti. 

SO.  no»  mi  ehiudesii,  noo  mi  co- 
prisse gli  occhi. 

64 .  O  toij  eWmeU  te.  Voi,  ossggi 
«  non  volgari  lettori,  mirate  ee. 

62.  la  4ottTinn  eke  t'ateonde.  Tale 
arvertimeolo  di  guardare  al  senso  alle- 
gorìco  nascosto  sotto  la  lettera,  non  dee 
limitarsi  solamente  a  questo  luoso,  ma 
estendersi  anche  ad  altri  molti  «be  tro- 
Tsnsi  nel  Poema,  dove  altissimi  concetti 
e  morali  «  politici  sono  adombrati  in 
poetiche  Bnxiooi.  Vero  è  che  qncata  anno 
talvolta  di  difCdle  o  dubbia  miegaiio- 
ne,  «  dopo  lungo  meditare  si  rimano 
sempre  ncU' incartena.  Ma  qai  non  è 


Sollo  il  velame  degli  versi  strani. 

V.  già  venia  su  per  le  lorbid'  onde 

Un  Tracasso  d'un  suon  pien  di  spavento, 
Per  cai  tremavano  ambedue  le  sponde; 

N'in  allrimenli  htUi  die  d'  un  vento 
Impeluow  per  gli  avversi  ardori. 
Che  Ber  la  selva,  e  sema  alcun  rallmlo 

Li  rami  fcbianta,  abbutte  e  porta  fori, 
Dinanzi  polvero:^  va  sujierbo, 
E  fa  fuggir  le  fiere  e  li  pastori. 

Gii  occhi  mi  sciolse,  e  dii^e-  Or  drìna  il  nerbo 
Del  viso  ì:u  per  qoella  %hiuma  antica, 
l'cr  iridi  ove  quel  fammo  è  più  acerbo. 

Come  le  rane  innanzi  alla  nimica 

Biscia  per  l'acqua  si  dil^oan  tutte, 
Fin  che  alla  terra  cia-^cuna  s'abbica; 

Vìd*  io  più  di  miUe  anime  distrutte 

Fii^'gir  coRi  dinanzi  ad  un,  che  al  passo 
Tassava  Slige  eolle  piante  asciulle. 


ìa  iMl»Ti  tìtr  p«r  ■■  fmrti  aan  l'iB  ti- 
foificils  il  riumnii.  Midt  tnnu  pia  ip» 
dilnenu  K^iU  i  Jetilti  dj  pan  «ilì- 
•  ria:  ad  t  qvnta  il  minvtrt  pri  erudolfl 
dall'in  di  Kn  D(i  penaloH  l'i  in  qnc. 
•la  tiU  (ha  iidl'alln  II  ralla  poi  di 
MfdnH,  eba  *?«■  pMfiut  d' ìnpidrara 
Il  |iMaj  a  csbIiu  cui  V>t||iliii  liuo  cbitt-l 


taporlA/'nrf.'inlciidi.  tauri  dalla 

•ctiiaBUti  •  il-baltali.   il  TaM  ÌaiÌU 
i(<inlutBi«<inHCuila]U)l,«l.'ll,Mla 


un  per  ioipnlin  a  [>*aU  la 
,.l.,™.  \l.VyU.,l,b. 
«il  r.itg  jar  ^rund»  armi  ha- 
oranaa,  la  taModia  Ae- 


K-  (Inni.  mi<lirÌMÌ,  a  looti 
valnre  ìaldlìganii,  per  il  Kt 
liadinadii  '     - 


Uni  irecooo  porta  i,toH.»,  ni* 

•rJr>ni  luiD  il  mal  (<ula. 

73-74  itntTtoDtlti»,ifmim 
ruloru*.  .MM  r  «echio  JQ  tatto  la  an 
■ni,— iit^rT  putita  KlHMmmmtlia, 

'  l's  'r'Udi.  fa  di  là,  la  fMlla 


TU    iiilniUt.   ìdIcIbì     dillhll, 

I  upariata.  orrdu»    ^l^'l•  Scrittara  à  doUa  ip  ■• 

U.  par  i<l  aMtrrf  antoW:  par  luoanall'aaipta^UA)  OatM^ofraff  (r 

ra  oppoalo  tttaa  frn  irallti  d*  aria  (■  fnrm. 

5tT  ealaca  rartbiu.   E  doId  rhr  ana  SU    al  Mtia.  ini.  al  piiD*a  il  «al 

«II*  Mf>«i  del  imi»,  i  diH^ailJiria  t  il  piwa  Jdli  pallida,  (  dina  Dania 

41  olanca  Ball'  alBigsIera.  iiain  l'atea  tulli  bana  nuula. 


Dal  volto  rimovea  queir  aer  grasso, 
Menando  la  i^inistra  innanzi  Bpesso; 
E  sol  di  quell'angoscia  parea  lasso. 

Ben  m'accorsi  ch'egli  era  del  ciel  messo, 
E  volsìmì  al  Maestro:  e  quel  Te  segno, 
Ch'  io  stessi  cbeto,  ed  inchinassi  ad  esso. 

Ahi  quanto  mi  parca  pien  di  disdegno  1 
Giunse  alla  porta,  e  con  una  Tergtietla 
L'aperse,  cliè  non  v'ebbe  alcun  rilegno. 

0  cacciati  del  eie!,  genie  dispetla, 
Cominciò  egli  hi  su  l'orribil  soglia, 


liiConroli-     tirrore  >  lo  prMcali  in  t-rai  pì&  di 

lori  dìrsH  cba  quata  moie  óileielBi     npngnilur«i)idltl,cliediAngr[olic4lo. 

.       ,     _,  ._.._■.__,.  ___._.___        „      ■■»di«.M*n.cb..ntbfgliAB. 


85   dttcul 
m  dìrsH  cba  i 
OS  À»|(1<>,  id  mn^o»  di  qnaliba  w      B>'n^ 
lice  cbt  io  tT(d*  «rmiriD.  Mi  iltiiDI-      gali  ai 
■   ■■  ■       -    -  ■  IJB.'inihitoite- 

m  il  ftnmigg.„ 
""'■■'"'li  gli 


Sa(a1i  nel  Furgitorìfi,  dati 
iniUi  Perii  gi'iKwtriria,  ma 
bfllf<n,lila«,  il  ondo  del  p*i 
Blindi  ■>«  nrtbhe  ilaU  roga 


'i-SIi'," 


adii  Latini  del 

ntoll,  rippreuntara  colla  larga  in  ma- 
DD  «  aigailiun  ap^ iiiId  il  Isn  aticit 
dim<<»aegrrieaU9ii.quaBli,poì(UW 
dìui»  ib*  naati  ùim  lìi  Enra  dico 
priiiiicr*n»>iUfli'idDg'aniiiiadelL>a- 

ni*1ii«ntraaelaHip(riorillia1ap(ilcBU 
che*  pur  dflln  almo  gridoe  FODdiiioo* 


timmfalMUivlT^m  Ediopporlun* 
tVcfM  di  VirgUlD  B  il  toDdBlOR'dal 
di  DbbI*.  CBstsWchl  iJ  «OMIIB  < 

fila  U  Mdo  «Hi  MI*;  aia  ae  pab, 
fHl(kadi(l(altklBipit|iiÌ 


Ml'ABfaloaalPariaK 
fba  aamutri  i^at^lo  ntn'  ìdichid,  iwii 
tale  graa  fitLv,  prrcU  è  nuIa  sBclm  per 
Il  Skk  Carle  eia  ()>  Angrli  pcrad^na 

qaalitb  dri  niuitlfricbtdfbksiiD  aJm- 
frt,*  ì  iDOflk-,  l« pensar  ce.  E  lagio- 


dil  tùia  poi  w  cam*  aa  pan*nag{ 

TC,  nso  Ti  i  pie  rtginna  di  endrrlnBai 
dieCMCn,  aSaladiaa.  IIjmrM'kiiIìi 

inda,  del  nen      aìpdaueriDliaatrBaricAiHacfflBpflri 
l'appariiiaiia      gflo.t*alapi6akeacrfder1ab>«*ia» 


pitdl  (n  rft*  la  trrrtSitaritpfraic  It 


Ond'  està  ollracotanza  in  v 

Perché  rìcaleilnilo  a  quella  voglia, 

A  cui  Don  puole  il  fin  mai  essor  mozio, 
E  che  più  volle  v'ha  cresciuta  doglia? 

Che  giova  nelle  fata  dar  di  coiio? 
Cerbero  vostro,  so  ben  vi  ricorda. 
Ne  porta  ancor  pelalo  il  mcnlo  e  il  gozzo. 

Poi  si  rivolse  per  la  strada  lorda, 

E  non  fé  molto  a  noi:  ma  fé  sembiante 
D'aomo,  cui  altra  cura  stringa  e  morda, 

Che  quella  dì  colui  che  gli  é  davanle. 
E  noi  movemmo  i  piedi  in  vèr  la  lorra. 
Sicuri  appresso  le  parole  sanie. 
Dentro  v'entrammo  senza  alcuna  guerra; 
Ed  io,  ch'avea  di  riguardar  disio 
La  condizioD  che  tal  fortezza  serra, 
'  Com'  io  fui  dentro,  l' occhio  intorno  invio; 
E  veggio  ad  ogni  man  grande  campagna 
Piena  di  duolo  e  di  tormento  rio. 

Si  come  ad  Arli,  ove'l  Itodano  stagna, 
Si  come  a  Pola  presso  del  Quarnaro, 
Che  Italia  chiude  e  i  suoi  termini  bagna, 

Fanno  i  sepolcri  tutto  il  loco  varo; 
Cosi  facevan  quivi  d'ogni  parte. 
Salvo  che'l  modo  v'era  più  amaro; 

Che  tra  gli  ai'elli  fiamme  erano  sparle. 
Per  le  quali  eran  si  del  tutto  accesi, 

ijdìJd  i  dliTsti  id  ipro  li 


97,  tMlltfaM  dardi  tono,  do» 

d^Di!.™""     "  °°''*°      '    *"* 
W.  pdala  ti  menta  te.  CHt  gli  ii 

iman  quiDiio  Tsile  opponi  ili' coirai 
<VK.ct6Sc  in  latiirmTalsU  dal  File-,  tb 
l'crM,  •n«TllDlo  per  li  gali  ■  inuk 
Olla,  la  Iruciobun  fuordellt  porla. 


i. 


in.  in  vtr  la  lirra,  tiooianola 
tiltk  di  DJlB. 

105.  appiYiiD  II  parai»  ta*lt: 
dopo  udii*  le  porolB  del  misa  cilnlf. 
—  la  quello  IbtìiIo  poUnle,  cbo  esa- 


lici gli  ivrililx  rìaporla  nrenie. 
4Ug.  La  MmJiiiDn,  il  goMra  dìpec- 


I  11.  Jr/1.  dltk  della Promou,  »e 
il  Hodino  furni  un  lego. 

US.  Pola.  ciUà  dell'blnl.  — 
fiumara,  golfo  eha  bijpia  l'ialrit. 
utiima  parie  d'Ililia  ,  eia  dividi dill* 


?••}"'  "  ,'■ 


CANTO  NONO. 

Che  ferro  più  non  cbiede  venin'  arie. 

Tntli  gli  tor  coperchi  eran  sospesi, 
E  faor  n'DScivan  si  duri  amenti, 
Che  ben  parean  di  miseri  e  d' offesi. 

Ed  io:  Maestro,  quai  son  quelle  genti. 

Che  f«ppel1ile  dentro  da  quetl'  arclie  i 

Si  fan  sentir  eoo  gli  sospir  dolenti? 

Ed  egli  a  me;  Qui  son  gli  eresiarche 
Co'  lor  seguaci  d' ogni  sella,  e  molto 
Più  che  non  credi,  son  le  tombe  cardie. 

Simile  qui  con  simile  è  sepolto,  i 

E  i  monimenti  son  più,  e  men  caldi. 
E  poi  eh'  alla  man  destra  si  fu  Tolto, 

Passammo  Ira  i  martiri  e  gli  alti  spahii. 

{£0  Chtfrmpiinmel,irdtti.  cbe  tiìb  principi  »  tapi  d'treii 

nM'arto:  ii  aneu,  (he  dÌbdi  irto  di  150.  binile  fUi  co»  limili.  0| 

fabbro  a  ài  r<xiJilarD  firbicdfi  rhs  aJ«  lomb*  c«iIi«Do  no  diverto  ^uerc 

più  gema  il  Itm  da  liioram.  Hllarì,  pircib  ogni  limila  i  lepoilm 

IST.  tnnarthe.  1  o»iri   iDliclii  in» trmilB, 

traccino  il  ^lutile  in  «  dai  dodì  ma-  15à.  Irai  nutrtiri » gK aìU  tp 

andini  Irnuuali  in  ■  al  lìnjfnlirf ,  imi-  di,  àtA  Ira  tv  tombe  accese  a  la  iddi 

Ertfitftia  è  parola  ijma  coiDpoata ,      latoi,  per  le  iDDra  ;  la  parie  pri  tulle 


CANTO    DECIMO. 


Ora  sen  va  per  uno  stretto  calle 
Tra  '1  muro  della  terra  e  li  martiri 
Lo  mio  Maestro,  ed  io  dopo  le  spalle. 

0  virtù  somma,  che  per  gli  empi  giri 
Mi  volvi,  cominciai,  com'a  te  piace. 
Parlami,  e  soddisfammi  a'  miei  desiri. 

La  gente,  che  per  li  sepolcri  giace. 


Pota'bbesi  veder?  g 
Tutti  i  coperchi,  e  i 

1.  a  Marlfrf.  dai  le  loDihe,  dì  tui 
I  («na  133  drl  Cinlo  pretedcDle. 

«4,  O  rirfb  loniiui  te.  i  a  illa- 
■oUapealF  •  nirtuwiViroiliii  cLe 
■i  ani  altotao  pei  tcrchj  iDfcrDali  k- 


levati 
issun  guardia  face. 

C,  wxIilii/Dmmi  a' miei  itttrii'X. 
orDii  eltiirici,  elle  pgt  inpplini  ccd^fl 
odiita  me  riguardo  ai  miei  daidu),  ■'' 
lei  miei  daiderj. 

S.  Inali,  ttevali,  abili. 

S.  fatf.  Fa  :  dall' iDtiq.  (ann. 


Ed  egli  a  me:  Tutti  saran  gemili, 
Quando  di  Jos^iITù  qui  tomeranoo 
Coi  corpi  che  lassù  banno  lasdulL 

Suo  cimitero  da  questa  parie  hanno 
Con  Epicuro  tuUi  i  suoi  regnaci, 
Che  r  anima  col  corpo  moria  Tanno. 

Però  alla  dimanda  che  mi  faci 

Quinc' entro  soddisfallo  sarai  lu-sio, 
E  al  disio  ancor  che  lo  mi  taci. 

Ed  k>:  Buon  Duca,  non  legno  nascosto 
A  te  mio  cor,  se  non  per  dicer  poco; 
E  tu  m'  hai  non  pur  PO  a  ciò  disposto. 

O  Tosco,  che  per  la  cillà  del  fòco 
Vivo  ten  vai  cosi  parlando  onesto. 
Piacciati  di  ristare  in  questo  loco. 

La  tua  loquela  ti  fa  manireslo 
Di  quella  nobii  patria  natio, 
Alla  qual  forse  fui  troppo  molesto. 

Subitamente  questo  suono  uscio 

D'una  dell'arche:  però  m'accostai, 
Temendo,  un  poco  più  al  Duca  mio. 

Ed  ei  mi  dipse:  Volgili:  che  fai? 
Tedi  là  Farinata  che  s'È  dritto: 
Dalla  cintola  in  su  tutto  il  vedrai. 

lo  avea  già  il  mio  viso  nel  suo  GlIOL 
£d  ei  s'ergea  col  |)etlo  e  colla  fronte, 
Com' avesse  lo  Inferno  in  gran  dispitto: 


rio»  i  tar. 


*p«l- 


d- iniino,  (  «1»  dei  Ghibillmi 
■e.  A  Moni'  Api-iii  pnno  il  finn»  *lki> 
<tii(n-e  in  niu  UDgaiosu  btlOfli*  \fM. 
1 260)  l'cwNllii  indlD,  crinlnto  Iti» 
'    '    '    "'  (ibiMiitCnii, 


CAMIO  DECmO. 

E  le  animoie  mut  del  Duca  e  proole 
Mi  pÌB98r  tra  le  aepellure  a  ini. 
Dicendo:  La  parole  t«e  éieu  conte. 

Tosto  di' al  pie  della  eoa  tomba  lui, 

Gaardoomi  on  poco,  e  poi  quasi  adegnoso 
Mi  dimandò:  Chi  ftir  li  noaggior  tuiT. 

lOy  eh*  era  d*  obedir  disideroao, 

NoQ  gliel  oelai,  ma  tutto  gliel'  apeni: 
Ond*  ei  levò  le  ciglia  na  poco  in  eoe»; 

Poi  disse:  Fieramente  furo  ayrersi 
A  me  e  a*  miei  primi  e  a  mia  parte. 
Sì  che  per  duo  fiate  gii  dispersi 

S*  ei  fnr  caodaii,  ei  tornar  d*ogni  parie. 
Risposi  lui,  e  r  una  e  1* altra  fiata; 
Ma  i  Tostrì  non  appreser  ben  quell'arte. 

Allor  surse  alla  vista  sooperdiiata 

Un'ombra  lungo  questa  infino  al  mento: 
Grado  che  s' era  inginocchion  levata. 

Dintorno  mi  guardò,  come  talento 
Avesse  di  veder  s' altri  era  meco; 
Ma  poi  cbe  il  aospicar  fu  tntto  spento, 


67 


40 


46 


60 


Utmnit.  I 


44.  %mUB§iUtmp9ni:  ffiniMif*. 
«*  U  MM,  U  aia  •tirp«,  C«ll«,  aw. ,  ia- 

DGaa.P«f  lu filai ipara». 

45.  iMé  1^ d^ii«  fa  mm:  è  r  alla 
i>  ck  mUsMa  alla  «aoMcia  ^ aaklM 


1         4S.fMé  l^d^ 
i>ck  riafciwi  al 


-  » 


(^csl'aTfarfciaaa- 
pìè  kaUa  riCsrfta  a  éÌM«, 
ibalfMfc>yartariMa/Wf 
M  Ma  aM  altarara  la  lei.  mi 
aHB  Mie  alara. 
47.  ^fliM  yriaii  csaè  a 

fmtU^  alla  parla  fU- 


'-iai  aa- 


4a.fM'A»itel0«f.UpriaMT«lla      1 


II 


Tffjkm  ai  30  ottabra  daH'aaiia  preM- 
Mla.  Dopa  la  MMwla  eaeàafa,  ritai^ 
saroaaia  Piraaze  aal  4266  per  la  teoa- 
filla  a  la  aMiia  M  rt  Maarradi.  Ma  a 
qvaila  Meoa«lo  rilanM  FarraaCa  aao  ri 
tfw^,  eMen^  «Mirto  aal  42S4. 

51 .  Jf a  4  vatfri  hor  tppnttr  am 
^naiTar  te,  eiaè  di  lorvare  «opo  caedati. 
—Nel  500  Dania  ara  MOipraGadKb,  al- 
mesa  apparente  aicala  :  para  ani  ntpao* 
da  «on  «oa  caria  ironia  al  CmbeHiao. 

52.  twr$§miU  9itlm:  nari  a  fani 
renare.  <Mi  ania^a  jcupai'CiMAHi  fM9 
ai  wanlo,  fnar  4al  copaii'liio  latta  la 
leala.  Qnrtl' ombra  è  Caralcanle  Caral- 
canli,  padra  di  Gnido,  a  OnaHa  par 


i  Gia- 
cili ad  naór 
UaftbWaio 
laaMnSila  di 


m^hmm — -^ 

UfàftHà  noi  i2ee 

4ft,  §i  ftir—r  #afii4  ^nrte,  cioè 
'^  iMfn  ava  ai  araao  riaooarali. 
Sali  MI  ■Ili  ed  4a,  •  finali  lor- 
»M  rmmm»  noi  fMaaia  4»i  m 
diU  ai  GfciWUini  a 


SS.  IwMOfWMfa,  aeeanlatqnail 
ciaè  all'ombra  di  FariaaU. 

S5.  laianla,  roffia. 

57.  Jfn  poiete  iiiMplMr /te  Mfe 
§pmdo:  ma  poiché  gK  fanne  mano  l'opt- 
nioae  ebe  egli  aveva  di  vedara  la  par- 
Mna  dcaiderala.  Qnì  ioèfimr  è  praa 
nel  flifniScalo  di  aftendara,  can  nna 
•paria  d'iocarlcBai  o  eaenandana  dV 
ai 


Piangendo  disse:  Se  per  questo  cieco 
Carcere  vai  per  altezza  d' tagegno, 
Mio  figlio  ov'  è?  0  perchè  non  è  leco» 

Ed  io  0  lui:  Da  me  stesso  non  vegno: 
Colui,  che  attende  là,  per  qui  mi  mena, 
Forse  cui  Guido  vostro  ebbe  a  disdegno. 

Le  sue  parole  e  il  modo  della  p^na 
M'avevan  di  costui  già  leito  il  nome: 
Però  fu  la  rispobla  cosi  piena. 

Di  Rubilo  drizzalo  gridò:  Come 

Dicesti  egli  ebbe?  non  viv'  egli  ancorai 
Non  fiere  gli  occhi  suoi  lo  dolce  lomef 
-Quando  s'accorse  d'alcuna  dimora 
Cb'io  faceva  dinanzi  alla  risposta, 
Supin  ricadde,  e  più  non  parve  Cliora. 


t 


Ma  quell'  altra  magnai 

lìmo,  a  cui  posta 

60.  0  perckè  Kimtictof  qundo 

aTran  cnulo  per  oocita  difTcroot  #•■ 

cu',  bu»;  .mùl  «.T.I.. 

plniona  di  Uiniani  ci  imani  o  mwa.. 

63.  FOTM  «H  Guido  voitn  «..- 

Quindi  la  ra|;Ì0De  d'aver  potuto  D«ri> 

<iuii«  fu  p«U  liti»  .  filo»!»  d>  mollo 

lalon.  Nonètinli  inlcndtre  come  llin- 

l'irBilin,  ODO  mi  come  pm^ta,  •  wdh. 

t.  potEiu  («.ptUirl»  oemico  o  ipreeif 

>D«>o  coni.  dniUlo  drllo  llloM>6a  M.- 

loreaviriìlìo.  Da  porti  ...uHiImu- 

•.Imo  dn  poiti!  Smbbt  tlulo  il  Ot.l- 

.laailor»  della  diti»  orìR'»'  dtll'iape- 

arll^toV^am^i  Hù'patlk^^  MlinJ 

r.5   già  ledo  il  noma.  Qui  il  tari" 

Iijgm  Ila  nel  lenio  di  ipiegart.  ti- 

i1  tdgm  auccalo,  ad  illri  iii>;ii>i  ■ 

chiarare.  Se  ai  tmiue  sua  loioM^u 

f.rb.lB».   Il.ioooa.«lo«»i,p<r 

ci*  («l*  V  psUBM  wpaom  ih*  odiuia 
Vir|ili«i  <£é  >Dch.  no^  4»i*Bia  di  icrW 

dei  doa  Cod.  Aoiald.  a  Bxtolin,,  ct.c 

porlano  iato»  gl'ile  Un  ti  «w*. 

»«.«ll.i«».r.lmju...ppur««.di. 

bcH  mtealila. 

■  I M.  Si  t  daUo  incb.,  ci»  l).olc  poi* 
ttìmn  il  Ctiaiunli  anlii  irci  luna  p,r 

G9.  nonffrtslio'ehii^olLiMtr 

ttm-f   11   liuaa   ici  ff.>r»  «w   |iatr 

Donaio-  mi  iralBla  luiiUr  niM  ad  un 

(dall'antico  (termi,  ooo  letiaea  pid  |!< 

pBBU  irlco,  ■  imiUiuoi»  del  gran  L»- 

o»hi  taoiT  eioè.  jll  oechi  n»  •»•  >»■ 

dono  uiiutia  Jrfla  ln«  dal  (ionwT  (*- 

Ua*,  a  coi  (une  uiv  volle  le  dimoio  IV 

i-i.«>«>a.«t.'.»«ia  »..«>....>«  ap- 

■w  dicafan  (li  anlidii  par  linuk  noM 

ff  panlopiadell'ilui.  ɻo  ^u,!  clia 

0110»  per  umore  «. 

I)    draansi  allii  rbpotla.  ■Ttnl' 

(i>,a>a*  era  Hai»  Danlr  Cueal  1300, 

di  ruMoJare 

f*<»  Mia  >»....  a  dal  aoa  »>.l»- 

13-7*.  •  e«(  polla,  a  cai  nthÌMU, 

■Wita.  B  Bolla  llc.I(  cb-Hl.  B«D  eOB- 

«BW«MtI'Ìdal(lcll'Ìiiil>c<o.a3l»B[;i.U 

S5 


90 


CAUTO  PECIHO.  ÌG9 

Restato  m' era^  non  mntò  aspetto, 

Né  mosse  collo,  nò  piegò  saa  costa.  7S 

E  se»  conlìnnando  al  primo  detto, 

EgU  han  qneir  arte,  disse,  male  appresa, 
Ciò  mi  tormenta  più  che  questo  letto. 

Ma  non  cinquanta  volte  Oa  raccesa 

La  faccia  della  donna  che  qui  regge,  so 

Che  ta  saprai  quanto  queir  arte  pesa. 

E  se  tu  mai  nel  dolce  mondo  regge, 
Dimmi,  perché  quel  popolo  é  si  empio 
Incontro  a'  miei  in  ciascuna  sua  1^^? 

Ond'io  a  lui:  Lo  strazio  e '1  grande  scempio, 
Che  fece  PArbia  colorata  in  rosso, 
Tale  orazion  fii  for  nel  nostro  tempio. 

Poi  eh*  ebbe  sospirando  il  capo  scosso, 
A  ciò  non  fu*  io  sol,  disse,  né  certo 
Senza  cagion  sarei  con  gli  altri  mosso: 

-Ma  fu'  io  sol,  colà,  dove  sofferto 

Fu  per  ciascuno  di  tor  via  Fiorenza, 

1^.  mmUmm^ndù  «i  primo  itito,  ch«  ti  ficeTtno  ai  Gbibellioi,  veoivano 
~    ~   il  àmtmm  coaiaciato  dita*  tempre  «ceettoiti  gli  Obcrti:  tmpio  tU 
m»  54 .  qoi  ptr  em^a. 
7S.  fvcfto  Ulte,  il  aapolcro  aeoeao.  87.  ttdeomioii :  (ali  propoate,  ttli 
79.  Jfo  «•»  eimfu&mtm  volte  ec.  l  richieste.  Nel  nostro  tempio:  prima  cho 
"  plcarlvai  «fi  die  qvi  ti  parla  ai  edifirasae  il  pnbblieo  palagio,  i  Fioroii- 
■a*a^eee all'aprile  del  1304,  tini  aolcTan  tenere  le  loro  adooaoxe  in 
Il  Biaaeki, tra'^ali  Dante, diapo-  qualche  chìeaa.  Aoeo  il  aenato  romano, 
ikcaaepcrillerorilorooinFiren-  qoando  ooo  poteTi  nella  Carie,  ai  ra- 
••■•••veiMienci  nodi,e,eo-  lyanaTa  in  an  tempio  o  per  pie  aieoresza, 
»,  ai aeparò  dalla  fazione.  (Vedi  u  affinchè  la  reiifpooe  e  la  erednta  pre- 
dar., G»  XVII, f .  ai  eeeeif.)  —  Il  eolpo  sento  del  nume  lo  faeeeaero  pia  modera- 
fa  pai  lenfaln  nel  taglio,  e  andò  fallito,  to,  e  gli  rieordataero  la  ginstiriae  laret- 
tS.dWIfl^MMM  ne.:  della  Lana,  che  titudine  nelle  deliberasioni.  Pm  far  tot 
il  mameitt  Frean  pina  regna  io  Inferno,  orasio»  adunque  Tele  {mtMedere  la 
$Ì .  f  wte  f«ieir«rle^a.  Quanto  rostra  éitpertiono.  Orazione  è  usato 
^^  ^''^eiln  impresa  e  piena  di  cure  eoo-  i  rooie. .  per  farlo  consonare  non  tempio, 
ed  nrere  i  mexzi  di  rignadagnare  Ma  vedi  che  oraiionel  lo  abandeg(*ia- 
riiwrd«ta;qaanto  diUcile trovare  mento  e  Peaterminio  dei  proprj  fratelli. 
»,lede,diacmioae  nella  parte  ee.  Si  narra  anche  de  alcani,  ehe  a  tanta 
^  «•  Inaiai  et.  Intendi:  COSI  cmpiefkgiunneaae quello seelerato furor 
I  ricwadarti,  ritornare  tra'ri vi.  di  parti,  che  dava ntialPaltare del  Dio  del 
B  ar  è  particella  depreeatÌTa  :  il  regge,  perdono  a'osauc  preferire  popolarmenf  a 
far  te  roggim,  è  dell'antiquato  r^ere  qnoala  preghiera:  «il  dooMMi  Obertan 
ara  ioveee  di  riedere,  dì  cai  ai  eradicare  et  dieperdero  dignerii. 
mmgm  aadbe  ael  Giamboni  :  Reg^          89-90  né  eerto  ee.  :  aè  certamente 
4m  prima  reeé  In  Occidente  le  sarei owafo.  mi  sarei  moaao,  eoa  gli  al- 
nii/fmieéi  S  Stefano;  noè  tornando,  tri,  ae  non  ne  aveari  avuti  forti  motivi. 
S3.  mtrtké  gmei  popolo  è  H  em-          02.  Coa'i il  Cod.  Antaid.  —  La Com ■  : 
fta  «.  la  lalia  la  reomaiaoi  a  grane  Fapereiaienndilorrt  vtaFiorenza. 


DELL  rmtLMj 

Coltri  cbe  la  dipese  a  viso  apcrlo. 

Deh,  se  riposi  mai  vostra  semenza, 
Prega'  io  lui,  solvetemi  qnel  nodo, 
Cbe  qui  ha  inviluppala  mia  senteoia. 

E"  par  che  voi  lei^iaie,  ?e  ben  odo, 
Dinanzi  quel  die  "1  tempo  seco  addace, 
E  De!  preeeole  tenete  altro  modo. 

Noi  v^iam,  come  quei  e'  ha  mala  luce. 
Le  co»e,  dimise,  clte  ne  son  lontano: 
Cotanlo  ancor  no  splende  il  sommo  Duce: 

Quando  tf  appressano,  o  son,  lutto  è  vano 
Nos^tro  inlcUelto;  e,  s'aiiri  noi  ci  apporta, 
Nulla  sapem  di  vostro  stato  umano. 

Però  comprender  puoi,  che  tolta  morta 
Pia  nostra  conoscenza  da  quel  punto, 
Clw  del  fiilaro  6a  chiusa  la  porla. 

AUor,  corno  di  mia  colpa  componto. 

Dissi:  Or  direl«  dunque  a  quel  caduto, 
Che'l  800  nato  è  co' vivi  ancor  congiunto. 

E  a'  io  fui  dianzi  alla  risposta  muto, 
Fate  ì  saper  che'l  fei,  percU  pensava 
Già  nelPerror  che  m'avete  soluto. 

E  già'l  Maestro  mio  mi  richiamava: 
Perch'  io  pregai  lo  spirito  più  avaccio. 
Che  mi  dicesse  chi  con  Ini  si  slava, 

Dissemi:  Qui  con  più  di  mille  giaccio: 
Qua  entro  é  lo  secondo  Federico, 

ìfh,itripoitte.-Ìtb,itt\ibit     Ma  ci  tni  pii  Itmfa  n 


1 

I 


Ite   Cht 


Cht  qwf  ha  'urUuppata 


■jgimU...  Dìnaiui':  prr. 
xl  tÀi  '(  Itmjm  Itto  Qddu- 


UD.  £■. 


t'ha  nula  luce,  che  è  pmbiii. 
tu».  Colonia  aiKor  lu  iplnulr  «. .' 
A  (Milslva*  mciin  IJJioti  fijrt'ii. 
tiSS.  Q—ado  f  apprauna    Us> 

108.  Chi  M  /wtora-  M.:  iwbJb 


l<5  raki.filoilgi.Vi>«Ctiit>V, 
lonoTB. 

IH.  luir rmr  te.;  taatm»  ul 
duhbio  ti»  mi  .xrU  iciollo,  »t  US* 
TUi  BM  Hppialr  If  row  BrtH*IÌ. 

1 1  e.  piò  ataaio.  pia  t-rfleàUsB- 

1)9   lu  leeMda  Ftitritt'.  Mia 
I  Htjli  tlahciKl>a[n.  t* 


finii" 


KiblBllW 


E'I  Cardinal?,  e  degli  altri  mi  Uccio. 

Indi  Nascose:  ed  io  in  ver  l' antico 
Poeta  volsi  i  pa^si,  ripensando 
A  quel  parlar  che  mi  parea  nimico. 

Egli  si  mosse;  e  poi  cosi  andando, 
Mi  disse:  Perchè  sei  lu  si  smarriloT 
B  io  li  soddi5<fbci  al  suo  dimando. 

La  menta  tua  conservi  quel  cbe  udito 

Hai  centra  te,  mi  comandò  quel  Saggio, 
E  ora  attendi  qui:  e  drizzò 'I  dito. 

Quando  sarai  dinaniM  al  dolce  raggio 
Di  quella,  il  cui  bell'occhio  tuUo  vede. 
Da  lei  saprai  di  tua  vita  il  viario. 

Appresso  volse  a  man  sinistra  il  piede: 

Lasciamolo  il  moro,  e  gimmo  in  ver  lo  me 
Per  un  seolier  che  ad  una  valle  Gede, 

Ctie  'ufin  lassù  facea  spiacer  suo  lezzo. 


Bn»,  Idi*   a 


lire  ili  Betirìce,  iddili  il  Isogu  cd«(t 
I»'  clli  bi  Ht  icd*. 

iiZ  Da  Itt.ttrAtOnUtpfrrBit 


:■  dlCierJajpiiJ** 


'amplerà  di  lfi,ìcHÌ  deìli  tu*TÌU  aT- 
rcnirp.  Mt  ava  y*h  Lifnmto  di  fliwir 
«i  li  grimaiili».  Vipjiho  npen 


4  ».  £  'I  Cardiaatt  :  OUtviaiu 
(li  DkaUini,  itila  il  Cariinali  pei 
(illiaa,  bolo  tDino»  io  pirla  gtii 
lua ,  Am  diwi  ;  %t  ■ain*  è ,  in  I 
rttìla  pt'CUbclliai.  Pircib  (isti 

vÙf—lBto%iafkatt\.  BiRsatiiincht      ItinU  il  Piraili»,  «die  itriblM  » 
i  CÉrfadi  BCBU  in  iiauit  tundiliiu      ipiefirgli  ogni  dubbia  Intanw  illi 
-j — y—l — ■i--^i-f'-i-nt'-''Fi-       iiU  tuia»,  a»  ioiparU 
imito  the  aaa  |li  «trrapw  eam'  egli      di  taditiiture  ella  tUtn  i 
Old***  £  OHtilUT  ;  and'  eiii  alienò  di      o  ■'doidaridi  Ini,  fart  eb 
Id  •  dal  IH  partilo.  diiFaceia?  G  datrl  uap 

I2i.  J  flirl  parlar  ;  voii  inpra  ai      lai,  aiaoms  da  prima  ngi 
■•ni  19  e  Kg.  DM,  quiUbtliati  il  numi 

I2t.  Il  toddU{eci  re.   È  ta  lUati      Taglili  per  cuinDaicarglielii. 


129  Baraaltmdiqui 


CSC 


el  drùiò  1  dito 


fltdt  Ida  /Min,  ferirà),  i 

130.  Imo.  pniiB;  (pi 

ditpioMrbailCwl.CauD 

iL-dulu  dal  .h.  P.  ronla. 


'.SS, 

M 


I 


CASTO   DECmOPRUIO. 


H  r*«  An.  e 


In  SU  reslremìlà  d'un' alta  ripa, 

Che  Tacevan  gran  pietre  rotte  in  eerchio, 
Tenimmo  aopra  più  crudele  stipa: 

E  quivi  per  l' orribile  soperchio 

Del  puzzo,  che  il  profondo  abisso  gilla. 
Ci  raccostammo  dietro  ad  un  coperchio 

D'  un  grande  avello,  ov'  io  vidi  una  scrìtta 
Che  diceva:  Anastasio  papa  guardo, 
Lo  guai  trasse  Fotin  della  via  dritta. 

Lo  nostro  scender  convìen  esser  tardo, 
Si  che  s' ausi  prima  un  poco  il  senso 
Al  tristo  (iato:  e  poi  non  Ga  riguardo, 

Così'l  Maestro;  ed  io:  Alcun  compenso, 
Dissi  Ini,  trova,  che  'I  tempo  non  passi 
Perdnlo:  ed  egli:  Vedi  che  a  ciò  penso. 

Figliuol  mio,  dentro  da  cotesti  sassi, 

1-3.  In  tu  Feilremlli  te.  IntEndi:      fo  lerillo  t  ct*Jii(o  do  ter 


vbIb  dell' crviko  Al 


I 


ti.  —  Che  faenan  gran  pitirt  a,. 
cioè  Sunoalt  ài  gnoii  picln  te.  Il 
Cod.  2  delta  LiiiHniiini  licj;.:  Clu 
(anta  H  fran  fMrt  ralle  un  tir- 
cACa. 

i.  teferMa.  ttft»ti. 

0.  Ci  rociDsInimiio.  d  ripiriinnio. 
Qui  il  r*  (itipDiilo  gì  icibo  aecoilart 

ripililHin  d' Ridai,  mt  piuUnla  ani 


■  foi  «um  Ila  rignaria,  • 


8.  ^>uitat<o  papa  iruardo,  doè,     inJir  (nnchi 

me.— togual,cDÌ,tcco-  IO,  dentro  da  eolrili  talli,  *!  di 

LilcDdcdÌA<ll9tiiÌDlI,di'lnuilc      icllo  di  caini!  iDlltmi, 


CAlfTO  DECIMOPRIMO. 


73 


Cominciò  poi  a  dir,  son  tre  cerchietti 
I>i  grado  inf  grado,  come  quei  che  laasL 

Tatti  soo  pien  di  spirti  maledetti  : 
Ma  perchè  poi  ti  basti  por  la  vista, 
Intendi  come  e  perchè  son  costretti. 

D'ogni  malizia  ch'odio  in  cielo  acquista, 
Ingiuria  è  il  fine,  ed  ogni  fin  cotale 
0  con  forza  o  con  frode  altrui  contrista. 

Ma  perdiè  frode  è  dell' uom  proprio  male, 
Più  spiace  a  Dio  ;  e  però  stan  di  sulto 
Gli  frodolenti,  e  più  dolor  gli  assale. 

Di  violenti  il  primo  cerchio  è  tutto  ; 
Ma  perchè  si  fa  forza  a  tre  persone, 
In  tre  gironi  è  distinto  e  costrutto. 

A  Dio,  a  sé,  al  prossimo  si  puone 

Far  forza;  dico  in  loro  ed  in  lor  cose, 
Com'  udirai  .con  aperta  ragione. 

Morte  per  forza  e  feruta  dogliose 

Nel  prossimo  si  danno,  e  nel  suo  avere 
Buine,  ìncendj  e  collette  dannose  ; 

Onde  omicide  e  ciascun  che  mal  fiere, 
Guastatori  e  predon,  tutti  tormenta 
Lo  giron  primo  per  diverse  schiere. 

Puote  uomo  avere  in  sé  man  violenta 
E  ne'  suoi  beni  :  e  però  nel  secondo 
Giron  convien  che  senza  prò  si  penta 


20 


25 


30 


35 


40 


17-1  a.  etrékieUi,  ooq  niccoli  in 
lè  Htm,  ma  tali  ri(piinio  ai  passati , 
—M  fffltfo  In  grmdo,  cioè  rìatringcn- 

U  hmtti  pur  ta  «ùUt,  li  batti 

il  T«dnli.  . 

11.  totlfeiU,  n  riporti  a  tpirti,  « 
tilt  ^m  iocarrcrati,  o  paniti. 

K.  Jf«  perehè  f)rnd§  ce.  L'ostr 
Mia  lana  è  propno  di  tutti  gli  anima- 
fi;  Fabaaara  dell' intrl letto  per  fare  in* 
tana  aitnri  è  proprio  tolamenta  del- 

2t.  auffa. ioCta:  dal  Ialino ««òfM. 

ti.  il  prim»  crrrfcio,  il  primo  de* 

Ira  arrelnctti.  —  è  tulio,  ini.  pieno  di 

;  o  eonticaa  i  «ioleati. 

m  tre  pertous,  a  Ira  aorta  di 


SI.  flf  pu/me,  »  pQÒ. 


34  Jforfa  per  forza.  loleadi  :  ti 
ma  la  forxa  nel  prosfimo  dandogli  morta 
o  fai-ita:  gli  ai  fa  forca  aal  s«a  vterm 
colle  rame  ce. 

56.  eolhtte  immote;  forti  taglia 
imposta  da  principi  o  da  aBanadierì. 
Tacita  Della  Germaoia  dica  dei  Batafi, 
eh'  erao  tenati  dai  Bnmaoi  extmpti 
tmirikue  et  collatioiubos.  Ho  prefa- 
rilo  pertanto  questa  la.  all'altra  ai  lol- 
fette,  cba  è  idea  pi&  baiaa  a  di  minora 
importama. 

57.  omMi»,  è  il  piar,  antif .  di 
omitida.  —  mal,  gravamento. 

58.  Gu/oilotùri,  qna'che  fanno 
mina  ad  incendi,  ^-pnàam,  ^a'  cIm 
fanno  preda  della  rooa  altrni. 

40.  in  iè,  contro  sé,  «ccidendaai. 
41  E  ne' tuoi  beni,  scialacqnaa- 
<)aB. 


Qualunque  priva  sé  doÌ  vostro  mondo, 
Bisrama  e  Tonde  la  sua  fai'ullado, 
E  piange  là  dov'  esser  dee  giocondo. 

Puossi  Tar  forza  nella  Deìlade, 

Col  ror  negando  e  beslemmiando  quella, 
E  spregiando  natura  e  sua  bontade: 

E  peri)  lo  minor  giron  suggella 

Del  segno  suo  e  Sodoma  e  Caorsa 
B  chi,  spregiando  Dio,  col  cor  Tavella. 

La  Trode,  ond'ogni  coscienza  é  morsa, 
Può  r  uomo  usare  in  colui  die  sì  Gda, 
E  in  quello  che  fidanza  non  Imborsa. 

Que>to  modo  di  retro  par  che  uccida 
Pur  lo  vinco!  d'amor  che  fa  natura: 
Onde  nel  cerchio  secondo  s' annida 

Ipocrisia,  lusinghe  e  chi  aOallura, 
Falsili,  ladroneccio  e  simonia, 
Rullian,  baratti,  e  simile  lordura. 


43 .  Qualutif  IH  ce.  :  d 

44.  BUctata  rigntrdi 
Multc^iu  inipuCHnodite  ■ 


unno  molti  UDraj.  Da  »  di 
n  Filif  pD  l'Addi»  B  tìIoti  di 
di    Coarijiu   •»   diinuls 


«)   ftri   tutgariltr   CaoreiM   iH- 
51.  ff  eU,  iprttiaadt  tt.  E  chi 


■rIU 


I 


47.  Cai  evT  ntgandate.  Ntyt  Dio 

ran,  (U  derihtriUraiale  sIItibiì*  ì 
«■«  diiini  itlrìbali;  «  qoeili  Idi  Itili» 
tatn  ttélra  Dio  dirtldaral*.  CU  poi 
Umaan  ti  MnU  Ntlura  »■■■  l'iurinie 


Din  indirsi 


..,iip<,.« 


'"-  T^«i 


II.  Séprtfiando  ludira  « 

tdijiiirnvdci  contrs  le  leggi  ailm 

43-90.  tuggtUa  IM  it^n 

mrait,  cbinJa  io  i  J.  —  raurm 


r.  la  frùd4  M.  :  inlwdi  :  Il  •»- 
■  Ai  ogni  friBdoLaalD,  cb«  iwUm 
n  di  qiiHla  nao  pi  cbt  d'illn  4 
inetiiiluImcDle.  Oitvto:  U  tm- 


CAirro  DICIMOPRIMO. 

Per  Taltro  modo  qaeiraiDor  ^obblii 
Che  h  Datore,  e  qael  eh' è  poi  aggiunto, 
Di  che  la  fede  spenai  si  aia: 

Onde  nel  cerchio  minare,  ov'è  1  ponto 
Deir  Unireno,  in  so  che  Dite  siede, 
Qualonqoe  trade  in  eterno  è  censonto. 

E  io:  Maestro,  assai  duaro  procede 
La  toa  regione,  e  aasai  ben  distingue' 
Qoeslo  baratro  e  il  popol  che  possMe. 

Ma  dimmi:  quei  della  palude  pìngue 

Che  mena  il  vento  e  che  balte  la  pioemia, 
E  che  s' ineontran  con  si  aspre  lingue, 

Perchè  doo  dentro  della  città  roggia 
Son  ci  poniti,  aa  Dio  gli  ha  in  iraT 
E  se  non  gli  ha,  perché  seno  a  tal  lòggia? 

Ed  egli  a  me:  Perchè  tanto  delhi^ 

Disse,  lo  'ngegno  tuo  da  quel  eh*  ei  socie? 
Ower  la  mente  tua  altrove  mira? 

Non  ti  rimembra  di  quelle  parole, 
Con  le  quai  la  tua  Etica  pertralta 
Le  tre  disposizion,  che  il  Ciel  non  vuole, 

incontinenza,  malizia,  e  la  matta 


75 


65 


7a 


76 


80 


^"^  •'«•! ,  pw  la  ragione  cbe  a!lri- 

■■*  SaJ  a'armaipafnrrrbU  rogli  ti- 

^a^rtaatiti  attraiti   tporriiia,  fai- 

?*••£■■  Dani» ,  rHpnnim  in ,  non 

Mia  ^^tm»  BMadiiiitlk  :  e  non  ha  ^gli 

"r  ^«i  mffiitni.  —  bcrmtli, 
n  B«li  spiefa  harmttieri. 


t 


U-4$,  ftr  féliro  w»od9,  cioè  per 
land»  M  froda  cha  è  contro  colai 


•  Ma ,  «•■  lalo  ai  offeode  «fMl- 
km  la  Natora  wolc  tra 


Mi^  «■ni,  Ba  «imI  €*«  èpoitÈg- 
fmi,  età  il  TÌacolo  di  pamtado  « 
i  waM,  oada  $i  erim,  oaaca,  aoa 


tra  gli  «oanni. 

CM3.  Upmmlo  IhWUnireno,  il 

dali  tarra.  —  im  iu  ch€  Dite 

jWib  ■!  ^wlo  ka  aM  aeggio  LnH/Hia. 

>  p«Bto  centro  dciraoÌTar- 

fl  aialena  Tolemaico,  di  che 


Ci.  trmdé,  tradiaca. 

Il  Lm  iam  rmfion»,  il  lia  ragio- 

M.  tk§^$iitde,  che  tiene  in  aè. 


CotH!  Cod.  BartoIÌD.  ad  altri  taati,  me- 
glia,  wù  para,  che  la  eom.  th$'l  ptf- 

70-72.  ptei  Hetim  palud*  pingme, 
a  laogoaa,  aoao  gì' iracondi  e  gli  acci* 
diaai. — Ch§  m§nm  ii  vado,  •  iManrioai  ■ 
— tk§bmtt9lapiogfia,'tff»ìon.Sdte 
t^intomlr&nte.jì  pradiglii  a  gli  avari. 
Qaaati  peccati  ai  cooiprendeno  eolla  il 
OflOM  generale  d'incontiDeiiia. 

75.  r0f9'«,  roaaa  per  lo  foea. 

75.  «ono  «  ffli /bgfto»  cioè  a  al  fatta 
oMBiera  tormeatati. 

75.  ielirm,  devia ,  caaa  del  aegno 
contro  il  eoo  aolito. 

75  Cnai  leggo  col  Botf,  eel  Beriri- 
gi, aìl Cod. Conia.  5,  piotteatoehè  eolia 
comoae  :  Or«ar  !•  oiaile  dove  miinte 
mirm  ?  che  qoel  dove  «llrdM  wà  rie- 
ace  dnretto. 

80.  !•  tua  Etica,  V  Etica  di  Aristo- 
tile  a  U  cara.— parfraUfl»  tratta  dbte- 
samenle. 

81.  ineoniinanta^wwHsUtt.ìytcf 
Ariatolile  cbe  tra  cote  ano  da  foggirai 
qaanla  ai  coitoari  :  InconiinenUmmt  ti- 


liestialiladeT  e  come  iocontinenxa 

Men  Dio  ofTeode  e  mcn  biasiciio  accatta? 

Se  1»  riguardi  beo  questa  sentenza, 
E  rechili  alla  mente  chi  son  qaelli, 
Che  su  di  fuor  so^tengon  penitenza, 

Tu  vedrai  ben  perchè  da  questi  rdli 
Sien  dipanili,  e  perchè  men  crucciala 
La  divina  gìoalixia  gli  martelli. 

0  Sul  che  sani  ogni  vista  (orbata. 
Tu  mi  conlenti  si  quando  tu  »)lvi, 
Cbe,  non  men  che  saver,  dnhliiar  m' asg 

Ancora  an  poco  indietro  lì  rivolvi, 

Diss'io,  là  dove  di,  che  usura  offende 
La  divina  bontade,  e  il  groppo  evolvi. 

Filosofia,  rai  disse,  a  chi  la  intende. 


■^  titia,  1  f»rilattm.  Il  natlro  Poel 

IxriitliU.  l»  nilnii'  tla  od  mi  niu  95.  Vedi  Mpn  il  tru  n. 

éià\»rtp<Mr;  li  triUalili  e  l*  malùia  9B.i  a  jnip|M  iwlnf.  nJlapjoB 

tlHH  ndnLla  «d  atHLo,  qii*ii^  rnoinn  QoJa,  fnA  il  dubbip  idogli. 

tolto  wrds  (d  wpiì  *au  Usili  ririoailo  97.  rUatofia  ic:  I*  fi\eut;  M 

nrainill,   «   (bbiodan indiai   tolto  in  diae\lrgitia,iu((|ni  in  pìnd'anlMit* 

iRiura  •Itila  G>r«.  L'in-  maRÀtais  divino;  caia  ilairidattaBa 

K«au  delle  enae  a  di  Dia,  >  dal  wa  ofenrr.  ShouIb  1 

lìm.,  flava  aatmla  llalunid,  1'  (FM  fniB»  é  odl'iulalMla 

■Ir*  natura.  Sina  a  l'inti^lltita  dull'inra».  — lahiafcdi  ■ 

Dite  •oiiu  i  p4wirli  J' tneantlnmia  :  al  cftt  la  (nlflufa.  Iffnpina  alenai:  a  tki 

ili  Ib  t  punita  II  matitia  <  la  frullali-  t' alUiult,  óui  ■  clii  ri  pmaU  itt^iD- 

Id.  Iccsi  i<ria*|H'CMoixapani>  tolte  il  oc,  a  chi  U  nnlita. 

rnlo  dall' lafFnia,  lino  *  Lnritcro.  tOO.  *  da  lu' orli,   ilallt  (ih  iIj- 

84,  tcvtta.  atqBlili.  bilile  Iffini,  Uia  aBa  cobi*  Viti»  di 

87.  ludi  f^  


a  fola  parte, 

rorso  prende 

so' arto; 


Nola  non  pure  in  u 

Come  natura  Io  s' 
Dal  divino  intelletto  e  da  si 

E  se  tu  ben  la  tua  Fìsica  note. 

Tu  troverai,  iwn  dopo  molle  carte, 
Cbe  l'arte  vostra  quella,  quanto  puote, 

Segue,  come  il  maestro  fa  'I  distante, 

ddbbj  tonn  njpoiiA  dell 


Il  pogRiun 


i 


Ja  poca  ttm  i' 


litli  di  l)ii«. 


taluialvi.am 
i.  Ciìi,  am  mn  et* 


liidcri  la  FÌMc>  di  Ari) 


«HUbcn 


Si  cbe  voslr'  arte  h  Dio  quasi  è  nipote. 

Da  qaeslQ  due,  se  tu  li  rechi  a  meale 
Lo  Genesi  dal  priucipio,  conviene 
Prender  sua  vita,  ed  avanzar  la  genie. 

E  perché  l' usurìere  altra  via  tiene,  ' 
Per  Eè  natura,  e  per  la  sua  seguace 
Dispregia ,  poiché  io  altra  pon  la  spene. 

Ma  seguimi  oramai,  che  il  gir  mi  piace; 
Che  i  Pesci  guizzan  su  per  l' oriizonta, 
E  il  Carro  tutto  sovra  'i  Coro  giace; 

E  il  balzo  via  là  oltre  si  dismonta. 


412.  fl 


Chil  Patite.  IPmcÌ.i 

t.>m»D..iliignodtil 


_kdaDig,r>rl.  d.11.  n>lDra.  r-  - 

mA  ita,  ■  Dodo  di  miiiigluDi*,  cba  Aautii.1 
tParlcft  Dig  .|iini  oìpuii.  tl3. 

lOe.  £a  «Ulti  i(m  (natura  sdir-  la  Uri  Ir  ti 

J,  i*  lo   ridiianil  alli  tua  inrnla  U  »odi«MlÌ,> 

■■■nU  eh  leccali  lal   piincipis  dalli  ora  prima  del  ulà,   , 

K'^te,  a  VcnanlagEl  od  Ictnoi  «Mai-  il  nrÌBrioiii  Jill'  aarori.  —  oriiiMla, 

E|fi.  Lapimliilptla  Ggimi  a  tni  oai  tì  GlianliefiilEiiuinitianipfMaaacbtiDa 

V^hda,  Hoa:  Pmuil   Onu  Aomnin  noli*  lori,  che  ch^w  MÌ*UDi>  nclail- 

m^Ptrtéiu  <èI  optrariltir :  e:  Ine»-  vaiocola  in  *,  ediMiinn,  f.t.,  Alata, 


409.  >Ilni  aia  line,  lifn. 
riaall*  Nltara,  .liiprrnlio 
>••»»*  <!«»  dell' .,>e. 

tia.  !>»■««  ooluroec. 

,  M. 

doVa'io"* 

lolpw 

Laailemtma.  Tml. 
(14    Eli  Cari 

,io  di  prin...er.,  Il 
l'Ona  QHSGiore,  u 

ro  ce.   QuaoJs  a«r- 
iPoci,  oell'Hiuipo- 
t  Cam  di  BmI*,  0 
«de  tulio  n  qorlla 

«CM,  a  Mila  laa  lìcHa  a 
ltr«ia,dÌ«ilp<,ou.. 

parte  di  firln  dnnd 
dai  Lalioi  Courui. 
tideMi  t  Hrtlenlrii 

Hi-EoTalio. 
oHn.  lontano  di  qi; 

e  (pira  Cero,  delti. 
*«DU)  cht  i  tn  oe- 
.na,  .  thitmMi  dai 

4Ìt.peM  in  altro  pm 
NMn«lmd«r<rrollirar. 

ftr:: 

.faltarìpa.— citU 
>i-«dS™o,<.,rf 

^ 

Tal,  cb'  ogni  vista  ne  sarebbe  schiva. 

Qual  t  quella  niina,  che  nel  fianco 

^1 

Di  qua  da  Trento  l'Adire  percosse 

^5 

0  per  Iremoto  o  per  sostegno  manco, 

Che  da  cima  del  monle 

onde  si  mosse. 

Al  piano,  è  si  lo  roccia  diseoscofa. 

Ch'alcuna  via  darebbe  a  chi  sa  rosee; 

Colai  di  quel  burraio  e 

■a  ksceaa; 

IO 

E  in  m  la  punla  della  rotta  lacca 

L' infamia  di  Crei!  e 

ra  di:4csa. 

Che  fu  conrella  nella  fal=a  vacca: 

E  quando  vide  noi, 

•^  stesso  morsa 

Si  come  quei,  cui  1- 

ira  dentro  fiacca. 

» 

Lo  Savio  mio  in  ver  lu 

gridò:  Forse 

Tu  credi  che  qui  sì 

■1  dura  d'Alene, 

.^ 

Che  su  uel  mondo  la  morie  ti  porse? 

IH 

PartiU,  bestia,  chèque 

ti  non  viene 

^1 

Ammae^rato  dalla  tua  sorella, 

Ha  vasffl  per  veder  le  vostre  pene. 

9 

Qoal  è  quel  loro  che  si 

slaccia  in  quella 

C'ha  cicevulo  già  ' 

colpo  morule, 

■^ 

8    Tal.  ék-egni  rtita  oc  lulcodi: 

l'ori»  ddtKnp*  che  >« 

TariallUlwH- 

12  L- infamia  it  enti,  tM  il  a^ 

«ala. 

t.tulfiancait  .- dH  G.WO  dal  G»- 
ni>  IdiM,  U>  cui  pcrrouc  1<icll<  mìu. 

13    Chi  fu  «ne*» 

«oro  fu  E^DIrlI»  di  u 
PfsiF»,  don»  dil  n  d 

lo™,  d  i«l. 

t.  »  per  .<..l«si«  iM»™.  •  ptr 

Orta.Mni-, 

1"'  fkio"  in  OHI  -w 

d.la,..-  — 

i.érilaroiciaiÙCBUnii.iÌM 

ci«  il  P»cu  din  1.  f.lM  »ad.  Qwb. 

fn,,<M>ìrc.U.,t«.ias.<>.br.d.lIc.i» 

dÌH,.«M4«l. 

'nula,  ai  (lumadiu 

9.  Ch-tleuna  Ha  danbh,  k.:  A, 

dunque  <|uinlu  *  pnpotllo  à  metl*  •«»- 

t'J.dÌH««lo"rip.Vi 

1.  cerchio  in* 

.[.   di    p^rt    «udire   .1    b.uo      II 

iddìi  puoiL  ■  lini  ami  I 

i  bmlalì. 

riii«ai6  ci  di«  fIw  h'  irtt  rww  »a 

i3  /Larta.fÌattttlr*M 

'Z^Z'",ZXTi'^"T't\ 

l«.  i«S«lgiii> 

^ìt:.^. 

i.]*M  (oUopula,  pnwDli  ■Non  ■« 

Altn». 

dulth*  rà,  iKMhó  dinidi*,  •llm.m 

30  dalla  luaonl 

D.cÌ«èdaAriaii- 

\\  r«*»e  iMdHii».  Vedi  il  t.  20. 

t.a,  la  doalcinTaKÌ  t 

r<H.  ilnodadi 

IO.  Corralo,  bal»- 

■cridcn  il  Mia^Uor» 

1 1.  buie».t«Bt  aoUmmoiICVH, 

3l.«aul.flt.=  il 

riankaeè>f» 

di  lingua. 

^        l*,ilU»lir«NÌii>d«lt.np<ick>lidr- 

S2.  «.^Ihbq 

tlfn.  ii^tl 

^'"k!.  II  &d,  C«l.  1 

CliaritmlB 

1                          J 

l«  «Ipg  «orOla. 

^ 

CA5TO  OECIMOSECONDO. 


1% 


n 


so 


u 


40 


Che  gir  DOQ  sa,  ma  qoa  e  là  saltella; 
Vi<r  k)  lo  Mìnotaoro  fiu*  cotale. 

E  quegli  accorto  gridò:  Corri  al  varco; 

Mentre  eh*  è  in  fdria»  è  buon  che  to  ti  cale. 
Così  prendemmo  via  giù  per  lo  scarco 

Di  quelle  pietre,  che  spésso  movieasi 

Sotto  i  miei  piedi  per  lo  nuovo  carco, 
lo  già  pensando;  e  qoei  disse:  Tu  pensi 

Forse  a  questa  rovina,  eh*  è  guardata 

Da  qoell* ira  bestiai  ch*io  ora  spensi. 
Or  vo*che  sappi,  che  V  altra  fiata 

Ch'  i*  discesi  quaggiù  nel  basso  iaferaoi 

Questa  roccia  non  era  ancor  cascata. 
Ma  certo,  poco  pria,  se  ben  disoemo. 

Che  venisse  Colui,  che  la  gran  preda 

Levò  a  Dite  del  cerchio  superno. 
Da  tutte  parti  1*  alta  valle  feda 

Tremò  si,  ch*  io  pensai  che  1*  Universo 

Sentisse  amor,  per  lo  quale  é  chi  creda 
Più  volte  il  mondo  in  caos  converso: 

E  in  quel  punto  questa  vecchia  roccia 

Qui  ed  altrove  tal  fece  riverso. 
Ma  ficca  gli  occhi  a  valle;  che  s*  approccia 

ftoeralo  dalla  ditrordia  dagli  demaoli  ; 
a  all'  incontro,  rbe  per  la  ooncordia  lo. 
ro.  oa«a  per  V  «nini  dalle  partieaUa  «• 
nuli  alla  aàmili,  ai  dMaelveiaa  m  atea  : 
perciò  Virgilio  ^m  diea  di  anr  peaaato 
eàe  l' Vniveno  $tmU»f  «mot,  cioè  cba 
tornassero  in  concordia  gli  eUoMSli.— 
è  dU  erede.  È  forme  dei  Latini  cbe 
soesso  amano  aeira  al  praa.  relativo 
il  modo  sabinotivo  invece  dell'indica- 
Uvo  :  Etl  qui  ergimi.  Se  par  ne*  m 
TBol  dire  cke  ai  è  dato  a  mate  verbo, 
eomnnemrnte  della  eeeoada,  la  aaniu 
guiooe  di  enei  della  prima ,  cerne  de- 
gli entiebi  ai  trova  fallo  di  molti  eltrì. 

44.  £  i»  f«el  jMmfo.  QeeatopaBlo 
fo  la  morie  del  Redentore,  masdo  ei 
accasa  la  terra,  e  speceare«i  le  rapi. 

45.  Qui  te.  Cos'i  legga  la  Cratca , 
meglio  rbe  le  altre  edìzioM,  ebe  beone  : 
Qui,  ed  altrove  piit,  fece  Hrerio;  eieè 
si  ro9€iHè. 


46 


A.  fm-toimU,  fare  il  somigliaale. 

38.  fMglt,\irgilio. —  tUtarco,  al 
Fi*i  dmari  eenipeto  del  Minotaare. 

M.  già  far  lo  itmrco,  già  per  ^aello 
*f*im,iaHBaaBe  di  pietre,^  raioando 
'■Mre  apane  daUa  dma  del  monte 
fiMdpiaaa. 

Si.  par  la  MM>ae  «aree,  per  lo  pece 
'■a  aaneoa  vive  ad  esse  insolito. 

sa.  Aa  f«a(r  <ra  ÒMliai,  ciaè  dal- 
Tin  dsl  HiaaUara. 

14.  «ha  ralira  itala.  Vedi  il  Cen- 
Iia.veraa22 

Il .  «i  la»  dlfctraa^  a*  io  aoa  k' in- 


eioè 


SSJf.  Ckt  veniiu  Colmi  §e 
tbtaaiaM  Geaè  Crìato,  c*e  la 
pnU  ac.«  dm  le  aaimr  del  etrekio  •»- 
^•^  eiaè  dal  liaibe,  tolae  a  Dita. 
tao  iiatitti  è  lobo  de  ^«el  verso 
IdPiaae  VosUU:  a  TuUi^uofrmdmm 
Tmtari.  a 

IO  /Wa. 


46. 


fit€ti  oli  occhi  a  volle  #c.  *  ab* 
4l-4'2.  cà'lo  ptmoi  eli»  rVnittr-    ,  ba^M  gli  occbi,  gnarda  leggìi,  fieiebè 
Msr.Empedocle  opinò  cbe  il  aMadolbaaa      **  lyproccta»  si  epprmsa  ee. 


La  riviera  del  sangue,  in  la  qaal  bolle 
Qual  die  per  viotenxa  in  allrui  neccia. 

O  cieca  cupidigia,  o  ira  folle, 

Che  ai  ci  sproni  nella  vita  corla, 
E  nell'elema  poi  sì  mal  e'  immolle! 

r  vidi  un"  ampia  fossa  in  arco  lorla ,  (•) 
Come  quella  che  tutto  il  piano  abbraccia, 
Secondo  ch'avea  detto  la  mia  scorta: 

E  tra'l  pie  della  ripa  ed  essa,  in  traccia 
Correan  Centauri  armati  di  saette, 
Come  solean  nel  mondo  andare  a  caccia. 

Vedendoci  ealar,  ciascun  ristette, 
E  della  schiera  tre  si  dipartirò 
Con  archi  ed  asticcìuole  prima  elette: 

E  l'un  gridò  da  lungi:  A  qual  martiro 
Venite  voi,  che  scendete  la  coìtat 
Dilcl  costinci;  se  non,  l'arco  tiro. 

Lo  mio  Uaestro  disse:  La  risposta 
Parem  noi  a  ChiroD  costà  di  presso: 
Mal  fu  la  voglio  tua  sempre  si  tosta. 

Poi  mi  tentò,  e  disse:  Quegli  è  Nesso, 
Cbe  morì  per  la  bella  Deianira, 
E  fé  di  se  la  vendetta  egli  stesso. 

E  quel  di  mezzo,  cbe  al  petto  si  mira, 


iini[na  Hthi      ptr*  iì  aiippliiii 


I 

« 

I 


63.  DilrleoiUnci 


ri!;"? 


qa»  pi 
micia  ■ 


Irida,  io  vbiera ,  o  ■   GU. 
tp'wgi  in  circo,  intrndtiulu 

■M,  mcdhJp  cb*  ri  din  •nlle 
59.  CorrtoB  Cnlauri.  I 


67.  mi  ttnli,  ni  luteo  mI  |o«ita  s 
colli  Dianu  p.'r  limii  ttlmlo.— QMgK 
i  filila  te.  NsiD  Udii  di  npin  [Mi- 
nili ;  mi  Errole  mirili)  di  l«  tn)  oillt 
Irmis  lIuliT  od  unguc  dell'  Un  3  n- 


7i." 


0  diedi  ' 


puiri  gli  Klpolnt 
SO.  atlirn'iwlr,  di 


CANTO  DECIMOSECONDO.  S| 

È  il  gran  Cbirone,  il  qaal  nudri  Achille: 

Queir  altro  è  Polo,  che  fb  si  pieD  d'ira. 
Dinlomo  al  fosso  vanno  a  mille  a  mille, 

Saettando  qiial'  anima  si  svelle 

Del  sangne  più,  che  sua  colpa  sortille.  75 

Noi  ci  appressammo  a  quelle  fiere  snelle: 

Chiron  prese  uno  strale,  e  con  la  cocca 

F^ce  la  barba  indietro  alle  mascelle. 
Quando  s'ebbe  scoperta  la  gran  bocca, 

Disse  ai  compagni:  Siete  voi  accorti,  so 

Che  quel  di  retro  move  ciò  eh*  e*  tocca? 
Cosi  non  soglion  foro  i  pie  de*  morti. 

E  'I  mio  buon  Duca,  che  già  gli  era  al  petto. 

Ove  le  duo  nature  son  consorti, 
Rispose:  Ben  è  vivo,  e  si  soletto  t5 

Mostrargli  mi  convien  la  valle  buia: 

Necessità  '1  e'  induce,  e  non  diletto. 
Tal  si  parti  da  cantare  alleluia. 

Che  mi  commise  quest*  ufiicio  nuovo; 

Non  è  ladron,  né  io  anima  fqia.  90 

Ma  per  quella  virtù,  per  cui  io  muovo 

Li  passi  miei  per  si  selvaggia  strada. 

Danne  un  de*  tuoi,  a  cui  noi  siamo  a  pruovo. 
Che  ne  dimostri  là  ove  si  guada, 

E  che  porti  costui  in  su  la  groppa,  95 

Che  non  è  spirto  che  per  F  aer  vada. 
Chiron  si  volse  in  sulla  destra  poppa, 

E  disse  a  Nesso:  Toma,  e  si  li  guida, 


^  F§h,  tltra  Cotaaro,  de*  pie 

*>«•<•  imU  scile  ndMà  ìmpnM, 

-«  «raparti.  *^' 

71-75.  mjétmdma  te.  :  ^aalan^e 

***  fifri  M  Minia  aangiia  piò  dì 

^'•cha  pttacUa  la  legga  poata  ai  ?i«^ 

wiiMMlo  la  fnxiHh  aelta  colpa  lo- 

t^mrWk,  la  die  \m  aarte,  le  deatia^. 

77.  Ib  cmm,  l'aatreaniU  oppoata 

•h peata,  cMirfce  Ceca  iadiclra  i  pcU 

^  UrW  eh*  caprnrano  la  bocea. 

94.  Ov«  U  éwQ  mmtwrt  et.  :  ore  ai 
«•minfv  la  natara,  la  fuma,  dell' no- 
^  i  fàalla  dd  cavallo. 

n.  JVcMaattd  'lir'iaJMM.  Nenaaiti 
«'  beo.  e  Bemaità  di  aoa  aalata.  La 
A-l  Siratiià'i  eoudmee. 

b4  rcMnirodi  Bealricc.— a<^cr- 


fi  fc.  ;  cioè  n  parA  dal  Peradiao  ora 
caalava  «ileliiia,  cioè  loda  a  Dio. 

SO.  nuovo,  Doo  piò  adite. 

90.  Nonèìadrtm,  quaigià  aaadalo 
a  veder  ^oai  pane  raspetlioo,  uè  io  cfa« 
gli  aoo  guida,  tono  dannato  per  lai  delitp 
lo.— /ìifa,  fora,  foncé,  ladra.  Altri  apic- 
f^ao  nera,  ria,  il  ^aal  «(piificaU  ai  può 
bene  ottenere  cttcndendo  il  arìmitivo. 

93.  «a  da'  luoi,  uno  da' taoi  Cen- 
tauri. — acaiaoi  HoaioapmoM.cai 
noi  aeguitiaoio  d' apnreaao.  À  pryioto 
è  fatto  dalle  voci  Ialine  ad  ff^p: 

97.  fal/a  4e$trap(ipjm,  sulla  d»> 
•Ira  maronctla,  aul  destro  lato. 

98.  Tomo,  doè  torna  iadietro..*-a 
fi  li  fuidaj  a  fuidali  nel  Biodo  che  baa 
detto. 

6 


82 


dell'  UfFEaifO 

E  fa  cansar,  s' altra  schiera  vMntoppe. 

Noi  ci  movemmo  colla  scorta  Gda 

Lungo  la  proda  del  bollor  vermiglio, 
Ove  i  l)0Ìliti  facean  alte  strida. 

r  vidi  gente  sotto  infino  al  ciglio: 

E  *i  gran  Centauro  disse:  E*son  tiranni, 
Che  dier  nel  sangue  e  nell*  aver  di  piglio. 

Quivi  si  piangon  li  spietati  danni: 
Quivi  è  Alessandro,  e  Dionisio  fero, 
Che  fé  Cicilia  aver  dolorosi  anni: 

E  quella  fronte  e*  ha  *i  pel  cosi  nero, 
È  Azzolino;  e  quell*  altro,  eh*  è  biondo, 
È  Obizzo  da  Esti,  il  qual  per  vero 

Fu  spento  dal  figliastro  su  nel  mondo. 
Allor  mi  volsi  al  Poeta;  e  quei  disse: 
Questi  ti  sia  or  primo,  ed  io  secondo. 

Poco  più  oltre  il  Centauro  s*  affisse 
Sovra  una  genie  che  *nfino  alla  gola 


iiv 


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99.  B  fa  cantar,  e  fa  dncostire: 
t' altra  tehìera,  intendi  schiara  di  Geo- 
taari:  v'intoppa^  v'ineontra.  Altri  legge 
t' intoppa y  e  allora  va  spiegati*:  a'im- 
liatto  in  voi. 

\0A.  E  'Igran  Centauro,  Nesso. 

lue.  ii piangon  vale  srmpl.  pian- 

Sono:  il  ti  è  plcon. ,  quando  non  piacesse 
argli  il  senso  del  tihi  lat.,  e  spiegarlo 
per  ti,  0  Ira  ti.  — gli  sputati  danni, 
iot.  recati  altrui:  ff^telalt,  crudeli. 

4U7.  Quivi  i  Alettandro.  È  diffi- 
cile a  determinare  di  quale  Alessandro 
iatenda  dire,  se  del  Magno  o  dei  Fereu. 
Del  primo  suo  note  la  iwina  di  Tebe, 
la  strage  dei  prigiikoierì  persiani,  T  as- 
sasaioio  di  Meuandru  e  d  Kfektiune,  la 
morto  del  suo  conUikcepulo  Cillistcne , 
ddl' amico  Gito  ee.,  per  cbe  Lucano 
lo  cbiaoiò  felix  prmdo.  Del  secondo 
sappiamo  l'infame  uustume  di  seppellir 
\ivi  gli  oomini,  di  vestirli  di  pelli  feri- 
ne, f  farli  divorare  ai  cani  ec.  Cosicché 
tanto  r  un  cbe  l'altro  sta  benissimo  io 
qBCsIo  loogo.  —  Dionitio  ftro,  doo 
parimente  soao  i  Dionisii  di  Sicilia,  am- 
bodae  immaniasinii  tiranni. 

108.  Che  f9  Cicilia  ce.;  ebo  fece 
soffrire  langbi  affanni  alla  Sicilia. 

410.  À*%*iino^  o  Eneliiio  da  Uoma- 
00,  vicario  imperiale  nella  Marca  Trivi- 


giana,  e  linooo  cmdclissimo  di  Padova. 
Fa  acciso  od  ì2j9. 

Uì.  Obizzo  dm  Etti,  marcbcaedi 
Ferrara  e  dilla  Marca  di  Ancona,  aona 
crudele  che  fn  soffocalo  da  un  ano  figlino- 
lo, cui  il  Piieta  dà  il  n«>me  di  figlimttro 
anziché  di  figliuolo^  per  cagione  del  pai^ 
riddio.  Il  eh.   Litta  crede  nna  favola 
questo  parricidio  per  la  ragione  cbe  noa 
trova  nella  storia  aucsto  /lgl<Mfro;Ba 
prendendo  la  parola  nel  senso  metafo- 
rico di  figlio  tnaturato,  come  diccsi 
tnadrigna  una  madre  disamorata,  la 
diflicoltà  aporìice.  Il  ftgtimgiro  è  Af- 
te \lll.  Del  resto,  fu  Ubino  li  gMifa 
accanito  \  fé  lega  con  Carlo  di  Aaìnè,  t 
eouperò  alla  rovina  di  Manfredi  e  di  CbT' 
radino,  ulliiiii  stistrgni  del  partito  impe- 
riale. Mori  nel  I2SI5.  — por  9tr9:  di- 
mostra questa  espreaaioaa,  Ao  il  fatto 
si  voleva  pn-  skuni  metterà  in  dubbia. 
i  U.  CHiesli  ee.  Ciò  è  detto  da  Vir- 
|ìlio  io  conarijnema  d' amarli  rivolto  a 
ui  Drfote  per  domandargli  aloma  aaaa, 
come  a  snu  niaesim  ;  volendo  avvertirlo 
cbe  prima  sna  guida  perqnel  tempo  ara 
il  Cenlaoio,  e  cbe  a  lui  ara  da  badare. 
Vba  chi   pensa  cbe  onesto  verso  si- 
gnifichi smipliccinente  I'  ordine  dHl'an- 
(laie.  acauli  a  tutti  il  Ceiitaaro,  Danto 
in  meno,  a  dopo  lui  Virgilio. 


r: 


CANTO  DBCIHOSCOOIfDO. 

Pìarea  chetlì  quel  bulicame  osciase. 

Mostrocci  od' ombra  dairon  canto  aola. 
Dicendo:  Cotni  fease  in  grembo  a  Dio 
Lo  cor  cbe  'n  sol  Tamigi  ancor  ai  cola. 

Poi  vidi  gente  cbe  di  fuor  del  rio 

Tenean  la  testa  ed  ancor  tutto  '1  caaao: 
£  dì  costoro  assai  riconobb' io. 

Cosi  a  più  a  più  si  Iacea  basso 

Quel  sangue  si,  cbe  copna  por  li  piedi: 
E  quivi  fu  del  fòsso  il  nostro  passo. 

Siccome  tu  da  questa  parte  vedi 
Lo  bulicame  che  sempre  si  scema , 
Disse  il  Centauro,  voglio  cbe  tu  credi, 

Che  da  qoest'  altra  a  più  a  più  giù  prema 
Lo  fondo  suo,  infin  ch'ei  si  raggiunge 
Ove  la  tirannia  convien  cbe  gema. 

La  divina  giostixia  di  qua  punge 
Queir  Auila  cbe  fu  fU^lo  in  terra, 
E  Pirro,  e  Sesto;  ed  in  etemo  munge 


<»3 


Ito 


itt 


130 


fU 


M7  «fw/»iilÌMM,  cine  dicaci 
H^UBmU.  Buittnu  è  ut  ica- 
(«Vie^'ama  bollcate. 

<(l.  tfail'Mi  emmto  fola,  per  la 
«^H««  Mipielè  del  aMatto. 

ar  C»lmm.  GaidocMU  di  Moo- 
<|«it,  dt  ia  Viterbo  im  gremko  a  Dio, 
<*•  ad  Mcr*  tcapto,  a  re!  Bomeulo  in 
<■  n  alufa  Partia  lanta,  «cciac  il  ni- 
ptlc  é  Arrig»  lU  ra  d'Inikiltarra,  cbia- 
■Hi  fv  caaa  Arrigo,  in  vendetta  di  Si- 
B>it  fi  Haalarta  a«o  padre,  A9  per 
dAto  ara  alalo  giastiòato  in  Londra.  Il 
te»  mmè  sd  mo.  Po  Gnido  ■•- 
■•  di  ■olla  valore  a  grande  aniro  e 
-Htwtaii  di  Cario  d*  Angiò.  —  /«le, 
^fmden,  a^narriò. 

I2S.  Lo  tor  m.  II  c«or  del  morto 
nU  netto dcalronna  coppa  a  Londra, 
tollaealo  aopra  nnt  colonna  a  capo  del 
'    *  *  ^     "ove  mneor  ti  eolm, 
CoUrtt  colon 


pMla  del  Taaigi,  ove 
óit  ■  «rio,  ai  aMrt.  ( 
<ingiitnlicbi,  totM 


I    »- 


a^eyiurttfpt- 
— iMiW  e  omeidmro  ce. 
IB.  0  cotto,  It  ptrlo  del  corpo 

eolie  catte. 
Ili.  opvà  m  pifc,  acapre  pia,  a 
IO  a  aato. 
I2S    fur  H  fkH,   aolaaenle  i 


4  26 .  E  f«<9< /b  del /«Mfo  te .  Inten- 
di :  a  onivl  pagaammo  ti  foaso. 

429.  ékoìmertdU  èmodoiubiunt.; 
egnalmente  cbe  In  trtdt. 

430-131.  ofià  a  pia  $f^  premo 
ijofomdo  tmo:  sanipra  più  t'aiTondi; 
vada  MOipre  piò  crcMcn do  la  ma  prò* 
fondila.  QortCa  ler.,  cbe  è  della  £ro- 
act  a  di  varj  Codici,  è  nigliure  certa- 
Bentt  della  romonc  p«è  e  piii  gfè 
prmtm,  e  eorri»pvodo  al  ▼.  424.  — 
in/liieb'ef  H  roqqiungt  tt.  Si  neon- 
gìnoge,  circola roM'Ote  tggirandeai,  al 
Inofo  dove  abbiani  vedati  bollirà  Alca* 
ttadro,  Dioniiio  e  gli  altri  tiranni. 

431.  i4lf{/a  re  degli  Doni,  cooqni- 
atatore  famoso  nel  qninto  tecolo,  a  coi 
le  devaataànni  a  le  rtine  di  molte  pro- 
rinde  fecero  il  nome  di  flogetlo  di  Dio. 

4  55- 1 36 .  Pirro,  qtri  re  d' Epiro  che 
ebbr  guerra  coi  Romani,  cbe  dicono  es- 
aere stato  di  talora  mollo  crtdelè,  a 
vaaaatore  del  ano  popolo.  ^  Sotto:  in- 


tende dal  figlia  di  femptt  il  grande , 

1  p*dra  ai  dM  t  rt- 
bare  pei  mari  di  Sicilia.  Vedi  Ltctno 


cbe  dopo  la  morte  del  padra  ai 


lib.  VI. —in  ilemt  tiiiiif  t,  apreme  eter- 
namente te  lacrime,  alle  quali  apre  la 
via  par  meuo  di  qtel  bollore.  Il  C<"I. 
AnUld.  quel  hoUor. 


I 


l  JIELL  INFEBNO  J 

Le  lacrime,  che  col  bollor  disserra  H 

A  Rinicr  da  Cornetu,  a  Rinìer  Pazzo,  ^ 

Che  fecero  alle  strade  UdU  guerra. 

Poi  si  rivolse,  e  rtpassossi  il  guazzo. 

K7.  Aininr  ia  Corutlo.  ìtiraot     lìuBla.  —  RMtr  Passo,  Fiunnlin 

umo  nella  ipìign  minlliiDs  di  H»-      drili  nobU  an  di'  Pi&l,  ch«  rami 

I.  Il  Brpcili,  nel  tuo  Diiionarìs  e«-      laalndidel  Vildunombudackiai 

irlicdo   Comefa  dilla  Ftggiwila  K9.  Patii rttoUt.tripattutl' 

Ila  Ville  del  Siiio,  du  il  prncnls  guati».  Ciò  dellD,  U  Cenilo»  Km 

Ita  del  Potli,  B  dite  ihe  quoto  Ili-  vaiti  in  diolru,  «  ripaUMn,  rìp»i, 

uri  [a  il  pidrediCgucciono  dilli  Fig-  judsni,  cine  larìiiciidovcu  piidiii 


CASTO    DECIinOTJGRZe. 


Non  era  ancor  di  là  Nesso  arrivalo, 

Quando  noi  ci  meltcmmo  per  un  bosco, 
Che  da  nessun  sentiero  era  segnato. 

Non  (rondi  verdi,  mii  di  color  fosco. 

Non  rami  scbielti,  ma  nodosi  e  involti, 
Non  pomi  v'  eran,  ma  slecchi  con  tosco. 

Non  han  si  a^pri  slerpi  né  si  folli 

Quelle  fìere  selvagge,  che  in  odio  hanno 
Tra  Cecina  e  Cornelo  ì  luoghi  colli. 

Quivi  le  brulle  Arpie  lor  nido  fanno, 
Che  cacciar  delle  Slrofade  i  Troiani 
Con  tristo  annunzio  di  fnluro  danno. 

Ale  hanno  lille,  e  colli  e  cigi  umani. 

Pie  con  artigli,  e  pennuto  il  gran  venire: 

Fanno  lamenti  in  su  gli  alberi  sli-ani.  n 

E  'I  buon  Haeslro.  Prima  che  più  enlre, 

5.  KtùlN,  IHci  1  dirllli.  «(rìlt*.  Ini  di  aie  dilli  Cslena  mIIc 

0.  ilccchi  con  bue»,  ipìiie  idanott.  Sirofiili,  iaulidal  Uin  Jodìo,  pndbH 

9.  TVoCkìhsh.  TrailGuiMCo-  ii  Troiioi  cbiirnbbDnifw  (iaMiUT»- 

I  «U  dllk  di  Csrniio  ti  innldinu  nlelinienu.  Vedi  Virgilio,  Kk.Ub.  Ili, 

i,  >  (Dg;siia  i  luD{[lii  («IlitiU  ed  45,  ifrMi':  Unto  pnb  ritarini  ti 

Tti-  lunoiti  cbv  igli  albvri. 

iO.U  brulle  Arfietc.Uufìf  000  i%.  Prima  du  pii  ntlri,  <ioi  fii- 


I 


CAFtO  DECIMOTB&ZO.  85 

Sappi  die  n^nel  secondo  girone^f*) 

Mi  cominciò  a  dire,  e  sarai,  mentre 
Che  tn  terrai  nelT  orribil  sabbione. 

Però  rigoarda  bene,  e  si  vedrai  so 

Cose  cbe  lorrìen  fede  al  mio  sermone. 
Io  sentìa  d'ogni  parte  tragger  gnai, 

E  non  vedea  persona  cbe  1  fu^eese; 

Fercb' io  tolto  smarrito  m'arrestai, 
r  credo  cb'ei  credette  cb'io  credeasey  l'S 

Cbe  tante  vod  asdsser  tra  qoe'brooehi 

Da  gente  che  per  noi  si  nascondesse. 
Però,  disse  il  Maestro,  se  tn  tronchi 

(]^lche  fraschetta  d' nna  d'este  piante. 

Li  peosier  c^  hai  si  fiuran  totti  monchi  30 

Allor  porsi  la  mano  un  poco  avante, 

E  colsi  vn  ramoscel  da  un  gran  pnmo: 
I  E  '1  tronco  soo  pridò:  Perchè  mi  schiante? 
Da  che  fttlo  fo  poi  di  sangue  bruno. 

Ricominciò  a  gridar:  Perchè  mi  scerpi?  35 

Non  hai  tn  spirto  di  piotate  alcuno? 
Uomini  fummo;  ed  or  som  fitti  sterpi; 

Ben  dovrebb' esser  la  tua  man  più  pia. 

Se  state  fossìm*  anime  di  serpi. 
Come  d' un  stizzo  verde,  eh'  arso  sia  40 

▼«ieiite  la  parolt  Btrmtu»  ad  iadicare 
divioa  Bn$tai. 

22.  tr0§ger  gmai,  mandar  Uneii- 
tati  gridi. 

27.  jMT  noi,  cioè  per  timor*  di  Boi. 

80.  ii  fttrm^  tmùi  moneM:  retta- 
raoao  milli  :  cioè,  rimarrai  pitaamaata 
dìsiagaaaalo  della  tna  apioioaa.  Da  ao- 
ttro  peaaieroj  aaa  apiniooa,  raifa  aioa- 
ca,  «aando  ?  iena  il  fati*  a  ameatirla. 

55.  mi  t^imtU:  mi  rompi,  aii 
aaMmbrì. 

55.  miaeerpi,  mi  f{a«ti,  mi  dUaami. 

57.  §à  or  ffm  faM  sUrpi.  Graa 
aapieaia  ai  lèiada  ia  qncala  invaaiioatal 
L' ooaM»  akbandoaato  dalla  grafia  diriaa 
a  Tenato  in  diaperatioaa  ha  gik  perduto 
la  vita  raxionala  per  cai  ara  boom:  ^atla 
^«iodi  la  vita  taoaibila  acddaadeai,  o 
pio  aaii  reato  cbo  aa  troooo  atorila  od 
orrido,  aido  a  patto  atorao  alla  iaCar- 
aali  arpie. 

40.  Coaif  iTini  elisxo  «e.:  fi  at 
lolUatcode  «eeailf. 


0  Tmaaii  giroBO  del  aattimo  ecr- 
àm.  VMlami  aclla  propria  viu. 

4Mf .  awalre  oe.  :  cioè  per  tatto 
laH  itayo.  — .  Càa  Ni  temi,  cka  to 
'aafliowai  perTcaira  «cll'orriK/  soè- 
*^;  ^aaii  dica  :  VarrìbiI  aabbiooo 
«kMjoacfco  ta  ao'giaato  ael  giroao 

M-  •  ai  ooira^  o  boa  ligaardaado 


21 .  da  forrim /Ma  al  alio  aerilo- 

lai.  eaaa  cboM  to  lo  direaai,  ooa  le 

'■**<:  o,  «Im  Barrato  toglierebbero 

I  al  mio  pariaro.  La  nidob.Cooa 

^é&rwm  M9ti  mio  atraioiia,  con 

^iPialaBdarebb*  accoaaato  qoel  cbe 

Vbpb  aal  m  defl' Al.  Barra  di  Poli- 

mm.  is  laa.  dB  Graaca  da  me  legnita, 

àèaaiBla  Bwafiaray  percbè  Dante,  da 

gcacralo  di  Viifilio, 

potato  iatondero  oaal  coaa 

da  lai  dotto  aoll' £BtMa  ai 

iafbba  aroAbilo  o  pmata  ia  «foel 

OhrecM  bob  mi  par  troppo  eoo- 


p 

^□i 

^^^^ 

_J 

tu,                                                     DELL-  r 

^ 

Dall'  un  de'  capi  ,Vhe  dall'  altro  geme.                ^H 

B  eigolB  per  vento  cbe  va  vis;                           ^H 

Cosi  di  quella  scheggia 

nsch-a  insieme                     ^H 

Parole  e  ran^e:  ond'  io  la<tciai  la  cima              ^H 

Cadere,  e  «leni  con                                             

ne  r  nom  che  teme.               IRpl 

S'egli  avesse  potuto  creder  prima, 

Rispose  11  savio  mi 

io,  anima  le^a, 

Ciò  e' ha  vedulo,  pur  colla  mia  rima. 

Non  averebbe  in  te  la 

man  distesa: 

Ma  la  cosa  incredibile  mi  fece                              » 

Indurlo  ad  ovra,  et 

l' a  me  slesso  pesa. 

Ma  dilli  chi  tu  fu^li,  si 

che,  in  vece 

IValcDna  ammenda 

,  ina  fama  rinfreschi             ^^^ 

Nel  mondo  su,  dovi 

9  lontar  gli  lece.                  ^H 

B  '1  tronco:  Si  col  dolce  dir  m'  ade»'hi,                ^^H 

Ch'k  non  pOBso  lacere;  e  voi  non  gravi          ^^^| 

Perch"  io  un  poco  a 

ragionar  m' inveschi.        ^^H 

r  aou  colui,  che  tenni  i 

ambo  le  chiavi                    ^^^| 

Dal  cor  di  Federic.                                           ^^ 

e  che  le  volsi                    ^H 

Serrando  e  disserrando  si  soavi,                       ^JC| 

Cbe  dal  segreto  suo  quasi  ogni  nom  totó: 

4S  dÌqwUa,ehe3sia.M<Jif«l 

Sì.  n'aducM,  m'illalli. 

trBiKDilipiinii.  — uicira.tililno  in- 

ViO.  t  voi  ntm  srati.  •  bob  r'io- 

nea  dui  |,l«r  II  mio  Vi.,  b,  «cfo». 

<  il  Cod   Pnilim  HKfnt. 

,     S7.  pnrt'M   «  Tmfimm-wfU 

*1-  mima  l'i»,  o  .nhni  otttn. 

rtithi.  l'in  m'  inp«|Ka,  ••  anlm  • 

41   HH-  «Ho  mia  rima.  Tonisri 

ngÌMian,iUir>li>   dilla  ow1««  pn- 

itr*  <*!<!  ti  v§am.  ppnbt  par  !■  rima 

56-  ri«eoM«e.  Qnaalì  t  Pier 

di  VJrtjilìo,  naatc  >m>  a>»  ridalo  U 

««  Hmla,  m  aolo  wKla.  Onda  tn- 

tilt  pule  •iill'animo  di  Ini  nA  ci»  .olle 

MI,  osai:  S'igll  mmr  poliUfl  errdrr 

Malli  1  onde  F^Jerieo  lo  tee  iaMD>, 

per  II  aia  puiici  narraiidHl  eie  che 

orthavadMta  col  taiw.  n«a  a.nbb.n. 

ni  «uh)  la  cKinTi  -.  M.  aaMta-.  Jalla 

B  «  a«»n  .  jua)  eh.  ha  r.rcnnl.<. 
di  TolM^g  ttì  tu  MVEn.,  il  miait 
rMtuBp»  dai  lii^lU  («ctlì  d*  Enea 

ini  e  dal  bob  nilor*. 

mi  Iddi*  et"  fra  iqH.llo  ;  e  quali  Ma- 

ria,  it^  il  r.IU  a.tFDuto,  do.»  per 

l' MiliieTi  «n  tona  .Ila  meatr  di  D.°. 

t>.  JiÙH  t  dal   1^.  ài.9,.*^,  ili.  HH- 

61.  Ck,  dal  -gnu,  tm  tt.  €»■ 

«r«,,,ri„.i,,«t!*«dip«.i.,. 

Tieìl.acrii»diS>jiBocha;.rÌb«n>n 

pMM,  «MBnalo  il  OMO»  dall' eaacB- 

•  .iHi.  aulboa  dHiniit  ad*»,  at  «b- 

limapM  II  cou  seiniiia. 

».  (n  Uff*  ifalniH  ainmni(fa  ; 

.  anrau  .dima»  ilio,  ubi  aai  ìb- 

1 

!■  cimprntD  dal  male  falla. 

lib.  IV. 

CANIO  nKmoxnzo.  87 

F«U  portai  al  glorioso  «fitio» 

Tanto  cfa*k>  ne  perdei  le  vene  e  i  poid. 
La  meretrioa»  che  osai  dall'ospiiio 

Di  Canne  non  lorse  gli  occhi  patti»  «a 

Morte  comuiey  e  delle  corti  vizio. 
Infiammò  ooatra  me  gli  animi  tatti, 

E  gT  infiammali  infiammar  sì  AagiislD, 

Che  i  lieti  onor  tomaro  in  tristi  lotti. 
L'animo  mio,  per  disdegnoso  gosto»  70 

Credendo  col  morir  fuggir  dÌBd^;no, 

Ingiusto  fece  me  centra  me  giostOé 
Fer  Je  nuove  radici  d' osto  legno 

Vi  givo  che  giammai  non  ruppi  kd» 

Al  nuo  aìgnor,  che  fa  d*  onor  si  degno.  75 

E  se  di  voi  aicnn  nel  mondo  riede, 

ConfMti  la  memoria  mia,  che  giace 

Ancor  del  colpo  che  invìdia  te  diede. 
Un  poco  alteee,  e  poi:  Da  eh*  ei  si  tace, 

Disse  il  hxita  a  me,  non  perder  l'ora;  so 

Ma  parla  e  chiedi  a  Ini  se  più  ti  piace. 
Ond'  io  a  lui:  Dimandai  tu  ancora 

Di  quei  che  credi  che  a  me  soddis&ccia  ; 


mort«  Bd  moDdo.  —  risto  délU  eorU, 
nnM  in  oaelle  pia  A»  altrove  eterdU 
r  loTÌdia  1*  orcbi*  aflligno,  e  BMia  le 
arti  WM  |KrtlaMadM.  QiMlclie  tetto  ha 
MmrU  •  conni—  dtik  eorti  vizio. 

SS.  Àuguilo,  cioè  Federìeo  II. 

70.  for  dÌ$dofm»$o  gutto,  a  eCefo 
dd  fMMle  adcfoo,  ^  diadegno;  0,  £- 
Tesalo  «degMiaa  di  latto. 

74 .  fuggir  disdegno,  iottranni  allo 
•prejpo  altnii,  alla  YÌlaperoaa  CaBa  di 
traditore  ;  o  aoehe  a  ^Uo  atato  mio 
diadrgooeo. 

72.  ingiuttoet.  Iiilc«£;  Mciden- 
doni  per  aoverchio  adeguo,  fai  iagìasto 
▼eno  di  bm  die  era  iaaeoeiile. 

75.  Por  lo  nmooo  rmdioi  «i.  Vi 
giare  per  qaeala  mia  aoTolla  eaiatansa. 

7S.  d^omor  ti  iapo^  ialcadi  a  ri- 
j^rdo  del  valore  rìvile  e  nCltra,  cke 
fa  grandifaiiBo  ia  lai  ;  cke  ^laala  u  ra* 
sto  aoi  TakUaaM  Tadala  Ira  gli  api- 
card. 

so.  «onMrdfr  Tara,  il  t««f|o>  • 
r  occadoae  che  ti  ai  offre.  Con  i  Gred 
re'  »J», 


C  itacae eipolii,  vai  ^aaato  te 
^  ^pàica  che  la  (raalade  portala 
'fuàeemà  dd  aao  amiaaa  fa  eafioaa 


cagioaa 
^  à  riavagliaMe  ceatra  l' odio  dd 
ChA,  ihe  fa  prima  cagioBe  ddla  aaa 
Mrla.  AI^  ad.  kaaao  lo  «omio  e  i 
Hi(  dee  a  rìpaea  par  la  vagTiale  aotti 
•  litila.  Ma  a  aM  aoo  piace  ^aell'aaio- 
»  Cdae  ileo  oeak  difUnai  aoMio  e  pol- 
iC  cada  Wproliriu  aeae  e  90IH,  niodo 
dha  vdU  «alo  dd  Poeta. 


14-Si.  la  ^rsla  awrrfricerrcdono 
■i  ■gdStali  la  earte  rooiaaa,  aeai- 
Fuigaaaaafiaadaawali  ddrimpedale 
HiBa: erapaoggiaao  dia  faaaa,  ^al 
•ii  à  floMa,  che  Pier  ddle  Vigno  ca- 
de»' landio  e  dcn^odio  di 
acherati  ageati,  onde 
I  {dkoo  OMÌ)  per  latte  le 
ia  aeapctto  di  Iraditora  al 
I  Pedarko  11.  Ma  io  ane- 
la gaaardi  per  ViwHàia, 
vpBHa  MaffSaaoaMMOi  pcrclMcagiooe 
•a  |i  «oaùai  d  facdaa  auaeri  acaai- 
Ivedmeala,  a  aache  perchè  ddl'  iai^- 
<a  dd  IKarob  ealr«  U  miaarìa  e  la 


Ch'io  non  potrei:  lanta  pietà  m' afxara. 

Perii  ricominciò:  Se  l'uom  tj  faccia 
Liberamente  ciò  cbe  'I  luo  dir  prega, 
Spirilo  incarcerato,  ancor  lì  piaccia 

Di  dirne  rome  l' anima  si  )^;a 

In  quesli  nocchi  ;  e  dinne,  se  lu  puoi, 
S' alcuna  mai  da  lai  membra  si  spiega. 

Allor  soQiò  Io  tronco  forte,  e  poi 

Si  converti  quel  vento  in  cotal  voce: 
Brevemente  sarà  risposto  a  voi. 

Quando  sì  parte  l' anima  feroce 

Dal  corpo  ond'  ella  stessa  s'  è  disvetla, 
Hinos  la  manda  alla  settima  foce. 

Cade  in  la  selva,  e  non  le  é  parte  scelUtt 
Ma  là  dove  fortuna  la  balestra, 
Quivi  germoglia  come  gran  di  spetta; 

Surge  in  vermena  ed  in  pianta  silvestra: 
Le  Arpie,  pascendo  poi  delle  sue  foglio. 
Fanno  dolore,  ed  al  (ìolor  finestra. 

Come  l'altre,  verrem  per  nostre  spoglie. 
Ma  non  però  ch'alcuna  sen  rivesta: 
Che  non  è  giusto  ater  ciò  ch'uom  si  toglie. 

Qui  le  strascineremo,  e  per  la  mesta 
Selva  saranno  i  ooslri  corpi  appesi. 
Ciascuno  al  prun  dell'  ombra  sua  molesta. 

Noi  eravamo  ancora  al  tronco  attesi. 
Credendo  ch'altro  ne  volesse  dire; 
Quando  noi  fummo  d'  un  rumor  sorpresi, 

Simiiemente  a  colui,  che  venire 

Sente  il  porco  e  la  caccia  alla  sua  posta, 


SS.  St  fimm  ec. 
frtnlli  Bt\  monda  li 


39,  tffit 


,  .11  !,iji. 


Libcramenli,  corlnFin 


■Cd»  ortttolo  di  CDDlnria  piuinne. 
ge.mMh{,ill>tri°««hlBÌ,n<,d«1. 

i62.  al  dolor  fintilra,  àaiTtVìm 

«lit  acoDB  pgi  le  <«^  dolMOM  f  U 

M.  tlipirta.  li  dUe{»|I1<,  »  tm.- 

pi-nlo. 

pOKt. 

103.  r;DmcI'aIln>nìn»«l<ti4c1 

9i.  Mhr  lefflt.  rn»aU»B  furfn 

n^S'drpr.p^''BlÌI!'"°  '  """'   ' 

iOS.alpnm  te.:  ti  pmno  «>'> 

rlachluu  l'o<»ftra  ivo,  «  l'iaini  lua, 

01.*cnt/ip,rlé,ttUa.a«ùìfi 

dia  •  lui  In  molata.  ti«  «li™. 

•tabi  li  lo  ilcun  luogo. 

113  UFona..1onBhiiU:bMMÌa. 

9B.  Ì«vt  foriuM  la  ba'tiira,  dsvt 

acuollparll. 

^it«,d<4  il  lune»  ur'rjli  i  ipp«rt«». 

CAUTO  DECIMOTEBZO. 

Ch*  ode  le  bestie  e  le  fratehe  stormire. 

Ed  ecco  duo  dalla  sinistra  costa, 
Nodi  e  graflBati  faggendo  si  forte, 
Che  della  selva  rompiéno  ogni  rosta.  [*) 

Qoel  dinanzi:  Ora  accorri,  accorri,  morte. 
E  r  altro  a  coi  pareva  tardar  troppo. 
Gridava:  Lane,  si  non  foro  accorte 

Le  gambe  toe  alle  giostre  dei  Toppo. 
E  poiché  forse  gli  follia  la  lena. 
Di  sé  e  d' nn  cespuglio  fece  un  grc^;^. 

Diretro  a  loro  era  la  selva  inena 
Di  nere  cagne  bramose  e  correnti. 
Come  veltri  ch*  ascissa  di  catena. 

In  quel  che  s*  appiattò  miser  li  denti, 
E  quel  dilaceraro  a  brano  a  brano, 
Poi  sen  portar  quelle  membra  dolenti. 

Presemi  allor  la  mia  Scorta  per  mano, 
E  menommi  al  cespuglio  che  pìangea 
Per  le  rotture  sanguinenti,  invano. 

O  Jacopo,  dicea,  da  Sant'Andrea, 
Che  t*  é  giovato  di  me  foro  schermo? 


89 


115 


120 


i36 


130 


i\i.  itormire,  è  appooto  Io  ttre- 
fii*  fredotto  dal  Borcrai  della  fraicba 
*akiwU.  0  per  feoto  o  per  altro. 

U%.  mmllm  Hnitlra  cotta:  la  paria 
■Mra  ad  abteaia  dì  Dante  sta  leinpra 
^  mUtmt  maggior  reità  a  più  infeuce 
*  ■W^ole  roodixione. 


Il"   


Hi.  fMta,  oppoaixiooa  di  rami. 

I*)  Vielenti  io  roioa  de*propr)  beni. 

^IS.  Qaeati  che  ehiama  la  morta  in 

M  Mceono  è  il  Sanate  Laoo  di  parta 

{■Hi,  lama  che  cooaamò  tatto  il  «no 

<w  ma  brigata  godereccia.  Eisendoii 

^■nla  eaatm  alla  aconStU  che  gli  Are- 

tt  BtI  42S0  dettero  ai  Saneti  praaao 

hfiife  dd  Toppo  oel  eootado  d  Araf- 

*«  MBirt  poCea  aalTinà  faggendo,  ai 

fk  diipgratameote  tra  i  nemici ,  non 

*4mdopf«  vivere  in  povertà.  Io  qnella 

■iwaritèaB  bdfiwimo  teoso,  perrbè 

■■Ira  càa  gli  aere Lbe  atata  piò  oppur- 

^Hckt  la  prima  vulta.  —  E  noto  cUe 

AdblrmDoaciegliaTarì  aegaitaipcato 

Hf .  m  emipmrevù  tertftfr  troppo, 
•  mi  pareva  eaaer  tardo  nel  correre,  e 
(W  correva  mca  dell'  altro. 


421.  MihgiottrodH  Toppo,  aia- 
ma  diottro  per  modo  barlerola  la  niffa 
in  coi  i  Senesi  furono  memi  in  foga  :  e 

Sesto  achano  che  par  fuor  di  Inogo,  ò 
"SO  opportano  a  notare  il  carattere 
baffooeaco  di  qnesto scialacquatore,  che 
piò  aotto  aapremo  eaaere  no  tale  Jacopo 
Padovano,  a'  una  famiglia  nobile,  detta 
dalla  Cappella  di  Sant'Andrea.  Si  rac- 
conta di  lui  che,  tra  le  altre  atravagan- 
le,  fece  nn  giorno  bmetara  ana  sua  villa 
par  aver  lo  spettacolo  d' nn  bel  faoco. 

A 22.  glifaliia  la  lena,  gli  mancava, 
iat.  a  Jacopo,  la  forza  a  pia  oorrera. 

423.  feet  «n  groppo  ee.  :  fece  un 
■odo  ;  cioè  si  raccolse,  si  strìnse  a  un 
cespuglio ,  per  nascondersi  alle  cagne 
cba  lo  inaegnivano.  La  eagm$ .  aeeoodo 
Piero  di  Dante,  Ignrano  i  ereditorì,  che 
fanno  più  misera  la  vita  del  diasìpatore 
ridotto  a  povertà. 

433.  O  Jacopo,  dieoa.  QuaiCi  che 
eoa)  parla  è  uno  spirito  incarcerato  nel 
cmpaglio  in  cai  ai  è  appiattato  Jacopo, 
a  eoa  è  alalo  ai  mal^eoucio  dalla  oagoa. 

4  54 .  dime  fare  schermo,  farti  scher- 
BM  di  ma,  ripararli  col  mio  cespuglio. 


I 


tìb 

Ite,  ^^H 

r  Questo         ^"^ 


Che  colpa  bo  io  della  tua  vita  mf 
Quando  'I  Maestro  fti  sovr'  esso  fermo, 

Disso:  Chi  fasti,  che  per  tante  pnnto 

S<^  col  sangue  doloroso  sermo? 
E  quegli  a  noi:  O  aoìme,  che  giunte 

Siete  a  veder  lo  strazio  disonesto, 

C'ha  te  mie  Trondi  si  da  me  disgiunte, 
B accoglietele  al  pie  dsl  tristo  cesto 

r  fui  della  città  che  nel  Batista 

Cangiò  'I  primo  padrone:  ond'ei  per  questo 
Sempre  con  1'  arte  sna  la  farà  trista.  iii 

E  sa  non  fosse  che  in  sai  passo  d'Arno 

Segi  eel  langìU,  diiikIÌ  (uon      panaiw,  mi  Ione  Tslili  n  de<  Goti  fu 

Mdtomtkì — irnnD,!!!!!!!.      qacgli  th»  mulloli  gouli  ntlli  pian 

che  rbbe  ■  •Hlaien  contra  ■  gnwnb 

ddnnnto.  Hiiaria  I  ìirnaie-      £  Giulinina.  H>««a<laFoiniiDa  ofi- 

B  Innai  tlw  AUiU  fosu  lUIn 

•  D!(e,i'>UÌM*>l  Pi»U.  EJ 
>  iht  iiirl»  in  delle  ■dIm>i> 
li  U-n  tlH|1J>li>  il  un»  di 
p(r  U  (oli  per  ittnggirf  li  perèill,  Tolil*  in  iquelloiii  Alliil.  A  Poppi.  p« 
■icnda  riiiiipili  le  ine  ricclmie.  Alln  a.,  nel  CgHatinD  (i  t  su  pìeln  doTi 
Taalc  cbe  eie  un  LaUi.  drgli  AeIi,  the  lc|[rHÌ  che  le  man  di  ^U  tam  ti- 
■'ÌDpi«t  rimiliiwnU  in  eia  mi,  dopo  nn  dblnilled*  Aitili. 
■*<i*i|ti>iDla  illi  poiirlt  io  cui  l'eri  II  Rgaelli,  ■tgaitindo  Bedranols 

periae  celpi  ridniiD,  il  rimDmt  d'uni      di  Imola,  i  d'opinione  At  b  ìMh 


ilÌM  capag'io. 


r/<llM.VÌtoliidiaeh> 


Log.  ■ 


-  dWla  etiti  eht 

mi  dir*  dì  Pireo»,      •llegoi- 

miet-      biito  nel  SaUtlo 


•ratj  dell* 


CANTO  OBCIMOTBRXO.  9^ 

Rimane  iDCor  di  lai  alcuna  vista; 
Quei  cittadin,  che  poi  la  rìfoDdarno 

Som  '1  oener  che  d'Attila  rimase, 

ÀTiebber  &tto  lavorare  indarno.  iso 

Io  fei  ffihetto  a  me  delle  mie  case. 


4M.  fiMp;  iti  fmcfM  f<M,  «rilcnoM^Miltor  la  eomone  gimb- 

Ini:  fMl  4irt,  feci  fama  OMMIa  ktito.  Nd  Cod.  Caai.  è  «na  postilla  a 

tali  Mia  BÌa  caH  :  ■'ònpiccai  in  nia  qoart*  loofo  dia  dica  :  GiubHtwm  nt 

miUhBBeafiMlièdal  taateVir.  fitmdam  twrrUPmitiU  uHhomimti 
WCAaFkrM,  •  M  IfaM.  87.  A1- 


€Mmm  BECiH09ijAnr#. 


éU  fkmm.  Fi  mm  àmmwH  I  maUmu  mìh*  Dfo,  mm- 

mm  Ai»  «é  rfMMW  C^mM.  tmmdrmm  nMi, 

Itéi  tmMB  0  étfU  mUriJlmti  l^fmué»  é0$$rlm  Flrti, 


Poiché  la  caritè  del  natio  loco 

Mi  strinse,  raunai  le  fronde  sparte, 

E  rende'  le  a  colui  eh*  era  già  fioco. 
Iodi  venimmo  al  fine,  ove  si  parte 

Lo  secondo  giron  dal  tprzo,  e  dove  5 

Si  vede  di  giustizia  orribil'arie.  (*) 
A  ben  manifestar  le  cose  nuove, 

Dico  che  arrivammo  ad  una  landa, 

Che  dal  suo  letto  ogni  pianta  rimuove. 
La  dolorosa  selva  le  è  ghirlanda  io 

Intorno,  come  il  fosso  tristo  ad  essa: 

Quivi  fermammo  i  piedi  a  randa  a  randa. 
Lo  spazzo  era  un'  arena  arida  e  spessa, 

Non  d*  altra  foggia  fatta  che  colei. 

Che  fu  dappiedi  di  Caton  soppressa.  i6 

i-l.  Hidd  Im  emità  ae.  :  poìchft  'IO.  I.a  dolorosa  lelofl  ee.  La dolo- 

r^Hra  dalla  P^^na.  cW  io  aveva  co-  roaa  lelva  cireoaHa  b  landa,  come  il 

mm  mm  ^Mltoapinlo.  —  mi  «Inma,  trìtio  foaio  dal  aaogM  òrroDda  la  aalva 

ii  fa  fana  ac.  stana. 

B.  K  fWi^lB;  a  la  rvndd.  42.  a  rwmda  a  randa,  doè,  raante 

a.  41  fteMste  orritir  arU,  ipa-  raMote  l'arena  :  in  iu  V  estrema  parte 

■■gHiar*  ddla  dÌTÌna  fio-  ddla  selva  a  sai  prìndpio  della  rena, 

a,  43.  Ìjotj»as%Of  il snulodi essa  landa. 

(*)  Tan»  giraae  dal  settino  ccrdiio:  U .  r*e  euUi  oc.  :  che  queir  arma 

iaali  I sali  a  Die ,  la  aalnra  e  V  arte,  della  Libìa^  la  qaale  fk  fopprea la,  noè 

a.  tamém  oe.  :  pianura  senza  alcun  calcata,  dai  {hciIì  di  Catone  quando  vi 

,  iacolta .  passò  coli'  esercì  lo  di  Pompeo.  Lue.  1,9. 


0  vendelta  di  Dio,  quanto  tu  dei  ^^M 

Esser  temuta  da  ciascnn  che  hg^  ^^| 

Ciò  che  fu  manifesto  agli  ocelli  mìei! 
D'  Diiime  nude  vidi  molte  gregge, 

Cile  piangean  fatte  assai  miseramente;  w 

E  parea  posta  )ar  diversa  legge. 
SupiD  giaceva  in  terra  alcuna  gente; 

Alcuna  sì  sedea  tutta  raccolta, 

Ed  altra  andava  conlinuamente. 
Quella  che  giva  intorno  era  più  molta,  jg 

E  quella  men,  che  giaceva  al  tormento,  JtÈ 

Ma  più  al  duolo  avea  la  lìngua  sciolta.  ^^M 

Sovra  lutto  't  eabbìon  d'  un  cader  lento  ^H 

Pioveon  di  Tuoro  dilatate  falde,  ^^^ 

Come  di  neve  iu  alpe  senza  vento.  n 

Quali  Alessandro  in  quelle  parti  calde 

D' India  vide  sovra  lo  suo  stuolo 

Fiamme  cadere  infine  a  terra  salde; 
Perch'  ei  provvide  a  scalpitar  lo  suolo 

Con  le  foe  schiere,  percìorchè  'I  vapore  Si 

Me' si  slingueva  mentre  ch'era  solo: 
Tale  scendeva  1'  eternale  ardore. 

Onde  r  arena  a'  acccndea,  com'  esca 

Sotto  il  focile,  a  doppiar  lo  dolore. 
Senza  riposo  mai  era  la  tresca  40 

Delle  misere  mani,  or  quindi  or  quinci 

Iscolendo  da  sé  l' arsura  fresca. 

21.  S parta  rulla  lar  re.  Edilla  St.QtiBliÀltitaHiraee.DìtiàAt 

HMua  loUDpiMt  •  ligip  iliveiM  par  Ì«      AlauoHrDirìdfl  in  India  nilFrc  ftlil*  di 

X).  £i>tHiigiacR<a:iupiii.aiT>rb,,      dule  «  lern  boi  li  utingaFiina,  «ebt 
(iaeni  tmpimimiiai  ;  idi  jiuò  nncLi      l<    facn»  leatpUart,  ànt    pmngn 

iB  i  Iroouraenli  dille  pirots  ■uiiiina  eru  laporc  miglio  li  «jicgiiet»  mtnir» 

pia  lib«rlt  ci»  niiii  è  concnH  il  prg-  ch«  era  (olg,ci<ié  dod  accrcniilo  dilla 

unta.  — QnalR  tbafiiccinimifiniiono  Ginuni!  appresa  il  Ittrano;  il  dwa'iai- 

i  «iolaBli  wolm  Din;  luà  ftie  tegpono  paJJvi  wo  ijuellt  optrinDii»;  onda  il 

Mani  lÌDlcnU  coDlra  l'irla:  e  quii  ebe  iuolo  oon  iicndn  tempo  d'inloeirn, 

quii  loilD  in  iDiegiitr  numero  it^Vi 

2T   atàunto,  clni  ai  liDirnti.  .     _ . 

SO.  Cemt  di  ntv*  in  a(/<c  ttnm      ntDanHxii  qoi  oa  aprmiii  malif 


I.  Perché,  perii  iiDil  COM. 


t  li  Iraiparli. 


«ra  fr» 


CANTO  racmOQOAJlTO.  9^ 

Io  oominciai:  Ifaeetro,  ttt  che  ylad 
Tutls  le  ocee^  foor  che  i  Diaum  duri, 
Che  all'enCrtr  deUa  porta  incontro  ueeinci,         45 

Chi  è  quel  grande  che  non  par  che  cori 
L' ìnoendiOy  e  giace  dispettoso  e  torto 
Si  che  la  pioggia  non  par  che  *ì  martori? 

E  qaA  aiedesaiOy  che  si  foe  accorto 

Ch*  io  dimandava  il  mio  Duca  di  hii,  so 

Gridò:  Qnal  f  fui  vivo,  tal  son  morto. 

Se  Giove  auinchi  il  suo  fabbro,  da  coi 
Crocciato  prese  la  folgore  acnta, 
Onde  l'ultimo  di*  percosso  fai; 

0  flf  egli  stanchi  gli  altri  a  mata  a  mata  S5 

In  MongibeQo  alla  facina  negra. 
Gridando:  Boon  Vulcano,  aiuta  aiuta: 

Sì  com'  ei  foce  alla  pugna  di  Flagra, 
E  me  saetti  di  tutta  sua  forza. 
Non  ne  potrebbe  aver  vendetta  allegra.  60 

Allora  il  Duca  mio  parlò  di  forza 

Tanto,  ch'io  non  l'avea  si  forte  udito: 
O  Capaneo,  in  ciò  che  non  s' ammorza 

foe  da  tutti  qvctti,  ptrchò  •«  d«  ita  di- 

3»cttoM  t  torto,  Doa  facoodo  nauooo 
I  q«ti  BaoriaMoti  Mtarali  a  ehi  fante 
dolora,  appunto  coaaa  ao  il  hioco  noo 
lo  brvoaaae,  ooo  lo  màrlurioiu. 

ì^.  il  tuo  fabbro,  Volcaoo. 

53.  Cmeetalo.dtliamiabaatammio. 

M.  l'ultimo  ir  dalla  aia  fita. 

sa.  «  muto  a  unita,  a  vioanda.  lo- 
taadi  :  aa  agli  tiaBchi  «•  dopo  V  altro  i 
cklopi,  daodo  loro  la  mota. 

Ì%.  ii»jroiKftM(o,o»«ll'EtsaioSi« 
alia,  dovo  i  pooti  fioaoro  aaaar  la  focioa 
di  Voltano,  eba  eoi  aaoi  cidopi  labbri* 
cara  i  fnlmini  a  Giora. 

SS.  olio  fugnm  di  PUgrm,  alla  bit- 
tafflia  da'  (pganli  contro  Gio? a  in  Flagra, 
▼alla  ddla  Taaaaglia. 

SO.  Nomuopotr$k^»vor9€mdelia 
ollogro,  non  potrebba  avar  l' allograno 
di  Tedarmi  a?  vilito  o  aopnffallo  dal  ano 
flagallo. 

61 .  di  fànm,  aioè,  eoa  gronda  Tee- 
aaania  a  gagtiardia. 

65-iìa.  O  Cn^ofMO.  Capnnao  h  nno 
dai  fatto  ro  cba  otiiser,  aaaodiarono,  To> 
bf^  a  nomo  anporbo  a  apraaalor  degli 


va  VM*,  ^  anoro.  ara  piomto  ao- 
F^'hra. — ìuoitmmo^  meotro  aeoto- 
1M.— FfMe»  hn  anaaao  U  aanao  dal 


41.  tm  aftoWhd  «e.  BalF  elogio  ao 
b  Miey  aUa  ditina  doleana  dai  car^ 


ik  movaro  agni  ani- 
laan  fin  à'^um  cmdel  demonio:  pia 
Mh  H  b  fifcriaai  aUa  mMMi  rofioM 
pairiiilii  fai  VirgiKo. 

4.  Vedi  a  Conto  VUI,  ferao4l5 
•H^  ■irfairfètroocitnra  di  utdmoj 
kniÌML  rafolam  ma  antiq.  del  perf. 
41.  Mt^tli§m  a  torto  te.  QncaU  è 
l^piiabo^oeaia;aben  fn  delto 
■■  lanla  è  il  pUlor  do*  poeti ,  0  il  poeta 
an  Mmn« 

4S.  afto'l  awiiiit  (da  marturiart 
pt  Mrlarfarf|,ebe  lo  wtmrtorii.  Qne- 
iklm^eboè  di  moUi  pregevoli  Codd. 
•  ddaodb.  di  leai  0  della  Nidob.,  è 
diprafarirfli.  a  parer  mio,  alla  eooMue 
dr'IflMlMri,  porcbèaopra  noo  ai  parla 
^  aninM  rananliate,  mofumta,  dalla 
ffauia  di  fooco,  ma  ai  di  tali  cbo  ti  di- 
Mano  corno  p amano,  iteotendo  da  tè 
Itmrm  frtteo.  Ora  Capaneo  ti  dìatio- 


94 


mix' IMFeANO 

La  lua  superbia,  se'  ta  più  punito: 

Nullo  martirio,  fuor  che  la  tua  rabbia, 
Sarebbe  al  tuo  furor  dolor  compito. 

Poi  si  rivolse  a  me  eoo  miglior  labbia, 
Dicendo:  Quel  fu  1*  un  de*  sette  regi 
Cb'assiser  Tebe;  ed  ebbe,  e  par  ch'egli  abbia 

Dio  in  disdegno,  e  poco  par  che  '1  pregi: 
Ma,  com*  io  dissi  lui,  li  suoi  dispetti 
Sono  al  suo  petto  assai  debiti  firegi. 

Or  mi  vien  dietro,  e  guarda  che  non  metti 
Ancor  li  piedi  nell'arena  arsiccia; 
Ma  sempre  al  bosco  li  ritieni  stretti. 

Tacendo  divenimmo  là  've  spiccia 

Fuor  della  selva  un  picciol  fìumicello, 
Lo  cui  rossore  ancor  mi  raccapriccia. 

Quale  del  Bulicame  esce  il  ruscello, 
Che  parton  poi  tra  lor  le  peccatrici. 
Tal  per  l*  arena  giù  sen  giva  quello. 

Lo  fondo  suo  ed  ambo  le  pendici 

Fatt'eran  pietra,  e  i  margini  da  lalo; 
Perch*  io  m'  accorsi  che  'l  passo  era  liei. 

Tra  tutto  V  altro  eh'  io  t' ho  dimostralo, 
Posciachè  noi  entrammo  per  la  porta. 
Lo  cui  sogliare  a  nessuno  é  negato, 


75 


su 


tf 


Dei.  ^ i»  ciò  che  ntm  t' ammortm  te.: 
Qni  è  •eceonata  ana  gran  Tei  ila  Uulo- 
fica  •  cbt  nelP  inferna  la  pena  sari 
unmeJeainiata  col  peerala;  ««aia  il  pec- 
cato formerè  il  auppliiiu  dal  pece«t»ra 
«•tfolor  compito,  auppl-gi»  adei|aaln 

07. «m  migiior  labhio, àmé  fu  pii 
■Ila  aappllo  •  ei>a  pia  mili  parole. 

70.  Dio  in  dìMogno,  Dima  diapre* 
fi*.  Anche  StAtio  lo  ebianiò  §mperùm 
contemtor  el  aqui. 

72.  àohiti  fregi:  eoai  par  ironia. 
CoaTcoianli  eaatiglii. 

70.  diwenimmOt  è  dal  devtmire, 
lat.,  eba  apcaao  fala  il  tara  pi  ice  venire. 
— f^ieete,  «gorga,  nea  eoa  impalo. 

79-80.  doi  BìÈÌieuwMtc.  Buiiramc 
cbianiavati  on  lagiicttu  d'acqna  bulleo- 
U ,  sitaalo  a  dae  miglia  da  Vitf>rbi  : 
uciva  da  aavo  an  rn»««llo.  I'aci|aa  del 
^oita  U  pMcatHei,  la  mareirici,  poi, 
aoA  a  Qoa  certa  duUnta  d«lia  aorgrn. 
itf  quiodo  era  già  raffreddato  al^ao* 


to,  n  partivano  fra  lor»,  in  «auto  ém 
ciaacnna  di  eaaa  volgerà  nlla  ptfrii 
atanza  «fnella  pornnoo  d*ae^  CM  li 
abbisugnaaaa.  Se  la  lenona  fOtemtrtH^ 


che  è  pure  di  luici  leali  ch'io  aUin  ft- 
duli,  è  la  vera,bisiigno  anppom  cfcn  in 


vicinania  del  Bulicane  f 
lempi  della  caaa  abitato  da  tali  ,'«■■■1 
che  forse  trovavano  il  loro  conto  in  qnw 
sog^iurnri  perla  fr<*qarnudi  ^aiMgn. 

82-85.  7epf«<lir«ac.:cioèlatMÌM 
pendvaii,  inclinale:  FaW eroM pt§Ì9% 
cioè,  ki  erano  impietrite.  E  eie  tra  n^ 
volo  alla  natura  di  i^ael  finaicdU  •■•• 
guif>nu  rbe  renileva  pietra  i'artnn.  Ann 
pi-eiMo  ni>i  vedoui  oei  fiumi  cho  hanBi 
virtù  pietriKraDte.  ^—iwuofitd,  ì  émB 
delle  »p  onde. 

%\  ermiiei,  ti. pmhèl'nnieolMfn 
ove  non  fnaae  P  arena  art ieein,  iaffoe»' 
ta.  Vedi  V.  71. 

87 .  Ij*  mi  «o^Jiorf,  la  cni  mfjjlUf 
li  porta  dell'  Inlcrao. 


i 


l 


Cosa  noD  Tu  da^ì  laoi  occhi  scorta 
Notabile,  com'  è  'I  presente  rio, 
Che  ìopra  sé  tulle  Gammelle  ammorta. 

Queste  parole  Tur  dui  Duca  mìo: 

Perché  1  pregai,  che  mi  largisse  il  poslo. 
Di  cui  largìLo  m'aveva  il  disio. 

In  mezio  'I  mar  siede  un  paese  guasto, 
Diss'  egli  allora,  che  s' af^etla  Creta, 
Sotto  'I  cui  rego  fn  già  '1  mondo  casto. 

Uoa  moatagna  V  è,  che  già  fu  lieta 

D'acqoe  e  di  fronde,  che  si  chiama  Ida; 
Ora  è  diserta  come  cosa  vieta. 

Rea  la  scelse  già  per  cuna  &Ja 

Del  suo  figliuolo,  e,  per  colarlo  meglio. 
Quando  piangea,  vi  facea  far  le  grida. 

Dentro  dal  monte  sta  dritto  un  gran  veglio 


^ 


DELL  INFUNO 

Gbe  tien  volte  le  spaHie  in  ver  Damiata, 

E  Roma  guarda  si  come  suo  speglio.  los 

La  sua  testa  è  di  fin*  oro  formata, 

£  puro  argento  son  le  braccia  e  1  petto, 

Poi  è  di  rame  infino  alla  forcata: 
Da  indi  in  giuso  è  tutto  ferro  eletto. 

Salvo  che  'l  destro  piede  è  terra  cotta,  iiO 

£  sta  in  su  quel,  più  che  'n  su  V  altro,  eretto. 
Ciascuna  parte,  fuor  che  V  oro,  è  rotta 

D*  una  fessura  che  lagrime  goccia. 

Le  quali  accolte  foran  quella  grotta. 
Lor  corso  in  questa  valle  si  diroccia:  «f$ 

Fanno  Achotmte,  Stige  e  Flegetonla; 

Poi  sen  van  giù  per  questa  stretta  doccia 
iDfm  là  ove  più  non  si  dismonta: 

Fanno  Cocilo;  e  qual  sia  quello  stagno, 

Tu  '1  vederai;  però  qui  non  si  conta.  i20 

Ed  io  a  lui:  Se  '1  presente  rìgagno 

Si  deriva  cosi  dal  nostro  mondo. 

Perché  ci  appar  pur  a  questo  vivagno? 


tha ,  exi$tent$  ntonmnhia  perfecUty 
mundum  umditi^te  fuiue  oiiieliun,  Uh 
tii  eonttat.  Mooirch.,  Ub.  I.  N«l  w 
nnito  dei  tempi  difenta  aen  kaono, 
Nfbbene  maoUcDe  sempre  na  qaakhe 
■plendore  e  elcane  ? irtù,  come  è  signi- 
lictto  dall'argento  e  dal  rame,  metalli 
pmr  (li  qualche  valore.  Ma  ogni  splen- 
dore, ogni  gloris  sparisee  alla  forcata j 
ore  si  fa  tutto  ferro  ;  a  aveste  aeceana 
alla  divisione  di  esso  imparo,  morto 
Teodosio;  dopo  il  qoal  tempo  comia- 
ciarooo  le  invaùoni  barbarìcne,  e  qaei 
secoli  veramenta  di  ferro  a  di  calamità 
Dtitìsaimì  per  l' btorie.  Viene  SnaU 
mente  l'impero  al  colmo  dell'avvili- 
mento quando  al  ferro  agi^nnge  la 
creta;  quando  cioè  diviene  un  mbto 
di  tirannide  a  di  democrazia ,  a  che 
Questa  prevale.  La  erela  ha  seco 
r  idea  della  viltà  e  della  debolena ,  e 
ben  rappresenta  il  tumnlluoeo  governo 
della  plebe.  Ora  tutte  queste  allerario- 
ni  dalla  perfetta  monarchia,  significata 
ndla  testa  d'oro,  sono  seguitata  da  mi- 
seria di  popoli,  da  mali  costami  a  da 
delitti;  a  queste  soao  le  lacrima  che 
a^^organo  dalle  diverse  rotture  dcUa  sta- 


tua, a  eolaiio  aell'Iafemo.  (piarti  caa- 
cetti,  a  parer  mìo,  paCrebbara  firani 
dalla  presenta  allegoria,  noa  laola  f«^ 
chi  VI  si  accoaMdaao  diacralaaHala , 
qaanto  e  molto  pia  perchè  si  kaaaa  ii 
graa  parte  confermati  da  Dania  ataia 
a  nel  corso  del  Poema  a  Dal  libra  diUa 
Monarchia,  dova  apartamsala  il 


che  l' impero  romano,  fondata  aan  ik 
ciliari  argomenti  del  divwo  faTUia,  è  3 
solo  impero  legittimo,  a  tolta  fl  ^aala 
pnesa  l'omanità  esser  virtaosa  a  «mali; 


che  quello  disfatto  o  menomalo,  tattsè 
disordine  ;  che  ogni  altro  foreraa  lem* 
porale  è  un'  usurpazioDe  a  an  CaaHls  fi 
discordia  civile  e  di  delitti. 

4 15.  fi  diroccta,  scenda  di  raeda 
in  roccia,  di  rupe  in  rupe. 

447.  doccio,  canale. 

448.  /n/hi  Idee.:  infino  al  fendo 
dell' Inferno,  ossia  al  centro  dalla  ler^ 
ra,  dova  non  ti  dUmonim  pie,  cioè  pie 
non  si  scende,  ma  si  comincia  a  aaliia. 

449.  CoeUo,  è  vaca  greca  eka  si- 
gnifica pianto. 

421 .  rigagno,  pieeol  rivo. 
423.  Perchè  ci a/nf^ puree.:  pn^ 
che  ci  apparìsea,  ci  si  fa  Tederà  iola- 


CARIO  INKDiOQOAETO. 

• 

Ed  agfi  t  me:  To  sai  che  il  luogo  é  tondo, 
E  tolto  che  ta  sii  venoto  molto 
Por  a  sinistra  già  calaDdo  al  fondo» 

Moa  seT  ancor  per  tatto  il  cerchio  volto; 
Perebè,  se  cosa  n'  apparisce  nuova, 
Non  dee  addar  maraviglia  al  tao  volto. 

Ed  io  ancor:  Maestro,  ove  si  trova 
Flegelonte  e  Lete,  che  ddl'  an  taci, 
E  r  altro  di  che  si  &  d*  està  piova? 

In  totle  toe  qnestion  certo  mi  piaci, 
Rispose;  ma  il  boiler  dell*  acqna  rossa 
Dovea  ben  solver  l' una  che  ta  faci. 

Lece  vedrai,  ma  iaor  di  qaesta  fossa. 
Là  ove  vanno  l' anime  a  lavarsi, 
Quando  la  colpa  pentata  è  rimossa. 

Voi  disse:  Omai  è  tempo  da  scostarsi 
Dal  bosco:  fa  che  diretro  a  me  vegne: 
Li  margini  firn  via,  che  non  son  arsi, 

E  sopra  loro  ogni  vapor  si  spegne. 


97 


if5 


ìjO 


136 


140 


«feafiip,  cioè  io  q«e- 
I  rÌM,  •  BOB  altro? «f 
1  Mogo  doto  ero  n 
if  odio  ikmo  U  toUi- 
m  tro  firoBi.  raltiiBo  è 
I  iSiMii  •  Forlo  dot  Tatto  ri- 
PBM,  •  fMhè  ho  rìfoardo  al  oooSoo 
Uh  wàn  ad  ^«alo  ti  tro? a. 

IH.  fbi^  c*f  <l  iMfo  ifondooe. 
i  hao  ialoo^oro  la  riopo»ta  cho  fa  Vir- 
aoirAloa 


loooOy  ai  €00' 
Daoto  »aia|ioato 
..^i-jli.  Dal  fìaitorli  por- 
porta  «  riaafiao,  dimo- 
ia aìfiMlra,^aodo 
ti  lOTBioa  dalla  nooa  parta 
»,  allora  afre  girato 
a  tondo.  Ood'è  cho  ooo  polofa 
d'oro  iocootrato  il  Flcfo- 
do  qoal  lato  flMneo 
oeora  tatto  trascorao. 
W.  JVa»o^«M«r  porftilto  il 
hai  por  aocho  ool  tao 
oaaolto  i  oorchio. 
119.  Mtm  dm  mddìtr  m^nviglia 
of  lo»  oolii^  BOB  doro  attaniarto  o 


154.  thè  delVvm  ioH.  Intoodi  di 
loto.  Leto  tigniSca  o6fto,  cha  non  p«ò 
oaaar  Ball'  loferoo,  dota  la  aeoioria  dai 
paoeati  conuDoaai,  a  dallo  grano  aboaa- 
to,  aarà  noo  doi  maggiori  aapplizj  dai 
daoaatì. 

434.  BM  a  hoOor  ae.  :  il  bollor  del- 
l'aequa  roasa  dovera  farti  accorto  cho 
eaaa  ft  il  Sumo  Flogetooto.  Qaeato^  pa- 
rola tiene  dal  ferbo  greco  tpliytè, 
che  aignifica  ontort .  Da  qoeftto  luogo 

Sarrahoo    che   Danto    noo    mancaaaa 
'  ona  qualche  cogniiiooo  deUa  greeo 
lin^joa. 

437.  Là  099  «e.  .*  Ih  oro  to  aoimo 
porgaoti,  prima  di  salire  al  cielo,  ai  la- 
rano,  qoaodo  la  colpa  di  cho  foron 
pooito  è  HmoMO,  «oè,  tolto  m  da 

45S.  fWBlBia,  portàdfMto  dcH'antiq. 
paBtera,  Koototo  por  pcmtoon. 

442.  E  fOpTB  toro  oc.  Maatra 
l'capanefixa  die  ooo  eaadela  tra  le  Ib- 
mide  oealasiooi  ti  ettiona:  eeal  il  Poeto 
immigioè  aTraoiro  di  qoalto  vaaipo 
pioTmti,  al  tnccore  !•  denaa  calìgine  eoa 
dal  holleoto  SwbìccIIo  ti  elora. 


1  ,.                   ^ 

W                                CA31TO    DECUnOQVIÌV'rO.              !^H 

Ora  een  porta  l' un  de'  dori  margini, 

E  LI  fummo  del  ruscel  di  sopra  adu^gia 

Si,  die  da)  fuoro  salica  V  acqua  e  gli  argini. 

Quale  i  Fiamminghi  ira  Guzzanie  e  Bruggia, 

Temendo  '1  Gotto  che  in  ver  lor  s'  avi-en!a,            i 

Fanno  (o  schermo,  perchè  '1  mar  sì  foggia, 

E  quale  i  Padovan  lungo  la  Brema, 

Per  difunder  lor  ville  e  lor  caslelli, 

Anzi  che  Chiarentana  il  calda  senta; 

A  tale  imagio  eran  fatti  quelli,                                   IO 

Tuttoché  né  si  alti  né  si  grossi. 

Qaal  che  si  fosse,  lo  mastro  fellL                  ^^^ 

Già  eravam  dalla  selvs  rimossi                           ^^H 

Tanto,  eh'  io  non  avrei  vi<^to  dov'  era,            _  ^^^| 

Percb'  io  indietro  rivolto  mi  fossi,                  '^^H 

Quando  incontrammo  d' anime  una  sibiera,         t^^^f 

Che  venia  lungo  l'argine,  e  ciascuna              ^^^H 

Ci  riguardava,  come  euoI  da  sera                   ^^^H 

Guardar  l' un  l' altro  solto  nuova  lana; 

E  si  ver  noi  aguzzai an  le  ciglia,                           » 

Como  vecchio  partor  fa  nella  cruna. 

J.  Or»  cmpurla  te.  E™  chi  udì      o»  dbeli  nionUg»  diaivuUM,d4 

ì.  Mnpraailvagia.  rise  II  «mbr.      ix.i  d.  cui  i  rìcaurl>,ìld<ih>  twM  (*■ 

•pcfHl'Gunt.                                       l..mUrìu  di  Fido»  che  >^  Mnn». 

4.G>iu<i«te:cpi«i>)i(erridlFi.ii-      U  pirud.ll.  Alpi  dgve  ■>««  liBi«f 
Jrit  Bruggia,  0  lirueu,  odIkIc  olii.      I^.icbe  iP.doimì  chiimino  CiUOr» 

ptrìeuiM  di  Fiixdn.                                («w.  ,oaoi  m-oH  i.\  Trenti». 

dd  Dare.-  i-otefniB,  »  sliudi,  vii'O      (..rs  li  t«e-  Cbbay»  <,u«lì  »  foat,  • 

G.  Forno  lu  ithiTmiK  [UM  i  ri-            U.  dcvirtL.  lalcmli:  ItKJ.i. 

pari  0  le  dìgliii.  penhi  il  iD.»  ilij            )3.    Pm*'Ìo.   tcbbui    i»,  pr 

fnnù  hitliermn,  n  ^ubU  i  Pad.,-      qiHiido  U  luni  aon  .plcmli- U  >i«llt)tl 

MHf  «  ,  a  taU  imagiH,  «.                     eh.  .vvic«(  .ppualo  qo.ndD  i  sa»». 

9.  J>:f  cht  Cl.iarc»l(iM  te.:  prì-      ci»  IrimoDl*  poco  dxpo  il  •d(. 

CAlfTO  DICmOQUUffTO. 

Co^  adocchiato  da  cotal  ianugUa, 
Fai  conosciiUo  da  un,  che  mi  prese 
Per  k)  lembo,  e  gridò:  Qoal  maraviglia? 

Ed  io,  quando  '1  suo  braccio  a  me  distro, 
Ficcai  gli  occhi  per  lo  cotto  aspetto 
Sì,  die  'i  viso  abbruciato  non  difese.^ 

La  conoscenza  sua  al  mio  intelletto;. 
E  chinando  la  mia  alla  soa  faccia, 
Risposi:  Siete  voi  qui,  ser  Brunetto?  (*) 

E  quegli:  0  figliuol  mio,  non  li  dispiaccia, 
Se  Brunetto  Latini  un  poco  ieco 
Ritoma  indietro,  e  lascia  andar  la  traccia. 

Io  dissi  lui:  Quanto  posso  ven  |M*eco; 
E  se  volete  che  con  voi  m' assaggia. 
Farò],  se  piace  a  costui,  che  vo  seco. 

0  figliuol,  disse,  qual  di  questa  greggia 
S' arresta  punto,  giace  poi  cent*  anni 
Senza  arrostarsi  quando  *1  fuoco  il  foggia. 

Però  va  oltre:  i*  ti  verrò  a'  panni, 
E  poi  rigiugnerò  la  mia  masnada. 
Che  va  piangendo  i  suoi  eterni  danni. 

Io  non  osava  scender  della  strada 

Per  andar  par  di  lui:  ma  *1  capo  chino 
Tenea,  com*  uoro  che  riverente  vada. 

£i  cominciò:  Qual  fortuna  o  destino 
Anzi  r  uitimo  di  quaggiù  ti  mena? 


S» 


25 


SO 


U 


40 


45 


22.  dm  eoimi  [mmiglia,  da  cotale 
"Ìmr,  fcrcW  ^«ali  peccntorì  top  di- 
^'  ia  laiiÉt  Maaiiadc,  cmbc  ai  dirà  piò 


2M4.  wd  ftrtu  Ptr  lo  Utnbo  te. 
I«pHt  pai  laniko  dalla  vaate,  percliA 
bawito ara  «è  Della  rana ,  e  Danto 
«rapMddroacdlo. 

27.  «0»  difnt,  DM  imped'i,  dod 
lér  al  ■■•  ÌDtflIctto,  alla  mia  nuoto, 
AaatorlD  ncoaoacara. 

SI.  JBnmrlto  Latini  fa  ^n  filo- 
ai»  a  ■Bfatro  aonoi*  io  rrttorìca,  a  a 
y  daw  Firaata  U  aao  primo  dirocza- 
F«  di  parte  gv^lfa^  e  maastro  di 
D«po  la   roUa   di    Mootoperli 
■■la  a  Parigi,  dora  arrisca  ia 
frwr'*««  il  avo  Tesoro.  Era  oato  verso 
i  iZM^  mori  ìa  Firenze  nel  1291, 


dora  era  tornato,  quando  i  Guelfi  i> 
guadagnarono  lo  Slato. 

33.  la  Irorrto,  cioè  la  comitiva  d#- 
gli  altri  che  andaTano  in  fiU. 

51.  preco,  secondo  il  Ut  prioor, 
che  poi  ai  fece  prego. 

53.  m'atteggia,  m'aaaida. 

5C.  ehi  vo  teco,  perciooclift  laiM  ia 
aoa  compagnia. 

39.  arrostarti,  arentoUrsi.  —  <i 
ftggia,  lo  ferisca.  Feggia  è  il  praaante 
indicativo  di  feggiare. 

40.  ti  terrò  a'patmi.  Ci  verrò  ap- 
presao.  Vedi  la  noto  ai  veni  23«24, 
da  cui  vedrai  la  ragiona  di  qnaato  par- 
lare. 

41.  la  mia  wuuuada,  la  coapa- 
(jnia  di  geoto  colla  quale  io  vado.  Oggi 
questo  termior  ba  cattivo  suono, 
non  fu  coai  nei  principj  della  lingóa. 


E  chi  è  questi  clie  mostra  '1  cammino  f 

Lassù  di  sopra  in  la  vita  serena, 

Rispos'ìo  lui,  mi  smarrì'  in  una  valle. 
Avanti  che  l' eia  mia  Tosso  piena. 

Par  ier  mattina  le  volsi  le  spalle: 

Questi  m'apparve,  tomand'io  in  quella; 
K  riducemi  a  ca  per  questo  calle. 

Ed  egli  a  me:  Se  tu  segui  [uà  stella, 
Non  puoi  Tallire  a  glorioso  poito, 
Se  ben  m' accorsi  nella  vita  beila. 

E  s' io  non  Tossi  si  per  tempo  morto, 
Veggendo  il  cielo  a  le  cosi  benigin», 
Dato  t'  avrei  all'  opera  conforto. 

Ma  queir  ingrato  popolo  maligno, 
Che  discese  di  Fiesole  ab  antico, 
E  tiene  ancor  del  monte  e  del  macigno. 

Ti  si  fare,  per  tuo  ben  far,  nimico. 
Ed  è  ragion;  che  tra  li  lazxi  sorbi 
Si  disconvien  frutlnre  il  dolce  Geo. 


BaH«.TiidiC.I,T.  ^^. 


M.  OtUll  lì  I 
IinwIcdiBeil 
C.XXKt-,«[r 


z;:^zi:l^Lf. 

\2'MìW.PMrg., 

cltU,  <  il  IDO  rìcUto».  VtdiC 

lu  «il,  nel  pie 

del  ParadiK). 

55  SetUMfittlMiKtls.» 

Mllanu  picnoai,  cine  ili*  «m  pcrEc-  56.  JVon  fiuirìfidtlnte.:Biiafi 

■ioH, chili  bat  lì  33,  qainilu  fi  tìU      iDInnre  di  giunjjcrai  ]<1orìoH  finc^i 


IbflHiIlHdlnli  CkrUli.  dtll>utrol.'(;ii  ^nJiriirìi.  Iritia  au  I. 

S2.  Pur  itr  ntollina.  ulaniGDtB  lice  omnijia  per  I*  (uluri  glurìt  tàrn 

ieri,  IH  primi  <liicrìaiHlIini,IicDtri  tiGca  ■  le  Henna  •lei  tua  alunna. 

(«Malte,  par  olirà  il  monlc.  Gì.  «a  «luir  librato  popolo  f 

tS.    lentandio  in  furila,  tilli-  Il  p<v«lii  RnrtnUnu  ebbe  «rìgìu  i 

(li  ipmligin™  l'olleB»-  riBofe,  anlrci  fili»  piwli  »pri  uo  ed: 

di  eaid,  ci>-  63.  £  IJrM  atteur  ed.  :  s  aaatin 


CANTO  DECJMOQUnrTO.  |0f 

Yeoehia  hnOi  nel  mondo  li  chiama  Orbi: 

Gente  avara,  invidiosa  e  superba: 

Da'  lor  costami  fo  che  ta  ti  ibrbi. 
La  tua  fortona  tanto  onor  ti  serba,  70 

Che  r  nna  parte  e  r  altra  avranno  fame 

Di  te:  ma  lungi  fia  dal  becco  l'erba. 
Faccian  le  bestie  Fiesolane  strame 

Di  lor  medesme,  e  non  tocchin  la  {«anta, 

S*  alcuna  sorge  ancor  nel  lor  letame,  7& 

In  cui  riviva  la  sementa  santa 

Di  quei  Roman,  che  vi  rimaser,  quando 

Fu  fiitto  il  nido  di  malizia  tanta. 
Se  fòsse  pieno  tutto  '1  mio  dimando, 


A*  egli  non  Mrdkbe  stato  né  ^elP  un 
mHHo  né  SéP  tltro:  profesìa  dia  gii  è 
fetta  attcba  daCaedagoida  nel  IVI!  dal 
Per.  La  aeeoiida,  cka  f^  i  Biancki  cha 
i  Nari  di  Fireaia  arrebbaro  od  giano 
pmUo  fame  di  lui.  doè  raTrabbar  de- 
aideralOy  o  moari  oalla  saa  gloria,  ov^ 
Taro  sei  bitogoo  fanCito  della  sua  ntth 
■oadnta  tapieioa  a  probità. 

72.  «M  Imagi  /Ui  dai  becco  terha. 
Ma  non  tare  todisfatto  il  loro  doaidario. 

78.  Paeeian  le  bestie  ee.  I  Fiorai» 
tini  d'orìgine  fieaolana,  rasa  dora  e  be- 
stiale,/iseeioiio  ttrameditorwtedetme, 
si  gorernino  tra  loro  a  dal  loro,  e  non 
ioeehin  la  pianUi,  ooo  s'aeeostuo  alla 
geotiti  pianta  di  sene  romano^aioè  nao 
abbian  menta  di  eomone  eoi  Fiorantiai 
di  orìgine  romana^  seppnra  ea.  SIfmme 
ebiamast  l'erba  pia  Tile,  di  dia  si  fa 
dbo  e  letto  alle  bastie. 

77.  ehevirimoseTt  int.  ad  abitare. 

78.  il  nido,  doè  Fironxe,  ediSeata, 
coma  n  diee,  da  nna  colonia  di  Room- 
ni,  ed  aeeresdota  poi  dd  Fiesolani. 
VediMadiiafdli^toriclib.n.— Dante 
d  gloria? a  di  discendere  da  nna  ffsmiglia 
romana  di  anticbisdma  orìpise,  a  crada- 
fadparentadd  Fraogipau. 

79.  Se  foste  pieno  tutto  ee.  Sa  si 
fosse  adenwito  ogni  mio  roto  :  sa  foad 
stato  esanditoin  ogni  mia  pregniara,  voi 
sareste  tnttora  tito.  Questa  dicbiara- 
ziooe  d'arargli  pregato  più  Innga  rìta, 
selenita  a  qod  eba  gli  lia  detto  sopra 
scr  Brunetto  d  Terso  4  8  ;  ff  io  fliofi  fotei 
fi  per  tempo  morto  ee. 


fema  nel  mmtdo  li 

orbi.  Dne  eagiooi  d  addaoooo 

ipiannama  dato  ab  antico  d 

r  bachi  dica  dia  sa  la  ao- 

spando  di  dna  enea  offerta 

dai  Piaaai,  tho  Toleraao  rìcom- 

dà  CTcr  guardato  Pisa  mentre 

alla  conquista  ddla  Balearì, 

•  dna  parta  bellissima  di  bronzo,  o  duo 
rdsmaa  di  porfida  guasta  dal  fnoco,  o 
slBlr  pcrdb  aoperta  di  scarlatto,  i  brari 
Fiarsulini  d  icslsare  auasf  ultima.  Al- 
tari Semme,  a  oao  pie  faodamento,  eha 
a  aauM  di  oiecki  Taaisaa  loro,  quando 

araao  preadara  aUa  ludngba  di 
i^eUmdeà  Tolila),  aba  atlaoaa 
,  ^udt  cbe  non  a? ea 
■è  aall'armi  né  con  un  lungo 
di  aascra  riaafuto  in  Firensa , 
the  pai  a  tmditara  riempa  di  stragi  a 
ék  rwmm.  Queat'apiniaoa  è  tenuta  dd 
%  iOanB,  dd  Malaspini,  da  scr  GioTanni 
FiBiss^ias,  a  da  oenreouto  da  Imola. 
Il  vaiaai,  tra  gli  altrì,  d  esprime  cosi: 
«  l  firn  t  ntiui  md  avradnti ,  e  però  fnro- 
m  a»  auuipra  ia  proverbio  diiamali  dO' 
m  ikit  afadaHaro  die  sua  falsa  ludngbe 

•  (£Allila)evuDapraaùadoni:apersou- 
a  ffi  la  parla,  a  aussoolo  nella  atta,  s 

€8.  Celila  onmrm  ee.:  consuona  eoi 
«<ff*o74  dd  Canto  VI,  Superbia,  imei- 
Ma  ed  moariiia  eono  Le  trefamUe  ee. 

•f.  f(/M<|oforba,  da /orftere), 
ti  farbiaca,  cioè  ti  purgbi. 

70.  La  barn  forhma.  Due  cosa  qui 
•i  accwnano  :  la  prima,  che  la  sua  for- 
tuaa  aTrebbe  disposto  le  cose  ia  modo 


n  sareste  ancora 
a  natura  posto  in  bando: 

Che  in  la  raenle  m'è  fitla,  ed  or  m'accora, 
La  cara  e  buona  imagine  paterna 
Di  voi,  quando  nel  mondo  ad  ora  ad  ora 

M'insegnavate  come  l'aom  s'elema: 

E  quant'  io  l' abbo  in  grado,  mentr'  io  viio 
Convien  che  nella  mia  lingua  ^ì  scerna- 
Ciò  che  narrate  di  mio  coreo  scrivo, 
E  serbolo  a  chiosar  con  altro  lesto 
A  donna  che  'I  saprA,  s'  a  lei  arrivo. 

Tanto  ìogl'io  che  vi  »ia  manireslo, 
Pur  che  mia  coscienza  non  mi  garra, 
Ch'alia  fortuna,  come  vuol,  son  presto. 

Non  è  nuova  agli  orecchi  miei  tal'  arra: 
Però  giri  forluna  la  sua  rota 
Come  le  piace,  e  il  villan  la  sua  marra. 

Lo  mio  Maestro  allora  in  sulla  gota 

Destra  si  volse  indietro,  e  riguardommi; 
Poi  disse;  Bene  ascolta  chi  la  nota. 

Né  per  tanto  di  men  parlando  vommi 
Con  ser  Brunetto,  e  dimando  chi  sono 


mpa-r 


pjLi  n 


I 


•■nalHnrc  li  morie,  ptrllmlsal  i  titr- 

.>«t  dell!  ipdilt  Jl  bninello. 

dì  jarrin.  ijriJtM,  rimoroimr». 

M,  «uanl'in  faiboln  gra<4a-  ipin- 

U.  •■  D.  >il  flr.lo.  t>.II' Mi.  Otn-I  tVf 

npiiT».   Qui  inlBB.Ii  prolldoM     (bt 

U.dÌm{o<i,tio.àoi,i>ntn,\iJ<A- 

,o.,.Joè.mc,p^di'™i™™«. 
p.rr.,  no.  ri»rti,  uo  p<E»  M  m.1. 

fn  n(i.  —  lenVo,  lo  fD|iriiDo  scili 

mia  monla. 

r^W.glrifMmm,la«KnU.*ÌI 

B9.  SurholB  a  rhlaiartt.:  e  ìeivr- 

c-lln  «   Q<.«W  malo  pnnoiUilc  li- 

goilirt  :  r.<TÌi  l'uomo  dttriDlan*  wl 

.;i>i>i«|p,c^ colli  prodiiìw^  Miami 

ci»  di»epuft:il«oi>dì«  pn-n.  !•- 

^•r»ia*U  V«liCiii.lo^,tcrioTOi-Mg. 

TDrì  l>  (crr>,  iliiinTiiileo-ÌDdB.lriw., 

30.  aAmiathtiltapririM.ibt 

e  poi  iKmci  qnri  th*  Ilio  iBolt, 

.    "f*  cUnan,   tpiegira:  e   reo! 
•Iit*  il  Bfilri». 

90.  Smt  aMoJM  >*•'  te  noi:  !■■ 

UM-  .l,ln>«.l.  .«oli.  col»  .:k.  bc* 

Mi,  >  broo  ixipriiH  Bollo  »•■  «leok 

tofTiteh*  «HiuipiiU,  che  ìoinnii  prih 

I.Kl.lon.*J«MTJ. 

100.  M  per  lanlo  tt!  ni  fw  a 

—  PuTcU  mia  a$tltnta  xn»  mi  gir. 

ro.  ponUò  lg  m' ibbi.  leoipre  il  r«IÌ- 

»u  Hf  BtuneUo. 

térìy 


CASTO    DEeiMO(JUi:VTO. 

Che  'I  tempo  saria  corto  a  tanro  suono. 

In  foniiDB  eappi,  die  tolti  far  rìierci, 
E  letterali  grandi  e  di  gTPo  Tania, 
D'un  medesmo  peccate  al  mondo  lerci. 

Priscian  sen  va  con  quella  turba  grama, 
E  Francesco  d'Accorsi  anco,  e  Tedeni, 
S'Bve.«si  avvio  di  lai  tigna  brama, 

Colui  polsi  che  dal  Servo  de'  Servi 

Fu  Irasmulalo  d'Arno  in  BacchigHonc, 
Ove  Iasci6  li  mal  prolesi  cervi. 

Di  più  diro!;  ma  il  venire  e  il  sermone 

Più  lungo  esser  non  pnù,  perù  ch'io  veggi 
Là  surger  nuovo  fummo  dal  sabbione. 

■  tanfi,  ninna,  •  «ti  lai 


■go  li  III  fa»a>«rlBÌii  J>1 1381.  Ndl'ir. 

elùtÌail*lC(piUJaGu*D(ii»lriiTUDin 

}.  ttutuUIfur  diertifc.  CKerri  mutiOo  iti  «wmiìhi  Sklvinl    rh*  is  bo 

Itun  linm  puri*  cberid,  pirle  liHlf-  iidnle1,ln  ni  ii  ln|>«||iii  ili  prarin  clu! 

nli  fisM.  Il  Muti,  non  cfag  [Nwdilo  al  ibio  the 

tOB.  fi'ttH  meditmo  patata,  ai»-  Dutt  (li  «pf me ,   rn  (oii  pralitn  dì 

M  pMMU  pil  qaale  fa  ini  l>  eUlì  i.  nmlli  pielì  ;  (he  li  idi  Irnlxinne  dnt 

SsJmm.  —  Itrriiioni,  imbrilUli.  tacr**vieiiiili  ptreajrionedfllg  Iinv- 

m.  JVitdaM,  gniDinalica  del  ir-  ni  ;  ■  che  noa  è  credibile  qncl  die  w- 


•  'ìvr<aQtoìio,ttnrgtih\f^jp  inBnl'"      qRadda  ai  vi  rlie  moi.» 
j '--HaBI.Pij  Hjliod.'I      tenpe  dnpn  II  ne  Iridi 


.,   the  il 


EDI,  dote  nurlDeHlorPii  Itgllad.'t  teinpg  <lnpn  le  ne  IriduioDe.egli  mt- 

■  illiniutore  di  RigioD  Òiìlr,  nulo  Firenu  e  lenprllirl»  in  deepTole  ma- 
nti *<ll*ffig  di  BoBnuotii,  poche  ini|{li>  nonitnlo  nella  chini  di  San  Gregorìn, 
dblul*  da  nrenie,  e  murln  nel  l?2M.  non  pnlendiui  penaare  che  ai  ficiia  ri- 
Hetti  roamlatori,  CDflt.nidendD  noni  e  (ornar  moria  chi  ai  è  [allo  •llontanir 
eoe.  hinaodiloal  paJrcil  bruUoviiio  tìid  per  lergi^a.llaiFbbedBiia  lode- 
dei  KrIìo.  iole  lo  iL'lo  del  doUo  Camnleo  di  pnr- 

III.  S'avritl  avuto  di  lai  tigna  garadilli  hmlla  marchia  il  ineoraBo- 

tranu.'  k  ta  aTeui  dnidFTtlo  tmi^  renlJDo.nenoitanladcTo  conreaMracka 

Mere  penane  ai  laide  «  apsrehs.  ìmoÌ  arn'menli.aa  ei  poaeon  mdlfra  in 

113.  Sfflet,  In  pglCTi,  Bvmll  prlu-  dubbia  di  qnaldia  drcntuia  alTemialB 

It.—  roIii{,Ìnlende  J'AnaroideMraf,  dai eorarnlalorì , non ••I|;odo  ann(DlÌi« 

incoro  di  r>rrnie,  ehe  dd  Srrro  de*  il  MlnUenn  alimalodi  Dante  eootem- 

Strri,  òeè  dal  papa,  tn  IrutalBlD  d.i  pannoneeoneilladinodd  THwvin; ipn- 

"  IrAnH,  ■  Virtna  ,  Ira  il  anale,  per  naBlo  po<nae  eaarrs 

il  Batrhijlioi       -  -    ■      -  


de  l'ing». 


laat  e 


^rb*fa**pamH»lòlllttie<idì>tMiD  naliira,  <e  non  ruenc  tilln  lieoro  la 

drlCaT.TolBnit»dc'!lloai,tàBTolr>  pubblica  lama;  fawjtBerobba  itìnarlo 

di  cai  era  nolo  il  brullo  tiiia,  lo  trai'  a  1*  pabbliei  Imn  in  ijneala  eoaa  diffl- 

uit  a   Titcna  :  aoiirinwiaehi  Nicto-  dlmcDle  i  memlice. 


dell'  ihferao 

Gente  vien  con  la  quale  esser  non  deggio: 
Sieti  raccomandato  il  mio  Tesoro, 
Nel  quale  io  vìvo  ancora;  e  più  non  cbe^o. 

Poi  si  rivolge,  e  pane  di  coloro 

Che  corrono  a  Verona  il  drappo  verde 
Per  la  campagna;  e  parve  di  costoro 

Quegli  che  vince  e  non  colui  cbe  perde. 

Il  mia  Taaroma  libro  IdIì-  —  Pirrl  Mniia  chr  Danto  abbia 
ttaine  it  eaUlio  uffido  al  no  m 
nel  If  mpa  eh»  gli  Drol( 
iritilacfinp.  Ha  il  riO 
a  FoUa  dalla  •crìtà* 


lolita  II   Tmro.  E  naala  «u  tftat 
rtMoalientatlulofDbila  dg'iBol  trinpi. 


altri  .1» 


uinpigna  di 


L  At  Dasta  ì 
non  nle  (M 

li  Hloa  dagli  ilorlcì  ie\  lanpo,'la  •»- 
Blnmaleiu  dal  Latini,  pera»  potaba 


c.tnrro  dectoiosesto. 


I 


Già  era  in  loco  ove  s'ndia  il  rimbombo 
Dell'acqua  che  cadea  neli'allro  giro. 
Simile  a  quel  che  l'amie  fanno  rombo; 

Quando  Ire  ombre  ini^ieme  m  partirò, 
Correndo ,  d' una  torma  che  passava 
Sotto  la  pioggia  dell'  aspro  martiro. 

Vonian  ver  noi;  e  ciascuna  gridava: 
Sostati  tu  cbe  all'abito  ne  sembri 
Essere  alcnn  di  nostra  terra  prava. 

Aimè,  che  piaghe  vidi  ne'  lor  membri 
Recenti  e  vecchie  dalle  fiamme  incese  I 

5,  amlf.  la  Fiutila,  are  iimoma  R.  eU'eiili)  natm&ri 

Itapi:  ^i  figurala  menta  per  la  api  ilei-      dlila  dnii  igticbi  FiarmtiB 
n.  —  rombo,  diesi  il  idom  eba  (inna      Tari  pel  liieeo  ed  il  cappan 

■a.  C«tr  liMilttqutlromiotlttfim-      ailaiiti.  Diala  (olita  pon 

t.  Quanio  In  owibn  K.:  quando      bande  cbe  ihindirioH  il  h 


1  (pinti  ebaptuartuo 


CANTO  DECIMOSBSTO. 


405 


ib 


20 


t  n 


Ancor  men  daol,  por  eh'  io  me  ne  rimembri. 
AUe  lor  grida  il  mio  Dottor  s' attese, 

Yolae  il  viso  ver  me,  e:  Ora  aspetta. 

Disse;  a  costor  si  vuole  esser  cortese: 
E  se  non  fosse  il  fuoco  che  saetta 

La  natora  del  Inogo,  i'  dicerei, 

Che  meglio  stesse  a  te,  che  a  lor,  la  fretta. 
Ricominciar,  come  noi  ristemmo,  ei 

L'antico  verso;  e  quando  a  noi  far  ginnti, 

Fenno  ona  mota  di  sé  tatti  e  trei. 
Qoal  SQolen  i  campion  far  nodi  ed  unti. 

Avvisando  lor  presa  e  lor  vantaggio. 

Prima  che  sien  tra  lor  battati  e  ponti; 
Cosi,  rotando,  ciascona  il  visaggio 

Drizzava  a  me,  sì  che  in  contrario  il  collo 

Faceva  a'  pie  contìnoo  viaggio. 
Deh,  se  miseria  d' osto  loco  soUo 

Rende  in  dispetto  noi  e  nostri  preghi. 

Cominciò  l' ano,  e  1  tinto  aspetto  e  brollo; 
La  filma  nostra  il  tuo  animo  pieghi 

•  quel      twm,  nnchè  credeMWO  iTcr  Tintaggio 
ntlla  prm.  —  SmtUn  è  prcMoto  da 


96 


A  caiM  cfwralcoto 
tetta  la  frate  ti  iinega 
é  db«  piagba  raeasti  •  ?  «^ 
lar  aMnbri  par  la  fiamma 
dalla  fiarnoM  aeetie, 
tm  piofaaiiol  • 
41.  fmrdi'40,  aolo  chaio. 
4S.  ff'tfflcMy  cioè  pana  Faraechio: 
(era,  ii  fami. 
li-I  8.  £«  «OH /iMif  il /^  «e.  E 
*< ma  t* impilimi  3  faoca cm  piova  aol 
^«l»  baf»,  dirai  dte  «Mglio  flatta  «  lo 
<•  ^dte  il  «siffr  loro  iMMlro,  eJba 
^miàt  mmin  m  «Moalror  lo.  Per 
^oia  dtima  paiab  ai  eampraada  dke 
1*di  ifce  famtaao  iaeaoiro  a  Dante 

raggaardaroU. 
It^  d^  «iJìmo. 
H.  l'mniao  oorao.  cioè  lamento. 


2M4.(^mI  Molanae-*  coma  fooUo- 
■•fam  i  camMaaiJ  loltatorì.midi  ad  oa- 


Faltro 

**•  veila||io,ptÌBa  d' attaceani  a  par- 
«i>«B,  me  aa.  —  Onaati  tali,  a  latta- 
*wi«p«fili,  prima  di  Tamre  airattaeeo 
^'ignaiana  alqsanto  Fano  attorno 
dd  aUra.  aaiMro  onrdamlMi  par  ofni 


30 


è 

f  oltre,  ehe  u  antico  alla  tetra  ? oae  plo- 
rala dava  regolarmente  jnolaao  eolr  ac- 
canto aolla  prima.  S4tm  hathM  a  jpmmU 
è  detto  ioTcce  ddF  altra  forma  pia  co- 
mane  f<  èalloiio  a  fingano.  Alcnm 
tetti  hanno  tolltiie  o  toUamo;  ma  di- 
teorda  hnittameota  quatto  paatato  dal 
preaeote  tien  battuti,  e  il  paragona  ci 
perde  di  madtè  a  di  chiarana. 

25.  roloiMio,  girando  in  cerebio. 

26.  ti  cAf  iiteoiiirario  ae.  Etteado 
Dante  fermo  tall'argina,  ed  emiroloiiifo 
tetto  di  lai  nalF arena,  per  poterlo  tc- 
der  tempre  in  vito  eran  cnttrctti  a  man- 
dare il  collo  in  tento  eeatrario  ai  piedi . 

28.  Dthf  i$  ae.  Ceak  piA  chiara-' 
mente  «n  bnon  numero  da  Codd.  La 
com.  E,  IO  te.,  di  cui  la  caatmziooe 
tarebbe:  B  Vvmo  eowdmeiò:  S$  mUe- 
rtetf'atlo  loco  follo,  a  H  Unlo  ocel- 
lo ae.  —  9olto,  è  Foppotto  di  iwro: 
qui  ?  ale  mal  fermo,  cedeTola  :  tata  tuoi 
otterela  rena. 

29.  Bemdt  1»  ddpallo^  rtadatpre- 
gereli. 

80.  hroUot  brullo,  nudo:  qui  figura* 
tamente  tta  per  acarticato  o  impiagato. 


A  dime  chi  (u  se',  rhe  i  vivi  pirrti 
Così  sicuro  per  lo  Inferno  Treghl. 

Quegli,  !"  ormo  di  cui  pestar  mi  vedi, 
TnUo  che  nudo  e  dipelato  vada. 
Fu  di  grado  ma^or  che  In  non  credi. 

Nepote  fu  della  buona  Gualdrada: 

GuidopueiTB  ebbe  nome,  ed  in  sua  vita 
Fece  col  senno  assai  e  con  la  spada. 

L'altro  ch'appresso  me  1'  arena  Irila, 
È  Tegghinio  Aldobrandi,  la  cui  vom 
Nel  mondo  su  dovrebbe  esser  gradila. 

E  io,  che  posto  son  con  loro  in  croce, 
Iacopo  RuElicncci  fai:  e  certo 
La  fiera  moglie  più  ch'altro  mi  nuoce. 

S' io  fuse'i  sialo  dal  fuoco  coverto, 
Gitlato  mi  sarei  tra  lor  di<iOlto; 
E  credo  che  'I  Dottor  1'  a\ria  sofferto: 

Ma  perch'  io  mi  sarei  bruciato  e  collo, 
Vinse  paura  la  mia  buona  voglia, 
Che  di  loro  abbracciar  mi  faeea  ghiotto. 

Poi  cominciai:  Non  dispetto,  ma  doglia 
La  vostra  coodizion  dentro  mi  fisse 


1 


«ut,  ck.  tir»  FUBminf^  lo  Inforno. 

mondo 

ss   dipttab,,  .rnrtir.ta. 

45.  fwibi  firn  eon  loro  in  «nn: 

do»  Berli  .Ir'HtrigHiii,  B.>hjl>  iorm- 

Um.  Si  iHritb  É  Guido  il  tmhio,  1. 

À*.  Iaa>fe  Bvllturrt  la  n  rim 

™  oripiio  «t«  d' noi  r.<DÌgUi  pnof 

(d  ODorilo  (.tilior  li..r«nlÌBO  ohe  dll- 

nict  puuuio  lulii  ooii  (hlooo  1,  0  M 

i'orrsl-"   *  rìlroiio  delia   wM,   h 

inrl  nilrìiDon»  iittae   la  «lirpi  ir' 

ipiclo  il  bmllo  *itÌo  di  rh«  qd  •>  T» 

Coati  GoiJi  «BDorì  iti  CwntiDo,  «  di 

^oai.Prrrift  di»  chi  lo  Bria  BHj^ 

DwllcmMlg  io   V.l  J'Aroo.  Tri  gli 

p>D  eh'illm  gli  no»».  — ParechcnoM 

litri  BgU  di  Soildndi  to  IO  Riig{>pri , 

J.»i,«&riJoe«r,.,«W«o.rr«l. 

'  a«u  lo  .%1i,  0  m  daHT.7«<M 

■oldolo.  A,  tilt  a..[U  pirlr  orili  villo- 

thoniiiiri»» 

■rìi  diCarlo  Kprl  M»nfrrdi  ■  Bcnntnlo 
■»ilJK.GiridoÌIVeccl.ìo  mori»]  1213 

4C   dal  liieea  r<irtTU>.  rinnlit  * 
.ieuro  M  I«™ 

40.   raniu  IHIa:  ctamiu  al- 

47.  diioIlD,  cioi  Mls  lo  np*  Bel 

•uiolirmt. 

..btiooo. 

-II.   TttfUmio   Mdobvaadi:  -no 

SI .  ni  /-ami  ghiolls.  ali  hcni  in- 

ddii  UmM»  AdiMri.  Fa  pro-lr  fp!- 
low:  Maoitlib  F>reiin  ■  non  tir'  T  «^ 

iì.  flBn   diiprtto:    ràpoado   lit- 

wttt  cnlro  i  Stoni  :  mi  ooo  ondo  i 
rimo  rolli  «1  Eun»  4.11..  IVciiò  m>ì  i 

M-Sl  Lo  eiwrrB  («uJ.-.fff»  «.;  Il 

ihIk»  .imo  .Pilro  iDSK^à.  —  Ul^i 

doU. .  1.1  rxf  .««.  óti  il  ni  »«;   1. 

(■fin  li  dliiHiglla.'  mnlio  Imkm  lUri 

(«i  («01*,  (inuiif  di  iiiggio  fonvi-l'*- 

•  d.l^.r>i  d.l  ifno  «liiro.  E  m*to  il 

Cagno  OBCUIOSESTO. 


Wé 


Tanto,  dw  tardi  tutta  sidispoglia, 
Toalo  che  questo  ndo  Signor  mi  disse  ^ 

Parole,  per  le  qnali  io  mi  pensai, 

Che,  qua!  toì  siete,  tal  gente  venisse. 
Di  vostra  terra  sobo;  e  sempre  mai 

L' ovra  di  rei  e  gli  onorati  nomi 

Con  aflnion  ritrassi  ed  asooltaì.  oo 

Lascio  lo  fisle,  e  vo  pei  dolci  pomi 

Promessi  a  me  per  lo  verace  Doca; 

Ma  fino  al  centro  pria  convien  eh'  io  tomi. 
Se  lungamente  P  anmia  conduca 

Le  membra  tue,  rispose  quegli  allora,  86 

E  se  la  fiuna  tua  àopo  te  loca. 
Cortesia  e  valor,  di,  se  dimora 

Nella  nostra  citta  si  ooiae  suole, 

0  se  del  tutto  se  n*é  gito  ftKna? 
Che  GugiiebDO  Borsiere,  il  qual  si  duole  70 

Con  noi  per  poco,  e  va  Ù  coi  compagni, 

Assai  ne  crucia  colle  sue  parole. 
La  gente  nuova,  e  i  subiti  guadagni, 

tomi  per  rìgurdo  al  inogo  dirupato 
per  COI  dotava  fecndera. 

e4-65.  $9  kmgtmmit  V  amiwM 
eonàHOL  La  ntimèrg  iit$:  aioè^  eoai  to 
TÌta  iniiffameiiie,  a  così  dai»o  di  la  rasti 
lateammorìatra'mi. 

67.  Cartnia  evéior.  Corletia  di- 
aati  l' oaaato  e  TÌrtuaao  oparara;  vmiore 
è  la  nataral  geniilena  dall'  aDÌmo  cha 
■raora  a  atar  eorittia. 

6S.  Nella  nogtra  città,  ioBrania. 

70-7 1 .  Guglielmo  Bonier*,  fa  no 
aaTaliara  raloroao,  ffeatila  e  piacafola  in 
eolie  (di  Ini  ti  paria  nel  Dacamerona , 
nella  Giornata  I,  Noralla  8).  —  il  qual 
ti  duole  Con  noi  per  poco  :nAfitf\e  con 
•ai  da  poeo  tempo  in  qaaj  eioè  è  di 
paeo  venato  air  Infemo ,  ai  ehe  ha  po- 
talo darci  fresche  nvoTe  di  Firenaa. 

72.  Ne  crucia^  ci  affligge.  La  eom. 
«a  emefia,  che  pura  ala  per  crucia. 

73.  La  gente  nuora,  la  graia  fe- 
nnta  di  poco  ad  abitare  Firenze.  —  i 
tuHti  guadagni,  le  rìrchacza  in  hr^ 
▼issinio  tempo  arenmnlate  nelle  tarbo- 
lanaa  dvili.  L'caparìeua  dimoftra  cha 
il  plebeo  e  il  ? illano  levati  al  potere  per 

^ latt' altro  che  grandezza  d'animo  e  no 

C5rics^c«da,cioi,ac«Bda.Èdatto     faro  aiarito,  a  i  Tanati  da  poTorik  tn- 


pMiiihofaM  fatavo^  coma  akra 

'«le  iidmaa,  a  mealio  dimoatrara  la 

m ,  Jia  n  affarma  ca* 

m  alla,  a  ai  tadeaia. 

SI.  Prnnk,  per  le  ptmti  «e.  Yadi 

■a  tna  44  a  aegg. 

17.  Che,  fiwf  co<  tiete  ee.:  chaTo- 

dcgna  di  Mollo  onore, 


».  l'OTTW  éi  «0<,  cioè,  la  opera 


il.  Cm^ m§niam  ritraiti:  con  af- 
tfla^  tm  %tmfmìm4*emmo  narrd ,  rap- 
ai. Ditaa  attrora  :  io  non 
„  éi  éuUi  mieno.  ^  ed 
\,  e  eom  eemtào  metto  la  aacol> 
alaiaalln. 
U.UmUoloJéo  ae.Goè:  laKto 
haofhi  d*  Inferno  per  an- 
«■Maaani  da  Virgilio; 
Me  dalla  selva  bmta, 
«Borta.VadiilC.I. 
^  fééOci' pmni.  Alluda  al  mblico 
— '7a  ^aMi  bcMftri  effetti,  cha  à- 
a  fcaHs  dal  dnra  viaggio 

Dmem,  aaorta ftda,  ehe 


I 


Orgoglio  e  dismisura  han  generata, 
Fiorenza,  in  le,  si  che  tu  già  ten  piagni. 

Cosi  gridai  colia  faccia  levata. 

E  i  Ire  che  ciò  inteser  per  risposta, 
Gnatar  l' un  i'  altro,  com'  al  ver  si  guata. 

Se  r  altre  volte  si  poco  ti  costa, 
Bisposer  lutti,  il  aoddisfare  altrui, 
Felice  le,  che  sì  parli  a  tua  posta- 
Pero  se  campi  d'esti  luoghi  bui, 
E  torni  a  riveder  le  belle  stelle. 
Quando  ti  gioverà  dicere:  Io  ruì; 

Fa  che  di  noi  alla  geole  favelle: 
Indi  rupper  la  ruota,  ed  a  fuggirsi 
Ale  setnbiaron  le  !or  pmbe  snelle. 

Un  artwien  noa  saria  potuta)  dirsi 
Tosto  cosi,  com'ei  furo  spariti: 
Per  che  al  ìlaestro  pan'e  di  parlirù. 

Io  lo  seguiva,  e  poco  eravam  ìli. 

Che  'I  suon  dell'  acqua  n'  era  si  vicino. 
Che  per  parlar  saremmo  appena  uditi. 

Como  quel  fiume,  e'  ha  proprio  cammino 

luMmcale  io  rìahtm  per  irti  ladra  i 

i  Ingì  ■  l'araicDliino  iiniiin  M\i  lor 
■lari  di  cui  tua  «»rti.  iodi  —i—  ; 
0<iDloSVIdi'll>aradùa. 

74.  Orjosliii  t  diimiiur. 
«ipposziaiiB  ■  «H-Juda  f  taf<»r  I 
Varsoglio  Duce  ili  midi 


TS.  aai'al  vtr  li  gtmtit.  Ciai  Fi- 
cendo  tri  laro  eoi  lùo  .jos'irpì  J' an- 
provaiioDC  cbo  >i  «eIiihhi  lire  qDindD 


I,  ha  proprio  et 
ircht  tulli  eli  alln  di  i|D«lta  fntt  n 
iMHis  il  P,7^,  t  li  ckiaiM  AtimicUU 


CANTO  DECIMOSESTO. 

Prima  da  monte  Teso  in  ver  levante 
Dalla  sinistra  costa  d'Apennino, 

Che  si  chiama  Acqnacheta  suso,  avante 
Che  si  divalli  giù  nel  basso  letto, 
E  a  Ferii  di  quel  nome  è  vacante, 

Rimbomba  là  sovra  San  Benedetto 
DalTalpe,  per  cadere  ad  nna  scesa, 
Ove  dovrìa  per  mille  esser  ricetto; 

Cosi,  giù  d*iina  ripa  discoscesa. 

Trovammo  risonar  qnell*  acqua  tinta, 
Si  che  in  poc*  ora  avria  l' orecchia  offesa. 

lo  avea  una  corda  intomo  cinta, 
E  con  essa  pensai  alcuna  volta 
Prender  la  lonza  alla  pelle  dipinta. 

Poscia  che  V  ebbi  tutta  da  me  sciolta, 
Si  come  '1  Duca  m' avea  comandato. 


409 
96 


400 


iO& 


ilo 


9t  a  f«el  miM  i  94Kante^  cioè 
f^rÀ9  fl  MiM  ^Aequéehttmy  t  prende 

IM .  per  cMfere  ««f  mM  tecM  :  per 
«■Jbft,  cameade,  predpiUodo  in  luogo 
mi  hmm.  Qatiti  ferti  tone  dichienti 
eUb  iiiiiiiin  etciM  del  luogo  eh'  io 
riifv  M  Umomarì»  dd  RepcUi.  La 
laii  di  Smm  Beaedetto  ia  tipe  è  «tot- 
te  fldb  mèiemà  della  OMOtagna  preaao 
1  laasi  «««  il  lerrcate  Acqaadieta  dopo 
^  1^  fra  rìaide  balxe  di  ma- 
n  prcapita,  e  Ik  ti  cos- 
aci del  Rio-dettro  e  di 
che  tetto  natela  indole  e 
tatti  ìnticme  il  Monto- 
al  aieatetero.  e  preato 
dell' Ae^aeelicU  e  del 
è  9  HUafiio  di  Sao  Bene- 
'  aifaerui  an  tempo  i  d»> 
I  Ceaciaao,  e  i  Coati 
■kke  il  debbio  te  la 

•  9  vfliaffia  aia  n  laogo  che  il 
iMidbetefiaalae  aùlle.  La  lei.  eoai. 
Aivllt  ika  ia  aegatte,  faToriaee  la  Ba- 
fkf  é  mi  ù  auaauiiibbe  cbe  ^ei 

■eauMi  ai  aedeteao  in  pochi  le 
9k§  aefertu  davate  terrire  e 

•  a  aie  iaroa  etpitarilk.  L' altra 
chaèdell'(Ntim>edelBoe. 

'"é»^  ff'adalta  aMglieal  Ttllaggio,  ove 
'ea  ^  i  Coati  eTcatere  in  animo  dì 
abitare  graa  ^aaatitè  di  loro 


▼attalli.  dopo  che  l'aTetter  rendalo  ce- 
ptce  ;  il  qntl  ditegno  non  ebbe  effetto. 
406.  /o  aera  tma  eorda  te.  Più 
▼otte  nelle  Sacra  Scrittora  tre? aii  utata 
qaetta  etprestione  tllegorìct  del  ciii- 
§tr*ii  lembi;  la  miele  tignifica  in  ge- 
nerale le  preparazione  del  cnore  alle 
opere  della  legge  divina.  In  qnaltiasi 
ceto  pertanto  la  eorda  einla  timboleg- 
già  il  combattimento  d'nna  qualche 
virtù  contro  il  vizio  a  lei  oppotto  ;  o  se 
vaoi,  la  vigilanza  e  il  predominio  ddlo 
tpirito  libero  e  retto  tali'  appetito  di- 
turdintto.  Concchè  il  determinare  che 
tignifidii  la  corda  con  che  Dante  volcii 
prender  la  lonza,  dipende  dal  tignifieato 
che  ti  vuol  dare  a  qnetta  Um%a.  Se  è 
la  lussuria ,  la  eorda  tari  la  mortifi- 
cazione dei  tenti,  la  continenza:  ae  Vin- 
tidiOy  diventcrh  la  magnanimità,  la 
cariti.  Se  la  lonza  figurar  vi^ia  Firenze 
invidioea  e  mal  contigliata,  la  corda  per 
ridarla  al  bene  tare  la  pradenza  ,  if 
tenne  ec.  Ora  ae  Geriooe  rappreaeata 
la  frode,  la  eorda  gettata  per  attirarlo 
e  farlo  nenrire  alla  ragione  {e  VirgiHo) 
potrà  tignìficare  la  giuttizia  e  la  mt- 
gnanimità  unite  alla  vigilanza ,  dinanzi 
alle  quali  la  vii  frode  retta  dìtarmata  u 
confata.  Ripeto  però  ancor  nna  volta  ^ 
che  qneete  allegorie  tono  difficili  a  in- 
terpretarti; e  comunque  tpirgate  la- 
tcian  tempre  del  dubbio. 


I 


« 


Porgila  a  lui  aggroppala  e  ravvolta. 
Ond'  ci  si  volse  io  ver  lo  deiìlro  lato, 

E  alquanto  di  luDgi  dalla  iipooda 

Le  gitlò  giìiso  in  queir  allo  burraio. 
E  pur  convìen  che  novità  risponda, 

Dicea  fra  me  medesmo,  al  duovo  cenno 

Che  'I  Maestro  con  l'occhio  si  seconda. 
Ahi  quanto  cauli  gli  uomini  esser  denna 

Presso  a  color,  che  non  vepgon  pur  l'opra, 

Ma  per  entro  i  peasier  miran  col  senno  I 
Eì  diree  a  me:  TojUj  verrà  di  sopra 

Cìb  ch'io  3tU?nda:  e  che  il  tuo  |)ensier  sogna 

Tosto  convien  eh'  al  tuo  viso  si  scopra. 
Sempre  a  quel  ver  e'  ha  faccia  di  menzo^a 

Do'  r  uom  chiuder  le  labbra  qnanl'  ei  puote, 

Però  che  sema  colpa  fa  vergogna; 
Ma  qui  tarer  noi  [wsso;  e  per  le  note 

Di  questa  Commedia,  lettor,  li  ^ìuro. 

S'ella  non  sien  di  lunga  ^lia  vote, 
di'  io  vidi  per  queli"  acr  grosso  e  scuro  iS' 

Venir  notando  una  [ii;ura  in  suso, 

Meravigliosa  ad  ogni  cor  sicuro; 
Si  rome  tóma  colui  che  va  giuso 

Talora  a  Eolier  incora,  eh'  agtTappB 

tu.  SrmfTtt^udttT  cc.DHb 

(i3,  il  tatù  ittvirtodalra  lato.  \tn]  porche  la  varìM  th«  fai  tarai  ili 

È  ^DNla  il  nniincMu  A*  fi  chi  vnal*  bugia  piiFtì  irrgnnni  d  ii*mtM«,  !•■ 

■elEliara  esìli  Julnnn  ifailibecotpg.  ccndolu  i|ipirir«  L<i|Ìirdo  turni»  m 

114.  htrralA,  rspc,  laaga  di  ftt-  «il)w.(Jualadwi1Pi>rli  Mm^fàttr 

eipÌDa,  ieié  illi  OHM  iacrtdiliiic  dw  è  fmrttlf 

tlS-ll?.  E  purtantirn  n..-  cp-  un,  bm  HprRila  rgli  iht  noa  t  ■» 

(lar  (iHinaH  cfa*  li*  per  iiTtnin  ilcn-  rarigllnn  la  liaiin»  poclka  u  ]iràl 

ÌomIÌIo  nana,  tini,  il  gillir  già  ilelU  <37't2S.  ptrltttslt.  ]>«-  U  pil* 

cordi.  — Chi 'l  Utiirit  ean  Vocehio      U,fet}t  rimi.—  Cammiitla  tmoie 
>4  leeonda:  ■  cai  Virgilio  lira  dietra      l'MFrniii  nrm, 

419.  eli*  •«■  rtf  fo»  par  l'opra:      d^  «»■  riir  ■lUingaus  ianfiiaail*  il»- 

tbt  «isai.  152   «nvctiilfma,  aaratwBW» 

IH^H.  I  tkt  a  Mo  pfMiirto-  liilia.   InlinJi    girili   mrniijiii  (W 

^■A.Ecit  cIh  illaopwHiargti-lcqiuii  pus  din  >|>ii«ilnitd  igni  ««rtlMn^ 

pMMfiiB,  na^inwlumuiM,  «nvicug  «ni  id  ogni  iniitia  (iroiD  ti   tapi 

cb*  ai  aunllatli  «r  m  ai  Iva  tUa,  li  lide. 
tnn  «clii.  433.tfaM;il(iiadf  de' 


0  scoglio  od  altro  che  nel  mare  è  chiuso 
Che  'd  sa  si  stende,  e  da  pie  si  ratlrappa. 

<36.  OW'o  iw  n  ilmft  et.  :  che      [srinr  nirli,   vmi   Della  i 


CJUSTO   DECSnOSETTUHO. 


I 


Ecco  la  fiera  con  la  coda  aguzza, 

Che  passa  i  monli,  e  rompe  mura  ed  an 
Ecco  colei  che  tutto  '1  moodo  appuzza. 

Si  cominciò  lo  mio  Duca  a  parlarmi. 
Ed  accennoUe  che  venisse  a  proda, 
Vicino  al  fin  de'  passeggiali  marmi; 

E  quella  sozza  ìmagine  di  froda, 

Seo  \e(ine,  ed  arrivò  la  tesla  e  'I  buslii: 
Ha  in  su  la  riva  non  rras»  la  roda. 

La  faccia  fua  era  faccia  d'  nom  gìuìloi 
Tanto  benigna  avea  di  fuor  ia  pelle; 
E  d'  un  serpente  lutto  1'  altro  TusU). 

Dog  branche  avea  pilose  infin  l'ascelle: 

* .  gtn  la  fira  «.  Id  ipnli  b<1-      lo  :  •  cni  nnlti  rriiid,  luti 

Juan  ilnini  rbp  il   Foci)   psui  arcrf  3.  opftata,  (nmarb*  ncorrunpa. 

•rato  in  sinti  Cirìn  di  Vduii  oipal-  B.  aproifa  et,.-  àai  ill'alnmill 

m»  dia  iBgi  mÌBiiIrì,  taioa  HuKiilfo  JrlU  iihiiiiI*  di  nunoa,  nt  fttttffni- 

rtuuHÌ,  o  Cagliclna  di  N<>s*rcl3,  M  roBO  U.nti  t  Vìrgilie. 

«ul  dIIìbiii  diit  nini) Conpigni  qnnlf  T.  BijMlla  leiza  Inmgine K.,ti<it 

ruair;  .  M.<i<l»  CirU  di  Vaiò»  ■  Ti-  Gcrione,  ihub^lo  ddli  (rode. 

■  mn  M.  CoBlidiM  Friixin»  duri-  8.  anitù  la  Itila,  conduM»  rìn 

•  n*  in  ■ppircut  pirtue   banm)  •  IO,  La  fatela  ma  it.Lttnitt»^ 

t  M|M.  •  Am*  Hivprrì  rhe  iiac-  mincn  Mll'ta>pinrtiBdKÌi  |IM/'aNte 
■UriluiaDi  Ji  «n'idu  gnin-Ble  ■  un  il'iwn  ffimM),  onlifM  pei  i  nnì  ta> 
trito  urliniUr*,  »  ■  i>«  ìhJh.Juo,  im-  cimi  («tu  (I  /tutod'ailnM  trn«M^, 
flBcsInilii  it  dvHHn,  f  i)!»!  itniiian-      tiliia  fmiiinnilc  il  meditilo  «Mps  (m 

(fceo  fu  rnda  ofwtti^- 

15.  />ait  (irmi'Ae  ii«a|>f(Mf,  lio- 

cimo  (irrtrtpice:  (•/!»  (■-■■■'■    "-" 


4 


113  DELL  TNFEItHO 

Lo  dosso  e  'I  petto  ed  ambedue  le  coste 
Dipinte  avea  dì  nodi  e  di  rotelle. 

Con  più  color  sommesse  e  soprapposle 

Non  fer  mai  in  drappo  Tartari  né  Torcili, 
Né  fur  taì  tele  per  Aragne  imposte. 

Come  tal  volta  stanno  a  riva  i  burchi. 

Che  parie  sono  in  acqua  e  parte  in  terra; 
E  come  là  tra  li  Tedeschi  lurchi 

Lo  bevero  s' assetta  a  far  sua  guerra; 
Cosi  la  Sera  pessima  si  stava 
Su  r  orlo  che,  di  pietra,  il  sabbion  serra. 

Nel  vano  tutta  sua  coda  guizzava. 
Torcendo  in  su  la  venenosa  forca 
Che  a  guisa  di  scorpion  la  punta  armava. 

Lo  Duca  disse;  Or  convien  che  si  torca 
La  nostra  via  un  poco  ìnlìoo  a  quella 
Bestia  mah'agia  che  colà  si  corca. 

Però  scendemmo  alla  destra  mammella, 
E  dieci  passi  Temmo  in  sullo  stremo 
Per  ben  cessar  !a  rena  e  la  G ammolla: 

E  quando  noi  a  lei  venuti  semo, 

Poco  più  oltre  veggio  in  su  la  rena 

Ai.  arnhidut  h  toilt,  l'oacc  l' ti-  22.  Lùbmra.aculara.- 

t  loto.  a  /iifntajtiejTO,  óoìh  pn 

a.  (U  Modi:  di  HiitnppiniBili  di  li  aràm  ni  pesci  tUado  calli 

ibÌj  •  di  lini,  — a  rolrltt,  due  dì  1'K^n>.  Dieni  iba  li  codi 

odi-  1  nodi  li^ìEcana  le  ttUt  parvlo  jiuimiJe  renda  olcou  r«ci|iit 

m  A»  i  tnadolsoli  intilupBiDO  ed  poi  cormoo  innudioionia  i 
.Eiiui>Millnu;glì  Kuai  >I|;qìI1»>.o  2i.  Sui  orlo  ic.taV: 

ilili  di  «jirite  le  trlile  oiicce  loca.  28.  Or  comien  iht  ti  h 

•'    -    -      iroppol(«.  Que-      conviene  cbe  lerci loi»  un  pi 


I 

li 

I 


ir.ppi  1  .irj  ce 


g   del   !>•< 
ririlcv    ' 


polla.  Frt'TarOri  <  fri' Torcili  >i  ti>- 
tyliosa  leuern  bellinmi  dnppi.  Qneeli 

Dcrì  di  trode. 

iS.  ptT  Jragnt  impoile,  eìoìiiifui 
tul  leliw  a>  Ar.gne,  celebre  UuOtice 
di  Lidie,  cbe  tu  di  Fell.dt  etsgieU  in 
"IP"-     .  . 

ii.  tra  li  TiitifU:  tnngo  il  Dina- 
■-     -  hmH  gulo»  <  b»DÌ,  del  111 


S2.  <n  ni/Ia  dreno,  tuUa  ntruiiitJ 


5$.  ttgsio  in  ( 


CAUTO  DECmOSBTTIMO. 


443 


Genie  seder  propinqua  al  luogo  scemo. 

Qaivi  1  Maestro:  Acciocché  latta  piena 
Ec^mìenza  d*esto  giron  porti. 
Mi  diase,  or  va,  e  vedi  la  lor  mena. 

Li  tooi  ragionamenti  sien  là  cprtì. 
Mentre  che  torni  parlerò  con  questa, 
Che  ne  conceda  i  soci  omeri  fòrti. 

Cosi  ancor  so  per  la  strema  testa 
Dì  qnel  settimo  cerchio,  tatto  solo 
Andai,  ove  sedea  la  gente  mesta. 

Per  gli  occhi  (bori  scopinava  lor  duolo: 
Di  qua,  di  là  sooeorrien  con  le  mani, 
Quando  a' vapori,  e  quando  al  caldo  suolo. 

Non  allrìmenti  fon  di  state  i  cani, 

Or  col  ceflb,  or  col  pie,  quando  son  morsi 
0  da  pulci  0  da  mosche  o  da  tafani. 

Poi  che  nel  viso  a  certi  gli  occhi  porsi» 
Ne*  quali  il  doloroso  ftioco  casca, 
Non  ne  conobbi  alcun;  ma  io  m*  accorsi 

Che  dal  collo  a  ciascun  pendea  una  tasca, 
Ch*  avea  certo  colore  e  certo  segno, 
E  quindi  par  che  il  loro  occhio  si  pasca. 

E  com*  io  riguardando  tra  lor  vegno,  (*) 
In  una  borsa  gialla  vidi  azzurro, 
Che  di  lione  avea  foocia  e  contegno. 

Poi  procedendo  di  mio  sguardo  il  curro, 
Yidine  un*  altra  più  che  sangue  rossa 


40 


49 


bO 


65 


60 


*  **  fMB  è  Bip«to,  ■•  neioì  •!  «otio 
^hiWli,  pcnk  •  <|mI1ì  ti  «eeo- 
*■•  Mli  Mlara  M  km  Mccata. 

***At uà&n  vicina  al  tuo  delln  io- 
'"■1  Uci,  cio4  mU'vIo  mI  9paU  i 
f^ttm^aXUn  iitccn. 
9$-  Imhr  wtgmm^  k  camBrioM,  Io 

^  ^1.  AMI  fMfte,   cioè,  collo  W- 


41  mmmttim  oc:  ci  presti  k  no 
ifalk,  oado  aosuti  m  ^ocUt 
^■■o  iriioittii  ■cir ■lire  ccrdiio. 
,  41.  mmctr  m  ptr  lo  str§mm  U$lm, 
*■•  ■■'  allMM  fcrto  di  ^ncl  MrriiÌB 
^  «Mar.  ftr  «oitroro  di  ovtro  pk 
^itAw  k  diro  porti  di  c«o  ecrchio. 

4S.  for  duolo,  cioè  kr  piisU.  — 


«oecorricn,  coccorrortoo.  Qui  il  ?  erbe 
§oeeomr§  è  prcto  noi  toacodi  correr 
Motto  per  fur  rìptro. 

48.  o'vopori,  cioè  aflo  oadeotì  fiam- 
melk.— •<  caldo  titolo:  allt  rcot  io- 
fbcota. 

52.  poni,  drìnai. 

56.  otrto  colon  e  corto  cegmo.  B 
l'arme  col  proprio  colore  dclk  (aiuiglia 
di  aaacoBo. 

57.  ti  patcm,  cioè,  prenda  diletto, 
per  inaordifia  del  doiuìro,  in  airaro 
onolle  horae. 

(-)  Oeoraj. 

59.  oidi  assmrro  co.:  vidi  «■  liooo 
di  colore  aaorro.  QneaU  è  l'armo  da' 
Giaafigliaiii  di  Firenio. 

61 .  di  mio  tguordo  U  curro,  aioè 
k  Morraro  dclF  occlùo  mio. 


Mostrare  un'  oca  bianca  più  che  bvrro. 

£d  un,  cbe  d'  ona  scrofa  azzurra  e  grosFS 
Segnato  avea  lo  suo  sacclieito  bianco. 
Mi  disse:  Che  ìa\  tu  io  questa  fòssa? 

Or  le  uè  va:  e  |>eTcbè  ga'vivo  anco. 
Sappi  fbtt  'I  raio  vitin  Vitaliano 
Sederi  qui  dal  mio  sinistro  &idco. 

Con  quesli  Fiurentin  son  Padovano: 
Spesse  Hate  m' iDlronan  gli  orecchi, 
Gridiuido-  Vegna  il  cavaliur  soprano, 

Clie  recberé  la  luKca  coi  Ire  becchi: 

Quindi  slor^c  la  bocca,  e  dì  Cuor  tr)s« 
La  lingua,  come  l>ue  che  'I  na^o  teccbi. 

Ed  io,  temendo  noi  più  alar  crucuasse 
Lui  ci»  di  poco  star  in'  avea  ainmaiiito, 
Toma'mi  indietro  dall'anime  lasse. 

T^o^'ai  lu  Duca  mio  eli'  era  salito 
Già  sulla  groppa  de!  fiero  animale, 
E  disse  a  me:  Or  sie  forte  ed  ardito. 

Ornai  si  scende  per  si  fatte  scale: 

Itlonta  dinanzi,  cb'  io  vocilo  e&ser  metio, 
Si  cbe  la  coda  non  possa  far  male. 


k 


Bibite  laniiglii 
fTMM,  |r*TÌil*. 

87.  t  ptreKi  H'cfao  amm  te.  :  t  o»  pni 

«MUra  il  «landa  riick'»  miro,  «.  71.    (/uitt^t  ilunt   fa   tmc»  tt. 

M-  fi  HtevMn  *itatiani>:  Viu-  Qnal'allii  ■ci»»»  fMuu>  i  «ariagli  an 

lino  iti  l)>Dl£.  fiAatmn,  ^toic  nto-  J>ipma  d.iira  i  »lu>  iIh  tiM  Mito 

10.  Cim  «Mli  Fvnvnliii  im  Pt-  nlidu:  unir m  fin», £at.  1,  «  hip: 

TI-  Sftrm  ftatt  «'lulrmwH  gli  ««'■-*-•.•—««■""»•—' •!"*•.■*- 

Wftnki:  nM  i  ru>nin«<  I*  JinnMi  ptr  T6 .  Irmrwin  wl  (non  il)  pfAtMrft. 

aMMt'*  pi*  (Cmmu  in  l^ìnnM  (tir  i*  7S  Tonia'miiitdirtrtléM—ilmi. 

riden.  E  ■  dir.  <1  .fra,  *><'*«||>  i»tla  (kkladMiv  ^k  uib.-,  tcsbì  rft  •!■ 

««■I"»! yull»  ma  a  i—w  iHihi>ii I  13.  «glJa  eaer  mmvt.!  dai, 

tfc*  l«  tttMt  flwhm  duHw  flniudii.  nnl'A  twn  in  imi»  fn  le  c  11  «adi 

72.  il  nralifr  wvrww;  ■sali  t  MI*  baln. 


'^^^ìh 


CARIO  DKIIfOSBTTIMO.  |45 

Quale  colsi,  eh'  ò  si  presso  al  rìprazzo  86 

Delia  quartima,  e'  ha  già  V  onghie  anorte, 

E  triema  lotto  pur  guardando  il  rezzo; 
Tal  dìvenn*  io  alle  parole  porte; 

Ma  vergogna  mi  fér  le  sue  minacce, 

Gbe  innand  a  buon  signor  fii  flerro  forte.  90 

Io  m*  assettai  in  su  quelle  spallacce: 

Si  volli  dir,  ma  la  voce  non  venne 

Com*  io  credeUi:  Fa  che  tu  m*  abbracce. 
Ma  esso  eh*  altra  volta  mi  sovvenne 

Ad  altro,  forte,  tosto  eh*  io  montai,  95 

Con  le  braccia  m*  avvinse  e  mi  aosleane: 
E  disse:  Gerion,  moviti  ornai: 

Le  ruote  larghe,  e  \o  areoder  sia  poeo: 

Pensa  la  nuova  soma  che  tu  haL 
Come  la  navicella  esce  di  beo  ioo 

In  dietro  in  dietro;  ai  quindi  si  tolse; 

E  poi  eh*  al  lutto  si  senti  a  giuoco, 
Là  *v*  era  il  petto,  la  coda  rivolse, 

E  quella  tesa,  come  anguilla,  mosse, 

E  con  le  branche  i*aere  a  sé  raccolse.  i05 


15.  ripre%zo,  o  rihreuo,  àteeù 
ftà  triMita  •  kctlimmtA  dì  drati  rbe 
fnitm  r«CHM  <Mli  leUrc  <^arto. 
M.«»1b  dito»  «4.  ^wwto  vcrto  ■  l«fg« 
•■:  Omaiétt^lui  c'kmH  frmm  il  Hr 
p9mm.  Ls  via  In.  apft«f^Mla  a  buoni 
W, tra  di ahri  ilI^Dr«mx.  2  eilrod. 
PralUai,  M  il  malafSfM  di  Bt>o  pnMea- 
MiflHl  t^hm m À\ì/e  «f>rai  di  iri^ailo. 

17.  pmr  gmardunito  U  rn%o,  lo- 
kaiala  ■  guardar  t'oMibra.  K  difaiti 
•  Al  fcs  la  ^artMM ,  ■U«rrli«  a'  ••- 
WMi  a  mammt»  d«lla  rraiiMioo  drlla 
■Iva,  la  aala  «iala  dt>ll*  noibra  aa«le 
(iaaiar  ramfrircio  ppr  l'a^ 
dai  Irrddi»  ebr  ala  pfr  as- 
E  aaa  tal  tvm^uttmr  rapfire- 
tà  «aliala  lo  aUia  dì  Dante 
ili  fiali  dal  faMo  rW  r»nvriM vagii 
ha.  f«na  •  mrwtis  Ikal  lai.  mito 
li  lf«a  «ai  kaaai  iraifi  mnreiim  o  mmn' 
à»  «ai  fai  il  «Miro  0rrsxm  a  a^ 
I»  aavar  ^i  »rnlM«4li  ira 


raabraataaaana/rZ 

d«l«Mto. 

aa.  faralr  parii^  parab  ÀtU.  Por- 


§tr§  ha  ancora  il  siipiificato  del  r.  dir$. 

so.  Ma  vergogna  «e.  Qni  Dante 
taalc  fara  iaUadere  cba  da  Virailio  io 
^•al  pania  era  riaaprnvarata  dal  prato 
timora,  e  che  di  ciò  ebbe  qoella  varaa- 
gaa  che  anni  render  forte  il  aarro  in- 
naazi  a  fraaro  e  valoroao  aignora. 

VI  SÌ9iMi  dir  «e.  laCeadi;  ndli 
dire  aiai  (•  du  tu  «ri  mkbrami;  bm 
la  voce  nella  paara  non  feona  ìntan, 
oanic  io  credHli  che  ? emaaa. 

95.  Ad  mkro:  ad  «lira  hÌMifiia  o 
pericolo.  La  \n.  ad  aUo,  aagaila  dal 
Caata  e  aptrfjata  •  a  pia  alto  Inogo, 
óoe  nelle  cerrhie  •aperiorì  a  mi  oara 
che  porti  nn  nunlo  di  dira  Inllo  Inori 
dell'  nao. —  fmrle  ae.  Gnolr.  a  int.  :  Tor- 
tcmeiiie  mi  avvinM  colla  hmeeia  «  ai 
aoatenne. 

MI.  Le  mote  imr§h§4e.:  i  nrì  aiaoo 
larghi. — ioseen  er  ttn  pncv,  la  diaecta 
aia  oMiqaa  e  Inila,  a  loTQn  tpìraia. 

102.  $i  amfl  a  gimotm.  TkmA  dba 
r  nerollo  è  a  gioi«o  qnando  è  in  kwgo 
ai  aperto  che  et  p«to  vcdgeni  #raw|aa 
Tvole.  e  lihi-rammle  apatiara. 

405.  r  «eri  •  $è  racaniat .  i|aaiCa 


n  accorgo. 


^ 

I 


Maggior  paura  non  credo  che  fosse, 
Quando  Fetonte  ablundoDÒ  li  TreDÌ, 
Perché  'i  ciel,  come  pare  ancor,  si  cosse: 

Né  qoand'  Icaro  misero  le  reni 

Seni)  spenoar  per  la  scaldata  cera, 
Gridando  il  padre  a  lui:  Mala  via  tieni; 

Che  Al  la  mìa,  quando  vidi  ch'i' era 
Nell'aer  d'ogni  parie,  e  vidi  spenta 
Ogni  veduta,  fuor  che  della  Qera. 

Ella  sen  va  notando  lenta  lenU; 
Ruota  0  dììicende,  ma  non  me 
Se  non  ch'ai  viso,  e  di  sotto  n 

r  sentia  già  dalla  man  destra  il  gorgo 
Far  sotto  noi  un  orribile  stroscio, 
Percliè  con  ^li  occhi  in  giù  )a  lesta  sporgo. 

Alior  fu'  io  più  timido  allo  scoscio: 

Peroccb'  io  vidi  fuochi,  e  s«nlii  pisnlì; 
Otid'  io  tremando  tutto  mi  raccoscio. 

E  vidi  poi,  che  noi  vedea  davauli, 

Lo  scendere  e  '1  girar,  per  lì  gran  mali 
Che  s'  appre^isavan  da  diverbi  canti. 

Come'l  Talron  eh' è  stalo  assai  soli' ali, 
Che,  senia  veder  logoro  o  uccello, 

i  l'nioai  di  cbi  annU.  Bi  ddlg  »l      do,  ■  il  nbnlnr  dalli  dubti 
CantoXVIi  rriùr nolaiulo  iuta  fiftira      hriHt  il  ti»,  Cit  two  •*aaa  i 

m.  U  cM,  ««U  pan  «.  È  »■ 

ttmia  I*  Dululogii  che  Li  li*  Itilrs  ip- 
pwÌH«  in  dtlo  ijuiiidD  il  cirro  dvl  le- 
l<,  mal  (oidato  di  Fcliwl*,  cmh.  àai 
UM  onaUi  pirli  di  <uu  ciclo. 

Ili  il  padre,  Ucddo  La  tatnli  i 
«gal  sola,  chi  urdiba  IniiBiìa  narrarli 
a  a,  ItU-n  di  D.uU. 

4  <2.  riia  fu  la  Mia.  ani  H  qnalla 


qiii  pai  prcndgru  ftt  la 

luuw  sLa  già  cidna. 
-DicÌD,  Hrapilii  (baia  l'av 


lacand*  dall'  alla  «r  In  ip'in  laii' 
arìij  Don  vada  aleana  ciiai  inuii 

b.aili  nana  a  ouiw  a  mano  m 


ridi  poi  tt.  E  m'aatawi 

lemrfiwa  cli'la  tacau,  pw 
li  al  naardu  olio,  a  al  nd* 
gran  nuli,   ciM   da'!» 


iinr  p<H  dfl  girare.  parcbA  i|Daati  mali 
i23,  togero  diccn  il  rìcbiuw  dal 


CANTO  DEC1MOSETTIMO. 


417 


Fa  dire  al  llailcoiùere:  Oimè  ta  cali: 
Discende  lasso,  onde  si  muove  snello  ìjù 

Per  cento  mote,  e  da  Inngi  si  pone 

Dal  suo  maestro  disdegnoso  e  fello: 
Cosi  ne  pose  al  fondo  Gerione 

A  piede  a  pie  della  stagliata  rocca, 

E,  discarcate  le  nostre  persone,  13S 

Si  dileguò,  come  da  corda  cocca. 

^^  ^  riè  «a  Mtmnento  fatto  di  peone     tool  jMiiire  facendo  cesto  nrarolte. 

452.  Dal  n»  nuustrot  dal  fako- 
niere  die  lo  biuiiiìmIiA. — jèUo,  tristo, 
di  Bai  talento. 

454.  À  fieie  a  pU,  raeeote  rasen* 
te.  —  della  tlagliala  rocca,  della  tco- 
aceaa  rocca,  dee  ddla  roTÌna  o  balco. 

456.  eoflie  da  corda  cocca.  Cioè , 
eoo  quelle  cderità  che  dalla  corda 
caco  la  cocca.  Qui  è  presa  la  cocca  ^ 
"die  è  V  eitramtà  ddla  frecda  che  n 
adatta  dia  corda,  per  le  frecrìa  stesM. 


*  Boda  dì  u' tlo«  col  girar  del  qaale  il 
fclfwitn  lod  ndneiaareJtaao  falco. 
^MBecetfcr  logoro  o  meecUo,  aenta 
lyttoi  t  ^  taur  richiamato,  né  d'ofer 

fS^Fa  dire  ai  fakonterc.  Sot- 
tiMndi  :  rime  a  èosto,  tonloeM  a /al- 
«Mrr  dolmle  gli  dice:  chìmh  tu  cali 
■npivda! 

430.  Ditctndc  lacto  ce.  :  diacen- 
^  lineo  a  fod  loo^  donde  sodio 


CélBBTO   DECODHOn'AVO. 


Militiìlt,  >  $cm^mrtiH  ti  ékH  gmm  /k$H  «fcwfaH  <  immtmnùl,  tm 
#  pmmitm  mmm  ipteU  él  fimuMgMti.  St  rmgiomM  tm  futMo  Cmmf  dMt  fHmt  éut 
rmmm  étUtt  ^mmti  somm  pmmM  m  colpi  di  imffU  per  mmm  dt^étmami  i  raj^Uai;  m0U*til' 
I M  I»  j«riw  ftf  mémtmtori  g  U  fmmmàm  Uuimikien, 

Luogo  è  in  inferno,  detto  Malcbolge, 

Tatto  di  pietra  di  color  ferrigno. 

Come  la  cerchia  che  d*  intorno  il  volge. 
Nel  dritto  mezzo  del  campo  maligno 

Vaneggia  nn  pozzo  assai  largo  e  profondo,  6 

Di  cui  suo  loco  dicerò  1*  ordigno. 
Quei  cinghio  che  rimane  adunque  é  tondo 


l' JUcéof^Op  perde  composta,  si* 

1  UUadifirlra  di  color  fcrrU 
^-  La  c«B.  TitUo  di  pietra  tdico- 


4.  M  drillo  sesso,  nd  ^osto 


od 


%ii»  ■  qwalo  fkm  ripiano  d'anime 


i-  faaag$ia  ini  ^ozso,  è  carato , 
i.  tm  mea,  ■ode  lei.  Aa  o^niralo 


a  tue  Imogo.  Cos)  i  nostri  antichi  dice- 
Tano  lutto  ciò,  iovece  di  con  tulio  ciò. 
Anche  i  Franeni  osano  aoa  ùmile  dissi 
qnaodo  dicono  queiqué  wtrt  invece  di 
en  quelquc  pari.  Alcnu  Codd.  henne 
suo  luogo  diccré,  ma  non  tanto  bene, 
a  parer  mio. 

7  C^'  cinghio  che  rimarne  adun- 
que ce.  Coslruisrir  adunque  quel  cfn- 
gh4o,  ^dla  fascia  di  terra,  c^  ri- 
inane  tra  il  poixo  e  il  piede  della 
ripa,  è  tonde. 


Tra  '1  poi?.o  e  'I  pie  dell'  alla  ripa  dora, 
Ed  ha  dUtinlo  in  dicci  valli  il  fondo. 

Quale,  dove  per  guardia  delle  mura 
Più  e  pii  rofl^ì  cingon  li  rasldli. 
La  parie  dov'ei  «od  rende  G^ura; 

Tale  imagine  quivi  farean  quelli. 
E  come  a  lai  torlezis  dai  1^  sogli 
Alla  ripa  di  Taor  mn  ponlicellii 

Cosi  da  imo  della  roTÌa  scogli 

Hoviéo,  che  recidean  gli  argini  e  i  Tossi 
Infimi  al  pozzo,  c-tie  i  lronr»e  rarrogli. 

In  questo  luogo,  dalla  schiena  sco^i 
Di  Gerion,  Irovammoci;  e  il  Poela 
Tenne  a  sinistra,  e  io  dietro  mi  mossi. 

AHa  TR»o  destra  vidi  nuova  pièla; 
Nno\'i  tormenti  B  nuovi  Trustatori, 
Di  rbe  la  prima  bolgia  era  replela. 

Nel  fondo  «^no  ignudi  ì  peccatori: 


Dal  n 


I 


Di  ià  con  noi,  i 

9.  rfiilmla,  trooifirUla.  lo  idouiii, 
«atrv  di  (p«ia  orraixlD  «iin|M, 
r  oltiTO  cerchio,  v  tnre  un  impio  nnoo 
dll  imU  ■  •■»»  tihrpaim  di  mi» 


•fiBU  £  tiKèap[ielliU  M}ia,^BUÌ 

dcn  <li  tniidnlrnU  L4  ^lft,il  colar 
(«TttBa,  la  prurpHlr  bk^l^,  rhpprqirn- 
l>a*1a  durMia  it<l  cni<r>  a  !■  rap*  arti 
a  (ratidi>lEnli,ah(  p«n/WiadiMM  S<M- 
■MMfwVHWil  (A  |>»[il  ;«■>).—  taUi, 
Jal  lai,  valium,  ign  luoghi  chìuii  da 

Ut-iì.Qutlt,  dm^  ptrgUKrdÌMK. 
,  CaiIr-QaaljIgHrariRdi.uaalct'tipirUa 
'  A*  f  rcacnU  U4  d»u  jhìi  i  pjfi  taui 

n)fHl1a  parla,  ^od  Italia  di  larrww 

al  Hiaa  B. 

M^ic  ìUIlt  porta  •!■  lai 

Mtiieaém  (Kiuii  dw  ■■■■•  óa» 

.  la  ripa  ailuBi  dalli  r»ulai«sat  i»\- 

r  Pimo  Sella  pMrMa  balia  proccJcano  al- 


l'enian  veri* 

1  -1  volto. 

1  pas.«i  magi 

;iorÌ: 

nuli  lugiioai 

™ii, 

<h(  allratcna^ 

,„o  eli  arE-mi  . 

iifnai 

,  Ì«.mo  .1  ™,. 

Mib-alt  rbe  gli 
■Iji  cha  partoo 

d'una 
>i  dalli 

™t4' 

t!l.  thti.  d 
afro'  0  rarrn». 

-£ 

-riiwogH.  gli 

it  vixi. 

21.  rtplrl; 

di  UH 

"0  e"".  »« 

ripio 

■a,  lit. 

26.  0.11  in» 
ini   il   Iella  drl 

la  prii 

IMtr.S'iaai- 

CANTO  mtCmOTTAVO. 


149 


V) 


35 


40 


46 


P^éd 


Come  i  RooMn,  jm  reserdto  moìto^ 

V  anne  del  Gkibbileo,  so  per  b  ponte 

HaoBo  a  paflear  la  gente  modo  tolto; 
Che  dair  nn  lata  toni  hanno  la  fronte 

Vene  *l  eastetlo,  e  vanno  a  Sani»  Pietro, 

Dair  altra  sponde  vanno  verso  1  monte. 
Di  qua,  di  li,  so  per  b  saasa  tetro 

Vidi  dunon  cornati  con  gran  forze. 

Che  li  batlean  cmdelroente  di  retro.  (^) 
Ahi  come  faoéo  lor  levar  le  bene 

Alle  prime  percossel  e  già  nesswio 

Le  aaeonde  aspettava  né  le  terza 
Mentr*  io  andava,  gli  occhi  miei  in  uno 

Faro  scontrati;  ed  io  si  tosto  dissi: 

Già  di  veder  costai  non  son  digiono. 
Perciò  a  figorarlo  i  piedi  afl^: 

E  *1  dolce  Doca  meco  si  ristette, 

E  assenti  eh'  alquanto  indietro  gissi. 
E  quel  frustato  celar  si  credette 

Bassando  '1  viso,  ma  poco  gli  valse: 

Ch*  io  dissi:  Tu  che  1*  occhio  a  terra  getto. 
Se  le  fiizion  che  porti  non  son  talea, 

Yenediro  se*  tu  Caccianimiro; 

Ma  che  ti  mena  a  sì  pungenti  salseT 

i  tadattori  p«  ancato  faggira  I  Coil  aacba  il  Laadi- 
B*.  Beo? eouto  da  Imola  iatcrprata  htr» 
tm,  calcagna.  Ma  il  Lami  iotaoda  per 
larsa  vctctcha  ;  conccbè ,  lacooda  lui , 
far  Itnmr  U  bètf  «goifiNclMrabba  ^ara 
tttteirar  la  pelte.  Io  starei  cogli  antichi. 
40-4 1 .  Mft  fino  Furo  scotUroii,  do4 
B  aconlra:ono  in  uno  da' peccatori. 

42.  Già  di  vedette.:  non  tada  co» 
alai  ara  la  prima  volta:  o,  panai  aTcrl» 
▼cdata  iltra  volta. 

43.  a  figurarlo,  parrìcoaaaearìo.— 
I  piedi  affiisi,  fermai  i  piedi.  Altri  lag 
ga«o  •  gli  occhi  affUti;  ma  l'atpranion^ 
the  aagna,  awco  «t  ritlette,  a  il  testo  in 
Daaai, favoriscono  la  laz.  nostra.  Il  v.  44 
COBI  si  le(;ga  od  codice  Fnillaiii:  B  'I 
dolce  duca  tuio  ti  H  ritlelU. 

48.  Tu  che  F  occhio  ee.:  ta  dia  ab- 
batai  coai  sabilaroantc  gU  ocaU  a  larra. 

49.  Se  le  feuio»  ec.:  sa  la  fattoza 
che  porli,  cioè  cba  bai,  mom  iomo  faìf 
i§,  noa  ingannano. 

54.  ciba  li  mem^  qval  fdla  ti  ba 


fio 


FotoreUo  moUo,  cioè  par 

■  hJIa  ^a^    ^^^^^^^^ > 

H.  l'flMMdilG<»èèas0.nd  4300. 
--«ifir  la^MKa,  di  Casta!  Saot' Ao- 


loUa,  hanno 
^BaNfazio  Vili 
il  Mia  di  Castd  San- 
par  I»  Mago  caa  odo  sparli- 
■a  «Mate ordina,  eba  dall'ana 

Jiodli  da 
traqndli 
I,  rivolli  «arsa  'I  wumU, 
Giardaoa,  cba  ai  veda 
al  aiattlavato 


ma 
in- 


SI.  as  pmr  Im  Msaa  Islro^  ao  per 
■  Uda  fama*  dk  caUr  ferrigna. 

n  >i  il'  di  aalara  cba  aadoa- 
~*lvaaMa  Mr  aè  o  per  altrai. 

ST.  lemmr  Ir  èana.  lavar  le  gamba. 
1:  aU  natta  li  larevaaa  frcUola- 


DELt  INFEENO 

Ed  egli  s  me:  Mal  yolenlier  lo  dico; 
Ma  sforzami  la  tua  chiara  favella, 
Cbo  mi  fa  sovvenir  del  mondo  antico. 

r  fui  colui,  che  Id  Ghii^la  bella 

Condnssì  a  far  la  voglia  del  Marchese, 
Come  che  suoni  le  sconcia  novella. 

E  non  pnr  io  qui  piango  Bolognese: 
kmì  lì' è  qnMto  luogo  lanUt  pieno. 
Che  tonte  lingue  non  aon  ora  appreM 

A  dicer  sipa  tra  Sarena  e  'I  Beno: 
E  se  di  ciò  vuoi  fede  o  testimonio. 
Recali  a  mente  il  nostro  avaro  <«no- 

Cosi  parlando  il  percosse  un  demonio 
Della  stia  scuriada,  e  di^e:  Vìa, 
Boffian,  qui  non  son  femmine  da  conio. 

Io  mi  ragi;iun5Ì  con  la  scorta  mìa: 
Poscia  con  pochi  passi  divenimmo. 
Dove  nno  scoglio  della  ripa  usria. 

A==ai  leggieramente  quel  salimmo, 

E  volti  a  destra  sopra  la  sua  sch^gia, 


1 

I 


FoodoUQo  li puni/mli lalH?  Va\acga 

Fu  qnati  Obino  II,  a  ini  il  lologoB. 

horì  dtlli  porti  di  S.  Himiate  in  Bo- 

DBÌ  «mia  li  p~niy.iiD  »a  billìlura  < 

«.lap.r»qli».Mr.,,in....gr™. 
0  par  averm  Jnan. 

eoo  penio  i  malhttoii,  era  chiamai.!  It 

57,  Catwrt*»ti™lee.Coni.EoM 
d  Darri  la  Utni- 1  eundalou  Brialfai 

S»tU.«Sela.  Dant«,  parlind»  q»l  ad 

<i«m-ii   Dolonia,   chiama  con   [...ma 

Dolo  li  Bolognai  mt\  Idi^bo  H'Intema, 

lutf  da  di«.rai  il  fatto  dalU  fibiigla. 

6U-ii|    CisIsnKlJiipHee.tJHBaa 

pniiili.CM-.  e)i̫Hiu>  BtnvaniHu  da  liBiJi 

1.M1  laol.  i  B..I<>En«i  tba  offlì  mw».  a 

^1  BiKTaccio. 

SS.lntHcUara/Waira  Ltefalara 

parlano  .llordialello,lD  Bologna,»^ 

favilla  che  nll  ricorda  il  mondo  inl'.co, 
t  in  gnwiala  la  firrlli  itilira,  e  in  sai^ 

aioio.  —  Him  aoH  ora  inipnte^  BOB  aa» 

■<.  dira.noD  aono  asntfalte  ■  dÌr«lffB. 

tholtro  la  araiimr  drllr  lol»,  por  «ì 

ta  di  quel  di.Mto.— lni5M«da-J  JA- 

Italiana  «pralicn  di  Rulocna.  1, a  anali 

lu  :  *4«>  aae.li  dna  Cani  ln'«aaU  «iada 

(«•  p«r  II  d(.l«ia  dp|l«  patrie  mtmo- 

Boloi^ia  eoa  une  dd  tao  larHiatia.  S 

rìa  naoTBoa  In  ipiriln  ad  «ergli  mmo- 

atifria  che  l'i  Poeta  do.o  «..n  ada- 

piiNabi.  Voglio  notare  rh,  aoc'  oRgl  io 
molli  laoiU  diconai  Mt  modo  Ìr.«>eo 

coi  F.onDtÌDÌ  contro  Arrigo  hI  434t . 

CS.    temiuàa.   atrbcia   dì   o«Ì>, 

.  i  R«Ui  di  ,...l.n,,.a<.rl..  Ora  n«i 

.laflila. 

e().;tnn«ÌHd<i«»>b>.ciaÌdaforTÌ 

foprà  menala  rDlbanagEiondo. 

•ara  per  raoetia  pon  iionla  nom*  anrht  il 

se.  del  Marehm.  Il  Marrliru  pn- 

TI.  .B*.jgia,  inl.l'a.pro(D.^ll^ 

Eliatodopao  dello  «.glio/ 

Da  quelle  cerchie  eterne  ci  partimmo. 

Quando  noi  fumino  là,  dov'  ei  vveggis 
Di  sotto,  [tN  dar  passo  agli  Elèrzali, 
Lo  Duca  disse:  Àlieadi,  e  Ta  che  feggia 

Lo  viso  in  te  di  questi  altri  mainali, 
A'  quali  ancor  non  vedesti  la  (accia, 
Perocché  son  con  noi  insieme  aniiali. 

Dal  vecchio  ponte  goardavam  la  traccia. 
Che  venie  verso  noi  dall'altra  lianda, 
£  che  la  forza  RÌinìlmenta  scaccia. 

Il  buon  Maestro,  senza  mia  dimanda, 

Mi  disse:  Guarda  quel  grande  che  viene, 
E  per  dolor  non  par  lagrima  spanda: 

Quanto  aspetto  reale  ancor  rilienel 

Quelli  é  Jason,  che  per  cuore  e  por  senno 
Li  Colchì  del  montoii  privali  Tene. 

Egli  passò  per  l' isola  di  Lenno, 
Pbi  che  le  ardile  femmine  spieiate 
Tutti  li  maschi  loro  a  morte  dienno. 

Ivi  con  segni  e  con  parole  ornate 
Isilìle  ingannò,  la  giovinetta, 
Che  prima  l' altre  avea  tutte  ingannale. 

Lasciolla  qnivi  gravida  e  soletta: 


^■hnlaww.  S  pirtimiiD  dil  ciniiiiln 
ciiv«Ìjv«cb«fiiiBillDrB*vpo(i  tiUo,|ier 
•  ndu*  io  lioH  retti  di  pnnle  in  pdnlB 

73.  dov'  ft  vaneggia,  cioc  dure  la 
vtffio  ImtLo  É  |wi  di  fHHiÉd  Ittcì^  pavi- 
r<>atl*dliÌHrlo(uat>iiD£]ìt(i!n   ' 

TS-T4.  JlUtuH.  »{f«      - 
ettfeofia  {di  faggini.» 

nritili  ia  naia  di  «nirrli  di  taec'i. 
'      "         rd  ndon 


li.-' fa 


«U-anèio  If'wtutitpih 


79.  la  (roi^la:  dot  la  Iraeóa  dal- 

ui  :  traeHa  iinl  itìr  fila,  uhiera. 

St .  £  por  dolor.  E  per  aniiits  unii 
oWe,  nm>  ;ti  •■  Tede  oden  d«  tf  , 
rio».  11  che  dimialn  li  feru  dd  U  ' 
,i  .nlm»o»a  vini» d«  nuli;  onde «I  L 
m.  i»Uo  n'è  I-uIéU  In  mieitk  «A  I 
he.pn.r«rh...nel,e«.hi«W.Ì«  1 
enndiài  mytifalf  dolor  di  LwuMt     . 

K6.  Jamn.  Giuwie.  dMnpì  il  itila 
'ora  ni  Celdii,  papgll  dell' Aù-V 

87.  fhii.  neh. 

»3- Uarililf  fHBmtniipittaU.Lt    ] 
duna,  di  I.Diiua  »ti|^M  Ji  VdMr*  M.   i 


03.  Jn/ileln^on 


fati*  I*  pritai  doitrinn  (he  *  !■  fere;  ipoHrU,  e  pneia  l'abl 
pit  «otto,  «Inns  127,  •wndnl'illra.  93.   Cht  prima  te 

n.  nriitU  tua  raa  m>  te.  P>-  ■•«>  prìoii  ingannala  I*  oaààia  I 

ncAè  «NMdo  aodali  Gnuia  per  li  me-  mite  di  Lcduo,  iilfando  il  p«dr« 

liaim  direiwna  <■!"■  noi,  non  abbiiino  'l'oanle,  che  dia  niHoge  nel  tempii 

fvMl*  TtJtrii  ìb  lacci«.  B(RD,  e  l'ainU  a  fuggire. 


in 


DELL*  IUFERNO 

Tal  colpa  a  tal  martirio  Ini  condanna; 
Ed  anche  di  Medea  si  fa  vendetta. 

Con  lui  sen  va  chi  da  tal  parte  inganna  : 
E  questo  basti  della  prima  vallo 
Sapere,  e  di  color  rhùe  in  aè  assenna. 

Già  eravam  là  've  lo  stretto  ralle 

Con  l*  argine  secondo  s*  inrrodcchia, 
E  £&  dì  quello  ad  un  altr'arro  spalle. 

Quindi  sentimmo  gente  che  si  nicchia 
Neil'  altra  bolgia,  e  che  c^l  mur^  sbuffa, 
E  sé  medesma  con  le  palme  picchia. 

Le  ripe  eran  grommate  d' una  muffo 
Per  l'alito  di  giù  che  vi  si  appasta. 
Che  con  gli  occhi  e  col  naso  facea  zufb. 

Lo  fondo  é  cupo  sì,  che  non  ci  basta 

L' occhio  a  veder  senza  montare  al  dosso 
Dell'arco,  ove  lo  scoglio  più  sovrasta. 

Quivi  venimmo,  e  quindi  giù  nel  fosso  (*) 
Vidi  gente  attuffata  in  uno  sterro, 
Che  dagli  unum  privati  parea  mosso. 

E  mentre  eh*  io  laggiù  con  l' occhio  cerco. 
Vidi  un  col  capo  si  di  merda  lordo, 
Che  non  [«rea  s*  era  laico  o  cherco. 

Quei  mi  sgridò:  Perché  se'  tu  m  ingordo 
Di  riguardar  più  me  che  gli  altri  brutti? 
E  io  a  lui:  Perché,  se  ben  ricordo, 

Già  l'ho  veduto  coi  ca|)clli  asciutti, 


f  rio 


fO^ 


i;o 


Ili 


i20 


96.  Ed  Mek$  di  Medea  te.  E  li 
Mnitce  pare  d'ater  Mdutto  Medea,  la 
figlia  d'Oela  re  dtf'Colrhi,  ch'egli  dopo 
aver  fatta  gravida  abbaodonò. 

97.  Con  lui,  cine  «m  tiianone.  — 
cMdtkUU  parte  i$^anna,  éoè  chi  in- 
ganna con  faUe  pn imene  di  none. 

98.  talU,  h'>l;;ia. 

99.  che  in  tè  aitamna.  Àttannare 
Tale  iirìngerc  colle  lanne.  (Jui  per  me- 
tafora cbioderc  in  aó ,  a  Goe  di  iormen- 
Itrt. 

400-462.  la 're  lo  stretto  eaUe,  ove 
rangn&to  paaaaggio  dc'coacateniiti  pmili 
«'  iBcrociacol  •emodn  ninm,  e  di  quello 
fa  jpaUi^  àoè  appugjpo,  ad  un  altro  arco 
aha  valica  anii'  argine  tento. 

405.  ii  nicekia,  li  rammarica  aoa 
mcsaamentc.  Kicckiare  dicesi  propria 


mento  dei  gemili  rbe  nasda  la 
nelle  doglie  del  patio. 

406.  yrommaU,  ineroatalc,  fem 
dì  nna  gruma. 

407  Per  r  alito  di  già  A0  ti  ti 
appaMla.  Per  reiala>i«me  deaaa  che  rie» 
dal  fondo,  e  che  ai  «tlarra,  maai  paala, 
alle  ripe  o  mura  laterali  dnla  bòlgia. 

40K.  Che  eim  gli  oerki  et.: 
tristo  CMlfire  uffendrra  inùeme  il 
e  gli  orchi,  come  e  proprio  di  lai 
d'eealarinni. 

i*)  Ailnlatnri 

444.  dagli  uman  prirati,  cioè  èm 
ceaaì  che  tono  nel  nnatro  mcHid*.  -^f^ 
rea  Mnato,  pam  a  ealal»  Imggik. 

4 17.  Htm  parea,  non  apparì^-a  par 
la  bruttura  che  lo  ricopi-ia  ae  avrà  <W 
rica  o  no. 


DELL  «inteso 

E  qirinci  sien  le  nostre  visto  saiie. 

■im  li  nsiln  vtilt  mw.      qDinla  tianno  veduto 
Cioè  ;    qIì   «chi   omtrì  (i<D»  mj    di      Hhrlne  loogn. 

CASTO    DECUnOHOlirO. 


0  Simon  mago,  o  miseri  seguaci. 
Che  lo  cose  di  Dio,  che  di  lioaUle 
Deon  esMre  Epose,  e  voi  rapaci 

Per  oro  e  per  argento  adulleratc: 

Or  convien  che  |)er  voi  »uodì  la  Iromba, 
Perocché  nella  lena  bolgia  siale. 

Già  eravamo,  alla  seguente  tomba 

Montati,  dello  scoglio  in  quella  parte. 
Ch'appunto  sovra  mezw'l  fosso  piomba. 

0  somma  Sapienza,  quanta  è  i'  arie 

Che  mostri  in  cielo,  in  terra  e  nel  mal  moudivi 
E  quanto  giu!?io  tua  virtù  comparleJ 

Io  vidi  per  le  roste  e  |»r  !o  Tondo 
Piena  la  pietra  livida  di  fori 

t .  O  Simon  mago.  Coatiii  attfr^t 


I 


».r»  dri  pr-(i,  .Ila  «        .     .. 
me  nrlrnuno  Gas  M  Canta  I  u 
mipat  della  Iniia,  ■llrihoiiw  li  pf«- 
ciBalccBg»D<  d(j  d*iadra<ni  é'  Ititi*. 


1  bumIs  J*  Mi  fM>     ddfahatdraMielkr*  at 


CINTO   DECUdONOXO,  lSfi 

D' ua  largo  tutti,  e  ciascuno  era  loQdo.  ts 

Non  mi  parén  meco  ampi  né  maggiori, 

Cbe  quei  che  son  nel  mio  bel  San  Giovanni 
Patti  per  loogo  de'ball«zzatorì; 

L' un  degli  quali,  ancor  non  i  moli'  anni, 

Rupp'  io  par  nn  cbe  dentro  v'  annegai  a  :  n 

E  questo  sia  saggel  cb'  ogni  uomo  sganni. 

Fuor  della  bocca  a  ciascun  sojierchiava 

D'un  peccalor  li  piedi,  e  delle  gambe  / 

Id&do  al  grosso,  e  l' altro  dentro  stava. 

Le  piante  erano  a  talli  accese  intrambei  &( 

Per  che  si  Torte  gulzzavan  le  giunte, 
Cbe  spezialo  averian  ritorte  e  strambe. 

rwi  largo  hilti,  di  «u*  hb-      Ì  fori  tcdiili  «■  preti  btlleaìvì  Jenlr», 


ts.  Fata  ptr  luogo  te.  Ntl  (eopia  diiilnca,  clic 

iì  Ua  GiniaBui  >o  F.reuie  lulornci   la  comr  biilisli- 

bili  penili  i  ardi  baltimlorì  WnHra  eh<  io  Jicr. 

eh*  àAia  Itffrni:  Falli  p4r  luoghi  luorgi», 

à<  ballcuatof^,  d»è,  Hr  Hrtir  di  bti-  finii  ftn 

1iiltriicUilIr>o«iti,ilÌCN)(ui,        ■  --'' 


ilo*Ìaiuggtl»e.:  * 


•"lOÉ.  t*  pari  ma 


eoa-:  Falli  per  luogo 


IDE.  SuggrUa  mie  ^ 
unii  irgml.  dd  pi 
£2.  /"uor  dtlla  toce 

tDprrchiafii,  i: 


Hw  fiauptr  Awga  orcpar)  tll  id« 
d'iM  MU  a  («iinn.  .la  cuiiien'ni  in 
cu*  h^Tja;  «  a  tuco  !■  Dirula  Adf'ix- 
.  Iteri»  dnùCca 
d<ir«  B  f*  U  ktUl 


•w«  /UH  MT  (NUgM  di  talltttalarj 
ii|Uiiarr(hCc«  iftett*  :  fatti  per  lueglii 
iiliMfMrfa  tallanor*.  Snoiiilo,  ptr- 
d.»  lilcnodo  «III  pia  parlo  degli  inlì- 

IcuM  iBBuaBitmiiKK   di.1   lioll»iaiv 

■»£(  iDlIar*  i  bamliiiii  Balta  gian  >a- 
«a,  •  W»  OKt*  dalla  caira  del  popolo 


U   Jn/Inn 

polpa,  — «1-. 

n'ij  aVirX'n 


ro  dmlro  tlavo,  a"!» 

Ila  dal   corpo.  0- ■ 


rsffl 


:   (li  «Uri  nù  della  eiioa.Otlrccbc, 


20.  U  giunU,  i  Mlli  da'  pi.. 
|iiM(a  liuuLlicana  prfaao  «li  nliddC 
ma  parla  della  ginita,  ai  rilna  ansW 
lai   boreaola  dal  Pula,  do.adnctiM. 


i><ii.*.uiMirn» 

ì,  Itgamì  talli  di  allttU   ' 


I 


I1Q  DELL 

Qual  snoie  il  fiammeggiar  delle  cose  unte 
Muoversi  pur  so  per  l'estrema  bucna; 
I^l  era  li  da'ralcagni  alle  punto. 

Chi  è  colui,  Maertro,  che  si  craccia, 

Guiziando  più  che  gli  altri  suoi  coiDwrii, 
Diss'ìo,  e  rui  più  rosea  Tismina  succia? 

Ed  ^i  a  me:  Se  tu  vuoi  ch'io  ti  porti 
Laggiù  per  quella  ripa  che  più  giace, 
Da  luì  saprai  di  9è  e  de' suoi  torli. 

Ed  io:  Tanto  m'è  bel,  quanto  a  le  piace: 
Tu  se'  sigDore,  e  sai  eh'  io  non  mi  parto 
Dal  tao  volere,  e  gai  quel  fhe  si  tace. 

Allor  venimmo  in  su  Pargine  quarto;  tf 

Volammo,  e  discendemmo  a  mano  stanca 
Laggiù  nel  Tondo  foracchialo  e  arto. 

E  'I  buon  Maestro  anror  dalla  sua  anca 
Non  mi  dipose,  sin  mi  giunse  al  rollo 
Di  quei  'he  s\  pingeva  con  la  lanra.  tf 

0  qual  che  se',  che  '1  di  su  ticn  dì  sotto, 

m.pm-.taUmrnie.  —  ptrftitrt-  41.  rotjenwiil  IniM*:  Mp«* 

M.  Ai' cnlroftif  «:  etili,  di'ciit-  42  arlo.ttrttla.tirneapfmtMftr- 

ugalGiMalIr  p«M<i<lel1(<l)ia,ii»li|wr  dii  poca  ■  pitia  liirìi vano  i  miritìbn. 
Miti  U  miDK  4>'|iirdi  inlii  ■D'ìniA.  43    (tolto  taa  anm  «.   L'aia  i 

E3.  Guiiiands.  rtiit  igiUiiilu  i  piis  l' Mn  ibi  >la  Ira  il  Banca  «  la  taaci», 

Ji. —  nntiarN.  rrl  dilli  tiiua  colpa  a  IdUihIì;  non  ni  (Irpust  dal  fiaaea,  aal 


SS.  luaria:  fa*  itintl  clic  l«  Sin-      ^Hmfal 


gtaKual  rotto,  n 


rraecF  del  oitpD  cliF  iiiTra<«,  prima  4S.  Arri  pinsna  em  la  rbM. 

laurini,  ni  lo  ilnHiI».  Ncll'lnlrrno  ri»*  ipin[;»»a  pJU  dainta  «I,  «■'!> 

h  dhMlninita  nnb  atfoilu  luaga,  It  dMIn.  r>  in  ^atl  oiiKla  nngalva.  TWfi 

Bimnia  H  limila  i  aiurinra.  i  leali  htane  ti  pìayrca  etUtamm, 

S5   riu piit  ft*H.  che   pìft  fto'h  «ba  ì  cirtnAirnlalnri  ipirgaoa:  éma^ 

..._.      .    .      ■|i„p,ibolsiil'.r-  gniiM  diilof  .Booillagamta-Uiarf 

■I  cMi'm  M  aF-  Inrni'one  id  n»ii  <lli«  clic   Da»fMM 

ag^flarii  pia  itmn  r  pid  Jifrailrni  in  aiiilch(  mnlD,  hrU  la 

ilg(ti.IiiKi«l«i<laTrna  Ina  polrl  nai^anl  ili'ibliia  ■■  *l  Mia 


l 


I 


f 


CAUTO  DECiaOROIfO. 

Aoina  trisUy  come  pai  commasBa» 
ComÌDcia'  io  a  dir,  se  pooi,  &  motto. 

Io  stava  come  1  frate  che  oonfeaaa 

Lo  perfido  asaasaÌDy  che  poi  di*é  itto, 
Richiama  lai,  per  che  la  morte  OMsa. 

Ed  ei  gridò:  Se'tn  già  costi  ritto, 
Se'  tu  già  costi  ritto,  BonifatioT 
Di  parecchi  anni  mi  menti  lo  scritto. 

Se*  tu  si  tosto  di  queir  aver  sazio, 

Per  lo  qnal  non  temesti  torre  a  inganno 
La  bella  Donna,  e  di  poi  fame  strasiof 

Tal  mi  fec'  io,  qnai  aon  color  che  stanno, 
Per  non  intender  ciò  ch*è  lor  risposto, 
Quasi  scornati,  e  risponder  non  aamo. 

AKor  Virgilio  disse;  Dilli  tosto, 

Non  son  colui,  non  son  colui  che  credi: 
Ed  io  risposi  come  a  me  fu  imposto. 

Per  che  lo  spirto  totti  storse  i  piedi: 
Poi  sospirando,  e  con  voce  di  pianto. 
Hi  disse:  Dunque  che  a  me  richiedi? 

Se  di  saper  chi  io  sia  ti  cai  cotanto, 
Che  tu  ahbi  però  la  ripa  scorsa, 
Sappi  ch'io  fui  vestito  del  gran  manto: 

E  veramente  fui  figliuol  dell'orsa, 
Cupido  si  per  avanzar  gli  orsalti. 


m 


65 


60 


S5 


70 


47. 


pìtatala, 


4Ì.  i»  $ia9m  te.  Fra  i  trmMì  md- 
riq  MPoCkkia,  9fn  «pMtio.  Si  ficw 
«M  fl  ■albltorc  in  bu  hmn  i 
■  fii  ai  Mod«  cb«  li  a»  od  prop 
pMM  !•  «ili  :  fiU«rMÌ  potcia  ealro  di 
■  p«M  !■  lem  per  mCTo- 
la  spcMo  V  ttsattiao  coti  Site 
'  il  liMruprc  :  ■llon  i  caraeCd 
dal  gcttwa  U  terra  ipér  dte, 
¥iaM«te,  die*  U  Poate,  fa 
daè  riterdal ,  •  il  frate 

B.  Atf  «<  §Héè  m.  CnimÀm  pafa 
»bIUm«MÌCte,cha«oiw<l>aate) 
iiarfa  a'apfmu  alla  kaea,  aia  papa 
^111,  gli  dica:  ^1»  riè 00. 
BmHfmimf 
U.  I»  aerato.  Qaailofferilte  mo  4 
<h  Wilaaa  ■■li«aj|eaia  M  (utera,  di 


cW  il  Poete  fiaf|a  dateti  i  daaiiati.  In 
firlA  di  ^amta  NierolòMpera  cbc  Bom- 
faiio  dutea  venire  all'  Inferno  nel  4  SOS. 
Ora  credendolo  ivi  pinato  ael  4500,  ne 
fa  le  meraviglie,  e  dice  die  il  «■«  terit' 
Co,  lo  tpirìto  di  profezia  in  mi  laggafa 
l'a%vemre,  lo  iagannò  di  pii  amii. 

S6.  tenna  «  fayaiiiio.  Biipiuieia 
al  creduto  BomfaiiA  le  aiale  arti  a  gì'  ìb- 
ganoi  «tati  (rofi  alBMao  fa  daCta)  per 
giaogere  al  papato:  aebbeoa  è  mttà 
vcràiniU  che  bmIU  dei  peeeoti,  di 
cIm  fa  aeratato,  aieao  iovantioaa,  • 
aliga* adone  dd  taoi  parliceterì  nai^d 
e  delU  rakkia  gfaibelliaa. 

»7.  U  beila  thmnm.  Saate  CUaaa. 

C7.Hr«lcolanitoec.:li  praowteate, 
dw  te  abbi  ptré,  per  ^«aatef  •com  la 
ripa  rhe  è  tra  l'alln  argiae  e^actto  foade. 

70.  fmi  /If  liaol  drlTaria.  Ifieea- 
I»  III  fa  di  rara  Oraini. 

71.  Cupido  d  re.  :  d  oimlia  d&aa» 


BELL' 

Che  sa  1'  avere,  e  qai  me  misi  in  borsa. 

Di  »)tto  al  capo  mìo  son  gli  allrì  IraUi 
Che  precedetter  me  simoiic{;giando, 
Per  la  fessura  della  pietra  piatii. 

Laggiù  cascherò  io  ellresi,  quando 

Verrà  colui  eh'  io  credea  che  la  fossi, 
Allor  cb'io/eci  il  subilo  dimando. 

Ma  più  é  'I  tempo  già  che  i  pie  mi  cossi, 
£  ch'io  son  stala  cosi  sottosopra, 
Cb'  ei  non  starà  pisDlato  e  coi  pie  ro&si- 

Cbé  dopo  luì  verrà  di  più  laìd'  opra 

Dì  ver  poneote  un  pastor  senza  legge. 
Tal  che  convien  che  lui  e  me  ricopra. 

Nuovo  lasoD  sarà,  di  cui  si  legge 


Ne'Uaccal>eÌ:eco 

n'  a  quel  fu  molle 

atKtn  U  rìedma  a  li  paliua  degli 

dillo  coni.=  Ck-ti  nxi  «(ardflwlill 

Onim. 

72.  CJM  tu  rwmi  M.:  <H<>  n  nd 

moDdo  »;•>  in  barn  l'ottro,  il  <lei»ro, 

S2.  dipi*  Joid'opra:  di  pit  liid. 

<  i]u>  in  igonla  baci  ha  mcHo  li  ptr^ 

operira;  irpnurt  par  i[u«r  opra  ludo 

HDi  mii. 

DOQ  imcadi  11  IDI  elaiooa  cndil*  ..- 

75-75-  Di  ,«no  ».  Cmlmiori  >  In- 

moDllrM.nitndDfgliiUloaialUlo  f" 

tmdi  :  Di  Milo  «1  capa  mio.  (rolli,  ti- 

■niDtggi dd   ra  (non».    Si   poti  d» 

rili  (iù,  tuo  flIL  ■llri  p.pl  ci..  f«cro 

DiDla  pirli  eoa  nollo  oiwn  di  O- 
ncDla  V  il)  ■(•■  HI  opiiloli  d  pciu« 

imo«>i  ixqlili  0..^,  pigili,  ii.K«ii, 

tlnllo  (oro  dalli  pìilri. 

tSIO:    don,™  quali   •!!«)«]   dom 

77,«i[ui,  BouÌIhLuVIII. 

KriTcn  pinluiaruieiilc,  quiado  dot  d 

7».ÀUl>rell•iof^ci,t.:àot^^a,aio 

io  iìm:  u-lti  «ut  «odi  rillo,  Bani- 

83.   fliorrp-nmn  oc.  buUi; 

fé^t 

dilli  GuJiscaum  ,  eh.'  «   ■!  pasMlt  di 

7V.Jfap<àd'll»>pew.M<tpm 

Itomi.  —  lai>:o  lesi*:  "nn  (•wK,  • 

il  «UH  di  ohe  io  «u  qui  «rilDiapri 

■  bnainii  ì  p<«Ii ,  eht  aon  uri   il 

i.i;erirx. 

Icmi»  d»  à  ilirii  a-mUuo  Vili  ;   ». 

SS.  /oiM.   Ia«D   fa  r«tl«  MMM 

(il,  Bonirui»  ii>i4  qui  mm«t  ttn.f«  di 

uurdole  por  fitora  di  AoIÌom,  n  di 

ijngl  (be  is  «  HW  ilXu  «i>  ;  puiebìi  «rrì 

Brolo  ia  HO  luogo  i;l<i>ne<iU  V,  come 
aort*  uà  taso,  totlrì»  d.  30  luoi  il 

S6-S7-  cono  «ud  /il  Molloe.  lo- 

wp^iiia  dai  piodj  ixtuuii,  bas^odeii 

•orà  iodolgoo»  Filippo  il  Bdlo  i*  di 

li  luiaai  di  bixUi  ori  IMO;  a  In  il 

Pronai  o  pipi  CleoKole.  Im«a,  In 

DitU  di  Buairuio  Vili  <  <|aelli  di  Qc- 

r,l,ra™d,Bo,li,.p,>glii.il   l^pUd. 

■i.  Da*fi»,  ijuiodo  DuWuniotflac- 

*tl  »n.  i»i>  «Kod»  .gli  prol«l«,  tic 

il  n  Filippo,  ■  cui  da>*>i  la  nu  «l«- 

ii<mo.  Inferi  liKilapoatiBnIt MAtì- 

SI,  Cd' fi  iia«'il«-d  fttnloijo  . 

gn.i,t  e»,  diano  grindt  drlU  Cbkn  • 
d'Udii^  aoa  in>pcdi,  p«r  lo  Bono, 
qunta  polaii,   lo  ipogfiHiwIO  •  l> 

CANTO  DECIMONONO. 

Suo  re,  cosi  fia  a  Ini  chi  Francia  regge. 

Io  non  80  sT  mi  fai  qoi  troppo  folle, 
Ch'io  por  risposi  lui  a  que.sto  metro: 
Deh  or  mi  di,  quanto  tesoro  volle 

Nostro  Signore  in  prima  da  San  Pietro, 
Che  ponesse  le  chiavi  in  sua  balia? 
Certo  non  chiese  se  non:  Viemmi  dietro. 

Né  Pier  né  gli  altri  chiesero  a  Mdttia 
Oro  0  argento,  quando  fu  sortito 
Nel  luogo  cfie  perde  1*  anima  ria. 

Però  ti  sta,  che  tu  se'  l)en  punito; 
E  guarda  ben  la  mal  tolta  moneta , 
Ch'  esser  ti  fece  centra  Carlo  ardito. 

E  se  non  fosse  eh'  ancor  lo  mi  vieta 
La  reverenza  delle  somme  chiavi. 
Che  tu  tenesti  nella  vita  lieta, 

r  userei  parole  ancor  più  gravi: 

Che  la  vostra  avarizia  iJ  mondo  attrista. 
Calcando  i  buoni  e  sollevando  i  pravi. 

Di  voi,  Pastorr s'accorse  il  Vangelista, 
Quando  colei,  che  siede  sovra  V  acque, 
Puttaneggiar  co' regi  a  lui  fu  vista: 

Quella  che  con  le  sette  teste  nacque, 
E  dalle  diece  coma  ebbe  argomento, 
Fin  che  virtute  al  suo  marito  piacque. 


4t9 


iOi 


10» 


■Irage  ém  Templirì  ;  «  trad)  poi  Arrigo 
^•VM  Cfli  iloMo  fatto  eleggere  impe- 
nlorc  ;  peccato  forse  d'ogni  altro  il  più 
fraado  agli  oeehi  del  Pneta,  che  tante 
sperame  area  potte  in  qael  principe. 

88.  troppe  folle,  perchè  la  mia  pre- 
ékm  noa  era  per  pruGttar  nulla. 

89.  •  fuiito  metro,  di  questo  te< 


9ì.{nprimm...ehe,  oYanti...  che. 

W^96.  fMoiitfo  /W  tortilo  ee.: 
fundo  dalla  sorte  fa  Oicsso  nel  posto 
perdalo  dal  reo  Ginda. 

8i.  ptoria  òen,  custodisci  con  eaa- 
tela  :  4  detto  con  sarcasmo.  —  la  mal 
follia  presa  con  tao  vitupero  e  danno. 

99.  Ck'wor  H  feet  ce.  Ciò  è  detto 
saeoado  la  Toee  che  a  qnci  tempi  corse, 
Aa  Gita  £  Procida  desse  denaro  a 
^■cslo  papa  per  ateme  aiato  nella  con- 
Mara  cne  ai  ordiva  contro  i  Francesi  ia 
rilcraM  •  ia  tutta  la  Sidlia,  della  «{aala 


era  allora  signora  Carlo  I  d'Angià. 

4  00- 1 01 .  La  rtrereasa  delle  som' 
me  ^iavi:  si  noti  il  rispetto  che  Dante 
professa  al  papa  coma  sommo  sacerdote 
e  Tirano  di  Cristo.  —  aneor^  ane'ora, 
sckhen  tu  sii  morto. 

400-1 4 4 .  Dttoi^  fMUtor  «e.  Di  Tot, 
del  vostro  sacrilego  abuso,  o  romani  pa- 
stori, s'accorse  T  Evangelista  Giovanni, 
qaaado  nella  sua  ostasi  vide  la  Donna 
clie  siede  suir  acque  prostituita  ai  re 
della  terra.  —  Sebbene  oell'  Apocalisse 
si  dichiari  in  parte  questa  visione^  dieeiH 
dosi  che  la  donna  è  una  gran  città  ;  le 
oc^ae  su  mi  siede,  i  popoli  da  lei  domi- 
nati ;  le  ffCle  Ifs le,  sette  monti  sa'  quaK 
è  fondata;  e  le  dieci  coma,  died  re,  per 
che  eredrsi  generalmente  ioilieata  Roma 
pagana  sotto  gl'imperatori  ]  aunostaate, 
sreondo  la  espricriosa  interpretazione 
del  Poeta ,  colei  che  tiede  tu  taeqne 
4  la  stessa  ètila  Donna,  di  cai  ha  deUo 


Fallo  v'  ai  eie  Dio  d'  oro  e  d' argento: 
E  die  ullro  é  da  voi  all'  idolalre. 
Se  non  i-li'egli  uno,  e  voi  n'orstB  ceiilo? 

Abi,  Coslanlin,  di  quanto  mal  Tu  matTf, 
Non  la  Ina  con^ersion,  ma  qucUa  doto 
Che  da  le  pn.-se  il  primo  ricco  pytre! 

E  menlre  io  gli  cantava  culai  nule, 
0  ira  0  cosrienia  che  'i  inurdes«e, 
Porle  spingala  con  ambo  le  {liole. 

Io  credo  ben  eh'  al  mìo  Duca  jiiaie<ee. 
Con  S(  conlcnta  labbia  sempre  aliene 
Lo  auon  de  le  parole  (ore  espre^ae. 

Però  con  ambo  le  briitcia  mi  prese, 
E  poi  I  he  tulio  .su  mi  s'  ebbe  al  pdto, 
Rimoolò  per  la  vi3  onde  discesei 

Né  si  stancò  d' avermi  a 


I 


tltuiiU  il>  AwJbtio.  b 

lidi  cb*  d,ii;n>l.  td  .IV 
nidi  d'i  populi  (!■  (iqn-) 
ind«|niinriil«  iti  ta-  «nti 
■hi  la  prMl1lBÌui«fli  (■  h 
tMll  drll*  Mrri  ptr  r*i>l 
fcwl  Mnifanlii  ^wlli  wk 


,f 


n  poi  dire  rkt  i 


di  qudll  iJonti  dii  Pigini 

4IS-II6.  JìtI,  Ceitmltn  et.  àbi, 
Cc<l«ii(ind,«i»n<ft  fMiuor  di  mttr  fu, 
»>■  1'<»riil.Uo  aaanno,  mt  U  d>u- 
liitnt  (vupp-ntU  l'iHtipi  di  f>4iite|  ih*  li 
FttlUiaiMfwSlhiMni    *  ■■     ■ 


CAinX)  'DECIIIONO>0.  4  3 1 

Si  mi  portò  scmra  '1  colmo  dell*  arco, 

Che  dal  quarto  al  qninl'  argine  è* tragetto. 
Qain  soavemente  «pose  il  carco  iòo 

Some,  per  lo  scoglio  sconcio  ed  erto, 

Che  sarebbe  alle  cajpre  duro  varco. 
Indi  on  altro  vallon  mi  fti  8Co\'erto. 


42t.  Si  mi  porla,  doè,  Sndiè  n'cb-  ie,aM«e  a  terra,  ioaTemeote  il  soave  pc 

bt  aortato.  QbtsU  ItaiaiM  è  dd  tato  so,  la  mia  paraana  a  hd  st  cara.  —  per 

Tiruni,  ed  è  la  pia  aeaipUca.  U  God.  lo  teogiio  at.;  qveate  parola  rendono 

Cam.  ka  51  wu  portò.  La  Nìdob.  e  rarj  ragioae  del  parche  lo  portasse  fin  leasù, 


Cèèò.  Sì  BMii;  falche  altro  Sin  aieii.      a  non  lo  poiàsae  appena  risalito  snll'ar- 
129.  irmgetto,  paaaaggb.  f***f  *  qoaat'ara'ta  acabrosità  a  rìpi- 

130-432.  Qmkri aomtmenlo oc.  In     dena  di  qudlo  acaglio,  ra  cai  a  fatica 


^  laofo,  cioè  sul  colma  dal  poiUa,#po-    .  aarcbbaro  moatatc  le  eapre. 


CAUTO   WKMTVSMBMO. 


èoigim,  di  tèa  M  rmficms  te  fMJf*  whCmwm  miU».  mmtltmt  fiugr  tmpo$tort  eh* 
rmnt  étmimMuim.  Bmmm  «m<  U  wìm  »  U  toUo  strwwulf  sulla  mU,  0mda  J«w  milrttti 
IV  mirtmAtm,  mm  p^nmlm  métn  émvmut  m  sé.  Simo  miMùmtt  ém  rirgUia  mU'Àlmm->0 
firn  /«MM  im  qmtWmru  fmttae*,  tm'fuMi  U  Tthmttm  Manto,  par  ani  aàéa  origiMa  Mam- 


Di  nuova  pena  mi  convien  far  versi, 
E  dar  ma'cria  al  ventesimo  canto 
Della  prima  ranzon,  rirò  de' sommersi. 

lo  era  già  di-po.-to  tuffo  quanto 

A  risguardar  nello  scoperto  fondo,  6 

Che«i  bagnava  d' angoscior-o  pianto: 

E  vidi  gente  j.er  lo  ^  alien  fondo  ^*) 
Venir,  tacendo  e  lagrimando,  al  passo 
Che  Eanno  le  letane  in  questo  mondo. 

Come  '1  viso  mi  sre  e  in  lor  più  bas<Of  fO 

Ifirabilmeiite  ap|>an'e  es.er  travolto 

Arila  priaM  cMUon  ce.,  drlla     mente  appallate  leimnf,  o  lilama,  voce 
,  cbe  narra  di  ndora  che      greca  rbe  vale  supplirotioni. 
' ,  aprafusdati  unì  bara-  IO.  Cotme  l  viso  (gli  «echi)  mi  tette 

im  lor  pie  boHn.  Stando  l>attle  io  huigo 


4.  3» «ra già éitmoeto  «e.  lo  m'era     elevalA,  e  lenro«lo  sempre  ali-orrlii  fi» 
|ii  faal»  emm  Ciitla  1  aUentiaaa.  in  «|uella  gtrulr,  la  quale  ori  satlapefcto 


V  moUo  tutotrio  fomào,  aloè  nel     vell'ooc  veòi^a  alla  sna  tulU,  è  OMni- 
iwéa  che  a  ma  alaule  md  sooina  del-      ff^io  <  be  gli  cru  buegira  di  abbamarii  a 


rm«»  m  maalfava  avvpane.  lanan  rra  mano  a  roano  eoe  «|aeiia  avricmavasi  a 
oapo  a  detto  landò,  c4a  aoa  li  palava  lui  ;  ooda  la  frase  e^airak  a  dire  : 
da  q«el  pvnta.  quando  essi  farvoopii  prema,  pie  aetto 


r\  ladofvim.  a  ma 

à-0  mipmseote.:  cioè  con  ^r\  feo-  1 1 .  Uirmltilmenlo,  io  mudo  da  ca- 

tot» cha laMo le pruaisaiioi,  — lica»     fiaoar  mare vigl. a. 


«8  D  ^^ 

Ciascun  dal  mento  al  principio  del  rssso:        ^^H 
Che  dalle  reni  era  tornato  il  volto,  ^^H 

E  indieiro  venir  gli  convenia, 

Perché  'I  veder  dinanzi  era  lor  tolto.  n 

Fors«  per  Torza  già  di  parlasia  ' 

Si  travolse  cosi  alrun  del  tulio, 

Ma  io  noi  vidi,  né  credo  the  sia. 
Se  Dio  li  lasci,  Icllor,  prender  fruito 

Dì  tua  lezione,  or  pensa  per  te  sles°o,  10 

Com'  io  («tea  tener  Io  vì^-o  asciutto,  -^^H 

Quando  la  nosira  imagine  da  presso  |^^| 

Vidi  si  torta,  chu  'I  pianto  degli  occhi  ^^^H 

Le  natiche  bag&ava  per  lo  Tes^o.  ^^^| 

Certo  io  piangea,  poggialo  ad  un  do'  rocclii  ^^^ 

Dal  duro  scoglio,  si  che  la  mia  Scorta 

Mi  disse:  Ancor  se' tu  degli  altri  scìotchit 
(Joi  vive  la  pielà  quando  è  ben  moria. 

Chi  è  piii  sreleraio  di  colui 

Ch'  al  giudicio  divin  passion  porla?  Ut 

Drizza  la  te^ta,  drizza,  e  vedi  a  cui 

S'aperse,  agli  occhi  de'Tcban,  la  Icrra, 

Perche  gridavan  tolti;  Do\e  rui, 
AnGarao?  perchè  lasci  la  guerra? 

12.  al  principio  del  calta,  fin  II      pirli  i  pnne  in  Juo  temi  divini.  Di 
dori  cDinincia  iJ  lurHa.  rdigiDiM  la  primi  vulu,  Ji  tomp4t- 

13.  lontam.  •ollila.  —  ilaUerni,      Whm  liircundi.  Fenimlf  aio<l(>ii4H:> 
idra.        ailPtr>cl>fD,CMluIT:/'n-i»ap«r^ 

1.  alt,  n  dii*  riUrìn  a  CiiuctM  pirtà  ti/fieMoIa,  òoè.pir  Boa  nu- 

•IM  m»  12.  urtillirv%H.a«ùfecrndcl*.EaT» 

40.   parlaifa,  piralitla,  miltUia  to:  •  Or  ti  farrbbitapiclimtnpie.' 

eh*  ÌPipfdÌK«,  o  (loraa  Icninnlira.  30.  al  j{iulkio  dimin  patti»mpft- 

taso.  Se Diotf'  0",elcUoct,lii  la.  Parlar  pattioiu  ta:.i  He* lafrirr 

DwlilaKÌ|ireBdettniUudÌliulai»is,  ntW  animo.  Uude  auiil  acOM  t:  cbi 

Bai  dal  l«Bcn  qatila  ente,  (imu  te.  vìi  Fwniodi  tnluì  cIie  iralt  Jàpiac— 

U  [ruUD  da  ricalarli  è  la  ncrnaainn*  doi  ipucUj  di  (Kp,  dil  Irtnar*  JelU  na 

chi  il  rBlHHi  HDD  io  aa  ihs  llin,  g  che  gouliiìt,  bu  i  rei?  La  Nidob.,  il  God. 

ckinil(|U*  ordì o  di  acradcra  ilcuDlia-  Cari.,  «  qualcha  litro  haana  fWMfe" 


dalla  parta  dai  la  r« 


I 


S2.  fa  ««Ira  imagiiu.  cioè  l'unaii 
gva  in  auclk  oaAi». 

3S.  ai/«n<ti'rBKik<.>d  aM  dv'maa 

37.  ttioeehi   ro»" ckììma  calai 
k(,  peando  nxDla  ai  tali  «[talli,  so 

28.  Q<ti  tira  U  pielà  K.  Qui 


52.  ojliinftt  4a'  Ttian,  tagfesii 

l'rlxai,  a  a<i(lB  gli  ec.hi  dai  TAtai. 

SJ-55.  Anfinnto.  Sa»  da' arila  ra 


ra  d.  qualL  ciltii  ,ai  aaacoaa  in  Inua  «ala 
»iiinia  alla  «uplia  ioa,  la  qiiata  Bau 
(cuna il wi,r. '  1     -  i'.--  --  .. 

lagiiai  (■ 


ilaì-  della  uana 
Io,  mini  «no  al- 


CANTO  TERTESIIfO. 

E  non  resiò  dì  minare  a  valle 

Fioo  a  Minòs,  che  cìaschedooo  afferra. 

Mira,  e*  ha  fotto  petto  delle  spalle: 
Perchè  volle  veder  troppo  davante, 
Dirietro  goarda,  e  h  ritroso  calle. 

Vedi  Tiresia,  che  mntò  sembiante, 
Quando  di  maschio  femmina  divenne, 
Cangiandosi  le  membra  tutte  quante; 

E  prima  poi  ribatter  le  convenne 
Li  doo  serpenti  avvolti  colla  verga, 
Che  riavesse  le  maschili  penne. 

Aronta  è  quei  eh*  al  ventre  gli  s*  atterga, 
Che  nei  monti  di  Lnni,  dove  ronca 
Lo  Carrarese  che  di  sotto  alberga. 

Ebbe  tra  bianchi  marmi  la  spelonca 

Per  sua  dimora;  onde  a  guardar  le  stelle 
E  'I  mar  non  gli  era  la  veduta  tronca. 

E  quella  che  ricopre  le  mammelle, 

Che  Ui  non  vedi,  con  le  trecce  sciolte, 
E  ha  di  là  ogni  pilosa  pelle, 

Manto  fu,  che  cercò  per  terre  moke; 


433 


40 


45 


50 


65 


^^ftn$-4nè9  talli  i  Teb«ni gridavano  : 

^nif  (|wf«  r«ini,  Anfiarao?  mi  dal 

li<«*niif.  —  •  vafir,  cioè,  al  fmido. 

M   Mffrrrm,  abbranca;  in  ^oanU 

^MMan  paèaMlrara  al  rao  |indixin| 

•  il  «pplffin  da  Ini  dvcretalo. 

Si.  fm  rUroM  cmÌU.  cammina  a 
(Urna*,  ili  dirrzii»o«  CAiiIrarìt  al  Ttso. 

4#  Tirttim,  «Itm  induTJno  natiTo 
'TiAc.  Cnfttai  pcfCMat  eoo  nna  verga 
4taaryi,  •  divenne  femmina  :  dopo  arilo 
il»,  nlrnmli  i  medcaioù  tcrpi,  li  ri- 
faaaaM,  •  lornè  mMcbie. 

43    le,  «  Tirctia  all»ra  femmina. 

44.  «rvofli.  avviticchiati. 

41.  Che,  dipende  dal  prime  dal 
Hn»4S-  —  <c  wtmtrhili  penm§,  U  mem- 
^,  3  amio  di  mancliio. 

H  Àrmmtm  è  quei  te.  Quest'Aron- 
Kn  Arnnlo,  è  «n  fomoao  indovino  te* 
Mino,  di  cai  fa  meuinM  Lucano  nella 


47.  Ch9  «et  mofUi  di  Luni  ee.  C^ 
straisci  :  cb*ebbeper  s«a  dimora  la  tpa» 
lonca  tra  biancbi  marmi  ne*  monti  di 
Luni.  dove  lo  Carrareae.  che  di  aotto  ■ 

2ne1li  alberga,  ronco,  coltiva  la  terra. — 
wmif  città  distrutta,  era  situata  preaao 
la  foce  della  Magra.  Ronear§  propria- 
mente è  purgare  i  campi  dalle  erbe  no* 
cive,  ma  oui  sta  noi  senso  generale  di 
coltivare  la  terra.  Carrara  è  sotto  ai 
monti  di  Luni. 

51 .  non  gti  era  la  veduta  tronca, 
cioè  :  dair  alto  luogo  ove  abitava  non  gK 
era  impedito  di  vedere  le  stelle  ed  il 
mare  per  le  sue  speculazioni  divinatorie. 

52.  E  quella  ee.  Avendo  eoatei  !■ 
nuca  rivolta  dalla  parte  derpetto,  le  §•• 
chiome  scendevano  a  eopnr  le  mam- 
melle. 

ZA.dilàee.:  dalla  parte  del  corpo 
or*h  il  petto. — ogni  piloio  prlle,  tutto 
le  parti  peloso:  e  ciè  a  eagioae  dello 
stravolgimento. 

55.  Jfoiilu,  indovina  lehana  figlinola 
Lik.  I.  diTuesia,  la  <|uale,  mortole  il  padre, 

^ri  veafre  f fi  a'  atterga:  accosta  il     cerea,  vagò, per  molti  paesi  per  luggire 
^{v  al  vcatre  di  Tireaia .  la  tirannia  di  Creonte,  e  dal  numcT\h%> 


F 


monir  TWm*  et  mi9  mIojCì 


mmm*mLmmm 
Lib. 


434 


DELL  llfTERNO 

Poi^ia  si  pose  là  dove  narqu*  io: 
Ondean  poco  mi  piace  che  m'ascolto. 

Posciaché  il  padre  suo  di  vita  ascio, 
E  venne  sen'a  la  città  dì  Baco, 
Questa  gran  tempo  per  Io  mondo  gìo. 

Suso  in  Italia  bella  giare  nn  laco 
Appiè  dell*  a'pe,  che  serra  Lamagna 
Sovra  Tiralli,  ed  ha  nome  Denaro. 

Per  mille  fonti,  credo,  e  più,  si  bagna. 
Tra  Garda  e  Val  Camonica,  Pennino 
Dell*  acqua  che  nel  detto  lago  stagna. 

Luogo  è  nel  mezzo  là  dove  '1  Trentino 
Pastore,  e  quel  di  Brescia,  e  'i  Veronese 
Segnar  potria,  se  fesse  quel  cammino. 

Siede  Peschiera,  bello  e  forte  arnese 

Da  fronteggiar  Bresciani  e  Bergamaschi, 
Ove  la  riva  intomo  più  discese. 

Ivi  convien  che  tutto  quanto  caschi 

Ciò  che  in  grembo  a  Benaco  star  non  può, 
E  fassi  fiume  giù  pei  verdi  paschi. 

Tosto  che  r  acqua  a  correr  mette  co. 
Non  più  Benaco,  ma  Mincio  si  chiama 


IO 


6?» 


70 


7b 


rino  comprona  partorì  Ocno.  il  qaale 
fnodò  una  città  clie  dal  nome  ai  aaa  ma- 
(Ira  nominò  Manluva. 

bO.  E  tenne  ierva  la  eittà  di  Bm- 
cn.  E  venne  in  potvr  di  Creonte  la  città 
di  Tf^be  sacra  a  Bdcco.  intorno  a  Baco 
p(*r  Bacco  vc<li  al  C.  Mll,  v.  17  in  nota. 

(J3.  Tiralli^  ora  il  Tirolu.  —  fie- 
naeo  :  qiicslu  Ugo  »p,f^ì  dicrai  di  Garda. 

6  'i-G6  Per  millr  fonti  re.  Int.  :  Il 
l'<-nnino  [alpe*  pceiìa').  cioè  quel  tratto 
d'alpi  pennine  che  e  tiatìanla  e  \al- 
ramonica ,  ai  bdjvnu  ikt  mille  fonti ,  e 
I  redo  anche  più,  ilcll'  acquN  che  poi  |*iù 
■comleiido  va  a  staijrurr  nel  di'tlo  lago. 
VA  eccola  connc-aione  di  tutto  il  disi-or- 
so:  È  iieir  Italia  (au  napello  ali  Iiirei  no) 
un  Ingo  chi*  \ké  nome  Briiaco,  il  quale  ai 
Zinnia  in  (jran  patte  delle  molle  i»catii- 
i  i,';ini  del  l'anni  no,  raccolte  e  condotta 
ad  easo  lago  principalmente  dal  fiume 
Sjrca,  che  tìcn  ano  corao  tra  V«|  Ca- 
monica  e  Garda. 

C7-G9  Luogo  è  nel  mezzo  ee.  Int.: 
nel  mi'uo  della  lunghe/za  del  lago  è  mn 
lungo  ore  poHono  iegnare,  benedirà, 


cioè  ove  hanno  ginrbdiziooe  i  ?aeoTÌ  £ 
Trento,  di  Brescia  e  di  Verona.  Il  paolo 
comune  ove  i  tre  veacovi  |ioaaoai  hrwrf 
re,  dirono  alcuni  che  è  la  dove  la  acqu 
di'l  lìuiiie  'liftnal}^  sboccano  od  lago. 
La  sinistra  di  qiicato  fiume  è  dioroai  S 
Tronto,  la  destra  di  Breacia,  a  il  lof» 
è  tutto  nella  dioresi  di  Vcnnu.  Altri 
notano  a  Un  luot;hi  ;  né  io  aooo  io  gra^ 
di  deiidrre  la  conlntversia.  Gumon^Oi 
sia,  il  poeta  ha  voluto  descrivere  il  laiO 
nella  sua  luii|;hcz/a  dall'  Alpe  al  Hìoat 
in  CUI  sbofi-a,  e  accennare  per  qofOo 
\  ia  le  prmcipali  ciua  trameno  alle  ^oali 
ei  giace 

70-72  Siede  Petehiera  ee.  Ordioa 
e  intendi  :  Ore  ia  riva  intorno  pie  iV* 
jrme,ci<  è,  e  divenuta  più  bassa,  aia- ft, è 
situati,  l'csi-hiera.bi-lla  e  fiirte  ròcca  da 
far  fnintc  ai  BreswiHUi  etl  ai  Bergamaschi. 

73.  iri  cimtien  ec.  In  aael  loefa, 
l'acqua  cbe  aovrabbuoda  nel  lago  e  dw 
non  può  eaacre  in  eaao  conteoDla,  o'aMO 
e  diventa  un  fiume  chtamatu  il  M'raeia. 

76.  wittte  co,  molte  capo,  eomio- 
cia  a  coirere  Irabrccandu  dal  Iago. 


CAtnO  TBIflBSIHO. 

FiM  t  Gorerno»  dorè  cade  in  Fo.  . 

Kon  moio  ha  cono^  che  trova  una  lama^ 
Nella  qoal  si  disttende  e  la  'mpalada» 
E  suol  dì  stata  lakva  esssr  granuL 

Quindi  peasando  ia  verefine-cnida 
Vide  terra  nei  mezio  del  pantano» 
Sema  roltarave  d'abitami  nuda. 

li,  per  foggìra-ogni  consarno  oprano. 
Ristette  eoi  snoi  servi  a  fiir  eoa  aiti, 
E  viasOy.e  vi  lasciò,  suo  eorpo  vano. 

Gli  nomini  poi,  che 'inlorno  erano  spartì, 
S*  accolsero  a  qnel  luogo,. eh* era  forte 
Per  lO'pantan  cb'  avea  da. tatto  parti: 

Fer  la  città  sovra  qneir  ossa  morte;. 
E  per  coW,  che  il  luogo  prima  elesse^ 
ManUna  1*  appellar  sena-  altra  sorte. 

Già  far  le  genti  sua  dentro  più  spesse. 
Prima  che  la  roattiadi  Casalodi 
Da  Finamente  mganno  ricei'esse. 

Però  t*  a»«nno  che,  se  tn  mai  odi 
Ori[;inar  la  mia  terra  altrimenti. 
La  verità  nella  menxogna  frodi. 
Ed  io:  Maestro,  i  tuoi  ragionamenti 


435: 


so 


86 


90 


05 


100 


t    Gnrmto,  castello  oggi  ddto 

T9.  ItmÈm,  fcMi  ■■■■,  cavità  ii  tcrr^ 
"NowMcCcafwi. 

M.  Il  'wifmiuéa,  o*  fa  m  pacala. 

91  frmmm,  mal  aaaa. 

0.  la  verflac  eruàm  La  tteaaa 
IbM».  cfciaaala  trmdm  i^r  lo  conliaao 
^muffmt  ài  c«<lavrri ,  tcairaarc  aoi- 
«é,  evacara  aaiac  é^V  ioIrrM ,  cba 
>iaMni£caiaa  valeva  per  sapere 


MV  mrU,  cioè  sae  arti  nitfi 


17.  aiM  corfe  vwia,  saa  corpo 
luti*  Mr  aohna,  nt*è  nii»rto. 

W  anmr  mltrm  mrle  E£flra«e  Ir 
«kà.  ^lai  aao  gli  anairhi  trarre  le  torti 
f*«Hva «nelle il  aaait^  «««ara  prc»- 
^'lai^aafilii  aagaria  •  4«llc  laUrriara 
^Orkòie  acciaa  Bei  sacrific],  a  ^  «ola 
^fca(reft•aaallr« 

3.*  la  mmUim  ài  CfaUM,  MmUim 
^  waai  111111  jMssia;  hm  qvi  è 
**^*'>iapià  Biite  di  fciocc/tfsia,  a 


balordaggine. — Di  Casaiodi,  cioè, di 
quri  dm  Cataiitdit  che  è  castello  nel 
BrraeioBo,  da  cui  avea  preso  il  cngooma 
la  famiglia  che  sigaoreg(;iava  allora  io 
llnolMa  II  fatto  a  cui  allade  è  questo: 
riiiaaMMSte  de'  Buonacroaai  da  Maatava 
persuase  naliiiosaineDte  al  eonte  AU 
bcrtw  Casalodi,  signore  di  quella  citte, 
che  doveste  lilegtre  ne' castelli  virioi 
alenai  gentil uoaùni,  i  quali  all' ambi» 
sione  di  fato  Piuamnnte  nettevaoo  ini- 
peilimento.  La  qaslcosa  mandata  ad  ef> 
leltii,  Pinamonte  col  fasore  del  po|K>lo 
tolse  la  signoria  al  coota  Alberto,  e 
patte  de' nobili  oertse,  paria  sbandi; 
per  lo  che  molto  venne  a  sceOMrsi  la 
pop<4arione  della  citte. 

97 .  t  assenna,  ti  avvei  la. 

98.  Orij^taar  ce.  :  cioè,  asaagnara 
diversa  origine  alla  mia  terra  ;  o,  nar- 
rarne diversamente  l'origine. 

9*J.  La  verità  te.  G»tr.:  Milla, 
nrcsona,  menzogna  frodi  la  veriléf 
cioè,  faccia  toito  al  vero;  che  è  qaanto 
dira  :  Boa  sia  da  te  creduta. 


436 


oell^iuferno 


Mi  son  si  certi,  e  prondon  si  mia  Me^ 
Che  gii  altri  mi  sarian  carboni  spenti. 

Ma  dimmi  della  gente  cbe  procede, 
Se  tu  no  vedi  alcun  degno  di  nota; 
Che  solo  a  ciò  la  mia  mente  ri6ede. 

Allor  mi  disse:  Quel,  ohe  dalla  gota 
Porge  la  barba  in  sulle  spalle  brune, 
Fu,  quando  Grecia  fu  di  maschi  vota 

Si,  che  ap|)cna  rimaser  per  le  cune, 
Augure,  e  diede  il  punto  con  Calcanla 
In  Aulide  a  'agliar  la  prima  fune. 

Euripilo  ebbe  nome,  e  cosi  'i  canta 
L*  alta  mia  Tragedia  in  alcun  loco; 
Ben  lo  sai  tu,  che  la  sai  tutta  quanta. 

Queir  altro  che  ne*  fianchi  é  cosi  poco, 
Michele  S(;otto  fu,  che  veramente 
Delle  magiche  frode  seppe  il  giuoco. 

Vedi  Guido  Bonafti,  vedi  Asdento, 

Che  avere  inteso  al  cuoio  ed  allo  spago 
Ora  vorrebbe,  ma  tardi  si  pente. 

Vedi  le  triste  che  lasciaron  i*  ago, 

La  s{)ola  e  *i  fuso,  e  fecersi  indovine; 


i05 


flfO 


iti 


m 


101.  prendon  «i  mia  fede,  oLbli- 
fnno  così  la  mia  crrdenia. 

402.  Che  gli  altri  ec  :  che  ì  Jucorsì 
altmi  in  coalrarìu  sarelibero  por  me 
icn7a  luce,  come  sodo  i  forboni  spealì \ 
cìdc  nulla  potrebbero  kuU' animo  mio. 

-105.  che  procede t  che  va  passando. 

^Oj.  riftede.  Mira  col  pensiero. 
Espreuiooc  metaf . ,  ma  che  b<>n  dipinge 
il  lavoro  della  mente  neW  attenzione. 

407.  Porge,  è  nel  lenio  del  Ialino 
porrigity  atende;  cbe  è  quanto:  ■  cni 
dalla  gola  scende  la  barba  tulle  spalle, 
a  cannone  del  travol(pinvnto. 

108-110.  Fu...  Augure.  Fu  indo- 
ìrinn  ni  tempo  che  la  (irocia  /W  si  di 
mmchi  rota  (Ironcamento  di  votata)^ 
cine  talmente  spo^linta  di  maschi  (per- 
cìocrliè  andaroii  tulli  alla  (guerra  di 
1  mia),  eke  appena  rimaser  per  le  cu- 
ne: che  appena  vi  rimaieio  i  bambini 
in  culla.  —  e  diede  il  punto:  ci<ic.  se- 
gnò il  niiuiiento  favorevole  ■  sciogliere 
U  fare  alla  nave  e  far  vela. 

412-113.  Tragedia,  così  chiama 
1  Eneide,  pei  che  è  Kritla  in  veiYO  eroi- 


co. D'Eoripilo  sì  fa  mconone  nel  lib.  II, 
T.  444. 

415.  che  ne'  fianchi  è  cosi  pce$. 
Spiegano  alcuni  :  che  è  così  amiln»,  av- 
vero che  ha  l'abito  sì  attillato,  perchè 
f*li  Scoizesi,  gì'  Inglesi,  i  Flammii^U ai 
Francesi  usavano  a  quel  tempo  brevi  a 
stretti  vestinifoti.  lu  credo  cbe  Dania, 
piutttvto  che  lu  foggia  dcH'abitodel  ■•> 
go  Michele  Scotto,  abiiia  Toluto  accca 
narc  la  sua  persona  singolarmente  ma» 
gra  e  sottile,  di  cui  è  probabile  dnraaas 
la  fama  nel  pnpulu  anche  ai  suoi  tempi. 

440.  Michele  Scolto.  Fu  iodonna 
ai  tempi  di  Federico  II  imperatore. 

417.  il  giuoeo,  V  arte  azzardoaa  a 
Tana. 

418.  Guido  Bonatti,  indonno  for- 
livese, fu  autore  d'  un  trattato  d'  a<Ur^ 
logia,  e  visse  nel  Xlil  secolo. — Aidem 
te,  ciabaltinti  di  Tarma,  altro  indovino, 
ben  noto  ai  tempi  di  Dante. 

419.  inteso,  applicato,  volto  il  pto» 
siero.  La  Nidnh.  oilefo. 

421.  vedi  le  triste,  le  adanrate  fem- 
mine. 


437 


CAinO  TBNTBSIIIO. 

Feoer  malìe  con  erbe  e  con  imago. 
Ma  Vienne  ornai,  che  già  tiene  '1  confine 

D*  ambedue  gli  emisperì,  e  tocca  l' onda  i25 

Sotto  Sibilla  Caino  e  le  spine. 
E  già  ieraotte  fa  la  luna  tonda: 

Ben  ten  dee  ricordar,  che  non  ti  nocque 

Alcuna  volta  per  la  selva  fènda. 
Si  mi  parlava,  ed  andavamo  introcque.  iZQ 

425.  CM  «rè«  «e.  Le  maglM  nell*  plenilamo.  Alla  Bne  èé  Canto  XI  tc- 
hnnKt,  •  iataBtcwM,  facevaM  «ao  demmo  aecanDauraaroradel  giorno  ap- 
(nrakre  Maa  di  aatnlli  d*  arbc  •  dlu-  *  premo.  Dieendod  ora  che  la  Lona  (panta 
■ifiaìdi  «ra.  al  eonftne  occidentale  dell' emitfero  di 

424-127.  Mnw  il  een/lae  §e.  Goatr.  Boom  era  per  tafTani  neir  oceano  al  di 
€iÌM  t  li  jftNc,  cioè  la  Lnna  (fecondo  Ik  di  Siviflia|  ed  emeodo  qnealo  il  te- 
li vdfvccpuiiooe  die  ■ella  Lana,  per-  condo  tramonto  dopo  il  ano  pieno,  il 
<^  W  ne  auecbie  sembrano  delincare  pnnto  con  ciò  indicato  è  un'  ora  circa  di 
fm  m  Tolto  amano,  alia  Caino  con  Sole  del  aecondo  giorno  dopo  il  pleni- 
^  f"^  ^*  ^■B'jf  licna  il  confine     lanio,  emendo  noto  ^e  il  ritorno  della 

lana  al  meridiano  è  ritardato  ogni  giorno 
di  48  minuti  e  46  secondi. 

428.  ehè  non  ti  noeque:  cioè,  che 
tj  gìoTÒ  rischiarandoti  la  iria .  Corrispon- 
derebbe al  noatro  modo  familiare  :  Non 
li  fece  male. 

429.  Alcuna  tolta,  di  tratto' in 
tratto.  —  la  §$lta  fonda^  profonda, 
folla,  in  cai  s' era  smarrito. 

430.  ifllrocfue:  voce  fiorentina  an- 
tiq.,  dal  lat.  iakr  ko€,  Tale  frat- 
UuUo. 


4 mMae  gli  £misferì,  e  torca  Fonda 
•••mi  sotto  Siviglia  di  Spagna.  In 
1M«  Uogo  è  indicata  V  ora  che  cor- 
"*<  per  r  Italia,  e  ap4*cialmcnte  ncl- 
fainsatc  di  Roma.  Ei a  F  Eqainotio 
f  frmiTcra  col  Sole  in  Ariete  e  la  Lona 
a  LiWa.  Qaci4a  iamibile  ora  ai  dna 
f*rti  era  st«ta  tonda ,  piena ,  la  notte 
àt  Onit  erro  prr  la  selva,  e  allora  si 
lineai  Irsnontare  del  sole.  Il  viaggio 
pv  rialerao  c(«nincii  tramunlato  il 
^cbcèfaaatodire  24  ore  dupo  il 


CJkXTO   TEMTESmOPRIHIO. 

«  ttUirt  émun  Im  fttt  i  èarmititri,  fmtUi  tkt  f«mr  trmS^f  à*% 

,  •  c*r  wmmétroim  It  frmtU  «  fTMlvfVMi  Imlpottm  éti  Stfmoet  tffrum 

Jl^tfCM  pmttumimrmtmtt  si  mgtomm  im  fmssto  CmmH.  FmMm  mttorm» 

di  mmtimt,  atrtmufUMud»  §matmm^us  t'mrrt»eh$  me  m$tir  fmor  étUm  f^ 

I»  4Smslv  ^m  ^mMtOtirm  tutekett;  eomt  t^irgtltm  ti  tMptutt  émi  àUwM  ekt  gti 

)  em  Imm  f^^  t  t  cbmc,  ■•«  pattmd»  i  Poitt  eomtimmmn  il  tsmmumo  p0r  to  «e*- 

rmrm  tmltm  mM«  èotg**,  t€ùfUti  ém  éuei  éiavott,  prtmt/mm  Im  9ia 

FmMn  tmaftim,  ekt  il  mmggior  dimwolc  mmitttmdm 


Cosi  di  ponte  in  ponte,  altro  parlando 
Che  la  mia  Commedia  cantar  non  cura, 
Venimmo,  e  tene\'amo  *1  colmo,  quando 

Ristemmo  per  veder  T  altra  fessura 

Di  Malebolge,  e  gli  altri  pianti  vani;  5 

M  a  fonie  im  ponte.,,  rraim-    tomo  'l  eolmo,  tà  araTamo  sai  panlo 
^"  F— ■■uio  Jal  peate  della  qaarta     più  alto  dell'  arco  «jitinio. 
''-  r<  t^acllo  della  paiola.  —  e  tene-  4.  fessura,  qui  sta  per  foita. 


138 


DELL'  IlfFERIfO 


E  vidìla  mirabilinente  oscora. 

Quale  neir  Arzanà  de'  ¥ìniziani 
Bólle  r  inverno  la  tenace  pece 
A  rìmpalmar  li  legni  lor  non  sani, 

Che  navicar  non  ponno,  e  *n  quella  vece 
Chi  fa  soo  legno  nuovo,  e  chi  ristoppa 
Le  coste  a  quel  che  più  viaggi  fece; 

Chi  ribatte  da  proda,  e  chi  da  poppa; 
Altri  fa  remi,  ed  altri  volge  sarte; 
Chi  terzomolo  ed  artimon  rinloppa. 

Tal,  non  per  fuoco,  ma  {)er  divin'arte 
BoUia  laggiù^  una  pegola  spossa, 
Che  inviscava  la  ri()a  d*  ogni  f)arte. 

r  vedea  lei,  ma  non  vedeva  in  essa 
Ma  che  le  bolle  che  U  boiler  levava, 
E  gonfiar  tulta,  e  riseder  compressa. 

Mentr*  io  laggiù  fidamente  mirava , 

Lo  Duca  mio  dicendo:  Guarda,  guarda 
Mi  trasse  a  sé  del  loco  dov*  io  stava. 

Allor  mi  volsi  come  l' uom  cui  tarda 
Di  veder  quel  che  gli  convien  fuggire, 
E  cui  paura  subita  sgagliarda, 

Che  per  veder  non  indu.^ia  M  f)artire: 
E  vidi  dietro  a  noi  un  dìa\ol  nero 
Correndo  su  |K?r  lo  s<*oglio  venire. 

Ahi  quanto  egli  era  neirasfietto  fiero! 
E  quanto  mi  paiea  neirutto  acerbo, 


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30 


7.  neU'Arxanà.  Ali'oni  cre<1ono  che 
Arsene,  fatto  dalla  parnla  vfiir7Ìana 
nrzeni  p«r  argini,  sia  lo  ttcsAi*  ihr  ar- 
ginato, e  tìgnibrbi  oii  liiogu  rintoil-ar- 
gini  destinalo  alla  fabbnraiionf  delle 
navi.  Pensano  altri,  e  credo  con  nii|;lior 
r«|poQe,  che  la  parola  Artenà^  e  vene- 
zi.ìnamente  Arzand,  derivi  dal  latino 
Ari,  ed  equivalga  alpHltra  più  citmune 
e  meglio  inU-sa  ili  darfena. 

9  a  rimpaimar,  di'slinata  ■  rim- 
peciare  le  navi  malronre 

(0  'n  quella  rect,  cioè,  invece  di 
navigare,  o  prolillandodi  i|uel  tempo  in 
cui  non  li  può  navigare. 

14.  volge  sarte,  attortiglia  le  eor- 
de f  doè  la  canapo  di  che  ai  fanno  le 
corde. 

\y  tenerw)loee.:  il  teneraolo  è 


la  minor  vela  d«'l1a  nave  :  I'  artimaM  è 
la  maggiore: — rintuppa,  mette  lopft, 
rappezza. 

1 0  Videa  Ifi,  cioè  vedm  lo  poct. 

20-21  Jlnr^eee.:senoncb«{Vefi 
Canto  IV,  V.  2(i)  S<'or;;eTa  solannile 
le  bolle  che  il  bollwre  interno  levirt 
sulla  ftU|iet-ficie  del  piceo  lago ,  e  wedm 
Il  pore  Inlla  giMifiare,  e  olio  Koppìar 
delle  bolle  rìiiv%allarsi. 

23    Guarda,  guardati. 

2r>.  CUI  tarda,  a  cui  par  miiraaoi, 
o,  che  desidera  ardentemente. 

27  igagtiarda,  toglie  la  gaglìor- 
dia,  il  coraggio. 

28.  Che  per  veder  ee.  Il  quale  wb» 
L«*ne  guardi,  non  indugia  però  nnntoa 
partire.  È  espresso  il  fare  di  coi  teme 
assalto, che  guarda  e  fugge. 


I 


CASTO   VENTESIMO  PRIMO. 

Con  l'ale  aperte,  e  sovra  i  pi^  leggiero! 

L'omero  suo,  ch'era  aceto  e  sujjerbo, 
Carcera  no  percator  con  ambo  T  anche, 
Ed  ei  lenea  de'  pie  ghermilo  il  nerbo. 

Del  Do^ilro  ponte  disse;  a  Malebranche, 
Eco]  mi  dej^li  anzian  di  Santa  Zita;  (■) 
Heltetel  solla,  eh'  io  lornu  per  anche 

A  qnella  terra  che  n'è  ben  tbroitu; 

Ogni  uom  v'é  barattìer,  fuor  che  Bunlaro: 
Del  no,  per  li  denar,  vi  sì  fa  ila. 

Ljggiìi  'I  buttò,  e  per  lo  scoglio  duro 
Si  volse,  e  mai  non  fu  martino  scìollo 
Con  lanla  fretta  a  seguitar  lo  furo. 

Quei  s'attuflo,  e  lornò  sa  convolto; 

Ma  ì  demon,  che  del  [lonte  avean  covcrchio, 
Gridar:  Qui  non  ha  luc^o  il  santo  volto; 

S   L'omtTo  Ma  te.  Cmlr. 
t*.    famiTO   dtl' dcmimio 


ek'  tra  aralu  i  nptrbo.  il  qua!  xmira 

tnro  ta  il  pcuin»  Aà  liarillicrì  lurih*- 

m  «ppuDiUu  <  lite.  L.  T«.  i.p.rte 

d.draai  poi  la  •■■  pam  atl  I3N. 
42  Oli  ».  pn-fa-dnar.  vili  /b 

tu.l.<,.in,Urn»,cb<.l.at.]..n.ìl 

ri»  ..1.  ti.  [K»nd«i  *,1u<.qua  cba  ■ 

»o  aab>  It  tBKf.  mal  liirrtlif  il  fi- 

LiKU  prr  d»un  ai  far*.,  ita  dal  u, 
<i  monli  la  nidi  tada  di  alitila  Hale 

nr»nu  p»  d<>...n  ad.llaL(ill.l», 

37   Drt  mnitm  ponlf.  h  il»»  cbe 

.J  «llPran  le  HHllura  re 

ial  «nfro  pimlt.  Il  di«nli>cli<  ira  dic 

«    Ca{ni<i'l»all««c.li>ln'1i:il 

ira  •>  iIbc  l-o-h.  •  ihr  icnioa  n  pv  lo 

d.moiiii'  builii  lanini  il  pHcitore,  ■  w 

s'^.Sié-i'ixJr 

.«Ur  p«i  indirlr..  «. 

43  r<-l<inta/Wltaai>irttUarM^ 

E  ra.i  K.»11<>  canr  1,.  r.v  Unii  rrrltl,i 

cbi.iM<Ì  parOrolinntDlt  i  diateli  n- 

o  .*  fu  c>Hi  Trlnvad  inarBuir*  (a/'nnyi 

•Icali  S  ^nl*  Mpa.  ptr  i  intB  di  ori 

il  ladro,  inani-  t.i  il  di.%..l..a.l  tnaatU 

a  prriKU'ni  in  L>i«*yn(tln>bariUinii, 

FotnU*  il  1FIM  )c|g«n>  tneo  ili>.na- 

46    e*«.  fi«*ilp«fa(«r«.  — «», 

■BfiUc ,  cnHccfai  le  parslc  (M  witni 

nillo,  ci.ni|.ir||(l<>  JD  irr<>  cDlUachinw 

ili  III  r  r"lr,i|.»pni'irifJ'  '0  gi"-       ^ 

ponto  tovrro  M  di»»l«i  t  .'i..l.'aJ>. 

rrWw    ùUat'iTMcKi.iet^iielnottro 

JT    «!•  id^m:-,  K    M.  i  dnntril 

pruto  te.,  fi«.,  niu  dal  "«To  1.1.1.1. 

»  qixli  L'ra  «jiimfiw  l'I  ponti.  (iolQ 

3«   dfyii  Qntlan  di  Sanli  Zila: 

m,..V..............„ilj«,nli..                 3 

48    Qii.-«iikB6waii*e.(HiÌMl 

i<\ìtàtlt  di  Uirci,  che  bi  prnna  aro- 

loirìn  Sani.  Z<i* 

^..ril»  «brrn»  dri  dia.oli  Hi»  il  hOÈ 

n  Ranltiari 

3lMe   et'  ÌB  tona  prr  atithi  u. 

(h.ar  riguard*  l'altcggitmulg  nr!  qndjir 

r«.nd.:i<>lt.m..i»,^r.!,a'.ll,a.»ll. 

.„1i   r^..™,,.  .  Balla  «II.  pr«l.-, 

Qui  si  nuoU  allrimenli  che  nel  Sercliio; 
Però,  se  tu  non  vuoi  de'  noslri  graffi, 
Non  far  sovra  la  pegola  sovenrhio. 

Poi  l'addenlar  con  più  di  cento  raIS, 
Disscr.  Co^c1Io  convìen  che  qui  balli, 
Si  che,  se  puoi,  nascosamenie  accafG- 

Non  altrimenti  i  cuochi  a"  lor  vas^li 
Fanno  allulTare  in  meKKO  la  caldaia 
La  carne  cogli  uncin,  perchè  non  galli. 

Lo  buon  Mae.'lnj:  Acciocché  non  si  paia 
Che  tu  ci  sii,  mi  disse,  giù  t'acquatta 
Dopo  uno  scheggio,  eh'  alcun  schermo  t' aia; 

E  per  nulla  offension  eh' a  me  sia  fatta. 
Non  temer  tu,  eh'  i'  ho  le  cose  conte. 
Perché  altra  volta  fui  a  lai  baraUa. 

Poscia  passò  di  la  dal  co  del  ponte, 
£  com'ei  giunse  io  sulla  ripa  sesta, 
Slcslìer  gli  fu  d' aver  sicura  fronte. 

Con  quel  furore  e  con  quella  tempe-^la 
Ch'escono  i  cani  udilosM  al  poverello, 
Che  di  subilo  chiede  ove  s' arresta, 

U^iron  quei  di  sotto  il  ponticello, 
E  volser  conira  lui  lutti  i  roncigli: 
Ma  ei  grillò:  Nessun  di  voi  sia  folk). 

Innnnii  che  l'uncin  vostro  mi  pigli, 

Traggasi  avanti  I'  un  di  voi  che  m' oda. 


E  poi  di  ronciglia 

40,  Sirdtlo,  GunM  eha  piiw  omo 
■ool  d4l1e  muri  ì]  Lurci. 

90  iclunontiuiidi'iuiilrigralfi, 


i  consigli. 
Gn,  Dopa  uno  leiffs*^,  J 
njlie.  ch'alena  irVnnO  t 


62.  mntf ,  cognili. 


HI .  jVoii  far  «wereMo  M ,  Iti     . 

52.  Poi  raJdnb/Polchri'iiltl  ri")  t^ntrMto  ^i  JkkoIì, rìrki 
l«r«  iilAialala  ec  Le  lucì  piil,  dnpo.  cHi:  quelli  ià  tardtlitrl  i  gai 
apprtUo,  tUDBo  tgiCHn  p»r       '  " 

4.p«M«e.  — rafjll.-il  "tB» 


immli  actagl. 


et.  dai  to,  dil  capa. 
ce.  J'acir  linra  /Vwnl^  l'i 
oniiin,  d'cHCrc  impprlfnita. 
GtP.  Clu  di  KltUii  cititdt  «*■  f 


Si.  «usili,  qlli  t  mI  ti 

nia  ril  iMorMnaU. 

ST-  non  stili,   non  teiigi 


iu>dt'tiiiì,(li>iiiii  ch'«tau  Vma 
»netB  domtnJi  iru'  iltn  l'«t»««« 

72    ^H«,  ioinBO,  .nulli. 

73.  II  «maiali,  u  dcttrmìdi. 


CAKTO  TENTESIMOPRIMO.  4it 

Tatti  grìdaron:  Yada  Malacoda; 

Per  che  un  si  mosse,  e  gli  altri  stetter  fermi; 

E  venne  a  lai  dicendo:  Che  ti  approda? 
Credi  tn,  Malacoda,  qui  vedermi 

Esser  venuto,  disse  '1  mio  Maestro,  80 

Secnro  già  da  tutti  i  vostn  schermi, 
Senza  voler  divino  e  fato  destrot. 

Lasciami  andar,  che  nel  ciel#  è  vobito 

eh'  io  mostri  altrui  questo  cammin  silvestre. 
Allor  gli  fo  r  orgoglio  si  caduto,  86 

Che  si  lasciò  cascar  V  uncino  ai  piedi, 

E  disse  agli  altri;  Omai  non  sia  feruto. 
E 1  Duca  mio  a  me:  0  tu,  che  siedi 

Tra  gli  scheggion  del  ponte  quatto  quatto, 

Sicoramente  omai  a  me  ti  ri^i.  90 

P^  ch'io  mi  mossi,  ed  a  lui  venni  ratto; 

E  i  diavoli  si  fecer  tutti  avanti, 
ì  Sì  eh'  io  temetti  non  tenesser  patto. 

!  E  cosi  vid*  io  già  temer  gli  fanti 

Ch'  uscivan  patteggiati  di  Caprona,  95 

▼figgendo  sé  tra  nemici  cotanti. 
Io  m' accostai  con  tutta  la  persona 

Lungo  *l  mio  Duca,  e  non  torceva  gli  occhi 

Dalla  sembianza  lor,  ch*era  non  buona. 
Ei  chinaran  gli  raflì,  e,  Vuoi  eh'  io  M  tocchi  loo 

(Diceva  l'un  con  T altro)  in  sul  groppone? 

E  rìspondean:  Si,  fa  che  gliele  accocchi. 

71.  Ch§  UffTodaf  cht  ti  fa  egli  di  Tosrana  Io  aTcan  loro  tolto  Balla 

^•MBa ?  dka  tboì  7  ot vero,  miai  ca|{io-  gvcrra  che  essi  facevano  contro  Rita  co- 

li iapyraaia  a  pacato  l^ofo ?  La  Crii-  ma  capo  dai  Gbibi'lliiii.  Ma  aweodo  |>oi 

m  taceva  CAc9licf>pro(/a7  Eio  ul  ttalo  aaie«IÌNio  con  forta  caercito  dai 

laa  ^«raWr  parola  le  dirrbba  il  diavolo  Pisani  guidati  d«l  conte  Gaìdo  da  Mon- 

fea  ai  «rir  aodara  a  Virgilio,  inteo<lan-  teleltro  nel  1 200,  i  Lue*  beai  rba  ri  arano 

ia:  a  cba  gli  |*iova  qaeat"  abbiiccanea»  a  guardia,  axlrclli  prim-ipalmeota  dalla 

li?ad  ogM  Bado  IMO  la  acanparà.  a  maocaoia  d'acqua,  ai  arrenderono  salvo 

BCaato  aqpM  la  Crocea.  le  parsone.  Fan»no  perciò  fatti  uscirà 

SI  ■  «rAarusi,  propriamente  vale  tf{-  a  rimandati  ai  confini  ;  ma  mentre  pat- 

f^fll;  aa  ^m  per  ntroMune  è  usato  a  aavano  tra  le  fili*  dei  nemici,  si  comìn* 


■I  aiicare  mféoawomi^  imntiimtjuti,  ciò  da  queati  a  gridkre  mppiccm  appic 

^mrésmào  a  quelli  che  ebbe  da  altri  co,  per  lo  che  ifuet  poveri  Lucchesi  eb- 

foC  Bel  sa*  viag^o.  bere  la  più  gran  paura  del  mondo.  Diinta 

tS.  tfasfr».  aecoode,  favorevole.  ai  trovò  a  questo  fatto.  —  putteggiati , 

SS.  aMi  Imeaaar  9«llo»  bob  «Mer*  faUo  patto  di  sicurtà, 
^■■ro  la  lede  data.  OS.  Lungo,  presso,  rasente. 

94  M.ffen#lrM'<of{d#eCaproaa  \02.  gliele  aecoeeki,  glielo  aitar- 

h|iirastclU  dei  Pimbì  in  nva  d'  4r  chi,  cioè  il  raflio:  aceoceart  si|*niGca 

M-lLaccbca  collegati  eogli  altri  GucIS  propnamcutc  aggiukliire  la  coida  dcV- 


1i2 


DELL  LXTERPrO 


Ma  quel  demonio  che  tenca  sermone 
Col  Duca  mio,  si  volse  tutto  pr('^to 
E  disse:  Posa,  po:^,  Scarmiglione. 

Poi  disse  a  noi:  Più  oltre  andar  per  qac:»to 
Scoglio  non  si  potrà,  perorcliè  giace 
Tutto  spezzato  al  fondo  Parco  sesto: 

E  se  r  andare  avanti  pur  vi  piace, 
Andate9tne  su  [ler  questa  grotta; 
Presso  è  un  altro  scoglio  che  via  foce. 

ler,  più  oltre  cinqu'ore  che  que  Totta, 
Mille  dugento  con  sessanta  sei 
Anni  com[)ìér,  che  qui  la  via  fa  rotta. 

Io  mando  \erso  là  di  que>ti  miei 

A  rii^ardar  s*  alcun  se  ne  sciorina: 
Gite  con  lor,  eh*  e*  non  saranno  rei. 

Tratti  avanti,  Atichino  e  Catoabrina, 
Cominciò  egli  a  dire,  e  tu,  Cagnazzo: 


l'arco  alla  cocca.  (rItWf  ìnvarìabitmente 
per  tutti  i  generi  e  aumerì,  invcoa  di 
ylieln^  gliela,  glirli. 

IOr>.  Pina,  flH  l>iiono. 

108.  Tutto  ipezzato  al  fondo  te. 
Il  tesili  punte  giace  tutto  rvttv  nella  bol- 
gia uve  cadilo. 

I  IO.  grotta  (|ai  va  inteso  per  ar-- 
gine. 

IH.  Pretto  è  «n  tUiro  trnglio  te. 
Nel  Canto  Wlll  apparirà  eMiero  kpez- 
zati  tutti  i  plinti  interheeaiiti  i|iit*Hti<  doI- 
gia  Qat^sta  iluimne  è  uhm  biif*ia  ili  Mala- 
coda  Ei|uesti  diaboli  della  più  bH|*iarda 
razra  stan  ni««lto  benf  tra  i  liai-attteri. 

1 12.  /«r,  più  iiltre  nnqu  ort  ee. 
Ceco  qai  indìeati»  ihiaraiiieiili'  1'  Bniiu. 
il  giuron  e  l' wra  rfirreiite  i|UMiidit  i  |*«H*ti 
si  trovavano  in  ijui-hta  i|niiita  bulgia. 
Pmneltii  eli«*  Oeuu  Hristu  fu  urciau  nel 
pleniluniu  dopo  1*  rt|uinii/iii  di  pruiiHte- 
ra.  ehe  lecoiidu  l'ii|iiiiione  di  \arj  Pa- 
dna\« enne  allora  il  2r»diiii.ir7ii,|;iiirni» 
in  mi  fu  r«ineepitii  ;  I  ///  mim  kul. 
aprilit  (dice  S.  Ag«ihtinM,  |ik  \\  lìe 
Trin  )  eimreptuM  rrrditur  ifuo  rt  pap- 
ina;  ma  gli  annivn-sarj  della  di  lui 
morte  si  nuupiitaiio  nuii  dal  giurno  del 
mete  in  eui  prupriHiiiente  avvenne,  ma 
dal  stiprailili-lto  plenilunio,  «lie  «uid  va- 
riare ogni  aiiiKi  Ora  dieeiid»  il  diavulo 
che  Del  preenleule  g  ornO|  rfae  era  slato 


il  plenilunio,  ti  erano  compiti  126   an  *■ 
da  cbf  quella  via  fa  rolla,  e  «olenaJ' 
cos'i  arcenuare  il  Iraun-tu  avvenuto  al*' 
morie  del  Redentore,  e  chiaro  rke   ^' 
ai  1206  anni  si  ag;,niin,7ann  I  31  rbe    V« 
Iradi/iunr  ci  dire  esser  trasroraidai/'l^' 
eamazwne  di   lui  alla   morie ,  ai  b' 
il  ir>00  nel   pjeniluniu  di  mano,  ae^ 
bene  in  quell  anno  questi*  eadesafe  il   S 
aprile,  giuinii  di  dimniiira,  e  la  OhicM 
celebrasse  la  paH*|na  la  iloinmicn  doptf- 

gnaulo  pui  alPnra,  ell'e  preriamwO' 
le  la  i|uaiia  ura  del  |pi>nio  dupa  il  jpk- 
niluniii  (le  IO  circa  del  iiiatliiM  mmft 
aninnyiii),  a  eni  ag|pnM|teiidoria^aarff. 
SI  ha  Tura  nona  (Ir  tn*  pi<iiieri4.|,  étn 
la  ipiale  (ìesu  llmto  muri,  rd  avvtmr 
il  treiuulii:  il  quale  più  partictilanMal' 
si  ferehenlii^  tirila  M-gueiite  bolgia  dsft 
s««no  puniti  gl'ipcicnti.  ii^rrhè  per  U 
loro  in\idia  fu  uenso  il  nglino!  m  iNa 

115.  di  qurtti  miei,  cioè  Ji  qwfti 
diaviili  a  me  M>|*gelli. 

M(>.  tene srinrina. Sciiirimmrt 4* 
gnifiea  proprianienir  «piegare  uiraria 
alcuna  ^itbt.  Qui ,  u^ato  intransìCi\a- 
menttf.  o  a  mudo  riOcMiivo,  tignifir» 
utrir  funri  all'aria;  vale  daiMse.  v 
alcuiiii,  per  priHurarai  snllievu  lUl  Ih'I- 
lore,  si  iiimtra  fuori  della  pegola. 

1 17  rei,  noe  molesti  •  voi. 

1 18  tratti y  traiti,  \ieni. 


CANTO  ▼BNTBSIMOPRIMO.  143 

E  Barbarìcda -giudi  ia^lfidna.  tso 

Libioocco  vegna  oltre,  eDragbìgnazzo, 

Cirìatto  sanirato,  e  GrafTiacane, 

E  Farlarello»  e  Robiceete  pazzo. 
Cercate  intomo  le  bollenti  pane; 

Costor  sien  «alvi  insino  ali*  altro  acfaeggiOy  125 

Che  tutto  intero  va  siopra  le  tane. 
Ornò!  Macìstro,  che  è  quei  cheio  veggio? 

■Di»*  io:  dehl  senza  scorta  andiamd  soli, 

Se  ta  sa*  ir,  eh*  io  per  me  non  la  cbeggio. 
Se  tu  se'  si  accorto  come  «noli,  130 

Non  vedi  to  ch*ei  dìgrignan  li  denti, 

E  colle  cigliarne  minaccian  dadi? 
Ed  egli  a  me:  Non  vo'che  la 'paventi: 

Lasciali  digrignar  pare  a  lor  senno, 

Ch*ei  fiinno  ciò  per  li  lessi  dolenti.  i35 

Per  1*  argine  sinistro  volta  dienno; 

Ma  prima  avea  ciascun  la  lingua  stretta 

Co*  denti  verso  lor  duca  per  cenno; 
Ed  egli  avea  del  cai  Tatto  trombetta. 

120.  la  deeinm,  i  òìmà  deBooj  q«i  fnif<.  Così  rbpMida  Virgilio  per  ((iiio- 
OMriiMti.  lare  la  jMara  di  Dante.  La  Ics.  lessi  è 

121.  pant.  Coti  chiama  quella  b«l-  da'm^kiHri  Cotlià,  ani  ci  pare  più  prò- 
leota  pece  per  CMere  mcoa^  ;  pane,  in-  prietà  che  nell'altra  per  li  leti  dolenti, 
f«ee  ii  pmth,  tolto  V  i.  Vedi  Canto  IV,  ehe  esprìme  un'idea  tatù  generìea  e  iu- 
f.  127.  certa  ;  mentri*  Uegi  ri  presenta  la  vera 

I2S^IS6.  huino  mlPaitro  eekeg-  natura  del  snnpii/io  Del  resto,  quando 

f<0  m.,  eiaè,  iasina  all'  altra  catena  di  nel  Canti»  Xll  abbiamo  accettato  senza 

Mali,  la  qMle  attraverM  totta  intera  difficoltà  Ove  i  btMili  faeean  clfetfri- 

Ufcwlf  ttol— e).  Ma  anche  qui  Mala-  da,  è  una  svenevole  delicatezza  torcere 

wméa  è  bàfiard*  ;  aè  si  può  perciò  ere-  il  muso  qui  alla  medesima  immagÌDe  dei 

4ar  aiacera  la  s«a  raecomantlazifma.  —  letti. 


Si  «eli  rea  qaanta  pri«rirtè  eoo  ehìa-  137  Jfa  prima  ee.  I  denooj  aTTi- 

«alc  IMM, cioè eoH/i  di /fere,  le  bolge  tendo  che  Virgilio  a\etae  dato  quella 

ava  ai  puoiace  la  matta  betlialitate !  risposta  non  per  far  coraggio  a  Dante, 

VadE  il  Caato  XI.  ma  perchè  bonariamente  coa\  ercdcs- 

188.  Se  tn  ta'  ir  ee.  Intendi  :  ae  tu,  se ,  strioMoo  le  lingue  condenti  verso 

eama  altra  volta  mi  dicesti,  sai  il  cain-  Barbarìma ,  per  fargli  cenno  con  qoe- 

■ioa.    Vedi   Canto  IX.  —  ekeggio ,  at'  atto  bcffurdo  e  proprio  della  can»- 

cUada.  glia,  quanto  egli  fosse  semplice,  e  come 

152.  eollf  viglia,  noè  eoa  lo  sgaar-  presto  presto  gHel  avrt- bber  fatto  vederi'. 

^  bieco:  ovvero  facendnei  tra  loro  co-  159.  arra  del  eui  fatto  trtmhetta. 

i  arcU  dei  cenni  maligni.  Suono  «eraoicnte degno  d*accompi«gnare 

199.  ei  fèrnno  riè  per  li  letti  do-  la  marcia  di  squadri  si  fulU  ! 


CAISTO   TKMTESOIOSECOin»». 


r  vidi  già  ravalier  mover  campo, 

E  cominciare  stormo,  e  far  lor  mostra, 
B  lalvo'la  partir  per  loro  scampo: 

Corriitor  vidi  per  la  terra  vosira, 
0  Aretini,  e  vidi  gir  |,'ualdane, 
Ferir  torneamenli,  e  correr  giostra. 

Quando  con  trombe  e  quando  con  campane 
Con  tamburi  e  con  cenni  di  castella, 
E  eoa  co^  nostrali  e  con  islrane: 

Né  già  con  si  diversa  ceunamella 
Cavalier  vidi  mover,  né  pedoni; 
Né  nave  a  segno  di  terra  o  di  stella. 

Noi  andavam  con  li  dìetii  dimonì: 

Ahi  Sera  compagnia!  ma  nella  chiesa 
Cd' santi,  ed  in  taverna  cu' ghiottoni. 

Pure  alla  pegole  era  la  mia  inle^. 


1. 

««,r  «.»/», 

mclI.T 

ci»  pei 

■  .(uol^bc  [..lune 

"T 

monli. 

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S. 

e  laitolta  poi  ì 

lir«.: 

rinli 

rilìr.1.. 
C»rr«m-,  cdlpi 

roche 

nrh' 

rvrrrrla  i   l< 

mtme  p«r  il  puh  d 

•'T 

■..T,B,lo.- 

0  Antini.  Noi 

•iÌdo  q 

aJo  gli  «I 


I*  potili  in  un  cuicllo  di  Ufo»,  4  >1 


lorbì  ediipi'ltuoll 


ri;  m.i^ 

«HMOuflB  è  aw 

IloHill-ir- 

■  G4IO. 

ti  aiegwidii 

EDO  a  l..r.  dx'  .i 

.l..t.,  1. 

eha  >ì  niulri  in  cìet 

xl  Iwrcno 

U   ma  mila  ci 

,.pi,ri.r. 

eh.  .M,».n»,  ci»  V 

Hpn,i,:n..ll'1nfr™ 

CANTO  ▼ElfTESUICMBCONDO.  4IS 

Fer  veder  della  bolgia  ogni  contegno, 
E  della  gente  eh'  entro  v*  era  incesa. 

Come  i  delfini y  quando  fiinno  segno 

Ai  marinar  con  1* arco  della  schiena,  ii 

Che  8* argomentin  di  campar  lor  legno; 

Talor  così  ad  alleggiar  la  pena 

Mostrava  aknn  dei  peccatori  il  dosso, 
E  nascondeva  in  men  che  non  balena. 

E  come  all'  orlo  dell'  acqua  d' nn  fosso  » 

Stan  K  ranocchi  por  col  muso  fuori, 
Si  che  celano  i  piedi  e  l' altro  grosso; 

Sì  stavan  d' ogni  parte  i  peccatori: 
Ma  come  s' appressava  Barbariccia, 
Cosi  si  ritraean  sotto  i  boL'orì.  30 

Io  vidi,  ed  anche  il  cuor  mi  s' aocaprìccia. 
Uno  aspettar  cosi,  oom'  egli  incontra 
Ch'  nna  rana  rimane,  e  l' altra  spiccia. 

E  Graflfiacan,  che  gli  era  più  di  centra, 

Gli  arroncigliò  le  impegolate  chiome,  » 

E  trasf^el  sa,  che  mi  parve  una  lontra. 

Io  sapea  già  di  tutti  quanti  il  nome. 
Sì  li  notai,  quando  furon  eletti, 
E  poi  che  si  chiamare,  attesi  come. 

0  Rubicante,  fa  che  tu  li  metti  40 

Gii  unghioni  addosso  sì  che  tu  lo  scuoi: 
Gridavan  tutti  insieme  i  maledetti. 

17.  flwiifiiii,  ^Mfitk.  condiiioM.  riamarti  foor  Mia  peca  aU^appratsani 

It.  immm,  acccaa,  «nMÌata.  Qai  lia'iiiavoli,  coma  agli  avviaaa  talfolta 

■ièiiaA»prrio«MgliaMa<l*alTalto,  cba  Tedrti  una  raoa  rìmanar  faar  dal 

•Maia  fi  ètUiim,  hm  avrà  diciaiBo:  paolaiK»,  innitra  per  qoalcha  eagiooe  n 

kwtitni  eaH*  aai|U  kalieata.  ti  tatrano  le  altra. — ipieeia,  aalU  tonai. 

21.  t^mf^tnimUm,  ù  ÌB|ffiiìao,  Spieeimn  diceai   proprìamanla  della 

'ift.  —  ài  tmmpmr:  di  saivara  tfaggire  daMiqaorì  per  le  apertara  dal 

Mia  IrfliMala ,  della   qoala  fato  dia  li  rootieiie.  Qai  par  nataf.  è 

•  daltai  Mllaada  aopra  wato  a  •igoiScare  il  ratto  faggir  dalla 


m 


34.  E  mmuomde^m,  btendi  9U9  55.  Gii  mrroneigUò,  gli  aggrappa 

aeir  uncino. 

pmr  €9Ì  ■«••  A>pi^f  f"«n  ^^  M.  lomlrm,  k  m»  aoioMla  ^«adr«p» 

QMrta  tiaHiitadiaa  a  da  anlibio,  di  a«4or  qaati  aaro. 

di  MM  evideva,  a  di  5a-59.  Si  li  notai  m:  parcM  a  li 

parafila.  solai  linleédi  i  diavoli  alani  a  la  igara 

27.  fmUrù§Tmm,  l'altra  tara  graa-  d'ognan  di  loro)  onaodo  faroaa  alaUi^ 

a,  cioè  la  parta  pia  gì  naia  dal  corpo,  a  poiché  faroa  chianiati,  Mai  oiaata  al 

90.  CmI.  laato. -•«olla  i  MImrU  coom,  cioa  al  ooom  eoa  eoa ciatcano  ■ 

U  arca  bollcala.  chianava. 

3£-35.  t'M  t^tUMT  fc.  Vidi  «sa  41.  uuoi,  Korlicki . 


446 


Ed  io:  Maestro  mìo,  fh,  s»  tu  puoi. 
Che  ta  sappi  obi  è  Io  sciagurato 
Venuto  a  man  degli  arfermrì  sooi. 

Lo  Duca  mio  gli  e'  accostò  allato, 

Domandollo  ond'  ei  fowe,  e  quei  rispose: 
r  fui  del  Regno  di  Na varrà  nato. 

Mia  madre  a  seno  d*  un  signor  mi  pose, 
Cbè  m*  avea  generato  d' un  ribaldo 
Distru^gitur  di  sé  e  di  sue  cose. 

Poi  fui  famiglia  del  buon  re  Tebaldo: 
Quivi  mi  misi  a  far  baratteria, 
Di  che  rendo  ragione  in  questo  caldo. 

E  Ciriatto,  a  cui  di  bocca  uscia 

D*  ogni  parie  una  sauna  come  a  porco. 
Gli  fé  sentir  come  1'  una  Mlrocia» 

Tra  male  gatte  era  venuto  il  Forco; 

Ma  Barbariccia  il  chiuse  con  le  braccia, 
E  disse:  Stale  *n  là,  menlr*  io  lo  Woroo. 

Ed  al  Maestro  mio  volse  la  faccia: 
Dimandai,  disse,  ancor,  se  più  óìm 
Sa{)er  da  luì,  firima  eh'  altri  *1  di  faccia. 

Lo  Duca:  Dunque  or  di  degli  altri  rii: 
Conosci  tu  alcun  che  sia  Latino 
Sotto  la  pece?  E  quegli:  Io  mi  partii 


4& 


50 


63 


M 


e» 


45.  Venuto  a  ma»,  fcooto  «lU  na- 
ni, in  potrre. 

48.  Ifui  te.  QM«ti  è  Giaropolo, 
•Tvero  Gampoln,  oatA  ili  geotil  duoaa 
nel  Brgno  tli  Na^arra. 

50.  TM.  iin|irn>crliè  ella  m' avaa 
arvlo  cT  «n  ribaldo,  da  un  trijita  a,  ca^ 
tiro  nomo,  rhe  avrà  iM'fiij  lagurato  la 
Tita  e  le  tnalanpe  ■««. 

52.  Poi  fm  famiglia  (varj  tetti  /k. 
■lff/to|.  GnnuMilo,  inwi*n«itt  railuln  in 
povertà  per  gli  srialari|uiiin«'ntì  di  Bae 
padre,  fu  da  sua  niMdre  piMU»  a  aervire  in 
coite  di'lrbuhlo  rodi  Na^arra  E  questi 
l'ebaldo  \  I  cuolc  di  Seiaiiifiagiia  e  «M'oa- 
du  re  di  Navarra.  Fa  iiUidio  prinfiiM, 
ehiana  m  guerra  ed  io  pace,  protei  tor 
degl'ingegni  e  enlliir  non  liprege^iile  del- 
la poesia  e  della  moaica.  .Mimi  in  Trapani 
nel  1 270,  nrntre  turnava  da  'I  nnisi  eidla 
oasa  del  aantu  «•«*  iiasrent  L«mIo«  icu  IX. 

53.  a  far  baratteria  A  traflirara, 
abiuandu  del   favara  del  mio  ùgaure, 


grazia  ed  impi^fai,  fradendoffi  al  M- 
gliore  4>rr^reiite. 

58  Tra  male  (Ira  crailclì)f«flf0l. 
Mod»  pniverbiala  cba  «ifuìfica  eaatf  c^ 
lai  vipnuti»  iu  mano  di  gesta,  da  evi  Mi 

riitea  rioe%ere   che   alrano.   il  Cadiei 
al.  3I7U  legge  Trm  wtah  arme*».— 
iorto^  per  ford» 

GO.  mentr'  iu  lo'nforeù.  llaiiCf«,fi» 
chi,  io  Ui  tengo  praaa  tra  la  aie  bracai, 
tra'  miei  artigli  :  il  che  per  aimilitadHM 
ba  il<>tto  inforcare,  equivalendo  ^ocUa 
braiirhe  a  un  rure«ioa.  INceat  medaà- 
niaiii<>iite  inforcare  tm  cavallo^  ap» 
punì»  perrhe  cilindrai  tra  la  dne  «aacc, 
che  fiirmann  una  forra. 

63   7  die  farcia,  lo  faccia  in  brani. 

di.  or  di  drgiiaUHrii, Of  òìmm 
i  nomi  dagli  altri  rei. 

ttS.  IjoHinn,  sta  peritaKano,  e  Diali 
lo  BM  alti  evolte  in  questo  acnao;  ceai 
nel  Vomito .  // noftift««tmo noffri llh 
lino  Guido  MlvnIeftUrano. 


CAHTO  ▼ERVmilOSBGOlfDO.  i 

Poco  è  da  an,  che  flb  dì  là  viciao: 
Cosi  foai^  io  ancor  con  hii  coverto, 
Cbè  io  non  temerei  ongiiia,  né  ancino. 

£  Libicocco:  Troppo  avem  scflérlOy 

Disse;  e  presegK  *1  braccio  col  mnciglio, 
Si  eh»,  stracciando,  ne  portò  an  lacerto. 

Drai|JM|{Ìliiiiii  anche  i  volle  dar  di  piglio 
Gi&  dalle  gambe;  onde  il  decorio  loro 
Si  voIbb  intomo  intomo  con  mal  piglio. 

Quaod* dli  un  poco  rappaciati  foro, 
A  Ini  «^  ancor  mirava  sna  ferita, 
Dima|4l|jS  IHica  mio  senza  dimoro: 

Chi  ta«i^d|^ìfÉ  cui  mala  partita 
DMliì^ftÉÌBBli  per  venire  a  proda? 
Ed  elfiepose:  Po  irato  Gomita, 

Quel  di  (Sollora,  vasai  d' ofrai  froda, 

Ch*ebbe  i  nimici  di  suo  donno  in  mano, 
E  fé  lor  sì,  che  ciascun  se  ne  loda: 

Denar  si  tolse,  e  lascici  li  di  piano, 

Si  com*  ei  dice:  e  negli  altri  ufici  anche 


447 


70 


75 


SO 


So 


f7.tkt  IkMU  vieimà.  Ittleoii  : 


ML  éotaio,  doè  tolto  U  p«M. 
7a.  m§trU,  atfctUto. 
72.  lonrto,  la  parte  ad  braecM  dal 
)  ;  na  Tal*  aoflM  in  ge- 
di  cai—  ^afaia* 


n.  I  «tHi;  a  lai  toIU.  QmIì  lei. 
*fmallinii  terti, •mmut pwlarifcila 

fMi  M>f  MWMarto  alle  naiWM* 

74.  énuiim,  il  decriona,  il  capa 
4db  i^rìiM,  cbe  é  Barkariccia. 

75.  mmmrnl  fi§li^  con  nal  viao, 
«■  ■■■■eaiea»  agiiard*. 

7iu  nnpf  ciiitf  fmr9,  ac^vetoli  !«• 


7A.  éiwmm  tmmm  ditmra,  ài 
^  aalirki  :  •  %m\  a>fwfira  iuéìtgis. 

7a-a0.  Chi  fu  eolui  {\rài  i  veni 
m  •  9J)  ém  emi  mmtm  frtìim  Di 
fét  «r.  UàamA  :  da  rui  dici  eba  li  par» 
Éai  fcr  !■•  Mala  veatara,  •  ia  imI 
^Mto.  — fl  pwrfs,  aU'erle  dalle  ito. 
(••  Mietile. 

SI .  frmU  Gmmlm.  Era  «n  frale  di 


lo.  EMendo  eoatai  raTorilo 
da  Mine  da' Viseooti  di  Piia,«f«er«  di 
Gallerà  ta Sardegna,  aboaè  delia  graiia 
di  lai,  Irafficaode  ad  far  karatleria  di 
digeilà  e  officj,  e  faceodo  altre  frodi, 
b  Serdegaa  era  a  qael  leaipo  da'Piaa- 
ai,  ed  era  di^'iee  ia  ^aettro  fpadieatara, 
cioè  Cagliari ,  Logodoro ,  Gallara  e  Al» 
borea. 

SS.  di  imo  donno,  dd  sa»  lignore. 
Il  trale  ebbe  ia  mio  potere  i  aeBÙà  di 
Nino,  e  per  poco  deaero  li  laaciè  ia  1^ 
berte,  ti  rbc  di  lai  ti  ledaroao. 

S5-S6.  e  lm$eioUi  di  piana,  Si  ea» 
ai'  et  dire.  He  piano  è  locoxioae  dd 
betfo  latiao  opposta  all'altra  de  fr^ 
^nnaii,  e  osta  dal  diverto  nNtdo  di 
leoere  i  giadisj  e  di  tbrìgar  le  canea. 
Qai  vale  :  acaxa  tdennilb  di  proccaae, 
alla  buona.  —  51  com'  ei  die§  aigatSea  : 
eooM  rarronto  da  tè  OMdetiina.  Alenai 
pcntaao  rbe  qudla  pi  epeaif ieae  iaei» 
dente  ei  eoai'  ei  dice ,  appelli  tprdaU 
aaente  alle  frate  di  pimno  atala  da  frate 
Gitmita  ael  raecoolare  qaetto  aaa  rìla» 
tciu  di  prigioni  ;  la  oaal  lucazioae  dicane 
eti^err  kUta  del  dialctlo  eardo,  ed  otarn 
•ac'oggi. 


Daratlier  fu  non  picciol,  ma  fovrano. 

U^a  con  esso  donno  Michel  Zanche 
Di  Logodoro;  e  a  dir  di  Sardigna 
Le  lingue  lor  noD  si  sentono  slanci», 

Omè!  veduta  l'altro  che  digrigna: 
r  direi  sonile:  ma  io  lemo  eh'  elio 
Non  8*  apparecchi  a  grattarmi  la  tigna. 

E  '1  gran  proposto  volto  a  Furfurelio, 
Che  stralunava  gli  occhi  por  ferire. 
Disse:  Falli  'n  costà,  malvagio  uceeJlo. 

Se  voi  volete  vedere  o  udire, 

Itìceminciò  lo  epauralo  appresso, 
Toschi  0  Lombardi,  io  ne  Tarò  venire, 

Ma  slien  le  male  hranche  un  poco  in  cesso. 
Si  che  non  leman  delle  tor  vendette  ì 
Ed  io,  seggendo  in  questo  loco  stesso. 

Ter  un  ch'io  son  ne  farò  venir  sette, 
Quimdo  surolcrù,  com'  è  nostr'  uso 


f 


• 


W    Jowono   ìd  rriilii  inprcmn 

nnn  >i  >(tli»D>  rnii  di  p»Ur<  delle  ror 

88:i/B,taB«™.-dDn«.,,.d™, 

drlli  SirdcRni  t  Ione  ■  oinprdelli  bi- 

IÌT*  siadkili»;  il  che  Aon,  d.c  mi- 

l<  itsria  di  Sardcgni.chu  Adcluli  fi|>lii 
di  HlrìlM  111  ut"'^  d,  l,.e«duro.  <■ 

Ieri!  d.  nirnire  an  kub. 

92.  f'dfrtCmcHi,  dirci «llnoMi 

nuU  la  prìiH  niue  «yu  iiwhIv  BiI- 

dsU  iiKiwrD  di  GiUnri,  dr.ni  onilcbs 

o,ife.ilc<(iidin. 

83    0  sr-l(.™.-  !■   «ig™.  -od. 

■AB*  di  •rdt.viDU  •p<«>  Eoi»  RrIìo  01. 

Kiirrile  i  plrtw,  per  dift  gragUrml 

Undogli  ìd  d»U>  il  Gìud.cal.  di  U-gi- 

rirria  api  d<  111  d«ii>i.  —  prapoUa, 

doro,  (ha  on  li  prnvindi  |,ÌD  «Ini 

dalli  tmrUl.  frr«poii(uj. 

■un»  àlituiUi  >nd<  dil   •«.•  •Ilio  il 

nb)  il  MMX  dì  tolfo  di  pmwm,  rf 

iie«rolo  par  l>  pamit  di  Barbuitaa; 

dil   »dn   n   di   S.rdf|iiii ,  cK-fi  • 

GId.IicjiIì  di  L.in'.<l.,r<i  >  di  Gnilin,  <  li 

■  ini  il  rnm«  arnM. 

riunì»  lino  .1  I3]<),  rp,.,.  in  »ì  fu. 

400.  •Mo/f  InndU,  aane,  inmi'I 

ddlo,  i  di..ali  almi  arn.aii  dàW  M 

riibili  «Miai.  -  Ili**. ...  f»  Mlt»,  Ili» 

»  in  rP«.»,  in  diafane,  dia»*).. 

Din  in   IHMH   di   lui,   llm'Iui  i|h«i« 

101.  Mia torvaikrfrilf.- della IM. 

Bitn«  Unu  mia»  di  «»  E»>».  dilli 

Vhìì  C.  XXXIIl. 


l 


-lOS.  Owwl»  iM/^lcri  e 


Di  l^re  allor  rhe  fuori  alcun  si  mette. 

CagnazEo  a  cotal  motto  levò  'I  muso, 
Crollando  'I  capo,  e  disse:  Odi  (naHzia 
Ch'egli  ha  pensalo  per  giltarsi  gioso. 

Otid'ei  cb'svea  lacciuoli  a  graa  divizia, 
R̻po=e:  Malizioso  son  io  troppo, 
Qaando  prornro  a'  miei  maggior  tristizia. 

Alichia  non  si  tenne,  e  dì  rìnloppo 
Agli  altri,  àme  a  lui:  Se  tu  ti  cali, 
r  non  ti  verrò  dietro  di  galoppo, 

Ml)  batterò  iiovra  la  pece  1'  ali: 

Lascisi  'I  collo,  e  sia  la  ripa  scudo, 
A  veder  se  lu  sol  più  dì  noi  vali. 

0  lu,  che  leggi,  udirai  nuovo  ludo. 

Ciascun  dall'altra  co^ta  gli  occhi  volse; 
Quel  prima,  eh'  a  ciò  fore  era  più  crudo. 

Lo  Navarrese  ben  suo  tempo  colse. 

Fermò  le  piante  a  terra,  e  in  un  pimio 


450  DELL  IlfFEBEVO 

Saltò,  e  dal  proposto  lor  §i  sciolso. 

Dì  che  ciascun  di  coi  pò  fu  compunto, 
Ma  qoei  più,  che  cagion  fu  del  difetto; 
Però  si  mosse,  e  gridò  :  Tu  se*  giunto. 

Ma  poco  vtLÌse:  che  Tale  al  sospetto 

Non  poterò  avanzar:  quegli  andò  sotto, 
E  quei  drizzò,  volando,  suso  il  petto: 

Non  altrimenti  V  anitra  di  botto, 

Quando  *1  folcon  s' appressa ,  giù  ^  attufTa , 
Ed  ei  ritorna  su  crucciato  e  rotto. 

Irato  Calcabrina  della  buflà. 

Volando,  dietro  gli  tenne,  invaghito 
Che  quei  campesse,  per  aver  la  -zuffa. 

E  come*!  barattier  fu  disparito, 

Cosi  volse  gii  artigli  al  suo  compagno, 
E  fu  con  lui  sovra  *1  fosso  ghermito. 

Ma  r altro  fu  bene spariier  grifu«;no 
Ad  artigliar  ben  lui,  ed  ambedue 
Cadder  nel  mezzo  del  bollente  stagno. 

Lo  caldo  sghermitor  subito  fue: 


tes 


150 


135 


140 


123.  dal  proposto  te.  Spiegano  ■!• 
cani:  «i  icto<«e,8Ì  libri ò,  Jal  pit>po»itfl. 
dal  JisegDO,  che  i  diavoli  avrao  tatto  di 
•cnoiarlo,  appena  fosse  stata  sudisfatta  la 
corìnaità  de' Poeti.  Altri  dicono,  che  il 
proposto  da  coi  il  Na%  arrese  si  srìolse, 
è  Barbarìccia  gran  propnato ,  capo,  dei 
died  diavoli ,  il  ouale  lo  tenea  sempre 
inforcato.  Io  preferiscu  la  prima ,  per- 
cbi  è  da  supponi  che  B411  barircia  si 
foife  già  ritirato  con  tutti  gli  altri  dia- 
voli dietro  la  ripa.  Vedi  il  v.  113. 

124.  (fìrfi//>o,  di  boitojnimantinen- 
le.  — fu  compunto,  riiuast*  ctmtristi.lo. 

123.  J/a^uei,  cioè  Alirhino. — che 
eagion  fudel difetto,  il«-l  FmIIo ; cii>è,(be 
persnasc  di  lasciar  Ciampnlo  in  liberti. 

127.  J/a  poco  ratte,  cioè  poco  (>li 
valse.  —  rhè  l'ale  alsonpettn  er.,  che  le 
ali  non  poterono  fare  Alichinu  più  \rloce 
di  quello  che  il  ionprtto,  la  piiuia,  fa- 
eeaae  veloee  Ciampolo.  La  Nidub.,  ■ 
qaalche  Cod.  hanno  poco  %  vnlge. 

429  B  quei  drizzò  ce.  Alichtno,  il 

anale  discendendo  vrrso  la  pt*ee  aveva 
petto  rivolto  air  ingiù ,  lo  dri/zò  oa , 
rivolamlo  al  luogo  donde  si  era 
130.  di  boUù,  di  subito. 


432.  Ed  ti,  il  Caloona.-^mllo.  per 
U  alaiichexza. 

435.  Irato  Cmieabrimu  ee.:  Calca- 
brina  irato  eMUroAlickiao  éelUi  èufm, 
della  burla  ec. 

4 .1  i- 1 55 .  im9m§kito,  noè ,  dkaidara 
so,  ovveni,  lii'li»,  coatenU»,  Ckoqmai,€kc 
Ciam|Milo.  campane,  acampaoan,  noosi 
lasciale  raggtugnere,  per  aver  tm  zuffa, 
per  a\er  egli  motivo  di  amifUni  caa 
AItchino. 

I5<>.  E  mme,  e  qaanJo. 

1 57 .  Cittì,  tnolo.  —  al  890  eoMjM- 
gno,  siipra,  o  contro  Atidiino. 

I5H.  E  f^  con  M....  $kérmittf  a 
si  atlMci-ò  l'Oli  Itti. 

4  5U .  hntc,  cioè  veraneala.  ^  tp^/^ 
rier  grifagno,  sparvien»  adilesbala  a 
pretiare  ;  e  qni  meuforie.  par  valaraM 
ed  ani  ito. 

1  tu.  Ad  artigliar  Mi  M.  «M  a 
prender  l' altro,  Calecòrt'iM,  aa|ii  ai^ 
tigli. 

142.  Lo  caldo  tgktrmiiar  «a.-^  3 
caldo  della  pere  fu  sfhemitora,  ciaè 
fa  cagione  r«e  qaelli  si  igkaraMaara, 
•i  8cÌ4iglieMerv.  Sghermira  è  il  aa^ 
Crarìo  di  jfhermira. 


)   VLIlieuMCIfiBCONDO. 


rlla  però  di  lavarai  era  niente. 
Si  svieno  invbcate  l'ale  ^ue. 
Barbarìccia  eoo  gli  altri  suoi  dolente 
Quattro  ne  fé  volar  dall'altra  costa 
Con  l«lti  i  raffi,  od  assai  prestamoule 
DI  qua  di  là  discesero  efit  polita: 
Porser  gli  nnchii  verso  ^l'i^iporàli, 
Ch'eran  gii  cotti  dentro  dalla  crosta: 
E  noi  iBKiammo  lor  cosi  'mpacciatì. 

N3    Ma  pTi  di  letaniK.:  mi      p*mi>«ìeI{.b<Ìi>  ptr  kct 


tpptTlim»  di  CSI  (tlerrEn  i 


VAIVTO    VCMTESnun^BJH». 


Tacili,  soli,  senza  compagnia, 

ÌT  andavam  1'  un  dioanzi  e  l' altro  dopo, 


Comi 


i  frati  r 


a  in  ^a  la  fatola  d'  bopo 
Lo  mio  [len^ier  per  la  presente  ris«, 
Dov'ei  [larlò  della  rana  e  del  topo 
Chi  più  non  si  pare^^ia  ma  e  ii^sa, 

Che  l'nn  roll'allro  fa,  se  ben  s'accappia 
Prracipio  e  fine  con  la  mente  (i^sa. 

^ it .  tatUl..toU  it.  D;»»cbe  *ntL     inni^r*  ■■■  l»p«.  M  km**  ni  i. 

'u»  dopo  rat- 


;o>i(«<i  frali      aa  nilibiunJXM  nlla  ■»»  di  l« 
«ndar  l'ana     di.ara   Hanlt  din  <,iini*  htali  dil 

■<y  ravarv,  ^B^w  Hupn  tHaHuaaa  U      ""    '---      -l^-  '  - 

raaavftuBaut*,  raaa  nhr  itrond^viiH.— 

■..li.  t'Bao  .litiw  dill'allr».  frntiè  l'ai» 

fmaa.-qaal'ainiaBWtiDni.-cMim.dto 


wlli  J^IlwJ.  .Sttf! 


\'u.U !*iK-tm if  furo   tlirwn.  ^.  Priwipinrftu 


I5S  DELL*  niFERNO 

E  come  l' un  pensier  deir  altro  scoppia,  io 

Cosi  nacque  di  quello  un  altro  poi, 

Che  la  prima  paura  mi  fé  doppia. 
Io  pensava  così:  Questi  per  noi 

Sono  scherniti,  e  con  danno  e  con  beflk 

Si  fatta,  ch'assai  credo  che  lor  nói.  n 

Se  Tira  sovra  M  mal  voler  s'aggoelTa, 

Ei  ne  verranno  dietro  più  crudeli , 

Che  cane  a  quella  levre  cb*  ^li  aocefla. 
Già  mi  sentia  tutto  arricciar  li  peli 

Della  paura,  e  stava  indietro  intento,  so 

Quand*  io  dissi:  Maestro,  se  non  celi 
Te  e  me  tostamente,  i'  ho  pavento 

Di  Malebranche:  noi  gli  avem  già  dietro: 

Io  gì*  imagi  no  si,  che  già  gli  sento. 
E  quei:  S*  io  fossi  d*  impiombato  vetro,  tt 

L' imagine  di  fuor  tua  non  trarrei 

Più  tosto  a  me,  che  quella  d'entro  impetro. 
Pur  mo  venieno  i  tuoi  pensier  tra*  miei 

Con  simil  atto  e  con  simile  faccia. 

Si  che  d*  entrambi  un  sol  consiglio  lei..  ao 

S*  egli  è  che  si  la  destra  costa  giaccia. 

Che  noi  possiam  nell*  altra  bolgia  scendere, 

Noi  fuggirem  l' imaginata  caccia. 

s'<ireoppfa,ii  ennrronta,il  prioripineit  25.  S*{o  fOMii  te.  Se  io  fo«i  «M 

fino  dei  dae  avvenimmo  •opmddctti.  •pMcbio  ,   non   rìcevorci    I'  iamiafiM 

Primieramente  la  rana  macchinò  contro  oelie  lue  corporali  seBbiaoie  |Nè  preate 

il  topo,  come  Culcabrina  contro  Aliclii-  di  quello  ch'io  riceva  queUm  dT^niff 


■0  j  in  fine  capitRrono  male  il  topo  e  la  ci<»«  quella  dciraoimo  tao.  —  imptirt^ 

rana  per  il  nibbio,  come  i  demnnj  per  attraggo  e  atarapuin  me  qvtsi  u  pielrt. 

la  pece  io  che  rettamao  preti.  ^-    Pur  mo  te.  Pur  ora  m  e^ 

40.  teoppia,  «buccia,  vien  fonri.  nobbi  che  i  tuoi  pemicrì  eruBoin  latit 

43.  per  noi,  da  noi.  Altri  spiegano  :  •■mili  ai  miei  ;  però  deliberai  di  Ura  èà 

p9r  eagion  noitrn  ;  per  avere  tapettato  che  tn  consigli.  Io  conaagaana  del  dal* 

che  fosse  appagata  la  nnslrs  coriotìU.  to  di  sopra,  i  peosierì  di  Dania  laaill 

-15    mài;  rechi  noia,  dispiaccia.  no  alla  mente  di  Virgilio;  a  pattili  pr^ 

46.  •'0^9u«/fa,«'aggiangr;a^9He/fa-  tentijche  avevano  faccia  a  attMgiiitnIi 

rtè8ggiagnereÌìloafiloperfarm4ta»sa.  di  paura,  enmbioaadoai  parlallaaeall 

18.  eh*  egli  aeceffa,  ch'egli  afferra  coi  peosierì  di  lai  steaia  (di  Yir|iKa|, 

col  ceffo,  col  muso    Intendssi  :  per  es-  •>  risolverono  tutti  ioaìaosa  in  ■■•  m^ 

ser  Terso  di  ooi,  giunti  che  ci  abbiano,  dcsima  driiberarioDa. 

più  eradeli  nello  straiio,  che  un  cana  51.  S'egli  é  ae.  Sa  atnaM  aha  k 

evlla  lepre  che  giè  tieae  col  ceffo.  ?**.  destra  costa  sia  ioclinata  eooM  all'aUra 

Irebbe  anche  spiegarsi:  piò  feroci  che  ^^fS^^  •■  che  ooi  ^l■Biii■lHl^i^l^  ffà 

eane  alla  lepre  contro  coi  dritta  il  ceffo,  nella  sesta,  ae. 

20.  DtlU  paura,  dalla  paura,  per  ,    ^-  l'imeiginuU  etueU^  fisii  aa^ 

aagioae  della  paura.  —  e  sfava  indietro  ^*  ^*  immaginiamo  a  '     ' 

imiento,  e  badafo  dietro  a  me.  ««o  pv  darci  i  demooì. 


CANTO  TENTESmOTEAZO.  453 

Già  DOD  compio  di  tal  consiglio  rendere. 

Ch'io  gli  vidi  venir  con  1*  ali  te^d,  » 

Non  molto  lungi,  per  volerne  prendere. 
Lo  Duca  mio  di  sobito  mi  prese, 

Come  la  madre  ch'ai  roroore  è  desta, 

E  vede  presso  a  sé  le  fiamme  accese. 
Che  prende  il'figlio  e  iìigge,  e  non  sf  arresta,  40 

Ayendo  più  di  Ini  che  di  sé  cura. 

Tanto  che  solo  una  camicia  vesta. 
E  giù  dal  collo  della  ripa  dura 

Snpìn  si  diede  alla  pendente  roccia , 

Che  r  un  dei  lati  ali*  altra  bolgia  tura.  45 

Non  corse  mai  si  tosto  iMX]ua  per  doccia 

A  volger  ruota  di  mulin  terragno, 

Quand'  dia  più  verso  le  pale  approccia; 
Come  1  Maestro  mio  per  quel  vivagno, 

Portandosene  me  sovra 'l  suo  petto,  iio 

Come'  suo  figlio,  e  non  come  compagno. 
Appena  furo  i  pie  suoi  giunti  al  letto 

Del  fondo  giù,  ch'ei  giunsero  sol  colle 

Sovresso  noi  :  ma  non  gli  era  sospetto; 
Che  r  alta  providenzia  che  lor  volle  ò5 

Porre  ministri  della  fossa  quinta, 

Poder  di  partirs*  indi  a  tutti  tolle. 
Laggiù  trovammo  una  gente  dipinta,  (*) 


M.  CiénoBCOiiipioit.fCMA,  non  48.  «pproeeic,  ti  africÌBa.  Quando 

aveva  mtmr  ioiir  di  «aHIcra,  dì  pal^  l'aera  n  awiriaa  alle  pala  ddla  mola, 

«rai ,  ^MBta  mm  c»MÌffio.  ka  pii  Talocilè. 

4*-4l  a««ii  t'mrmlm  cv.  Caslr.  a  40.  vioagn» :  il  TÌTayiio  è  V  attre- 

ial.:  Kaa  ■  tratticoe  ocppar  tonto  dia  miU  della  Ida:  ^«i  per  •inùiitadiDa  li 

n  taaia  alaaao  «na  raaicia.  corando  chiama  con  lai  noma  la  ripa,  dia  è  Torio 

fi*  del  iflio  alio  dH  ano  podora.  della  bolgia. 

4S.  émt€9ÌU,  ddU  «ma.  S2-55.   al  Ulto  iM  fimd»,  al 

44-4S.  Smfim  H  dieét  «e.;  ai  A-  piano  del  fondo,  ei<>è  della  feau.  ^ 

Walanè  cnlb  peiaona  volta  all'  ineè,  sul  tolU,  Mila  aommiti  ddla  ripa. 

•Ifncóalaado  collo  reni  por  la  pf*-  54.  Sowruto  noi ,  Mpro  noi ,  ani 

4mafinn,la^nalo  Inrn,  ckinda  oIm^  natiro  capo.  ^ numon  flt  ara  «ofiial- 

nt onda' tali  dair altra bot^.  la,  ma  non  v'ara  da  temere.— fM 

4S.  Jnciein,  canale  per  cai  icorrano  i  ^nì  awarbio,  od  equivale  a  wi:  aa 


«••aline  che  vanno  e  mnover  molo.  aono  altri  aMmpj  ancka  in  Dania 

47.  —li»  iarraano,  molino  fabbri»  almo. 
«bai  tarrtno,  a  difrrrema  di  ondU  57.  Podar  éip^rUnTUdi  ae.  To- 

à»  m  Ihmo  nelle  navi  eopra  Somi,  ove  glie  loro  il  polara  dì  aUrepamart  i  lcr> 

r^fai  nan  ba  daecia per cni  cada  d'alm  mini  di  qnella  fama. 
«Un  ad  nriar  nella  pale,  o  ali  ddU  H  Ipocriti. 

***,  ma  va  callo  ctoaM  movimcnin  So.  ^ijrinln:  dico  il^pfoln,  parebè 

^U  ialatU  la  lar^Moadd  SnaM.  gPipocrìU  col  bd  edera  della  virtn  ri- 


} 


154 


DELL*  lffFEIl50 


IO 


65 


70 


75 


Che  gh«  intorno  asmi  ron  lenti  passi 

Piaogeado,  e  nel  sembiante  stanra  e  vinta. 
Egli  avean  cappe  con  cappocri  bami 

Dinanzi  agli  occhi,  fette  della  taglia 

Che  per  ti  monaci  in  Cologna  hmì. 
Di  ter  dorate  son,  al  eh'  egli  abbaglia; 

Ma  dentro  lotte  piombo,  e  gravi  tanto, 

Che  Federico  le  nettea  di  paglia. 
0  in  etemo  faticoso  manto  t 

Noi  ci  volgemmo  ancor  pure  a  man  manca 

Con  loro  insieme,  intenti  al  tristo  pianto: 
Ma  per  lo  peso  qnella  gente  stanca 

Venia  si  pian,  che  noi  eravam  nuovi 

Di  compagnia  ad  ogni  muover  d' anca. 
Perch*  io  al  Duca  mio:  Fa  che  tn  trovi 

Alcon,  eh*  al  fotte  e  al  nome  si  conosca, 

E  gii  occhi  si  andando  intomo  muovi. 
Ed  ira  che  intese  la  parola  tosca. 

Diretro  a  noi  gridò:  Tenete  i  piedi, 

Voi,  che  correte  sì  per  Tanra  fosca: 
Forse  eh'  avrai  da  me  qoel  che  tn  chiedi. 

Onde  '1  Deca  si  volse,  e  disse:  A^<petta, 

E  poi  secondo  il  suo  passo  procedi. 
Ristetti,  e  vidi  duo  mostrar  gran  fretta 

coprono  i  bralti  loro  iriij.  Ipòcrita  è  dal  69.  firn  /oro  inaiewte,  nello  OMnle- 

greco,  e  vale  iimulaiort,  matehera.  sima  dirrrinne  ciie  andavan  cmì. 

sa.  aumi  con  iemii  patii.  Cosir.:  71-72.  eravam  nmmi  Di  cM^pa- 

eoo  poni  «Mrf,  molti* ,  l«oli.  —  giva  gmia.  Per  la  leiiterza  di  quegli  ipocrìli. 

intorno^  iul  per  la  foiM  eireolare.  noi .  ad  ogni  munrer  d'aneu»  cioè  M 

60.  «laura  perii  giovo  po8o:vtiila,  ogni  pasto,  ci  vedemmo  o  loto  powMC 
por  l'aagoicia  dell'aniuo. 

6-1.  Egli,  eglino. 

62-63.  faltedella tagtiam.  fatloflì 
^el  taglio,  •  foggia ,  che  foni,  ai  fo , 
il  aoo  dai  monaci  di(U»luiiia,  cillk  d'Alo- 
magna  sul  Reno  )  cbe  piirtavaiiv  cappa, 
a  guanto  dieesi ,  mcdtu  ampie  e  mcie. 

61.  fi  ek'ògli  abbaglia.  E  un  co- 


«0 


nnove. 

74.  ai  fallo,  per  qnalchn  edAre 
aziono. 

75.  ft  andando,  cooUaaaiido  toA 
il  cammino. 

76.  la  parola  toiea,  U  nudo  Jd 
parlare,  la  parlata. 

77.  Tenete  i  piedi:  non  correlo 
itrvtto  di  seoao,  dwvendiw  i|ue»to  verbo  tanto;  ovvero  arretlate,  fermaU  3 
riferire  al  color  d'oro  implicito  nello     pasto. 

aniooodentì  parole  :   Di  fuor  doralo  78.  l'of.  che  correte  et.  A  coloro 

ton.  che  ranno  ti  lenti,  pare  che  l' andanr 

66.  do  Federico  oc.:  cko  quello     de*dnc  p«ieti  sia  on  correre. 
cW  Fc«Urioo  II  aaeilovo  ial*ineoliioli  di  79.  Forse  eh*  avrai  ce.  Qnoito  è 

loM  maestà,  lebbene  Citerà  onrn'  caso     netto  porticolarmente  a  Dante  cbo  ovcva 
di  piombo,  tarebbero  parato  di  paglia     eapresto  il  desiderio  di  coooocer  q^nal- 
in  pormooo  di  qneOe  Unlu  pia  paaanti      ciino. 
cbo  iodosaaviBo  gì'  ipocriti.  82-85.  mof  frvr  gran  fretta  DcU 


i 


CAVITO  IBVIiaiBOrERZO. 

DriPanÙM,  «il  mo,  d'eaer  meco; 

Ma  tardavali  *1  carro  e  la  via  stretta. 
Quando  ftir  graati»  as^ai  con  rocchio  iùeco 

Mi  rionrarofi  aama  fin-  parola  : 

Poi  si  volsero  in  oÀ,  edlcaan  seco: 
Costui  par  vivo. ali*  allo  doUe  gola: 

E  ^  ai  soB  iBoriiy  per  ^al  privilegio 

Vanno  sooverti  della  giravo  stola? 
Poi  dissenni:  0  Tosco,  cb*  al  collegio 

DegT  ipocriti  tristi  se'  vomito, 

Dir  chi  la  se*  non  avere  in  disfiregia 
Ed  io  a  loro:  F  fui  nato  e  oresciulo 

Soffra  1  bel  aone  d'Amo  alla  gran  vil!a, 

E  son  col  corpo  cb*  io  bo  aempre  a^nto. 
Ma  voi  chi  sieto,  a  «ai  tanto  dii4ilia, 

Qoaat'io  veggio,  dolor  giù  per  lo  gnance; 

E  che  pena  è  in  voi  che  si  sbvilla? 
E  r un  risposo  a  me:  Le  cappe  ranco 

Son  ^  piombo  si  grosse ,  che  li  pesi 

Fan  così  cigolar  le  lor  bilance. 
Frati  Godenti  fummo,  e  Bolognesi,  , 

Io  Catalano,  e  costui  Loderingo 


465 


85 


90 


9b 


10O 


|tt 


r«Bte«,  €mÌTÌM&,  Mgnifiea:  ftlmv  m^ 
ili  «edv  •  «agli  atti  la  hnmm  intonia  di 

r  Boa  poleaB  tadiifaga,  ian 
ial  grava  mm. 

mtMm  tmm  ftrràh  ètea  ec. 


i»«é,  òaè  ii  fiabara 


l'allm 


■alaialU  «ala  cha 


fal^  fliaèa 
Vmmm  fa  r 


^1 


éJim  frara  éMm,  4alla  capfa 
S  fimmhm.  La  siala  era  una  Vftte  laag» 
mmat^pk  prtwa i  teatini  t  iGrrd. 


flfr.  iiflUla;  aada  a  itila. 

OS.  éBUr:  -^ai  m  ftwmÌ9  il  Mara- 
étà  piaaia;  la  aaaaa  par  Vaf- 
laUo. 

SO.  dba  ai  éfmrilla,  cba  à  fa  rtitn 
aatealo.  Si  m«ì  la  Mlaoa  A^arta  pa- 
rola. La aapfa  afulgoraala  pareva  d'or» 
a  pnoM  «iOa  e  •■  aagaa  #  eaawta, 
adf  «a  pÌM»ko  daotra  e  «o  aappliiia, 
eaaM  la  iiwai  a  la  parala  di  fatati  tpa* 
erili  parvaro  ■•  Unipa  wom  da  nrtòf 
ed  erano  figlie  di  con  iumnm. 

lUO.  raiMa,  calar  d'arancia,  àok 
dorate. 

1 01-402.  cèe /f  |>eW  ae.  Gba  illara 


SI .  éimtimì :  caci  la  ^•dob.  o  ^aal-  peto  fa  e««k  rtg(4arr  (||fenNTe|  le  bilaaca 
cW  Cod  La  Baffivr  parte  dai  leali  pare  rba  dehboa  parlarlo  (le  aima  di  am 
ka  éiattr  ««,  ^m  carabW  della  dciaa     iaaaritil. 


pmrU  aai  dicaa  Imi  aa..  ta- 
li aaU  Cad.  Caal. 

alb  dal  di 


paariti|. 

108.  Frmli  G9émU.  Frali  di  «■ 

ardina  cavallereMo  ietitaila  per  uaifcM 

leracoalra  fi'  loladeli'a  i  ^iaialnri  dalla 

gÌMliiia.  Il  kla  anno -era  di  frati  di 

S.  Marta, ma  faroao  dal  piada  aopraa» 

Hai.  Hm»     nnni«ti(»oileati,p>rrlièciaiaMaBBCfita 

Aimr     mollo  a^ata  e  marMa. 

104.  io  CuttUmmo  ae. 


456 


DELL*11«FERN0 

Nomati,  e  da  tua  terra  inneme  presi, 

Come  suol  esser  tolto  un  uom  solingo 
Per  conservar  sua  pace;  e  fummo  tali, 
Cb*  ancor  si  pare  intorno  dal  Gardingo. 

Io  cominciai:  0  frati,  i  vostri  mali 

Ma  più  non  dissi;  che  agli  occhi  mi  corse 
Un,  crocifisso  in  terra  con  tre  pali. 

Quando  mi  vide,  tutto  si  distorse, 
Soffiando  nella  barba  co'  sospiri. 
E  '1  frate  Catalan,  eh*  a  ciò  ^  accorse. 

Mi  disse:  Quel  confitto,  che  ta  miri. 
Consigliò  i  Farisei,  che  con  venia 
Porre  an  uom  per  lo  popolo  a'  martiri. 

Attraversato  e  nudo  è  per  la  via. 

Come  tu  vedi,  ed  é  mestier  eh'  e*  senta 
Qualunque  passa  rom'  e!  pesa  pria: 

E  a  tal  modo  il  suocero  si  stenta 

In  questa  fossa,  e  gli  altri  del  concilio, 
Che  fu  per  li  Giudei  mala  sementa. 

Allor  vid'  io  maravigliar  Virgilio 
Sopra  cohii  ch'era  disteso  in  croce 


fOS 


no 


ii& 


420 


fS3 


Catalano  dei  Malavolti,  «  Loderìnso,  e 
secondo  altri,  Roderìco  degli  Andalo.Bo- 
lojfnesi;  il  primo  di  parte  guelfa,  r  al- 
tro ghibellino,  eletti  podestà  di  Firema 
nel  4266. 

405-406.  da  tua  terra  imieme 
prui.  Come  tuoi  euer  tolto  te.  Fam- 
ulo «letti  dalla  dttk  di  Firenia  noi  dae 
all'uffizio  di  conservatori  di  paea,  o  di 
potetti,  eom'è  coatome  che  allo  stCMO 
fine  t'elegga  nn  nomo  solingo,  «n  «omo 
straniero,  aolitario,  e  tenza  aleno  rap* 
porto  nella  citth. 

407-408.  e  ^«mnio  tali  re.  Quando 
qnettì  buoni  frati  ebbero  in  mano  il  go- 
verno della  città,  n  raanir«tò  la  loro 
ipoeritia,  poiché  corrotti  dai  Guelfi  tur^ 
bareno  la  pace ,  cacriando  «  pers^i- 
tando  i  Ghibellini  ed  ardendo  le  case 
loro,  «  aegnatamente  quelle  degli  Uberti 
«ho  erano  nel  Ganlingo;  del  qnal  no- 
mo ti  ebiamaTt  una  contrada  pretto  Pa- 
lano Veecbio,  dove  i  alila  la  Dogana 
fino  ai  ooatri  giorai.  — «irar  H  fmn, 
ancora  apparisce  par  le  ruiae. 

409. 0  froti,  ivoitH  maii...  i  aaa 
rcticcnn. SappliKasi  san  km  wurUmii. 


440.  agli  occhi  mi  eone^  éoè  ad 
Tenne  vedato. 

444.  I^  croeiflMto:  «na  cha  «i 
ivi  rrocifiiso. 

4 16.  CoMiglià  i  Fmriiei  «.  Qaa- 
sti  è  Caifaaso,  che  dM«  od  8ÌMdMa: 
•  expedit  «I  mnui  moriaimrkmmfn 
populo,  •  matdwraado  call'aaair  éà 
bm  pubblico  il  suo  odio  coaCro  Geti 
Cristo:  e  a  buon  diritto  ha  tra  ri'ip»* 
criti  ffuello  stesso  sapplisia  di ahan  ai- 
gione  all'  innocente  oppresao. 

448.  Jllraaertalo,  eoa' egli  fll- 
trarersò  aa  tempo  i  pasti  dd  Uam 
di  Dio. 

421 .  il  suocero,  il  sscardaCa  Abm, 
suocero  di  Caifasso. — «1  itetUm,  palÌMi| 
è  tormentato. 

425.  Che  fu  per  UGimieiee:  cba 
fruttò  ai  Giudei  la  distnuione  della  laro 
cittì,  il  disfacimento  della  laro  aaiiwii 
a  la  dispersione  per  il  moada. 

424.  vid' io  mmrmtigHmr  Ff^fW». 
Virgilio  mostre  aiaravialia  fona  pir 
^adla  inaolila  diversità  £  sapaliiiai  et 
cai  BOB  polfira  conoscere  la  ci^wBa,clM 
il  iatracdava  coH'  istoria  dd  Cristo. 


GAMO  V£f«Tfi»IMOTBAZ0.  4^~< 

Tanto  vilmente  nell*  eterno  esilio. 

Poscia  drizzò  al  frate  cotal  voce: 
Non  YÌ  dispiaccia,  se  vi  lece,  dirci 
S*alla  man  destra  giace  alcuna  foce, 

Onde  noi  ambedue  possiamo  uscirci  iao 

Sena  costrìnger  degli  angeli  nerì. 
Che  vegnan  d'esto  fondo  a  dipartirci. 

Rispose  adunqpe:  Più  cbe  tu  non  speri 

S*appressa'un  sasso,  clie  dalla  gran  cerchia 

Si  muove,  e  varca ^tntti  i  vallon  feri,  i3i 

Salvo  eh' a  questo  è  rotto,  e  noi  coperchia: 
Moutar  potrete  8tf  per  la  ruina, 
Che  giace  in  costa,  e  nel  fondo  sopMrckia. 

Lo  Duca  stette  un  poco  a  testa  china; 

Poi  disse:  Mal  contava  la  bisogna  140 

Cotul  che  i  peccator  di  là  uncina. 

E 1  frate:  I*  udi'  già  dire  a  Bologna 
Del  diavol  viq  assai ,  tra*  quali  udi* 
Ch'egli  é  bugiardo,  e  padre  di  menzogna. 

Appresso,  il  Duca  a  gran  passi  sen  gì,  i45 

Turbato  un  poco  d' ira  nei  sembiante: 
Ond'io  dagf  incarcati  mi  parti' 

Dietro  alle  poste  delle  care  piante. 

Tmnto  Tilmeni€:eoa  Unto  •••  per  csn  Mlire.  —  «  nel  fondo  ioper^ 

,  p«fCÌoccbè  tatti  lo  calpe-  Ma,  •  rìioTi,  t'alia  dal  foodo. 

440.  Mal  conlava  ee.,  cioè  mala- 

429  /W«:  ^  è  presa  qvrtta  parola  Beota  c'insegnava  il  cammino,  dìeen- 

■laiNÌcneBla  per  aignificara  «par-  doci:  pnao  è  un  altro  teoglio  ehe  via 

Mi  •  9mna,  fato. —  la  hitoyna,  la  rota  Ja  farcanda 

4M.  éagti  angoli  neri:  aottint.  al-  441 .  uncina,  piglia  coir  oocioo. 

■H  4  42.  r  udi*  già  dire  a  Bologna.  Al 

W.S'mpi^reetaun  iotioec.^aoì  lamento  di  \irgilio  d'estere  stato  in- 

^  ■•  allr*  di  quegli  scogli  die  rici-  gaonato  dal  diav»lo  risponde  il  frate, 

4mt|^  argrai  ed  i  fessi  purlrAdosi  dalla  die  altro  non  sì  dovea  aspettare  da  Ivi^ 

y  fan  ha,  cioè  dalia  circonrereua  cbe,  come  insc^svasi  nella  Teologia 

4d  titibia  ottavo,  oasia  dalla  ripa  ;  io-  scolsstira  ali*  Università  di  Bologna ,  è 

*ns  a  cIm  sedi  sopra,  Canto  XVIII,  bugiardo  e  padre  dì  falsiti. 
**ss  II.  446.  turbalo  d^  ira  :  per  l'inganno 

|3<.  Saioù  tk'a  gueelo  ec.  Salso  ricesoto. 
<^  H  laao  è  rotto  sopra  questo  vallone  4  47 .  dagt  incaretUi,  cioè  da  coloro 

^^■riyacfili).  e  per  consegaenza  non  cbe  erano  carìcbi  delle  cappe  di  piombo. 

««SI  ceparcbia  al  Tallone  medesimo.  Qnalrhe  testo  :  dagl'  ineajtpali. 

4S7.  U  mina,  il  monte  dei  rei»  448.  Dietro  alle  patte  ee.  Dieliv 

1^.  le  orme  segnate  dal  mio  caro  maestro. 

4lt.  Che  giate  in  coste  ;  poìcfcè  Alcnne  edixi<«i  hanno  ptite,  cioè  ▼«- 

^  bUa  peode  in  modo  dia  si  pnè  stigia. 


/ 


158  BBLL'UfnUUNO 


CAivTO  w KMTiairantijjtt». 

D€$cri9t  rÀtitkUri  U  $m  i JMil»,  «Mi lutami F'ariM^  «  «i*« Ji «^wmm 

/M0.  Cm  rnmtftf  étjjkottà  «  /«tiM  mÀK  I  PomM  /bar  é^m  Hlgim,  rifrmàam  9im§arU  amg^ 
0'm'iomo  suilm  èoigtm  sttttmm,  im  Mi mMIh» <fw iwttiil  ««f*  1  tmUfà  é'^maU  ém  fmtUi  tratti 
»*  imetmdumo,  #  a  ima»ù  a  mmma  nmtWi 
é*i  tmdn  saeriiegkt,  wm'fuaU  Dma$$\ 

In  quella  parte  del  giovinetto  lÉno, 

Che  1  Sole  i  crin  gotto  PAqnario  lèmpra, 
£  già  le  notti  al  uÈbodV^  vann): 

Quando  la  brina  in  solla  terra  ÉaaempnL 

L' imagine  éR^saa  sdralt 'bianca,  5 

Ma^|ioco  dura  alla' sua  penna  tempra; 

Lo  villanello,  a  cui  la  roba  manca. 
Si  leva  e  gaarda«  è  vede  la  camptgpa 
Biancheggiar  tolta,  ond'ei  si  batte  l'anca; 

Ritorna  a  casa,  e  qua  e  là  si  lagna,  iO 

Come  M  tapin  che  non  sa  cbe  ai  fiuch; 
Poi  piede,  e  ta  spera  ma  ringavagna, 

Vcggendo  'I  mondo  aver  cangiala  laccift 
In  poro  d'ora,  e, prende  suo  vimailrp^ 
£  fuor  le  pecorelle  a  pascer  caccia:  10 

Cosi  mi  fece  sbigottir  lo  Mastro, 


I    In  qmellm  frU  del  gio9inttte  0.  ti  bmlle  Tmm,  mt  MoMl 

flniM  (cnaiiiriaiiiio  l'enne  dal  |M^inin  dendo  cbe  tia  neiiitto  :  l' anca  i  r 

di  fMinaio  trconiU  !«•  atiU  rfinannl,  io  che  è  tra  M  liane»  e  la  coaew. 

€■!  il  Sitle  fa  >i<tiorAi|Narì«  pie  ippidi  ^    <2.  la  tpermmMm  Haf«ra|av; 

aiqoabta  i  toni  raggi,  i  suoi  crin.   Il  Vh^**  '*  ii|>erania;  ù  riaoieu.   _ 

tempo  (|«j  accenaelo  è  circe  le  nclft  di  eirurifjiae  di  <|ueaU  loniiieae  t^Im  de 

fvbbreio.  dice  che  derivi  da  gavagna,  Toce  roai^ 

5.  B  già  le  notti  ee.  E  f ik  le  Ium-  goimla  cUe  vale  cesttltu,  emneitro.  Onde 
gbe  Bftlti  dell'inverno  vanm»  fredala  ingaragnan  «ne  ci^e,  >er  eiallerte 
neete  dioiinuendo,  per  divenire  «(«bìì  nei  eantitro;  e  ineUftirice «cole  W^f«* 
el  ginrmi  nelle  duiaU.  Questo  averne  vognun  cki!«t:bcaeie,  per  riprtméÉfU^ 
per  I'  aveeiarai  del  «ole  verao  le  linea  riguadùgnmrlo .  AUn  diee  che  de  Gè» 
'equatoriale.  vaiitM  del  lei.  barbero,  che  veieve  lo»» 

4-5.  asiempra€€.i  ritree,  rieepia,  »iU»,  glamiula,  si  fece  il  verb«f«»«- 

V  imaftine  drlU  neve.  filare  e  gavigmare^  die  Mgnìficò  pret^ 

6.  Ma  poco  éura  alU  tua  penna  der  per  te  garigne,  «aeie  per  il  celle: 
tempra,  l'uicbé  il  Pi>eta  ci  pieRcniò  la  il  ^ual  verbo  «i  uiiò  p«»i  anche  gcoenl- 
brina  nell'etio  di  ritrarre  e  ricopiare  mente  per  preniiere,  a/ferrare  <|Qel»iea 
le  neve,  be  Vidnin  ciMilinaare  le  pera»-  coee;  omle  respres*Ì4iue  ringavagnar 
oificeiione  io  tutta  le  prepnelà,  den.  la  eperunza,  non  «uol  dir  ellro  che  r^ 
dtfle  eneo  l'iittunient«i  Cf-n  ebe  ai  riet».  prendere  le  tperenie  cbe  ere  fuggile. 

Eia,  la  penna  ;  alU  qnair  dire  rlif  p«H-n  46    Coti  mi  fece  ee.  Le  cnin|»era- 

atta  /a  fempra,  la  tmiperalnia.  pei-  lionc  che  haute  f^  di  le  «tesso  sbi|;Httìlo 

che  stru(*({eniiiiti  prr«tn,  non  può  durar  d*^l  tuiba.iientu  di    Virgilio,  e  piti  ri- 

luogeoieote  e  ricopiar  le  neve.  eoufuiuto  del  vedergli  reseei-cnela  la 


cAirro  ▼EimsmoQUABTo. 

Qnand*  ior  gK  rìdi  si  tnrbar  1»  fronte, 
£  coti  toElo  al  mal  gimise  lo  'mpiastro:. 

Che  eome  noi  Teirimmo  al  guasto  ponte, 
Lo  Duca  a  me  si  volse  con  quel  piglio 
Dolce,  cb"  io  vidi  in  prima  a  pie  d^  monte. 

Le  braccia  aperse,  dopo  alcun  consiglio 
Eletto  seco,  riguardando  prima 
Ben  la  mina,  e  diedemi  di  piglio. 

E  còme  quei  che  adopera  ed  islima, 

Che  sempre  par  che  innanzi  si  provreggia; 
Cosi,  levemio  me  so  ver  la  cima 

D' un  itmchione,  avvisava  un*  altra  scheggia, 
Dicendo:  Sopra  quella  pol^f  aggrappa; 
Ma  tenta  pria  se  è  tal  eh'  ella  ti  reg^a. 

Non  era  via  da  vestito  di  cappa. 

Che  noi  appena,  ei  lieve,  ed  io  sospinto, 
Potevam  su  montar  di  chiappa  in  chiappa. 

E  se  non  fosse,  che  da  quel  precinto. 
Più  che  dall'altro,  era  la  costa  corta. 
Non  so  di  lui,  ma  io  sarei  ben  vinto. 

Ma  perchè  Matebolge  in  ver  la  porta 
Del  bassissimo  pozzo  tutta  pende, 


f69 


20 


26 


30 


Zò 


""■^i  A*  ■•  fMlirc  «l'ofai  coM  tprw- 
'■'■li.  chi  mrlr»  pem  wcir  favrì  • 
^■Hr  UtH  frcggia  Tvdc  tatU  la  mn» 
f^  Uhm  ,  fMTcliè  il  raitrro  m  di» 
foiiaa  m  •mr'era.ttmlU  dai  ra^rgi 
*hri  !■  bina  ch'egli  credeva  neve. 
!■■•  tona  «jt'mic*  aspetto,  ed  egb 
|f>Mdaaaìa«;  ^iic»la  comparaxiooe, 
"An,  «aa  paè  «aar  uè  piò  leggiadra 
^  fm  aaetirameata  Tcilita.  —  lo  Ila- 

Il-  Mal  l0f lo  fé.  ;  eoo  «goal  pra- 
am  «ha  al  villaacllo ,  givua  a  me  il 
Minto,  Vimpimiiro. 

U.  •  ^  M  OTonlf .  date  gli  ti  (eoa 
■MMv  la  prnaa  vnlta.  Vedi  Ganla  1. 

21-24.  Le  krmeeia  ajitrtt...  e  «Na- 
te «  fifMa.  Hi  lulae  di  pcao  eoo 
mW  la  kraraa.  —  éop9  mlntn  eomt^ 
fliaar.  N«4a  il  pregi em*  delle  coaa: 
*Mna  la  raiaa,  ai  eaaaiglia  seco  slaao 
M  Bada  S  aalirc  per  rMa  eoo  qael 
^aa  H  coHa f  elegge  I  caegaifcc» 

ti.  K emme  pigi  te.  E  rome  fa  coloi 
^  ^Mle,  Bieolrc  culle  maoi  opera  ona 


COM,  cogli  oecW  ae  affisa  «a'  alCn  re. 

26.  rW  flmprv  par  dki  m.:  lai- 
OMnleriir  pare  ehi  ei  teaipre  proTTrg- 
ga  alle  cose  rhe  verran  di«pa. 

M.  ftmeAioae,  rocrhia  grande, 
groaia  peno  di  pietra  tporgenta  — 
arHtova.  afB^saTa,  osacrvafa. 

50.  ti  rtggia,  U  rrg'va. 

51 .  Non  erm  via  re.  Qaella  aoa  era 
via  par  la  qvale  poti-ase  andara  ehi  arcasa 
avotit  indinao  vetta  larga  r  talare,  e  mol- 
to meno  la  plumbea  stola  dagl'ipocriti. 

52   i'ipinlo,  da  Virgilio 

53.  4i  chiappa  in  chiappa:  diiap' 
|Nl  vale  ro^acommla  a  potersi  chiappare. 
Qni  intendi,  dì  pietra  in  pietra,  che  po- 
teasi  cktapf  are,  prendere  culle  maoi. 

51  da  quel  precinto,  da  qaall'ar- 
gioe  eingrnte  la  fnssa. 

56  «orci  ben  vinto.  (Soè:  la  aia 
torve  ben  sarrbbrro  siale  vinte  da  qael- 
l'altetra,  e  non  avrei  potati  salire.  Si 
noti  farei  ctafo  invece  di  earei  italo 
vinto;  sertind»  la  forma  lai.  «iclui 
ettem^  cnme  il  fotte  di  sopra,  nel  v»- 
lure  dei  fkittet  latino,  foue  italo. 


Lo  silo  di  ciascuna  valls  porla, 

Che  l' una  costa  surge  e  l' ultra  Bceode: 
Koi  pur  veniniino  alfine  in  su  lo  punta 
Onde  l' ultima  pietra  si  scosreniJe. 

La  lena  m'era  dclpolmon  si  munta 

Quando  fui  su,  tb'  io  non  polca  più  oltre, 
Anzi  mi  assisi  uella  prima  giunta. 

Ornai  convien  che  Lu  cosi  li  spoltre, 

Disse  '1  Maestro,  che,  seg^iendo  in  piuma. 
In  rama  non  si  vien,  né  sotto  coltre: 

Sanza  la  qual  chi  £ua  lita  consuma. 
Colai  vestigio  in  terra  di  sé  lascia, 
Qual  fumo  in  aere  od  in  acrgua  la  schioma. 

E  però  leva  su,  vinci  1'  ambascia 

Con  l'animo  che  vince  ogni  battaglia, 
Se  col  suo  gra\'e  corpo  non  s'accascia. 

Più  lunga  scala  convien  che  si  saglia: 


I 


I 


39.  £at>l*M.,  Il  •Irotliiri  didi- 

Iodi  o  li   Dolleiu   d«  poleoU    uM- 

mi»  lille,  porla,  do^,  t  «  titu   i  di 

W  D.It.r., .!«  «. 

40.  CAd'una  rolla Mrf<  te.  Tedi 

ullo  collr*  non  c»l  *»!»»  t,itn.  m> 

llCinloXill,  T.  SSiDimU. 

•bbiiu.  putto  ÌD  prìndpio-   C  .Ikrt  ' 

luU  dlUtolU  «.  -  Ih  IH  la  pula: 

tODlulamenlc  leto  il  conecUo,  cbe  mtr- 

wllMB»>.i>ili<l.ll>.rg1d..i.,,ro. 

»2.  Onàt  1'  «[»»»  ficiTt  •(  Ica- 

tCMd».  At  cui  ■■  Hlliai  pirtn  del  u- 

mu^'de*  Hp'c»'é  delti  ^v'irti,  nt  |"» 

dnlapwila  li  dÌ>licDi,Dipnrgii  inIuDrì. 

43.  fi  MURI*.  ■)  CHIUlt. 

■lo ,  chi  11  piioli  rallrt  «(oilclu  m- 

Vi.  Hftla  piima  giimla.  >l  pnm« 

prrla  dt  Mia.  nlln  l'uajito  M  b  dìo 

pmt«,  ri..  H.  f«i  eol.«tì. 

ie.duluteA  lUpullrt.  linci  la  pU 

!u«Jw  Ari«lo,  S...  ni  ! 

|nd>iSf>«aiTcll»a.il.p»-uli  pro*e. 

40.  Sanw  la  flual.  ciò*  «««  l> 

Coti-.  Clit  non  ti  c(?n(  l'n  fama  leg- 

quii  Um». 

f«^  in  ph«.,  ni  .l.«do'i«lh.  c«l- 

S3  rinMiVHilalIagKa,  Tip»  geni 

fr*.  L'Ini,  btiiactn^e.  -  Il  ck.  SLr«. 

wlacolo. 

■Ili  inlcninuti  :  >  irgMudo  in  pìun» , 

51  Si  wI  imo  gr<i«  eor|K>  «.  $> 

ni»  Iniicae  col  tu»  luiLuiili  1  |ri>( 

««bmU  din:  lUndo  io  «io  «m  a 

SS.  Kù  Wwja  Itala  te.  loleadi; 

pit»qii»tinii»l(H«brÌU<te1  ionie, 

nim  bull  di  ewro  pauilo  In  iti  >pi- 

Bà  U  |»mti  torUi»  t  le  «Ilo  di.liiuiugi 
tn  fll  ii<«dni .  (ptreccb»  del  faaldic- 

aaelli  d'I  Pnraali<rìv  per  ulin  al  l'i- 

■hiDB  fl  ononxno  le  gnndi  Jignill). 

[(duo.  H«ril«.cnl<>;  DM  buM  KM-  ll- 

Ut  ia,  pvftundn  che  non  temprr  i  dmU 
«wrìfiaeledl(i>il&HguÉl.i.a.l  ..lun 

•  d].I.Ii«,.clM>.rt»ol>dec.to[. 

i«cù„i.l«eiu.i.        "^ 

CANTO  TElfTBSIMOQUAElO. 

Non  basta  da  costoro  esser  partito: 
Se  tu  m*  intendi,  or  fa  si  che  ti  vaglia. 

Levarmi  alior,  mostrandomi  fornito 
Meglio  di  lena  eh'  i'  non  mi  sentia; 
E  dissi:  Va,  eh'  i*  son  forte  ed  ardito. 

Su  per  lo  scoglio  prendemmo  la  via, 
Ch'era  ronchioso,  stretto  e  malagevole, 
Ed  erto  più  assai  che  quel  di  pria. 

Parlando  andava  per  non  parer  fievole; 
Onde  una  voce  uscio  dall'  altro  fosso, 
A  parole  formar  disconvenevole. 

Non  so  che  disse,  ancor  che  sovra  '1  dosso 
Fossi  dell'  arco  già  che  varca  quivi; 
Ma  chi  parlava  ad  ira  parca  mosso. 

r  era  volto  in  giù;  ma  gli  occhi  vivi 
Non  polean  ire  al  fondo  per  1*  oscuro: 
Perch'  io:  Maestro,  fa  che  tu  arrivi 

Dall'  altro  cinghio,  e  dismontiam  Io  muro; 
Che  com'  i'  odo  quinci,  e  non  intendo, 
Cosi  giù  veggio,  e  niente  aflBguro. 

Altra  risposta,  disse,  non  ti  rendo, 
Se  non  Io  far:  che  la  dimanda  onesta 
Si  dee  seguir  con  l' opera  tacendo. 

Noi  discendemmo  il  ponto  dalla  testa, 
Ove  s' aggiunge  coli'  ottava  ripa, 
E  poi  mi  fu  la  bolgia  manifesta: 


161 


«0 


65 


70 


75 


SO 


57 .  Hvagliat  ti  sìa  stimolo  e  conforto. 

58.  Leea'mi,  mi  levai. 

60.  forte  ed  ardilo:  il  primo  ri- 
guarda  fnattoato  il  corpo ,  T altro  l'ani- 
nao  j  e  vale  franco,  eoraggioto. 

62.  ronehioio,  bprn«iccoluto,  aspro, 
cfaa  non  ha  superficie  piana, ma  rilevala 
io  molte  parti.  Qualche  testo  roeehioio, 

64-65.  Parlando  andava:  iocam- 
inìaaTa e  parlavaper  mostrar  forza  ;  per- 
loebè  fai  nHito  dalla  seguente  bolgia. 


Ta  che  non  tì  distingncTa  gli  ometti. 

73.  Dall' altro  einghiOtC\okt\\*9Ì' 
tro  cerchio  o  argine  ond'ècinta  FottaYa 
bolgia,  e  che  è  più  basso. 

74.  Che  com' t'odo  ec.  Che  come  io 
odo  di  qui  le  Toci  de'  tormentati,  e  non 
le  distinguo  si  ch'io  possa  inlendeme 
il  significato;  ovvero,  come  io  odo  il 
suono,  e  non  intendo  le  parole;  cosi  ec. 

75.  a/figurot  discemo. 
77.  Se  non  lo  far.  Se  non  operande 


66.  diicofwenewile,  mal  atta  a  par-     come  tu  mi  richiedi. 


lare.  Era  uno  ta  ira,  eome  dice  sotto  ;  e 
ii^'ira,aa  è  veemente,  la  voce  esce  inar- 
tiedata,  e  simile  pinttusto  ad  un  ruggito 
70-74.  gli  occhi  vivi  Non  pò- 
team  «e.  Quel  che  avviva  gli  occhi  è  la 
laee  proportionata.  Dice  dunque  cho 
per  la  aearsezza  di  eesa  non  poteano 
1  aaoi   fianger  nel   fondo  t>trt,  cioè 


79.  dalla  tetta,  dalla  estremità. 

84 .  £  poi  mi  fu  la  bolgia  manif^ 
tta.  Si  avverta  che  i  due  Poeti  non  di» 
scendono  in  questa  bolgia,  la  quale  tutta 
rìbrntica  di  serpenti ,  ma  rimangoue  a 
rìguarHare  sotto  il  capo  del  ponte  m  uno 
sporgimentodel  muro,  su  cui  discendono 
per  mezzo  d'alcune  pietre  prominenti  che 


oeNa  lare  piena  attività;  onde  avveni-     ferraono  chiamate  ftomi  nelG.  &XVI. 

li 


I 


L 


E  vìdivi  eotro  terribile  stipa 

Di  ser[)enti,  e  di  si  diversa  mena, 

Che  la  [Demoria  il  sangue  anror  mi  scipa. 
Più  non  si  vanti  Libia  con  ma  rena;  a 

Che,  se  chalidri,  iaculi  e  farce 

Produce,  e  ceneri  con  anfèsitiena;  ^^M 

Né  Unte  pesLilenzie  uè  si  ree  ^^| 

Mostrò  giammai  con  tutta  1'  Eliopìa,  ^^H 

Né  eoa  ciò  che  di  sopra  il  mar  rosso  ee.  ^^H 

Tra  questa  cruda  e  Irisli^ima  copia  ^^H 

Correvan  genli  nude  e  spaventale,  (*]  ^^H 

Senta  sperar  pertugio  o  elilropia.  ^H| 

Con  serpi  le  man  dietro  avcan  legate: 

Quelle  ficcavan  per  le  ren  la  coda  s^ 

E  '1  capo,  ed  eran  dinanzi  aggroppale. 
Ed  ecco  ad  mi,  eli' era  da  nostra  proda, 

S'  avventó  on  serpente,  che  'I  lrafi*<o 

Là  dove  il  collo  alle  spalle  s'  annoda. 
Né  0  si  tosto  mai,  né  I  si  scri-i'e,  loo 

Com'  ei  b'  accese  e  arse,  e  cener  tutto 

Convenne  che  cascando  divenisse: 

g3.ilips,mn1l>lu<1intinimunlii>lB.  Di  qnrttv  urie  sn«i'*  di  if cpiDlì  ledi, 

R3.  iiuna.  ip»>e,  <ii»i!;u  »  tu,.,,  ì  n.lunliili. 

8t.  rhelamrMurtsK   lat.  1  (he  88     W^t  Moto  pntllniic ,  iotondi : 

Il  rìcordin»  Ditrarn  mi  iHpa.  mi  gat-  ifnnlf  «  i|diiI'  enno  in  (gnclte  bulgia. 

ita,  ni  alleri  il  itngug  per  lo  ipe-  — Pftilmtie  tift  ifiB  ptMfiri.  itit- 

VMla.  OMÌ,  ammali. 

U.UtixUunivnideiOrfnlulla  VJ    J'£IÌDpia,  din  pratiodi  d>l- 

■mIIi  Hrte  del  auDdo  .h*  ■  R-iioeni  l'Afnc 

pMiii eUiBurH»  Afrin  Gli tlwi  Ha-  Mh  SicontU  K.:iHf  ìnìmàtn 

«hI  fow  (Tti.*..  ddl'Ar.  HM  Af  gira  mer  rw*.  —  M.  MVHa  di  i.  Smir  |li 

dfM*n<«JfirE)iitv,schvDi;a>raei(D  iMìelii,  eomr  H-M.  «ih.  oérln*mr. 
dMrlediB>nliia  Ri quntii Libie di'Ku-  DI   npia.  liitrndi,  ili  Miproii-  — 

BMÌ  ant  f*rit  il  ì'utu  triilùnnia  lie  ani  |g  >l«w  trnu  die 

U.  CU.  ■*  w-  Abbiimn  prrririta  il  In.  Irltrtima. 
fMrialBiaadqiwlU  dille  N«lnb.  ti~  l'I  Udrl. 

gnitaddLMnbiriliediICMe.rhrni,  DJ.   Simia    iptrar  ptrluflo  m. 

ehélidri.iaeuli'  faritl'nnlutef.an-  Smu  ■  pere  r  |.»rl  agio,  [«n.de  nacra- 

cri  an  Itffit*!'»   pecibe  ultiF  el  non  Jcniii,  a  rlilmpi*  prr  (eru  ìarieìbìl*. 

■ina*  •inUai ,  •  mei  w  cimnellr  lutla  qgnU  :  ti  creilce  eh»  le  pietre  «hiMWta 

taniai  eapieaU     Uni  bii.ina  lerienli  elilruuie  ««hh  lirU  d>  raoda*  iani- 

di  fMU   Iwi»  Ito»  Bolle   E-liui.»  bile  A,  le  piirle.i  Hldiv».  VxIhì  mJ 

I  duU'uhiibi   Fwreatii  I><wB>ri>iia  U  Imose  ■••elli  di  Cdm- 

I  L  ^h  «h.  •  •«  wi  diw>,  tha  *  U  Mr»  doli.  Ciar.  Vili. 
■li.l'wt  ù'^Hi  "    ^  iwtir»  predM,  dilb  fwU 

MHi<h  lidaeillitipe,  BtaaùwniMt^^^— 


E  pti  che  fa  a  terra  ai  distratto, 
La  oener  »  raccolse  per  sé  stessa, 
E  w  qpMl  medesaw  ritornò  di  butto: 

Coà  per  li  gran  savi  ai  confessa, 
Che  la  Fenice  nraore  e  poi  rinasce, 
(^nodo  al  cinqiiecentesinio  anno  appressa. 

Erba  né  biada  in  sna  vita  non  pasce. 
Ma  sol  d*  incenso  lagrime  e  d*aniomo; 
E  nardo  e  mirra  son  i'  ultime  fesoe. 

E  qnal  è  quei  che  cade,  e  non  sa  corno. 
Per  fona  di  demon  eh'  a  terra  il  tira, 
0  d*  altra  oppiiazìon  che  lega  l' uomo. 

Quando  si  leva,  che  intorno  si  mira, 
Tntto  saiarrìlo  dalla  gnande  angoscia 
Ch'  egH  ha  soflnia»  e  guardando  sospira; 

Tale  era  il  paocator  levato  poscia. 
0  giustizia  di  Dio  quant*  é  severa, 
Che  cotai  colpi  per  vendetta  croscia  ! 

Lo  Duca  il  dimandò  poi  chi  egli  era: 
Perch'ei  rispose:  Y  piovvi  dì  Toscana, 
Poco  tempo  è,  in  questa  gola  fera. 

Vita  bestiai  mi  piacque,  e  non  umana, 
Si  come  a  mul  eh'  i*  fui  :  son  Vanni  Pucci 
Bestia,  e  Pistoia  mi  fu  degna  tana. 

E  io  al  Duca:  Dilli  che  non  muccì. 


«63 


101 


ilo 


ii5 


iW 


125 


Hi.  4m  ^mei  mudetmo  «e.,  n  rìfeM 
fé  madtmmo  gpirito  di  prina.  —  di 

m.  mm  r  mtUmm  f^Mm,  um  Vnì- 
^■i»,  mtà  quaU  poi,  Meondo  U 
Inìì- ■—■  ■  abbniciaU  Nota  la  ir«- 
i«É  «i  ^csto  traslato  eba  il  Pla«4a  ha 
Nto  ètbm  aamifliatira  ch« ,  almeno 

Et  aarti  etteU» ,  bao  tra  loro  la 
tea  «■•  a'avvolgnoo  fi'  iafanti ,  a 
>^«^  aoaeUi  preparano  ai  loro 


lai.  fecero  gli  anticbi  aoma^  eba  poi  di- 
Tcane  eom». 

H3.  per  fona  di  dmmm:  eona 
avveniva  degli  oaaiiai  stramaasati  a  terra 
dai  deroonj,  aeeondo  ohe  narraà  sei 
Vanito. 

Uà.  o  d'tdtra  opfiiazian:  t  in 
forca  di  oatnrale  preeItnioDe ,  o  altara- 
tione  del  Snido  amren,  per  coi  l'aona 
riman  legato  ,  qnaai  fuori  di  vita,  eoma 
fi  vede  negli  epilellici. 


-•Qb  ana  daMe  ^Utitme  fmtee  i  pra- 
«lori  di  cba  ai  cirmn<la  la  Feaiea 


Dal  r»4o,  tutta  qooila 

ìniuta  dal  IV  libra 

/M  d'Ovidio,  aebbeiia 

Pooipooin ,  Ta- 

,  Clandiano  ad  altri, 

im9Ì  cha  aopra 


Dal 


420.  erottia,  rìoè 
gii  cun  violenza. 

hZi.Sieotmammteh'ffmi.y^mà 
Fncci  fu  baalaedo  di  aaiaar  Faonn 
de'LaMah  nubile  pistoiea*;  pai  eie  è<|«i 
nominalo  «i«lo. 

42a.  mi  fm  dtgnm  imm,  mxom 
nido ,  aeoondo  bii,  d'oamÌBÌ  BefaiMB  a 
beatiaK. 

427.  du  non  mueci.  Il  varbo  «m»> 
eterv,  ebe  rale  ordiiiariuBtaU  Vtf «rt , 


dell'  llfFEBItO 

E  dimanda  qual  colpa  quaggiù  'I  pìnse; 

eh'  io  '1  vidi  nom  già  di  sangue  e  di  cormcci. 
E  il  pencalor,  che  intese,  non  s' infinse, 

Ma  drizzò  verso  me  l' animo  e  'I  vollo, 

E  di  Irista  vergogna  si  dipinse; 
Poi  disse:  Più  mi  dnol  che  tu  m'hai  collo 

Nella  miseria,  dove  tu  mi  vedi. 

Che  quand'  i'  fui  dell'  altra  vita  tolto. 
r  non  posso  negar  qoei  che  tu  chiedi: 

In  più  son  messo  Ionio,  pereh'  io  fui  l 

Ladro  alla  sagrestia  de' belli  arredi;  j 

E  Talsamcntc  già  fu  apposto  attrai. 

Ma  perchè  di  tal  visla  tn  non  godi. 

Se  mai  sarai  di  fuor  de'  luoghi  bui, 
Apri  gli  orecchi  al  mio  annunzio,  e  odi. 

Pistoia  in  pria  di  Neri  si  dimaBra, 

Poi  Firenze  rinnova  genti  e  n 


Mudtrt.  ka  qui  il  ngnificalo  di  leap- 

arredi.  Da  no  doenraanto  «mteinpora- 

nao  paliblicilo  dal  prolanor  Ciampi  ti 
1.  tl>a  Vanni  Fatn  dalia  Dulca,  Vanni 

<|Uf  eqniiile  a  ditti  the  non  ci  tcappi, 

dalla  H'inaa.  a  Vasai  Mironna,  pi.loia- 

iHt  mot,  Intoni. 

)i ,  (i  unirono  per  nibara  il  leiara  di 

IS8.  £  .(.'manda  ;  qu.lel,«  !«(»  :  B 

San  I«^po;  rha  laalarcna  di  falli  il 

|[ran  furlu,  ma  che  nnn  iu«nm  lare 

130-  tv  io  -I  (idi  uon  j«  di  M». 

pianinxnle.  rubili  da  qniltha  mmore 

}<M  «,  la  loa  lo  co>«H»>a  ptt  \éÌ,„, 

ibe  inlctcm  ;  aha  la  «iuliiii  taro  tm- 

«tar  divorai  conia  K»MI>  del  dalitU,  • 

cno»  tale,  da  e»er  puoito  io  allro  iao- 

fa.  — Col  moalrariì  ignara  drlMcrilreo 

Fu  pmna  perderne  il  capo;  a  ditlul- 
mcnta  prato  Vaanì  della  HomM,  M>- 

alMItta  dal  Fucc,  riene  Dania  a  i><i- 

fe.^  la  Terill  M  fatto  .  i  »oi  «B. 

430.  «Mt-infiMt.  dQDdhuiniiili, 

plici.CIAiKannc  aal  I29S.  LKipedii 

QUO  «culli  qacl  rhc  di  lui  ti  chiolaia. 

di  8    Iacopo  di  Pialla  dora  aì  cuModi- 

t^2.  di  trisl- ttrgogna.  Vi  una 

»iBo  ì  pr«i«;  arredi ,  ara  abianiila  il 

Tetarn  ;  partii  è  qni  doli»  lo  tagrmlta 

(allo,  a  qaatla  i  Mi.  e  unta:  Ta  uba 

diMIi  arrrdi. 

lui'allra  eh.  nuca  da  diipiacare  a  da 

44S-44S.  dì  KiH  al  dimagra;  « 

•IJR)  i'oKn  •«^xrlg,  (  qaNli  *  M- 

apopala,  «  rauU  dall)  parta  D«a.  La 
/iTlaiona  di  PhIo»  in  Hiancbi  a  Nari  «<r- 

IWidailririi. 

433.  Clu  fiia^id'i"  fui  «.  Inlndi  ; 

Tanna  oal   1500:   «  nel   IIOI   i  Ku- 

(ha  quand»  .1  h.  n  oii  .trailo.  Ìl  db|^a- 

ahi  p«l»i.u  dl'ainta  da.  BiancU  Sa- 

■fra  del  Farci  duo  luleTa  naiceni  da 

limora  d'inftnit .  pnidocch*  aranti  tn 

■mili,  rilnipaliti  ia  Fir*nia,  ed  aoeaM*- 
l'ii.  alla  parla  nera,  flcerv  <i  dx  ipnla 

nolo  al  Bando  il  toa  del.Ua  a  la  «a 

pani  i  n*  rIÌ  dotna  di  do»r«  la  qaallo 

prevalw  alla  h'anra,  e  •cBob  il  potar* 

llIlB  rallrgrara  an  no  ocmira  di  parte, 
aliami»  alimi  alla  n>  P.ata.a.  anal 
m  Dania,  cha  pai  ,a  .p  Urrà  PirraWa 

canihii   nella   rrpnliMiFi   modi  di  n- 

vemo  t  saiemanli  ;  Poi  Ftrmf  rim- 

nova  gnu  >  modi,  illor.  i  Neri  Ha. 

■iMlH  rKronl.L. 

ranlini  drlibtrarono  di  morer  la  armi 

i  BS.  tarfro  (.Ha  JajrriMa  da'  hlll 

conlro    Piiioii    dominili   dalla    parla 

C^NTO    VENTESIMOQUARTO. 


165 


Tra£:ee  Marte  vai)or  di  vai  di  Maqra,  Ub 

W  è  di  torbidi  nuvoli  involuto, 

E  con  tempesta  impetoosa  ed  agra 
Sopra  Campo  Picen  fia  combattuto: 

Ond'  ei  repente  spezzerà  la  nebbia, 

Si  eh*  ogni  Bianco  ne  sarà  feruto:  i50 

E  detto  r  ho,  perchè  doler  ten  debbia. 

himt»,  t  per  ■•fjpMT  ncarem  d  col-  le  storie  pistoiesi  ■vvenoe  nel  4302, 

kfumto  cea  Lacca,  eletto  capitano  del-  segnilo  la  resa  di  Seravalla,  la  dedizìona 

Fi^yraia MarorUollalaspina, marchese  di  Pistoia,  e  la  rovina  in  generale  di 

di  Gievafalle  in  Lonigiana  ;  il  quale  parte  bianca.  Questo  è  l' avvenimento 

rcaaa  a  por  1'  assedio  a  Sera-  che  sotto  alle|;oria  vaticina  a  Dania  il 

itdlo  inifMirtante  de' Pistoiesi,  ladro  Pucci. —  TraggtMwrUwtpor^e. 

ìy  Tcdnta  il  pwieolo  che  gli  minao-  Marte,  il  Dio  della  gnerra ,  trae,  moo- 

~ ìaaai e  insieme  quanta  più  gente  ve,  di  Val  di  Magra  (la  Luni^ana  sn- 

• ,  t  andarono  incontro  ai  ne-  periore  cosi  detta  dal  fiume  Magra  cbt 

Ma  il  Malaspioa,  sentito  V  avvici-  la  traversa  )  un  vapor  fnlmineo  cinto  di 

^oi  Bianchi,  «acì  loro  addoaso  con  torbidi  nuvoli  (il  Malaspioa  circondato 

m  iaspato ,  e  gli  sconfisse  iiw  dai  Neri ,  che  sono  come  ona  nuvola 

nel  piano  ikm  è  tra  Seravalla  pr^na  di  burrasca).  Questo  vapore  ne- 

'  li ,  che  è  campagna  Pascià*  duIoso  sarà  combattuto  acremente  in 

kcnte  IHfeeiuf,  e  die  il  Campo  Piceno  :ond' egli  rompendo  dalla 

Cmmpo  Piceno t  cioè  Pi^  sue  nuvole,  menerà  tal  mina,  che  ninno 

Alla  qnal  battaglia ,  che  secondo  dei  Bianchi  n'andrà  senza  danno. 


CANTO  ir^XTESmOQÌJWSTO. 

il  PmU  m  ritmmrdan  mtiU  ttttìmm  holfis,  mtdt  Cmto  Ctmtmum  tk»  tOftrU 

éittrB  mi  ttttmmiator  Ftautt  Fmeti,  mffotmmd»  tkuui^t  te  lui  «i  samttrm.  Bi^ 

iUrnstn  Ftarmtmi  A$  Jutm  tmdri  éM  puUtm»  dtimn,  0  él  uti  dt' 


Al  fine  delle  sue  parole  il  ladro 

Le  mani  alzò  con  ambedue  le  Gche, 
Gridando:  Togli,  Dio,  che  a  te  le  squadro. 

Da  indi  in  qua  mi  fur  le  serpi  amiche, 

Pcrch*  una  gli  s*  avvolse  allora  al  collo,  6 

Come  dicesse:  Y  non  vo'  che  più  diche: 

Ed  un*  altra  alle  braccia,  e  rilcgolio 

«Isò  ac.  Atto  sconcio     tìchi,  che  anco  su  una  torre  della  ròcca 
i  ia  dispregio  alimi,  mei-     di  Carmignano,  caitello  del  territorio 

pistoiese,  si  vedeaoo  due  braccia  di  mar- 
mo che  lacean  le  fiche  a  Firenze.  Vedi 
Qio.  Villani,  lih.  fi. 

4.  mi  fwr  h  tarpi  tmi€h§,  VoUi 
bene  alle  serpi,  poiché  fecero  eonleflAa 
Dd  rasto  qaest'  atto  dispai-     in  me  ti  desiderio  di  veder  pooito  Pan* 
^  t  JBpii limata  doveva  nella  gara     pio  bestemmiatore. 
*  |Mi  «MVf  aaito  ostte  ag^i  an^  6.  diche^  dica. 


Ma  i  ilio  gnaso  fra  l' indice  e  U 


I.  •  le  li  afHciro,  a  te  le  indiris- 
■|i  b  fa.  PropriaoMnle  iquadrmr§ 
^  «mìm  teff ,   addirUsar$  9oUé 


Mia.'  nwcBRo 

Ribadendo  sé  slessB  sì  din 

Che  non  pelea  con  esse  dare  un  crollo. 

Ati  Pistoia,  PL<:Loia!  che  non  stami 
D'incenerarli,  si  clie  piìi  non  duri. 
Poi  clie  in  mal  (m-  lo  ^eme  tuo  avanzi? 

Per  tutti  i  cercbi  dell'  Inferno  oscuri 
Spirto  non  vidi  in  Dio  tanto  gaperbo  , 
Non  quel  che  cadde  a  Tebe  giù  de'  muri. 

Ei  si  Tuggi,  che  non  porlo  più  verbo: 
Ed  io  vidi  un  Centauro  pien  di  rabbia 
Venir  gridando:  Ov'é,  ov'è  !' acerbo? 

Maremma  non  cred'  io  che  tante  n'  abbia, 
Qnante  bisce  egli  avea  su  per  la  groppa, 
Inlìn  dove  comincia  nostra  labbia. 

Sopra  le  spalle,  dietro  dalla  coppa, 

Con  r  ole  aperte  gli  giacwa  un  draco, 
E  quello  affoca  qnaluoque  s' intoppa. 

Lo  mio  Maestro  disse:  Quegli  è  Caco, 
Che  soUo  il  sasso  di  monte  Aventino 
Di  sangue  Tocq  spesse  volle  Iseo. 

Non  va  co'  srioi  fralei  per  u 
Per  lo  furar  frodolenle  eh'  e 


8.  RaaJmdu  Bitadirtn 


I 

L 


Ddl'uie,  poKÌaclii  ntr  quc 
trtpilUM  IMO  DhiaJg. 

io.  thè  «oli  Monst.  cbe  ami  bU- 
biBid,  percht  dmi  dclilMii. 

ti.  (Cfnmvrarlf  «., il'ibbniBir- 
ti,  il  elw  pii  Bm  lii. 

43.  Poi  Chi  la  mal  forw..  pntSè 
inferi  o«l  nula  operarci  Inni  anUmll, 
eoi  i  KÌitli  fmimi  ili  Cilillni,  rifug- 
iili MJl'igra  piiUitH.  Suppoaa  fiuta, 
■  biw  eniUrui  nal  ti.lga  li  lusi  l«ni- 
|ii,cki  pan  Mrli  iIfì  Piiluimiaìsceiidn- 
uroduHltirilidiCatiliiii.cKcralliiD  lo 
>  laro  dlHgnrt  eviilrn  li  pilrìi, 


Un 


ti   n'i  r«a*r(«:  < 

lì  F«ti'. 


tnitaio  . 


1 0 .  Ifiimiiiiu:  i  In  i>^  p(  InlM  del- 
la Tmub*,  hI  quale  inna  buu  ia  pia 

ptr   lo  groppa,  m  p<r  la 

'21.  nailra  tatbia,  unirà  fonila 

£2.  diXrodaSa  coppa. odia  OBCa. 

H .  E  f  nell'I  B/Toca  H.  E  quel 
(oatTuvciiabbrgnaiiualniiqBaita- 
pa.  <'inn>Bln.  con  cno  Cenlaiiro. 

SS  Quegli  i  C«a.  Quota  taoHiao 
■    ^'Virsilù 


ma  e  iada*a  Giarp  r«  dall*  filinre 
pan«H,<|ìèJaqiH4tapr*rlpiuU.V«li 
aC*iiteXIV,tcn.4eaa.£. 

le.  cht  luiB  parli  pie  ttrie,  eht 
«M  dìoi  pili  pò  rota. 


(rfT.p<  di 


nù  fari  :  per  la  qnale  nprtaniMOul* 
lo  ha  errdiilD  d'Ila  rana  dai  CanlnrL 

28  ftM  CD  to-iuà  fratti  n.  Km 
>a  ÉB  «iiuuagn>a  df|;li  aHri  CmMdì  cha 
alaniH  nal  crrrliiD  de'itulentì  ,  ptrcbt 
■gli  BtAla  Cruda  nal  rubare,  mi  II  tom. 

3D,  Tir  lo  forar  k.  Caca  r«bt  ìt 
Taccile  che  Ercnle  faiceTa  pt 
la  Ataiiliao.  »  irwBJdt  rt 


CA?(TO  TKRTESIIlOQnmTO.  467 

'  Del  grande  annotto,  eh*  egli  Mìe  a  rìcino:         so 

Onde  cessar  le  sue  opere  biece 

Sotto  la  mazza  d' Ercole,  che  forse 
Gliene  die  cento,  e  non  senti  le  dìece. 

Mentre  che  si  parlava,  ed  ei  trascorse: 

E  tre  spiriti  venncr  sotto  noi,  .36 

De*  qnai  né  io  né  '1  Dora  mio  ^  accorse, 

Se  non  quando  gridar:  Chi  siete  voi? 
Perché  nostra  novella  sì  ristette, 
E  intendemmo  pure  ad  essi  poi. 

r  non  gli  conoscea,  ma  ei  segnette,  40 

Come  suol  seguitar  per  alcnn  caso. 
Che  r  nn  nomare  all'  altro  convenette, 

Dicendo:  Cianla  dove  fia  rimase? 

Perrh*  io,  acciocché  'I  Duca  stesse  attento, 

Mi  posi  '1  dito  sa  dal  mento  al  naso.  46 

Se  tu  sei  or,  lettore,  a  creder  lento 
Ciò  eh*  io  dirò,  non  sarà  maraviglia. 
Che  io,  che  'I  vidi,  appena  il  mi  consento. 

'««cafliiiujìarc  «innclietrofino  aMasaa      dannati  traMadrì  non  per  farti  prìrati 

'Htrt ,  acciocché  Ercole  non  potesse      •  vili ,  ma  perchè  posti  nei  primi  cari- 

*'*He  e  discoprire  il   furto;  ma  le     ehi  della  Repuhblice  ne  distrassero  a 

'*erW  mogghiaodo  mero  Tana  la  fro-     loro  prò  le  rendite,  e  s'arricchirono  a 

*'^n'astato,  che  sotto  la  clsva  d^Er-     danno  poLblico.  Vedete  che  bricconi  1 

c*i«  cadde  morto.  Vedi  la  descrizione      Queste  cose,  grazie  a  Dio,  non  si  sentono 

èàUtu'm  Tito  Livio,  lìb.  I,  e.  Vili  ; 

•  il  Virgilio  stCMo,  Eneid.y  Uh.  Vili, 

Hn«  413  e  seg. 

Sf.  •  tirino^  in  TÌcinanza. 
SI.  6tere,m<>taf.,  cioè  torte, inique. 
(|nelle  parole  che  oggi  si 
esriasivamentc  in  eh€  o  gke 


Mv«MÌ  mche  in  et  o  gè  per  l'affi- 
■iti dei  4«es«oni:  cosi  direvasi,  per  es., 


'  e/f fire  in  lango  di  piaghe  e  fltiehe. 
S3  CHene  die  eento  ee.  \  uol  dire, 
étwtkXtne  Ercule  nel  suo  furore  dcase 
•  Ctc»  ccBlo  pertoase,  c(«tai  non  scoti 
U  deÓBa,  poiché  era  gii  morto  ai  primi 


S4.  ti  perfora. 


Virfiilio.  —  «idH; 

passò  oltre.  Ved 
b  «■  a  valore  di  eceo,  o  oppmifo. 

b.  K :  5|uiadi,  •  allora.  —  <re  jpi- 
HK.  Oblili  seno  Agnèl  Bmnellcschi 
^^■ÌcvÌm  U  dice  Àgtutio:  vedi  la 
«H  M^,  Bmoo  defili  Ahati  e  Pve- 
òs  Sciancato  de'  Caligai ,  tre  cittadini 
'HPMfdcvoli  di  Fireiue;  i  qoali  aon 


a'  nostri  giorni. —  wtto  noi,  cioè  sotto 
l'argine  »ul  quale  eravamo  noi. 

38  Perchè  nostra  novella,  per  lo 
che  il  racconto  del  caso  di  Caco  si  ar- 
restò, Ci>«SÒ. 

39.  K  intendemmo  fmre  et.,  e 
d'allora  badammo  pure ,  solamente,  a 
costoro. 

4 1 .  teguilar,  arrenire. 

42  Che  V  un  ee.  Intendi  :  che  al- 
l' uno  di-'oancosti  sotto  il  ponte,  conce- 
nette,  convenne,  fu  bisogno  di  Bonina- 
re  V  altro. 

43.  Cianfa.  Vuoisi  che  costui  fioiae 
della  fanit(;lia  dei  Donati  di  Firenze. — 
ditte  fia  rimato  ?  Coti  dicoce,  perdio 
Ganfa  era  sperito  trasformandosi  in 
serpente,  rome  si  ved  rè  io  segoilo. 

43.  Ui  poti  ec.  :  ouenlo  è  il  argno 
che  si  fa  per  chieder  silentio. 

48.  appena  il  mi  CMwenlo,  tppcne 
io  il  credo  a  me  slesae  ;  ovvero ,  epoe- 
oa  posso  convenire  con  me  medeumo,  cho 


il 


I  posso  COI 

fatto  da 


me  tedoto  na  vtto.  Ok  ér- 


468  DELL  nmRMO 

Com'  i'  tenea  levate  in  lor  le  cifi;lia,  ^ 

E  un  serpente  con  sei  pie  si  lancia 
Dinanzi  all'uno,  e  tutto  a  lui  s'appiglia. 

Co'  pie  di  mezzo  gli  avvinse  la  pancia, 
E  con  gii  anterior  le  braccia  prese; 
Poi  gli  addentò  e  1* una  e  l'altra  guancia: 

Gli  diretani  alle  cosce  distose, 
E  miseli  la  coda  tr'  ambedue, 
E  dietro  per  le  ren  su  la  ritese. 

EUera  abbarbicata  mai  non  fue 
Ad  alber  si,  come  l' orribil  fiera 
Per  l' altrui  membra  avviticchiò  le  sue: 

Poi  s' appiccar,  come  di  calda  cera 
Fossero  stati,  e  mischiar  lor  colore; 
Né  l'un  né  l'altro  già  parea  quel  ch'era: 

Come  procede  innanzi  dall'  ardore 
Per  lo  papiro  suso  un  color  bruno. 
Che  non  è  nero  ancora,  e  il  bianco  muore. 

Gli  altri  duo  riguardavano,  e  ciascuno 
Gridava:  0  me,  Agnél,  come  ti  mutil 
Vedi  che  già  non  se'  né  duo  né  uno. 

Già  eran  li  duo  capi  un  divenuti, 

Quando  n'  apparver  duo  figure  miste 
In  una  faccia,  ov*  cran  duo  perduti. 

Persi  le  braccia  duo  di  quattro  liste; 

Le  cosce  colle  gambe,  il  ventre  e  il  casso 
Divenner  membra  che  non  fur  mai  viste. 


70 


75 


gnifica  che  il  tenso  coatrastava  in  lui 
eoU'  intelletto,  che  non  potenclo  conce- 
pire ane  com  si  nuova,  iacIÌDa>a  a  cre- 
der fallace  la  \ista. 

49.  Com'i^UneOt  mentrMo  tenca. 

50.  E  un  serpente^  ecco  che  an 
aerpente.QnefttVra  il  Irahrunnato  Cianfa. 

51 .  all'uno,  cioè  ad  AgnèI  Brunel- 
leschi. 

55.  Gli  diretani,  cioè  i  piedi  didie- 
tro. 

W.tr'ambedue,  tra  le  due  cosce. 

ti.  s'appiccar,  t'attaccarono, s'in- 
corporarono. 

63.  Kirunnèl'àUro,  cioè  colore. 

€4-66.  Come  procede  ec.  Non  altrì- 
aanti  au  per  lo  papiro,  o  carta,  cui  siasi 
cppiccato  il  fuoco,  Tedesi  andare  ionao- 
u  alla  fiamma  |  on  color  brano  ,  che 


non  è  per  auche  nero,  e  il  color  hitian 
di  mano  in  mano  alterarsi  e  memi.—* 
Il  papiro  è  un  arbusto  egiziano,  di  dM 
gli  antichi  preparavan  la  carta. 

C8.  O  me:  lo  stesso  che 
Agnèl:  dall'  accento  qui  necesaaiM  £ 
questa  parola  parrebbe  che  noa  Um$  h 
popolare  alterazione  di  AngelOf  ma  n  il 
troncamento  di  Agnello, 

72.  duo  perduti,  ilue  insiema 
fasi,  l'uoiiiu  ed  il  serpente. 

75.  Ferti  le  braccia  ec. 
ed  intendi  :  Le  braccia,  di  qaattr*  Grti 
che  eran  prima,  si  fecero,  diventaroat, 
due  sole  Iute.  Lista  significa  wi  Inif»* 
stretto  peno  di  checchessia:  ma  qui  vi^ 
ne  trasferita  (|aeb(a  voce  a  sifoifiearo  li 
due  braccia  dell'uomo  e  i  d«e  piadi  aa 
lartorì  del  serpente. 


CAUTO  TBRTBSIMOQUINTO. 

Ogni  prunaio  aspetto  ivi  era  casso: 
Dna  e  oesson  V  imagine  perversa 
Parea,  e  tal  sen  già  con  lento  passo. 

Come  '1  ramarro,  sotto  la  gran  fersa 
De'  di*  canicular,  cangiando  siepe, 
Folgore  pare,  se  la  via  attmversa: 

Cosi  parea,  venendo  verso  l' epe 

Degli  altri  due,  un  serpentello  acceso, 
Livido  e  nero  come  gran  di  pepe. 

E  quella  parte,  donde  prima  è  preso 
Nostro  alimento,  air  un  di  lor  trafisse; 
Poi  cadde  giuso  innanzi  lui  disteso. 

Lo  trafitto  U  mirò,  ma  nulla  disse: 
Anzi  compiè  fermati  sbadigliava, 
Pur  come  sonno  o  febbre  T  assalisse. 

Egli  il  serpente,  e  quei  lui  riguardava: 
L*  un  per  la  piaga,  e  V  altro  per  la  bocca 
Fumavan  lorle,  e  il  fumo  s' incontrava. 

Taccia  Lucano  ornai,  là  dove  tocca 
Del  misero  Sabcllo  e  di  Nassidio, 
E  attenda  a  udir  quel  eh*  or  si  scocca. 

Taccia  di  Cadmo  e  d'Aretusa  Ovidio: 


469 


so 


S5 


90 


95 


'^  ffmi  frimaio  otpcUo  ee.:  ogni 

•ipHto  dell'  ODO  «  étiV  litro 

^'owttrto,  perduto. 

T7.  pertersa,  perrertìta ,  confoM. 

71.  •  tei,  «  in  tal  forma  qaal'io 

'WdamiU. 

'9  mmmrOptptnedì  locertola. — 
^frm  ftrtm:  fenm  par  derÌTato  dal 
Im.  fmm^  «  vaio  hoUore,  ardore.  Al- 
<M  k  aaaloodooo  eoo  ferzo,  lat.  fé- 
fili;  aa  io  pcaao  col  Gberardini  che  ia 
flipatroso  aia  dall'altro  diverio. 

M.  Ù^  éTeamieular,  no'gioroi  che 
iSdbèaalU  cottollaziooo  della  cani- 
•k  cioè  mI  aolliooo.  —  e4tngiando 
■ift  «.  :  aa  per  pasaare  ad  altra  tìepe 
%!!■■  la  via  ,  aeoilira  una  folgora 

Q.  r«p0,  la  panca. 

S.  M  aerpmUUo.  Qneat'  à  il  tra- 
AoMla  Fraocaaro  Guercio  Cavalcauti, 
»i  ■  ékk  all'«ltÌ0o  Terao  del  Caato. 
^tmm.  latcadi  mccuo  d^ira. 

tt.  f  fMpll*  p«rff  «e.,  cioè  il  bcl- 
■*.  par  cai  il  falò  naare  alimento  nel 


86.  all'un  di  lor,  intendi  a  Baoao 
degli  Abati. 

8d-90.  thadigliaoa.  Pur  come 
ionmo  o  febbre  l'astaliue.  Il  mono  de- 
gli aspidi  e  di  certi  altri  rettili  produce 
u  realtà  il  acono,  a  cui  poi  tnccede  la 
morte.  —  eo'  pie  fermali ,  fermo  aa  i 
piedi. 

93.  il  fumo  t'ineoiUrava^  percioc- 
ché dall'uno  passava  neiraltro  scambie- 
volmente, ed  operaTaii  cosi  il  muta- 
mento delle  natura.  In  questo  fumo 
adunque  s'  accoglie  V  intima  sostenta 
dell'individuo. 

95.  Del  misero  Sabello  ee.  Costoro 
forooo  soldati  di  Catone,  i  quali  paaaao- 
do  par  la  Libia  furono  punti  da  serpi 
valanose.  A  Sabello  per  la  puntura  si 
diatruaM  il  corpo,  che  in  breve  diventò 
cenere  :  a  Nassidio  si  gonfiò  in  modo,  cba 
la  eoraua  scoppiò.  Vedi  Lue.,  lib.  9. 

96.  ii  ieoeeoy  cioè  si  lancu  dall'ar* 
eo;  ani  par  metaf.  vale  ti  wumifuto, 

VJ.  Taccia  te.  Ovidio  nel  5^  delle 
Mtetamorf.  narra  come  Cadmo  figlio  del 
re  di  Fenicia  Agenore ,  e  (oiidt\ioc%  & 


I 


DELL   IKFGiUrO 

Che  se  qadlo  io  serpente,  e  quella  in  (oole 
Converte  poeiamlo,  io  non  l' invidio: 

Cbè  duo  salare  mai  a  fronte  a  fronte 
Non  (raamulò,  si  eh'  ambedue  le  forme 
A  cambiar  lor  materie  foaser  pronte. 

Insieme  si  risposero  a  lai  norme, 

Glie  il  serpente  la  coda  in  forca  fesse, 
E  il  feruto  ristrìnse  insieme  l' orme. 

Le  gambe  con  le  cosce  seco  stes^ 

S' spfHCCsr  si,  clie  in  poco  la  giuolara 
Non  hcea  segno  alcnn  che  si  paresse. 

Toglioa  la  coda  fes.*^  la  Ggura, 
Che  si  perdeva  là,  e  la  ^ua  pelle 
Si  farea  molle,  e  quella  di  là  duro. 

r  vidi  entrar  le  braccia  per  l'ascelle, 
E  i  duo  piò  della  Gera  eh'  eran  corti. 
Tanto  8lluni;ar  quanio  accorciavan  quelle. 

Poscia  li  pie  ditetro  ia'iieme  aitarti, 

DivenlaroD  Io  membro  che  1'  uom  cela, 
E  il  misero  del  suo  u'  avea  duo  porti. 

ungiiln  in  HTpcBlt  ;  a  Ini  !>•      ì  Ldini   dinira   ttiUgla    orr 


kidw><Mlttr>«.  P<r- 


I  cW  Ovidio 
la  Xt  ira  A, 


quella  dia  t 
Umatarìa, 


Mli  nmapBur»  gli  usi  a|li  >Jtn  «u 


4DI.I-MU,  ditlaai 

•t*aadfvrniar«)iirdi 

tu.  £  1  l^riut.  I 


lalminl. 

'  In  lorg.  che  i 

0  poco  d'ora  la 

Ii«aia 

ar.(l«rnt.ra) 

i...  »ì  i»l<» 
ani»  din,  al». 

a  ■!«»«■*; 

"^"m^ 

livaanaraur.- 

109' 

-IH.  5^^» 

(■  foi.  «t.  U 

cihIi    <( 

™nli«.    logli 

la   Usura  l«i'.(a  dr'  [ 

-,  fa. 

L,  p,iu  .il. 

itcìa  ddla  miir- 

M>-Ta 

MV  ..«una.  - 

;&"•..",!: 

dura,  n 

ualla  àAVa«B 

5erpai.lL. 

r«<.N  Mirar  Jatweù» 

Labrw 

ia  dall>>»i»  .'1 

Ib  ucall. 

riandai  par  H- 

tdni»  Il 

°e^«AÌ'^Zll 

m  dol  Wltla. 

113 

dk' (TOH  corti.  InlnJi  ì  pia 

J.^a.li, 

li  animili  toa». 

..pp^i^B.Vi 

corti  dMnVdi 

HI. 

■»dla,  cM  la  dt«U  ima» 

dall' OHI,.. 

tipilM.-ipia 

dIddMItfWt.. 

ut! 

S  U  -iui-.  . 

M  tm  --«» 

■nuia  itrt  tatilu      atto  purli  t 
;  i  pMll.  Coé      Dduliro,  DI 


CàmO  TENTESIMOQOINTO. 

Mentre  che  *1  fomo  1*  uno  e  1*  idtro  vela 
Di  color  nuovo,  e  genera  il  pel  suso 
Per  r  una  parte,  e  dall*  altra  il  dipela, 

V  un  si  levò,  e  1*  altro  cadde  giuso. 
Non  torcendo  però  le  lucerne  empie. 
Sotto  le  qoai  ciascun  cambiava  musa 

Quel  eh*  era  dritto  il  trasse  in  ver  le  tempie, 
E  di  troppa  materia  che  in  là  venne. 
Uscir  gli  orecchi  delle  gote  scempie: 

Ciò  che  non  corse  in  dietro,  e  ai  ritemie. 
Di  quel  soverchio  ié  naso  alla  foccia, 
E  le  labbra  ingrossò  quanto  convenne. 

Qoel  che  giaceva,  il  muso  innanzi  caccia, 
E  gli  orecchi  ritira  per  la  lesta. 
Come  face  le  corna  la  Inmaccia: 


il\ 


430 


126 


130 


■vtic|iBW  iwpfttti—  3rret«iie.  Te- 

^  '•  fÈt%t»  BMlamorlofi  la  pcrpctaa 

)*nfiiMliiua  dell«  norw,  cone  to- 

fn  U  ^10  il  Po«t«  :  il  srrpf ,  o  lu- 

<*1iliMj  fa  BBciubro  tirile  delle  gambe 

nati;  e  Fsome  fa  gambe  aerpertìoe 

UaeiCBe  bipartito  ;  e  co^)  nel  resto. 

III.  Memtrt  che  'l  f^tno  te.  Meo- 

te^H  foiBO  èk  il  Culaie  del  aerpe 

iI'hw, c quello delFoomo  al  serpe; 

«■i  avrpeste  genera  il  pelo  umano, 

aalrt  b  loflia  all'  nomo  cbe  diventa 

arpe  fa. 

Ut.  Uptl  «tao.  Il  pelo  per  la  su- 


iU.  £'••,  il  serpente  rbe  si  can- 
ai il  MBao.  —  V  mitro  cadde  giuto. 
L'mmB  à  alene  p<*r  terra  nella  ma 

421-123.  U  lue*rM  empie.  Sotto 
bfaai  ee.  Generalmfnle  per  qucRla 
ihanw  •*  intendono  sifnifirati  gli  oci-bi 
iBli  4c4l' nonio  che  deli' animale,  per 
kwà  gaardatura  reeiprnca  si  mutarono 
Fa»  acir  altro.  Ma  il  R*'«^tti  dice 
ée  MB  ia  fona  del  guardo  si  operava 
li  inafinniariiinf ,  ma  si  per  le  due  fn- 
■■i  carretti  cbe  a  vicenda  dall'  uno 
•iF altra  penetravano.  Lucerne  empia 
),  ascondo  lui.  sono  dettr  per 
la  piaga  delP  uno  e  la  bocca 
aada  il  fumo  asalava:  la 

Ci  ImmÌw  non  caiaarono.  ancba  dopo 
Fan  ti  Irvi  a  V  altro  cadde,  di  rima 
l' ana  all' altra,  a  d' ineofr> 


trarli  le  dna  caalaaoni,  aotto  rattiviUi 
d^le  qnali  aiaacmio  ^dna  cambiava  il 
ano  musa,  o  la  ana  fMicia  primitiva.  Può 
darsi,  dirò  io,  cfaa  la  mutua  trasfor» 
mazione  si  operasse  per  T  azione  riunita 
del  guardo  e  del  fumo,  a  che  il  Poeta  col 
nome  di  Iveeme  empiè  abbia  voluto  ai- 
gnificare  del  pari  a  gli  ocebi  a  la  aor- 
gente  fumosa  dalP  uno  a  dall'altra.  Vadi 
Uv.  9leaeg. 

124.  Quel  ck'€ra  drilio,  cioè  que- 
gli cbe  era  divenuto  nomo. —  il  tratte 
ia  ver  le  tempie,  ritirò  il  mnao  aar- 
pentino  verso  le  Impia,  aceorciandalo 
aaeondo  l'umana  forma. 

423.  E  di  troppa  laateria  ee.  In- 
tendi :  E  del  ao^erchio  della  materia  on- 
d'era  composto  il  muso  serpentino,  e 
che  venne  verso  le  tempie,  si  formarono 
le  orecchie. 

120.  gli  orecchi  delle  goie  tcem- 
pie,  dalle  goie  cbe  prima  erao  Ksee, 
da  cui  cioè  non  sporgeaoo  gK  oraocbi. 
Altri,  tra' quali  il  C4«ta,  leggono:  le 
orecchie  delie  gote  teempie  ;  e  spiegano 
le  orecchie  teparmte,  tporgenti  dalle 
gote,  come  uHko  le  nmane,  a  diflaraata 
di  quelle  dei  serpenti. 

427.  Ciò  che  non  corte  ee.  Onella 
parte  drl  muso  serpentina  cbe  naa  e»> 
irò  nella  teaU,  reato  fnofi  a  fanaara  il 
naso  della  farcia  naana. 

430.  Qìftel  ehegiaeeBOt  aioè  Paona 
€^  va  trasformandaai  in  serpente. 

432.  face,  fa.~  fciNMtcWK V 


E  la  lingua,  ch'aveva  unita  e  presta 

Priina  a  parlar,  si  fende,  e  la  forcuta 

Nflir  altro  si  richiude,  e  il  Fama  resta.  13^ 

L'anima  ch'era  fiera  divenula, 

Si  fugge  sufblHndo  per  la  valle, 

E  l'altro  dielro  a  lui  parlando  spula. 
Poscia  fli  volse  le  novelle  spalle, 

E  disse  all'altro:  1'  vo'  che  Booso  corra,  f«» 

Com'  ho  fati'  io,  carpon  per  questa  calle. 
Cosi  vidio  la  sellima  lavotra 

Mutare  e  irasmutaro;  e  qui  mi  scusi 

La  novilA,  se  Bor  la  penna  aborra. 
Ed  avvegnaché  gli  occhi  miei  confusi  <-*> 

Fossero  alquanto,  e  l' animo  smagato. 

Non  poter  quel  ruggirsi  tanto  chiusi, 
eh'  io  non  scorgessi  ben  Puccio  Sciaocalo: 

Ed  era  quei  che  sol  de'  tre  compagni. 

Che  venuer  prima,  non  era  mutalo:  *B*> 

L'altro  era  quel  che  tu,  GaviUe,  piagni. 

IS3. 1  la  fortula  AdCoItmee.  («erti  IritlpuBto  uri  btrticalui  £  l*r 
gUKrpcDle.'~nrùJ»'Hdi,  ■  iti  bollii  più  eh*  DCll'illn,  p(r  <* 
— Tttla.trtn: mftaioUiaci»-  l'uiime  g«iirji*  h*  inFtitrta  ^iul<*' 
••ulu  il  IDI)  nuapitaendi.  rit«He.  JIt<'rra  *  da  ahorran,  it0* 

— i.-j ._  •! L_.,__       jo„„  ji  aberrart.  tcdubitU  V*  ^ 

0,  rami)  in  ilirt  Bir«l«  à  iti*  v>MÌ*' 

jii  •■«•■■  


AÓ^rpartand/npufa-fii 


rie.  UXIriiqH 


>lDnB*-      uni  fiorito   Altri  hi  ipiefalv,  aUfP 
LIPuil*      rari  per  ntlUr  torra,  lupafaM- 
ÌDlH)iKl«iaiiÌ  iti  lulln  *IM  ad  iMIt. 
■nenie  llb.  BdaimgiMrU,  v<|t»iIlDaf*i. 

li  pDM  ita,  magalo,  •hiueid  dall*  •>• 

ncuro-      alUiiU,  ilopi'lalii'. 

117.  lapin  ckiuii,  linls  uam* 

1M.  Salirò  «e.:  àot  mW  d> 
vino  tono*  di  «>rp«t«  tert  Bmm  té 
bellicn.  Qmtdi  i  mmt  FnnoMetar 
eia  CeialuBli  GonicitiM,  wriw  il  ■• 
(nra  A  Vii  d'Imo  delta  Giirill*.  Htf 
piagni,  poitU  ftl  TewlelUddUBBW 


CANTO  TEIfTESIMOQUINTO. 


173 


W  Cmleaati  tmnmù  meem  nolU  dei  rAliffbierì,  oè  ertdo  che  da  tutte  1« 

noi  «liitiQti.  —  Qi«slo  ranto  delle  tra-  aDtiche  e  moderne  letterature  doìm  pro- 

(Imurinoi  è  eoo  dei  piA  solenoi  mo-  darsi  aoa  descriàone  di  ak  Wu  eri- 

natala  della  maraTigUoaa  fantasia  del-  densa. 


CANTO  TEivn»inasE9T#. 


ftr  ffi  i^trttml  massi,  «ft*  ia^fmrtmù  s€^m  m  semsétn,  rUalimm  I  Potd  sm  lo  seogUo;  ptr 

^fmmsmà»  M i»t  gimmgme  sàTMumm  Mgim,  BUm  ^Imsds  é'buuumsrmàUt  Jtnuumsllt, 

rma  MTstttm  éUtùUs,  «  9tmsmm  él  ssst  dtiuéa  In  ss  mm  psceators.  Qmuts  il  supplitlù  éi  M 
riva'*  rsUmi  émmmm  «oa  mstmti  s  fmdMsmH  tmuigti,  Mmwmsmti  dtmtn  m  ummjlammta  fortitU  W^ 
»iéi  I  CUsm,  Imdtrittm  Fìrrilia,  psr  eomfim$$r»  mtPJImmmm,  Ui  pmrUm  m  qiustuMm»^  t  me  hm 
'«Mt  éMs  smm  infsUta  iMVif  asJow. 

Godi,  Fiorenza,  poi  che  se* si  grande, 
Che  per  mare  e  per  terra  baili  i'  ali, 
E  per  lo  Inferno  il  tuo  nome  si  spande. 

Tra  lì  ladron  trovai  cinque  colali 

Tuoi  cittadini,  onde  mi  vien  vergogna,  5 

E  ta  in  grande  onranza  non  ne  sali. 

Ma  se  presso  al  matti n  del  ver  sì  sogna, 
Ta  sentirai  di  qua  da  picciol  tempo 
Di  quel  che  Prato,  non  eh'  altri,  t' agogna. 

E  se  già  fo<«se,  non  saria  per  tempo.  10 

Cosi  foss'ei,  da  che  pure  esser  deei 

I.Cediaf.  È  ^oesUno' ironia  piena     none.  Tra  questi  danni  si  possono  an- 
'ttarma  e  di  dispetto  noverare  la  ruina  del  ponto  alla  Car- 

2.  Cht  per  wuire  e  per  terra  batti  raia ,  F  incendio  di  4700  rase,  e  le  fo- 
cali*: cka  vai  famosa  per  mare  e  per  ruci  discordie  tra  i  Bianchi  e  iNen,eoae 
km.  tutto  avvenuto  qualche  tompo  dopo  l' im- 

S.  t  per  io  Inferno  il  tuo  nome     magtnata  visione, 
ii  epmée.  Perciocché  in  qnasi  tntti  i  )(-9.  di  qua  da  pieciol  tempo^  fra 

flinAf  S  eaan  s'incontrano  de' tuoi  àt-     poco  tompo  —  ^t  quei,  sottint.  aintua 
'"''  eota^  o  t' avvenimento  di  quel  ee. 

40.  non  taria  per  tempo.  Non  sa* 
rebbe  presto  abbastonza ,  mentendolo 
ta  da  gran  tompo. 

4t.  Coti  fott'ei  ee.  Intendi:  es- 
sendo fatole  che  quatti  mali  drlla  mia 
,  e  si  perversi  li  sof-     patria  accadsno,  fossero  pur  eglino  ao- 

caduti  gih  ;  perciocché,  se  ri tordano,  io 
ne  avrò  afiaono  tanto  piò  grave,  qnante 
pin  sarò  presso  alla  vecchiezza,  a  mi  te 
disavvrnlurc  sono  assai  pia  temenlal^ifi 
ed  angosciose.  Questo  spieganoon  où 
par  di  tutte  la  pin  conforme  al  cnot*- 
sto,  e  che  rilevi  un  piò  giasto  eoneetto; 


i- 


4-4.  diafsie  eoiali  Tuoi  eiUadiml: 
tqm  nnaainati  nel  canto  precedcnto. 
'-aàdir  «<  vien  vergogna^  E  tu  ee.  :  i 
fHft  sa  laa  vergogna  a  me  perchè  fio- 
iwiao  cas'aaBi,  non  fan  troppo  onore 
•  k^li  gcscn 

7.  Ma  if  prtffo  ai  mattin  ee.  Ma 
^■■••dolB  io,  che  di  qnestu  tuo  p^ 
^tm  e  morate  djs«>rdine  sentirai  in 
danni ,  danni  che  li 
nrdeoicnente  non  che  i 
teMii,  te  terre  stesse  del  tue  domi- 
^;  li  te  WM  profezia  pin  vera  e  piò 
*n%dail  sogno  che  si  fa  soIPsurora. 
^  ^  A(tts  seeeodo  nn'  antica  snpersti- 


pemucchè  in  generale  è  vensatmo  che 
la  giovrntn  ha  in  se  pio  valide  armi  che 
la  vecchiezza  contro  le  ittntwm  ^mi^W 


Che  più  mi  graverà ,  com'  più  m'  iMeSo[ 

Noi  ci  parlimmo,  e  su  per  le  scalee. 

Che  q'  avean  Èlle  i  borni  a  scender  prìu, 
Rimoniò  il  Duca  mio,  e  Irasse  mee. 

E  proseguendo  la  solinga  via 

Tra  le  scheggio  e  tra'rocchi  dello  scoglio, 
to  pie  senza  la  man  non  si  spedia. 

Aliar  mi  dolsi,  e  ora  mi  ridoglìo. 

Quando  drillo  la  menle  a  ciò  eh'  io  vidi; 
E  [NÙ  lo  'ugegno  affreno  eh'  io  duo  soglio, 

Perché  non  corra,  che  virtù  noi  guidi; 
Si  che  se  stella  buona,  o  miglior  cosa 
U'  ha  dato  il, ben,  ch'io  slesso  noi  m'invidi. 

Quante  il  villao,  ch'ai  poggio  si  riposa, 
Nel  tempo  che  colui,  che  'I  mondo  schiara. 
La  faccia  saa  a  noi  tien  meno  ascosa, 

Come  la  mosca  cede  alta  zanzara, 
Vede  lucciole  giti  per  la  vallea, 
Forse  colà  dove  vendemmia  ed  am; 

Di  tante  llamme  lulU  ri^ilcndea 

I ,  dinw  ddli 


Bi.SÌn^Jij^.l«^|  P«|.      ^  J! 


)!.,  mi  tu  d.1** 
«  nutm*  invidi,  aw 


toni,  •pifinif 
print  imi  la  ili  •■ 


ttadt  dinnntn,  tolge  II  riuln  (  Bui*,  ^» 
•la  aurals  rìfliviiia*  1  auMrita  )1 
Po<^  ilala  rHordtniadi  qurltWnA 
Doll'alla»  tKitgia.ahtora'.ppar^olit 

deiriiiiriids  (  d(i  ti[itt,  ck*  fvn  ka 


Ina,  aaJar  riil  ncilt  Iona  dal  lailri, 
Vadl  Gaal*  UlV,  icn»  70  a  h^b. 
^».  U  pie  mia  la  man  non  ri 


Jalsra  •  apatrito  in  •«Ikoia 
il.  Spthta •ntffito  » 


CANTO  TENTESBIOSESTO. 

L'ollav»  Mgìa,  si  com'io  m'aooorsi, 
Tosto  che  fot  là  Ve  H  fondo  purea. 

E  qoal  colai  che  si  vengiò  con  gli  orsi, 
Vide  il  carro  d' Sita  al  dipartir», 
Quando  i  cavalli  al  cielo  erti  tevorsi; 

Che  noi  potea  si  con  gii  occhi  seguire, 
Che  radesse  altro  che  la  fiamma  sola, 
Si  come  narolelta,  in  si  salire: 

Tal  si  movea  ciascuna  per  la  gola 

Del  fosso,  che  nessuna  mostra  il  furto, 
E  ogni  fiamma  un  peccatore  invola.  (*) 

io  stava  sovra  *1  ponte  a  veder  surto. 

Si  che  s^io  non  avessi  un  ronchion  preso, 
Caduto  sarei  giù  senza  esser  urto. 

E  il  Duca,  che  mi  vide  tanto  atteso, 
Disse:  Dentro  da*  fuochi  son  gli  spirti: 
Ciascun  si  fascia  di  quel  eh*  egli  è  inceso. 

Maestro  mio,  risposi,  per  udirti 

Son  io  più  certo:  ma  già  m*era  avviso 
Che  COSI  fQ<vse,  e  già  voleva  dirti: 
Chi  è  in  quel  fuoco,  che  vien  si  diviso 


17^ 


36 


40 


H 


60 


tt.  Ià'99  a  fètido  pmrta.  Ih  dorè 
^tf^Tr% ,  àvmin  ti  «^«vm  il  foodo. 
ai.  k  fmai  colui  ce.    In   quella 

niM  fàm  odm  «e.  ^a««ti  è  il  profeU 
...  '— '«  ■»>■■  o  ttMto  b«rref|r]fiiit« 
wm»  larM  di  pctoUtiti  fannulii ,  li 
e  al  «M»  m«li-«lirf  uarimn* 
narrhia  due  o  si  rbe 
di  que'  mmrhinHti  »br^ 
. — fi  «engiA  si  teniiirò 
SS.  Wiétii  emm»  ce.  \'uW  il  earr« 
,  «««il*  il  pntfMa  p«rtaU>  •• 
ifc»>«4uiiè  L  t«n-ra. 
sa.  ffrorai,  è  «in<f»p^  di  ìfpvroH, 
I  già  di  lcv«roiin.  co«h'  nitri  eretl«. 
S7.  Che  noi  poleo  oc.:  rhe  r«irchio 
I  p«i>v«  firn  v««lrr0  né  Elia  .  uè  il 
I,  aé  i  ewaUi .  ma  «ednra  tal*- 
r  ìm  s|ilcod«ire  ari  fiiiico. 
#,  Tmi  oc.  la  c«t'>l  \\%\-%  \  il  tei 
dal  ^ai  del  verso  S4  I  ù  «Irtta 
r«%8oo  per  X  as<-rtur«  del 
oaaraaa  cliinileTu  ia 
Miaa  eioatraTt  il 
ftlaatTa  il  pacca- 

n  Caoaiflicrì  fraadolend. 


45-44.  twrìo^  Sioe.:  ritto  ta^  piedi 
(bob  pia  carponi),  a  coti  dal  ponte 
aporgeadooii  cvUa  paraoDa  falla  bolgia, 
eM  tfc. 

45-4a.  «rio,  ariato.  —  allcfo,  at- 
tento. 

47.  Dentro  dtf  fi^otki,  deatra  ai 
fuochi ,  alle  fiamme. 

48  <f«  quei  eh'  fgK  è  liicefo,  di  qnd 
fuoeo  dal  qiialf  é  acceso. 

49  per  udirti  et.  :  doè  Parerà  a^ 
to  le  tor  p  nile  fa  che  io  sia  più  certo. 

50  m' era  ooriao,  m'era  aecerto, 
o  m'era  miniafrinato.  E  il  partie.  tronco 
del  \erbo  arvisarft  V'ha  cki  orenda 
avtrùo  p«r  luNite,  in  ««-bmi  di  opnrione. 

51  e  gùk  wUra  dirti  E  già  «CaTa 
per  di*maii«iarti  (•|a«4  rhe  segve). 

52  Chi  è  in  qnei  fmoeo  ae.  Chi  è 
ÌB  qnel  fu«ie«*  che  viime  di«bo  nella  taa 
cim4  ,  IO  quella  gniM  cbe  aarvrTa  la 
fiamm  «  d^l  rogo  di  Elende  e  dn  Poli- 
nice T  Kaccoota  Slatio  cba,  aBBcado  stali 

5>*sti  IO  «n  roedesiiMO  rafo  i  cadaveri 
ri  dur  fralrlii  nemici,  la  fiamma  bi- 
Sa  leiidfNi)  d  e«le  «e(pt>»  c«-iae  l'ocKo  loro 
arasae  anoma  dopa  la  morta 


476 


DELL*  IlfFERlfO 


Dì  sopra ,  che  par  sorger  della  pira, 
Ov*  Eteòcle  col  fìratel  fo  misot 

Risposemi:  Là  entro  si  martira 
Ulisse  e  Diomede,  e  così  insieme 
Alla  vendetta  corron  com'all'  ira: 

E  dentro  dalla  lor  fiamma  si  geme 
L*  aguato  del  cavai ,  che  fé  la  porta 
Ond*  uscì  de' Romani  il  gentil  seme. 

Piangevisi  entro  l'arte,  perchè  morta 
Deidamìa  ancor  si  duol  d' Achille, 
E  del  Palladio  pena  vi  si  porta. 

S' eì  posson  dentro  da  quelle  faville 

Parlar,  diss'io.  Maestro,  assai  ten  priego, 
E  riprìego  che  'I  priego  vaglia  mille, 

Che  non  mi  farci  dell'  attender  nìego, 
Finché  la  fiamma  cornuta  qua  vegna: 
Vedi  che  del  disio  ver  lei  mi  piego. 

Ed  egli  a  me:  La  tua  preghiera  è  degna 
Di  molla  lode,  ed  io  però  l' accetto; 
Ma  fa  che  la  tua  lingua  si  sostegna. 


6S 


6.1 


6S 


70 


54.  miso,  messo. 

56-b7.  L'Uste  e  Diomede.  Quosti 
doe  famosi  Greci  adii  ali  contro  i  Troiani 
ordirono  insieme  molte  frodi  a  danno 
duMoro  nemici.  —  Alla  vendetta  cor- 
ron ee.:  come  corsero  insieme  a  sfo- 
f;are  la  loro  ira,  cosi  ora  corron  per  la 
fossa  dentro  una  medesima  fiamma  • 
|iatìme  la  divina  vendetta. 

58.  E  dentro  dalla  lor  ee.  E  nella 
loro  fiamma,  dai  medesimi  Diomede  e 
Ulisse,  si  piange  l'in{;anno  pel  quale  i 
'JVoiani  furono  indotti  a  ricevere  entro 
lo  mera  il  gran  cavallo  di  le(|no,  dal 
cui  ventre  uscirono  i  guerrieri  che  Troia 
distrussero. 

51).  L' aguato  del  earai,  ehe  fé  la 
porta.  L'insìdia  del  cavallo,  per  cui, 
Troia  aperta,  i  Greci  v'entrarono,  ed 
Enea  coi  eompafjni  ne  usci ,  condotto 
dai  fati  io  Italia  per  fondarvi  un  im- 
pero eterno,  ed  eaaer  seme  d' un  popolo 
magnanimo  e  glonoso.  Quanto  eoocetto 
in  quanto  poche  parole  t 

<H .  Piangeriti  entro  ee.  E  in  quella 
lìamma  piangeti  pur  da  loro  U  frode 

Ser  cui  Deidamia  anche  morta  ai  duole 
'Achille  ^  perche  per  essi  fu  da  Ini,  eoe 


ilto  in  oui'lla  corte,  mandelavi  delt 

Ire  leti  per  sottrarlo  al   fai*  dhe 

V  attendeva  a  Trma  ;  ma  scoperto  per  b 


sposo,  alibandonata,  e  pei  •  Polh 

posposta.  Era  Deidamie  6glia  dì  ' 

mede  re  di  Sciro.  Di  lei  iddi 

AeJiille  mentre  veatito  da  do3Da 

occul 

madre    leti  per 

scoperto  | 
arti  di  Ulisse  e  Diomede,  lo  eai 
alla  guerra ,  e  il  fato  fu  pieno.  Dì  q[ut 
remore  nacqne  Pirro. 

63.  E  del  Palladio  ee.:  e  yì  ■  ra> 
il  fio  dell'aver  rapito  ai  Troiaoi  Peft- 
gie  di  Pallade  Minerva.  Era  fa 
Troia  sarebbe  stata  sicura  dai 
sin  tanto  che  quel  simulacro  fa 
custodito  entro  le  sue  mura. 

65.  astai  ten  priego  ee. 
quanto  desiderio  e  quanta  iostaosa  e^o^ 
coglie  in  questo  modo  iogeono  e  ÌUM> 
liare. 

66.  raglia  mille,  cioè  wmfia  per 
mille  priet^i. 

6j  .  Che  non  mi  faeei  ee.,  cbe  um 
mi  nieglii  di  aspettare  finche  li  fiiBBa 
bipartita  ec. 

69.  del  disio,  pel  gran  deaiderio. 

72.  ti  tottegna,  n  estenga  dal  pM^ 
lare. 


CAirrO  TBlVTÉllllOSESTO. 


<T7 


Lascia  parlare  a  me,  ch*i'ho  concetto 
Ciò  che  la  vaoi;  eh* e*  sarebbero  schivi, 
Perch*  e*  far  Greci,  forse  del  tuo  detto. 

Poiché  la  fiamma  fu  venuta  qoivi, 
Ove  parve  al  mio  Duca  tempo  e  loco, 
In  questa  forma  Ini  parlare  andivi: 

O  voi,  che  siete  duo  dentro  da  an  fuoco, 
S*  i*  meritai  di  voi  mentre  eh*  io  vissi, 
S*  i*  meritai  di  voi  assai  o  poco^ 

Qoando  nel  mondo  gli  alti  versi  scrìssi, 
Non  vi  movete;  ma  i*  un  di  voi  dica 
Dove  per  lai  perduto  a  morir  gissi. 

Lo  maggior  corno  della  fiamma  antica 
Cominciò  a  crollarsi  mormorando. 
Pur  come  quella  cui  vento  affatica. 

Indi  la  cima  qua  e  là  menando, 
Come  fosse  la  lingua  che  parlasse , 
Gittò  voce  di  fuori,  e  disse  :  Quando 

Mi  diparti'  da  Circe ,  che  sottrasse 


76 


SO 


SS 


90 


73.  he  eometUo,  Iw  comprato ,  ho 
Toa«lo  «dU  aia  »mU. 

74-75.  €k'  tf  tsnhktro  iehM  M 
!■»  étU§.  Perchè  adrfocrcbhcro  forte  il 
km  parian:  4'calrar  Icco  io  parola. 
La  ragaa  èi  éé  vica  faori  dal  caotcato 
wmèmmÈ».  Paata  aaa  area  rapporto 
aiaaaa  aaa  fatati  Eroi,  par  potorai  ax* 

loro  ana  ^BModa. 

ara  Grata.  fA  ahbitai  Tedato  piò 

■la  paiaa  Badi  tpiriti  l'affetto 

•  U  %mmo  Jeiraotica  favella 

farfi    parlerà.   Cook ,    per  dtare 

~     4ct  UaU,  Vesedieo  Cae- 

Hrtarrageie  df41e  tot  eoipe: 

iUr  h  éieo  (rìtpoaile).  Ma 

Im  fuc  tkimrm  fateiU,  Che 

ir  dH  9èando  mntieo.  Né 

palava  ia  eooipeato  di  eie  vaatarti 

Bcratàato  fama  eoo  alca- 

■  tara  aoai  a  alla  loro  aa- 

,  uà  iaipegaarli  coti  per  gratiia- 


■ 

d 


ad  fai  di  rartati  di  rìtpoeta.  Ila 
•  polca  hea  farlo  Virfilio;  e  lo  fa. 
7a.  mmdi9i:  è  la  primitive  lenni- 

ahe  ••  laltr  di  piaata  dal  lai. 
te.  T^mtritmi  ài  vai:  vale 
aa  ia  aicriCai  vnetra  frana. 
a2.  fli  miHvtrti,  iataodi  r  Ew^, 
ia  f  ani  araici  •  di  alila  allo  a  t«- 


blime  :  la  chiamò  altrove  alta  tragedia. 

84 .  Dove  ptr  lui  perduto  a  morir 
§ii$i.  Dova  da  lai  perduto  ti  andò  a 
morire  ;  cioè ,  dove  amarrìtoai  aodè  a 
inira. 

85.  £4»  vMigoior  come.  Finoa  Ao 
la  cìnta  maggiore  della  Samroa  bicorne 
aie  qaclle  m  ctii  ti  nasconde  Oliata, 
Bomo  piò  famoao  di  Diomede.— /lam- 
wta  antica.  Coti  la  chiama,  perchè 
molto  tempo  era  corto  da  che  Oliate  ara 
morto. 

87.  eoioé  quella.  Inleodi /Camaii. 
—  affatica^  ■R>^- 

88.  Indi  la  cima  ee.  Qaindi  dima- 
nandu  la  cima  citme  te  fono  le  lingua 
ttetta  ddio  tpirìto  che  perìatae,  ce.  Ed 
è  appunto  la  lingua  rhe  di  dentro  co- 
manira  alla  fiamma  oad  moto,  conta 
fadrcmo  al  principio  drl  Canto  teg. 

04-02.  Circe.  Famota  maga,  hai* 
Ktaima  dflia  pertoiia,  le  quale  mntava 
i  tuoi  amanti  ia  bestie.  Alcuni  Gred 
amiri  di  Ulitte  furono  ceti  tratformali  : 
per  la  quel  cote  egli  vmnto  a  Id  la  ea- 
ttrinte  con  minacce  a  render  la  forata 
primitiva  a' tuoi  compagni;  ma  praaa 
egli  tlcAto  d'amore,  c«io  ceto  Id  ti  rì> 
nate  nn  anno.  •—  gottratee  Me,  cioè 
m  teaoa  naacaalo. 


il 


Me  più  d'  un  aimo  là  presso  s  Gacto, 
Prima  che  si  Enea  la  nominas^^ 

t\k  dolcezza  di  Bgliu,  né  la  pìéta 

Del  vcrdiio  padre,  né  il  debito  amor?, 
Lo  qnal  duvea  Piioclope  far  liela. 

Vincer  poterò  denlro  a  me  l'ardure 

r.h'  l'ebbi  a  divenir  del  Diundo  esperto, 
E  degli  vìzj  umani  e  del  valore: 

Ma  misi  me  per  l' allo  mare  aperlo 

Sol  con  un  legno  e  con  quella  compagna 
Pieciola,  dalla  qual  non  fai  deserto. 

L'un  Ilio  e  l'allro  \ìdi  inein  la  S|«(:na, 
Fin  nel  Murrocco,  e  i'  isola  de'  Sunli, 
E  le  allre  che  quel  mare  inloroo  ba^a. 

lo  «'compagni  eravam  vecchi  e  lardi, 
Quando  venimmo  a  quella  Toce  stretU, 
Ov'  Ercole  segnò  li  fuoi  riguardi, 

Accìorcbè  l'uom  più  oltre  non  si  metta: 
Dalla  man  destra  mi  lasciai  SHiìtia, 
Dall'  altra  già  m'  avca  lasciala  SetU. 

0  frati,  dissi,  die  per  cento  milia 
Perieli  eiele  gionli  all'occidente. 


: 

I 


* 


92.  M  prtsifi  a  Carla,  ct<>t  prtw  di  l*±.  •  Si>i<l*i 

Gul**C(po  J'Au.u    GotlMdiktil  ìlBÌ,l>l>.  Mli,  «.W. 
nooKJiEBH.elis  m  •ILn)r  •«Blinn  t03  driirl»,  ■bt>u>.Wito. 

■tu  anlrlu  u  »ni.ntU  Caùla.  IHS  (' hk  Ut*  (  l' aU»  Snn 

tt-96    Uè  dùitaia  di  li^io  tè.  il  Ui4.lw>wa  tWIi  I'um<  l'allr*  &- 

Jr.i>.ii  i.ì  pJu  y\\.Z,t«"«^ì' r'P-  j-infi.  Hii*Sp<ii-*.<<'  '*'•- 

frìtta  it\it  ifipiilUuwu  i  hbU  dUli  i06.  travili  tKtki  t  iarélM  fa- 
ài  alluri  CMiii  •!>  t^m  runuuiia  mth»  hBf 
•5.  0ti  ttoMa p»lr^  Ai  Liurfi.  |ii«ii.l^  >l  Mi<l>i«rr.«».— (-{  al. 


tao.   miti   wtt  tur  ralla  «Mn  ui  liitt>natliMHMii  Iiokvnfd'biàl*, 

■pirla.  jUnn.  d  MnliUn*».,  pi.  .  „•>«  il  miA  4W(a  in  *[<M,  ■  8 

■pcrta,  f<ò  ipUHM.  |»Enlinini*  .lei  swiiK  Ctlpt  in  Eiin>p«.  Nat*  il  Cai* 

min  IsDiD,  |ifr  nii    ••rcblii  «Lmiia  ika  in  It-war»  ckiamud  Mig^^réi 

utiur*  laruKnilu  in  CiaiU.  i  Mm-Bi  aka  diiiJaMi  >  laiu,  ■  i  fd 

fui.  lompaiima  «  ilMai  gananl-  «  li  cnlnn»  (ha  AtandaBa  U  lk^ 
ataU  ft  fwtiHiHii,  UJlatr  \- i,  if.  HO  SMIU   Eiiielw, 

emiart*  ia  ■^llr  parala  ta«>»  gli  III  Sitla  OgRi  t  •laU*  ObK  Ak 

UltfU .  a  »  iitmmi  u  u».»  Hrtko-  Jall'Alou  •■  la  aimta  di  «ìliiltina. 
lèra<Mtkai>  .fiialU  „)  XIV  wala  III    '» frali,  ■  IraMlli :  mM*  ■( 

at  M(U  rwH«a  toLliiam.  alia  ar  Jia,  crinainila. 
•jni  or  K  Ujii'sE'»!  clu  menu  |»>tn  113   olVtrtWiUt.  <Ìat«lli^^H 


CIKTO  VEimpUMMesTO.  179 

A  poesia  Uoto  picciola  vigilia 
De'voslri  Bensì,  ch'i  del  rìroanenle,  jts 

Kob  vogliate  w^r  l'esperienia, 

Diratro  al  Sol,  del  monilo  eenu  gente. 
Considerate  la  vostra  aeaoenza: 

Falli  non  toste  a  viver  come  bruti, 

Na  per  seguir  viriate  e  conosoenia.  iio 

Li  miei  compagni  léc'io  si  acuti. 

Con  qnesta  oraijon  picciola,  al  cammino. 

Ch'appena  poscia  gli  avr«  rìlenoU. 
E,  vetta  ooMn  poppa  nel  mallioo, 
■    De' remi  EMemnm  ale  al  fólte  volo,        ^         4» 

Sempre  acquislaodo  del  lato  mancino.  *" 
Tolte  le  sleDe  già  dell' altro  polo 

Tedea  la  notte,  ali  nostra  Unto  basso, 

Che  non  sorgeva  Ator  del  marin  snolo. 
pinque  volte  racceso,  e  tante  casso,  130 

Lo  hme  era  di  sotto  dalla  lun*,^ 
Jtf.     hn  tliontrati  eravara  neiralto  paSM, 
~~ji^^    Quando  n'  ^|iji;irve  ona  montagna  bruna 

■Éb  mèinUìt  M  DDiir.   FiiiiFmo.      Krv  |>  In  Emo  rigattia  illi  UT«|  al 

Ili^lT.^fwMarir  C.>i.iMÌ«i:      MI*»!*,  allttcMiigliii*  lunii. 
■MBf liate  «  fartta  |..Vc...li  cffilia  426.  M  Ut»  mandM,  cM  iM» 

^^r^tn  urna  tt  ^«ni.  ,.<K  i  liu  i  U      pèrle  U  fiAt  Mlatlio. 
^,i„«.>i>i»l1  :...  .1,.  ..„.,  whìb-  12lt.  wriM  la  maU4,  riai,  i«  *» 

p-        r--:  .   fKIra*      Jmdirollt,  •BiJlt  BntM.— (tia» 

>  nr.  dil      itr*  InU  tu»  «.  Vii4  dire  eh  il 

■s4a  litiu  fitm  di  rtliquo  ttl\  mjar  palu  WIInlIriaBilt  irDiII  id  «Mn  fi 
rupii  fnu«  ^fi  iiiiitfo  fmifl  dfl>f«  il  «nltv  dr1l'ariit»alc  di  ^Jli  fuK* 
|icfan  di  ttdrrt  e  di  rnotirrrr  I  «ni-  ^  deirOr«*ii«  di«  il  uii^lorf  lì  bwt- 
■faiw  lin«tr(  THla  d'ibililnn'l,  cbt  ~  ti  il  eh*  npnin  rhe  iiu  pHHla 
nnaWnMi  illnn.— itinlnotSol.      riqniUn  «I  ■••«•*•«  t«u  il  pala 

Hi*  da  annlr  ib  m.lrrU.  tSU   Ciifw  collr  k.  Caifit  «II* 

Ita    la  «oKra  tnMia,   (iet  li  ri  «ri  liuuìi  plrnilaaiii  tcin.|iia  Titta 

tfàlk  dcU'BB*g*T«lr>Dalan.  il  aeiilaDle.  — Musi  nanrila. 

1M    prr  *r»a>r  rinate  (  eMa>  131.   Lo  laaw  ...  «  Mila  rfaUa 

«nM.prr  (UrKlrrdll'iniairtadtlli  lau.  BivnJn  la  Ibbi  ■nnipaitir 

TÌ>U.  a  Mia  c—aawM  dilla  oh,  aa-  cwa  *  aiuiitinata  ■  a^l'tnitlfm 


M  *ma  ari™»  pariort  a  arti'  inlrriBra ,  aanndaAl  d 

131.  Ac'fe  II  •mi.  eiat,  ia  U  Sola  li  aa.rda  a  d)  It  ■  di  «*.  lU 

M»T^Baai  a  nlali  i  aliai  caoipafai  >m  p«...  >tdrrl.  (fcr  ^Hada  Jfal* 

114.  iiJ«altÌM.  JTafKMila^  133    iif«r  alla  pMM,   mCI*   ili* 

ama  aaaiteu,  •aJ^d«lto''di  ^  iTft^K»  Jrllr  Caùao*  d'Emd*,  afe* 

pa.  fai  il  l-.>ala  chiù.  l'aH*  KBa.  (M 

tu.  Dt'rrmit  lamdi  :  nari»  arda*  r  panflHH. 
■a  i  rasi  nlaaamala,  aana  K  ali  I»  »3'I34.   wu 


480 


dell' UIFBKIfO 


Per  la  distanza,  e  parvemi  alta  tanto, 

Quanto  veduta  non  ne  aveva  alcnna.  i» 

Noi  ci  allegrammo,  e  tosto  tornò  in  pianto; 

Che  dalla  nuova  terra  un  tortx)  nacque, 

E  percosse  del  legno  il  primo  canto. 
Tre  volte  il  fé  girar  con  tutte  l' acque. 

Alla  quarta  le\ar  la  poppa  in  suso,  140 

E  la  prora  ire  in  giù,  com'  altrui  piacque, 
Infin  che  *1  mar  fu  sopra  noi  richiuso. 

eenda  delle  fertieoM  onde  del  mere. 

440.  Ailm  qmmrim  letmr  te.  Sap- 
plìeci  il  ff  del  vcrao  aolec^enle. 

AAA  eom'altrtU  piaòiue,  cioè,  eo- 
■0  ■  Dio  pieeqee.  Pere  dko  qveeto 
parola  aiaiio  none  da  ■■  eeiio  scnti- 
■mbIo  di  dolore  del  bob  arare  egli , 
meoirt  riiee,  coneeciolo  e  veaereto  il 
Tcro  IKo,  il  cbì  Bone  bob  eoa  perciò 
proferire  io  qBeeto  iBOg*.  Che  l'Ita- 
ceaee  parine  aavigaBdo  par  l'Ocoano, 
lo  dinaro  PUbìo  e  SuIìbo. 


Per  Im  disUnaa,  Una  moBtagoa  che 
per  la  gran  distaoia  à  apparÌTe  acvra. 
FofM  Tuolei  oui  accenoarc  la  monlagna 
dd  Porgatom,  che  Dante  inunagina 
neir  emisfero  e  noi  oppoeto,  e  di  cbì 
parlerà  in  fine  di  questa  Cantica. 

436.  tornò  in  pUnto:  si  sottin- 
tende la  nostra  ailegmxa.  Vedi  qnel 
che  notsmmo  si  Canto  XXIII,  verso  lU. 

458.  il  primo  tornio,  la  parta  anto- 
riore,  la  prora  della  navB» 

439.  con  tutu  l'oegat,  àoi  a  so- 


CJkXTO  VEHTESHHOSElTan. 


jtrtm/lMito  rltacms»  ti  tmm  mccMMy 
m  rUtmni  «adi*  per  pMm,  <•«••  ck«  éi^fii  mmmM  éi  Mamtmtmm.  Pnmét  Dmmi»  m 
éiifmtm  mtVuttkuètm  ééthi  ipùuu,  pngm  st^fan  U  mmm  éitmL  È  H  mmt§  GmUm  dm 
die  marrm  ctmf»  tim  dmmmmto  ftr  «a  fndmUmf»  é  sttUtimat  tmsigU» 
tufaaio  mi. 

• 

Già  era  dritta  in  su  la  fiamma  e  quota 
Per  non  dir  più,  e  già  da  noi  sdn  già 
Con  la  licenzia  del  dolce  Poeta; 

Quando  un*  altra,  che  dietro  a  lei  venia. 

Ne  Tcce  volf;er  gli  occhi  alla  sua  cima,  1 

Per  un  confuso  suon  che  fuor  n*  uscìa. 

Come  *l  bue  Cicilian,  che  mugghiò  prima 
Col  pianto  di  colui  (e  ciò  fu  dritto) 

4-2. drtfla  in  tn,  e  quela: cioè,  non      fece  dono  a  Felerìde  tiranao  di  Sieilia, 

direndugli  che  ae  alcnoo  gindiaBla  b 
flKM-te  vi  fusee  poeto  eotro,  Br-^aÌBdì 
fatto  fuoco  sotto ,  I*  BOBio  nahÌBiB 
avrebbe  uicsao  maggiti  siiBiiglÌBBti  B 
tinelli  del  bue.  Il  larenno  foco l'oapari- 
mento  sopra  l' iniquo  artrSee,  b  il  lem 
di  rame  mugi^hìò  col  pioiilB^  cioè  c^B 
grilla  dello  slesso  Perillo.  — *  •  cid  /kl 
drillo,  e  ciò  fu  ben  ginato. 


.  — •  —  — —  -.-  — r  -  <, ^..-w, ...._ 

piasi  sgttavs  né  mormorava. — Per  non 
dir  più  :  perciocché  lo  spirilo  avea  ce*- 
salo  di  parlare;  e  dal  parlare  appunto 
naaeeve  Pagitaiinne  della  fiamma. 

8.  Con  la  lieemia  te.:  con  la  li- 
cena  di  Virgilio,  che  prima  lo  aveva 
invitato  a  dire. 

7-8.  Comt'l  Ò«M  ec.  Penilo  artefice 
•tenieae  eoatmì  un  toro  di  rame,  e  ne 


CANTO  TERTESIMOSETTIIIO.  4^1 

Che  Payea  femperato  con  sua  lima, 
Slogghiava  con  la  voce  dell*  afflitto,  io 

Si  elle,  con  tutto  eh*  e*  fosse  di  rame, 

Pare  el  pareva  dal  dolor  trafitto; 
Così,  per  non  aver  via,  né  forame 

Dal  principio  nel  fooco,  in  soo  linguaggio 

Si  convertivan  le  parole  grame.  '^        a 

Ma  poscia  ch'ebber  colto  lor  viaggio 

Sa  per  la  ponta,  dandole  quel  guizzo 

Che  dato  avea  la  lingua  in  lor  passaggio. 
Udimmo  dire:  0  tn,  a  cui  io  drizzo 
•    La  voce,  e  che  parlavi  mo  lombardo,  so 

Dicendo:  Issa  ten  va,  più  non  t*  aizzo  : 
Perch*  io  sia  giunto  forse  alquanto  tardo. 

Non  t*  incresca  ristare  a  parlar  meco: 

Tedi  che  non  incresce  a  me,  e  ardo. 
Se  to  pur  mo  in  questo  mondo  cieco  r5 

Caduto  se*  di  quella  dolce  terra 

Latina,  onde  mia  colf»  tutta  reco; 
Dimmi  se  i  Romagnuoli  han  pace,  o  guerra; 

Ch*  r  fui  de'  monti  là  intra  Urbino 


4S.  CmI  ftr  mom  «mt  «e.  Itleo- 

«Mi  ff  ^OfWlf  ffWNf  (cioè  U  Mrol« 
■dia  Gammal  bod 


CiiumJì  d9  pràia  adU  fianmia  fora* 
aa  •  «M  mmàe  aacirBe,  ai  «mvertHrano 
4m  mtm  Ifaypiaygio,  cioè  ari  liogaaggio 
ed  ffaiM,  aaaia  od  ■onnorio  eoa  la  la 

44.  Httl  wrimHpio  vaia  lo  ataMO 
cfct  àa  ptimipio  o  ini  pHuri^.  La 
JalfBli  parola  a4flai|«e  b«hi  aveao  aal 
fffiarifia  via  aè  foraaie  nella  fiamaaa. 
far  aaa  aaaera  aIaU  aarora  divita  «lai 
ialo  ed  farlaola.  La  In.  <la  ani  pr»> 
wdta  è  Mia  Nidob.,  dei  Gdd.  Pai.  •, 
«7,  •  d'allri  Irati,  ed  *  più  chiara  dal- 
r  ahfa  émi^rimHpin  dgl  fmoeo,  thè  par 
«anaUa  a  dira  la  atraao. 

le.  calla  hr  aiaffio,  praaa  Q  kra 
aa^MBaala  aa  par  la  feamaia. 

17.  rf—dafi  fiiel  ftHsia,  daada 
«■M  fatala  alla  parla  taperiora  daHa 
ydla  vikraiianc  alivaa  ch'alia 
dalla  Kfifaa  la  lor  Ma- 
i,adl'aaeirddU 


20.   dke  pmU^i  wM  UmUrdo. 


Fona  la  roea  ium,  ora,  (formata  par  al- 
lÌMÌ,  come  mi  para  aiasi  detto  aocÌM  al- 
troTc,  dalla  lucodona  latina  {p$m  Jbora) 
ara  a  ^uel  trmpo  piò  apcdalmaola  dd 
dialetto  lombardo.  Se  pure  aoo  ai  vad 
qni  prender  la  parola  lMn^•ftla  0^1 
lato  teoso  d' ttelioiio,  coma  aaoad  a]i- 
ticamenta. 

21 .  non  Vaitxo,  aoa  ti  aedCo,  aoa 
ti  tlimdo.  Ovvero,  aoa  U  atostica  dar- 
▼aalaggio  con  grati  aeeaoti  porcile  piò 
dica. 

21.  9  ardo,  appara  brado  io  ^la* 
ata  fiamma. 

25.  ptir  aio,  par  ora,  ora  di  p^ 
eo.  <— >  circo,  buio. 

26-27  Ccrra  £afla«,  par  farm 
Ifaliaiui,  dHU  doUt  per  affHto  di  pa- 
trio. — onrfe  mia  eoipm  ec.,  dalla  qaala 
io  veanì  «loagipù  cdle  mie  aqlpa:  eoo 
che  acretioa  d' emere  aa  italiana,  a  aftr 
vìmoIa  e  peccato  ia  Italia ,  a  lana  pie 
ch'altro  per  amore  d'Italia. 

29.  Ch'  <><.  pmlièio  fd.  itTftmh 
U$e.,éoèét  Mooic  Feltra,  crttè  padt 
anpra  un  monte  tra  Urbino  a  la  aorgaola 
del  Tercrc.  In  questi  daa  versi  fiadir 


48» 


dell' UfFEAlfO 

E 1  giogo  di  che  Tever  si  disserra. 

Io  era  ìngioso  ancora  allento  e  chino, 
Quando  *1  mio  Duca  mi  tentò  di  costa, 
Dicendo:  Parla  to,  questi  é  Latino. 

Ed  io  eh*  avea  già  pronta  la  risposta. 
Senza  indugio  a  parlare  incominciai: 
0  anima,  che  se*  laggiù  nascosta, 

Romagna  taa  non  è,  e  non  fa  mai, 

Senza  guerra  né*  cuor  de*  suoi  tiranni; 
Ma  palese  nessuna  or  ven  lasciai. 

Ravenna  sta,  com*è  stata  molt*anni: 
L*  aquila  da  Polenta  la  si  co%'a» 
Sì  che  Cervia  ricopre  co'  suoi  vanni. 

La  terra  che  fe  già  la  lunga  prova, 
E  di  Franceschi  sanguinoso  mucchio, 
Sotto  le  branche  verdi  si  ritrova. 

E  *1  Mastin  vecchio,  e  1  nuovo  da  Yermcchio, 
Che  fecer  di  Montagna  il  mal  governo, 


30 


35 


40 


45 


iìca  la  soa  carìoaiU  dì  Mper  n«oT« 
de'  Romagaaolì,  eitendo  alato  Roma- 
gQOolo  ancor  egU. 

51.  ingimo^  Terto  la  foaaa. 

32.  mi  Untò  di  eotlm.  Mi  toccò  dal 
fOMÌto  legfcrnienir  nai  Gaoco. 

33.  qu€MU  è  lofino.  cioè  Italiano, 
a  cai  puoi  parlare,  esKcndo  dtlla  tua  oa- 
nona.   Ciè  appella   per  oppmiziooa  a 

Sari  rha  fa  detto  al  vrrao  73  e  aeg. 
ci  Canto  prcccdanto  in  propoaito  dei 
Greci. 

37.  Romagna  lua  non  é,  a  non  fu 
mai  €€.  Sempre  nel  cnure  dei  roma- 
gnooli  tiranaì  è  diicurdìa  e  mal  taleato; 
ma  guerra  aperta  qod  rra  id  Knmagna 
^nando  icaai  quaggin. — Il  Guata  leggeva 
ne  non  fu  nuii,  ed  annoiava  *  •  ne  aenta 
accento  Tale  e;  alla  nual  vocale  tal* 
volta  per  far  coot4>nio  rurecchio  p«inii 
innaiui  la  »,  come  fece  il  Petrarca  :  te 
gli  occhi  tuoi  ti  fnr  dotti  ne  cari.  • 
—  Ma  in  tal  ca«i  il  ne  altro  non  aa- 
rabba  cha  la  congiun/iona  dei  ProTcn- 
ttU  nf ,  cha  vale  la  noatra  e. 

41.  L'aguiU  da  Polenta  Prvnda 
l'aquila,  an&a  da*Puleulani,  in  Inogo 
dilla  Eamiglia  toro  cha  aigiioreggìava 
Bnvcona  a  Cervia.  In  aoaito  tempo 
l'era  aignora  Guido,  amico  al  nostro 
PoeCa.  —  Alcnni  teati  portano  là  ffeo- 


ta;  ma  l'Idea  dall' aqnìla  polenCana 
cha  ai  cova  aotto  lo  ^acioaa  ali  Raven- 
na, mi  par  pii  o^na  di  aigniScato  • 
più  poetica. 

43.  La  tarra  m.  Porik.  QHado  3 
eonle  Guido  da  Mmilelaltro  ara 
di  quella  citU,  Martino  IV 
Irò  Ini  un  eacrcito  compoalo  ia  pma 
parte  di  Kranccai.  La  àtlè  aaalH 
lungo  asaedìo,  cha  oni  i  dotto  Set, 
proKaj  finché  par  le  arti  dolio 


conte  Guido  fu  fatto  aangnii 
dei  Franerai.  Ciò  avvenne  nel  i! 

43  Sotto  U  èrameké  taréi^  emè 
aotto  il  dtiininio  degli  DrdclaB,  dbe 
avevano  per  arma  «n  letmcios  venie, 
dal  meno  in  tn  d*  oro,  e  dal  maum  m 

R'n  con  tre  lìato  verdi  e  Ire  d'eroL 
'era  allora  signore  Sinibaldo. 

4G.  S  'i  MoMtin  vecchia  m.:  laM 
Malalesto  padre  e  figliuido,  mgaeii  A 
Rimino:  ani  chiamanai  oMUlMI, enai, 
cioè  cmdeli  tiranni.  Sono  detti  4a  TAn- 
ruechio^  perchè  qnrato  cnttalU  h  è^ 
gli  Ariraìncai  dimato  al  prieae  de'llal^ 
IcaU,  che  da  qoeUo  pei  a'iiham  il  I»* 
Iole. 

47.  Monlagma:  ■ohifii 
lieie  rimineae   falto 
rìre  dai  MaUicata,  come  cape  de*fihl^ 
bellini  in  quelle 


CANTO  TOmsIMOSETTIIIO. 

li,  dove  sogHon,  fon  de*  denti  nochk>. 

Le  città  di  Leraone  e  di  Saelerno 
Coodoce  il  lioDcel  dal  nido  bianeò, 
Cbe  mota  porte  dalla  state  al  verno: 

E  qoella  a  ciii  il  Sano  bagna  il  fianco, 
Coli  con' ella  aie  tra  1  piano  e  *1  monte. 
Tra  Ciraonia  ai  vive  e  stato  franco. 

Ora  chi  ae*  ti  prego  che  ne  conte: 

Non  esser  doro  più  eh*  altri  sia  state, 
Se  1  nome  too  nel  mondo  legna  fronte. 

Poscia  che  *i  Aioco  alqoanto  ebbe  ragghiato 
Al  modo  SQO,  Tagota  ponte  mosse 
Di  qoa,  di  Ui,  e  poi  die  cotal  fiato: 

S*  io  credessi  che  mia  risposta  fosse 
A  persona  che  mai  tornasse  al  mondo, 
Qoista  fiamma  stana  senza  più  scosse: 

Ma  perciocché  giammai  di  qoesto  fiNido 
Non  tornò  vivo  alcon,  s^i*odo  il  vero, 
Senza  tema  d*  infamia  li  rispondo. 

r  Ali  Qom  d*  arme,  e  poi  fu'  cordigliero, 


483 


60 


66 


60 


66 


4S.  /te  É^émtt  MMdbto,  lai 

I,   CMt  Wf  Mi!  I  loro  f^jpou*  — 


.  CtmiuitUHomeeL  HdMnlo 

IfloaetlU  tm- 


II,  b  ab  Tmm  è  «■ 
b  ém»  città.  —  miào  ^m  fifoiCai  il 


Ckt  wmim  fmrU  m.:  cbc  CmìI- 
la  wpf  ■  UflM  del 


Sl-Si  ff  fMfa  «e.  lBln£  Gacu 

SaaM  Savi*  :  ■  ^■•lU  g«in 

i«  Ira  il  piaiM  e  il  «laait, 

fra  la  liraaaii*  «  la  bWU. 

■aaiaii  b  IfàfrM.  mm  s'è 

Sa  2al  CaaCa  1.  Mrcaè  per  cata 

a'abva  a  «  aabliU  :  il 

f  ia  af^NfOf  ca#  araipi 

abpraitraacIPi 

^riè^h  4all*arti^. 
«par  aacbrv. 


■    55.  cht  ne  eonU»  che  ci 
cIm  ci  dica  rhi  la  ae*. 

5Ì.  |»té  cA'alIri  f<a  «fato.  lat :  aa- 
gii  apirìti  pfgeedaatuaiaaia  iaUrragati. 

57 . 5«  'f  aoaia  «aa  m.  :  aaa'i  il  ooma 
taa  faccia  Iroata,  aaatraalo  aU'  oblio  ; 
cioè,  eoai  poasa  il  tao  aoaM  darara  laa- 
gaaMato  aal  aioado. 

58-59.  ra^yMalo  Ài  wod«  mo, 
cioè  fatto  il  tolito  romora  dM  fa  b  Saai- 
aia  afilala  «bl  voalo.  B  braa  «{aetto 
mgghimn  è  orodotlo  imi  frtawlo  dello 
apirìlo  alla  laBaata  rìaordaaia  d'aver 
macchiato  il  glorioaa  aao  ooom  aaa 
aa'  opera  iadegna . 

so  d<*colal/lalo,iBaadèeatalfa- 
ea,  eaai  parlò. 

SI .  ciba  mia  rÌ9pó§tm  (éU9  ae.:  che 
b  napondeasi  a  peraona  che  Coaae  per 
rilamare  al  oioado. 

parate   /laaiaia  «e.   Qaeato 
Boa  darebbe  pia  crolb;  doè, 
b  ni  tarerei. 

SS.  Scasa  Immi  «Tln/kaiia.  per- 
chè ^ue»la  itoB  TÌaiia  che  da  delitti  a 
braMara  pel  ad. 

S7  caMffffirfra.daède'frati  Fraa- 
caKaaij  che  d  dagaaa  di  corda. 


Credendomi,  si  cinlo,  hre  ammenda: 
E  cerio  il  rreder  mio  veniva  intero; 

Se  non  To.-ise  il  gran  Prete,  a  coi  mal  prenda. 
Che  mi  rimise  nelle  prime  colpe; 
E  come,  e  quare  voglio  che  m' intenda. 

Mentre  eh'  io  Forma  Fui  d' ossa  e  di  polpe. 
Che  la  madre  mi  die,  Topore  mie 
Non  furon  leonine,  ma  di  volpe. 

Gli  accorgimenti  e  le  coperte  vìe 
lo  seppi  tulle:  e  si  menai  lor  arie. 
Ch'ai  line  della  terra  il  suono  uscie. 

Quando  mi  vidi  giunto  in  quella  parie 
Di  mia  eia,  dove  ciascun  dovrebbe 
Calar  le  vele  e  raccoglier  le  sarte; 

Ciò  che  pria  mi  piarei-a.  allor  m' increbbe, 
E  penlulo  e  conresso  mi  rendei, 
Ahi  miser  lassol  e  giovata  sarebbe. 

Lo  Principe  de*  nuovi  Farisei 


liB.   CTfdendnml,  il  e 


63.  Bttrla  ilcrtdrr*e.,  < 


■MitaiB*  hTcm- 


<M»  ■Uri  wm 

pi     «gli    MBÙ, 

J>i    -U 

grò»  Prttt.  .0 

ai  Ai„  d.  p.,. 

llloBif.. 

àe.  —  aemnu 

Xpr™**'., 

■ddwooiiniBK 

.!.: 

11.  Chi  mi 

rìmUttt.:ct 

>«  mi  fece 

di»DUH  IHIfIR 

72.  f«r<, 

l.tÌBÌ.mo,   per  fuot 

«flOM- 

79.  M«urr 

DiKMc  lame,  << 

'pporr:  nenli 

r.d..  io 

(•nÌDi|  Mono. 

.1,in.m«,le 

««■eie 

fdp.  (c.  Ponm 

.  i  ut,l„  qai 

Ill«&w. 

75,  ff«.  r. 

>nm  l«H>l>u 

cndrl*.  mi . 

i'ululur 

0  nti'gn.,  ooQ  d 

■  torte  e  E«ii 

ro»,  mi 

Bj.  mi  rendei    I 


J,  ,u.„a»  I 
obMI..  . 


BipiilirA   •*(•(■■ 


7«.Ck'<|Antfr..-clialil>m>dill« 
'         )l.  C«far  fe  rrl«  te..-  dot,   l>- 


i«rc.tnl«>de<ttBaak 
<utiFafÌKÌ.iÌùma 
rcliliddU  Corta  Ri> 
miglieBU  dà  PariMi 


GAino  TKlfTESIlfOSETTlllO.  | 

Avendo  guerra  presso  a  Laterano 
(E  non  con  Saracin,  né  con  Giudei; 

Cbé  ciascoo  ano  nemico  era  Cristiano, 
E  neseono  era  stato  a  vincer  Acri, 
Né  mercatante  in  terra  di  Soldano), 

Né  sonflno  nficio ,  né  ordini  sacri 

Guardò  in  sé,  né  in  me  quel  capestro 
Che  solea  far  li  suoi  cinti  più  macri: 

Ma  come  Costantin  chiese  Silvestro 
Dentro  Siratti  a  guarir  della  lebbre; 
Cosi  mi  chiese  questi  per  maestro 

A  guarir  della  sua  supertùi  febbre: 
Domandommi  consiglio,  ed  io  tacetti. 
Perchè  le  sue  parole  parver  ebbre. 

E  poi  mi  disse:  Tuo  cor  non  sospetti: 
Finor  t' assolvo,  e  tu  m*  insegna  fiire 
Si  come  Penestrino  in  terra  getti. 

Lo  ciel  poas'  io  serrare  e  disserrare, 
Come  tu  sai;  però  son  duo  le  chiavi, 
Che  il  mio  antecessor  non  ebbe  care. 


185 


90 


«5 


100 


i05 


•e.:  iTMiclo 
eoi  ColoQDcti,  i 
•  Sta  GioTanai 


i 


9  mttmmo  m.  :  •  ocmno  d«ì 
■,  ràsrfiU  U  fc«i«  erifii*- 
M,  OTB  Mate  ad  «iHignart  Acri  io  com- 
ftfài  ^Saraeni;  «  Bca«aBo  aTCTt 
racila  ai  Sararaai  aMilenaii,  par  iTÌdità 
41  faalagaa,  vattavaflio  e  praTrigiooi. 
Va  la  aaa  gaaiia  era  eoi  Meli,  coi  figli 
Mai.  Vadi  ^aaala  bratta,  qatnt'aaipia  I 
9I<«91.  Jfè  aoaiaio  ufieio  ae..*  aè 


^  alla  propria  difoitii  poa- 

ìértàt^mè  agli  ardtn 


lini  Mcn,  oè  a  fMal 
al  cordooa,  all'abito  di 
Sm  Pfaaeaaca,  dd  aoala  io  ara  Tcatilo. 
n.  U  tmm  Hmtt  t€,:  cioè  i  frati,  Ì 
^adi  A  Mal  aardaaa  n  dafooo.  — 
pie  WÈum,  par  la  coaCiaaa  oiortifiea- 
b«aa  dalla  caraa  a  aar  l' ewrcixio  della 
«irta,  di  cai  ^mtììù  a  sìoibolo. 

Mm  aawi  C9$imUÌM  ee..*  eoaM 
San  Silveetra  papa  (il 
eaiCa  aalla  cavaraa  did 
I  firaUi,  a  Saratta,  fr  fogiira  la 
■8ia«a  rfac  bccvaei  ai  Crialiaai) 
ilatb*  dalla  lebbra  il  gaanMc,  awl  ac. 


Onesto  paragona  par  il  dagolara  aaii- 
tratto  delle  idee  eoa  induca,  rieiea  aaa 
satira  aeutiaima.  Del  rarta,  lebbra  a 
Uèbr§  diesar  gli  antichi  al  aiagolare, 
coese  portm  e  porte,  9emm  a  vena.  Mia 
a  «sfe  sa.;  onde  al  pldr.  le  porti,  la 
aeii<  ee.,  eòm'oggi  dicesi  «atlaa  vefie, 
«eaieiUa  e  tewtento  ed  altri. 

96.  wutettro,  in  antico  era  siaam- 
no  di  «e<iteo. 

97.  deUm  tua  mporbm  fèkèro,  deb 
dalPodio  roiirtale  rbe  egli  portava  ti  €»> 
lonnrsi,  g«'nersto  ds  superbia.  —  Ffè* 
bri  eoa  dhienule  da  Ssnt'Ambrogio  la 
sregolate  passioni  :  ftbrit  nottrm  tupor- 
bia  r/f .  febrit  noitra  tuKwrim  e§l,  oc. 

99.  ebbre,  cioè,  da  briaco  ;  da  «amo 
faor  di  ragione. 

\ù\.  Finor,  fin  d'ora. 

402.  PenaslWiM.  la  terra  di  Presa* 
ale,  og^  dilaniala  PoUttrimm,  Papa 
Bonilasio  aveva  InagaaMnta  aawdiala 
invano  ^aeaU  fartcna  ;  par  lo  cba  M 
dispose  ad  averla  per  inganno. 

405.  ChoUmio  omìommr.  Papa 
Cdestiao,  che  non  ebbe  aara  qadla  balla 
cbiavi ,  avendo  rinnniiata  la  teda 
filicele. 


486  dell' iRTEBlfO 

Allor  mi  pinser  gli  argomenti  gravi 
Là  Ve  '1  tacer  mi  fti  avviso  il  peggio, 
E  diali:  Padre,  da  che  ta  mi  lavi 

Di  quel  peccato,  ove  mo  cader  deggio, 
Lunga  promessa  con  1*  attender  corto 
Ti  farà  trìonfer  nell*  alto  seggio. 

Francesco  venne  poi,  com*  io  fu*  morto, 
-Per  me;  ma  un  de'  neri  Cherubini 
Gli  disse:  Noi  portar;  non  mi  fiir  torto. 

Venir  se  ne  dee  giù  tra*  mìei  meschini , 
Percliè  diede  il  consiglio  frodolento, 
Dal. quale  in  qua  stato  gli  sono  a' crini: 

Ch*  assòlver  non  si  può,  chi  non  si  pente; 
Né  pentere  e  volere  insieme  poossi. 
Per  la  oontraddizìon  che  noi  consente. 

0  me  dolente  1  come  mi  riscossi, 
Quando  mi  prese,  dicendomi:  Forse 
Tu  non  pensavi  ch*  io  loico  fossi  ! 

A  Minos  mi  portò:  e  quegli  attorse 
Otto  volte  la  coda  al  dosso  duro; 
E,  poiché  per  gran  rabbia  la  si  morse, 

Disse:  Questi  é  de*  roi  del  fuoco  foro: 


110 


f» 


110 


m 


(06.  gii mrgomumti  jrmti:  gli  ir- 
fomeoti  «atDre«-«li  ;  oob  ìb  tè  medai* 
mi,  BM  ìb  ^Bantorbè  ««niviBB  4«Ua 
bocca  del  tomlBo  pontrfiee. 

107.  14  'M  7  tioetr  m.  lotcnai: 
mi  pimer,  n' iadanero,  ■  pariarr. 
dappoiché  il  lacar»  bm  fk  «trrifo,  mi 
parìre,  che  foese  il  p«'K(nor  iMirUlo,  • 
per  la  diaabhìdieata  al  capo  della  Chi»* 
•a,  «  per  il  pericolo  a  cai  io  poteva  «•- 
aere  «poeto. 

440.  Mjmnga  prowuum,  proBMtler 
molto.  —  co»  i'aUèmder  corto,  cob 
mantener  poco  o  ooila  la  parola  data. 

4H.  trionfar,  òoè,  de'Coloano- 
ii.  Poiché  il  conte  Goido  già  fattoai 
de*  Frati  Minori  ebbe  conaigliato  Boni- 
faiio  di  prometterò  aaaai  e  di  OMole- 
■ar  poco .  il  papa  Gnae  di  euer  mooM 
a  pietà  de'ColoBoeai,  •  fece  loro  aapcra 
che,  ae  omiliati  ai  foaaaro,  avrebbe  mt* 
donato  loro.  Voaoti  a  Ibi  lacnpo  anB- 
Iro  cardJBaU.  amiloMnlo  chianModod 
paecatori  •  domandeodo  perdoBO,  fa* 
rooo  coaforlati  di  ogni  buona  iperaBia, 
ma  COB  questo  cba  deaaero  Prenetla  ia 


e1  papa  ;  3  jaala,  ^aicU  lUbe 
I,  feccia  diiure  a  nediBcaraBd 
Cita  del  Papa. 

etico  VCMW>«*  JnPr 


Baao  del 
ottenota, 
piano,  Bi>ffliaandola 

412-113.  fi 
«la.   San  Francesco  vana* 
dermi. 

115.  Bwtebfnl,  servi. 

i\7.DalqmmUinqmm,imfm^^ 
camiglio  d4tu,  sino  ad  ora.  —  alali fK 
sono  •'  crini,  cioè  1*  ho  aampra  taails 
pe' capelli,  Tho  ovato  in  nio  potare. 

449.  peniert  t  volerà:  panini èà 
peccalo  e  volerlo. 

424.  comemlrisrocal.  GM, dal* 
rìnpnoo  in  coi  s'era  riposala  di  fBslh 
blsa  aasolBfioae  del  papa.  Altri  «ode 
no  si(*niBrata  ouella  arooaa  asatafialf 
che  produce  nelle  membra  ■■•  aabili 
paura. 

423.  Tm  non  p9n»&ti oe.  T^  sai  < 
saresti  mai  aspettate  ch'io  faari  ih  basi 
logico,  a  sapetei  far  si  balla 

427.  M  fmoeù  /toro.-  M 
che  farà,  che  nasconda  agli  aaaki 
gli  spirili  che  tormcala.  vedi  9 
prec.,  versi  41-42. 


CANTO  YKIfTESIIIOSETTIMO. 


4  SI 


Percb'  io  là  dove  vedi  son  perduto, 

E  A  vestito  andando  mi  rancuro. 
Quand'egli  ebbe  il  suo  dir  cesi  compiuto,  13C 

La  fiamma  dolorando  ri  partìo^ 

Torcendo  e  dibattendo  il  corno  agate. 
Noi  passamm*  oltre  ed  io  e  il  Doca  mio 

Su  per  k)  scoglio  infine  in  su  1*  altr*  arco 

Che  copre  M  ^so,  in  che  si  paga  il  fio  i'>5 

A  quei  che  acommettendo  acqnistan  carco. 

tato  mai  peiwlrar*  u  mistero  di  corte 


4  29 .  Vfflito,  cioè,  il  raTToho  in  que- 
lla BafliBM. — Mt  rmciiro.soflro,  poso; 
•MOTO  où  rammarieo.  ATTortirè  i  noTO- 
Bi  a  Boo  crederò  istoria  H  colloquio  che 
m  qveato  Canto  ai  legge  tra  il  conte  Ooi- 
do  e  popò  Bonifano.  Vm  naa  mera  in- 
▼OHMMO  dai  neBici  di  qnal  ponteico, 
b  ^■>b  piarqna  al  Poeta  aegniCaro  o 
fOMM—onto  abbellirò,  tema  troppo 
cara»  dal  Toriannile;  ooneioiaiaèliè  oè 
papa  Boaifano  foico  tale  da  a?ar  biao- 
mm  di  qMÌ  anggerinenti  dal  conte  4hn> 
do;  né  il  conte  Guido  rou  aemplico  da 
cwiloia  Talida  l'aatoluiione  d'un  pe^ 
màm  da  larù,  né  tampoco  lecito  il  tra- 
fir  F  parate  o  la  coaciema  per  limora 
od  naMfVo.  E  ioaimcotc,  quando  tutto 
db  tea  «fvaaalo,  neanao  avrabbo  po> 


di  tanto  obbrobrio  por  l' una  jwrte  e  prr 
l'altra.  Laonde  il  llnraton  scnste  su 
tal  proposito  :  •  Probroti  huiut  faci' 
norù  norralitmi  fldem  adjungere  n». 
«IO  probut  «elil.  qmod  faeiii  confinx^ 
fimi  BonifaeH  mwmli.  • 

153.  posMumn'  oUr§,  andammo 
ataoti. 

435-136.  fi  pmgm  ii  fUt  À  quti 
cbo  ncemmeflMulo  re.  Si  db  la  de- 
bita  pons  a  quei  che  jconwicl/eiufo , 
disunendo,  cioè,  gli  animi  congiunti 
per  vincolo  di  netnra  o  di  anùeifia  o 
simile,  «e^iittlatft «orco,  ai  fan  debi- 
tori alia  divina  giuslizis;  ovvero,  ag- 
gravan  d'  uà  gran  aarico  la  loro  co> 
scienza. 


CJlIVTO  TEmrESIMOTTAVO. 


M  étfwnm  mi  antUU  i^mmt»»  étUm  momm  ^atgim,  éom 
0  éi  fHigwM  émrummi  mHI'  umtamm  fmmmgtui.  S»mm  «i«i 

>r«.  I»  fturi»,  «MM  mrmmm  me  umru  «  M  rumtémi 
m  «fftM/CM/v.  St  rmgmmm  et  Mqi  pénmmmggt  tkt  /a 


pmmm  i  ammbtMfH  di 


rm  mgtme  m  tuumoié  di' 


Chi  porìa  mai  pur  con  parole  sciolte  . 

Dicer  del  sangue  e  delle  piaghe  appieno, 

Ch'  i*  ora  vidi,  per  narrar  più  volle? 
Ogni  lingua  per  certo  verria  meno 

Per  lo  nostro  sermone  e  per  la  mente,  6 

5.  Per  lo  no$tro  termnmM  :  spie- 
gano alcuni  :  per  ca(;ione  dell'  idioma 
nostro  volgare,  non  sufficiente,  povero. 
Io  però  intemlerfi  più  largamente: 
Per  la  natura  stessa  dell'  amano  lin> 
gnaggio,  che,  pin  o  meno,  resta  sem- 
pre addietro  all'intelletto.  E  consuona 
cnn  quel  che  Dante  stesso  scrisse  nella 


I.  Cbl  porla  mot  jmr  ee.,  chi  po> 
trabba  mai  anche  con  parole  BdolUt  cioè 
sciolte  da  metro ,  ancne  in  pmsa,  in  cui 
il  paaaiaru  ■  spande  tanto  più  libero  ec. 
i.  Ch'i'orm  vidi.  Giungendo  sulla 
Boaa  bolgia.  —  f€r  narrar  pia  9oUe, 
aacbo  rÌMeoadoai  più  wlte  a  raccontar 
la  coaa  fm  viepiù  awtterla  in  loca. 


e  hanno  a  tanlo  comprender  poco  Sono. 
Se  s'  adunasse  ancor  tatla  la  gente. 

Che  già  in  su  la  fortunata  terra 

Di  PngAia  Tu  del  suo  sangue  dolente 
Per  lì  Romani,  e  per  la  lunga  guerra 

Che  dell'  anella  Te  si  alte  spoglie, 

Come  Livio  scrive,  che  non  erra; 
Con  quella  che  fenlio  dì  colpi  doglie. 

Per  coDlraslare  a  Roberto  Guiscardo; 

E  l'altra,  il  cui  ossame  ancor  s'accoglie  -9 

A  Cepersn,  ii  dove  Tu  bugiardo 

Ciascun  Pugliese,  e  là  da  Taglìacozzo 

Ove  senz'  arme  vin=«  il  vecchio  Alarda; 
E  qual  forato  suo  membro,  e  qua!  mozEO 

Il  Sìc^ì*  t  il  Pegli*,  ddle  quUmni 
Alofin  impcnloR  di  CniUDIianf  nli  m 
lilla (ignorc.  Gii  ■nane  uJ  tUTI 

t  S  E  r  cUra  «e  E  md  i{D<trilin 
gfnlt  tti«  perì  n»1li  piiinfl  btUft^tit  in 
Munrrcdi  re  di  rngiii  e  Sicilia  mCuii 


r  tHletlefliim  fAdemiu,  quilnu  i 
d  mttaiit  duiHil .  •  —  (  per  la  ih 

6,  poco  imo.  pou  upuilh  :  la  li 


9-12  /u  dd  iUfl  fonrfur  dnhnit 
Per  II  RoMMl.  cia«  >1  dnlH  dille  tue 
ferite,  a  del  ito  iingoc  >n>na  dai  Ro- 
miD>  nrlle  urie  (^rrre  che  (ersn  In 
loro.  Vtdi  I.  Siorìi  B'>n»Qi.  —  per  la 

Belli  i,Bile  la   t.ll*  ilrigx  de'Uomaai 

d*l1e  din  dei  uVil^'rìV'tao'bJle  o't 
iHAndè  ■  ClrtJi^ne  pur  ■egna  di  vìILoHa 
ir>  nocgi*  •  oi™o ,  "eroBie  eonU  Li- 
vie.  •  rui  dil  Poed  ri  ik  qnl  lode  di 

18.  re*  furila  :  riot,  »({  diliHHM- 


iFuruae  {[li  «Ericoltori  spin*  pe'ciB- 
pi ,  «,  •rcondo  il  ntlonH  lan,  qattfc 
unno  che  >aiia  di  Crnliiai ,  i»  rueil 
gano  e  npnngono  io  itoelefaa  u»  ani' 
(ero.  —  U  don  fu  iHgiaria  te.fMtt 
deve  «etti  de',„i«,p,li  V.fi^  A, 
■.e>n  gigrelo  fede  *  Uintredì,  VA- 
l,ii>dnD.r»>e  ,  e  li  delterv  .  tM». 
IT.  ia  Tagllaetiise,  pnae  n|K» 


«d.» 

Wlandere 

»re< 

1. 

RenleUnol- 

tìl«IÌH  d.'S.r» 

■e 

Hoberlo  Gvi- 

wu4* 

lnl.ll« 

«   H 

rd»  duu  di 

Notaiadif,  eoe 

*' 

I.  Dee  Mni'anne  ei 


Dipese  del  Ir«la  re  Miatredi.  — Jj 
<b.-  «lirdn  di  Velieri  »t.lÌM  ti 

UKnintiElikrfCoHo, 


dvuD  iirìDiinicn,rbe  di«t>nUa«l«  ad  <^ 
eeulo  era  e  inieu  ■  far  boi^H.  brft, 
hcubiId  il  eowglie  diinglì    ttt»  e«lh 

CerradiRo:   e   perete   ani   d  «lice  A* 

llerdn  viue  «ii'irn.e.  Pb  ad  IKt. 

«9-21.  j;  fiiol  forato  te.  8*,  i* 


CAIVTO  TEFrTESIMOTTAYO.  489 

Moflfaraflse,  d'aggnag^r  sarebbe  nalla  so 

n  modo  della  nona  bolgia  sozzo. 
Già  veggia,  per  mezzoi  perdere  o  lalla, 

Com*  io  vidi  DQ,  così  non  si  pertugia. 

Rotto  dal  mento  insìn  dove  si  trulla. 
Tra  le  gambe  pendevan  le  minugia;  25 

La  corata  parevate  *1  tristo  sacco 

Cbe  merda  fo  di  quel  cbe  si  trangugia. 
Mentre  cbe  tutto  in  lui  veder  m*  attacco , 

Goardommi,  e  con  le  man  s*  aperse  il  petto, 

Dicendo:  Or  vedi  come  io  mi  dilacco:  9 

Vedi  come  storpiato  é  Maometto. 

Dinanzi  a  me  sen  va  piangendo  Ali 

Feaao  nel  volto  dal  mento  al  ciuSetto: 
E  tutti  gli  altri,  cbe  tu  vedi  qui, 

Seminator  di  scandalo  e  di  scisma  35 

Fot  vivi,  e  però  son  fessi  cosi.  (*) 
Un  diavolo  é  qua  dietro  cbe  n'  accisma 


fial«,  •  ■Mfriwi  chi  m  mo 
trafonto ,  chi  moaoigmrtbbé 

#  ifViMf liart,  Mrebbe  oalla 
■M»  d'c|MflMrc;  mod  n  p<^ 

re  eoa  ciò  rappreMUtar» 
•chifaaa  ad  ambila  dalla 

C4à  «ffia  ee.  CattinÌKi: 

•aa  ai  partapa  ««yyte  (bwtla) 

eoili*)  Mtuii/ (la  parta 

la  dioaiui  dalla  bolle) 

|b  parla  di  awA  (ood<i  dia  «la 

•  dilhdd  mrnnW),  cmHevidi 


n#«  9wUo  (spaccato)  dai  wu%l9  M- 
4aw  ai  Irà/la.  4 


r»ia 


la,  ciaè  Sno  dova 
^ara  chiaaa  ocll'iotcatioo. 
£a  mrmtm  pmrttu,  ti  vadea  la 
.  — -  fritto,  lorda,  felenta. 
ém  Imi  9«éir  m'mUaeeo,  ni  af- 
li  aadi.  EapretHoae  torta,  vara , 
Slacula,  coaciaMÌarliè 
«a  cba  l'adcuonc  dalla 
alP  ahirtla  cha  fi  coolnupla. 
.  Macca.  DUmrtmn  %alr  aprirà, 
la  lacdM,  Ir  coiea  ;  ^oi  figara- 
'  ;  perriè  iateudi  :  vaA 
m^.  ,jaM  aoao  liilla  aparto 
■al  vcalra. 
l'arff  CMW  atorptoto  re.,  cioè 
r  ègaaito  aalla  ONiubra  Maometto. 
Xaaawtto  parto  di  to  Bcdcsimo. 


Qoacl'  impoatora  nae<pia  alla  Mecca  nel 
5tì0,  mori  a  Medina  nel  653.  Rimana 
di  lai  00  famoco  libro  detto  il  Koraoo, 
cha  eoaliena  la  eoa  Ic^  a  la  soa  reli- 
gione. 

52.  J/i,  genero  ad  apoetolo  di  Mao- 
flwlto,  portò  dopo  la  morta  di  lai  molli 
cembiameoti  o«l  borano,  ad  è  oggi  ve- 
•erato  coma  capa  di  ona  ealto  di  Mao- 
BctUni. 

55  icandmio,  sto  qoi  per  disewdto 
o  scompiglio.  ~  tciima  è  dal  greco,  • 
vale  srìiitura,  dieaidio,  aM  par  lo  piò  ia 
cosa  di  religione. 

(*)  Seminatori  di  scandato,  di  sci- 
sma e  d'ereftie. 

56.  far  viti,  cioè  fnrooo  maitra 
TÌsaero.  Aironi  Codici  :  far  tmiii.  •— > 
Ognun  vede  cbe  chi  diviM  gli  animi  dia 
creo  fatti  per  essere  uniti,  chi  ruppe  to 
aailk  rdi.'itiM,  o  la  civile  eoneordia, 
■Mi  ita  bene  d'esMr  diviso  e  mtto  nella 
itetse  sue  membra.  Questa  diviaioDa 
pare  a  malilanento  jproceda  qoi  aao 
molto  regitls  e  giuilino. 

37.  cccicaM.  Dicono  alraai  dM  «e- 
cùiaara  e  latto  da  scùiaa  a  cha  vato 
fendere,  t<|u«n-iare.  Ma  in  pacato  caso 
parrebbe  elie  si  dovesse  leggere  asci- 
fina;  e  roti  di  falli  l«gc*  il  Cod.  Caet. 
Ma  occÙMara  derida  dal  pro^eomU 


Si  crudetmenle.  al  taglio  della  spada 
RimetieDdo  ciascaa  di  questa  ritma., 

Quando  avem  volta  la  dolente  =<trad3i 
Perocché  le  ferite  son  richiuse 
Prima  eh'  altri  dinanzi  li  rivada. 

Illa  tu  (Ili  ^'  che  in  su  lo  acoglio  muse, 
Forac  per  indugiar  d' ire  alla  pena. 
Ciré  giudirala  in  »u  (e  lue  accaso? 

Kè  morie  il  giunge  ancor,  né  col]a  il  meda. 
Rispose  il  mio  Maestro,  a  turcnentatlo; 
Ma,  per  dar  lui  <aperienza  piena, 

A  me,  che  morto  son,  convieo  menarlo 
Pur  lo  Jukrno  quaggiù  dì  giro  ia  gira: 
E  qnesto  è  ver  cosi  com'  io  li  paria- 
Più  fur  di  cento  che,  quando  I'  udirò, 
S'arreslaron  nel  tassa  a  riKuardarini, 
Per  maraviglia  obliando  il  martiri]. 

Or  di  a  Fra  Dolcin  dunque  che  s' armi, 
Tu  che  for^  vedrai  il  sole  in  breve, 
S'egli  non  vool  qui  tosto  seguitarmi. 

Si  di  vivanda,  che  strclta  di  neve 
Non  rechi  la  vittoria  al  Noareiie, 
Cb'  altrimenli  arqui^lar  non  Miril  Iwo. 


i 

u 

É 


SK-Si.  ai  lo^ù  érlU  $p»da  Hi-  ii   Fra  IMtl<t  K-mla  wHìm.  8 

diaoBUB  Punì ^um*  |i*n4li  piKtiHH      nib*»li>pwin>k>iriB|Mi,tBitian4iM* 
dilli  grra  pjtiii,  jan   f*  ^j«^{,      un  hmuiIì  iW  Nan«TH.  tpf1»al»  S 


CATETO  T£HT£S1II0VTAV0.  4f4 

Vokhè  rim  {mó  per  girsene  sospese, 

Maomello  mi  disse  està  parola; 

Indi  a  partirsi  in  terra  lo  distesa 
Un  altro  che  forata  avea  la  gola 

E  tronco  il  naso  infin  sotto  le  ciglia,  65 

E  non  avea  ma  che  an*  orecchia  sola, 
Restato  a  riguardar  per  maraviglia 

Con  gli  altri,  innanzi  agli  altri  apri  la  canna, 

Ch*era  di  fuor  d'ogni  parte  vermiglia; 
E  disse:  0  tu,  cui  colpa  non  condanna,  70 

E  cui  già  vidi  su  in  terra  latina, 

Se  troppa  simiglianza  non  m*  inganna. 
Rimembriti  di  Pier  da  Medicina, 

Se  mai  tomi  a  veder  lo  dolce  piano, 

Che  da  Verrello  a  Marcabò  dichina.  75 

E  fa  saper  a*  duo  miglior  di  Fano, 

A  Riessa  Guido  ed  anche  ad  Angioleno, 

Che,  se  T  antiveder  qui  non  ò  vano, 
Gii  tati  saran  fuor  di  lor  vasello, 

E  maz7.erati  prosso  alla  Cattolica,  so 

Fer  tradimento  d*  un  tiranno  fello. 
Tra  r  isola  di  Cipri  e  di  Maiolica 

Cioè  M  Fra  Dolcino  avoM      Cagnaso ,  oooratìaiìnii  fH^NMMoi  dì 
4k  «ivari,  «na  aarrbL*  lieva      Fan*,  i  aoali  «U  Malalntiiio,  aMllartlo 
■•vartaa   1'  avcroe  U      tiranno  di  Kimim»,  lii«iiiffati  a  «mira  a 

parìammlo  cim  lai  alia  Cillidica,  tarri 
fwtr  Adrìaliro  Ira  Riniini  e  Faaaro ,  n 
p«iaero  in  viaggio  prr  mar*  \  «  qaaado 
lurtHMi  giunti  {ireMKi  la  Catlnlira ,  dai 
cimdiitkiri  della  na^a,  acruiido  che  il  ti- 
ranno avea  ordinato,  forano  aoBtgali 
nd  mare. 

70.  vasetto,  vaareflo,  aiTt. 

80  maztn'ati,  afTofjati  io  nnrt. 
Mazzera  diciin!ii  quelle  pietre  chi  rf 
■Udcran»  alla  Inniiara  f)i  «oi  il  varl^ 
MOSMTore,  gettare  alenilo  IO  Baaracoo 
Boa  pietra  al  citilo 

82  Tra  r  iaf>l«  éi  Cipri  èe  Gpro, 
ionia  drl  Mniliiirranco  la  piò  orienlaU. 
Maiotiem .  Mamnea  ,  la  maggiore  dello 
l»ii|r  Balfan.  che  «onn  le  pia  orcidco» 
tali  del  Mi'dilrrraneo.  Perriò  intendi: 
da  una  iMri'Uiila  all'  altra  dc^Uediter» 
raneu.  Nelluiiii  mm  vide  mai  cooimei- 
tere  falli»  m  grande  ne  da  rnmli  oè  do 
gente  mrgotira,  rine  greca,  che  acmpiV 
tuoi  coi»i'ggi«r«  pel  Ueditcrrtnco. 


O.  fii^«p«rflrrie^.Qnfndi,at. 
ftoo  A  faggini,  pi4ie  a  lerm  il  piede  sik 
i|awMrca«pi«r«ilpa*aa  incuoiiiieialo. 

ea  ■•  cào ,  pia  rlie ,  «e  ano  cha. 

iS.  mmmM%i  agii  mttri,  pnm«  d»> 
fi  ollrì.— Apri  tmemnmm  ee..  «oè  la 
|oU  che  aro  di  fuori  ioMO- 


Tl.  fa  tarmo  teMna.  in  Iiolio. 

n.  Fior  ém  Mfdieimm  Lo..  doHo 
lMiodiS*4«ìno,  pnala  uel  territnnodi 
U^^a.  3  ^aolc  a«nima  discordia  fra 
A  mmmim  drllo  ano  teira,  e  tra  Guido 
diF^ealo  e  Malale^tion  da  Kiiiiim. 

T4.  lo  émirt  pimnn,  eii«  U  pianoro 
é  Lanhardio,  cW  dal  dialrHtu  di  Ver^ 
oA  noi  tratt*  At  doecrnto  e  pia  miglia 
«Mw.  m  obbaaao,  buon  ITarcoAd. 
ortHI*  aggi  dtfUvlIo  prwaii  lo  uianoo 
oao  d  Pb  BOrtlc  lor«. 

7t  m' éma  migttor  éi  Fano  :  mr». 
Mr  Gwdo  del  CoMcru,  ed  Augivlellu  do 


492 


DELL*  IlfFERTCO 


Non  vide  mai  si  gran  fallo  Nettano, 
Non  da  Pirati,  non  da  gente  Argolica. 

Quel  traditor  che  vede  pur  con  V  uno, 
E  tien  la  terra ,  che  tal  è  qui  meco 
Vorrebbe  di  vedere  esser  digiano, 

Farà  venirli  a  parlamento  seco; 
Poi  fora  si,  eh*  al  vento  di  Focara 
Non  fora  lor  mestier  voto  nò  prece. 

Ed  io  a  lai:  Dimostrami  e  dichiara» 
Se  vaoi  eh*  io  porti  su  di  te  novella, 
Chi  è  colai  dalla  veduta  amara. 

Allor  pose  la  roano  alla  mascella 

D*  un  suo  compagno,  e  la  bocca  gli  aperse 
Gridando:  Questi  è  desso,  e  non  fovella: 

Questi,  scacciato,  il  dubitar  sommerse 
In  Cesare,  affermando  che  il  fornito 
Sempre  con  danno  1*  attender  wfiferso. 

0  quanto  mi  pareva  sbigottito, 

Con  la  lingua  tagliata  nella  strozza, 
Curio,  eh*  a  dicer  fìi  così  ardito l 

Ed  un  eh*  avea  i*  una  e  i'  altra  man  mozza, 
Levando  i  moncherin  per  1*  aura  fosca, 


so 


95 


iOO 


85.  Qwèì  iradilor  ee  ,  cioè  Halate- 
ttÌDo,  cha  vadetulaoieote  eoo  un  occhio, 
cioè  cbe  è  deco  d' un  occhio. 

86.  la  terra,  cioè  Itimino,  éha,  U 
quale  terra .  tal  è  qui  lateo,  tale ,  ano 
spirito,  che  è  qui  meco,  vorrebbe  ec. 
il  che  TI  è  taciuto  per  elisM.  Il  nome  di 
qaeato  tale  ai  dicliiara  in  appreaao. 

88.  Farà  venirli.  Gì'  inviterà  ■  to- 
DÌr  con  eiao  luì  a  parlamento,  come  è 
narrato  nella  nota  al  verso  70. 

89.  Poi  farà  si.  Poi  farà  a)  che 
eaai  noo  avranno  più  bisogno,  come 
hanno  gli  altri  naviganti,  di  far  preghiore 
a  foti  a  Dio ,  acciò  che  gli  scampi  dai 
tento  di  Focara ,  cioè  quand»  surUa  il 
Tento  dì  Focara.  G>n  que^la  forma  di 
dire  il  Poeta  ha  voluto  signilìi-are  che 
Ualatestino  li  farebbe  soninici  gere  nel 
mare.  Focara  è  munte  della  Cattolica  , 
dal  qtMle  svfGaou  venti  borrasooai. 

90.  ptfeo,  prego. 

93.^  Chi  è  a»lui  dalla  veduta  ama^ 
rm:  chi  è  colui  drl  quale  dìveati  che 
Terrebbe  eaaer  digiuno  di  veder  Kimini. 
O ,  pia  lattei  almenie  :  a  cui  fa  amaro  • 


cagion  di  gnai  PaTar  TadaCo  qwUa  torà. 

96.  a  nonfaioeUm,  a  non  poè  hTal- 
lara  :  aark  detto  in  appraaae  il  panhè. 

97.  ieaeeialo,  canla  àa  Roaa.  — 
U  duMar  $omwiaru  ca..  daè  affinar 
in  Cesare  il  dubiUra.la  narpl— ittnJa 

3 naie  egli  era  aa  ubbadiaaa  al  Sanala 
eponando  il  coniando,  o  ramala  3  la- 
bicone  portaaaa  le  armi  contra  la  film 
par  mantenersi  nel  poterà. 

98.  affermando  eh$  U  /bratta ar.» 
cioè,  affermando  che  cdni  A»  ha  lolla 
in  pronto ,  cui  nnlla  manca  a 
a  fine  nn' impresa ,  aempra  chfca< 
dal  ritardarla.  E  tradotto  il  tana 
di  Lucauo  :  a  ToUe  morof,  matmiittm' 
per  diffmre  paralit.  •  Hian.,  Eh.  I, 
V.  281. 

102.  Curio.  Curiona^  cha, 
Lucano,  diede  il  mal  consiglio  a  < 
e  che  qui  in  pena  del  ano  dclilla  ha  la 
lingua  tagliata. —db'a  dicer  te.  Caalrai- 


che  fa  ardito  a  dicar  coak  a 
404 .  {  moacheriii ,  k 

quali  è  stata  rcdsa  la 

aria. 


dalle 


CANTO  TENTESIMOTTAYa  193 

ti 

Si  di  1  sangue  facea  la  feccia  sozza,  los 

Gridò:  Ricordera*ti  anche  dei  Bfosca, 

Che  dissi,  lasso I  Capo  ha  cosa  fatta: 

Che  fìi  il  mal  seme  della  gente  tosca. 
Ed  io  V*  aggiunsi:  E  morte  di  tua  schiatta; 

Perch*  egli  accnmalando  dnol  con  duolo,  no 

Sen  gio  come  persona  trista  e  matta. 
Ma  io  rimasi  a  rigoardar  lo  stuolo, 

E  vidi  cosa  eh'  io  avrei  paura, 

Sanza  più  prova,  di  contarla  solo; 
Se  non  che  conscienzia  m' assicura,  ii5 

La  buona  compagnia  che  Tuom  francheggia, 

Sotto  r  osbergo  del  sentirsi  pura. 
r  vidi  certo,  ed  ancor  par  eh*  io  *i  veggia, 

Un  busto  senza  capo  andar,  si  come 

Andavan  gli  altri  della  trista  greggia.  i20 

E  il  capo  tronco  tenea  per  le  chiome 

Pesol  con  mano  a  guisa  di  lanterna, 

E  quei  mirava  noi,  e  dicea:  0  mei 
Di  sé  àceva  a  sé  stesso  lucerna, 


Si  db# 'I MMMM  «e.,  comeebè 

dbt  4ti  Boonarini  grondara, 

lafaeda. 

.  Duo  della  famìglia  de- 

allrì  Taffliooo ,  di 

il  ^oala  aiutito 

BooodalmooCe 

ì  par  Teadicara  l' onora 

•fliae  da  cmo  Booodel- 

fl  mala  avendo  promano  di 

■■■  UMÌnlla  di  ^ella  famifflia, 

ba  di  ana  donna  della 


èli  Panati,  tfeeè  nna  Sgliuola 

falla  acceaa  la  prima  f a- 

rdBa  in  Piranse.  la  quale 

in  Goelfi  e  GJiibellini. 

nel  4215. 

117.  Ctf  %A  tma  fattm  :  aoaa  fatta 

laaifn,  cbè,  porla  a  na  eiilo.  Qnanda 

Il  «an  ina  falla ,  pai  ai  accomodano. 

K  iMrtn  pfwariw  ai  valse  D  Moaea 

dagli  Amideii  propo- 

il  Bnvodeli 


^K 


nrSv 


lifflia,  e 
del  BnondeJflMmti 
detta  città  e  ron  eeaa 
cfca  &i  1/  wuii  «esie 


HO.  duol  con  duolo ^  doè  il  dolora 
delle  p^ ne  dell'  inferno  e  quello  che  a 
lui  cagionava  il  ricordarli  che  per  quella 
discordie  erasi  estinta  la  sua  stirpe. 

m.  wuMa,  fuor  di  sé. 

•f  (3.  aoret  paura  ee.  :  cioè  temerci 
di  essere  tenuto  bugiardo  narrandola 
«oto,  cioè  iOfua  Uttiwumi.  o  altra 
prove  cbe  faressero  fede  al  mio  detto. 

4  4  5. 5e  non  cbe  la  coscicnxa  («nella 
buona  compagnia  che,  fotfo  fothergo 
d$l  ttntini  pura ,  doè  affidata  nella 
propria  innocente,  rende  l'uomo  fran- 
co) mi  assicura.  Bella  sentenza,  nobil- 
mente espressa,  e  d'ogni  parte  vwa^ 
che  una  buona  cosdenia  è  più  forte  di- 
fesa air  nomo  nelle  contradiziooi  e  nella 
avversità,  die  argomento  qualunane,  a 
per  lei  sola  è  sempre  impavido  in  faccia 
pur  della  morte  ;  mentre  l' uomo  falsa 
e  reo  si  sente  minore  di  tutti,  ed  ha  se- 
guace eterna  la  vile  paura. 

122.  Peiol,  doè,  pendolo,  sospeso. 

423.  Orna»  oimè. 

424.  Di  tè  faceta  te.  :  degli  occhi 
del  suo  capo ,  che  egli  portava  in  ma> 
no ,  valevasi  come  di  lucerna  e  guida  ai 
passi  del  proprio  tronco* 

i5 


49i  dell' iin'EBSo 

Ed  eraa  dao  in  uno,  ed  uno  in  doe: 
Com' esser  può,  Quei  sa  che  sì  governa. 

Quando  diritto  appiè  de)  ponte  Tue, 
Lerò  il  braccio  alto  con  tutta  la  tosta 
Per  appres^rne  le  parole  sue. 

Che  fero;  Or  vedi  la  pena  molesta 

To  che,  spirando,  vai  reggendo  i  moKi: 
Vedi  s' alcuna  è  grande  come  questa. 

E  perchè  la  di  me  novella  porti, 

Sappi  eh'  i'  son  Bertram  dal  Bornio,  quelli 
Cb'  al  Re  Giovane  diedi  i  mai  conforti. 

Io  feci  'I  padre  e  'I  Gglio  in  sèi  ribelli: 
Achitòfel  non  fé  più  d'Absalone 

t2S.  EdnMndMK.  Inlcndi 
■TUO  dai  pirli  d'Doino,upi>  ab 


lo  iddio, 


<2T.  ttiriirn  appi)  ^tp«il*, 

pit  del  poDlc,  lolto  noi  ippuulg. 

139.  /■«-  apprtiiartw  K., 

■  ppreiiA  ìt  tmti  perrhi  iroitftprn  i 

pii  di  noùa  la  fuatt  eh*  di  qc 


oofI  ctie  (ulti  uperULo  4Ì  ««Pi  toBpi. 
inchE  nel  MonUien  onltco  li  n»- 
•ella  Xltuuaincitmat-  •  Ltgtni della 
banlt  dal  re  (ioiiiw  n«ng|iaBde  col 
padre  percontiglÌDdi  BerlRBedal  Bor- 
nio ae.  •  Ed  OD  oltimo  Codio  della  M- 
HnB  Comaudia,  dia  i  Dtil*  Bibrwttca 
Ealane ,  perla  a 


d«.  canta  di  Gnitnna  i  M  Poi 
okt'ridachejli  accorgiiamlidi 
~  m  datui  lunga  alli 
inaU  ■  Imni  «ioti 
L'inlaliH  liixana  fa  eolio  dalli 
■biondella  rìta, e Bcrlrano li 
io  na  naalnaima  elegia. 

(SS.  Ck-ol  Ae   Ciovtnu  . 


-  i  mal  tùmbrlt.  i 
,  i  eatliii  oMMtaB.  Af 
chi  il  Cini»  XIXIU,  I.  Ifl,  m^fm- 
rieri.  —  Allrì  Cod.  nul  eoafvrft. 

tSS.  tÌMH.  •)»  lal»  antntf. 
■emiri  Cuti   Pcirarea  dÌM  di  mni 


-■fai 


liad  pnaaiiclit  mila,  lo  prgrimoa  il-  IST.  Arltilcfil  lum  /h  pi* 

Inlri  latlerali^  il  RaioDoard,  il  Pareoli      dircnamcnie  da  me  opnA,  in  I 


D^le     II 


CANTO  TEirrESIMOTTATO. 

Edi  David  co* malvagi  pnngelli. 
Perch'io  partii  cosi  giunte  persone, 

Partito  porto  il  mìo  cerebro,  lasso! 

Dal  soo  principio,  eh*  è  *n  questo  troncone. 
Cosi  tf  osserva  in  me  lo  contrappasso. 


406 


i40 


•rfd ,  teaiaaodo  in  loro  Bnnidin  o 
gtiio.  Lctteroloiootopoi  :  •  Io  feci  dot 
fodro  «  ed  f(liodMoeflùci,ooino  AeU* 
lofdeolleMO  pcrfi<ioMtigttìoai,oo'fluil- 

•  AomIooso. 

439.  fmrHi,  imà.^fkmi$,  eos- 


44a.  a  «lo  oiroèro,  3  aie  etrrel- 
lo,  eoo  tetto  il  copo. 

444 .  IMMioprMSpid:  intonai  dal 
cko  Doole  cbiomo  principio  dal 
lo  toario  allora  «ai» 


▼oraalmenta  a^wto  dd  gran  maettro 
Arìatotilo.  fl  qvalo  dica  aaaere  nel  cuora 
il  principio  dalla  vita ,  e  l' officina  do- 
gli apinti  ritali,  do'^ali  ri  forma  in 
gran  parte  il  eanrello. 

442.  lo  cowfrappMfo,  rioè  la  legga 
dol  tagKooo,  la  qvalo  per  eattigo  fa  tof- 
friro  al  driinonanto  lo  aleaao  mala  che 
agii  £boo  ad  altri  ;  eonlroppoaco,  equi- 
Yalo  a  oonlrasMiififra,  la  quale  ap- 
ponto  nel  Vangelo  è  promeasa  a  tatti  : 
a  im  91U1  monaiira  moliti  fkteritii,  ro> 
wmiitlmr  9oHè.  ■• 


CAin#  TiaramDioifoifo. 


•  te  fMir  i'mmmtmm  l  Pofti,  mw  pmuUI  f  ftUaiwi,  Si  trmOa  Im 

fdUmnm  i  mHaKt  «m  Jìiktmiat  <  OmM giaiHwt  ptr  tarrm  ttumUkH, 

Fmrim  Dumta  mk  OHJfttit^m  é^jùnt»,  «  hwiiiwii  fé 


La  molta  gente  e  le  diverse  piaghe 
Avean  le  loci  mie  si  inebriate. 
Che  dello  stare  a  piangere  eran  vaghe. 

Ma  Virgilio  mi  disse:  Che  pur  guato? 
Perchè  la  vista  tua  par  si  soffolge 
Laggiù  tra  I*  ombre  triste  smozzicate? 

Tu  non  hai  fatto  si  ali*  altre  bolge: 
Pensa,  se  to  annoverar  le  credi. 
Che  miglia  ventiduo  la  vaile  volge; 

E  già  la  Iona  è  sotto  i  nostri  piedi: 

%,  %ÈtkriéUj  incappato,  cioè ,  di  do- 
Ibmm  «bbovo,  di  lacruna,  accnmolatesi 

liooo.  Anche  Catello 
owllof ,  Wncfaè  U  a'intoo- 

cbo  di  lacrimo. 
»^«torf  a  fimtgtn  oc.,  era- 
(  d*  «no  rfogo  di  pianto .  Aif 
ko  le  ««e  dolceno,  0  triato 
looonobbo. 
4.  rat  pmr  gmmUf  che  cota  ancor 
1? 


10 


5.  ii  ioffolge.  Questo  Torbo  riano 
dal  latino  tuffuleire;  perde  intondi  :  ri 
poaa,  ri  appunta. 

6.  «moxstcato,  mutilato,  tooociato. 

8.  annoverar  U  trtdi,  le  ombra. 

9.  volgi,  gira,  ha  rcntidue  miglia 
di  circonfereoza. 

40.  B  y^'d  U  Imm  oc.  è  noto  che 
no'nleniloniì  la  Iona  sto  anirorinonto 
al  lar  della  aera ,  e  nello  Zenit  a  moa- 
laootto,  e  che  per  cooseguenta  ri  trot% 


DELL  ^^■peR^o 


Se  tu  avessi,  rìspos'  io  appresso, 

Alleso  alla  cagion  perch'  io  guardava. 
Forse  m'avresti  ancor  Io  star  dimesso. 

Parie  sen  già,  ed  io  retro  gli  andava. 
Lo  Duca,  già  Tacendo  la  risposta, 
E  soggi Dgnondo.  Dentro  a  quella  cava, 

Dov'io  teneva  gli  occhi  si  a  posta, 

Credo  che  nn  spirto  del  mio  sangue  pianj:: 
La  colpa  che  laggiù  cotanto  costa. 

Allor  disse '1  Maestro;  Non  si  franga 

Lo  tuo  pensier  da  qui  'nnanzi  sovr'  elio: 
Attendi  ad  altro,  ed  ei  \i  si  rimanga; 

Cir  io  vidi  lui  a  pie  del  ponticello 

Mostrarti,  e  minacciar  forte  col  dito, 
E  udì'  'I  Dominar  Geri  del  Bello. 


I 


■InmindìiiUHipeiilatMlItiilir.diai  IH.  tata,  boa,  taau. 

<|unta  dire  lollo  i  D«l[i  pwdi.  Ha  co-  19.  Miapotla,  àtitiéftmM,m 

nit  dll  plnitnDÌo,  tha  h  li  nnlK  clis  (Biutll. 

il  Poeti  fi  rilroTi  par  la  Klfi,iÌDii  al  SO.  unipÌrloJrtmliitamgii*,atr 

pania  qui  accenniU,  è  cana  un  ^lor-  ipirita  mio  canHAEDiiKa. 

DD,  pillala  (ri  la  lei'i  a  il  mDnla ,  a  21 .  ^  ealpa  te.,  ewè  la  *•)••  t 

impiriiila  I  Mrearrer  l' lofema  dilla  è  liD(rÌD  pnliLU. 

parli  lina  alta  noni  bolgia;  tModo  2:1-23.  «on it franga  Uila»f^ 

Dola,  percU  l'ibbiimii  iiverlilD  litro-  (icr  te.  Spiagana  «IcaBÌ  i  naBi'iB|ii.U- 

TS,  eli*  la  Inni  dopo  il  ido  pieno  ri-  liiei  il  loo  peoiiara  ■  rigaird*«iW. 

tarda  ogni  ciomo  più  di  Lrc  ifuirli  d'ori  lo  perà  ttm  di  opinione  che  ùpaKiéi^ 

*  lenire  il  iDorìdimo,  a  illrettanla  por  mM  Hlomì  il  liw  pnulere  ■  W.  E 

sa  Menila  che  nrl  cnn  preionli  II  Ibdo  qainta  ilw  dipingo   il   fa 

■n  al  Nadir,  ulta  i  piedi  dai  Pueti,  nicole,  rka  <|Uhi   an   ranr 

VB'ora  drea  dopo  nenogiomo,  proto  lull'obictto,  donda  poi  ti  ri 


la.  the  Ih  ii(m  cadi. di 

^i  In  non  ied>.  Più  leali  ci 

14. 


IS.m'avrttliaitar  tolta 

lUn,  il   fon^minni  qui 


•  «li»  eli  a' 

di  Iure  ,  ronrandevino  il  rijtaUm  «1 
rifrmf".  di  ■*•  "">'•  «IM»»  f» 
].  Da  moda  limila  ■ 


Tiri  ampi.  l)°  l'oda  limila  ■  qMiU 

r  ibbiini  •edita  ai  Canto  XI,  (.  4M 

ire      Chi  lolo  Btlilamia  MiM*  ainCM. 

«o  2G.  MoiIraTli,  cioè  noatniliitb 

Dco      allri  tpirili  ,t'ftiti»cattrfitTUcft4iU. 

Hotendolo  urne  ti  l' Barn*  idirafo  <4« 

iM7.  Parte  len  già  it .  CetlnUò      Dinieòa  allnii. 

•d  inloadi:  lo  ll»a.  Vinplii.,  parla,  27    E  udr 'I,  t  l'adii.  — G*n' fi 

blanla,  ten  aita  ,  ed  io  (li  indtia  dip-      Elgflio  di  Ballo  «lo  d' Alighiero  biute 

tra  f*MBdogli  II  liipMU.  di  Diulo.  Ha  Diala  diati aden  i»  M 


ì 


CASTO   TEATESIMOHOnO. 

Tq  eri  allor  sì  del  (ulto  impedito 

Sovra  colui  che  gfi  Lenoe  Altaforle, 
Che  nou  guardasti  in  ìà,  si  fu  partilo. 

0  Duca  mio,  la  violenta  morte 

Cbe  non  gli  é  vendicata  ancor,  diss'  io. 
Per  alcun  l'he  dell'  onta  sia  consone, 

Fece  lui  disdegnoso;  onde  sen  gÌo 
Senza  parlarmi,  si  com'  io  slimo; 
Ed  iu  ciò  ro'  ha  el  fallo  a  sé  più  pio. 

Cosi  parlammo  ingino  al  laogo  primo 
Che  dello  stx^lio  l' altra  valle  mostra , 
Se  più  lume  vi  fosse,  tulio  od  imo. 

Quando  noi  fummo  in  su  I'  ultima  chioslra 
Di  Halebolge,  si  che  i  suoi  conversi 
Potean  parere  alla  veduta  nostra. 


■llraBglioil'&lifiUi 


Lamenti  saellaron  me  diversi 

Glie  di  pietà  ferrati  avean  gli  strali: 
Ond'  io  gli  orecchi  colle  man  copersi. 

Qual  dolor  fora,  se  degli  spedali 

Di  Valdichiana  Ira  'I  luglio  e  'I  «eltembre, 
E  di  Maremma  e  di  Sardigna  i  mali 

Fossero  in  una  (ossa  talli  insembre; 
Tal  era  quivi,  e  lai  pti7.io  n'  usciva, 
Qnal  svolo  uscir  delle  marcile  membre. 

Noi  discendemmo  in  eo  1'  ultima  riva 

Del  lungo  scoglio,  pur  da  man  sinistra, 
E  allor  fu  ia  mia  vista  più  viva 

Giù  ver  lo  fondo,  dove  la  ministra 
Dell'  allo  Sire,  infallibii  giustizia. 
Punisce  i  falsalor  clie  qui  regùtlra.  (*) 

Non  credo  eli'  a  veder  maggior  trislizia 
Fosse  in  Egina  il  popol  tulio  infermo, 
Quando  fu  1'  aer  si  plen  di  malizia, 

Cbe  gli  animali,  ìnlìno  al  picciol  vermo, 
CascBTOn  lutti,  e  poi  le  genli  antiche, 


tS,  Lamtnliiattlitrtmtc 


bolgi-.  — pvr  da  wi 


•llrclliDli  itn]!  di  (ernU 

4e.  Ouat  dolor  fora. 

il  llmenlii;  ofpnrc,  ijailr 


T".',; 


t  Mh.  ^ 


bolipnaa  l'IUtli 
lìii  •rtBa  I*  iute 


pxM   In  Più  « 

in*.  —  SardigAo: 
.  In  qnnli  iBogbi, 


s.  —  cht  fili  rrfUIra.  i 
■of»  il  fui  ti  mumlB  pm 
'BoUiaKUrn  anali  tal 


u  più  ngi 


33.  rmllimarira. 
V  irgi»,  dtl  ntAia  éì  «thhtìgt.' 

SI.  Dillitageieoslia.  Diluiti.— 
luRfo,  ftnbi  lnr«MBl*  tali*  Is  dicci 


ini  rìpi.      rt,  fu  pBiilMu  ik  ftnit  ftrVIalm» 


n,  fu  pKiilvau  ■! 
nrddl'l,.!.  cb( 


k,»«*ii^ 


CANTO  TZHTESOiOirOlfO.  |9a 

Secondo  che  i. poeti  hanno, per  fermo. 
Si  rìstorar  di  seme  di  formiche; 

Ch*  era  a  veder  per  quella  oscura  yalle  s& 

Langoir  ^i  spirti  per  diverse  biche. 
Qoal  sovra  '1  ventre,  e  qaaì  sovra  le  spalle 

L' un  dell*  altro  giacca,  e  qoal  carpone 

Si  trasmutava  per  lo  tristo  calle. 
Passo  passo  andavam  senza  sermone,  70 

Goardando  ed  ascoltando  gli  ammalati, 

Che  non  potén  levar  le  lor  persone. 
r  vidi  doo  sedere  a  sé  poggiati. 

Come  a  scaldar  s' appoggia  tegghia  a  (egghia, 

Dal  capo  a*  pie  di  schianze  maculati:  76 

E  non  vidi  gianmiai  menare  stregghia 

Da  ragazzo  aspettato  dal  signorso. 

Nò  da  colui  che  mal  volentier  vegghia; 
Come  ciascun  menava  spesso  il  morso 

Dell*  unghie  sovra  sé  per  la  gran  rabbia  so 

Del  pizzicor,  che  non  ha  più  soccorso. 
E  si  traevan  giù  1*  unghie  la  scabbia. 

Come  coltel  di  scardova  le  scaglie, 

0  d*  altro  pesce  che  più  larghe  1*  abbia. 


M.  Si  rUtorm-  «.,  «oè,  ti  nor*. 
4i  miUmi  di  formidM.  B  b- 
ftb  tkm  GMf •  n  prìcgbi  d'  Emo  (ratfor- 
mmm  k  formickt  di  Egioa  in  aomioi  : 
dt  éè  f«H«  il  MOM  di  Mirmìdoni  ai 
Mpifi  S  ^mII'ìmU.  Uùpiin^  ia  graeo 
•MiblMwica. 

9$.  Ch'wtéUr.  lai.  :  di  qoello 
im  «B  M.,  •  camipoDdc  «  fma§gioT 
trtttaim,  9»È»  ?  trai  a«pra 

M.  Bieké:  bica  vale  aiieclilo  di  •»- 
fidiyo;aperaataini<MuiBawccluo 


i7.  Qmtl  »o9n  't  9§iUr$  «e.  Gli 
ééUmkA^At  aoUraao  adoparara  Balla 
Iva  taM  arti  il  aeroirio  ad  altra  ma» 
lam  ma  aaai  paea  aoCa,  arano  aofgaUi  a 
dUrana  ^  a  aagnataaiaiila  alla 
Fiafa  ù  Poda  cba  ancha  ia 
laa  paatti  aen  peaa  aìjiiigliaali 
•  «aaHa  cka  tbbara  tivaado  par  cagio' 


Si  Iraaawtaaa,  caaibiaTa 
-aarpoM ,  perchè  aaa  avaa 

•   •  •     t* 

I  IB  pwdl. 

7^74.  a  ȏ  poggiati  te.:  appof- 


ftlMfi. 

Wndia 


giad  fianco  a  fiaaeo,  arrero  achiaaa  eoa* 
tra  aehicaa,  aoiaa  praaao  al  fuoco  ti  voi- 
Udo  aao  contro  Fakro,  perchè  ai  aoatea- 
gano,  dna  piaUi,  o  teglie,  a  fina  di 
riacaldarli. 

75.  tehUoKU,  croate. 

77.  dal  tignorao,  dal  aigner  aaa.— 
ra^oixo,  del  lai.  barbaro  rggattmip  ita 
qai  aervo  o  moczo  di  etalla. 

78.  Né  da  eoUi.  Né  vidi  mai 
ghiere  ceTalli  con  lenta   prestesa 
colai  che  dendera  d'andeni  a 
mire. 

79-80.  a  morto  Dtfftmgkit,  cioè 
il  graffiare  dell'  anobio ,  che ,  a  aomi- 

{[lienu  di  denti,  ucereveno  le  cerai 
oro. 

SI .  eh*  naa  ha  pf&  ioeeorto,  che 
non  he  meggiorey  o  altro  rimedia  dia 
aaener  ranghie. 

82.  £  «i  Croraa»  glè  Fftmghie  «e. 
Coatmiaci  :  B  V  unghie  ti  iraooem  già 
ia  teabbia  (le  croate). 

83.  Cotne eolUl  «e.:  come  il  ealtella 
trae  le  aquame  del  peaca  chiaauto  acar- 
dova. 


0  m  che  collo  dita  ti  dìsmaglìe, 

Cominciò  'I  Duca  mio  ad  un  di  loro, 
E  che  fai  d'esse  talvolta  tanaglie, 

Dimmi  3*  alcun  Latino  è  Ira  cosloro 

Che  son  quinc' entro,  se  l'unghia  ti  basii 
Eternai  mente  a  cotesto  lavoro. 

Latin  eem  noi,  che  In  vedi  si  guasti 

Qui  ambodue,  rispose  l'un  piangendo: 
Ma  tn  chi  se',  che  di  noi  dimandasti? 

£  '1  Duca  disse:  l'son  nn  che  discendo 
Con  questo  vivo  giù  di  balzo  io  balio, 
E  di  mostrar  l' Inferno  a  lui  intendo. 

Allor  si  ruppe  lo  comun  rincalzo; 
E  tremando  ciascuna  a  me  si  volse 
Con  Dllri  che  l'udiron  di  rimbalzo. 

Lo  buon  Maestro  a  me  tulio  s'accolse, 
Dicendo  :  Di  a  lor  ciò  che  tu  vuoli. 
Ed  io  incominciai,  poscia  ch'ei  volse: 

Se  la  vostra  memoria  non  s' imboli 
Nel  primo  mondo  dall'  umane  menti, 
Ma  3' ella  viva  sotto  molli  soli, 

Ditemi  chi  voi  siete  e  di  che  ^nti: 
La  vostra  sconcia  e  fastidiosa  pena 


SS.  I[  diimagUe,  li  diimigli.  Di- 
ITuagliart  ttle  rompari  >  ipiccor»  le 
iui|>Fie  I'ddo  iltlj'allro.  Qui,  pur  linii- 
liladin*,  [(iidcrli  aroa,  (lauirii<i  ià 
brtnì  coll'dnjjhii.  La  pollg  i  toBàJo-      pei 

S7.  iht  (ai  ietti lanaglie.     ■  l< 

Strm|[udB  li  «rag  tri  11  pollica  «l'in- 
JJM,  ■  lInppBiida.  l'ii 

n.  Ulima.  lltìitBv. 

89.  tt  J'iMjrAta  H.  Il  H  Illa  ifm  .ne 
^nlo  il  cAt  inprocitiio  o  it  cari.  (  ti 
tpiBgl:  Bui  ti  liàsli  ctrrniiDvDIa  i'aii- 
flbii  a  polirli  (nllm.  Noliiì  il  hIs  ••! 
US  IMipo  t  U  coDieaitiua  di  iiuala 
latarii.  E  «  «iiiideri  poi  tulli  intii- 

polnlo  pmendre  ifilì  owbi  DMlri  ìt 


iiHiggiini  l' an. 


o  uulirelLiincnlr,  pcraefr 


tOI.  Fwli    È  11  «n  . 
IU3.  Si.  QuaU  partki 


qoiptrglioj 


ilngn  dilla  meoli  nniana  a 
mando,  tiot  ntll*  Urrà  dai  ii 

ÌGÌ.  tutto  motti toti^^r a 
iOi.iKntiipanfHli,  Dua 

1DD.  tyuid- JrriiD.Uiiv 


CIMO   VEHTE5IM0N0.VO. 

Rispose  l'nn,  mi  fé  mettere  al  fuoco; 
Ha  quel  perch'  io  mori'  qui  noti  mi  mena. 

Ver  è  eh'  io  dissi  a  lui,  parlando  a  giuoco; 
r  mi  saprei  levar  per  1"  aere  a  volo: 
E  quei  eh'  avea  vaghe/ia  e  senno  poco, 

Volle  eh' io  gli  mostrassi  l'arte,  e  solo 
Perch'i' noi  feci  Dedalo,  mi  fece 
Ardere  a  tal  che  1'  avea  per  figliuolo. 

Ma  Dell'  ultima  bolgia  delle  cliece 

He  per  alchimia  che  nel  mondo  osai. 
Dannò  Minos,  a  cui  fallir  non  lece. 

Ed  io  dissi  al  Poeta:  Or  fu  giammai 
Genie  si  vana  come  la  Sauese? 
Certo  non  la  Francesca  si  d'assai- 

Oode  l'altro  lebbroso  che  m'intese, 

Rispose  al  detto  mio  ;  Tranicnc  Stricca, 
Che  Beppe  far  le  temperate  spese; 

E  Niccolò,  che  la  costuma  ricca 


I 


fini  toM  DD  certo  Grìnolin»  Mhhmi- 

inciHii  l'art,  artb.  al  denstailla  fceal- 

Un..|il....prD.I.  a»,  di  cambiar,  i» 

lolin,  prDPDiH  d'iuugotrl)  a  un  S^- 
nc«cU<inal>  Alòtro.  »,  •«ondo  Mr\ 

oro  i  nHIilli. 

4!l>  aati  ftllirncn  Itti.  I«l.r,ì 

«.ti,  ilicrto;  U  , «le  d.  privagli  .K. 

dMU,  •  .g»t  .«uri»!  dì  «ocre  ìa- 

ganaa,  eoaie  il   TOCOIO  tba  ìngintU- 

G»B<(o,  la  arcuò  al  tacnodi  SloDo 

mcote  mi  lece  irJero. 

122   al  «.»<>.  di.'!  poco  uno». 

423,  Cerio  m»  la  Francata  ri 

Kofo  fu  knoalo  tÌio.  Qaaìt  mMù 

d'almi.  Non  i  >i  Tina  dì  erin  laogi,  ■ 

»  lidia  a  «  «oBtrarie  al  divino  ipirìto 

Rren  pene,  la  nllioii  IraocMj  cioè 
oioIlB  la  Binca  per  agnhinnra  alla  To- 

Jd Tu|tU ,  Kn» ,  i  TtTD ,  laa  bruUa 

nili  dei  Sinni. 

124.  l'aJlro  letftniii):  Cepacebia, 

ilchiini<ta  ■  laliilor  di  mttilli. 

r»l.  t  »dda  lanaliinio,  ni  D  dia  de- 

bito ■  Mdelloriaielode'aiioìiBiaiilri. 

<H.  «a  fwitc.  Ini.:  ma  la  u- 

Icouneieiciolicqiiatnri.  V.jn.inGoo 

aici''"-"-""™"""' 

126.  I(  (enperale:  per  ironia:  1* 
tceeuiie,  fmodile. 

414.  cubila,  molli  euHotlto. 

127,  B  Niccoli    Dicono  che  eotluì 

IO.  farUper  eeulleou  inleuJo- 

fot»  de'Soltmbcni  o  dt-Bomipori  dì 

tui  la  magia. 

Sieo.,ach..i.>ndi.«dÌd.raDBo.i 

iit.notfiti  DeilalD.  cioè  noi  tKÌ 

t  dflicili  cipri  elle  tIkoJ*.  Dm  ipc- 
cie  di  «rrotlu,  dot*  •u'i  pimcii  giroliiii 

Toltra  eomt  DtJ>lo,chr  ptr  t«t!P"  <<•■ 

UberioU  dj  Crdi  urna  d'ali  le  brac- 

cia a  leToir  in  allo. 

417.  iht  ra«a  pn- |t!il[i»(a.  Il 

ll'uHn»)  ricca.  Si  hiuno  <trj  looalli 

itM<Ho  Ai  Siena  li  leu»!  Allora  conio 

di  Folgore  da  8.   Cmigocno  diretti  a 

...figlinolo. 

I<g.  ahhiMia  [dal  gr.  x-,:^i<i,fn- 

b,i(.l.  ..=«.. 

DELL  ISFEBNO 

Del  garofano  prima  discoperse 
Nell'orto,  dove  tal  seme  s'appicca; 

B  tranne  la  brigala,  in  che  disperse 

Caccia  d'Ascian  la  vigna  e  la  gran  fronda, 
E  l' Abbagliato  il  suo  senno  proferse. 

Ma  perchè  sappi  chi  si  ti  seconda 

CoDlra  i  Sanesi,  aguzza  ver  me  l' occhio 
Si  che  la  faccia  mia  ben  li  risponda: 

Si  vedrai  eh'  i'  fon  l' ombra  di  Capocchio, 
Che  fal^ì  li  metalli  con  alchimia; 
E  ten  dee  ricordar,  se  ben  t'adoccliio, 

Com'  i'  fui  di  natura  buona  scimia. 


là  ii  Sirai,  imt  <|uel- 


r  abbaglialo  ina  M 


\tiiaU. 


lakaltitattofliaU 


133.  turili Hemda   CU  là  ki 


loiieirì^  e  ditFanfro  po'rri. 


d-Jinsn  te.  fa 

mmiiiiiello 


IS3.  tflt  li  riipotiAa.  I 
f pondi  il  dfiiJcrìo  cb*  liii 
■»nDÌ.  Onu ,  mpandi  li  tq< 


gnaula  fntida,iÌBÌ,iiit: 

cbe  ••«•  di  Tifnxidl  b 

no,  cutdls  iB  riacl  diSteni. — 

òafUala,  ali»  pmuc  uihu.  . 

penHoo  A»  ÀUigliato  lii  iggiu 


Biul«  Icgguaa  E 


ro  OHilnffallan. 


CAHTO   THKNTKSmO. 


Nel  tempo  che  Giunone  era  crucciala 
Per  Semelè  conlra  'i  sangue  (ebano, 

1-2.  fiiwvnif  rra  truerìala  Ptr      in  odia  dalli  gclow  (^nnaM,  <W  mm- 

rllolli|ii*l«(Miiw.Si'iiirlo      nibilc  di  li -    - 


ieri  Chw,  «perdi 


Ulai 


^ 


CANTO  TJUSlfTBSaiO.  t03 

CcNBe  mostrò  già  una  ed  altra  fiata, 
Atamante  divenne  tanto  insaso, 

Che  vagendo  la  moglie  co*  duo  ^li  s 

Andar  cercata  da  ciascuna  mano. 
Gridò:  Tendiam  le  reti,  si  eh*  io  pigU 

La  lionessa  e  i  lioncini  al  raroo: 

E  poi  distese  i  dispietati  artigli. 
Prendendo  1*  mi  eh*  avea  nome  Learco,  ìq 

E  rotolk),  e  percosselo  ad  un  sasso; 

E  quella  s'annegò  con  l'altro  incaroo. 
E  quando  la  fortuna  volse  in  basso 

L'altezza  de*  Troian  che  tutto  ardiva, 

Si  che  insieme  col  regno  il  re  fu  casso;  n 

Ecuba  trista  misera  e  cattiva, 

Poscia  che  vide  Polisena  morta, 

E  del  suo  Polidoro  in  su  la  riva 
Del  mar  si  fu  la  dolorosa  accorta. 

Forsennata  latrò  si  come  cane;  so 

Tanto  il  dolor  le  fé  la  mente  torta. 
Ma  né  di  Tebe  furie  né  Troiane 

Si  vider  mai  in  alcun  tanto  crude, 

Non  punger  bestie,  non  che  membra  umane, 
Quant*  io  vidi  due  ombre  smorte  e  nude,  (*)  u 

Che  mordendo  correvan  di  quel  modo, 


I.  CMMmoiIrd  «e.,  eoin«  pia  folto 
làim 


ì.  R«  di  Teb«,  ek«  Gìa- 
MH  fan  diwuUr  forìoto  di  goÌM,  ch« 
éttmtnmàmi  cf li  ma  Ioo  sia  moglie , 
PcrtMlt  io  collo  Loarco  •  Il  elicerla  tuoi 
ffiaUlli,  lo  erode  ano  liooetM,  o  fol- 
I  frid^  :  T^mdUm  U  reti  u. 
t.  &rU§U,  le  Booi  violeote. 
11.  MNft  F  mitro  teeareo,  eoa  Ale- 

i ,  càe  •? ero  ia  collo. 
44.  cfto  ivilo  «rdico»  doè  che  ar- 
ém  di  fan  ornai  ooaa  anco  icolleraU , 
OHtfa^aeiladirajtiro  Elooa  a  Meoelao 
momanU  «rodi  Sporta. 

IS.  /Il  omtiù,  tu  ottJnlo  •  dialratto. 

II.  Bemkm,  Moglie  di  riianM»,  dopo 

foMÌdio  di  Troia  fa  loUa  prìgiooieracoD 

■H  aw  Sfiiaoli  dùamata  Polioaena , 

il*  i  Croci  avioarooo  aa   la   tomba 

fàfàSU  por  pUearoe  Toaibra.  Ecoba 

prigioniera   Teno   la 

■  icootrò  fu  i  lidi  della  Tracia 


Bel  eadavoro  del  aao  fidiaolo  Polidoro, 
càe  ora  itolo  niorto  da  PolinBeatoro; 
ood'  ella  per  gran  didoro  aiiso  altiiaiaio 
grida.  Intorno  alla  morto  e  trasforma» 
zione  di  Ecnba  in  cagna,  vedasi  Ovidio, 
JfdM»..  Ub.  XIII,  Terso  la  metà. 

2\.  le  fola  «lento  torta,  lo  travolso 
la  mento. 

22-25.  JfaaidireAeae.Manonfnr 
mai  veduto  forìe  né  ia  Tebe  né  in  Troia 
andar  si  cnideli  oootro  alcaao,  né  sì 
acerbamente  ttranar  bestie  aon  che 
membra  aaiane  (nomini),  ^anto  enideli 
e  furiose,  vidi  due  ombre  ec.  <^nno  sa 
che  in  Tebe  e  in  Troia  le  Fune  ehber 
molto  che  fare.  La  Nidob.  e  le  odia,  a^ 
gnaà  leggono:  Qtutmt'io  vidi  fo  duo 
ombro ,  che  bisogaerebbo  spiegare  : 
0  quanto  cradeli  fidi  U  Fano  imper» 
Tersero  in  due  ombre,  ee.  La  prima  Us. 
però  porge  aaa  fraaa  pii  farne. 

(*)  Cobtraffattorì  delle  altrai 

SODO. 


Che  il  porco  quando  del  porci!  si  schiude. 

L'nna  giunse  a  Capocchio,  ed  io  sai  nodo 
Del  collo  l'assannò,  si  che,  tirando. 
Grattar  gli  Fece  '1  ventre  al  Tondo  sodo. 

E  l'Aretin,  che  rimase  tremando, 

Mi  disae:  Qnel  rollello  è  Gianni  Schicchi, 
E  va  rabbioso  altrui  cosi  conciando. 

Oh,  diss'  io  lui ,  se  l' altro  non  li  (ìcclii 
Li  denti  addosso,  non  li  sia  fatica 
A  dir  chi  é,  pria  che  di  qui  si  spicchi. 

Ed  egli  a  ine  :  Queir  è  l'anima  antica 
Di  Mirra  scelerala,  che  divenne 
Al  padre,  fuor  del  drillo  amore,  amica. 

Questa  a  peccar  con  esso  cosi  venne. 
Falsificando  sé  In  altrui  forma; 
Come  l'altro,  che  in  là  sen  va,  sostenne. 

Ver  guadagnar  la  donna  della  torma, 
Falsilicare  in  sé  Buoso  Donati, 
Testando,  e  dando  al  teslamenlo  norma. 

E  poi  che  i  duo  rabbiosi  fur  passali, 
Sovra  i  quali  io  avea  l'occhio  tenuto. 


ir  .li  /«. 


Httamorf.  Il  Gero  Ghibellina  lide  jxn 

Kccuue  la  pimle....  Bac  IFIomlia) 
jlfjrrrJia  i«Im(«(I  uipiaiit  Cinjrra 
palTJiampltauttxailiiuiut.  Cpiit.  ti 
Arrigo. 

40.   Quitta  a  peccar  ft.:  cMln 


cbe  leaj;i  dd  comico,  non  >Im  nur  a 
nyiglia,  itloo  li  oihira  icrtmeole  i 
tifica  del  Poco». — il /ondo  (odo,  d 
il  duro  terreno  di  quella  bolgi*. 

51.  rireliH,  GrinoJìno. 

52.  fallMo.  E  ooint  the  ai  dò 
(«li  lutili,  cbe  eredoDii  errar  ditpeni      me  «  tm  inganno. 

ptrl'irìi,  e  in>|iiielir<  le  ibituioni  de-  42.  Come  l'oUro.  do*  ìl  aapnd- 

[li  uomini}  fui  pari  lì  cbiiml  iw  detloGitnai£cU>«hi.  Dicoao  efaaenlw 
'aninu  irreqoieli  e  nolcoU  di  Ciani  limiiHa  dal  lilla  il  ladoiir*  di  B»» 
StkiteM,  che  dieuao  «lere  italo  de'  Donali,  ed  entralo  io  laogo  dì  <|BrJta. 
Cavilcaoli  di  Fireou  ,  ihi1i»imo  ocl  «  Gnu»!  Uuota  moribondo,  delti  in  le- 
enalnttire  le  fienane.  itameulo  In  tulli  icijoll  a  ltBI>|;|ie  di 

33.  eDd CDOcfaiidD ,  detls ironin-      Simuoc  Doniti  nipote  del  muto,  pai- 
mCBle,  Tale:  mi  ttiapanda.  &  modo      loita  primi  con  eoo  niiwt*  ùi  pnn* 


limile  all'  accitma  del  Canio  SXVIll , 

del  buono  ullic.0  una  limola  onlla. 

TIMO  57. 

r  onore  dflli  maiidri  di  lino»,  e  ebu- 

rallro.  l'altro  lollrtto. 

B9.  /Wr  del  drillo  amore,  oonlro 

VcrTion,iB«lo»Mroi.ÌM.— loll*»- 

«nlM,  ininle.  Della  hul  pauiooe  di 

"  '  *i!'dal!^ll''ùlì^<!^'li>'l^^l 

Km  pel  aupadreCinin  ledui  il  pi» 

cioè,  outcvudo  le  forme  legali  ftnhi 

t»  r»»H>M  ia  Ondio,  Ub.   S  dell* 

ttmtc  lilidiM. 

CANTO  TREinrEsma 

Rholsilo  a  guardar  gli  altri  malnati  (*) 

I*YÌdi  QD  fetto  a  guisa  di  liuto, 

Pur  ch'egli  avesse  avuta  1*  anguinaia 
Tronca  dal  lato  che  l' uomo  ha  forcuto. 

La  grave  idropisia  che  si  dispaia 

Le  membra  con  P  umor  che  mal  converte , 
Chel  viso  non  risponde  alla  ventraia, 

Faceva  lui  tener  le  labbra  aperte. 
Come  r  etico  fa,  che  per  la  sete 
L*un  verso  *l  mento  e  V  altro  in  su  riverte. 

0  voi,  che  senza  alcuna  pena  siete 

(E  non  so  io  perchè)  nel  mondo  gramo, 
Dias'egli  a  noi,  guardate  e  attendete 

Alla  miseria  del  maestro  Adamo  : 
k>  ebbi  vivo  assai  di  quel  eh*  i*  volli, 
E  ora,  lasso  1  un  goccici  d* acqua  bramo. 

Li  ruscelletti,  che  de*  verdi  colli 

Del  Casentin  discendon  giuso  in  Amo, 
Facendo  i  lor  canali  freddi  e  molli. 

Sempre  mi  stanno  innanzi,  e  non  indamo; 
Che  r  imagine  lor  via  più  m*  asciuga, 
Che  *l  male  ond*  io  nel  volto  mi  discarno. 

La  rigida  giustizia  che  mi  fruga. 

Traggo  cagion  del  luogo  ov'  io  peccai. 


M5 


60 


55 


CO 


65 


70 


(1  fùàSf^Um  òeìU  monete. 

41.  fidi  «e.  Int.:  TÌdi  ano  dio.  tvea- 
4  il  Villo  od  il  collo  tearni,  oa  atsai 
IM»  par  idrofwio  il  Tootro ,  iTrobbo 
^ilitHiUoata  Jiooeirittnunento  di 
<*dt  fkc  Aiwini  bnto,  se  il  no  eorpo 
^  ilrio  inmto  preaso  V  inforcaUira 
^«H».  n  finte  ìnTatti  ha  la  cam 
■Mra  Miti  ntta  in  OHido  dm  t' aaaomi- 
|ha  ano  fraaM  pancia. 

M.  hur  ek'tgli,  solo  cbe  egli. 

SI  al  éUfmim,  coa'i  ditproporaoDa 
li  mmkn ,  ingraaiandono  alóuM ,  od 
Ara  dHHfrandoM. 

Si.  «MI  fmmor  «e.,  a  cagione  del- 
V^Mwa  aln  in  eatti?a  ieotema  eoavoio. 
Manali  gnaate  «  eorrompe  gli  naiori. 

ML  Cht'f  9i$o  «e.,  cbe  il  volto  non 
^  Mite  pronacriona  col  ventre. 

n.  r«m  Pnao  de'  lalM.  —  ri- 
«HH.firelte. 

grùwto,  mondo  dal  do- 


64.  mae$$ro  Adamo,  Breadano, 
die  per  rìchieate  dei  conti  di  Romena , 
die  è  nn  castello  ani  colli  del  Coaen- 
tino ,  falsificò  la  monete .  e  per  ancate 
delitto  fa  preso  ed  abbmoato  nd  4280. 

62.  io  fòM  vi90  te.  lot.  :  ebbi, 
mentre  TÌasi,  abbondantcmento  di  tutte 
le  coae  cbe  bramai. 

67.  e  no»  {filanto:  percbè  queste 
TiTt  immaginaiione  m' è  date  a  mag- 
gior  snpplixio ,  come  dice  di  sotte. 

69.  %l  mali,  V  idropisia:  ontfe,  per 
cu  :  mi  dittamo ,  perdo  U  carne ,  o 
mi  aaaottìglio  nd  TÌao. 

70.  mi  fruga,  mi  castip,  ormo 
uA  ricerea  severa ,  mi  perseguo. 

74-72.  Tragg$  eaalontc.  Ini.  :  dA 
frcacbi  e  molli  canati  od  Casentino,  o? e 


io  falsai  la  monete,  prenda  cagiono 
ondo  maitar  ffà  I»  fìiga^  cioè  ondo 
fami  eaalara  pia  fraoncnli  i  seapiri.  te- 
nendomi aempre  quelli  presenti  aU'im* 
maginazione. 


A  meller  più  gli  miei  sospiri  in  fuga. 

Ivi  è  Romena,  là  dov'  io  falsai 
La  lega  PDggellata  del  Balista, 
Percfa'  io  '1  corpo  suso  arso  lasciai. 

Ma  s' io  vedessi  qui  1'  anima  trista 

Di  Guido,  0  d'Alessandro,  o  di  lor  frale, 
Per  Ponte  branda  non  darei  la  vista. 

Dentro  e'  è  1'  una  già,  se  l'arrabbiate 
Ombre  che  vanno  intorno  dìcon  vero: 
Ha  che  mi  vai,  e' ho  le  membra  legale? 

S'io  Tossi  por  di  tanto  ancor  leggiero. 

Ch'i'  potessi  in  cent'anni  andare  un'oncia. 
Io  sarei  mosso  già  per  lo  sentiero, 

Cercando  luì  tra  questa  genie  sconcia. 
Con  tulio  ch'ella  vol^e  undici  miglia, 
E  men  d'un  meizo  di  traverso  non  ci  ha. 

Io  son  per  lor  tra  sì  falla  famiglia: 
Ei  m'indussero  a  ballerò  i  (ìorini, 
Cb'avevan  Ire  carati  di  mondiglia. 

Ed  io  a  Ini:  chi  son  li  duo  tapini, 

Che  Itaman  come  man  bagnata  il  verno, 


l 


74.  La  liga  tuoncllafa  et.,  cir>l  il 

UH  di  n.Ì,Br>,  BOB  di  PM,  *J  cqniTilt 

Atri»  d'  oro,  eh»  a<c.i  d.  boi  rum 

.»npoII.«. 

B.| .  lo  larti  mtiK.  mi  uroì  mMo. 

l»r.  dì  gigli.,  d.l  ^,..1  fi...  .„.  lir,. 

pB«i,.0.t.  Boll.  DHD.br.  ;  D  od  ««i., 

atUlliel-  —  KltgtllnU.  impr>nltll. 

Uir.». 

IT.  C»(A..  Jl».afldr<..  »Pli  di 

SD.  Con  (uttoelk  »bbep«.— «tb 

Bmuaa.  —  dJJarfralr,  del  loro  fn- 

volgi,  eoi  la  tallii,  rio  è  lappINi  dal 

lello,  A,   ditano  «   chìimtHe  Arbi- 

gnln  del  pirltiile. 

87.Bimir«nmaio«.,tIo*oira 

78.  Per  Foni»  Branda.  Il  piscerò 

d'pn  n»^D  mieli»  di  lirnhu». 

di  leiler  loftoro  qui  mirCDi  pili»  non 

Si    Ira  H  fatta  famislia.  in  .pa- 

MOg.™  idh  qscllo  rii  polirmi  diaeLire 

•"r°"d.nnnl. 

SO.  coTBlt.  Canto  i  !■  toiIìbhI. 

ri  IBII]  hinoo  cndals  cKs  iini  w  «xenni 

titamt   pine  doll'onói,  <   adopnti 

■  Fonte  BrtDdi  di  Sieda;  n»  il  a-«t- 

licrl  inlesdg  ccrliracnte  di   gn'  lilra 

5'«ro.-m«,tì,lfa.  t.1.  foodai  <» 

Ponti  BtiDdi  cb'trt  deiilro  il  caildin 

<|BÌ  «goilici   la   porte   M  rame  0  n- 

a  Banpai,  a  l<  coi  ÌiDai.,iig.,  comò 

nilTo  biuo  «rullo  mt^oltU  aD'oro. 

Ji»M»li>.i«.,.l.  »a.pr.iUon 

F.DO  al  lól  1  troriiDio  cko  Dante  «api- 

•r  pnniiro  di  l«i  iJi*  ardo  di  uu. 

loTi  di  ImiflOBle  preoa  t  «nti  di  Bo- 

T9.  rma.  l'onìmi  di  beo  d«i  »d1I 

D,™.  tì™.,lr.>l.«l«»..dB»,Be 

di  Ro>»aa. 

,*I-J4>I«.  Inailo  d.l1ir>oBn,. 

qfloll  fpnca. 

dtlli  idropiBB. 

B2.  CA«  ^iiBian  rrnnt  man  M    Lo 

B2.  Ugglm.  .gii-,  .p^dilo. 

iTipomnFnln  dell'aciiaa  cbi   BTTiene 

Ki.«i.'«.ela,qBllp»,ip.r,B*a 

p»  il  «loia  della  mano  <b*  lo  lui  ba- 

GlIfTO  T&ElfTBSmO. 

CKteando  stretti  a' tuoi  destri  confini? 

Qni  li  troTaiy  e  poi  volta  non  dierno, 

Rispose,  qnando  piovvi  in  questo  greppo, 
E  non  credo  che  dieno  in  sempiterno. 

L' una  ò  la  felsa  che  accusò  Ginseppo;  (*) 
L'altro  ò  il  felso  Sinon  greco  da  Troia: 
Vet  febbre  acuta  gittan  tanto  leppo. 

E  Tnn  di  lor  che  si  recò  a  noia 
Forse  d'esser  nomato  si  oscuro, 
Col  pugno  gii  percosse  l' epa  croia  : 

Quella  sonò,  come  fosse  nn  tamburo: 
E  iBastro  Adamo  gli  percosse  il  volto 
Col  braccio  soo,  che  non  parve  men  duro, 

Dicendo  a  Ini:  Ancor  che  mi  sia  tolto 

Lo  muover  per  le  membra  che  son  gravi , 
Ho  io  1  braccio  a  tal  meslier  disciolto. 

Ond'  ei  rispose  :  Quando  tn  andavi 
Al  fuoco,  non  Tavei  tn  cosi  presto; 
Ma  si  e  più  l'avei  quando  coniavi. 

E  r  idropico:  Tti  di  ver  di  questo; 
Ma  tu  non  fosti  si  ver  testimonio. 


167 


100 


iOft 


iiO 


icfl'arM  intoriM  molto  freddi, 

CMBc  «a  forno-,  il  thè  neirettoto 

I.  —  Il  faonrt  dà  dae  ni- 

Mri  «•  cflilto  ddU  {thhf ,  COMO  dkt 

irtloalT.M. 

•I  toc  Itto  do- 

it.  (M  M  irotai,  •  po<  «e.  Co- 
•  iiiiaili  cot'i:  Qoi  li  troni 


fHBiA*  fHVtileaddn  ia  qartto  greppo, 
6  f«  t  «Jr  allora)  Tolta  aoo  dìoroo  (noa 
di  fwl  lao|o\.  — Qf*Ppo 
rÌM ,  agliare  di  fowo. 
Aduno  chiama  qad 
•gli  giacerà  Terameoto 
Mie  Mia  ripa,  o  perchè  il  latto  della 
halpa,  paaiaadi  Torao  il  eaotro  del 
aar«éa,yraaaBtevaappaiilo  l'idaa  dHoi 

M.  éimm,  cioè  neao  dot  dar  volta. 
Wf.  te  /iilt«  «a.  La  oagiarda  ■(► 

t*)  Falaiicatari  dd  parlare,  o  ha- 
giar«  •  calaaaiatori. 

ft.  Simon  ffaco:  colai  che  iagaooè 


Priamo  a  la  iadaaaa  a  rieerere  dentro 
lo  mare  di  Troia  il  caTallo  di  legno. — dm 
TVoia,  000  indica  ^  T  origine  della 
perMma  di  Soono ,  ma  aolamente  della 
laa  rìoomanaa  :  va  aatóateao  il  partidp. 
nosMio  :  con  che  ti  Tiene  a  dire  che  non 
aTCTa  altra  celebrità  che  il  tradimento 
fatto  a  Troia  ;  della  «pai  eoaa  Todroam 
che  Sioooe  ti  offende. 

99.  leppo ,  forno  ponoleota. 

401.  fi  ofciMno,  il  oacaramenta ,  il 
diaonorerolroente. 

402.  Fepa,  la  paacia. — «rote,  rata 
teta,  irrigidita  eowu  cuoia.  Dal  lat. 
eorimm  i  ProTenaali  fecero  eroi,  doada 
il  Dottro  croio. 

405.  eh»  fum  pmr9§  mai  dwro:  il 
^al  braccio  non  parrà  man  darò  dd 
pogno  di  Sinooo. 

408.  a  tal  mntiir,  a  tal  oopo. 

440.  ÀI  fiÈoeo,  al  topplino  dd  foo- 
eo:  «OM  VmH  te.:  neo  areri  il  braccio 
coi'i  pretto,  coaì  spedita,  paidiè  ara 
itretto  fra  i  tacd. 

444.  Jte  Hat.,  ma  cod^  ma  btaa> 
•amente  e  più  lo  areri  tpedito  qaaado 
batteri  la  moneta. 


SOS  dell'  iNTEBrio 

Là  've  del  ver  fosti  a  Troia  rìchiesio. 

S' io  dissi  falso,  e  tu  falsasti  il  conio  ui 

Disse  Sinone,  e  son  qui  per  un  fallo, 
E  tu  per  più  che  alrun  allro  dimonio. 

Ricoidili,  spergiuro,  del  cavallo, 

Bispose  quei  ch'aveva  enfiala  l'epa; 

E  gioti  reo,  che  lutto  'I  mondo  ssllo-  lìO 

A  le  sìa  rea  la  sete  onde  lì  crepa, 

Disse  'I  Greco,  la  lìngua,  e  l'acqua  marcia 
Che  'I  venire  innanii  agli  occhi  gì  l'assiepa. 

Allora  il  monetier:  Cosi  si  squarcia 

La  bocca  tua  per  dir  mal  come  suole;  US 

Che  s'  1'  ho  sete,  ed  umor  mi  rinfarcia. 

Tu  hai  l'arstira,  e  i!  capo  che  lì  duole; 
E  per  leccar  lo  specchio  di  Narcisao, 
Noo  vorresti  a  invitar  molte  parole. 

Ad  ascollarli  er'  io  del  tutto  fisso,  UO 

Quando  'I  Maestro  rai  disse:  Or  pur  mira, 
Che  per  poco  è  che  leco  non  mi  risso. 

Quand'  io  'I  senti'  a  me  parlar  con  ira, 

Totsìmì  verso  lui  con  tal  vergogna,  ^m 

eh'  ancor  per  la  memoria  mi  si  gira.  jÉH 

E  quale  è  quei  che  suo  dannaggio  sogna,  ^^^| 

Che  sognando  desidera  sognare,  ^^^ 

Si  che  quel  eh' è,  come  non  fossa,  agogna; 

Tal  mi  fec'  io,  non  polendo  parlare, 

l\i.  Li'tedtlt:trie.,\ìiimcVr\»-  Ini.:  perla  •opnJdclli  (ebbn  mU. 
nmlirlchinedlffiinirsiirgliciniTcrìli  IS8  E  ptr  Itctar  e 

I  i]all  fide  i  Greci  iTcaeru  ctnlrnlla  il  •  li  ijicHlila  ildl'ic:i|ni 

gr>neii»llor)ileEiin,«  p<  ''   '*  '    '■"        -  --= '- 


lailn  il  monda  per  quella  cbi 
:rH»  Virgilio. 

423-123.  <  ratqua  marcia  ti 


, 136.  daimagaio.  danna. 

ÌM.  cu,  p«nÌDccbe.  —  «i  n'n-  438.  51  che  quit  Me  t.:  AAt 

fartin,  mi  rìnnpie  «d  inerowi.  doidiri  ■rdonlovecir  eb*  qncU*  ikt 

427.  rarivra-raidor  TeLfile  per  jiur  tingno,  lii  tc-(^,  qBM  cka  ttbt- 

c*i  tini.  —  »it  etpQ  tht  H  óuolt-  (iiimoBla  dsb  Iimm  U|«. 


CAirro  TREi<rTEsnio. 

Che  disiaTa  scosanni,  e  scusava 
Me  tuttavia,  e  noi  mi  credea  fere. 

lIagG[ior  difetto  men  vergogna  lava, 
Disse  1  Maestro,  che  '1  tuo  non  é  stato; 
Però  d*ogni  tristizia  ti  disgrava  : 

E  fe  ragion  eh'  i*  ti  sia  sempre  allato , 
Se  più  awien  che  fortuna  t' accoglia, 
Dove  sien  genti  in  siroigliante  piato; 

Che  voler  ciò  udire  è  bassa  voglia . 


«09 


140 


i45 


140-144 .  €  «CMOM  Me  «e.  Si 
■m  frr  la  il«Ma  sm  coafwiaM. 
442.  Mmgfiar  diftUo  «e.  Cwirn. 

wà  :  mtn  TcrfOfM  Uva  iBaggi«r  diftlte 
cbt  mam  è  sialo  il  loo. 

444.  ^ofiii  Irtifisfe  «8.  lai.:  lavali 
étSr  mmmo  ogni  trìttcna,  li  racMOiola. 

445.  E  fa  ragion  at.  Cotlr.  a  mi.: 


a  M  altra  valla  arvinia  the  Ibrtana  fae- 
totfiim  (li  accotli,  li  faccia  capitare)  ovo 
Iona  fcntl  m  timiglimUe  piato  (litigio) , 
fa  r^i^iofi  (fa  conio)  cha  io  ti  sia  tempra 
•litio. 

448.  è  baita  9ogHa,  è  gotto  inde- 
gno d' una  menta  alavala  a  à'  nn  mia  ta- 
guaet.  Memorabila  iaaegnamcnto  ! 


CAliTD  TREIiTESIlIOPBlllIO. 

■If  M!fv»  fr%fé»m»  I  PIma'  w%no  U  mtUrm  éM'ttUnm  MrtkU,  do»*  m- 
mi  tt  «al*  mi  ava».  TariM  /lana*  mtlm  ap»mdm  éi  m$9  tUam»  i  Giganti, 
é  patuma  sunmm.  Omù  éi  vntti,  ntkiem  da  réffiiio,  togUtt,  trm  Ir 
«  Ugttrmtmtt  li  pmm  $m  fuUim»  rifiam  àtU'lmf^rw^ 

Una  medesma  lingua  pria  mi  morse, 
Si  che  mi  tinse  Tuna  e  1* altra  guancia, 
E  poi  la  medicina  mi  rìporse. 

Cosi  odo  io,  che  soleva  la  lancia 

D'Achille  e  del  suo  padre  esser  cacone  i 

Prima  di  trista  e  poi  di  buona  mancia. 

Noi  demmo  '1  dosso  al  misero  vallone. 
Su  per  la  ripa  che  '1  cinge  dintorno. 
Attraversando  senza  alcun  sermone. 

Quivi. era  men  che  notte  e  men  che  giorno,  fo 

4«S.  Cas  wmdtima  fìngiM,  cioè 
^mBs  a  Virgilio. — fffia  mi  mon%^  ini. 
^M  n^BBvavaro.  ^^  a  r^^  ^^  iRaMciHii 
■i  ifaarw,  a  dafo  mi  rkoafortò. 

4^  CmI  crfe  <0  attera  raceaolala 
4igb  «lìcK  fatti.— te  landa  ir  JcMI. 
le  ac  Namna  i  poeti  che  la  lancia 
4'Adh9a,  cka  prima  Cu  di  Pelao  mm 


ptdaa,  eraaM  wta  di  tanara  la  farìla 


«.  rrium  U  èH$ia  ae.  Ini.  letta- 
:  di  aaltiffa,  a  poi  di  bnaa  ra- 


gtlo  :  a  me  taf.  di  ferita  a  di  rim^Uo. 

7.  demp»  'I  do$90  «e.,  volgemma 
le  tpallc  al  mitcro  vtUoae,  cioè  d  par* 
timmu  della  decima  bolgia. 

a-9.  Su  per  ta  ripa,...  Jlirarer- 
•aiuio.  Ctmmintndo  tttraTarto  la  ripa 
che  cingeva  quella  bolgia ,  ad  avvian- 
doci al  ccolrti  deir  ottavo  cerchio ,  attia 
al  putto,  taiiM  aicim  jermona,  teuta 
far  parola. 

i  0.  Quiti  era  wten  ehenaiU  ee.:  to' 
r^be  ttatocowa  il  crepotcolo  dalUiM^. 


14 


«te 


«BLL '  aHEmo 


Si  che  *1  viso  m*  aadwra  inurazi  poco: 
Ma  io  senti*  sonare  im  alto  oorno» 

Tanto  eh*  avrebbe  ogni  toon  fatto  fioco. 
Che,  cootra  sé  la  sua  via  aegaitando, 
Dirizzò  gli  occhi  miei  tutti  id  un  loco. 

Dopo  la  dolorosa  rotta  ^  quando 
Carlo  Magno  pardtò  la  santa  gista» 
Non  sonò  si  terribilmente  OrlaDidoL 

Poco  portai  in  là  volta  la  lesta. 

Che  mi  par\'e  veder  molte  alte  torri; 
Ond'  io  :  Maestro,  dì,  che  terra  è  questa? 

Ed  egli  a  me:  Però  che  tu  trascorri 
Per  le  tenebre  troppo  dalla  Itingf, 
Avvien  che  poi  nel  maginare  aborri. 

Tu  vedrai  ben,  se  ta  là  ti  congiungi, 
Quanto  il  senso  af  inganna  di  lontano: 
Però  alquanto  più  te  stesso  pungi. 

Poi  caramente  mi  prese  per  mano, 

£  disse:  Pria  che  noi  siam  più  avanti^ 
Acciocché  *1  fatto  men  ti  paia  strano, 

Sappi  che  non  son  torri,  ma  giganti, 
E  son  nel  pozzo  intomo  dalla  ripa 
Dair  umbilico  in  ginso  tutti  quanti. 

Come,  quando  la  nebbia  si  dissipa, 
Lo  sguardo  a  poco  a  poco  raffigura 
Ciò  che  cela  *i  vapor  che  i*  aere  stipa; 


15 


•0 


30 


35 


44.  t7  vtfo,  U  ▼isU. 

42.  alto  tomo,  corno  £  alto,  di 
forto  ouooo. 

43.  Tanto  eh'arrebbe  ec.  Tanto 
alio,  che  an  tunoo  al  paraf^n  di  qurllo 
9Teh\it  pareo  /{oco ,  di  laiigaida  voce. 

\  A.  Che,  conlratè  §e.  Cuotniiaci: 

^^   ^ii  occhi  miei  teguUando,  argui- 

^'^t.^^  /a  sua  via  (cioè  la  via  che  faceva 

tuooo  per  veoire  agli  oreochi  di 

'^1^  C9ntra  ià,  io  dircxìoae  contraria, 

_  tffoh^{em»  occhi  mici)  totalawote  al 

Qgo  dtmtle  qaol  aaooo  venivi. 

46.  doioro$a volta,  h-roiiM^^oa- 
.alla ,  «lovo  per  trodimeato  di  Geno 

^^ooo  tructa«li  treoU  «ila  oooiìdì  ivi 
igft'tat*  ^  Carlo  Magna. 

47.  I«  tm^ta  f«i(a,  cioè  le  f«n(o 

40tpretap  qaalla  àoè  di  cacciar*  i  Mori 

^la  Spaym. 

i8.  Aon«o«4«l«f.NwraT«rpnio 


che  il  suono  del  corno  d*  Orlando  in 
quella  occasione  fa  adito  da  Carlo  !^a- 
gDO  alla  distanza  di  otto  miglia. 
40.  volta.  Alta  altre  ediziooi. 

23.  dalla  lungi,  da  langi. 

24.  maytnare:  troocamenlod^tm- 
maystiare.  —  aborrit  erri.  Da  abor^ 
rare,  per  aberrare,  andar  langi  dal 
vero,  ingannarsi.  Vedi  C.  X\V,  v.  IH. 

25.  te  tu  là  ti  congiìtmgi,  te  ti  ao» 
«osti  là  colla  p^rttma. 

26.  ihMnto  a  tento  ee.  b^mdi  dal 
senso  della  viste. 

27 .  te  tteteo  pumgi,  cioè  slfaaola  te 
•tesso,  sffretta  il  pnsao  per  vadar  pra* 
sto  da  vicino  le  cose  che  di  qui  mal  di- 
secrni. 

28.  earaméisle,  con  dimasIrtfioQa 
d' affitto. 

56.  '/  vapor  che  VatratUpm  è  la 
«sMtet  ohe  isfitti  non  è  altro  cIm  «•- 


CA5TO  TJUUITESIMOPRIMO.  Ili 

Cosi,  forando  l' aura  grossa  e  scora, 

Più  e  più  appressando  in  ver  la  sponda, 

Fuggéini  errore,  e  giugnémi  paura. 
Pcrooché  come  in  su  la  cerchia  tonda  ^o 

Monìereggiun  di  torri  si  corona; 

Cosi  la  proda,  che  '1  ^ozzo  circonda, 
Torreggiavan  di  mezza  la  persona 

Gli  orribili  giganti,  cui  minaccia 

Giove  dai  cielo  ancora,  quando  tuona.  46 

Ed  io  scorgeva  già  d*  alcun  la  faccia, 

Le  spalle  e  il  petto,  e  del  ventre  gran  parte, 

E  per  le  coste  giù  ambo  le  braccia. 
Natura  cerio,  quando  lasciò  l'arte 

Di  sì  fatti  animali,  assai  fe  bene,  io 

Per  tor  colali  esecutori  a  Marte. 
E  s*  ella  d*  elefanti  e  di  balene 

Non  si  pente,  chi  guarda  sottilmente, 

Più  giusta  e  più  discreta  la  ne  tiene; 
Che  dove  T argomento  della  mente  65 

S*  sggiugno  al  mal  volere  ed  alla  possa, 

Nes^un  riparo  vi  può  far  la  gente. 
La  laccia  sua  mi  parea  lun^a  e  grosita. 

Come  la  pina  dì  San  Pietro  a  Roma; 

E  a  sua  pro(Xjrzion  eran  Taltr'  ossa.  60 

Sì  che  la  ripa ,  eh*  era  perizoma 


fm  Mfwo  itipaio,  coodcaMlo,  dal 
17.  ftrmndo:  peortraodo,  trapw- 


II.  Fmggémi. . . .  giugnémi,  «tanno 
fv/hyyjrmi  e  giu^jnUmi.  rxoe  mi  fuif- 

R ai  fiagoia  idairaiilii|.  ytuynirrl. 
Jnrv  d' averle  crrduie  timi  %i  «iilc- 
|Mta,  •  •■b«Btra\a  in  iiiirlla  ««Te  la 
■■ridì^«nia(M4rì. —  IUUmI  Sluanl.: 
rwfgimmi  errore,  e  fresrr ami  paura. 
6#.  «MM  m  ni  (a  rrrehia  Umiia^ 
^■B  wH*  roliriiiir  mura  rlir  l'arrer- 
».  Maal^egipfKif ,  r»«lello  ile' Sa- 
ilónl»  ioturno  di  torri  che  gli  fan 


11.  Coti  ia  proda  tt.  G>fttniÌMÌ: 
b  di  •rrìbili  gigafiti  rui  (iiove  ec  tor- 
nai ts  di  Otarna  la  perifina  la  prodj 
Ai  òffiiad»  il  pu0«i  ;  *w^\%  fai  eao  tur^ 
■i  U  ipiMida  CbO  la  luvtà  drtla  loro 
Ai(«nwaa. 


A%.EpfrUto»UgikamboUhrae 
eia:  f«l  ambo  le  braccia  legato,  cime  ti 
fedrh  in  «eguilo,  giù  lango  lo  cotte. 

50.  animali^  mootri  bealiali. 
53.  Aon  ti  pnUa,  c«otÌDU  a  pr*> 

darre. 

51.  lane  tirna,  do  la  tieoa,  m  la 
giudica.  —  disrrela,  giadiiioia. 

55  l'argomento  della  ntanta.  Àr- 
gomrnUt  k>f>iiìlira  geoeraimeote  mnxo, 
{RiIruMrnlo,  per  uperaro  cbotcheaaia. 
L'argomento  dtUa  menla,  è  la  a«a 
forra  iiitel lettiga  e  il  rafioeioio. 

5U  la  pina  di  Sampietro  La  gran 
pina  di  bninru  che  una  «otta  era  poala  to- 
pra  la  mule  Adriana  in  KiUBa,  a  cho  oggi 
è  Di-Ila  arala  dell' Apiide  di  BraoMote. 

CO.  E  a  tua  pruportUntt  a  a  prò* 
pon lOne  della  farcia. 

01.  peri^iiM,  «oca  greca,  cba  pro- 
priamente V 4 le  «  entimeolo  cbo  da '  la  ci*- 
tura  dikceode  alle  gioovcfa'a* 


Dal  meizo  ii 


I,  ne  mostrava  ben  tsnlo 


Di  sopra,  che  di  giugnere  alla  irtiìoma 

Tre  Frison  s'averian  dato  mal  vanto; 
Perocrh'io  ne  vedea  Ironia  gran  palmi 
Dal  luogo  in  giù,  dov'  uom  s'  affibbia  il  manto. 

Balel  mai  acnèch  zabi  almi. 

Cominciò  a  gridar  la  fiera  bocca. 
Coi  non  si  convenìen  più  dolci  f^almì. 

G  'i  Daca  mio  ver  Ini:  Anima  sciorra, 
Tienti  col  corno,  e  con  quel  H  disfoga , 
a  0  allra  passion  li  tocca. 

Cercali  al  collo  o  irover  '  ' 

Clio  '1  [ien  legata,  o  anima  confusa, 
E  vedi  lui  che  'I  gran  pelto  ti  doga. 

Poi  disse  a  me:  Egli  slesso  s'a 

Questi  è  NembroLlo,  per  lo  cai  mal  colo 

I,  dind»  (II*  1 

uppinniMlu  ilrll's,  éilnH. 
W.Mlmi.  doètanaali. 
71.  Timit 


77.  pM-  lo  ni  noi  tttt.Ta^- 


CANTO  TRElfTESIlfOPRIMO. 


213 


Par  UD  linguaggio  nel  mondo  non  s'osa. 

Lasciamlo  stare,  e  non  parliamo  a  voto: 

Ghò  cosi  é  a  Ini  ciascnn  linguaggio,  so 

Come  il  suo  ad  altrui,  eh'  a  nullo  è  noto. 

Facemmo  adunque  più  lungo  viaggio 
Volti  a  sinistra;  ed  al  trar  d' un  balestro 
Trovammo  l' altro  assai  più  fiero  e  maggio. 

A  cinger  luì,  qual  che  fosse  il  maestro,  85 

Non  so  io  dir,  ma  ei  tenea  succinto 
Dinanzi  l'altro  e  dietro  il  braccio  destro, 

D' una  catona  che  '1  teneva  avvinto 

Dal  collo  in  giù ,  si  che  'n  su  lo  scoperto 

Si  ravvolgeva  infine  al  giro  quinto.  90 

Questo  superbo  voli'  essere  sporto 

Di  sua  potenza  centra  1  sommo  Giove , 
Disse  il  mio  Duca,  end*  egli  ha  cotal  morto. 

Fialte  ha  nome;  e  fece  le  gran  prove. 

Quando  i  giganti  fer  paura  ai  Dei  :  95 

Le  braccia  eh'  ei  menò,  giammai  non  muove. 

Ed  io  a  lui:  S'esser  puote,  i' vorrei 
Che  dello  smisurato  Briareo 

sciando  fotte  1«  ttrtne  intcrpreUxìoni      viaggio  te.  Anelammo  pia  lungi  vol- 


cbe  fi  ton  date  ■  onesta  parola,  dirò 
che  eofo  è  uneope  di  eototo,  cioè  cogi- 
tato, che,  aceondo  l'nao  degli  antichi  di 
frendera  dcnna  rotta  il  participio  per 
«oatastÌTo,  Tale  quanto  eogHamenio  o 
pcoaìcro.  Potrebbe  aocho  derivarsi  dal 
prorensale  cui,  idea,  pensiero. — E  il 
tnal  eoto  di  Nembrot  tu  quello  di  al- 
zart  aaa  torre  fino  al  ciclo  per  non 
arare  a  temere  i  flngelli  di  Dio. 

78.  Pwr  tm  lingitaggio  ee.  Non  sì 
«sa  jmre,  solamento,  un  linguaggio, 
coma  ai  nsara  ne'  primi  tempi  del  mon- 
do, ma  dirersi  linguaggi.  Eral  Urrà 
tabu  uniui;  e  poi  per  la  matta  impresa 
di  costai,  ibi  eonfusum  ett  labium  wii- 
Tinm  terrm.  Geo. 

80.  Che  coii  ee.  Int.:  poicliè  egli 
noo  comprende  il  fardlare  d'altrì.come 
ocaaan  altro  comprende  quello  di  lui. 

84.  anidlo  è  Wito.  Dice  l'abate 
Lanci  che  quelle  roci  a  incito  é  noto 
debbooe  intenderai  a  nullo  di  noi  dna, 
a  Virgilio  a  a  Dante.  Io  restendarei  an- 
che a  fotti  qnelU  che  han  creduto  d'ia* 
tendarlo. 

82.  Foemaio  adunqìu  pi#  Iumqo 


geodo  a  sinistra. 

83.  ed  a/  trar  d'un  baUttro,  e  a 
un  tiro  di  balestra. 

84 .  TrotamtM  V  altro  ee.  Trortra- 
mo  l'altro  gigante  molto  più  fiero  a 
maggiore. 

83.  A  cinger  ItU  ee.  Coatr.  :  non  so 
dire  qual  fosse  il  maestro  a  cinger  lui  \ 
qual  si  fosse  l'artefice  che  lo  legò. 

86.  iuccinto,  sotto  cinto,  cioè,  cinto 
sotto  la  catena. 

87.  Dinanzi  Valtro.  Int.  il  sinistro. 

89.  'n  tu  lo  teoperto,  cioè,  su 

3 nella  parte  del  suo  corpo  che  restava 
iscoperta  fuori  del  pono. 

90.  Si  rattotgeva  ee.,  si  rol^a 
fino  a  cinque  giri ,  o  con  cinque  gin  in- 
torno a  quel  corpo. 

94.  toU'ettere  sperto  ee.,  rolle 
fare  esperimento  del  suo  potere  contro 
il  sommo  Giore. 

93.  ho  eotal  merlo,  ha  la  pena  me» 
rìtata,  C"**  niiplU  'l' Misere  strcttamcnto 
Itsato. 

94- )8.  i'iaUe,  Briareo,  due  gi- 
aanti ,  che  pia  degli  altri  si  mostrarono 
torti  e  audaci  nella  pugna  contro  Giova. 


ft4  bELL*  INFERNO 

Esperienza  avesser  gli  occhi  miei. 

Ond'ei  rispose:  Ta  vedrai  Anteo: 

Presso 'di  qui,  che  parla,  ed  é  dìsciolto, 
Che  ne  porrà  nel  fondo  d*  ogni  reo. 

Quel  che  tu  vnoi  veder,  più  là  è  molto, 
Ed  é  legato  e  fatto  come  questo, 
Salvo  che  più  feroce  par  nel  volto. 

Non  fu  tremoto  già  tanto  rubesto, 
Che  scotespe  una  torre  così  forte, 
Come  Fialte  a  scoterei  fu  presta 

AUor  temetti  più  che  mai  la  morte; 
E  non  v'  era  mestier  più  che  la  dotta, 
S*  i'  non  avessi  viste  le  ritorte. 

Noi  procedemmo  più  avanti  allotta, 

£  venimmo  ad  Anteo,  che  ben  cinqu'  alle, 
Senza  la  testa,  uscia  fuor  della  grotta. 

0  tu,  che  nella  fortunata  valle, 
Che  fece  Scipion  di  gloria  roda. 
Quando  Annibal  co*  suoi  diede  le  spalle. 

Recasti  già  mille  lion  por  preda; 
E  che  se  fossi  stato  ali*  alta  guerra 
De*  tuoi  fratelli,  ancor  par  eh*  e*  si  creda, 

Ch*  avrebber  vìnto  i  figli  della  terra; 


100 


10& 


Ito 


ììb 


iSO 


iOf .  «  dùcioUQ:  perchè  noo  loUi 
contro  GioTe. 

i 02.  nel  fondo  d'ogni  reo,  cioè 
d'ogni  reìthf  nel  fondo  dell'iufemo. 

105.  Quel  che  Cu  tuoi  reder,  cioA 
Biiareo.  Dante  forse  si  mostra  curioso 
ili  Tcder  questo  gigante  per  ateme  letti 
la  grandiosa  descrìyinne  del  suo  Mae- 
sti  o  nel  X  dell'  Eneide. 

405.  pmr,  si  mostra,  apparisca. 

100.  rubetto,  im|H'tuo8o. 

440.  B  non  t'era  mef/ier  «e. 
A\  rcbbe  bastato  U  stila  jiaora  {iadollm) 
a  farmi  morire,  senza  oisogno  d'altro 
pi  r  pai  te  del  gigante,  sa  io  non  l' sTeasà 
visto  legato. 

\  13.  mlle:  mUa  è  nome  di  una  mi- 
sura d' Inghilterra ,  eha  eorrispooda  a 
due  braccia  fiorentine. 

144.  SonMm  U  Uilm,  cioè  sema 
computare  in  questa  misura  la  testa.  — 
fuor  della  groUm,  fuor  del  pono. 

M5.  mtUa  (érlunntm  c«4lf.  U- 
ctao  Suge  che  il  luogo  ofe  SdpioM 
vìhì  Annibale  sia  alalo  un  tanfo  il  r«* 


^o  d'Anteo.  Dico  forlmmmlm,  pcrehè 
in  essa  terra,  in  Africa,  la  forlnna  ■» 
strò  suo  mitere ,  o  perchè  teatro  di  fpi^ 
tunose  vicende.  In  lai  senno  ai  vidt 
natalo  questo  vocabolo  al  C  XXVlll, 
v8. 

4 16  di  gloria  teda,  pn«hè  al- 
l'aver disfatti»  Annibale  a  Zama,  Seì- 
piiNie  ebbe  gloria,  e  ne  credile  l'alsao 
nome  d'Affricano.  —  rnin,  ondo. 

447.  éiedo  le  àpalle,  ù  toIoì  ìb 
uga. 

4 19.  alta  guerra,  perchè  lerrìbi^ 
mente  grande  e  di  grandi. 

420.  anror  par  ch'egei  crtàm  m. 
Pare  aurbe  che  si  creda  oer  alcuni  oc. 
(^lucftla  idea ,  e  la  precooeotc  dei  pi^ 
dati  leoni,  sembrano  tratte  da  Locnao: 
a  Ferunt  eimlat  raptoe  kmkmMm  k»' 
N^s.  •  E  ■  •  Calo  prppreil  Qw&d  SM 
PkUgr^i»  Antaum  nutulii  «rvif.  ■ 
Il  sujierbo  fa  prc^o  alla  lodo;  o  par- 
óè  \irgilio  è  largo  di  qnelU  aw  '   ' 


per  disporlo  ad  essergli  compi nconlo. 
42i.t/ly/ide</olCfTa,  gli 


CAIKTO  TEElVTEiilHOPRIMO. 


SI  5 


Mettine  giuso  (e  non  ten  venga  schifo) 

Dove  CocHo  la  freddura  serra. 
Non  ci  far  ire  a  Thno,  né  a  Tifo: 

Questi  può  dar  di  quel  ohe  'qai  si  Inrama:  ab 

Però  li  china,  ^  non  torcer  lo  grifo. 
Ancor  ti  yuò  nel  mondo  render  finna; 

Ch'ei  vive,  e  lunga  vita  ancora  aspetta. 

Se  innanzi  tempo  grazia  a  sé  noi  chiama. 
Così  disse  il  Maestro;  e  qnegli  in  fretta  i30 

Le  man  distese,  e  prese  il  Doca  mio, 

Ond*  Ercole  sentì  già  grande  stretta. 
Virgilio,  quando  prender  si  sentio, 

Disse  a  me:  Fatti  'n  qua,  si  eh'  io  ti  prenda  : 

Poi  fece  si,  che  un  fascio  «r'egli  ed  io.  <I36 

Qoal  pare  a  rigoardar  la  Carisenda 

Sotto  il  chinato,  quando  un  nuvol  vada 

So>r' essa  si,  ch'ella  in  contrario  penda; 
Tal  pan-e  Anteo  a  me  che  stava  a  bada 


l»N  Inldli  figanti .  che ,  come  «lieon* 
le  lavele,  hnmm  Salinoli  della  Terra. 

122.  MtUin§  fUiio  «e.  Celaci  già 
d  fndb  le  mtm  le  oc  iocresca  e  nea 
iadifBwel,  ere  il  frwMo  strtnge ,  ag- 
gkarcia,  u  faine  Cicito  ;  e  non  ci  fare 
aaiara  a  richieder  di  qaesto  favore  oè 
Jmm  me  Tito  (Tileo),  od  altro  gigaale. 

m  QmggH  può  dar  ee.  OiAm» 
tuec  ai  aaealrano  dctidrrnsi  i  dannati  : 
d'aver  aolitia  dflle  cote  del  numdu;  e 
d*  eaer  richiaBiati  alla  memoria  drgli 
•oanaì.  Volti  cummeoteiurì  ban  ere- 
ttalo che  ni  drbha  intenderti  della  pri- 
ma enea,  m  cai  M  dice  cbe  Dante  p«>lea 
a«d«farlo  :  e  eie  per  la  ragiuae  che  del- 
r  altra  ai  ^rla  dopo-  Auear  ti  jmò 
uri  mmi^  rendrr  fama.  I»  t«ino  d'opi- 
uwoe  che  la  cona  che  aaMilalainente  ai 
Ce  aperve  ad  Aoleo  per  meno  di  l>ante 
aie  U  fama  apprcmo  il  mondo;  e  che 
il  «trae  aopra  riportato,  ooo  aia  che 
«iella  I 


Ila.  U  frif;  il  > 

/•,  diccei  di  chi  ••perhameale  e 

■rate  diapregia 

I2a.  ff  luiiga  rito  et..*  ed  aapetta 

di  nt art  «aceri  laogo  tramo ,  poiché 

è  •  Mene  il  carae  degli  anni  aam. 

429.  5f  fMMMti  fra^  et.  Se  Dia 


per  eaa  grazia  a  aè  noi  ehianui  dalla 
vita  mortale  poco  dcdderahile  rispetto 
all'eterna.  La  morte,  quando  n  vive 
ia  aaa  Inala  eocicià,  dove  V  nooio  od^ 
sto  ha  eempre  la  poggio ,  è  aaa  vera 
grana  di  Dio. 

131-152  JLe  aum  disten  te.  Co> 
stmisci:  distese  le  maoi,  dalle  anali 
Ercole  seoli  grande  stretta,  quando  fotte 
con  lui. 

135.  Poi  fece  fi  «e.  Poi  fece  in 
modo  che  foeeimo  da  Anteo  abbracciati 
ambidue  qoaii  in  un  fascio. 

136.  laHicnda.  oGsrisenda,  torre 
in  Bologna,  ciisi  chiamata  dal  nome  di 
chi  le  fece  iniialiare,  e  rlie  ogjp  è  detta 
la  tiirre  mnzaa  KMa  è  multo  pendente, 
e  perciò  pnò  sembrare  a  chi  ftta  sotto  il 
soo  rfttMiloI  il  san  pendio),  guardando 
in  ali«»  qnanilu  pama  alcuna  nube  in  di- 
refuioe  contraria  alla  saa  iaclioaaioae. 
che  non  la  nube ,  ma  la  torre  stessa  ai 
m«<va  e  derhmi  :  similmente  par^e  qai  • 
Dente  ohe  Anteo  si  chweaae.  Cioè,  par- 
vegli  che  il  gigante,  che  gih  si  chmava 
per  posarli,  steaee  per  cadérgli  addoaao, 
non  altrimeali  ehìa  nel  deaorillo  caaa 
aembra  a  taluaa  che  aia  per  cadere  la 
Carisenda. 

139.  atee*  a  6a^«e.,  badava, alava 
attento  a  vederlo  chinara. 


246 


DELL  19fF£RNO 


Dì  vederlo  chinare,  e  fo  tal*  ora 

Ch'  i*  avrei  voluto  ir  per  altra  strada. 
Ma  lievemente  al  fondo,  che  divora 

Lucifero  con  Giuda,  ci  posò; 

Né  si  chinato  li  fece  dimora, 
E  rom*  albero  in  nave  si  le\'ò. 


140 


440.  e  fu  taParm  ee.i  e  fn  no  dkk 
mento,  che  ec.  :  ò  modo  uiUtiMimo. 

442-443.  che  ditora  ec.:  che  eem 
in  bè  e  stra/ÌM  Kucilcro  con  (ìinda,  e  eoo 
lai  tutti  i  traditori .Cili<i<leirioferno poe- 
son  chiamar»!  in  certo  mudo  i  dannati. 
Con  aimil  metafora  ditte  al  Canto  XV  III, 
▼.  99:  Equetto  bctii  della  prima  valle 
Sapere  e  di  color  che  in  tè  assarra. 

4  A  A.  Ni  ti  chinato  ee.  Né  ponto  si 
trattenne  egli  co«i  chinato  ;  ma  ti  alzò, 
•i  tifcce  diritto  sulitamentc,  e  parve  co- 


445 

me  «n*  antenna  di  nate.  —  C^me  i  gi- 
ganti «botarono  bestialmente  della  fona 
e  dell'  intelletto  per  levarti  contro  il 
loro  Dio  da  cni  l'una  e  \*  altro  a%'can  ri- 
cevuto ,  coti  il  Poeta  ha  con  molta  con- 
venienza meato  qnetti  ribelli  e  traditori 
di  Dio  a  guardia  del  pozzo  ove  eoa  pa- 
niti coloro  che  tradirono  i  vincoli  pia 
tanti  delP amanita. 

445.  Ecom'alhero  in  nave  tiletò. 
Èqaetto  nn  di  qnei  verti  che  dimottraoo 
il  poeta  pittore:  e  quetti  vineoM  i  tccoJi. 


CAIVTO  TltElVTESIlflOSECMmDO. 


L'mnm  dtt  nono  «erdUo  0  um  pmuimttUù  di  àttrUiimo  glumuf  forma f  imito  tlmgm^ma  Cmitt^ 
0,  tomt  il  t^m  éi  MatthU::*,  p*mda  9trm  U  ttmtn.  È  éùttiUa  in  qtttunt  tpmrtumfH  wnc— Wd, 
«A«  «  twmum»  datte  divene  taumttami  dei  dmmmmti,  9  i»  «Memi*  di  eui  è  pmmMià  mmm  a^ttu  di 
tradimento,  ouim  di  quella  frode  pm  d'ogni  ohm  Stanale  eko  n  msa  im  aotof»  tmi  imititMem  «■ 
UKfo  diritto  mtlm  mottrm  fodo.  Net  primto,  dt$  dm  Cauto  uteumi*  del  f  rateilo  st  f><«i«  Caiaa,  momm 
i  trmditon  dei  proprio  smmgmet  mei  oeeomdo,  eàe  si  dice  AntfOiin  dal  irommm  Amleomen.  the  i 
fiialeke  manto  ètonco  oemdè  Trotm  m»  G'oei,  stmmao  i  traditori  detta  patn,i,  o  del  proprio 
mot  tenoi,  tàe  dml  traditore  del  giam  Pomtpeo  g'tHhiola  Tw!«iiira,  1  traditori  degli  aama  :  w 
Jtaalaieate,  amatalo  GiiMl(«ca  dal  tnsfe  Giuda,  quei  the  traili  oto  i  I019  èeaejmttori  e  sigmmri. 

la  quatto  Cmmtm  si  pmrfm  di  oarf  traditori  della  Calma  e  d'alenai  mlin  drirjmtrmmim,  ^m  m 
Dante  tomo  mmmiifettmt»  imenire  trmoerem  Im  gktmtaa  mttoiamdo*i  al  «eatro. 

S*  io  avessi  le  rime  e  aspre  e  chiocce, 
Come  si  converrebbe  al  tristo  buro, 
Sovra  '1  quel  pontan  tutto  I*  altre  rocce, 

r  premerei  di  mio  conretto  il  suro 

Più  pienamente;  ma  perch*  io  non  1*  abbo,  h 

Non  senza  tema  a  direr  mi  condnro. 

Che  non  è  impreca  da  pigliare  a  gabbo, 


4.  S'io  affetti.  Int.  :  te  dalP  italica 
lingua  mi  fotterodate.— azpre.  da  «co- 
fere,  non  altrimenti  che  frutte  acerbe  o 
di  cattivo  sapore.  —  ehiceee  di  r«nro  e 
cupo  «anno  da  metter  paura.  Vorrebbe 
dunque  il  l'oeU  nn  lingvaggìo  forte  a  nn 
tempo  e  imitativo,  perchè  la  tna  deacrì- 
zione  foate  piena,  e  tpiratte  anebo  etA 
tuono  quel  terribilo  cba  deotra  egli 
tentc. 

2.  al  tritio  6«e9,  al  trìtio  peczo, 
•  fondo  infornale. 


5.  forra  'l  qwil pontan,  tu  cni  1*0^ 
poggiano,  grafitano  «icoume  tal  loro 
centro,  {e  rocce ^  cu*è  le  ripe  de*cercbj 
iufemaii,  o  i  balzi  infeniali. 

4 .  V premerci  di  mìo  coneeito  ii  tu- 
co  «e.  fio  esprimerci,  io  ritrarrei  OMglio 
il  mio  concetto. 

5.  non  l'abbo,  non  lo  ho.  Dall'  ■■• 
tiq.  «6frere  o  ffòerp. 

7.  dm  pigtiaro  m  gabbo,  da  prcB- 
derti  por  gTUo<<o,  per  itchem  ;  na  è  «^ 
aa  tena  t  di  grave  difCcoltà. 


CANTO  TRBNTESnCOSECONDO. 

Descriver  fondo  a  taUo  Toniverso, 

Né  da  lingua  cbe  chiaiiii  mamma  e  babbo. 

Ma  quelle  Doddo  aiutino  il  mio  verso, 
Ch'  aintaro  ÀnAone  a  chiuder  Tebe, 
Si  che  dal  faUo  il  dir  non  sia  diverso. 

Oh  sovra  tutte  mal  creata  plebe. 

Che  stai  nel  loco,  onde  parlare  è  duro, 
Me' foste  state  qui  pecore  o  zebel 

Come  noi  fummo  giù  nel  pozzo  acuro  (*) 
Sotto  i  pie  del  gigante,  assai  più  bassi , 
Ed  io  mirava  ancora  all'alto  muro, 

Dicere  udi'mi:  Guarda,  come  pasri; 
Fa  si,  che  tu  non  calchi  con  le  piante 
Le  teste  de*  fratei  miseri  lassL  (*) 

Fercb'  io  mi  volsi,  e  vidimi  davante 
E  sotto  i  piedi  un  lago,  che  per  gielo 


tn 


iO 


i5 


20 


S.  Duarinwr  fémào  9€.,  Jciuir— 
]  Imi»,  àoè  il  centro  di  qvetU  sfera 
Gè  è  ietto,  corno  alCroro  no- 
r,  ■■conio  il  •ittrma  tolemaico, 
f .  Kèém  fJMiMi  che  diiami  flurai- 
•M  •  èsMo:  Bè  tale  che  po»a  efTet- 
tHfaeaa  «aa  Uogua  barolma.  E  cosi 
jtnmmtU  poloa  éu»  il  Tol^are  italiano 
«  fso'  tiBfi;  P"iB*  che  Dante  lo  er^ 
anso  •  i|«aUa  iraodcna  e  nobiltà  che 
«iéiaflaoMlsoo  poema .  Jfamma  e  teMo 
%mm  f  od  pocrìli,  ou  poste  a  far  contra- 
ilo eoUa  fravitb  dell'argomento,  e  a  fi«- 
ififimrc  f|«Él  cbe  sopra  ha  detto  il  Poeta. 
4e.  ila  guelfe  Donne  (le  Mose  così 
^anauie  perchè  si|rnore  e  dominatrici 
4efii  ■■ani  affetti).  Nel  forte  impegno 
opporfnaamsnti  ÌAYOca  le  Muse  ,  cfao 
non  asaadierangli  d'  aiuto. 
4 1 .  Cfc'csHtoro  An/Umete.  È  favola 
al  snooo  della  lira  facesse 
I  stasi  del  monte  Gtcrooe,  a 
che  gasili  par  loro  medesimi  si  nnissero 
U  ava  di  Tebe.  I 


ofMn  lo  ss,  oeao  gli  nomini  selToggi  e 
ami ,  aansaefitti  e  condotti  alla  tita 


per  U  Cam  della  parola,  t  par 
racmoMU  atti  imitili. 

n.  Si  tk§  émi  (mUo  t9  ,  akcfaoln 
■i»  MraU  aicmo  pan  al  aabielto. 

è9:  •  plabt,  a  torba  d'anima  sofra 
laalIraalMaaM  aall'iafcrM,  dì- 
•      I 


44.  Che  ttal  nei  loeoj  nel  aie  detto 
fondo  dell'Inferno,  o  eentro  dell' nni- 
Torso;  ofiflle  parUàre  è  ^mtù;  di  cni  è 
roalsgevole  parlare  cooTonientemente. 
Questa  apostrofe  ci  intoona  la  dnraoon- 
dirionc  e  sopra  d' ogni  altra  spaTontosa 
di  <|aeste  anima  .  a  descriver  la  qntla 
mancano  meni  alla  lingna. 

45.  He*,  meglio.  —  %ebe,  eapre. 

J)  Primo  spartimenCo. 
7.  Solfo  ipiè  ee.:  in  quel  svolo 
pie  bssso  di  quello  sul  quale  il  gigante 
tsneira  i  piedi. 

48.  at/'a/lo  nHim,cibè,  all'alto  nm- 
ro  del  profondo  pozi o,  ove  erano  stati  da 
Anteo  deposti.  E  il  volfforn  a  rimirare  un 
passo  pericoloso  da  eui  siamo  usciti  feli- 
eemente,  è  cosa  ben  naturale. 

49.  Guarda,  come  patti.  Le  parola 
sono  dirette  solamente  a  Dante,  o  per- 
chè l' ombra  che  parìa  si  è  seeorta  eha 
^i  solo  ha  corpo  ;  o  perchè,  vadeadolo 
intaso  a  tutt'altro,  temeva  cne  pestaaaa 
o  lai  o  suo  fratello,  eh'erangli  i  pie  vi* 
etai.  Sono  queati  i  due  fratelli  Alberti, 
come  vedremo. 

n  Traditori  de'proprj  parenti. 

22.  Perch'io,  ner  lo  eba  io. 

23.  ìM  iago,  eheper  gitio,  an  la|o 
cha  per  esser  aelalo  ae.  Il  lunga  abito 
del  Vizio  rande  finalmento  il  eaora  darò, 
tre4<lo  e  insensibile  affatto  anche  ai  pia 
saitti  affetti  di  sangue,  di  patria,  d'ami* 
ciria,  di  ricoooacanaa.  Gd  jk  i\ucÀa  V  ^ 


218 


DBLL'  INFEKlfO 


Avea  di  vetro  e  non  d'  «equa  sembiante. 
Non  fece  al  corso  sno  si  grosso  velo  sa 

Di  verno  la  Danoia  in  Aasterìcch, 

Né  1  Tanai  là  sotto  M  freddo  cielo, 
Com'era  qaivi:  che,  se  Tabemicch 

Y'ì  fosse  su  caduto,  o  Pietra  pana, 

Non  avria  pur  dall'  orlo  fatto  cricch.  so 

E  come  a  gracidar  si  sta  la  rana 

Col  muso  fuor  delP  acqua,  quando  sogna 

Di  spigolar  sovente  la  villana; 
Livide  insin  là  dove  appar  vergogna 

Eran  l'ombre  dolenti  nella  ghiaccia,  3> 

Mettendo  i  denti  in  nota  di  cicogna. 
Ognuna  in  giù  tenea  volta  la  faccia: 

Da  bocca  il  freddo,  e  dagli  occhi  *l  cor  tristo 


timo  grado  ed  il  profondo  deirimqvìtt. 
Son  dim(|Qe  bea   paniti  nel  ghiieeio  t 
nel  centro  delle  terra  i  treditiiri  dei  pa- 
renti,  della  patria ,  defB  amici,  dei  ne 
aclaltorì. 

25.  JVen  fue  «e.:  dee,  non  fece  mai 
alle  toe  aripie  ti  groesa  coperta  o  trih 
•la  di  ghiaccio. 

2G  la  Dmtoia,  il  Dannbia.  —  te 
Au*tBrieeht  noè  in  Anairìa. 

27 .  Tanni  la  lana,  o  da  il  Don , 
gran  fiume  che  negli  antichi  lenipi  di- 
tideva  l'Enrona  dall'  Asia.  —  iotlo  'I 
freddo  cielo,  tnt.  :  sotto  il  clima  fred- 
disaimo  della  Muscovia. 

28.  Tottmiech ,  monte  dtiadmo 
della  Schiavonia. 

29.  Pietrapana,  Petra  Àpvuh 
na,  altro  monte  aitiaaimo  nella  Garf^ 
gonna 

30.  jmr  dall' Orio  ^  nemmea  dal- 
l' orlo,  dove  il  ghiardo  è  più  salitile,  e 
prima  che  altrove  si  itacra.  Il  Lnmbai^ 
die  dopo  di  Ini  altri  lrgg«ioo  (hterichi; 
Tamhernirhii  rricAì.Qui  si  è  tenuta  la 
liiione  antica,  come  quella  in  eoi  la  pa- 
rola erieeh  ,  con  più  oidenia  esprime 
il  suono  che  fa  il  ghiaccio  qnaiidu  si 
spena.  Ecco  presso  a  poco  una  dì  quel- 
le rime  aspre  e  chiocce  che  il  Poeta  de- 
siderava. 

32-53.  q^amàotognaet.  Qui  il  Poe- 
ta vnul  significare  la  stagione  e  l'ora  :  cioè 
il  pi  indpio  della  state,  qnamlolaTillaMi 
fpigela  ;  e  l'ora  della  notte,  quando 


Tillana  sogna  sovente  di  spigolare.  Ge- 
neralmenle  d  sogna  la  notte  quel  eh* 
d  ha  mollo  occupati  nel  giamo. 

34 .  Lixide  nut»  ìédtma^c.  Il  Cesta 
spiegava  questo  lungo  coaì  :  •  Le  ambra 
dolenti. le  quali  stavanocolla  testa  fuori 
del  ghiaccio  trasparente^  d  vede^ana 
esser  livide  sino  all'angumaia,  imtim  là 
dote  appar  rergogna.  ■  Io  perà 
che  la  (rase  {asili  là  dorè  mppmr 
pagna  si;;nifichi  sem'  altro  «ino 
/accia,  cbè  nell'  altra  parte  iataaa  M 
(Imts  la  rergogna,  ww  quanto  io  mi 
•appia,  non  appare.  La  limitariims  pei 
Itno  alla  faccia  riguarda  non  giè  la  li- 
vidura, ma  r  immersione  di  qoella 
anime  nel  ghiaccio,  l'alche  io  cigliai 
SCO  e  spiego  rosi:  •  Inttc  livida  dd 
freddo,    Tornire  dolenti 


vano,  fitte  nel  ghiaccio  dno  a  aa 
parie  i)o\e  si  mi>slra  vergitgna.  a  t 
molli  fiiieiTa.  piutlostochè  il  prapt'ia  ?» 
(sbiilo  faccia,  ha  usato  Dante  «mìIb 
piTifraM,  pnrrhe  cosi  veniva  aana  aé 
aicenaare  il  line  dt'ila  di\iaa  giaatida 
Ui'l  lasciar  funn  del  gliiardo  tatla  la  t^ 
sia  a  qnvi  traditurt.  IM  (rflti, 
esili  viTg4igna  ,  tcUiTon  basso  il 
isf uggire  quanta  poaaono  all' 
ae.-tcenza. 


56.  MeUemào  i  demH 
fare  ai  denti  quel  aaono  cha  aaal  farà 
la  dcitgna  quando  batte  la 
riore  drl  becco  coli'  inleriora. 

58-5'J .  Da  bocca  ce.  GisIrvHÌ  m  i» 


CANTO  TBKIfTESIHOtKOIVDO 

Tra  lor  testimonianza  ai  pn>caoria. 

Qoand'  io  ebbi  d*  intorno  alquanto  visto, 
ToMnii  a*{nediy  e  vidi  dne  ai  stretti. 
Che  '1  pel  del  tapo  wmao  insieme  misto. 

Ditemi  voi,  che  si  itriiyle  i  petti, 

Diss'io,  ohi  «ettt.  E  qoei  piegaro  i  eoDI; 
E  poi  ch'ebber  li  visi  a  me  eretti, 

Gli  occhi  lor,  ch'eran  pria  por  dentro  molli, 
Goorìar  sd  per  le  labbra,  e  1  §bìo  strìnse 
Le  lagrime  tra  essi,  e  rìserrolli' 

Legno  con  'legno  spranga  mai  non  cinse 
Forte  cosi;  ond*  ei,  come  doo  becchi, 
Cozzaro  insieme:  tant'  ira  li  vinse. 

Ed  on,  eh'  avea  perduti  ambo  gli  orecchi 
Per  la  freddura,  pur  col  viso  in  giue 
Disse:  Perchè  cotanto  in  noi  ti  specchi? 

Se  vuoi  saper  chi  son  cotesti  due. 
La  valle,  onde  Bisenzio  si  dicbina, 
Del  padre  loro  Alberto  e  di  lor  fue. 

D*  un  corpo  uscirò:  e  tolta  la  Caina 
Potrai  cercare,  e  non  troverai  ombra 


»» 


40 


46 


60- 


bb 


h 
i 


:  in  ^wHa  frale  0  frr^o  n  ff- 

itaiiMMMBza,  o  fa  fede  di  «è  p«r 

,  cwè  roa  lo  •batter  de' denti  ;  o 

,  •  l'iolenio  di'Iore ,  m  p«- 

rfH  •cebi  fMiS  di  pianto. 
pt9§mrm  i  rulU,  li  piegarooo 
■taawnd.«i  V  mn  daU'al- 


mofff ,  aniifli  aolo 
,  •,  pr<>fni  di  laerime 
47.  M  ftrUImbbrn,  par  che  debba 
~  migii  orli  dtÙ€  jmlpebre, 
MffcW  ttàtm  il  graa  freddo  duo  avrcb- 
Wr»  potalo  le  lacrime  aver  teinpo  di 
■fcdwiilt  labbra  della  b.«a  Vero 
è  eW  alna  Codd.  baimo  9M  per  fe  liié> 
èra.  «•■  dM  ccflo  a'  iodirberebbero  le 
ddb  b>«co^  na  oal  eiioeetto 
é  pie  forile ,  w  pt- 
M,  t  pia  fona. 

4S  ^n€$M,  tra  eaai  oerbi.  L'adii 
4  li dol  1948  ba  trm  Me.  cbe 

da  BOI  Mfoita. 
I  Corvo 


,  por  laarro  na* 


55.  pmr  9ol  Vito  te  ghie,  cootìnaaii- 
do  a  trfMTf  il  copo  baeso. 

54.  m  noi  ti»péeehi,  cioè  ti  affilai 
in  noi.  Ma  se  ttava  eoi  viso  baaao,  coinè 
potea  tedere  m  Dante  lo  guardava!  Il 
gelo  Ini  te  §li  f«*ee  da  fpi'cdiio. 

56.  ìm  ralle ,  onde  BUentio  iidt' 
ehimmj  è  formata  de' contrafforti  che 
nella  dirninne  da  lett.  ad  o«ttro  •condo- 
no dairApprniiiai»  di  Monte-Piano  e  di 
\ernif»,  le  quali  bram-lie  proluogaodo» 
si ,  a  dt-stm  |ier  Moote  Giavello  fino  t 
Mnnteliiirlo.a  uniiitra  per  Munte  Coc- 
coli e  la  (laUana  ,  prendimu  in  marzo  la 
pianura  e  la  «Ila  di  Prato;  e  por  ^oo- 
•tu  trailo  «ppiintit  corre  il  Biseiutio. 

57.  Alberto:  Albirto  degli  Alberti, 
nobile  fit»reiiUtt».  — di  lor  /«e,  cioc  fa 
pf laaeaaione  d' Albei  to  e  di  luru  Suo  e«ai 
Aleeaandro  e  NapoleiHic ,  c(iali  di  Man- 
gooa ,  che  mortu  il  padre  loro  ai  diero» 
no  a  liraBnefigiaro  le  terrò  iotumo ,  a 
finalmenlo  tenuti  tra  loro  in  diseordia 
per  caipmie  drll'ereilili  palerai ,  V  aao 
ammalerò  l'altioa  tradi<iiealo. 

58 .  H'uH  rorpo  uteiro  :  nacquero  dà 
ana  Ktca»a  madia. 


2S0 


DELL'  INFERNO 


Degna  più  d'esser  fitta  in  gelatìna:  eo 

Non  quelli  a  cui  fu  rotto  il  petto  e  1*  ombra 

Con  esso  nn  colpo,  per  la  man  d*Artù: 

Non  Focaccia:  non  questi  che  m*  ingombra 
Col  capo  sì,  eh'  i'non  veggio  oltre  più, 

E  fu  nomato  Saasol  Mascheroni:  6i 

Se  Tosco  se*,  ben  sa'  omai  chi  fu. 
E  perchè  non  ini  métti  in  più  sermoni, 

Sappi  eh'  i'  fui  il  Camicìon  de'  Pazzi, 

Ed  aspetto  Carlin  che  mi  scagioni. 
Poscia  vid'  io  mille  visi  cagnazzi  {*)  70 

Fatti  per  fireddo:  onde  mi  vien  ribrezzo, 

E  verrà  sempre,  de'  gelati  guazzi. 
E  mentre  eh*  andavamo  in  ver  lo  mezzo, 

co.  in  gelatina.  Goti  oomÌM  per     too  nipote,  per  rinioere  erede  l'arri- 
'*      '*    '^    *'     *  '"       M  ;  oude  a  loi  fa  U(*Iieta  le  letta  in  Fi- 


ischeiTo  il  (jelato  Cocito  dove  eoD  fitte 
le  anime,  rauomigliandolo  a  oaella  vi- 
▼anda  ■  tutti  nota  che  dai  cuocni  li  pre- 
para con  brodo  glutinoso  congelato.  Ta- 
Iodì,  a  cui  pare  ioopportano  lo  tcheno 
ìd  materia  cotanto  scria,  dicono  die 
gelalina  sta  qui  nel  sem|ilice  senso  di 
gelo.  Il  discorso  di  costoro  tornerebbe, 
se  fosse  Dante  oucgli  die  qui  parla , 
ma  egli  è  il  traditore  Camicioo  deTax- 
ai  ;  e  a  lui,  loquare  e  petulante  come  si 
mostra ,  non  disconviene  questa  idea  fa- 
ceta e  burlevole. 

64 .  Non  quelli  ee.  Mordrec ,  il  ana- 
le essendosi  posto  in  aguato  per  ncddcre 
il  proprio  podre  Artù  re  della  Gran  Bre- 
tagna, fu  da  lui  veduto,  e  poscia  tra- 
passato con  una  lancia  a  modo,  che  (se- 
condo  che  narrasi  ndle  stone  cavallere- 
sche) per  mozio  la  ferita  passò  nn  raggio 
di  sole  COSI  manifcslamciite ,  che  Girllct 
lo  vide.  Perciò  il  Porta  dice  :  a  cui  fu 
rotto  il  petto  9  t'ombra,  doè  fu  rotta 
dal  solar  raggio  quell'ombra  che  il  pet^ 
to  faceva  sopra  il  snolo. 

63.  Focaccia.  Focaccia  de* Cancel- 
lieri ,  nobile  p'istoicse,  il  quale  mozzò  nna 
mano  ad  un  suo  cugino  ed  uccise  un  sno 
zio:  le  quali  crndelti  dictlern  prindpio 
alle  fazioni  de'  Bianchi  e  dc'Nen. — udii 
^eiti  ee.  Intrudi  :  non  questi  che  col 
capo  mi  sta  dinanzi,  si  che  m'impedisca 
il  vedere  più  oltre. 

65.  Sattol  JUatcktroni^  liom- 
Itno,  nccisorc  di  nn  suo  zio.  L'Ano* 
Qimo  nota  :  s  Questi,  essendo  tnlorr  d'nn 


renio.» 

66.  ben  (Ui  iaper  dU  /k.  il  testo 
VÌT.  e  il  Coà.  Fior. 

67.  E  perchè  ee,  :  e  perchè  ta  non 
abbi  occasione  di  farmi  parlare  più  di 
quello  che  io  vorrei. 

68  Cam icion  deT  Paxzi.  Mcsaer  AI- 
berto  Camicioue  de' Pazzi  dì  Valdamo, 
il  qnale  a  tradimento  occiaa  mcascr 
Ubertino  t^no  parente.  Vaij  testi  :  Stppi 
cfc'i'zono. 

69.  CarHii.Mcsser  Carlino  ae*Pai^ 
zi ,  di  pai  te  bianca ,  diede  per  dcDarì ,  a 
tradimento,  il  cartello  di  Piano  di  Trevi- 
gne  in  mnno  de'  Neri  di  Firenze,  per  coi 
molti  furon  morti  o  presi  par  dei  ■>> 
gliorì  usciti  di  Firenze.  Vedi  Gio.  Villa- 
ni, lib.  Vili,  33. — the  mi  seagUmi,  cba 
mi  scusi ,  che  mi  scolpi  ;  porcM  avendo 
egli  delitti  tanto  più  g'''^^'  ^  ■»■*(  i  ■■ 
confronto  di  lui  apparirò  ^naai  i 
eente. 

70.  visi  cagnazzi t  visi  Inld 
nazzi  e  morelli  pel  fi-eddo. 

{')  Passaggio  all'Antenora. 

71.  rtòresso,  orrore,  apaiinlo. 
Propriamente  nòrezxo  è  il  nriridepre 
cursore  ddla  fi-bbra. 

72.  de' gelati  gumxxi,  degli  gtosn 
gelati ,  perchè  tal  vikta  vii  lirhiMiin 
alla  memoria  l'idea  orrÌMlo  di  foegi 
sriagnrati. 

75.  in  ter  lo  wtetw  or.  lateaf  vo^ 
80  il  centro  della  terra ,  al  ^nlo  tallo 
le  coae  gravi  tendono  p«  loro  ntori. 


CANTO  TAENTESIMOSECONDO. 


ni 


k* 


Al  quale  ogni  gravezza  si  rauna, 
Ed  io  tremava  nell'eterno  rezzo; 

Se  voler  fti,  o  destino,  o  fortuna. 

Non  so;  ma  passeggiando  tra  le  teste, 
Forte  percossi  il  pie  nel  viso  ad  una. 

Piangendo  mi  sgridò:  Perchè  mi  peste? 
Se  ta  non  vieni  a  crescer  la  vendetta 
Di  Moiit* Aperti,  perché  mi  moleste? 

Ed  io:  Maestro  mio,  or  qui  m' aspetta. 
Si  eh*  i'  esca  d' un  dubbio  per  costui: 
Poi  mi  forai,  quantunque  vorrai,  fretta. 

Lo  Duca  stette;  ed  io  dissi  a  colui 
Che  bestemmiava  duramente  ancora: 
Qual  se'  tu  che  cosi  rampogni  altrui? 

Or  tu  dìi  se*,  che  vai  per  TAntenora 
Pércotendo,  rispose,  altrui  le  gote 
Si,  che  se  fossi  vivo,  troppo  fora? 

Vivo  soD  io,  e  caro  esser  ti  puote. 
Fu  mia  risposta,  sé  domandi  fama, 
Ch'  io  metta  '1  nome  tuo  tra  1*  altre  note. 

Ed  ^li  a  me:  Del  contrario  ho  io  brama: 
Levati  quinci  e  non  mi  dar  più  lagna; 
Che  mal  sai  lusingar  per  questa  lama. 

Allor  Io  presi  per  la  cuticagna, 
.  E  dissi:  £' converrà  che  tu  ti  nomi, 
0  che  capei  qui  su  non  ti  rimagna. 

T%,9tirÉUrmo  rwuo,  io^nel  luogo 
I  «^n.  •  il  9ìn  è'  ogni  altro 
4bl  npgio  •  àéi  eaUif  del  sole. 
7C.J^MSr/bM.  OCmm  abp» 
S  Dm,  etcMfiira  Mt;  •  nero  cato. 
li;  peeta.  Cotlui  che  qui  p«r- 
Jfgti  Abati ,  6ureatiao ,  di 
fer  tradinieoto  del  quale 
reno  Moatap^rti  quai- 
adi  Caoto  1 ,  nula  al 


75 


so 


S5 


90 


95 


19 


•  cruiear  U  vendeiim  EH 
;  at  lo  ooo  nem  ad  ao> 
3  «attigo  aba  aicntai   pai 
kntm  •  MooUperti ,  qaati 
^•alU  cW  qui  MMteiifa. 
O  Sicàrat^ae.  Sicà'ioaMa 
£  wm  ètàkmikm  tm  è  tesato  lotanM  la 
dii  aaifi  fuado  egli  ka  mvm 


S4.  f IMMlaMIflIt,  q«8Dt0. 


90-  A,  efta  M  foni  Woo,  ce.  Bocca 
M  pensa  che  Dante  sia  un'ombra;  a  ma« 
raTÌglÌMÌ  della  fona  con  che  egli  fa  par- 
coka«>  dui  piatii  di  Ini. 

93.  Irm  l'altre  noU,  fra  la  altre  cosa 
da  me  o-'Uite  quaggiù  par  fama  niaoM»- 
rìa  nel  mondo  de'  tifi. 

95.  lagna^  afflixione,  Bolcstia.  Pro- 
priameolr  aio  che  dà  cagione  a  lagnarsi. 

96.  «ini  snt  luiingar  te.  :  osi  mù 
noi  vaoef  o  piuttosto  mtalaeeorte  e  poeù 
desile  lusinghe  ,  peraoccbè  quelli  eh* 
giaecivno  in  questo  fonda  non  cercano 
faina,  ami  desiderano  di  non  easera  n^ 
minati. — per  qwetta  Immm,  m  quaatn 
cavità ,  in  qaesU  valle. 

97.  per  la  euti€agnm  te.  •  cioè  pai 
capelli  della  culic«giM,  aba  è  la  parto 
concava  e  deretana  dal  capo.  Stando  agli 
a  capo  ripiegato,  era  quella  la  parta  cmè 
più  cumoda  prcaaata^asi  a  Denta. 


-SI)  dell'  niFEBXO 

Or.d*  egli  a  me:  Perché  la  mi  dischiomi. 
Né  ti  dirò  chi  io  sia,  né  mo^trerolli, 
Se  mille  fiate  ia  sol  capo  mi  tomi. 

Io  avea  già  i  capelli  in  mano  avvolti, 
E  tratti  glien  avea  più  d*ana  ciocca, 
Latrando  lui  con  gli  occhi  in  giù  raccolti: 

Quando  un  altro  gridò:  Che  hai  ta.  Bocca? 
Non  li  basta  sonar  con  le  mascelle, 
Se  tu  non  latri?  qual  diavol  ti  tocca  ? 

Ornai,  diss*  io,  non  vo'che  tu  favelle, 
Malvagio  traditor,  eh'  alla  tua  onta 
Io  |K)rterò  di  te  vere  novelle. 

Va  via,  rispose,  e  ciò  che  tu  vuoi,  conta; 
Bla  non  tacer,  se  tu  di  qua  entr^eschi, 
Di  quel  rh'ebbe  or  cosi  la  lingua  pronta. 

£i  pian<;e  qui  l'argento  de*  Franceiichi: 
l'vidi,  potrai  dir,  quel  da  Duera 
Là  do\e  i  peccatori  stanno  freschi. 

So  fossi  dimandato  altri  chi  v*  era. 
Tu  hai  da  lato  quel  di  Beccheria, 
Di  CUI  segò  Fiorenza  la  gorgiera. 


100 


10» 


fio 


115 


i^ 


100.  Perchè  tu  mi  ditekiomi,  per 
disrh  ioni  inni  «bc  tu  faccialo,  quantun- 
que lu  mi  riilura  raU«i. 

lui  ni  mostre rulti :  uè  ti  mo- 
strerò rbi  iu  mi  sia,  aIzMudo  verso  t£  lo 
fsccia. 

I02.  Se milU  fiate ee.^  cine ^  se  mille 
Tolte  tu  mi  |N*rcula  sul  rapo.  Diiiite  por- 
coaae  co  piedi  ci»iui  rlir  tavella.  \vdi  il 
verso 78, al  qualf  il  «eisw  prt-tenle  li  ri- 
feriirr.  »  Uima»9,  vale  prupr.  cader 
giù  roii  tuli*  L  Iwi/a  drl  |Miiprio  prao. 

iti5.  cuyli  occhi  in  giù  raeeuUi, 
cogli  «irrlii  ftriuprr  banM. 

Il>7  iomar  con  le  masreUe,  rinè 
liallete  ìo*h'ìiii>  pel  rr<>dtlti  le  iiia!«crlie. 

luti  eks  piii  fattile ,  il  leato  \iv. 
«  U  VhI   2. 

H  4 .  />!  quel  ek^ebbe  or  ee. ,  dì  co- 
lui rlir  teste  fu  ai  pruoi»  a  UMoiEtikiarti 
il  imi»  ni  tuie. 

1(5.  tei  piange  «e.  Quegli  di  em 
porlo  liuera,  e  Uuiiw»  da  iKuH-a  Cremo- 
B«ae .  li  quale ,  per  deiiHru  (inerliigli  dil 
conte  Guidii  di  MMifurlv  «Hidiitltire  del- 
l'eaercit»  di  Kraiuno,  non  gU  enntese  il 
pauu  nella  Tullia,  coui' era  obbligato  di 


fare  ,  riacndo  sloto  posto  dai  GhiboUiBÌ 
e  da  MjDircdi  nei  luoghi  Tcno  ParoM 
■I  punto  per  «Mtore  •  Carlo  d'Aagi*. 
Qua  .che  storico  nega  questa  corrvàoBC 
di  lluiiso ,  na  l' affermano  il  Malcapiai 
e  il  Villani. 

117.  U  àat€  i  peeeaioH 
fmchi.  E  immIo  par  quesèo 
tbe  min  tu  diiuiice  iu  buoaa  a 
tura ,  cbe  sropei  lo ,  quasi  a 
c«d|ia ,  svela  altri  rei  suoi  pari,  6  fa  i 
bcir  umore  mottei;(paiKÌu. 

1 19.  furi  cit  HfcrAerfa.QMilifoai 
Pavia  ed  abate  di  \alluuU»roaa  ,  al  fa9è§ 
fa  tagliata  la  te»ta,  per  eaa 
certo  tialtato  cbe  fgli  fa 
Gufili  in  favore  de' Ghibellini  in  Pii 
la,  Ole  fu  mandalo  legalo  per  papa  Alea- 
Sandro  |\:  il  quale  poi  adagaato  par 
quiitta  Bn<Lce  e  srauualosa  aaioaa  da 
Fioreiiiioi ,  uilerdinse  la  lor»  cillh.  Fa 
detto  am  be  rbe  il  Ih-celicria  saa  fant 
reo  dell' opponlogli  dcliUo. 

120.  lagorgierm  e  aa  aoUaralla  di 
bisso  u  d'altra  tela  linea  Bolla  Saa.  Qv 
è  prosa  liguratamcutc  t  aigaificara  fa 
gola. 


126 


130 


CAKTO  TftZirrESlMOfiECONDa  ttS 

Gianni  del  Soldaoier  credo  che  sia 
Piò  là  con  GumUmb  e  Tribtld^o, 
Ch'  apri  Faenza  quando  si  dormia. 

Nói  eravam  partiti  già  da  ello^ 

Ch'  i*  vidi  duo  ghiacciati  in  una  baca, 
Si  che  r  on  capo  all'  altro  era  cappello: 

E  come  '1  pan  per  fame  si  manduca , 
Cosi  1  sovran  li  denti  all'  altro  pose 
Là  *ve  '1  cert'el  s' aggiunge  colla  niKa. 

Non  altrimenti  Tideo  si  rose 

Le  tempie  a  Menalippo  per  disdegno, 
Che  quei  faceva  1  teschio  e  V  altre  cose. 

0  to  che  mostri  per  si  bestiai  segno 
Odio  sovra  colui  che  tu  ti  mangi. 
Dimmi  1  perchè,  disa'  io,  per  tal  convegno.        tS5 

Che  se  tu  a  ragion  di  lui  ti  piangi, 

Sappìendo  chi  \-oi  siete,  e  la  sua  pecca, 
Nei  mondo  suso  ancor  k>  te  ne  cangi, 

Se  quella  con  eh'  io  pario  non  si  secca. 

121 .  GiMni  del  SoUanUr.  Gio. 
«Mai  S«Uaaien  ,  di  parte  ghibellina. 
^^àmÈém  i  Gliìkclltni  tèrre  il  goveroo  <li 
■H»t*GMl€,«  li  tradì,  •'•roiMlè  ad 
«■ì  6«rlf ,  6  feeesi  privripe  del  iMovo  g(K 
Pi  watai  dicel'ApoMiiao .  •  GiaiK 
SaUaMri  di  Firenct,  cuendo 
di  fa— aa,  e—  raiatoriodi  Tri- 
de  Zaabraai  della  della  lerrt , 
I  «Ha  lara  parie  gbibellioa  aili  B»> 
raeaia.  •  >ar]  CMiiai 

itt  P«*  là.  pia  prvMo  aleMitr».— 

Qatiti  è  qael  Geno  traditnre 

— ),  di  e«  lanlA  diee  l'Ari»- 


iM» ,  •  ]pr|  ai  IradioMnlii  furono  tagliati 
•  MHi  àà  ■ori  ìb  BoociteaUe  tocal»- 


10. 


H  dormU,  di  aitta 


CV  r  Hit,  qaaado  io  fidi. 
»•  §m  mmm  èaes.  La  baca  io  che  tlana» 
•Mali  da*  apirili  è  la  cavile  cirrdare 
«Ila  afartÌMeata  eÌM  divide  l'AnteBera 
latlora,  d^lla  Tolmnea  che  laK 


■adialaMeale  ama.  poiché  l'aoo  di 
«■InA  la  patria,  Valire  l'aMciiia. 


B  dunque  aon  confinanti,  e  in  loro^ 
Cocfsaa  le  dna  rlaasì. 

123.  er*  cappello  ^  cioè  aUvagli 
•opra  qaaai  come  cappella. 

427.  ft  mamfoca,  laC.a  nnagia. 

428  'I  Maraa.  «ulai  che  aUva  col 
capo  ttipra  l'altra  daanato. 

430- 1 34 .  IVdfo,  figliuido  d'EoM)  re 
di  Calidunio,  e  M4fnaJiftp»Trbaoo,eaaa» 
hattereao  inMcioe  prewe  Tebe  •  reato 
reno  aaib<>due  mnrtalmrolr  feriti.  1v 
doo,  aii|»ravvivr«do  al  mio  aeaueo.  C» 
eeai  reraro  la  testa  di  lai,  e  per  raabia 
lati  rmae. 

435.  per  tal  ranaefno,  par  tal  ea» 
Teoiiooe,  a  tal  pottow 

150.  ti  pimugi.  ti  lagai,  ti  daoli. 

437.  «^««apeera,  ilaoopaeeala 
feribdi  te. 

458.  ancor  io  U  ma  emm§i:  aa* 
rli'io  aa  nel  OModo  li  rieaipsnai  ;  ti 
reada  il  cambio  della  Isa  curtoM  in 
rJapwdermi  ;  e  eie  eoi  far  pabblieha  la 
lae  ragioai .  e  i  Uirli  di  lai. 

438.  5e  qmfUa  ar. .  sa  la  aia  0»^ 
gaa  Dt  n  ai  areca,  cioè,  ae  io  aaa  di» 
vaefo  aiata  par 


«14 


dell'inferno 


CAIVTO   IVEMTESIIIOTKIUMI. 


Dtff  CMiif  UìoUm»  9d€  VMigkUri  mOPjatftm  U  ntteomo  dtOm 
fMlMfi  mtllm  TolvmM,  •  dm  fimm  Alberigo  éifUo^MH  gU  h  mmttivm  ff 
tm  iifUta  gtuMtixim  prwttd*  «Mlm  cài  trmàum  emHim  tktmlmt  é*mfféè. 


La  bocca  sollevò  dal  fiero  pasto 
Quel  peccator,  forbendola  a*  capelli 
Del  capo  eh*  egli  avea  di  retro  guasto. 

Poi  cominciò  :  Tu  vuoi  eh'  io  rinnovelli 
Disperato  dolor  che  '1  cor  mi  preme. 
Già  por  pensando,  pria  eh*  i*  ne  favelli. 

Ma  se  le  mie  parole  esser  den  seme, 

Che  frutti  infamia  al  traditor  eh*  i'  rodo, 
Parlare  e  lagrimar  vedrai  insieme. 

r  non  80  chi  tu  sie,  né  per  che  modo 
Venuto  se*  quaggiù;  ma  Fiorentino 
Mi  sembri  veramente  quand*  i*  t*  odo. 

Tu  dèi  saper  eh*  i* fui '1  Conte  Ugolino, 
E  questi  l'Arcivescovo  Ruggieri: 
Or  ti  dirò  perch'  io  son  tal  vicino. 


trmiks  /««.   Psum 


10 


ih 


2-5-  forbendola,  ocUaDdola  aicth 

Sili.  —  Del  capo,  di  cui  diste  alla 
e  éc\  Canto  precédeale. 
6.  Già  pur  pentando,  tolo  col  re- 
carmelo ora  davanti  al  pensiero. 

9.  Parlare  e  lagrimar  ttdrai  in- 
fieme.  È  lo  stesso  cuncelto  che  fu 
espreseo  da  Francesca  da  himini  ia 
tfwA  %erto  :  ■  forò  come  eoiut  cJbe 
piange  •  dice.  •  Ma  si  ossenri  il  gran 
Maestro  che  non  scambia  mai  tono,  a 
sa  adattar  l'armonia  alla  natura  dc^^ 
affetti  e  delle  cose  che  rappresenta. 

42.  quand'  V i'  odo:  accenna  aldi- 
scono  indiriizatogli  nella  line  del  Canto 

Sreced.  ;  dai  modi  del  i|uale  e  anche 
alla  prooaniia  lo  distinse  per  Fioreo- 
Cino.  Anche  FarinatOf  nel  C.  X,  v.  23, 
La  Ina  loquela  li  fa  tnanifetlo  ee. 

43.  Ugolino  dei  GIterardcschi  conta 
dì  Donorstico.  nubile  pisano  e  guelfo, 
d'accordo  coU'arciteM-oTo  Kugtiieri  d«> 
gU  Ubaldioi  cacciò  da  Pisa  Nino  di 
Gallura,  nato  d' una  sua  iglia^  che  te 
■e  era  fatto  sagnoro.  e  sì  posa  lu  luogo 
ai  lui.  Ma  in  seguito  l'arcivekcof  o,  per  io- 
ti^ e  per  odio  di  parte,  e  più  che  altro 
par  Tcndicara  un  nipota  alatogli  ucciso 


dal  Conte,  con  l'aiuto  de-Oulaodi.  dt^ 
UDondi  e  de' Lanfraocbi,  alsaU  fa  cr»> 
ce,  con  molto  popolo  furibondu,  al 
^uale  aTfa  fatto  crederà,  a  sctitudn  ai- 
cani  era  taro,  eh'  egli  atcsaa  par  daawa 
rcndute  alcune  ctftclla  ai  Fiarsotioi  • 
Lucchesi,  Tenne  alla  case  del  Gaota,  a 
Ltto  prigioniero  lui,  due  aaoi  figUaaU, 
Gadda  e  Uguccione,  a  i  auoi  Ira  aipaHy 
Dgolino  detto  il  Brigata,  Arrigo  ad  Ab» 
aclwuccio,  li  fece  rinchiudere  nalla  twra 
dei  Gualandi  alle  setta  tic,  dora,  dopa 
aìcan  tempo  sottratto  loro  u  «ba,  faraa 
lusdsli  erudel manta  morir  di  fame,  D 
signor  Carlo  Troya  reca  molla  ragieai  a 
proTsri-  clic  in  guasto  orribile  falla  Hflv 
dveacof  o  ttuggen  non  cbba  mila  aalna 
che  DmiiIi'  f>li  dà,  ma  che  è  da  aacay^ 
Dame  massimamente  il  coala  Gwdo  da 
Mootefrltro  lurlle  cui  mani  era  allora 
il  reg;;imento  di  V'tu.  —  II  Cadica 
Vatic.  5449  ha;  cft*  C  fwi  Caede  U§^ 
limo. 

45.  perch'io  fon  «e.:  parche  io  auM» 
ora  caci  molesto  vicino  di  costai,  cena 
tu  vedi.  La  ragiona  di  «peata  ficÌBaBia 
è  stata  accennata  nella  aola  al  T.  425 
dal  Canto  precedenle. 


CAIVTO  TBENTESIHOTERZO. 

Che  per  reflétto  de*  goo'mai  pensieri, 
Fidandomi  di  lui,  io  fossi  preso 
E  poscia  morto,  dir  non  é  mestieri. 

Però,  quel  che  non  puoi  avere  inteso, 
CioÀ  come  la  morte  mia  fu  cruda. 
Udirai,  e  saprai  se  m'  ha  offeso. 

Breve  pertugio  dentro  dalla  muda, 
La  qual  per  me  ha  '1  titol  della  fome, 
E  in  che  conviene  ancor  eh*  altri  si  diiuda, 

M*  avea  mostrato  per  lo  suo  forame 

Più  lune  già,  quand'  i*  feci  *l  mal  sonno, 
Che  del  futuro  mi  squarciò  il  velame. 


SS5 


25 


46.  ftT  réffèUù  4»' $w^  mai  pen- 
fieri:  i  wmi  •  mótf  peotiari  ertno  !«  in- 
>tifaii<Hii  della  t«a  f<ioii«,  6  il  dend«- 
n«  ddla  vcodetU. 

47.  Fidamdomiaiui.'MàrtV'tn- 
cavto  odi'  aaiicuia  che  qael  prete  die- 
ffinalatore  eVt  dÌMoatrate,  né  piò  peo- 
•ava  ali*  iogiana  ;  aia  chi  la  fa,  la  acme 
■«Ila  rcaa  ;  e  chi  la  ricevei  nel  marmo. 

48.  Itr  «M  é  siecKeH,  perchè  tut- 
te a  mmd^  le  te. 

49.  mei  eh§  non  puoi  tmer§  <iile- 
m,   pai  elle  arreasto  nel  aegreto  della 


22.  Breve  ptrUigiOt  pìccola  Sne- 
^ln.'—éemtrodmUmmuda:òkmmu- 
dm  fmi  chiwo  ève  Ici^onn  gli  nccelli 
e  wmdmn,  cioè  •  amter  le  pcDoe.  Ed 
era  «aa  ^Mato  aeoie  chiamata  la  torre 
£  cai  ■  Mrla,jperrbè  vi  si  teiM'ìrano  a 
wtmémrwU  fme  della  Bepubblice  ;  fiu- 
eàè  per  9  fallo  chetai  ti  narra  aeqaiatò 
i  aaaM  di  larre  delia  fame, 

14.  memjgm,...  eh'aUri  $i  chiuda. 
Gè  era  bea  ladUed  arvenire  nel  dfile 
e  ael  farore  delle  faiiooi,  di 
N  la  darete. 
Pie  Utme  già  :  etoe^  erao  paa- 
aaÉ  me  •cei  delle  mie  prigieoia  :  e  ee- 
eaMa  dia  aarra  Gio.  Villani,  dall*  ago- 
ala  al  sano  dal  «SSS.  Alcani  Codd.  e 
iaveee  pia  imme;  ma  hi- 
arer  hca  p4«o  lame  per 
Imooa,  che  è  coolra- 


ite  del  roaleato,  o?e 
U  Cuotc  re  de»to  immamMi 
la  éimamt;  per  U  che  è  ehieru,  che 
laaade  il  Coole  faceva  il  mal  toono,  e 
*ra  focUe  il  hnOlo  eegoo,  era  TaltiaM 


parie  della  ootte ,  oè  perciò  poteva  pri- 
ma di  esso  aver  veduto  più  lume  per 
lo  spiraglio  della  torre.  1  sosteoitorì 
della  leaooe  pia  lume  a'  appoggieao  a 
certi  frammenti  di  Storia  Pisana  d'  un 
contemporaneo  pubblicali  dal  Murato- 
ri, dai  quali  si  rileva  che  il  Conte  coi 
figli  stette  rinchiuso  dapprima  in  altro 
carcere ,  da  cui  non  fu  trasforito  nella 
torre  dei  Gualandi  die  eli'  arrivo  del 
eonte  Guido  de  Montefeltro,  quando  fa 
decretata  la,  sua  morte  per  feme.  In 
questa  adunque  non  potea  aver  veduto 
più  (iMie,  non  etsendovi  rimasto  die 
quanto  tempo  durò  al  digiuno.  Ma  a 
ciò  potrebbe  rispondersi  che  Dante,  gia- 
dizioso  trasceglitore  delle  dreoetaote 
nelle  sue  deeeriiiom  .  non  ha  stfanato 
d'alcun  interesse  il  rilevare  queala  frat- 
laaione ,  ed  he  imroeginato  che  «a  da 
principio  fosse  il  Conio  rinchinso  B^a 
muda  dei  Gualandi  ;  e  che  la  verità  ffo- 
rica  non  è  stala  da  lui  in  questo  toatitt- 
tielmente  alterata  ,  perchè  ala  aempra 
fermo  che  il  Conte  fu  detenuto  in  aaa 
oscura  carcere,  e  che  dopo  lungo  tempo 
fu  prìveto  degli  alimenti.  Kitengasi  edon- 
que  Biruramente  la  lea.  pM  Isaia,  ari 
abbia  l' altra  per  un  de'  soliti  errifli  o 
aaecenterie  de  copisti. 

27 .  Che  dei  futuro  ee.,  doè,  eha  ai 
rirelò  il  futuro,  faveto  •ego*  è  iauM- 
ginalu  dal  Poeta  con  grandiaeima  arte, 
perche  |ier  eseo  s'enticipe  riofelidlh del 
C«»nle  per  l'apprenaione  ddle  inmiaeiiti 
sue  sventure,  contro  la  quali  non  aTreh- 
be  potuto  accitgliere  alcuna  speraota: 
tanta  fede  a' avea  nd  fogni  dd  mai- 
tino. 


\h 


DELL   INFEtlNO 

Quesii  parei'a  a  me  maeslro  e  donno, 
CscciantJo  il  lupo  e  i  lupicroj  al  monte, 
Per  che  i  Pisan  veder  Lurca  non  ponno. 

Con  eagne  magre,  studiose  e  come, 

Gualandi  con  Sismondi  e  con  Lsiifranclii 
S' aves  messi  dinanil  dalla  fronle. 

In  picciol  corso  mi  pareano  stanchi 

Lo  padre  e  i  figli,  e  con  l'agule  scane 
Mi  parea  lor  veder  Tender  li  fiancbi. 

Quando  fui  desio  innanzi  la  dimane. 

Pianger  semi'  fra  '1  sonno  i  miei  figlinoli, 
Ch'eran  con  meco,  e  dimandar  del  pane. 

Ben  (le'crudel,  se  In  già  non  ti  duoli, 

Pensando  ciò  che 'I  mio  cor  s'annunziava; 
E  se  non  piangi ,  di  che  [uanger  suoli? 

Già  eran  desti,  e  I'  ora  trapassava 
Che  'I  cibo  ne  soleva  essere  addollo, 


P'I  io  sentii  chiavar  1'  u 

U.  <^«  ec. Caini  che  istDilo  ni 
fttm  che  (oiae  tipa  (marllrv)  ■  «- 
IBOH  (AnMo)  di  ani  lui  Ih  Ai  gaia. 

23.  CoMimdD.  in  lUa  ili  aanrt 
Il  tttpo  <m  bàpieini.  Sippnnc  cIh  <la1 
■ofMr*  à  tdii  (ninwli  •ilHniLi  ddibi 
Hfuilan  (ulimmlu  di  (iiih.  Il  Conia 
«n  luilln,  U  iDibe  piun*  (bibilliDC  ; 
fModi  il  f rio»  è  Ggunlo  irl  lupg  ;  b 
Écsond*,  ptr  rantripp'sln.  nrlltngn*. 

39-10.  al  moNlt.SinCialiini'i/Vr 
(H  per  «i ,  MK-ndo  Mia  In  Pua  e 


n  dubitava: 
di  sono 

I .  Àllrì  mM  ItlifwneBta 
inda  ciò  chi  al  mia  * 

i.  Cté  rMH  dHlf.  Si  M 


tT  timTiKlo  dubhiDd»  ìIm 


CANTO  TABIfTESIMOTEfiZO. 

AD* orribile  torre;  ond*  io  guardai 

Nel  viao  a*  miei  figlinoi  senza  hr  motto. 

Io  1108  piaogeva:  si  dentro  impietrai: 
Piangevan  elli:  ed  Anselmucdo  mio 
Diase:  Ta  guardi  al,  padre:  che  hai? 

Però  non  lagrimai,  né  rispos'  io 

Tatto  quel  giorno,  né  la  notle  appresso, 
la6n  che  1*  altro  Sol  nel  mondo  oado. 

Come  un  poco  di  raggio  ai  fa  measo 
Nel  doloroso  carcere,  ed  io  scòrsi 
Per  quattro  visi  il  mio  aspetto  atesso; 

Ambo  le  mani  per  dolor  mi  morsi. 

E  quei,  pelando  eh'  io  *1  fessi  per  toglie 
va  manicar,  di  subito  levorsi, 

E  diaser:  Padre,  assai  ci  fia  men  doglia. 
Se  ta  mangi  di  noi  :  io  ne  vestisti 
Quesie  misero  carni,  e  ta  le  spoglia. 

Queta'mi  atlor  per  non  farli  più  tristi: 
Quel  di*  e  Talbro  stemmo  tutti  muti: 
Ahi  dura  terra,  perchè  non  t*  apristi? 

Pueciathé  fummo  al  quarto  df  venuti, 
Gaddo  mi  ai  gittò  disteso  a'  piedi, 
Diee&do:  Padre  mio,  che  non  m' aiuti? 

Quivi  mori:  e  come  tu  me  vedi, 
Vid*  io  cascar  li  tre  ad  uno  ad  uno 
Tra  1  quinto  di*  e  *1  aesto:  ond*  io  mi  diedi 
i  eieoo  a  brancolar  sovra  ciascuno, 
E  due  di'  li  chiamai  poi  eh*  e'  fur  morii: 
Poscia,  più  che'l  dolor,  potè  il  digiuno. 


tn 


60 


66 


60 


70 


76 


11^  Ji«0S  p<aiife««  te.  Io  Mo  pò* 
InifiHfm,  fcrcioccliè  il  d^Ure  ni 
U  •  nato  t  aodk  di 


IS-J7.  ti  i0  àeérti  Pwr.^mmiiro 
Mm~  U  i«p«Ui  ttàer  M  ^««tlfo  vol- 


6  k  iiMM  mm  i«MfÌM ,  •  dalli  lor 
■cnUila  oùa  «e. 


41 .  Màimtrt  Pmdnu.  A  ••  laTita 

#4.  Qmtta^wni,'m  MÌetat. 

ribaiBa. 

ìTomIcW  CU:  Edàm:  Ptdn, 
ftuàè  mm  mentir 


70.  Qwnimunri.  lolMdi  atl  la«|o 
ove  cadde.  —  tu  vedi  è  dm  Cod.  di 
Savcaaa  publdicati  dal  Fcrrantt,  • 
fi  è  ptà  cofaM  cka  oalla  ctHUM  wd 
tedi. 

73.  Già  cieco  ae.  Par  HMMaan 
d*  alinieoto  c«Modo  a  lai  vaaaU  aaaa 
eoo  toUe  le  fona  d«t  tciui  aoco  la  vitta, 
•i  dirda  a  braocolara ,  cMiè  a  aarear  te* 
•tando  colle  mani  iolaraa  fte  li  4m^ 
hn  di  quella  torta. 

74.  Bdmedriiekigmaiee,Efn 
daa  di'dopo  cba  larooa  OMrti  i—finail 
•  ahiaiiiarli  ( 


oa  a 


pabo 
lore. 


di  aoMM*  patara*  a  a  tfafo  di  d^ 


7».  Pafcia,  pi^  càci  dolor  ,«t  Vriu 


Quand'  ebbe  detto  ciò,  con  gli  oec'hì  torU 
Riprese  il  teschio  misero  co' denti, 
Cile  Turo  Rii'  osso,  come  d'  un  can,  (orli. 

Alii  Pisa,  viloperio  delle  genti 

Del  bel  paese  là  dove  il  «I  suona; 
Poiché  ì  vicini  a  [e  punir  san  lenti, 

Aluvasi  la  Capraia  e  la  Gorgona, 

E  racciaii  siepe  ad  Arno  in  su  la  foce, 
SI  eh'  egli  annieghi  io  te  ogni  persona. 

g  pU  et»  il  dolon  I  aoslFa-      ri  degli  doidìiiì  ;  n»  dare 
!»ildÌEÌDiioiBDÌrmi.  EcMt      ••--•-•       ..-■.---•.- 


nel  digiuna  pi 
jponui'  —  Che 


i1F»MiaLhi<ti>lDli)rtr 

ani  dfiidirìo  dell*  fila  Iriantamlo 
palmo  dnlorB,  lo  ipiiig«i«o  a  man- 
r  du  mnrli  Bgli ,  do»  la  rr»ilo ,  non 
iDjMr  liiDTBTtiiniglianacbaiia  uo- 

ai  apifaDlo.pDlMH 
:»ri»craJa,q<ii 

.UlmldrcHliTijudi 


ni;na|!li>ni*,  aJdis  pie*,  • 


urna  Ri  uni*,  ai 
ti»  {  Hi  i  diri 


^adcl  il  quella  d'IUlU.  Uh 
ad«0(|ueduMÌl«ÌnioBa,*i»i 
bio  r  lulia.  Il  Coati  ■  ilcn 
BIOBÌ  di  qurili  pirtiulll  U,  ci 


a>  più  lil 
ebbi  il  G 


Ili  prtCD  comprati,  diierrebbi  il  Conia 
l'  (lira  padro  da  qatl  cba  te 


I.  nuBi  pìA  inaonìa 
;<  d'I'ilii.  HanaUi 
ini  (le  il  liulitvnir 


Inimo,  ambe  arr  il  >m 
,a  Dtl  Canio  H  dui  Pt 


min  93,  laddore  to  lou;  t  «ri  Caa- 
lo  XXV  il  irno  IO,  Sr  la  tndiOa  ikr- 
na  gli  diifir^o,,..  laddove  lu  *j*.  Dtl 


CANTO  TREIfTESIMOTERZO.  S29 

Cbè  06  il  Conte  Ugolino  aveva  voce  95 

D'aver  tradita  te  delle  castella, 

Non  dovei  to  i  figlinoi  porre  a  tal  croce. 
Innocenti  facea  l'età  novella , 

Novella  Tebe,  Ugaccione  e  il  Brigata, 

E  gli  altri  dno  che  il  canto  snso  appella.  90 

Noi  passamm'  oltre,  la  've  la  gelata  (*) 

Rovidainente  nn*  altra  gente  fascia, 

Non  volta  in  giù,  ma  tutta  riversata. 
Lo  pianto  stesso  li  pianger  non  lascia. 

Et  duol,  che  truova  in  su  gli  occhi  rìntoppo,      95 

Si  volve  in  entro  a  far  crescer  l' anibascia: 
Che  le  lacrime  prime  fanno  groppo, 

E,  al  come  visiere  di  cristallo, 

RiempioD  sotto  *1  ciglio  tutto  il  coppo. 
Ed  awegna  che,  si  come  d' un  callo,  100 

Per  la  freddura  ciascun  sentimento 

Cessato  avesse  del  mio  viso  stallo. 
Già  mi  parea  sentire  alquanto  vento; 


«Off,  trera  ftmt.  Non 
ecria  •  provtlo  il  tradì- 


It.  fflé  fioretta.  11  tig.  Carlo  Troya 
i  Mpoti  del  Coote  non  erano 
iC  ita  matella ,  poiché  cia- 
i  caai  ara  ammngtialo  j  ma  che 
i  fiotUm  gfi  ha  finti  giovanetti  per  mo- 
ver fiè  «■qpacmona.  Ciò  Mrh  Teriaai- 
mm  f  mm  io  voglio  avvertire  per  iatm- 
namtità  paivnni,  che  Vadoltseenza,  che 
vnfe  MarcarìaBento  di  vita,  e  che  è  detta 
alIrÌMeali  «fé  mottUat  fecondo  i  prìn- 
àfi  M  DhI*  nel  Convito  (parte  IV, 
CM.  IM)  ai  estende  lino  ai  25  anni. 

•f .  ir^Vffla  Tebe.  De  a  Pisa  il  no- 
ae  di  —ava  Tebe,  perocché  Tebe  ebbe 
di  éuk  cmdclbMma  per  molti 
fatti  dc'snoiritttdini.  —  Vgu^ 
t  •  O  Brig^tm  :  il  primo  era  figlinolo 
dfl  Oate,  Feltro  nipote. 

M.  B§ttmliriAiO€€.  Anaelranccio 
e  Godio  lafro  Bomisati.  —  appella. 


fi.  U  §etmim,  il  gelo,  la  gbioeda. 

n  Pamangio  alla  Tolomeo. 

ti.  JlvoZZoflieiife,  dorameato. 

fS.  JViHi  «olio  in  gié  ee.  :  noo  «alla 
(amo  voHo  ia  gitf  eome  stavano  qjtéXk 
daflo  Casa  t  dclfAntenora  |  ma  nvcr- 


sata  topina  per  maggior  loro  peoa|  non 
potfodofti  occultare. 

95-06.  B  'l  dttol  ee.  :  la  lagnma^  U 
doloroso  umore,  die  trova  sugli  occhi  in- 
toppo (impedimento)  d'  altre  lagrime 
gelate.  —  ti  volte  in  entro,  cioè  ri- 
torna iadietro  accrescendo  1'  ambascia 
air  afflitto  che  non  poé  sfugarla  col 
pianto. 

97.  Che  le  lacrime ,  onesto  tema- 
rio  è  la  spiegazione  del  preced.  — 
fanno  groppo,  fanno  no<ln,  si  agghiac^ 
ciano,  ed  impedisrono  alF  altre  lagrima 
r  uscita. 

98.  tUiere  di  erUtallo.  ìUiire 
chiamano  i  Francesi  l'aportnia  dell'el- 
mo, per  cui  resta  libero  il  vedere  :  qui 
donane  visiere  offre  l'idea  di  dna  cti- 
stalli  incastrali  nei  fori  dcirelmo. 

99.  il  coppo f  cos'i  chiama  la  c«TÌth 
ddr  occhio. 

400-103.  Ed  tttvegna  ee.  Coatni- 
zione :  ed  axtegna  che ,  sibbcne ,  Per 
la  freddura  (pel  gran  freddo)  eiaeeun 
tentimrnlo  Cessalo  avesse...,  <lal/o  . 
cioè  abbandonato  avcaae  stanxa,  tolto  si 
foase  dal  mio  volto,  ti  conte  d^un 
eallo^  siccome  ogni  sentimento  ai  toglie 
dalle  parti  incallite  del  nostro  corpo  ì 
aoD  ostante  giti  mi  parct  ce. 


130  DELL   iNFEBIfO 

Perch'  io:  Maestro  mk),  questo  chi  muove 7 

Non  è  quaggìnso  ogni  vapore  spento?  i05 

Ond'  egli  a  me  :  Avaccio  sarai  dove 
Di  ciò  ti  farà  V  occhio  la  risposta, 
Yeggendo  la  cagion  che  *1  fiato  piove. 

Ed  un  de*  tristi  della  fredda  crosta 

Gridò  a  noi:  O  anime  crudeli  iio 

Tanto,  che  data  v'é  1*  ultima  poeta. 

Levatemi  dal  viso  i  duri  veli. 

Si  eh*  io  8fi)ghi  il  dolor  che  'l  cor  m' impr^na , 
Un  poco,  pria  che'l  pianto  si  raggeli. 

Perch'  io  a  lui  :  Se  vuoi  eh'  io  ti  sowegna,  115 

Dimmi  chi  se';  e  s*  io  non  ti  disbrigo, 
Al  fondo  della  ghiaccia  ir  mi  convegna. 

Rispose  adunque:  l' son  Frate  Alberigo, 
Io  son  quel  dalle  frutte  del  mal  orto. 
Che  qui  riprendo  dattero  per  figo.  i20 

Oh,  dissi  lui,  or  se*  tu  ancor  morto? 


105.  Non  è  quaggiuso  ifgni  vapore 
ipento  f  La  cagione  «lei  vento  è  il  ca- 
lore del  sole ,  onde  aooo  tollevali  i  va- 
pori. Perciò  la  domaDda  :  mone  tpento 
ogni  vapore  f  cqaivaie  a  qneat'  altra  : 
000  è  questo  luogo  privo  dell'  attività 
del  sole  ?  e  se  è  privo  di  qiest'  atti%itè, 
oad'  è  che  «pira  il  veoto  f 

106.  Àr orcio ^  prestaaaeola. 

408.  che'l  fiato  piote ^  cioè,  che 
produce,  manda,  questo  vento. 

IH.  l'uUima  p  ila,  la  piò  profoo- 
da  stanza  dell'  Inferno. 

4  i  2.  dal  Vito,  dagli  occhi. —  {  duri 
veli:  COSI  chiama  il  ghiaccio. 

H3.  m'impregna,  mi  empie,  mi 
fa  gonfio. 

114.  Un  poco,  va  rt-ferìto  a  f foghi 
del  verso  innanii.  — pria  che  'l  pian- 
to et.,  qoaoto  starà  a  gelare  il  ouovo 
piaoto. 

1 16.  «'io  non  ti  disbrigo  ee.  Finta 
imprecazione  che  Dante  Ti  a  sé  medesi- 
mo. Int.:  se  io  non  ti  ili«>brigo,  cioè  se 
non  ti  traggo  1*  impaccio  del  gelo  in- 
tomo a^li  occhi ,  che  io  possa  andare  ti 
fondo  di  questa  ghiaccia.  Lo  spirito  che 
ascolta  può  credere  che  Dante  imprechi 
t  aè  steÌMa  la  pena  di  coloro  che  sono 
sella  ghiaccia  :  ma  Dante  reramenta  ii^ 
tenda  dell'andare  alla  ghiacdt  ia  ^el 


modo  che  aveva  visitati  gli  altri  Inoghi 
d'Inferno.  Onda  qui.  a  pnaia  viain,  ri> 
correrebbe  il  detto  della  Q(  '" 


Chi  ha  ■  far  c«ia  T 
No*  Toul  «iMr 


HS.  Alberigo.  È  (|anli  AOcrift 
de*  Manfredi ,  signori  di  Faesa.  eia 
feceai  de'  frati  gaudenti.  EsaeeJa  m.  di- 
icordia  con  alcuni  suoi  conaorli .  •  W^ 
mando  di  levarli  dal  mondo,  laBa  £ 
volersi  riconciliare  con  loro,  a  licooviéè 
magnificamente.  Al  recarsi  ddlo  fratta, 
secondo  che  egli  aveva  ordiooto,  mA- 
rollo  alcuni  sic.rj  che  ucciaaro  Malti  da 
c«nvUti.  •  Alberigo  Vi  nna  iodiaaBrdM 
con  Manfredo  e  col  di  lui  figlio  Albcf^ 
gheUo...Gli  convitò  al  CasteTdiCMtlt: 
gli  sirarj  uccbero  lutti  e  dna  :  o  fii  Òè 
nel  4285.-  Tonduzzi,  Star.  diPé 

\Ì9.  lo  ton  ee.  Allndo  al 
delle  frutte,  che  fu  segno  dall' < 
sione  de'  suoi  consorti. 

«20  Che  qui  riprendo  cEcflffO 
per  figo.  È  questa  no'  espreHioao  nio- 
verbiale  che  «i|*nifica  :  ever  ricomkialt 
con  osora  del  mal  fatto  :  riavcra  il  oaolt 
per  uno.  —  figo  per  fico  diaaaro  g^  t» 
tithi,  come  anUgo  per  ««lieo»  ptth 
genia  uer  piaeenia  ec. ,  < 
pia  dolcezza  il  e  oel  g 

121    or  f  e*  tu  ec.:  or  to' la 


CANTO  TltEirr£$IMOTEaZO. 

Bd  egH  a  me  :  Come  il  mio  corpo  alea 
Nel  mondo  so,  nalla  seienzia  porto. 

Colai  vaniaggio  ba  quesla^Tolomea, 
Che  spesse  volte  l' anima  ci  cade 
Innanzi  cb'Alropès  rooasa'le  dea. 

E  perchè  tn  più  volenlier  mi  rade 
Le  invetriate  lagrime  dal  volto. 
Sappi  die  tosto  che  T  anima  trade. 

Come  fec'  io,  il  corpo  suo  l' è  tolto 

Da  an  dimenio,  che  poscia  il  gofrerna- 
Mentre  che  *l  tempo  eoo  tntto  aia  volto. 

Ella  mina  in  sì  fella  cisterna; 
E  forse  pare  ancor  lo  corpo  suso 
Dell'ombra  che  di  qna  dietro  mi  verna. 

Tn  M  dèi  saper,  se  tu  vien  por  mo  ginso: 
Egli  è  Ser  Branca  d' Oria,  e  son  più  anni 
Poscia  passati  eh*  ei  fn  sì  racchiuso. 

r  credo,  diss'io  lai,  che  tu  ipMnganni; 
Che  Branca  d' Oria  non  mori  unquanche, 


S3I 


126 


i30 


i36 


140 


<mt  ^Mtti  altri?  Il  Poeta  ft  maravi* 
fimdm^n^t»  donaiMla,  pokbè  tapera 
ckt  frate  Alberigo  era  ancora  fra  i  vivi. 
1 22-123  Com4  U  mio  corpo,  coma 
flia  il  «••  cm-pe  nel  inuade.  io  n«n  por- 
lo, omo  W,  frwnsM.  o<4izia  alrnna.  -^ 
i$m  do  tUro  per  f  tore,  rome  dea  So 
aafY  pe^  w&ro. 

IZ4    Tatal  tomlaggio  ho  questa 
:  qiiesla  l'nlnnMui  ha  sopra 
git  alln  errdjj  d  Inferno  qnnli*  privi- 
di«tincinne,  rite  ea.  E  detto 
•••  eerta  irt>aia  amara     11  Owta 
U  paraJa  rantaggio  nel  >«>»• 
di  ioproppiu,  ed  aacloda 


I2&->I26.  Che  tpette  volte  oc.  Int.: 
rW  ipijaa  Faoima  rade  qoagpià  innanii 
cW  Airopoa,  wm  «Ielle  li  e  Parrba , 
WÈOOtu  io  eoo ,  le  dia  r  urlo  colla  reò- 
ai«M  dello  stallia  della  nta.  —  Dicctt 
^Tpo7i9^9  perrliè  iwm  ptflest  oerii. 

Ì27    mi  rode,  mi  rada. 

I2f   trofìe,  tradisra 

iae-4r>l  HenrpotuoVèMioDo 
fom  éieommio  InfefjnoM  inventione  f  per 
rm  m  vengono  a  dichiarare  demoni  in 
torme  amena  i  liadiltm  drdi  amia.  E 
ti  \  asgelo  par  anco  nota  che  inìroioU 
Soiamo$  in  Judom. 


182.  Mentre  eho,  doè,Coo  a  che: 
—  il  tempo  suOf  il  tempo  cb«  dovati 
star  eonginnto  all'aniint:  —  Imito  sin 
9oUo,  sia  compiuto. 

433.  eisterno,  pano. 

434-435.  R  forte  ee.  Int.:  e  forse 
(dica  fttree .  poicha  ooo  araodo  aciensa 
del  proprio  corpo ,  né  anche  V  ht  di 
quello  d'altri  )  pare....  «imo,  cioè  ti  fa 
veliere  su  nel  mondo  il  corpo  di  quel- 
V  anima ,  che  éi  qvM  dietro  «H  ter» 
no,  che  di  qua  dietro  a  me  sta  oal 
verno ,  nel  ghiaccio. 

136.  pur  mo  giuto,  par  era,  ia 
quokto  m  mento ,  qu8gi;in 

437  Branca  d'Oria,  genovese, 
che  urrise  a  tradimento  Michele  Zau- 
che  «no  suocero ,  per  torgli  il  giudicato 
di  l.of(o«loro  in  Sardegna.  Questo  Mi- 
chele Zanrhe  fa  posto  dal  Poeta ,  come 
vedemmo ,  nella  holgia  da'  barattieri. 
Vedi  Canto  X\ll. 

438  ch'ei/tfflroecAfsifo.chaPaiik 
ma  sua  fu  rac«  hmsa  in  qnaata  TalooiS. 

440  haii  mori  im^iiaiieàf,  non 
ro"rì  mai  branca  d'  Oria  era  vivo  nrl 
1300.  e  Dante  tinga  qai  che  I'  anima  di 
lui  ffKse  neir  Inferno  disgiunta  dal  cor- 
po suo  fiosseduto  da  nn  demonio,  il 
qu  le  maog  a>a ,  beve\a  e  vestiva  ^aoc 


tn 


dell'  INFEBrrO 

E  mangia  e  bee  e  dorme  e  veste  panni. 

Nel  fosso  SQy  diss*ei,  di  Malebranche, 
Là  dove  bolle  la  tenace  pece, 
Non  era  giunto  ancora  Michel  Zanche, 

Che  qnesti  lasciò  un  diavolo  in  sua  vece 
Nel  corpo  suo,  e  d*un  suo  prossimano. 
Che  '1  tradimento  insieme  con  lui  fece. 

Ma  distendi  oramai  in  qua  la  mano: 

Aprimi  gli  occhi:  ed  io  non  gliele  apersi, 
E  cortesia  fu  lui  esser  villano. 

Ahi  Genovesi,  uomini  diversi 

D^ogni  costume,  e  pien  d*ogni  magagna. 
Perchè  non  siete  voi  del  mondo  spersi? 

Che  col  peggiore  spirto  di  Romagna 
Trovai  un  tal  di  voi,  che  per  su'  opra 
In  anima  in  Cocito  già  si  bagna, 

Ed  in  corpo  par  vivo  ancor  di  sopra. 


14Ó 


i:o 


ibi- 


wiy  mostrando  d'essere  lo  stesso  Branct 
d'Orìa.  —  unquanehe,  uoqua  ancora. 

^141.  B  mangia  e  bee  ee.  Nota  eo- 
me  in  qaestu  verso  si  citano  tatti  qV  in- 
dia] d'una  Tita  aniraale,  nessuno  della 
Tera  vita  dell'uomo. 

A 45.  Che  questi  ec.  Branca  d'Oria. 

446.  e  d'un  mo  prof jt mano,  e  di 
un  ano  conjpunto.  Dicono  ch'ei  fosse  un 
soo  nipote,  che  l'aiutò  a  commettere 
V  omicidio. 

430.  B  corUiia  ee.  E  questa  mia 

scompiacenza  e  manciinza  di  parola  fu 

una  giustizia ,  anzi  nna  geniileua ,  se 

si  guardi  quel  peggio  che  meritava  un 

uomo  SI  scelvralo.  Egli  è  secoudo  quel 

dettato  : 

Bende  gia«la  il  lra<1ìnunito 
Chi  (rtilitca  il  tra<iitur. 

'1 5 1  - 1 52 .  diversi  ty  ogni  costume. 
Vuol  dire  diversi  in  tutti  i  costumi  dal- 
l'altre genti  ;  strani  dunque ,  «  singo- 
lari nella  vita  e  nelle  usanze.  Se  si  leg- 
gessa  uomini  ditersi  disgiunto  dalie 
parole  d'ogni  eoslumet  facendone  due 

gnalificaziooi ,  uomini  diversi  verrt'b- 
e  a  dire  uomini  di  strana  natura, 
diiumani;  così  chiamò  Cerbero  /lem 


diversa:  •  D'ogni  costume  sigoifi. 
chfielibe,  senta  carattere,  pieghevoli 
ad  ogni  costoroe  buono  o  reo  secando 
l'utile,  cbe  san  bb«  il  itoìvrponoi  «lei 
Greci. -Tp/en  d' ogni  magagna,  pieni 
di  tolti  i  perrati,  guasti  internaoieiite  e 
corrotti.  E  antica  la  mala  fama  dei  Li. 
guri.  rane  Ligur....  neguidgmmm  pm- 
trias  tentasti lubrieus  artes.  E:  Band 
Ligurum  extremus  dum  fallerà  fkim 
sinebanl.  Virg  ,  Aan.  XI. 

454.  eoi  peggiore  spirto  te,,  dnè 
con  fritte  Alberigo  faentino. 

455  per  su*  opra,  in  pana  di  m 
opera  infitme. 

4h7.  Ed  in  corpo  par  tino;  per» 

ctorcb^  un  demonio  fa  in  Genove  le  mn 
veci.  Narrasi  che  Dante  recal««i  e  Ge- 
nova vi  ebbe  nna  fattiva  aecnglienfa  ntr 
opera  spenalmenta  di  Branct  d'Onn, 
che  gli  airzò  contro  quanti  eran  nemm 
dei  prinripj  ch'ei  professava;  •nd'cfC 
lo  serve  qui  da  par  ano,  e  non  cen- 
tento  a  Ini  solo ,  si  sf<«ga  anche  eenir* 
tutta  la  nazinna.—  Il  Bosselti  cre^eckn 
Branca  d'Oria,  favorevole  da  prima  ed 
Alligo  quandoentrò in GenovanellSII, 
si  ooiase  poi  KgroUmeote  eei  GmU. 


233 


Tktti 


gif,  érnié*. 


CAmra  vkkmtesuioqijarto. 


Im  tUMtla  «Mbm  Mite  Ctudéem  t  tradttoH.  Jppatiihne  di  Lucif*n, 
éémrithmt.  Jpfnri  mi  folto  pth  dH  corpo  di  imi,  wmnmmo  i  Pmiì  il  ctmtro  t$m- 
U  wmnmrto  iT  m  nueetto,  M^fono  m  rhedtn  U  sMlt  netf  mitro  mmUfero. 


VexQìa  Regis  prodeunt  Infèrni 
Terso  di  noi:  però  dinanzi  mira, 
IHsse  *1  Maestro  mio,  se  to  *l  discerni. 

Come,  quando  nna  grossa  nebbia  spira, 

O  qnando  1*  emisperio  nostro  annotta,  6 

Ftf  da  lungi  nn  mnlin  cbe'l  vento  gira; 

Veder  mi  parve  nn  tal  dificio  allotta  : 
Poi  per  lo  vento  mi  ristrinsi  retro 
Al  Duca  mio;  cbè  non  v*era  altra  grotta. 

Già  era  (e  con  panra  il  metto  in  metro)  io 

Là,  do\'e  r  ombre  tutte  eran  coperte,  (*) 
E  trasparén  come  festuca  in  vetro. 

Altre  sono  a  giacere;  altre  stanno  erte, 
Quella  col  capo,  e  quella  colle  piante; 
Altra,  com*  arco,  il  volto  a'  piedi  inverte.  io 

Qnando  noi  fummo  fatti  tanto  avante. 
Ch'ai  mio  Maestro  piacque  di  mostrarmi 
La  creatura  eh'  ebbe  il  bel  sembiante, 

digno  o  maeehina  eottruila  ingegno- 
iamenU.  Cosi  si  legge  nel  Giamboni  :  «7 
raecontamento  dei  feìTamenti  e  dei  <)i- 
ficj  della  legione. 

8.  Poi  per  io  ve»(o.*  quindi  per  ri- 
pararmi  dal  vento. 

9.  altra  grotta,  altro  laogo  ài- 
feto. 

{*)  Quarto  spartimento.  Traditori 
da'  loro  bcoefalturì  e  signori. 

42.  E  tratparin  ee.:  cioè.  •  tra- 
sparì va  no,  come  trasparisca  oel  corpo 
del  Tetro  nn  fuscellinodi  paglia  o  di  coaa 
aimile  che  vi  sia  racchiuso. 

45>44.  Altre  tono: eoa)  la  Nidob.; 
la  com.,  Altre  stanno.  —  erte,  ritte. 
—  Quella  col  capo:  ini.:  ita  erta  eoi 
capo,  cioè ,  col  capo  all'ioaù  :  e  quella 
sta  erta  eolle  piante;  colla  gtmbe  al- 
l' ìnaà ,  capovolta.^ 

45.  inverte,  rivolta. 

4%.  La  ereaiwra  ee.  Lodfero ,  cfaa 
l.éifkia,  adifiiio.  Difieioedifieeh  prìma  della  tua  ribdiiooa  tra  bcUia- 
mrnta,  «aaroi  |li  antichi  a  denotare  or-     aiuo. 


I.  rexiOa  ee.  /  veitUli  del  re 
d'Inferma  eeeono  reno  noi ,  cioè  inco- 
aÌBcsaa«  a  moaCrartì  a  noi.  Questi  ves- 
tali aaoo  la  grandi  ale  sveotolanli  di 
Locilv».  Va  tre  prìma  parole  tono  il 
piùctps*  d'ao  inno  con  che  la  Santa 
Chiem  caalta  la  Croce,  trionfale  insegna 
di  0.  Criale ,  e  strumento  di  nostra  sa- 
lale. La  «se  Dante  non  a  profanai  ione, 
■e  per  richienarna  ad  un  confronto  tra 
i  imaéaeèj  Cristo  e  Lucifero,  quegli 
aaiee  4egn  «omini  e  principio  di  vita, 
«•eali  pfimo  di  tutti  i  traditori,  e  autore 
r  egai  «oatro  aula. 

\.§aim'l  diteemi,  te  ta  diacemi, 
ae  !■  eeerai  Lucifere. 

4«#.  Comse  (uoiaciloapcr  del  v.  6), 
«■ale  4«  lastevo  apparisce  ai  nostri  oe- 
ns «B  wH»  dbe,  cui ,  <l  «mio  gira, 
«ieè,«B  — linn  a  vcttte. — epira,  a'alnj 
per  V  eialaiione  dei  vapon 


I 


Dinanzi  mi  si  tolse,  e  fé  ristarmi, 
£cco  Dite,  dicendo,  ed  ecco  il  loco 
Ove  convion  che  di  fortezza  t' armi. 

Com'  io  divenni  ailor  gelalo  e  fioco, 

Noi  dimandar,  lettor,  eh'  i'  non  lo  scrivo, 
Però  eh'  ogni  parlar  sarebbe  poco. 

Io  non  niorii,  e  non  rimasi  vivo: 

Pensa  oramai  per  (e,  s' hai  fior  d' ingegno. 
Qua!  io  divenni,  d' uno  e  d' altro  privo. 

Lo  'mperador  del  doloroso  regno 

Da  mezzo  '1  petto  uscia  fuor  della  ghiaccia; 
E  più  con  un  gigante  io  mi  convegno. 

Che  i  giganli  non  fan  con  le  sue  braccia: 
Vedi  oggimai  quant'  esser  dee  quei  tulto 
Cb'  a  COSI  fulta  parie  sì  confaccia. 

S' ei  fu  ai  bel  com'  egli  è  ora  bruito, 
E  conira  'I  suo  Faltore  alzò  le  ciglia, 
Ben  dee  da  luì  procederà  ogni  latlo. 

0  quanto  pane  a  me  gran  meravìglia, 
(Jttando  vidi  tre  facce  alla  sua  testai 
L'  una  dinanzi,  e  quella  era  verniìgliai 

Dell'aure  duo,  elio  s'aggiugnÈno  a  questa 
Sovresao'l  meizi    ' 


li.  Dinami  mi  li  toJM ,  rloi  Vl>^ 

SB.  offiti  ImUa,  -gai  iHiH  c«  p» 

gUio,  dwira  cui  li  eri  Dui*  ripuUa  ■ 

(ni  ti  piange. 

Mt;«ddT.»lo. 

58  irf /■«fcaKamalMU.  Cr*d*- 

IO.  mu.  Con  qoala  nome,  cbe  U 

ri  rhr  Ir  Ir*  [.<»  di  di»n«  olM^ 

riTal<  dinoo  >  Fliilone ,  (M>n»  Iwitc- 

iy  la  un  morii  «.  Iiubu  quelli 

l<  ir.  p.ri.  JM,  T,rr.  .]l«i  «.foil', 

■  lui   cA(   tiri*  lianort  («Ih  «fm 

ricBc  pw  "ni  lorlt  e  lobai  pimi. 
2i  far  i-i^n«,,  i«.Qlo  d^  iog.- 

d'otù»  VmiiL(lidi.ului™(«nf.U 

sunlc  gli  Eurupn  :  Ir*  t»ii>dù  •  |Ì|III 

LMi.  ID  tntdo  cIkI»  I'  t>u.'pt  dotali, 
[■lui!  *  di^u.,  t  l'At.,ci  .  ,W'Hn. 

""'ai.  £<M0  <  daUr»  tntn.  cìot  di 

owrlodi»»:»»»-»»!».  ot.i... 

SO-St.  A  !<»«». ).9.-j|un»«- 

L*  Bi*  iiiIiH*  H  «iiinna  più  *  quvJli  di 

■Un  •ui.cli..'  cJii  ,  pHillùMa  tkt  Mlb 

1»  ikgwM,  rt.   1*  .Ui»r.  d..  g...D[Ì 

^uV.i>*-"'l'll'>-"™"«"-«u?>^. 

W  yrf/\t  H  W  »».  S.  B  fa  11  bd- 

.IHEtiSiSi 

Ib,  ««ri>  >ri  *  ItuUo,  CHt,M  rgii  lo  l»U 

3tr^'.'*'rk.Vi"™.!ni!i  T^ 

il  oMdo  .i«iod«  ito.i«  .^H«  il».  M. 

mal*  di  Ini  proccd». 

^l.^2.4(w^Mw■(««««•.8«ln». 

CANTO  TBEKXESIMOQUARTO.  235 

E  8i  gingnéno  al  luogo  della  cresta. 
La  destra  mi  parea  tra  bianca  e  gialla; 

La  sinistra  a  veder  era  tal,  quali 

Yengon  dì  là,  onde*!  Nilo  s'avvalla.  45 

Sotto  ciascuna  uscivan  duo  gi^and'  ali, 

Quanto  si  conveniva  a  tanto  acoello: 

Vele  di  mar  non  vid'  io  mai  ootalL 
Non  avean  penne,  ma  di  vipistrello 

Era  lor  modo;  e  quelle  svolazzava,  00 

Si  che  tre  venti  si  movién  da  ella 
Quindi  Cocito  tutto  s'aggelava: 

Con  sei  occhi  piangeva,  e  per  tre  menti 

Gocciava  il  pianto  e  sanguinosa  bava^ 
Da  ogni  bocca  dirompea  co*  denti  55 

Un  peccatore  a  guisa  di  maciulla. 

Si  che  tre  ne  facea  così  dolenti. 
A  quel  dioanii  il  nordere  era  nulla 

Verso  *1  graffiar,  che  talvolta  la  schiena 

Rimanea  della  pelle  tutta  brulla.  60 

Queir  anima  lassù  che  ha  maggior  pena,* 

Disse  '1  Maestro,  è  Giuda  Scariotto, 

Che  il  capo  ha  dentro,  e  fuor  le  gambe  noena. 
Degli  altri  duo  e*  hanno  il  capo  di  sotto, 

Quei  che  pende  dal  nero  ceffo  è  Bruto  :  65 

Vedi  come  si  storce,  e  non  fa  motto: 


i3iffmmio4éWnn%  •  dell'altra  tpalla 
NffrvaM  tetanlneote  le  altre  doe  fac- 
<t,  (W,  MOM  ia  «n  ponto  coniona , 
•iJbvHM  t  rnmirti  tot  vertice  del  capo 
«v'é  la  craaU.  Dk  la  crcaU  a  Locifero 
la  aaperbia ,  di  mi  quella 
il  eriitat  tol/ervoe' La- 


agilm. 


49   #f  Id.  ùndici  NUo  ^awaU 
4«H'  EtioDia ,  ora  dai  monti 
«•da  il  Nilo  nella  tottupaata 
frile. 

9#.  ifiowrtf,  in  tenae  tmtit.. 

wm,  diWttcva.   Il  Cod.  Fior,  a  il 

^•f  ìb  •«  lùmeUfa. 

M .  SI  db«  Ira  mmM.  Qneati  Ttoli 

lana  aaa  ai»fcolo  da'tro  ?  ia j  generatori 

del  tradiMwto  a  d'ogni  altro  mala,  Su- 

\,  tmmidim  a  Jmmritia. 

5S.  wuuimlU:  è  anello  alrnaaMlp 

et  dna  legni,  nno  da'qnnK 

a»  cnMUcitèneirtltro,eii 


osa  per  dimnapera  il  lino  e  la  canapa  a 
nionilarla  dalla  materia  legnoaa. 

S8.  J  quel  dinanzi,  a  quello  cba 
era  nella  b«cra  della  faccia  cba  atava 
daTsnti,  il  mordere  erm  nulla,  nnllt 
erano  i  murai  a  paragone  delia  graf> 
fiatora  cba  gli  oavano  gli  artigli  di 
Locifrro. 

60.  brulla,  nuda,  spogliata. 

62  Giuda  Seariolto  tradì  Tetenio 
sacerdote  Gi>sn  Cristo  suo  benefattore  • 
maestro:  Bntlo  e  Canio  ncciaero  pm> 
ditiiriameoie  il  nforroalure  a  rettoredel 
romano  impero,  0  Cesare.  Edrceocbit- 
ro  ancbe  per  questa  ioTentiona  il  pia 
Tolte  esposto  principio  politico  di  Datt« 
te:  il  papa  e  l'imperatore. il  primo  nella 
sua  qoaVilè  di  vicario  di  Criste ,  P  al- 
tro rome  moderatore  del  ovile  goTemO| 
sono  oovcssarj  alla  apintoate  e  tempo- 
rate  felici (k  dell*  Italia  a  del  mondo: 
cbiQOijuc  per  laoto  ■  questi  ai  oppone  o 


f  36  DELL*  iXFERPfO 

E  r  altro  è  Cassio,  che  par  si  membruto. 
Ma  la  Dolte  risurge;  e  oramai 
È  da  partir,  che  tutto  avem  veduto. 

Com'a  Ini  piacque,  il  collo  gli  avvinghiai; 
Ed  ei  prese  di  tempo  e  loco  poste: 
E,  quando  Tale  furo  aperte  assai, 

Appigliò  sé  alle  vellute  coste: 

Di  vello  in  vello  giù  discese  poscia 
Tra  'l  folto  pelo  e  le  gelate  croste. 

Quando  noi  fummo  là  dove  la  coscia 

Si  volge  appunto  in  sul  grosso  dell*  anche. 
Lo  Duca  con  fatica  e  con  angoscia 

Volse  la  testa  ov*  egli  avea  le  zanche, 

Ed  aggrappossi  al  pel  com*  uom  che  sale, 
Si  che  in  Inferno  i*  credea  tornar  anche. 


70 


Si) 


ft  forza,  è  nemico  pobblico ,  è  un  tradi- 
tore di  tutte  le  umtne  e  divine  leggi. 

67.  membruto,  cioè  multo  compiei- 
so  nelle  membra.  Tulliosrrive  nella  tem 
Catilio.:  ne€L.  C«iSni  adipem  perfime- 
icendum.  Dante  forse  fu  tratto  in  errore 
da  questo  luogo  di  CÀcerone,  atti  ibtiendo 
la  qnalitk  di  L.  Cassio  a  Cajo  Cassio. 
Questa  osservszione  è  di  monHÌ|Tnor  Mai. 
De  rep.  Cie.,  C.  2,  Gap.  20,  p.  8$. 

68.  jlfa  la  noilt  ritwrge.  bntiarono 
noirinreroo  che  lo  giorno  se  n^andava, 
ed  era  la  seconda  sera  del  plenilunio: 
(punti  al  centro,  rUurge  la  noUe;  dun- 
que è  questa  la  terza  sera  del  detto  ple- 
nilunio di  marzo,  che  nel  4300  essendo 
avTenuto ,  come  già  si  disse,  la  sera  del 
2  aprile,  la  notte  che  qui  si  accenna  è 
la  sera  del  4  (allora  lunedi  santo).  Si 
osservi  che  Dante  essendo  sceso  neirin- 
femo  dall'emisfero  d'Italia,  ha  s«*gna- 
to  le  ore  secondo  il  meridiano  di  Roma 
sua  capitale:  ma  girato  l'Infernudi  cer- 
cbio  in  cerchio  sempre  a  sinistra  .  giun- 
ti verso  il  centro  dove  i  meridiani  si  ta- 
gliano, si  trovò  sotto  r  emisfero  di  Ge- 
rusalemme, la  quale  è  a  sinistra  o 
levante  dì  Roma  ;  il  perché  volle  qui  ac- 
eennar  l'ora  corrente  di  questo  emisfe- 
ro, per  poi  confrontarla  con  quella  del- 
l'emisfero opposto,  dove  colloca  in  mezio 
alla  acque  la  montagna  del  Purgatorio. 

74.  poste,  opportunità. 

75.  Tra  l  folto  pelo  e  le  gelateerO' 
ite  :  tra  i  pelosi  fianchi  di  Lucifero,  •  il 


groiao  ghiaccìodel  Oocito  medeaimojdcn- 
Iro  al  quale  profoudavosi  Lucifero.  — 
Avvertano  i  giovanetti  die  Virgilio  scen- 
de gin  lungo  il  corpo  di  Lucifero  cooii* 
ti  scenderebbe  per  un  albero,  o  un  moro 
perpendiddare  che  presentasse  degli  «im- 
picchi ,  mandando  innanzi  lo  gambi*  ; 
aennoochè  giunto  eoi  piedi  oiratUcca- 
tura  della  coacia ,  dove  Dante  ha  inbaa- 
pnato  il  centro  dalla  terra ,  rivoltaodo- 
ai  con  molla  destrezza,  porla  il  capo  do%e 
aveva  i  piedi ,  perchè  non  ai  tnlU  più 
di  acendere .  ma  di  aaliro. 

76.  là  dove  la  coscia  ee.  :  cioè  ap- 
punto dove  la  coscia  di  Lucifero  si  p>oca 
sporgendo  in  fnvri  dai  Gancbi.  Coatnu- 
sci  *  quando  noi  fummo  iu  sul  groMB 
deir  anche  (dei  fianchi),  U  dwvo  appuBlo 
la  coscia  si  avvolge ,  ec. 

7$^19.  con  falicaeconangoteim... . 
Volte  la  testa  ec. ,  cioè  si  capovobt  eoo 
fatica  per  essere  nel  punto  della  to*- 
ra ,  ove  la  forza  centripeta  caacodo  nel 
tuo  massimo  grado,  i  corpi  trovano  WM 
roaistenza  gruiidissima  a  sta?conciM. 

SO.  com' uom  che  saie  ee.  Salirà 
perchè  avea  passato  il  centro  ddlla  tn^ 
ra ,  dopo  il  quale  non  più  ai  può 
dere,  ma  bisogna  di  neceaaità  o 


re  o  salirà.  Dante  però  auppoocva  die 
per  uscirò  dell'Inferno  dòA'eù 


opposto ,  ai  doveiwe  andar  aeoipra 
déodo  ;  ma  come  vide  Virgilio  ekm  Vfi' 

Itliaodoai  ao  sa  al  polo  di  LadlBro  m^ 
iTa|Doa  riflettendfo  troppo  a  ^ael  capo- 


CANTO  TREKTESIMOQUAATO. 

A  nienti  ben,  che  per  colali  scale, 

Disse  'i  Maestro  ansando  com*  uom  lasso, 
Conviensi  dipartir  da  tanto  male. 

Poi  osci  fuor  per  lo  foro  d*  un  sasso, 
E  pose  me  in  su  1*  orlo  a  sedere: 
Appresso  porse  a  me  V  accorto  passo. 

V  levai  gli  occhi,  e  credetti  vedere 
Lucifero  com*  io  V  avea  lasciato, 
E  vidi  li  le  gambe  in  su  tenere: 

£  s*  io  divenni  allora  travagliato, 

La  gente  grossa  il  pensi,  che  non  vede 
Qual  era  *T  punto  eh*  io  avea  passato. 

Le\ati  su,  disse*!  Maestro,  in  piede: 

La  via  è  lunga,  e  il  cammino  é  maWagio, 
E  già  il  Sole  a  mezza  terza  riede. 


«37 


85 


9a 


95 


Toljrrn  che  area  fatto ,  credè  cba  lo 
riroofiaccMa  per  la  ria  dHI'  loferno 
■s'altra  volta .  i»  infermo  i'credea  lor- 
mar  mmehe. 

82  Àtiùnti  ben,  cioè  a!  mio  rollo. 

85.  9«r  io  foro  d'un  iosto:  altra- 
Tcno  il  foro  di  qacato  tcfiglin  i ferico  che 
foraa  man  il  nucleo  drlla  Terra,  •  che 
•*c8leaa««aaoio  la  Giadecca,  stava  La- 
nCero,  colla  parte  tuperiore  oeil'  emi- 
sfero koreale ,  eoQ*  mferìore  nell*  au- 
strale. 

87.  Àppreito  poru  a  me  ce.  Dna 
«pief  jàooi  trovo  date  a  qauato  laogo. 
L' asa  è  :  a  Oniadi  caotameote  motae  . 
'  3  paaM  verso  di  me  ;  cioè  ,  mi 
acroeto  tolt'  orlo  Juv'  io  sede- 
s  V  altra ,  dando  alla  voce  ap- 
presso il  senso  di  appreuochè^  dO' 
porhi^  viesaa  fard  sapere  che  Virgilio 
misse  a  arder  Dante  sopra  auel  sauo 
tfojpo  dkg  gli  ebbe  porto,  fatto  fare, 
fneifmem'to  pano  per  il  corpo  di  La- 
niero, lo  per^  considerando  ,  riguardo 
afa  prÌMa,  A»  Virgilio  uscito  del  foro 
•'ti  tatmo  ova  snae  Dante  a  sedere,  non 
r^fcva  caMrss  dilangato  da  loi ,  e  la 
Taaifh  cW,  aodia  rìb  sopposto,  avreb- 
ie  ^odroggìanlo  di  oceorfodato  al  ano 
pnao;  Cy  ^oaolo  alla  aecoada,  parao- 
faam .  ao  ooa  ridìcolo,  soperfluo  del 
t4tlo  Si  solare  ciie  qoamlo  lo  pose  a  so- 
Wt  ave*  |iè  litio  il  passafilo  ,  mea- 
rc  di  ^rsfo  e  Boo  d^iltro  si  è  psilato 
(  "i  veni  prrcrdenti  ;  sono  d*  opioiuoe 


Ta. 


dia  il  verbo  porgere  na  qui  osato  ael 
senao  di  mofCrore.  fkr  vedere.  E  di- 
fatti, dopo  cba  Virgilio  lo  ebbe  chia- 
mato a  considerare  l' accorto  poffo 
lungo  il  corpo  smi»arato  di  Lucifero  , 
Dante  alia  ^li  occhi,  a  conoace  on  in- 
ganno in  CUI  era. 

8S-89.  eredeUi  tedere  Lucife- 
ro ee.  Perchè,  coma  sopra  si  è  det- 
to, avea  creduto  dì  ritornar  par  V  In- 
ferno. 

00.  B  tidili  le  gambe  ee.  I  «in 
piedi  di  Lmifero  sopravansavano  v  aa- 
saì  la  sapcrficie  dal  aasso. 

91.  Iravoj^lùsto,  coofoso. 

02.  La  gente  groita.  La  paaisna 
idiote^  e  ignare  delle  leggi  che  gevar- 
nano  il  mondo. 

0«.  E  già  il  Sole  ee.  Il  giorno  è 
diviso  in  quattro  parti  uguali:  torUy 
sesta,  nona  e  vespro.  Mena  tersa  è  l'o^ 
tava  parte  del  giorno.  Avendo  dotto  Vifw 
giliu  pur  dianzi  nell'  altro  emiafero,  alM 
risoigcva  la  notte,  è  naturale  eoo  in 
nae»iu  «lira  dnpu  alcuno  oro  che  èaeorM 
I  utiava  parte  del  giorno  \  poiché  mentia 
all'uno  cinisfero  il  sole  si  aaacoodavay 
veniva  a  mostrarsi  oeir  altro.  So  il  aola 
tranii'Otava  quando  il  Poeta  s'oppi» 
glia\a  a  Lucifero  per  %  arcare  il  eanlim 
ttrresti'e,  nell'altro  emisfero  dovoa  so^ 
gare;  ma  fatto  il  passalo,  aworfa 
che  è  giè  mva*  tersa ,  cioè  an'  ora  a 
nievzo  «li  Mtle  :  dunque  un'ora  e  meno 
ha  duralo  quel  posssggio. 


938  DELL*  llfFERNO 

Non  era  camminata  dì  palagio 

Là  Veravam,  ma  naturai  burella 
Ch*  avea  mal  suolo,  e  di  lume  disagio. 

Prima  ch*io  dell'abisso  mi  divella,  400 

Maestro  mio,  diss*  io  quando  fu*  dritto^ 
A  trermi  d*  erro  un  poco  mi  fevella. 

Ov*é  la  ghiaeciaf  e  questi  com*é  fitto 
Sì  sottosopra?  e  rome  in  si  poc*  ora 
Da  sera  a  mane  ha  fatto  il  Sol  tragitto?  iOó 

Ed  egli  a  me:  Tu  imma.^ini  ancora 

D*BS8er  di  là  dal  centro,  ov*  io  m*  appresi 
Al  pel  del  vermo  reo  che  *I  mondo  fora. 

Dì  là  fosti  cotanto,  quant*  io  scesi: 

Quando  mi  volsi,  tu  passasti  il  punto  ito 

Al  qual  ai  traggon  d'ogni  parte  i  pesi: 

E  se'  or  sotto  l' emisperio  giunto 

Ch'  è  contrapposto  a  quel  che  la  gran  secca 
Covercbia,  e  sotto  M  cui  colmo  consunto 

Fu  rUom  che  nacque  e  visse  senza  pecca:  fi5 


Soi  trag(Ho?Qut»U  JnmanJt  fa  fìant* 
non  perchè  T«dt  il  tote,  come  gofla- 
nentt  qualche  eumrntatort  oftti,  ■• 
per  aTerffli  «letto  Virgilio:  E  $ié  U 
Soie  m  Mfsza  lena  riedg,  die  bm 
iapra   combinare  con    quel  che  «vra 


07.  Non  era  camminala  et.  Lk  «  v» 
eravamo  noi,  non  era  via  piana  ed  egi* 
volo  come  ne' pataffi.  Camminata ,  di 
cavasi  enticame ate  la  gran  eala  nri  pa 
Issi,  Della  qnale  si  paiapgr*iava  e  si  {•«• 
cavano  altri  esercii]     La  Tanca  daratH 

dai  poeti  per  dipartirai  dall'  Inferno,  r  inteso   poc'  avanti  :    Ma   la 

la  dìfRcoUk  deUa  via  per  tornare  a  rive-  iurge. 

darle  stelle, posaonosignirieare  gli sforri  4(17.  m'apprtii,  tùA  il  Bafi:  k 

grandisKÌmt  a  il  coraggi»  che  ai  richiedi»-  eom.,  mi  preii.  mi  attaccai, 

so p4»r  lasciare  il  visi»  e  i>p«Tar  la  viitii.  408.  ranno  reo.  Lucifero  :— eftt*/ 

•8.  burella,  ai  disse  ana  caviti  sol-  mon'to  fora,  darai  la  lam  naatra  è 

terranea  senza  luce,  derivalo  il  termine  forata ,  oucata  al  centro, 

da  6«ro  che  gli  antichi  dissero  per  buio,  -i  09 .  cotaMlo,  tanto  tempo, 

carne  paro  per  paio,  ed  altri.  K  turo  411   Ai  guai  H  traggom  at.  ìtàteaiì 

ahiamasi  in  alcun  laogo,  secondo  che  0  ceniro  di*lla  gravitaiioiia. 

mi   vien  dettop  qael   foro   per  coi  si  442-145   ÌT  ac* or  aof Co  rimile* 

•aende  nelle  miniere.  Si  chiamò  anche  rtoec.  Esci  giunto  sotto  Pcnìalaro  calo» 

kmrella  la  prigione;  e  ano' i>gQi  in  Firen-  ate  op|Nisto  a  qnello  noatro,  ehm  a  pàtà 

laè  «na  via  cosi  delta  •  ressi*  il  Palazzo  dì  volta  copre  lagno»  jceeot^  torro),o 

dagli  Otto,  dove  apponlo  erano  le  carceri,  sotto  il  più  a1t«t  punto  del  ajoalo  aM> 

09  éiiagio,  scarsità;  e  qui  piollu-  sfero,  o  grand* trctt  celealo,  fa  oeciao  il 

sto  difetto,  mancanza.  Crisio.  Immagina  il  Poeta  eka  fiaron- 

400.  éeiV  abiiio  mi  diveiia,  mi  lemme  aia  no«ta  nel  punto  Mote  M- 

■lacchi,  mi  diparta  da  qneslo  fopdo.  l'emiffero  boreale   il  ado,  aocosdo  k 

4#l .  gnando  fktt  dritto,  perchè  fin  idea  di  quei  tempi,  abitato; a  ehm  Poaà> 

aliare  ara  rimaato  a  aedere  a«  Porle  sfero  opposto,  V  australe,aio  latto  maag, 

del  aaaao.  Cranoa  il  ponto  oolìpodo  o  OofOHkah 

402   arro,  arrara.  me,  sacvia'alzalaoHMtafatdolPirp- 
lOS.  Da  iera  a  mane  Ao  fatti  il  torio. 


CAlfrO  TRBfrrBSIMOQUARTO. 

Tu  ^i  f  "piedi  ki  m  pieciola  spera 
Che  Filtra  feccia  fa  delta  Giudecca. 

Qal  è  da  wniy^qmindo  di  là  é  sera: 
E  questi  che  ne  fe  scala  col  pelo, 
Fitto  é  ancora»  si  come  prim*  era. 

Da  questa  parla  cadde  già  dal  cielo; 
E  la  terra  die  pria  di  qua  si  sporse, 
Per  paura  di  lui  le  del  mar  velo, 

E  Tenne  all'  emisperio  nostro;  e  forse 
Per  fuggir  lui  lasciò  qui  il  luogo  voto 
Quella  che  appar  di  qua,  e  su  ricorse. 

Luogo  é  laggiù  da  Belzebù  rimoto 
Tanto,  quanto  la  tomba  si  distende. 
Che  non  per  vista,  ma  per  suono  è  noto 

D' un  ruscellelto  che  quivi  discende 

Per  la  buca  d*  un  sasso  eh*  egli  ha  roso 
Col  corso  eh*  egli  avvolge,  e  poco  pende. 

Lo  Duca  ed  io  per  quel  cammino  ascoso 
Entrammo  a  ritornar  nel  chiaro  mondo: 
E  senza  cura  aver  d*  alcun  riposo 


«39 


iiX> 


US 


i30 


135 


144-4 17.  Tuhmi  •  piedi  te.  U  pie- 
db  «pcn  o  sfera  m  mi  Dante  teneva  ì 


,  «ra  il  aaato  sferico ,  di  cai  sopra 
•lU  oola  S5;il  «inai  sasso  dalla 
•MMta  faadato  di  ghiaaiio  far- 
li «arto  spartimeDto  dd  uono 
,  Ma  aolo  q«i  iJ  Poeta  ebiama 


44t.  é^flMU.  è  da  mattina 
4S4 .  Dm  fuMta  perle  cadde  gik  te. 
Piafe  DiaaU  eoa  nna  purteottiM  fanta- 
■•,  cW  Lacsfcr*  cadcaae  eolla  testa  ri- 
waa  dm  ^••11*  eaisfero  si  (|nale  or  ai 
Jtfiaa^  •  ••■  tasta  «eemrn/a  ,  che  spriv 
laaJè  %m  al  cestro  della  Terra ,  che  la 
Tarn.  prÌMa  sporgentes»  nell' emisfero 
p.  iaipmuita  a  (|uella  vista,  rieo- 
0  m  apana  dall'  emisfero  op|>osto, 
graa  parta  d^  maro  che  «juasto 
ia  priaa  tatalaMala  copnva ,  corsa  ad 
mìwàm  ^vella  ;  a  che  il  tratto  intemo 
di  Tanni  per  cai  afii  pasaè,  prea**  par 
mm  di  aererà ,  ncorac  ia  sa ,  a  U'ca 
••ala  ■atBfaa  che  s'eleva  salle  ae^aa 
adT— Mfers  aastrala 

%TyJÌ^.^9rf^fWM9e  Coatr. 
f  ialiBdi:  Fcnc  qadU  terra  (la  moo- 
Jagan  dal  Pargatorio)  chr  si  vede  nat- 
f  caHafara  al  ^aala  aodiamo,  par  fa^ 


gire  il  contatto  di  Locifero ,  UuHò  qui 
il  luogo  9oto....,  9  jtt  riàtnot  ai  lan- 
dò fuori  con  grand' impeto  da  questa 
pritfonde  aedi ,  e  soria  in  an  monte.  — 
Se  dunque  la  montagna  del  Purgatorio 
è  osata  dalle  viscere  della  Terra  av- 
strale,  la  caverna  in  cui  ora  i  Poeti  ti 
trovano  deve  essere  ben  vasta.  Del  resta, 
nulla  di  piò  (jraodioso  di  questa  imma- 
gine delia  Terra  che  fogge  di  qui  di  Ih 
come  persona  smarrita  per  lo  spavento. 

127-128  Lwigo  è  laggiù  ee.  Qui 
è  Dante  rhc  parla  dal  nostro  emisfero: 
Laggiù ,  egli  dire ,  è  una  cavità  che 
taoto  «i  estende  oltre  Lucifero,  quanto 
è  alta  U  tomba,  àoè  la  caviti  dell'In- 
ferno \  rhe  ben  può  dirsi  la  tomha  di 
Satana  e  di  qnd  che  son  morti  eterna- 
mente a  Dio. 

I2'.i-I32  CKa  non  per  ritto  re. 
Int.:  che  per  essere  oscurissimo  non  fi 
fa  noto  agli  occhi ,  ma  agli  orecchi  pel 
suono  di  nn  ruscelletto  che  guM,  in 
quel  luogo ,  disrenda  per  il  foro  d' un 
sasso  che  od  lunghi  secoli  ha  roao  ed 
perenne  corso,  ch'egli  enwilge,  ch'egli 
mena   tortuoso,  e  poco  pendo,  ed  è 

t«>ro  inclinato  (onde  chi  va  lungh' case 
a  non  diflidl  salila)  —  Forse  <^c%\» 


S40  DELL*  INFERNO  —  CANTO  TRENTESIMOQUAHTO. 

Salimmo  su,  ei  primo  ed  io  secondo, 
Tanto  eh*  io  vidi  delle  cose  belle, 
Che  porta  il  Ciel,  per  un  pertugio  tondo: 

£  quindi  uscimmo  a  riveder  le  stelle. 


ruscello  ci  tuoI  tignificare ,  che  qnanto 
di  reo  è  espiato  nel  Pargatorìo  ta  a  de- 
putitarsi  nel  regoo  del  peccato. 

io7-\o%.  Tanto  eh$  te.  Costr.: 


tanJto  die  per  «m  pertugio  tondo,  in 
cima  alla  earema,  Ì0  9idi  parte  delle 
cote  belle,  che  U  deh  porta  in  giro  nel 
tao  moTÌmeoto. 


FINE  deli/ INFERNO. 


PURGATORIO. 


\ò 


DEL  PURGATORIO 


CAUTO   WMMMMlB* 


dTmm 
rmdia  étl  mm» 

ekt  frm  Iwv 


U  Pmtt  «MM  ^pw  mt£Uo  étttm  t9U$rrwmm  tatenm  $t  mmi 
«M*  puristimm  é  spUmtUmu  et  faitmmtiuùm  tt$tttt  é  mm  teaoMniM 
ItaMMM^  p^tm  m  gmmnUm  é4t  iMfv,  taatat  FlrgUto  ém  imi,  étf 
fmat  €àt  fmr  éomm  mirjtmmm  ftnU  fotmst  «OMtefio  m  vltUmn 


n  menu  dd  Pwplarìo  Mcigmito  dalP  aeqat  dell'altra  Enwfflfo  figura  u 
>  tronco  in  cima ,  nUoroo  al  «|imI6  t'aTvoigooo  nudici  ripiani  circolari,  com* 
^  ri  il  nolo  dell' itola.  I  primi  quattro  cofttitoitcono  V  Aniipwrgalorio,  doTo 
••■  tratleooto ,  finché  siano  amoieaM  alla  espiazione ,  «inattro  sorte  di  anima  i»> 
g^ifinti.  Gli  altri  sette  formano  il  Purgatorio,  e  in  aascnno  di  eiiì  ai  porgi 
«M  de* sette  peccati  capitali.  Sulla  cima,  in  pianura,  è  la  sempre  Tenie  ed 
imfuissims  selva  del  Paradiso  terrestre.  I  Poeti  salgono  di  cerchio  in  curalo 
per  ecrte  scale ,  che  tanto  meno  divengon  lor  faticoee  quanto  pia  i'  tTamao* 
la  - — 


s.  ot«r 

nriguteiie 

iacf«e«e  tei 


Per  correr  miglior  acqua  alza  le  vele 

Ornai  la  navicella  del  mìo  ingegno, 

Che  lascia  dietro  a  sé  mar  si  crudele: 
E  canterò  di  quel  secondo  regno, 

Ove  r  umano  spirito  si  purga,  fi 

E  di  salire  al  ciei  diventa  degno. 
Ma  qui  la  morta  poesia  risurga, 

0  sante  Muse,  poiché  vostro  sono, 

E  qui  Calliopea  alquanto  surga, 

Ffr  iorrtr  fmigUor  otqua  :  al*      nitè  travagliaU  dare  nrenderc  per  |i»> 

nere  alla  libertà  e  alla  pace.  QimìI^  k 
la  conversione  dal  visio  alla  TÌrtà  ,  la 
mortikcazione  d«lle  prave  inclioaiiuaiy 
e  U  scMigliamenlo  dell'  uomo  veoehio  , 
tantorbè  più  nnn  viva  che  la  vita  dalla 
ragione  e  della  gtnstizia. 

7.  lo  tnorta  ftotwia:  morta,  parche 
cantò  della  oiurU  |rnU  ;  poeaia  Imhia 
a  eoovenirnte  ai  tristi  luoghi  d'iaferaa. 
—  ri$wrgo ,  si  faerta  al<|uaBto  liala;  é 
Teata  dei  colorì  della  vita. 

8.  «oslro  fona,  cioè  deveio  a  rai, 
o  eooa  vf«ira,  dacché  tatto  alla 


che  significa  :  per  trattare  ma- 
rno dolnroaa,  meno  spavenlevola 
qwlla  dell' InferM).   V  Infermo  k 
il  canto  deU'ira,  il  Pwrgmiorio  le 
deU'aaore  e  della  sprransa.  Alla 

le  lodi  iì  Dia, 
e  al  raecepriccio  una  soave  aMliaroaia. 
I.  mmr  ai  ermdoU.  Cioè  U  gih  da- 


ifkiio  §ipur§M. 

•al  senso  proprio   è   3 

lÌBie  che  URciroa  del  eotw 

Dio  purgano  le  reliqma 

finché  dfveniin  drgne  di  aa- 

al  ciela.  nel  senso  allrgnnco  il  Pufw 

figura  la  m  che  la  aanra 


9.  Coiliopto,  o  Calliapa^  Muaa  rha 
praiieda  ai  versi  eroici  egruTi.  CmU4of$ 


con  quel  Goono, 
e  seutiro 

Lo  colpo  (ai,  che  disperar  perdono- 
Dolce  color  d'orientai  zafTiro, 

Che  s' accoglieva  net  sereno  aspetlu 
Dell'eer  puro  infino  al  primo  giro, 
Agli  occhi  miei  ricominciti  diletlo, 

Tosto  eh'  io  nsci'  Rior  dell'  aura  morlS: 
Che  m' avea  contristalo  gli  occhi  e  il  (lello- 
Lo  bel  pianeta  ohe  ad  amar  conforta. 
Faceva  tutto  rider  l' oriente. 
Velando  i  pesci  '•h'  erano  in  sna  scorta, 
lo  mi  volsi  a  man  destra,  e  posi  mente 
All'altro  polo,  e  vidi  guallro  stelle 


I 


•ÌfDÌ(ÌH  a  beliawa.  Nr[ 
lieiiilcri  tuiet  aipri  t  ckiocet.  Tulla  ti 
iDDgu  IBS.  —  gnaulo  (uiya.  ■'(Ini 
uipoi»;iiHfDnel'aprauun(at9lwlllO 


KMiXrdinC 


ll'IxK 


'ù  fiutato  dilla  I 


49.  Lo  bel  pianeta  te.  LtticìU  il 
21.  Velando  ipiict.  Ini.  eoi  «un 


lerani  pHiiii  ili  luì,  •  t  prec«<l(rii 

"*  23.   lo  mt  (Bili  a  nan  dtitra 

.ni»  nel  «.«Kn  vmakn,  d»  ulf  il- 


aidw,  •  (■»«,  •  Mrrvn  ni  CHUipii 

«Ut  prMBUlllMI  ilflKiriilU. 

<IS.  Dtki  teiar  te.  Un  tiulo  tulan 


Mrl*  ìleant  Urn  iMll'iUra  Buiùtn 
di  niiniloH»  vnloni.  tclu4ÌM(h« 

ma  ildlr  Ar  io  toniw  di  inicc  lì  1»- 
d.iiiu  iwlta  <'Mi*llni>H»  Uì  (OBUan, 
chiiniiU  la  Croe*  Jtl  Sud,  cka  WK 
lm„a>  (liwrilUi  nel  cKnlii)*  éi  lUv 
'     cbc  itU»  'muaitrtl 


CANTO  PRIMO. 

Non  viste  mai  fuor  eh'  alla  prima  gente. 

Goder  pareva  il  ciel  di  lor  fiammelle. 
0  settentrional  vedovo  sito. 
Poiché  privato  se' di  mirar  qnellel 

Com'  io  dal  loro  sguardo  fui  partilo, 
Un  poco  me  volgendo  all'  altro  polo, 
Là  onde  il  Carro  già  era  sparito; 

Vidi  presso  di  me  un  veglio  solo, 
Degno  di  tanta  reverenza  in  vista, 
Che  più  non  dee  a  padre  alcun  figliuolo. 

Lunga  la  barba  e  di  pei  bianco  mista 
Portava,  a'  suoi  capegli  simigliante, 
De'  quai  cadeva  al  petto  doppia  lista. 

Li  raggi  delle  quattro  luci  sante 
Fr^iavan  si  la  sua  faccia  di  lume, 
Ch'  io  '1  vedea  come  '1  Sol  fosse  davante. 

Chi  siete  voi,  che  centra  '1  cieco  fiume 
Fuggilo  avete  la  prigione  eterna? 
Diss'ei,  movendo  quell'oneste  piume: 

Chi  v'  ha  guidati?  o  chi  vi  fu  lucerna, 
Uscendo  fuor  della  profonda  notte 


245 


25 


30 


35 


40 


'naMgÌBaxiucie  del  Poeta ,  che  le  finse 

próu  per  dare  an  maggiore  abbellì- 

aMirto  a  qsel  delo  totio  il  quale ,  ne- 

ernie  che  ep.li  poeticamente  immaginò , 

^0f«a  irÌTerc  felice  l' amanita  se  si  fosse 

innocente  j  e  poi  ner  farlo 

lo  ielle  anattre  rirtù  cardinali  che 

il  principale  onore  della 

••(■r*,  cM  veramente  ornavano 

i'aosM  Ssdiè  inoAceote  duro  nel  luogo 

der*  Dm  I'  avca  posto ,  e  che  nella  sua 

dìeecMlcoa  divennero  sempre  piò  dif- 

fai  e  rar*.  Il  eootesto,  mi  pare,  favo- 

haee  ««eata  optaione. 

%i.  vitto.,  -«//a,  per  vis/e  dalla,  alla 
bt — friwM  gmUi  sono  ehiamaii  Adamo 
ed  Cm,  prefapjtori  del  genere  umano. 
Si.  ffito,  regione.  —  ttdow»^  pove> 
re,  Miaera.  privo  d'no  gran  bene,  per- 
diè  •■■  raUegrato  dal  raggio  di  quelle 
stolle. 
SS.  Cam'io  dal  toro  tgumrdo  /Wt 
Teatorliè  io  mi  fai  distaccalo 
4d  rigaardarie. 

80.  U  Carro.  Chiamasi  Carro  TOr- 
>,ceatelUiioaa  viciaa  al  polo 
Dica  cha  era  sparila^  perchè  dt) 


luogo  dove  era  noi  potea  vedere,  re- 
stando quello  sotto  rorinonte. 

51.  fofo,  tutto  solo  o  solitario. 

52.  in  mtta.  all'aspetto. 

57 .  delle  quattro  luci,  cioè  i  raggi 
delle  quattro  stelle  sopra  nominate  che 
lo  ferivano  in  farcia.  Ciò  eonvien  molto 
bene  col  significato  rhe  abbiam  dato  al- 
le quattro  stelle  nella  nota  al  verso  25, 
giacché  niuno  dei  Gentili  splendè  di 
quelle  virtù  più  di  Catone. 

59  eome'lSol  fouedanmntéTÓoèj 
lo  vedeva  sì  risplendente,  come  se  avesei 
avuto  davanti  il  sole. 

40.  coiiira  7  cieco  fiume^  cioè  eon- 
tro  il  coiYo  del  tenebroso  fiume.  Intendi 
il  ruscello  sotterraneo^contro  il  corao  del 
quale  risalirono  i  Poeti  a  riveder  le  stella. 

42.  queU'onette  piume:  cioè,  quel- 
la venerabile  baiba.  Piuma  per  birèm 
è  traslato  d'indole  latina.  Imparata 
tum  eum  veniel  piuma  iuperhim,  disse 
Orazio  :  e  anche  oiiaf  te  è  usato  qui  nel 
senso  latino  di  degna  d'onore. 

43.  chi  ci  fu  lucerna:  cioè,  chi  vi 
fu  guida,  e  chi  vi  fa  luma  ad  igaiÀT%  ^ 
iaoghi  teoebroti  d' Interno  ì 


DEL    PURGATORIO 

Cile  sempre  nera  fe  la  valle  infernaT 

Soo  le  leggi  d'  abisso  cosi  rolle? 

0  è  mulalo  in  Ciel  nuovo  consiglia, 
Che  dannali  veoile  alle  mie  grotieT 

Lo  Daca  mio  allor  mi  die  di  pìglio, 
E  con  parate  e  con  mani  e  con  cernii 
Reverenti  mi  Te  le  gambe  e  il  ciglio. 

Poscia  ri.ipose  luì:  Da  me  non  venni: 
Donna  scese  dal  CìeI,  per  li  cui  preghi 
Della  mia  compagnia  costui  sovvenni. 

Ma  do  eh'  è  (uo  voler  che  più  ai  spieghi 
Di  nostra  rondizion  com'ella  ò  vera, 
Esser  non  puote  il  mio  che  a  te  si  nieghi 

Questi  non  vide  mai  l'oltim»  sera. 
Ma  per  la  saa  follia  le  fu  si  presso, 
Clw  molUi  poro  tempo  a  volger  era. 

Sì  come  i' dissi,  fui  mandalo  ad  asso 
Per  Ini  campare,  e  non  e'  era  allra  via 
Che  questa  per  la  qoale  io  mi  son  messo. 

MoslralB  ho  lui  tutta  la  gente  ria; 
E  ora  iniendo  mostrar  quegli  spirti 
Che  purgan  sé  sotto  la  tua  balia. 

Com'io  l'ho  tratto,  saria  luogo  a  dirti: 
Dell'alio  scende  viriti  che  m'aiuta 
Con  ducerlo 

Or  li  piaccia  gradi 


<l 


edcr 


IctnlB,  ami 


u   LtUat  gli  («lem  «eir(  di   lul- 
50.  E  tim  parn)<  m.  Dipinge  qat- 


I.  Jlircimtf  aùftn.ìti  U 


'"VJi 


60  CIttmBllopiieoltmpait.IaL: 

!•,  Xllndf  al  HHi  iniirriBeiila  f*r  la 
ifIxH    WilMlCiiiInl  JeH'lM/kiiia. 


CANTO  PBIMO. 


«47 


Libertà  v«  eercando»  ch*è  «i  cara. 

Come  sa  chi  per  iei  vita  rifilila. 
Tu  'i  sai,  cbe  non  ti  hi  per  lei  amara 

In  UUca  la  morte,  ove  lasciasti 

La  veste  eh*  al  gran  di*  sarà  si  chiara.  76 

Non  son  gli  editti  etemi  per  noi  guasti,  * 

Che  ^jnesti  vìva,  e  Minos  me  non  legii; 

Ma  flOB  del  cerchio  ove  son  gU  occhi  casti 
Di  Marzia  tua,  che  in  vista  ancor  ti  prega, 

F  operi  ddla  legge  •  alla  eootempla- 
fioM  dal  tara,  tapaodo  che  aaaato  piò 
faaita  aarpo  aaii  alata  noitiato  nella 
Tita  praaanta,  tanto  pia  diverrà  bello  a 
gtorioaa  oeHa  fatnra:  5eiiitiuiUir  in 
ignoMiUtUt  twrg4t  hi  gloria.  Il  primo 
Catone  è  tipo  del  kiano  a  forte  attedi- 
ne,  il  Mcondo  del  perfetto  crìatiano  ; 
ambedoa  Toglioiio  la  lilftrti ,  ambedae 
la  iMtria  :  ma  il  primo  è  tatto 


71.  Libertà  9m  eeruatdo.    Dna 
di  libeHà  aia  aafaaado  DiB» 
^1  d|t  i«  dìckiarafè  ealle  ava  parola 
■^^cnme.  Ei  diee  nel  Cm^milo  :  a  Li- 
^  è  il  eono  l%ero  della  Tolontk 
«^  tMnira  la  legga:  il  lil«ra  arbi- 
tra è  il  fik^To  gindÌM  Mia  raloa- 
*^|  •  3  gi«i£iio  è  libera ,  aa  ^  pel 
fi**  move  r appetito,  a  nnllamente 
M  ^ill'  appetito  prareaata.  •  —  Poi 
•^MoMTtkia:  •  L'amaM  g««ara. 
<ÌMe  mamimameiUe  è  libera,  i|oand'è 
Mtt*  il  monarca  ;  •  eoo  quel  rbe  legne. 
^mI  deoene  Dante  eoi  ano  poema  pro- 
«trere  tale  aUto  di  eeae  in  Italia ,  cbe 
nmi  dornaoue  la  tirannido,  cbe  tpcsio 
■mappe  l'aaMme  e  il  pannerò  dei  riUa- 
iat,  a  M  libero  ad  ognnoo  l' operare 
la  yirti.  Iwtptro  e  «trfè  nel  ai- 
di  D«BCa  ai  danna  la  aNoa  team- 
UeTalmenle. 

n.  fte'la«<ac.Qnirir|niafama. 
gala  cbe  il  veccèio  a  e«i  mdirinava 
li  parala,  ara  Catene  Ctieenae,  cbe  non 
wtiaapiniiiian  alla  territà  di  Berna 
aa  ne  Ceee  tiranno. 
n.  Lm  «atfr  ae.  :  il  carpo  Ina  cbe 
nel  di  del  gindisio  nm- 


aentro  fi'  inmgnemanti 
ba  peata  in  qneato  Inago 
taancide.  ilacaatoranan 
ebe  CmUme  non  è  qni  cbe 
■M  ignra  dell*  anima  fatta  libera  par 

del  eorpo, 
Platone  cbiamb  la  aalaanià 
U  etani  doaiea,  amatore 
ilare  ealdìabna  daUn  eirile 
ilmenie  la  «ila  per 
dal  tirenno.  Il  Ce- 
latta  anaforico  JonM  ed  amiiettla  in  aè 
alena»  la  carne,  ncr  non  aenrire  ai  cor- 
rotti eppetilà  di  lei,  ed  caaer  libera  al- 


patna  ;  nm  u  pnmo 
nel  tempo  e  anlla  terra,  il  aecondo  guar- 
da neU'etemitb  ed  al  cielo.  Egregia- 
mente adunque  è  poeto  qoesto  Catone 
allegorico  a  maestro  ed  esempio  delle 
anime  cbe  vogliono  liberarsi  dai  tristi 
effetti  della  natura  corrotta  per  divenir 
deane  di  Dio.  Dirò  poi  cbe  aa  il  monta 
del  Pnrgaloria  ai  riguarda  da  on  Iato 
eanM  S^ra  del  politico  riardinamenlo 
deir  amenità  e  meao  all'aeqaiato  della 
aivila  libartè,  malto  a  nropoaito  ai  pane 
F  IHieenee  a  maeatra  di  quegli  nomini 
ebe  vi  ai  avviano  ,  sieeeme  qnegK  cbe 
BMetrò  in  tutta  la  ana  vita  eome  a'  ami 
Tarameato  la  patria  ,  e  conto  non  poma 
eseere  libertà  dorè  non  è  virtù.  B  a 
questo  riguardo  non  è  poi  per  niente 
assurdo  qnel  ebe  ^  afferma  dal  Poeta , 
ebe  il  corpo  di  Catone  apparire  lumi- 
neaa  nel  gran  giorno  ;  cfaè  quel  giusto 
giudice,  cbe  rendere  a  lutti  il  suo,  se 
non  dsrk  sii' eroe  lelino  la  glorificano- 
ne  degli  eletti,  non  lescerè  sena  onore 
qurlle  eminaoti  sua  virtà  cittedine,  cbe 
laato  debbon  canfamlara  i  codardi  a 
falsi  aristieni. 

77.  ChiqmMèÌ9Ìio$:  pareecbè  né 
ceatui  è  ancor  morto,  né  io  aaao  airiii- 
femo,  coadanneto  e  eastrelto  dalla  san- 
tansa  di  Minee. 

79.  ékt  imnUtm  m^eor  a  pr§gtt,  la 
quale  pera  cbe  ancora  ti  preghi  eome 
•aa  Tolta  ae.  Mania  era  mogue  di  Ca 


^V  ^^^^^^^H 

34S                                                 DEL    POH 

^ 

0  ganlo  petto,  che 

per  tua  la  legni: 

^ 

Per  lo  suo  amore  adunque  a  noi  ti  piega. 

Lasciane  andar  per  li  luoi  selle  regni: 

Grazie  riporterò  di 

te  a  lei. 

Se  d'  esser  mentovato  laggiù  degni. 

Marzia  piarque  lanlo  i 

4gii  occhi  miei. 

?«■ 

Mentre  eh'  V  fui  di  là,  dìss'  egli  allora, 

jCM 

Che  quante  grazie 

volle  da  me,  fei. 

■1 

Or  cbe  di  là  dal  mal  Gume  dimora. 

V 

Più  mover  non  mi 

puù  per  quella  legge 

TI 

Che  fatta  fu  qiiand' 

io  me  n' usci' fuora. 

BO 

Ma  se  donna  del  Ciel  ti  muove  e  regge. 

Come  to  di,  non  e' 

è  mcstier  lusinga: 

Bastili  ben,  che  per  lei  mi  richegge. 

.  -M 

Va  dunque,  e  fa  che  l 

u  costui  ricinga 

.  lì'  un  giunco  schietto,  o  che  gli  lavi'l  \ì» 

Si  che  ogni  sucidnme  quindi  stinga: 

^^H| 

Che  non  si  converria  1 

i"  occhio  sorpriso 

D' alcuna  nebbia  andar  davanti  al  primo 

Ministro,  eh'  è  di  quei  di  Paradiso. 

Questa  isoletta  intorno  ad  imo  ad  imo, 

l.:0 

lon*.  il  qu.1.  Il  cM  id  OilDuIn  per- 

ilo  — fluond'ioman'tuc 

i'  f^ra.  In- 

mcglia,  del 

Mani*  torut  l  CilBne  «  lo  prrgA  i  tu- 

T,  S'JB  e  >rm.  —  AniF  CaHmt  i  Ignri 
dall'anima  affriacil.  dilli  oilcrli,  »• 

91.  luiiUfO,  bliodima 

Bla.praghic 

03    Tie\egst,  nùàtj^ 

84.  rfring-,  cinga. 

U&.  W  un  fiuvn  ichiiUo.  dì  na 

r.dÌiMhailC™rtW,  lral.lV,  28. 

ElKn<^opulita,tcn>aCugl>a. 

Qgrato  ghin- 

ai.are  ioudu 

80.   Ornila  fHlloi  in  molilo  thi 
•lliiTBi)    di  Ulta  la  Ditaratl    ■  aitili 

diliiKFriltadiliialUi.  lai 

ocrcdapiol- 

InlotimbolDdiquallannii 

Mi«pit3hf- 

«rift 

«olnia  d' ixlm»  «Ile  laci 

1  ddll  raiio- 

^                aS.  pi.rHh»ti.ll<  ntnl.  pir  li 

oa Idi  Dia.  chat  oppaiu 

■11*  lapar- 

^B         lallo  giri  Da'  <i<ialì  »IIo  la  Ina  lulorìU 

(urd  D  ilU  «aparba  otti. 

lanoDS  aallc 

^H        (ipnrganol*  anima. 

aioli.  ot^ui«.i.D«.i>i.£ 

:  Holo  poi  tlia 

H              80.  rfiM,  »n.  prìoixila. 

l' Mmilti  i  la  ba,  Jdl'  adÌEÙ>  trl- 

atìano. 

^                BR   dal  Mal  fumé,  nrhrrmh. 

H.  ^(ndl,  di  l>,  dal  1 

rflO— l'.-B- 

8ft-(H)  Par  iwlla  teffjf  Che  falla 

sa,  tati  .ia. 

f».    Qn«i'  »   la    lena  di    non    aeiiUr 

«.  jDr;irÌ.n,iofpKi« 

;  Italo 'gtuB- 

pia  iKatU  di  «ma  •  di  uopa,  o  d'ai- 

1                 In.  tn»  larrina.  Catnn»,  iuinn  aIlF|;0' 

%r datanti  allumo 

'«.  A»CB.>< 

^         fi«mM<..  dopo   1.   jr,n  laparaziooa 

.ir.i,E^lo  cha  •adrano  ali 

'iairoHo  dal 

PBr|,.lorio, 

^B        noHa  pi<r  JVon.-...-  n>.  rgli^Da»  in- 

m.  aUmatdtmo, 

mlpiiibu» 

^B      tendi  Bt  noia  cha  Jl  erro  a  U  «Ai- 

lm«- 

L 

_^| 

CANTO   PRIMO. 


249 


Laggiù,  colà  dove  la  batte  Tonda, 

Porta  de*  giunchi  sovra  M  molle  limo. 
Nali'  altra  pianta  che  facesse  fronda, 

0  indurasse,  vi  pnote  aver  vita. 

Però  eh*  alle  percosse  non  seconda.  ìqò 

Poscia  non  sia  di  qua  vostra  reddita; 

Lo  Sol  vi  mostrerà,  che  surge  omai, 

Prender  il  monte  a  più  lieve  salita. 
Cosi  sparì;  ed  io  su  mi  levai 

Senza  parlare,  e  tutto  mi  ritrassi  HO 

Al  Duca  mio,  e  gli  occhi  a  lui  drizzai. 
Ei  cominciò:  Figliuol,  segui  i  miei  passi: 

Yolgianci  indietro,  che  di  qua  dichina 

Questa  pianura  a*  suoi  termini  bassi. 
L' alba  vinceva  l' óra  mattutina,  il6 

Che  fuggia  innanzi,  si  che  di  lontano 

Conobbi  il  tremolar  della  marina. 
Noi  andavam  per  lo  solingo  piano 

Com*  uom  che  toma  alla  smarrita  strada. 

Che  infino  ad  essa  li  par  ire  invano.  i20 

Quando  noi  fummo  dove  la  rugiada 

Pugna  col  Sole,  e  per  essere  in  parie 

Ove  adorezza,  poco  si  dirada; 
Ambo  le  mani  in  su  l'erbetta  sparte 

1(13.  €k9  faceU9  fronda  :  le  foglie      de ,  o  ti  ra  dolcemente  ibbaMando. 
^iiakoio  di  TuiiU  e  qualche  Tolta  445.  L'albavineeval'òrtunattuti' 


40S.  aUe  pereottt  non  teeonda, 
""*  Nde  aotTcnente  tenta  nunpeni , 
'"■•bO  fianco. 
^H.  rtddita,  ritorno. 
407.  LoSolvimottrerà  te.:  il  to- 
*'"  li  ■ettrerà,  tì  inaegnerk  il  luogo 
^^pM^cr*  dotete  tul  monte  talita  pia 
'■''t.  Cm  «netto  gli  aTverte  che  dero- 
"^pnra  il  monte  trcondo  che  lo  gira 
'l  i4i  da  lerante  a  ponente. 

4M.  tu  M<  ktai.  Fin  allora  era  tta- 
^itaÌMeckio. 

4447ì»9MoedU«iii<rfr<sz«i,^«a- 
*  «ikmt  dirgli  :  eccomi  qai  ;  io  aon 
M»  mìU  t«e  iNraoda. 

4i8-4i4.Kolgiaii0ÌMr«ol9Ìmic«, 

màmU  Vm  ia  «per  miglior  prononna. 

Cai  étmà  ptUmmei,  Mdrwid  ee.  In 

mlien  aalca  farai  qvealo  ramhiamcato 

aaihe  tata  l'afSiao  dà  prooom*.  <— 

ékkinm  ti^tuoi  termini  é!wtt;  ditcca- 


fui.  óra  tta  per  aura,  che  tignifica  ven- 
lieelio,  e  anche  ornerà,  come  le  tocì  da 
lei  formate  di  orezzo,  o  reiso.  Lo  Stroc- 
chi  nolo  che  in  Romagna  la  Toce  óra 
usali  anch'  oggi  per  ombra.  E  cosi  leg- 
gendo e  interpretando  ti  ha  nn  belliJs' 
timo  concetto:  l'ombra  maltotioa ,  o 
dell'ultima  parte  della  notte,  che  fugge 
daranti  all'alba  ohe  TÌttorìosa  l'inral- 
sa  ;  dove  in  parte  è  imitato  Virgilio  in 
quel  Terso  :  H'tmenUmqus  Aurora 
poh  dimorerai  umbram.  La  lez.  ora , 
lai.  kora,  dk  poco  aentOf  e  doro. 

447.  //  iremolar  della  marinet.  E 
imitalo  anche  qui  il  TÌrgiliano  eplendei 
iremulo  tub  lumine  poniui» 

422.  Pugna  eolSole^  reabla  al  ca- 
lor  del  tole. 

423.  Ove  adore%ta,  dote  è  reno, 
ombra,  alla  «|iial«  ti  teale  tptrare  più 
Creaco  il  Tenticello. 

424.  tparie,  dittoM. 


DEL    prHG*TOItlO 

Soavemente  il  mio  Maestro  pose; 
Ond'  io  che  hii  accorto  di  su'  arte, 

Porsi  ver  tei  ie  goance  legrlmose: 
Quivi  mi  tece  lullo  discoperto 
Quel  color  che  l' Inferno  mi  nascoi 

Venimmo  poi  in  sol  lito  diserto. 

Che  mai  non  vide  navicar  sue  acque 
Uom,  che  di  ritornar  sìa  poscia  e^iterlo. 

Quivi  mi  cinse,  si'come  altrui  piacque: 
0  maraviglia!  che  qna!  egli  scelse 
L'umile  pianta,  coiai  ai  rinacque 

Subitamente  là  onde  la  ^'elsc. 


Uliu 


417.  Din  {«{rimuK,   Iihm  pi 


eh*  il  Podi  finge  tarn  per- 
ungiitdA  alti  *ci(n«  ddl'iltni 


<S2    Oom.  cJm  iff  r 


CANTO    »>EC-OXDO. 


Già  era  il  Solo  all'orizzonto  giunto, 

Lo  coi  meridian  cerchio  coverrhia 
Jerusalem  col  suo  più  alto  puiilo: 

\-S  Gidrrail  Solt  te.  Si  nppuni      lartstonU  il  fui  aurl-Han  «rrdWa  M- 
ibiDoniladgiiiblii*  il  ino  arisonle,      vn-rMs  CcnualmnM  nf I tuo p4è «tlii 

U.ita>l^in»li>[Vii,riir*qMHulre      Ccru»lrii.m«.  On  iitmia  il  l>««i, 
'      '     iD  pia  din  pualD.  Qut-     rbt  il  fol*  tinmiinilo  >r*  pnnlo  «l- 
il   mfriJiam,   pinete      l'anaaau  wiikanl*  il  Cinilll— t 

no  M  luogo  dM  e*r«r«Aia.  ciò*  «pn,      maBli|Da  dd  Pir|ii«ri«),  liwH  ai  ti- 
Axndn  n|>n>  nu  su  anonoU  iole  ttl      [ri  '        ' 
'■          'o,  tiMni(«lo,d«dir«      dt 


CAUTO  SECONDO 

E  la  notte  che  opposita  a  lui  cerchia, 
Uscia  di  Gange  fuor  colie  bilance, 
Che  ie  caggioB  di  man  quando  soverchia  ; 

Sì  che  le  bianche  e  le  vermiglie  guance, 
Là  dove  io  era,  delia  beila  Aurora, 
Per  troppa  etate  divenivan  rance. 

Noi  eravam  lunghesso  '1  mare  ancora, 
Come  gente  che  pensa  suo  camimino, 
Che  va  col  core,  e  col  corpo  dimora: 

Ed  ecco  qual,  su  '1  presso  del  mattino. 
Per  li  grossi  vapor  Marte  rosseggia 
Giù  nel  ponente  sopra  'I  suol  marino; 


S5« 


io 


ib 


4.  ckt  oppoiitm  «..  che  ditmetral- 
■■te  9ff0èU  al  mIc  cMfc  V  tmmUrìo 
■te  OH  è  Gcnualemmc.  Qm  rtrehim 
■CMfir«|ir«tiUonio  la  trrra.  La  uoUa, 
cvni  è  penooifirata,  non  è  cha  l'oai- 
In  Mli  tara  opporta  al  sole  ;  ed  è 
(Wt  cba  te  il  sole  sorgeva  di  Ik ,  la 
MltipaDlave  di  <jaa. 

I  Oteim  di  Gmnge  fmor  te.  Soppo- 
MjMMida  la  f eagrafia  de' tempi  tuoi 
(^eé  Sonerò  Bacoae,  Ofm»  «k^im, 
^.  4),  rae  roriuoiite  di  GrrtKalemnM 
M  la  aeridiaDo  dell'  Indie  Orieotali, 
Vpiirale  per  lo  fMMaGaogc,  che  atiirre 
■  «s. — co/la  bUamcB,  col  srgna  della 
ttra.  Canado  il  «ole ,  accoade  cba  il 
Nrti  ka  «aliato,  giunto  all'ortnonie 
AfiaraaalMBflM  ad  acgno  dell' artr te, 
cW  4  aegnu  della  libra  foaM 
»paBlo  ma  cs«o  ariete,  e  pro- 
ra il  Bf  ridiaao  inlerteca  il 
,  e  cbe  quindi  da  eaao 
>  li  ■Ile  aargfaia  dal  ti«itge  oella 
■lipoda  ai  MMiote  drl  l'urgaliv 
ria  baoa  ato  a  rrttilieare  le  o(>im«iat  del 
fatte  aaMi  pia  etaile  cognitioai  cbe  «ira 
a  kaoBO  io  falln  di  grtigralia,  e  iierrbé 
•paso  eie  fmk  fare  da  ae,  e  parrLè  alla 
MrfKgaaaa  del  leali*  Milo  importa  ri>no> 
Mr»  Mal  che  il  Pwta  cnnleTa ,  naa 
fari  «fcr  oggi  Meglio  m  aa. 

f .  fmmmdu  §mt€f^im ,  eieé  qaando 
■  b  pie  laoga  del  gi«rrao.  La  imiIIc  tie- 
■I  Wm»  il  aeo  Wnebroao  enuafrno  il 
•vgi»  Mia  libra  |fer  lo  apatio  drl  tem- 
po dba  è  émi  Mlttiaie  iemale  al  aolntiKÌo 
flitfta,  cioè  incba  le  «otti  vanno  •ceor- 
<  ;  •  imane  priva  del  detto  aegna 
(4tltaiil¥ii  aMiva  faa  alP  iema- 


le, cioè  par  loUo  quel  tempo  cba  le  notti 
K  allungano. 

7.  U  HauehB  §  le  vermiglie  guan- 
ce ee.  Qui  ti  vogliono  aignitirare  i  tra 
diversi  colori  cbe  app^iiono  io  ciclo  pri- 
ma del  naacera  del  sole  :  cioè  il  bianco 
dell'ora  matlatioa,  il  vermiglio  dell'  ao- 
rara,  il  rancio  cba  precede  di  poco  il 
soie.  Legijiadra  immagine,  di  allribaira 
air  aurora  nei  diversi  suoi  tempi  i  co- 
lori propr)  delle  varie  età  degli  nnmioi. 

42.  coi  core,  col  desiderio. 

43.  tu'l  presio  del  wmUino,  sul- 
r  appressare  del  mattino.  L'  svverbio 
presso  è  qui  vasto  culla  |M-eposiiiona  , 
rome  se  fosse  aa  noma.  Si  potrebbe  an- 
cbe  dire  un  modo  dittico  ds  supplirsi 
ccisi  :  §ult  ttra  che  è  pretto  mi  tempo 
dot  matttno.  Del  resto  didsoM  simil- 
mente «//'  ineirea^  nel  mentre  ac 

14.  Marie  roteeggia.  <jucaio  pa- 
nata roiMggia  piò  o  meno  secondo  la 
magfpure  o  minore  spessena  dei  vapori 
che  liicirrooilano.  Ora,  l'appresserai  del 
mattino,  romiensaaduai  in  quel  tempo 
per  la  (n'acuì  a  i  vapori,  e  il  trovarsi  §ul 
snolo  wtarino  ia  ponente  ,  dove  i  va- 
pori SI  levano  in  più  abboodansa,  e  non 
•uno  imbiancati  dall'alba,  come  lo  sa- 
rebbero in  oii«fnte,  sono  circostante  dia 
ci*ntrib«i«rono  a  fai  lo  pia  roaat'ggiare. 

45.  dm  ntl  ponente:  due  volle  gli 
astri  appaiun»  tul  snolo  marino:  d  le- 
vare, e  al  traiiioiilare.  Qui  ■  vnd  ncH 
tara  il  pantw  io  cui  l'asli-o  prrdpiia  nrl- 
l' oroam*  occidentale  mentre  in  orienta 
ata  per  sergere  il  sola.  Invece  della  com. 
Giik  nei  ponente,  per  ìetùanmmwmEk  AvV 
di.  P.  Punu,  U  Cad.  CuAi»a!l.  \>.  VS 


I 


953  DEL  FUBGATOmo 

Cotal  m'apparve,  s'io  ancor  lo  veggiB, 
Va  lume  per  lo  mar  venir  si  ratio, 
Che  'l  mover  suo  nessun  volar  pareggia; 

Da!  qual  com"  io  un  poco  ebbi  ritrailo 
L'occhio  per  dimandar  lo  Duca  mio, 
BividiI  più  lucente  e  maggior  TaUo. 

Poi  d' ogni  luto  ad  esso  m'  appario 
Dn  non  sapea  che  bianco,  e  di  sotto 
A  poco  a  poco  un  altro  a  lui  n'  uscio. 

Lo  mio  Maestro  ancor  non  fece  motto 

mentre  che  i  primi  bianchi  apparscr  ali. 
Allor  che  ben  conobbe  il  galeotto, 

Gridò:  Fa,  fa  che  le  ginocchia  cali; 
Ecco  l'Angel  di  Dio:  piega  le  mani: 
Omai  vedrai  di  si  Tatti  uiìcialì. 

Vedi  che  sdegna  gli  argomenti  umani, 
Si  che  remo  non  vaol,  né  altro  veto 
Che  l'ale  sue,  tra  liti  si  lontani. 

Vedi  come  l'ha  dritte  verso  'I  cielo, 
Trattando  !'  acre  con  l' eterne  penne. 
Che  non  si  mutan  come  mortai  pelo. 

Poi  come  più  ,e  più  verso  noi  venne 

b>  Qitl  Htl  fonrntt:  ail  t  boom  lo. 
pcrcht  (hi  i  tul  lidn  oMidcDUla,  co 

<Et  Ttdora  Rli  uiri  >ul  luol  marìnii,  eh 
uoU'wa  doJ  tramniila  m  f<,nnu;  tà  < 

bl«r«  etn  pirasuni  ili  emc  rilibili  ■  noi 

a  colar*  Ira'  ipali  e  pei  quali  lorìia. 

te.  Colai  n' appone.  Ini.  :  tao. 

autor  la  teggta.  Ini.  :  euri  pcnw  ii 
veJarla  aorara  an'ullra  lolii.  CiA  ini 
jiorbrabbE  l'aecrt  denli  eliUi. 

30.  pN>  dimandar  re.  :  luta  pa 
rlunaDilara  i  Virgilin  tba   tmaa  ^ue 

ai .  Kieidil  pii  lucenti  se.  .■  per 


c.a  rat 

allrs  bian».   L'altro  hiancg, 

fa    a! 

"la.lS^àeH'al'iH"-"" 

'26 

Jfnnra  che.  aia  aha.  —  ap- 

pariff 

al>.B.p<«aell.».rial<a«. 

ddioa 
della  n 

diF.  Vitbmedi^^luUapnna 

400T. 

daqnei 

Ca  mi  •iaii  UK  wnaa  ebbro  e 

«Ila.   I^IU   gli   altri   Codd.   t 

z:~. 

nperin-  ToK. 

t(  gaUatto,  ciò»  il  aHcUa»: 

ilD»l 

ralor.  della  ^alaa  o  nan. 

SS 

tati,  oitln  a  larr). 

S9 

piVSfl   f,m^ni.cb.ld.di 

ri,p.l. 

SO 

u/rei-i«.ci<«iuio»UidÌI>io. 

61 

B2 

velo.  <>^la. 

53 

Ira  liii  ri  tonimi.  q«af  tu 

aioi  adtaira  e  a  ainiilra  d' nta  luaa , 
ap)iirìvuio  in  Igalaaania,  ar>M  la  hi- 

dttliatc  «li  dì  Hn  ingoio,  Jalla  coi  Tao- 


niilero,  da  ijiirlla  dalle  iliarM. 
5-1.  drilli:  tliile,  elstiM. 
SS.  IVal/aiiitn, agilawlii, nii 


•mj^ 


CAltfTO  SECONDO. 

L*iiooel  divino,  più  chiaro  appariva; 

Perchè  Y  occhio  da  presso  noi  sostenne, 
Ma  chinail  gioso;  e  quei  sen  venne  a  riva 

Con  un  vasello  sneiletto  e  leggiero, 

Tanto  che  i'  acqua  nulla  ne  inghiottiva. 
Da  poppa  stava  il  celestial  nocchiero, 

Tal,  che  parea  beato  per  iscripto; 

E  più  di  cento  spirti  entro  sediero. 
In  exitu  Israel  de  JSgypto 

Cantavan  tutti  insieme  ad  una  voce, 

Con  quanto  di  quel  salmo  è  poscia  scripto. 
Poi  fece  il  segno  lor  di  santa  croce; 

Ond*  ei  si  gittar  tutti  in  sulla  piaggia, 

Ed  ei  sen  gì,  come  venne,  veloce. 
La  turba  che  rimase  lì,  selvaggia 

Parea  del  loco,  rimirando  intorno, 

Come  colui  che  nuove  cose  assaggia. 
Da  tutte  parti  saettava  il  giorno 

Lo  Sol,  ch'avea  colle  saette  conte 


S53 


40 


45 


60 


53 


^  L'wttl  divino:  coti  chìamt 
'  ««Ho  ilato. 

39.  Perekè ,  per  la  ovai  eoaa. 
.    ^0-  eàMMtl  ee.  :  il  caiati,  cioè  ab- 
^Pacdiio. 

^^.TMeito,  naTÌcella. 

.    ^.  T*i,  ch4  pareo,  apparirà,  per 

^P^,  ■unifest.. mente ,  6eaio;  qoaai 

«■tene:  •  fli  ai  le(rgera  scritta  in  froote 

**'^*~        ;  •  o,  appariva  nel  ano 

acritta  la  beatitadinc.  — 

:  farim  beaio  pur  de- 

'B'iMl;  àwmàm  por  ai  trae  un  aualche 

**■*.  •—  iteripto  è  sccundo  1'  antica 

*H^.,  cW  per  lo  pie  aerbara  alla  pa- 

'^  iiaai  doMcod  originali. 

4$.  §tii§r§:  dicooo  a  lami  che  f#- 
"^  Ila  mi  per  aedieiio,  mutata  la 
*  ■*  r  per  la  rioM.  Ma  io  ^o  cbe  qne- 
j^  «•«•  mm  Me  caaer  altro  che  il  perf. 
^ttitrw,  8Mero,  frappovtiivi  no  i  per 
*^HMe  liawfie  ài  pronunzia,  e*«iM 
■••■e  apeMo  £  Eae  gli  antichi  che 
^■■ra  k&Uiero,  ptréiero;  e  noi  tal» 
J*i  Hitra  o  éiero  re.  C  «edtero  ha 
^il  NcU,  rigaai «laudo  raaooe'gik 
"^o^j  par  aaMre  oaai  i|aeaii  apirìli 
riiliallarÌTa,alaraa  altaUai  par  gel' 


H.  Qaeata  salma  è  bea  adattato  a 


coloro  che  escono  dalle  miserie  della 
Tita,  o  a  chi  dal  peccato  rborge  alla 
ffrazia ,  che  di  ciò  appunto  è  simbolo 
r  uscita  del  popolo  d'uraello  dall'  Egit- 
to. Difutii  anlicamenle  nuesto  salmo  si 
cantava  dolio  Chiesa  nel  trasportare  il 
corpo  del  defunto  alla  chiesa.  E  Dante 
stesso  licI  Camrtto,)ipie{;andoil  principio 
del  salmo  In  exitu  Israel,  dice  :  •  ipi' 
rittm^menle  s'intende  che  nell'uscita 
dell'anima  dal  peccato  essa  si  è  fatta 
santa  e  libera  in  sua  potestate.  » 

!»2-55.  selvaggia  Parca  del  loco. 
Parea  piena  di  quello  stupore  che  mo- 
stra l'uomo  s<'lva(Tgio  che  viene  in  luo- 
ghi da  lui  non  mai  veduti.  0  aemplice* 
mente:  nova,  peregrina. 

54.  assaggia,  ascolta,  o  Tede;  traa- 
lato  dal  gu»tu  agli  altri  sensi. 

55.  Uà  tutte  parti,  vaol  dira  die 
era  chiaro  per  tutto. 

56.  Lo  Sol,  cV  ovea  ee.  U  capri- 
corno è  discosto  dall'  ariete,  ov'  era  il 
sole,  90  gradi,  o  un  quarto  di  sfera. 
Adunque,  se  il  capricorno  era  passato 
di  là  dal  meridiano,  tanto  doveva  il  sole 
essersi  le\uto  fuori  dell*  nHente.  Krano 
insi»mma  circa  due  ore  di  sole.  Vedi  nel 
Canto  1\  la  nota  al  vera.  7.  —  colle 
saette.  Essendo ,  secondo  le   favolo , 


^v  ^B 

^^^^^H 

^^^^^^^^^^^^^H 

JS(                                                  OeL   rUEGATORlO                                              ^H 

Di  mezzo  '1  ciel  caccialo  il  capricorno,             ^^| 

Quando  la  nova  genie 

alzo  la  frorile                       ^^H 

Ver  noi,  diiendo  a 

noi;  Se  voi  sapele,                ^^ 

Ho^traLene  la  vìa  d 

i  eire  al  monte.                        en 

E  Virgilio  rispo.^:  Voi  credete 

Forse  che  siamo  aperti  d' eslo  loco, 

Ma  noi  som  peregrin,  come  <oi  sele. 

Dianzi  venimmo,  innanzi  a  voi  un  poco, 

Per  allra  \  ia,  che  fu  si  aspra  e  farle,                    « 

Che  lo  salire  ornai 

ne  parrà  gioco. 

L' anime  che  si  fur  di 

me  accorte,                                    | 

Per  lo  spirar,  che  i                                             ^^^ 

0  era  annir  vivo,                   ^^U 

Maravigliando  dìventaro  amorU;                        ^^| 

E  corno  a  measflggier,                                             ^^^ 

che  porla  olivo,                   ^^H 

Trajrge  la  genie  per  udir  novelle,                     ^^B 

E  di  calcar  nessun 

si  mostra  scbivo;                ^^H 

Cod  al  viso  mio  3'  allìsar  quelle                             ^^M 

Anime  rorlunate  rutle  quante,                           ^^H 

Quasi  obbliando  d' 

ire  a  farsi  belle.                  ^^M 

Io  vidi  una  di  lor  trarrcsi  avante                           ^^H 

Per  abbracciarmi  e 

'on  M  grande  aiTctlo,           ^^^H 

'                    Che  mosse  me  a  far  lo  somigliante,                    ^' 

0  ombre  vane,  fuor  che  nell'  aspello  1 

Tre  volle  dieiro  a  1 

ei  le  mani  avvinsi,                   so 

E  tante  mi  tornai  ( 

'on  esse  al  petto- 

Di  maraviglia,  credo. 

mi  dipinsi; 

il  Piwtl  frtait  intn  d»    nggi  d<'l- 

aliiu  bDU  *i  Imin  di  DaaU. 

1'  VP*  1*  M.1W  dell-  iUn>.  Lucida  kla 

71.  7V,sw,,  «T«r.. 

WM,  AiiM  Lmrnbo  i  -Un  r.iBÌ.— 

72.  E  di  «['«..  ditu-rtlo.fi 

(OiM,  elii»r.,  ■  i™«,  priKchr.  ci|wrle 

il(l«Jr<.ril  OhJ-  foegitli.— ri  wMlra 

B(l  eofllnv  il  khih.  AiifIh'  Uiaiiodi» 

*2.  iperli,  prdln.  <-i>iHW->nli,  cIm 

!<>»••'  l»»*,  con»  OKiroa  <MI*  H>o 

dilli». 

79.  0  <»*tr(  HM    0  *■>«•  (b. 

«pirli  'bM  ioar:  a  pM  •i*r>,  m>  !■ 

ddh  iTrlf  •Un  di  wiiRdla  ti  liM  di* 

l«i..iii  the  «.  i.r.Ì«r.«T.  .ui  pu  eh* 

l-al«n>.*a.k....i.  ^•l^l<•r(^>•l  du- 

«•Jri  ni-gl»  nd  fnniisls. 

eS.  /'•r  aflracu:  ^Ì*t*...<.  l'il- 

■1  P..*l.    lu.  no»  l> J.4*  ,  li  aw» 

Arto,  uibri  t  Irrnbila;  «u  •liiini 

•■eh*  1.  «1..  Hi  CiiiUi  1  d*ll'tiir*nig. 

Uli  rht  >  frinì. 

06  fiùa.  <i*o  tfmt- 

SO    dMraa/rninundaBWHl: 

«8.    P«-    lo  .p«W.    P«     il    «KB. 

■«i«d,li.H* 

82.  IH  maratù/lia.  creta,  m.  &t- 

1. 

CAUTO  ìboqndo. 

Percbò  Fombn  sorrìse  e  si  ritrassi» 
Ed  io,  seguendo  lei,  olire  mi  piisi. 

Soavemente  disse,  eh'  io  posasse: 
Allor  conobbi  chi  era,  e  pregai 
Che  per  peHanai  qa  poco  s^anesUsse. 

Risposemi:  Cosi  com*  io  è  aiaai 

Nel  mortai  corpo,  cosi  t*  amo  sciolta; 
Però  m*  arresto:  ma  ta  perchè  vai? 

Casella  mio*  per  tornare  altra  voUa 
Laddove  io  son,  fo  io  questo  viaggio, 
Diss*  io;  ma  a  te  come  tant*  ore  è  tolta? 

Ed  egli  a  me:  Neasiui  m' è  fatto  oUraggio, 


255 


S5 


90 


^U  meraviglia.  —  wti  dipinti.  Poeti- 
^  *  ver*  «prewioiie ,  pirrcbè  1*  amano 
^1*,  tranne  quel  dcgl^ipocrìtii  ai  aliA- 
h  'die  interna  afTacioai. 
t4.  pùui,  aptnai. 

fó.  Soatemente ,  con  dolca  moclo. 
""^poMMe,  Cfaeaaai  dall' inotila  afor- 
'*'ubracciaila.  Fa  questa  la  primili- 
Tl  tcraùnationa  di  toAlo  l' impàrf .  dal 
^-  che  ai  feea  dal  piò  che  perf .  lati- 
no ,  ieltooa  la  coua.    fioali  ;  ai  clie  da 
<f  iiraa,  per  ea.,  ai  fece  Ì9  ammst§  ce. 
19.  JVcf  mortmi  turpe:  cioè  qaaod'io 
*8  aaita  al  corpo.  —  coai  l'omo  «cto(- 
kf  eaai  t'aoao  ora  cba  aon  dn  eaao  diviaa. 
91-92.  Cateilm.  Erceileote  moaieo 
iarcalMo,  dai  canto  del  quale  traaira 
iMiiao  duetto  il   Poeta  amictsaioio  di 
ha,  a  dM  por  di  amica  aaprva.  — 
fer  Icrmmrt  aiira  voltm  Laiéovt  <a 
tmu  iolaodi  :  io  fé  qaeato  viaggio  per 
ÌBMraro  •  beo  Tivere,  e  poter  tornare 
«roiirs  90Um  ao  qaeato  loogu  ove  ora 
aaao,  caoè  in  Pnrgatorio.  Alcuni  apio- 

rto  :  por  lomare  altra  volta  od  nion- 
Ik  Mv«  io  aooo  ancora  io  prima  fi- 
Ik  Ma  qnaato  concetto  è  miaero  e  vano. 


là  riafvMorrkbe  troppo  a  propoaito  alta 
fatta  da  Caaella,  dia  lia 


a  Dania  gik  coooactnto  tah 
tm  vivn:  fMarrkè  «««\  cioè,  perchè  fai 
li  qpmin  mggiof  Oltre<-hè  t  caprcaai»> 
m  milrm  no/In  didùara  ahbastaoia  che 
il  rìtarao  non  paè  riguardare  il  pnnM 
nrcbó  egli  non  ae  n'era  mai  ao- 
'>  d'altra  parta,  pie  d'ana  rotta, 
•— naiammta  al  r.  16  di  qaeato  niedn> 


Tale  ad  caaara  degli  aUUi.  Quanto  alla 
diffieoitè  eha  poirchW  farai  contro  la 
mia  apiegarione,  par  la  parda  taddatt, 
la  qnal  para  aignilìcara  no  luogo  lon- 
tano egnaimcote  da  chi  parla  e  da  chi 
aacolta ,  qoesia  cada  quando  ai  aa ,  co- 
me altrove  accaonu,  dm  il  laddo9t  tro- 
vaai  naato  de  antichi  aerittori ,  e  da  Dante 
medaaimo  in  altri  laogbi ,  per  il  aem- 
plica  <fo«e.  Vedi  |]i^,C.XX\llI,r.  80. 
93.  mn  «  le  eomt  UxmVora  è  tolta? 
Per  qoal  ragiono  ti  è  atato  ritardato  di 
laotoil  p ma  aggio  al  Pnvgatorìo  ?  —  Qoe- 
ata  doiiiamla  ci  fa  oiinoacere  dia  Caaella 
ara  morto  ém  molto  lanapo  ^nande  giui- 
ae  al  Pnrgaloho  E  In  nanaatn  S  Ini  al 
Poeta  c'inaagna,  che  qnei  che  nanoma 
rieonciliali  ean  Dio,  per  pnaaaen  tà  Pnr- 
galoriu  onn vengono  alla  foaa  dd  Tara- 
re ;  ma  che  V  Angdo  iaalìnotn  n  tr» 
aportarli  anila  «oa  ne^iorlla  ,  pavnde 
primi  qndb  che  vnolo  ,  ed  altri  nella 
ano  gwalieia  laacia  ad  altro  tempo  ;  ohe 
a  lai  era  «lato  negalo  pin  vdla  il  pn» 
aaggio  ;  ma  che  noalmeole  noi  tampa 
del  Giobbi  leo  avemio  T Angdo  fatto  g^ 
tia  a  rfainnqne  ne  lo  richicao,  avon  rae> 
adto  lui  poro  meolra  ai  atavo  deaiaon- 
meotegnardaod»  il  mare.  Nonotourrarà 
eh*  io  avverta  che  lotto  eie  è  on1»ian 
liono  noetica  fuor  dello  rr adonta  entto- 
lira,  che  n«*n  ritarda 


Canto,  caprime  Dante  il  deaiderìo 
i»  mtaroar  in  PnrgatoriOj  il  che  eqai- 


dei  morti  il  luogo 
la  Sonono  è  Idia  dolio  miiolagia,4a  ani 
ai  anirot-tleche  le  anime aiano  pan  ni 
no  Irattenola  anilo  Slige  prima  S 
tragittale  alf  altra  ripa,  verao  em  tai^ 
dono  drsioaameote  la  mani .  Vedi  Bn* ,  VI| 
y.  5l3aarg. 


256 


DEL  PUEGATORIO 

Se  quei,  che  leva  e  quando  e  coi  gli  piace. 
Più  volte  m*  ha  negato  esto  passaggio; 

Che  di  giusto  voler  lo  suo  si  face. 
Veramente  da  tre  mesi  egli  ha  tolto 
Chi  ha  voluto  entrar  con  tutta  pace. 

Ond*  io  che  er*  ora  alla  marina  volto. 
Dove  r  acqua  di  Tevere  s' insala, 
Benignamente  fui  da  lui  ricolto. 

A  quella  foce  ha  egli  or  dritta  Tala; 
Perocché  sempre  quivi  si  raccoglie, 
Qual  verso  d*  Acheronte  non  si  cala. 

Ed  io:  Se  nuova  legge  non  ti  toglie 
Memoria  o  uso  all'  amoroso  canto. 
Che  mi  solea  quotar  tutte  mie  voglie. 

Di  ciò  ti  piaccia  consolare  alquanto 
L' anima  mia,  che,  con  la  sua  persona 
Tenendo  qui,  è  affannata  tanto. 

Amor  che  nella  mente  mi  ragiona, 
Cominciò  egli  allor  si  dolcemente. 
Che  la  dolcezza  ancor  dentro  mi  suona. 

Lo  mio  Maestro,  ed  io,  e  quella  gente 
Ch'eran  con  lui,  parevan  si  contenti, 
Com*  a  nessun  toccasse  altro  la  mente. 


M 


100 


10Ó 


110 


iU 


97.  Che  di  giusto  voler  lo  iuo  ti 
face.  Percioochè  ^Angelo  fa  suo  volerò 
tld  giosto  voler  di  Dio. 

98.  da  tre  meti.  Il  Gìabbileo  avca 
■Tuto  eominciaoiento  ■  Natale,  primo 
giorno  dell'anno  neirantico  stile  roma- 
no, sebbene  la  bolla  di  Bonirazio  Vili, 
che  formalmente  e  solennemente  I'  an- 
nunzia od  istituisce  in  perpetuo,  sia  del 
22  febbraio  del  4300;  che  antico  era  il 
costarne  dei  popoli  di  concorrere  al  se- 
polcro dei  Santi  Apostoli  ogni  ceotesi- 
m' anno.  E  i  tre  meei  tono  appunto  Io 
s^ìo  che  corre  tra  il  Natale  e  il  ple- 
nilunio di  marzo,  epoca,  che  aopra  ab- 
biamo stabilita,  dui  viugfjio  di  Dante. 

99.  con  tutta  pace»  paciCcamente, 
senza  opposizione.  Va  riferita  al  verbo 
ha  tolto. 

401.  M'insala,  lat.  intrat  talum, 
«ntra  in  mare,  e  si  fa  salsa. 

405.  Qual  verso  d'Acheronte  ee.: 
chiunque  non  va  all'inferno.  Fingendo 
Dante  l'imbareopar  il  Purgatorio  alla 
foce  dd  Tevere,  dunoatra  la  sua  ortodot- 


sa  credenza  che  non  si  dh  salate  tmorì  del 
grembo  dulia  Romana  Chiesa. — 9er$J 
d'Acheronte  è  lo  stesso  che  verso  Ache- 
ronte; o  verso  la  riviera  d'Aeharonie. 

408.  che  mi  solca  quctar  ee.  (il  m 
è  pleonastico)  che  solea  mettere  in  cal- 
ma le  mie  passioni ,  acauietare  l' ai- 
tato spirito  Chi  non  sa  la  maravìglioaa 
potenza  della  musica  ? 

410.  che  con  la  sua  oersomm  cr.  : 
che  essendo  venuto  qui  col  peso  del  no 
corpo,  ce. 

442.  i4mor  ec.  È  il  principio  d^ona 
canzone  di  Danto  bellissima  e  tutta  Elo- 
sofica,  che  lrova«  pur  nel  Conrtlo  da 
lui  dichiarata,  e  che  pare  fosse  alata  giù 
da  Casella  messa  in  musica.  L*araore  di 
che  nella  canxoncsi  parla  è  tutto  intel- 
lettuale e  divino;  e  però  conTcaiente  a 
questo  luogo. 

4 17.  Cam'  a  nessun  loecaua  «I- 
tro  u.  Int.:  come  se  nesann' altra  co- 
sa, tranne  il  dolce  canto  di  Caaella,  oe- 
cupasse  la  mente,  foaac  nel  peaeìero  de- 
gli ascoltanti. 


CANTO  SECONDO. 


tlSH 


Noi  eravam  ioUi  fissi  ed  attenti 

Alle  sue  noie,  ed  ecco  il  veglio  onesto, 
Gridando:  Che  é  ciò,  spiriti  lenti?  ise 

Qaal  negligenza,  quale  stare  è  questo? 
Correte  al  monte  a  spogliarvi  lo  scoglio, 
Ch'  esser  non  lascia  a  voi  Dio  manifesto. 

Come  quando,  cogliendo  biada  o  loglio. 

Gli*  colombi  adunati  alla  pastora,  -12S 

Qneti,  senza  mostrar  l'osato  orgoglio, 

Se  cosa  appare  ond'elli  abbian  paura, 
Subitamente  lasciano  star  l' esca, 
PMt:hè  assaliti  son  da  maggior  cura; 

Così  vid'  io  quella  masnada  fresca  ^30 

Lasciar  il  canto,  e  fuggir  ver  la  costa, 
Cora'  oom  cbe  va,  né  sa  dove  riesca: 

Né  la  nostra  partita  fo  men  tosta. 

121.   fiuiff  «tome.  Alenai  Codd.      orgoglio,  eoglUndo,  mentre  «olgono. 


qumi  rittmre, 

122.  mi  wumU^noè^  ti  Porgitori*. 
— «  ofogiiarxi  lo  icoglio,  ■  spoglittrTÌ 
!•  teom,  CMè  a  OMadanri  della  Misura 
V^cccati,  ^fmr§^nì.SeogUo  nel  signif . 
ài  ■ÉPflHBeato  o  seona ,  è  vece  aiUica. 
I2i.  Cowu  quando  ee,  Coatr. 
gU  colimbi  adunoH  alla 
^pt*li,  $enxa  motlrar  l'usalo 


biada  o  loglio,  te  te.  —  Futalo  argo- 
glia,  intendi  quel  brio,  quella  petto:  ola 
altareoa  che  d'ordinario  mostrano  ai 
fatti  animali. 

430.  quella  matuada  fretta ,  cioè 
qaella  compagnia  di  fresco  giunta  ia 
anel  luogo. —  matnadat  non  avoTa  aii- 
ticamento  il  senso  odioso  cbe  oggi  ha. 

433.  (osto,  spedita,  pronta. 


CAUTO   TERZO. 


ìJUlm  rirgUim,  s'imemmmimm  cm  «mp  mrf  II  memi».  Gimmti  appiè 

■Il  wiilM/o  Wmw  «Ma  «ria  t€tndm  U  ripa,  mépmm  mm  tekitm 

9itm0  mtts  ttr  «ofM.  JpprttsmtUi  tkétdomo  md  t*M,  gii  ttmfié»  éi  m^ 

«f  MOgm  U  mmtte:  «  wttmirt  p»r  I  .m  099UQ  é  ^wM  iMnim»  iméimm,  urna  di  fMf. 

iftttm  mthJUieitn  ptr  Hmmfnéé  r$  et  StetUm:  M  fiMl*  mmrrm  m  Imi  Im  mm  mioru, 

a  mm»  appf»  ài  fMSfa  hpm  §naa  tnumuUi  f  m<  tkt  mm^ 

di  SmUmCàitm, 

Avvegnaché  la  snbitana  ftiga 

Diitpergesse  color  per  la  campagna, 
Rivolti  al  monte,  ove  ragion  ne  fraga; 

^•àeaegnaikitaiukitattafuga  ee,  ragiana  eterna,  o,  se  ruoi,  la  stessa  rih 
"■^tas  la  rcpenlioa  a  veluce  fuga  di-  gioM  nostra,  la  coscienaa  del  doterà  a 
Y^Vm  di  qaa  cb  là  questi  spinti  del  giusto,  ne  ^mga,  ci  punga,  et  sUmo- 
f*j*SHipafiM,  tatti  rivolti  al  muo-  la.  Vedremo  al  Cauto  XXI,  ?.  64,  cbe  la 
**•  la  SOM  mm^  mi  4m«ìbmi  ila  Virai-     anime  libere  ouiai  dagl'inganni  dei  sensi 

a  delle  passioni  sentooa  an  imperiosa 
bisogno  di  pagare  alla  giusiisia  etema 
per  meno  di  raartir)  il  dcb%\oW«^«Oaft 

n 


.  .     r; —  — -  — -  -.^.uaai  da  Virgi- 

""ìmò  ma  gli  accostai  maggiormente. 

'  •(  moiilt,  eoe  ragion  me  fruga:  al 

*•■*•  ^*lla  purgazione,  al  quale  la 


I 
I 


lo  mi  rìslriii'^ì  alla  iìila  compagna  : 
E  come  sarc'  io  Mnia  lui  corsoi 
Chi  m'  avria  Iraliu  su  per  la  montaen-dV 

Ei  mi  parea  da  ^  «lesso  rimorwi 
0  di^nila'ia  roivienza  e  nella. 
Come  l' é  picciol  fallo  amaro  morso  I 

Quando  I)  pieìl)  suoi  lasciar  la  frcltu. 
Che  l'oncslade  ad  o^-nj  alU)  dUmiiga, 
La  meWti  mia,  che  prima  ora  ristretta, 

Lo  inU'Dio  laUitrfd,  si  rome  vaga, 

E  dititli  il  viso  mio  inronlro  al  po^^, 
Cile  inverso  il  cicl  più  atto  et  didla^ 

Lo  Sol,  I'Ih!  dietro  riamme^iava  roggio, 
Molto  m- era  dinniizi,  al'la  lìgura 
Cli'uieva  iti  me  de' suoi  roggi  l'appoggit 

lu  mi  \olsi  da  lato  (.*on  paars 


I 


I     alla/tdiie 


(Ita  J^jygli*  dlmun 
di|i<iidnilnlwnt<,  cii 
di  Cimi»  du  ■  Inr  I 


,  IS'JJel  \XM  irì  l^r.. 'tt  il 

t/'»ii<la. 

ijifiol  «..-il  riBji»  Mviìe.tbt 


■•Ir  ^niiJi.  t  pm  allui 


2^r;.■Tr^ 


càKlIl.   I(  npriMi.w  Ji  Cjtl^iH,  la 
l<lei  MI' «■.«>.. Ih»  •■■!.«• 

13    la  JnlMlu  nlUrgA    AlUrffl 

{■ni  IiHm  — timtir  H^a.  »mr  bi>- 


'  fi*  ifniulv  (>  <piii  pfBaki  Ji'l 


'""»l*"l' 
r.i..d.l*.l|M 

1.1  Pfura,  e 


CANTO  TEBZO. 

D*  essere  abbandonato,  quando  i*  vidi 
Solo  dinanzi  a  me  la  terra  oscura: 

E  '1  mio  Conforto:  Perchè  pur  diffidi, 
A  dir  mi  oominciò  tulio  rìvoUo; 
Non  credi  tu  me  lece,  e  eh'  io  ti  guidi? 

Tespero  é  già  colè,  doV  è  sepolto 

Lo  corpo,  dentro  al  quale  io  fooev' ómbra 
Napoli  l'ha,  e  da  Brandizio  è  tolto. 

Ora,  se  innanzi  a  me  nulla  s'adombra. 
Non  li  maravigliar  più  che  de'  cieli, 
Che  i'  uno  ali*  altro  raggio  non  ingombra. 

A  sofferir  tormenti  e  caldi  e  gioii 
Simiii  corpi  la  Virtù  dispone, 
Che  rome  fa  non  vuol  eh'  a  noi  si  sveli. 

Mallo  è  chi  spera  che  nostra  ragione 
Posrta  trascorrer  la  infinita  via. 
Che  tiene  una  sustanzia  in  tre  persone. 

Stale  contenti,  umana  gente,  al  quia; 


259 


SO 


25 


:>0 


P"»^  io  fidi  tu  tnr*  oscura  toh 
HMoiir)  liinami  a  me,  io  mi  tolsi 
^  ^  tou  pauru  ec  ,  leuinitlu  d'  r^ 
^  Mtflo  abbaaJfimUi  4a  Virgiliv,  di 
•  •oo  trdevi»  Tombia 

22.  £  l  mio  Conforto  :  cos'i  chiama 
•«ili».  -~  pw  ,  auct^ra 

S.  Iiiffo  rtro/ffi.  ri«  olimi  a  me  eoa 
Ito  qaal  «li  rbi  «'i.ffende  d*al- 


ìa.  I  cipero  é  già  colà.  Se  nel  Par- 
li avlc  era  levatn  da  p  ù  dì  due 
•«,  d*allr«IUatt*  d»«eira  esser  t.  aiiion- 
kt»  •  Grr«»al«maic ,  pani»  anlipiidu  ; 
ta  Ìb  lulia,  tanto  oe<  idcntale  riguardo 
•  G««MÌcaiwe,  BiHM-a^a  onora  al  tia- 
■•'do;  pcrebé  ponendo  Danti-  la  ritta 
Il  Uumm  a  45  g:  adi  all'itcrideiite  di  Gè- 
rwilfiiK ,  la  difrrirn/a  tra  le  due 
dtLi  «lanc  ad  esktri*  di  tre  ore. 

27  Dm  Brandivi»  è  lei/o.  D.i  Drìo- 
fiii,  4vf  e  awri  ^  ii  u'ii»,  fu  tult»  il  corpo 
m».td  ora  é  in  ^a|M•li 

2U  fik  tht  de'rieti,  più  di  <|uel  che 
lati  Bara^tfli  de*  celi. 

Sé  Che  l'imo  all'mllro  raggio  ntm 
imaiWikrm.CtMT  e  mi  ehe  l'ua»,V  nu 
ir  i|nali,  non  <iiyom6r«,  a«*o  im|HMlì- 
ar».  raggio,  i  r«gf*i  luniiai«i,  all'iillio 
chìo     «vM-iidv  tulli   |triTrff  inii'n't   'Ij- 


31.  A  sofferir  m.  Questn  discorso 
di  Virgilio  è  diretto  a  pre\eoireuii'(ibie- 
EÌoiie  che  il  discepoKt  avrebbe  potuto 
fargli,  conie  mai  corpi  cbe  non  fanno 
onbra  ed  intangibili  possano  esser  ca- 
paci di  tormenti  n.ateriali.  Vi  risponde 
ejiegianienle  > ir|;il:o,  e  vi  rispose  pri- 
ma S.  Ago  tino  i-vn  due  parole .  mtrit 
trd  reri*  m'ulix. 

52  la  Virlià ,  ronnipolenu  di  Dio. 

3>>  rof.:a  Iratrorrer  et.  Stolto 
è  rolui  die  |>cnHii  di  potere  eoi  sao  finito 
intelletto  noestignr  !«•  vie  deirimineoao, 
couipreuflere  cioè  i  modi  che  tiene  Bit» 
1'  operare  on  Dio,  uno  nella  snatauza , 
e  trino  nelli>  |iei-sone,  rbe  è  qnantu  di- 
re, inroni|ifriM  bile  nelU  sna  r»>eiica. 

37  Siale  onlenti  ..  ai  ipiia.  Se- 
coodu  Ai-ihtiii:le  1 1  diiiimitrazinne  è  di 
due  so:  te  ;  luna  ediila  pT**ptfr  gwod, 
ed  è  (|utindo  ilimostrahi  a  priori,  cine, 
quando  |;li  f  ff.  Iti  si  detlueono  dalle  cn- 
gioni  :  1.1. Il  a  e  tirila  quia  e  «  potterio- 
ri,  e<l  e  i|Uiindo  la  cagioni  diiuosli  ansi 
dagli  «•ffrtli  Ini  dunque' slate  eonlen ti, 
o  aioniiii,  al  quia,  noe  a  qneile  dimo- 
slra/ioiii  rhr  ki  pouono  ricalare  deg'i 
rffrtli ,  pei  liliali  li  %iriii'  in  f*«j;ni/iooe 
Jr!lr  ra;;i«>m  Miro,  e  non  pr(Siim«>tr  d'in- 
ti-nili'r«'  più  in  la  di  quello  elle  i  fatti  \i 
mo-iti  ani» j  che  ciiA:a  le  enw  wi^nm^  «N\« 


Ch(  fé  potuto  averle  veder  luKo, 
Mestìer  non  era  pariorir  Jlaria;         -^j 

E  disLar  vedeste  senza  frutto 

Tal,  rhe  sarebbe  lor  disio  quotalo, 
eh'  eternalmenle  è  dato  lor  per  lutto.' 

Io  dico  d'  Aristotile  e  di  Plato, 

E  di  molti  altri.  E  qui  chinò  la  fronte; 
E  più  non  disse,  e  rimase  turbato. 

Noi  dìveaimmo  intanto  appiè  del  monte: 
Quivi  trovammo  la  roccia  si  erta, 
Che  indarno  vi  sarien  le  gambe  pronte. 

Tra  Lerici  e  Turbia,  la  più  diserta, 
La  più  rotta  mina  è  una  scala. 
Verso  di  quella,  agevole  ed  aperta. 

Or  chi  Ra  da  qual  man  la  costa  cala. 

Disse  'I  Maestro  mio  fermando  il  passo, 
Si  che  posM  salir  chi  va  senr'alaf 

E  mentre  che,  tenendo  il  viso  basso. 
Esaminava  del  cammin  la  mente. 
Ed  io  mirava  suso  intorno  al  sasso, 

Qa  man  sinistra  m' appari  una  gente 
D' anime,  che  moricno  i  pie  ver  noi, 
"  '        ■     n  lente. 


■•^i^^ 


CANTO  TERZO.  S6t 

Leva,  dissi  al  Maestro»  gli  occhi  tuoi: 

Ecco  di  qua  chi  ne  darà  consiglio. 

Se  ta  da  te  medesmo  aver  noi  puoi. 
Gaardommi  allora,  e  con  libero  piglio 

Rispose:  Andiamo  in  li,  ch*ei  vengon  piano;       65 

E  tu  ferma  la  speme,  dolce  figlio. 
Ancora  era  quel  popol  di  lontano, 

r  dico  dopo  i  nostri  mille  passi. 

Quanto  un  buon  gittator  trarria  con  mano; 
Quando  si  strinser  tutti  a*  duri  massi  7o 

Dell*  alta  ripa,  e  stetter  fermi  e  stretti. 

Come  a  guardar,  chi  va  dubbiando,  stassi. 
O  ben  finiti,  o  fià  spiriti  eletU, 

Virgilio  incominciò,  per  quella  pace 

Ch*  io  credo  che  per  voi  lutti  s^ aspetti,  7S 

Ditene  dove  la  montagna  giace, 

Si  che  possibil  sia  i'  andare  in  suso; 

Che  *1  perder  tempo  a  chi  più  sa  più  spiace. 
Come  le  pecorelle  escon  del  chiuso 

Ad  una,  a  due,  a  tre,  e  1*  altre  stanno  so 

Timidette  atterrando  l' occhio  e  *1  muso, 
E  ciò  che  fa  la  prima,  e  l'altre  fanno. 

Addossandosi  a  lei  s*  ella  s' arresta, 

Semplici  e  quete,  e  lo  'mperchè  non  sanno: 
Si  vid*io  mover,  a  venir,  la  toila  ss 


''•4  Cmaulommi.  Il  Cod.  Est .  dice  : 
^^tHé  al  torà.  E  par  Irtione  pii  gia- 
«'•,  pcrrlbè  iafalli  Dante  l'avrà  lovilalo 
*_  leardar  la  srlii^re  cImp  %  eniva  vene 
•<i  lira.  —  (911  iii,fro  pigiio,  con  volto 
^nara,  eensa  dnbUena. 

CS.  ek'H  vnigon   spiano;    onde 
kiffo  lcnp«ai  perderebbe  ad  aipel> 

CO.  fnmm  Im  tptme,  coorerma  la 


C7»60.  Anctiraermquei  pt*pol  ee. 
r«èrU  \irfilioebbe  detto  Anéimmo  in 
té,  «r.,  i  dac  poeti  e*  ovviarono  e  fecero 
■•«ll<>  pnaai  tH'  incirta  vene  le  anime 
t*-^  Iftoiirta  aoeevMo  ;  perete  dice 
«be  «Mlle,  dono  t  naillo  paaai  giè  falli 
4o  ini  cdnVirplio^  erano  lontane  Qménto 

giiialer  trmrrim ,  lancorebbo 

tww  MMinioCm. 
'7«-7l.  fl'AiH  mani  DelT alim 
Tif,  •c''  Bporgeati  aeofli  del  monto. 


72.  Come  a  guardar  ee.  La  dubi- 
tante di  <|oeat'  animo  naacera  dal  vcdoro 
quei  doe  cbe  «ndavano  in  aenao  contro- 
rio  a  loro ,  o  M  allontanavano  doli'  in- 
gresso del  Purgatorio. 

75.  O  ben  finiti:  o  ben  morti!  • 
molti  io  grazia  di  Dio! 

7C.  dove  ta  montagnm  gimc$,  devo 
piò  dccliina  o  è  men  erta. 

78.  Ckè  't  perder  temjpo  ee.  Qnan- 
t'uno  è  più  avanti  nella  rogniiiono  dello 
coM,  tanto  pi»  apprcna  il  tempo,  cbo 
trova  senipre  breve  in  confronto  di  ciò 
cbe  gli  rimane  a  imparare  e  fare  per  il 
ano  prrffrionamenlo. 

79-84.  Come  le  pecoreMe.  CU  non 
tonte  la  leggiadrìa  di  qneala  timilitadi- 
ne,  benché  tratta  da  coaa  si  aoiile  t  cik 
mniief  Tamtum,  follo  la  penna  di  Dan- 
te, ds  medio  snwiUs  «ecedi'l  Aontrlil 

85.  Si  vid'iomower.  CooCr.  a  iat.: 
Tal  yid'  io  allora  moverti  per  venir  ven* 


tot  DEL  PDKGATOEtO 

Di  quella  mandria  fortonala  allotta, 
Pudica  in  fiiccia,  e  nelP  andare  onesta. 

Come  color  dinanzi  vider  roda 

La  luce  in  terra  dal  mio  destro  canto, 

Si  che  l'ombra  era  da  me  alla  grotta,  90 

Ristarò,  e  trasser  aè  indietro  alquanto; 
E  tulli  gli  altri  che  venieno  appresw). 
Non  sappiendo  il  perchè,  fero  altrettanto. 

Senza  vostra  dimanda  io  vi  confesso, 

Che  questi  è  corpo  aman  che  voi  %'edete,  9» 

Per  che  il  lume  del  sole  in  terra  è  fesso. 

Non  vi  maravigliate;  ma  credete. 

Che,  non  senza  virtù  che  dal  del  vegna. 
Cerca  di  soverchiar  questa  parete. 

Cosi  1  Maestro.  E  quella  gente  degna,  foo 

Tornale,  disse,  intrate  innanzi  dunque, 
Co*  dossi  delle  man  facendo  insegna. 

Ed  un  di  loro  incominciò:  Chiunque 
Tu  se\  COSI  andando  volgi  il  viso, 
Fon  mente,  se  di  là  mi  vedesti  unque.  10& 

Io  mi  volsi  ver  lui,  e  guardail  fiso:- 

Biondo  era  e  bello,  e  di  gentile  aspetto; 
Ma  r  un  de*  cigli  un  colpo  avea  divisa 

Quand*  i*  mi  fui  umilmente  disdetto 

D*  averlo  visto  mai,  ei  disse:  Or  vedi:  HO 

K  n.ostrommi  una  piaga  a  sommo  il  petto. 

noi  U  prime  inime  Ai  qorlla  ({r^f^gia  (of^  <  02  Co'dasii  drUe  «mh  ce.  C**!*- 

tiinata :  —  inia  •  ^roiife  rhiamim^i  vitci  cl«ll<  mani  farrotle  fiuegiM.  due 

negli  carrcitì  e  nelle  coiupagiiie  le  fil«  s^Rikn  crnuc  si  aoul  fare  ad  tlcttoe,  p«r 

dd^aiiti.  aerennurgii  che  %eiifa  alla  noatra  volta. 

Vi.  tutor  dimmi,  (|oei  eh' erano  104  cotiaii<.'«iido,acgiiìUiid»p«rt 

avanti  a|]li  «llri.  ad  amUre  rome  raf-ciamo. 

8'J-!)0.  dml  mio  dnlro  tanto  tt.  105.  Po»  ment§  re. La  battagliaci 
Vaol  •gnifirare  rb' rgli  avt'va  il  «ole  a  Donf\enlo,  inraiMarfrediaiorkyanwtt- 
inanoinaiira,*  adnttra  la  filila  «limpul.i  ne  ael  26fi-blirai«il2U6,eDanteiiacq*t 
del  m«Hite,  che  ap;  elU  grotta,  siao  alla  nel  aiiig;;io  del  1265.  Nonpnlaa  da»qM 


nuale  ti  eiitendr\a  la  «na  ombra.  avercoooacint*  Manfredi.  Ma  caatwntl 

94  Semxa  roitra  dimonén  Snnpa-  ano  alupere ,  e  nel  deaiderio  di  parlar* 

ntle  di  Virfjilio  all'  anime  maravigliata,  con  cbi  putea  p«»rtar  nel  moadeavavedì 
96.  Per  rhe,  per  lo  che. 


99.  di  Boterehimr  ^ur$tù  p4urrte, 
di  aarmonlarc  qneala  r<i»ta  rbe  e  (|aasi 
■0  ainra,  tanto  o  aeogliiM  e  ritta.  409.  ■fJ'Mlrfi'irfrffo  ■iaa1iliiHÌMÌ 


lui,  non  guarda  coai  per  miaata  l*alk 
eha  pelea  a«er  Danu;  ad  i  eie  ka«  M- 
larale.  —  ae  di  /é,  cioè,aa  nal  m^mim. 


101 .  Tomefe,  inii'ndi  iadirCra.  —     OMOHide  invece  del  coiwinaeMifiifal». 
iafrefe  j«r«nsi  *  modo  elitiico,  che  Ut.  maommoU  «elio.  Bel  li 


vale:  entrata  ia  seatra  connpagnia  e  an-     p:è  alle  del  pelle,  e  dote  il  pelle 
date  ioDanti. 


CAKTO  T&RIO. 

Poi  di9w  sorridendo:  Tsoo  Manfredi, 
Nipote  di  Goi4ansa  imperadrìce: 
Ond*  io  ti  prego  che  quando  tu  riedi, 

Yadi  a  mia  bella  figlia,  genitrice 
Deir  onor  di  Cicilia  e  d*  Aragona, 
E  dichi  a  lei  il  ver,  a*  altro  si  dice. 

Poscia  eh*  i*  ebbi  rotta  Ja  perwmi 
Di  due  ponte  mortali,  io  mi  rendei 
Piangendo  a  Quei  che  volentier,  perdona. 

Orribil  furon  li  peccati  miei; 

Ma  la  bontà  infinita  ha  sì  gran  braccia. 
Che  prende  ciò  che  ai  rivolve  a  lei. 

Se  *1  i^a^rtor  di  Cosenza,  eh* alla  caccia 


263 


1(5 


120 


^'2.  ÌSmmfrtdì  Fa  ftfliiiilo  mIv- 
"'"R  FHrrieo  II. 

113  CflffAii:«,  Gglraolt  di  Rnii- 
V^  re  di  fUrilia  e  mt*^\w  d'Arriso  fi 

'«•II. 

HS-416    mU  Mia  figlia.  CmU\ 

'^iiNBrCmUnifeninr  U  Bnnna,r  fu 

■*8'i«  di  PiHro  re  d'Aragona,  <(ai*llo 

**'  «rnipò  If  f^nlia  dfpo  il  fnninto 

^«rr»  nei   1282.  —  gmitriet  Det- 

^•aw  di  rieili;  cioè  madre  di  Fe<le. 

'W'  r  di  larc»pA  ^  il  primo  dei  qaali  fa 

'v 'C  Sirilia  e  l' altro  d'\ragonaf  am> 

Ma«  eoor^di  i|a***  reami.  Cmi  rhio- 

Mao  j  pie  degli  eapn<ilorì.    \la  il  rfa. 

■if  Carlo  Trilla  nel  «no  Veiirp  aite- 

t&rin  ài  àmnte  naserra   non  eaaera 

Mm  poaaibiir  rhr  il  P»eta  Tideur  biaiii- 

■ire  ì  irateili  d'Ailonso  nel  Canli>  \|I 

di  ^«eala  f.antira,  dicendo  |V<>di  ivi, 

r.  1 19)  rW  DÌnn  di  loro  ponedea  del 

ffvlafijio  miiliore  il^l  padre,  qnandogli 

■mai  par* avanti  nella  medratma  ran- 

tira  Ifriati    Quindi  il  giu<lirìnao  enlieo 

m  rondare  a  tlabdire  prr  giu^tisnima 

e— ■^frtfa.  rhe  (|iie«ta  lode  e  al  «olo 

|i««i«Hlo  Alfi»a«o,  il  quale  col  padrt 

guerraegiè  mntro  Carlo  d*An(<iò  per  la 

dif^a  drlla  Sirilia    Coti  nota  il  Coala J 

■a  •{ue»ta  «piegarione  appagherebbe  di 

pie  «e  aH'epara  rbe  \lanlrrili  qit  parla 

•mi  Caaae  già  OKirto  da  nove  anni  il  pri» 

■■»;enito  di  PiHm  Ili ,  AIIoimo  L'Arri- 

vpbrnr  penaa  cbe  mm  aia  nmtradisinat 

Ira  W  l«di  cbe  ni  danno  ^m  a  lampo  a 

Fc«leiW«f  «  i  biaaimi  cbe  dì  Uro  ai  Iff- 

gooa  Bel  YII  di  queata  medcaima  Cai^ 


lira,  e  nd  XIX  del  Par.j  poiché  chi  li 
loda  ^i  è  il  biro  avo  Maonrodi,  al  cai 
oatarale  affetto  ai  oandooa  il  eonaiilo* 
rarli  dal  idto  miirliora,  a  chi  li  biaaiiu 
altrove  è  gindiea  imparaiale  a  acvaro  di 
HAtM  la  loro  eoodolU.  Miaero  dileaa  I 
Alrao  altro  penaa  ,  rbe'  Manfredi  parli 
qoi  ironieoniente  :  na  dov*  è  in  tuHo  il 
contrulo  un  argno  che  ne  farcia  acro:  ti 
di  queata  ironÌH  T  Dopu  tolte  «foeate  opi- 
nioni, erto  la  mia.  t^Hiando  Manfredi 
cliiama  la  »na  fi|>lia  genilriee  deitonar 
di  CiWfio  ff  d'Armgnnu,  non  intenda 
già  di  enromiarr  gì'  individui  nati  di 
lei,  dei  quali  punto  non  <i  nrmpa.  ina 
rutile  i^allare  t'anore  étl  tamgyr  iin 
periale,  di  rhe  per  lei^  uuilaai  in  ma 
triimmio  col  re  Pietro  III,  ai  ooliilita' 
vano  i  due  troni  dì  Sicilia  e  d'Aragoni* . 
E  rio  ai  troverà  ben  d'arrordo  rm  pri^ 
eipj  di  h^ntr,  eKNllatnre  eootioon  del- 
l' rmper.i|Hre  e  dell'  im|iero. 

H7.  f'ffifro  ft  dire:  perrioctbè  a 
gìiidif  are  arriMid*!  le  appariMite  e  l'opi- 
nìi'Ue  de'pin.  si  «arrbke  iii>l(o  dannato. 

I  ì'.ì    l'i  i/ue  punte,  di  due  fei ita. 

121  Orrihil  furon  §e.  Aveva  ro- 
itui  menato  vita  diiwolula,  e  fu  drtto 
che  pei  ainhirifine  di  ri>f*no  nmdi^c«-  ti 
proprio  padre  Feilnìro  11  ed  il  fi  mI>-IIo 
Corroilu  Ma  iiuniti  fatti,  te  cono  «.tati 
un  tempo  rrednli,  non  ton  pei  è  tanto 
certi .  rhe  O'tn  ne  ne  p<>«M  dubitare. 

424  ilpatf0rdiCn$emsm.Ér  L^ar> 
riveaeovo  dt  (^oaenra  fu  inviali*  da  pupa 
Clemente  IV  al  re  Carlo  per  moverlo 
roniro  Manfrrdi  L' arrivranivo  legalo 
del  papa  dava  la  carrìa  a  Manfredi  io 


Di  mo  fu  messo  per  Clemente,  allora 
Avcf^e  in  Dio  ben  letta  questa. laccia, 

L'ossa  del  corpo  mio  sarìeno  anidra 
In  co'  del  ponte  preitso  a  ficnevcolo, 
Sotto  la  guardia  della  grave  mora. 

Or  le  bagna  la  pioggia  e  move  il  vento 
Dì  fuor  dal  Reitno,  quasi  lungo  il  Yvrde, 
Ove  le  trasmuta  a  lume  spento. 

Per  lor  maladkion  si  non  si  perde. 

Che  non  po?«a  tornar  l' eterno  amore. 
Mentre  ctie  la  speranza  ha  lìor  del  verde. 

Ver  è  che  quale  in  contumacia  muore 

Di  Santa  Chiesa,  ancor  che  aIGn  si  [}enla, 
da  questa  ri|hi  in  fuoro 


Star  li  conv. 

flil»iJoj1i«ntTaipapot-;la  antl 

ilcncaS*!»  Milapiniihiiroi  li  cute  che 
vemisn»  li  potere  di  CiirLofl'lii||iòilo|io 


(l|li  (wa  pirlc  >I  pipi.   B  aulm  ra 

dgiiniie  the  enii  [une  leKitla  Kupprla 

CsrvltH...  dtprimiliU  tabaruM  tvo- 

eiapred.  ««ai.M.  runelo-pirll» 

r«.  parU«p«.  /«.«l   p.(r™  p* 

lni«,  «1  d*  na  \E«ATIOyB palw 

ipM    prtrgtàiM.    Ju«,    ..roftrBrio» 

43 1 .  Di  /«wr  dal  r«iio,  fuori  dà 
uinini  del  llriae  &  Nupnìi,  panhé.:»). 
tiacniveii  terre  de  le  Oiirte  al  ii  *o- 
le.  elle  uocapgue  noirlv  furiti  trm  di 

mmoi  K...  CUmenli  Irstuml'Ifl. 

126.  Jtai4  in  Dio  bm  Ull»  attt- 

tta  farei:  N»u  ù  .ccnat  qui  .Ic.ini 

ere  ScriUare,  vm*  ■  cemcDlilr.ri  pro- 

Wdi  ««>>«  iiidiirreti  e  ta  eoa  retibU 

•ifie:  HM  li  vaol  nuterf  avi  gcnrriila 

»ge<u  le  ..na«ie! 

delie  eh*  MUe  le  dinne  SiriIlHreenii- 

cioè  le  Ih»  puute  «nu  «Mtanii  di 

«ulaMM*  il  V»|cl.  full..»  iD  Uki  et 

■uni  i  ee  puro  no»  ti  ittoum  i|tii  il  rile 

di  eopre  delle  pulllie  .  .Itile  •eiidel- 

le  1  ■pirìlD.dJetH  i  proli  |Hii  ebe|ll  .Uri 

devere  1  «n,  •  eoa  cai  eepuvoUÌ  f» 
B'drvKiu  ì  rhi^riei  .<  lungo  dcdiMM. 

\^^V«,Ma  del  c<.f^  m.-o  tr. 

SecMdi  cheetm  il  V.ll.ei.iioe  •eil.i  .1 

Va  U  KiHuuiii.»  loru  lci.4  d.-'p.pi,« 

fé,  f«M  wppllil»  in  lu-B"  iicn.,  n. 

HDD  ù  pavé  rinupi'r.ra  Elicili  io  eeea  i 

a  P>»  dei  poale  di  Beneveak.,  o«e  .opre 

fior  di  tper.Dte,  tli.  vi  ò  tempre,  n»- 

|iUal*  «M  pJFin,  onde  .i  tace  wie 
iraodc  Ber.  di  euei.  Di  ancet»  luni« 
furSM  di  pw  diHpprllile  le  dtlta  «m 
0  di  ùvcil» 


CANTO  TERZO. 

Per  ogni  tempo,  eh*  egli  è  stato,  trenta/ 
In  sua  presunzion,  se  tal  decreto 
Più  corto  per  buon  prìeghi  non  diventa. 

Vedi  oramai  se  tu  mi  puoi  &r  lieto, 
Rivelando  alia  mia  buona  Gostansa 
Come  m*  hai  visto,  ed  anco  esto  divieto; 

Che  qui  per  quei  di  là  molto  a*  avanza. 

r9  4i  tonpo  Irfnia  Tolte  ina[npor«  H 
parilo  ad  qule  tìim  prcMQliHMaiiieiito 
»e«iiUma>ia  ili  SanU  CkicM.  Coatr. 
^rr  itp^i  iempo  ih'tgUè  iiaio  in  tua 
frtpuniane,  trgnta  t«nipi. 

MI.  per  bmom  prie§hi,  per  pre- 
i^'-ft  eOicaci,  per  f «elle  de*  titì  alla 
(wit. 


S65 


140 


iÀS 


444.  9tlo  diyido,  cioè  la  proibì- 
rione  éì  entrare  n  Pnrgatorioy  te  dod 
pMiafajl  tempo  itabilUa  agli  tcomii» 
Dicati,  come  aopra  è  detto. 

445.  Che  fai  per  f«et  di  M  ee.» 
imperocché  qiri  per  le  preghiere  di 
quelli  che  lofto  sei  moado,  molto  ti 
guadagna. 


I 


CAliTO   91JJLRTa. 

là 4oM  llm  mU  H  stit,  «lUraM*  f  P:H  ptr  ftrU  fé  mmgmstm  9aU«,  m 
'  «rf  primi»  hmlM».  M  éeémO,  Sfi*§m  U  Ka*  Umutr»  mlfslmmmo  tm  ctgkmt  4H 
'  !<■■•  tf«r  «*.  Fmtmf  pm  MofM  ptnmm  mmni  «If '«R»fw  éi  m  «wsm,  «  meeottmOH  m 
^««'».  nm  mi  rdUtldvi  U  pif/u  BHitfms,  im  cui  àattmét  dk«  là  mm  U  mima  di  e 

Quando  per  dilettanze  owcr  per  doglie, 
Che  alcuna  virtù  nostra  comprenda, 
L*  anima  bene  ad  essa  ai  raccoglie, 

Par  eh*  a  nulla  potenzia  più  intenda: 

E  questo  è  contra  quello  crror,  che  crede 
Che  un'anima  sovr* altra  in  noi  s'accenda. 

E  però  quando  s*  ode  cosa  o  vede, 
Che  tenga  forte  a  sé  1*  anima  volta, 
Vasscne  il  tem[X),  e  1*  uom  non  se  n* avvede: 

M.  QmmA  ee.  Coalr.  :  Qminéo 

^n<M9  fi  fmetoglie  bttu  md  alcuna 

*v«ÉMifr«  ftr  dH9Umn%€  •rrero  per 

^»9Uf,  eke,  c«i,  le  qoali,  egèa  tirtii 

c^«pr«Mfa,|Mrf  dbe  ee.;che  tooI  dire  : 

fialide  l'aaima  soiitra ,  per  piarr«oli  o 

p«r  dilag<aa  impmutHii  hrfvule  per 

■od»  di  qaakvaa  ddle  Mie  rirlét  o , 

di  cm  ^MoiM  delle  eoe  polense  uà 

aaina  ai  rarmglie  bene,  ai 

eaa  petenaa  «ide  le  viene 

•  dalare,  pare  allora  che 

li  Pawrcine  d'egai  altra  laa 

ffacaM.  9m  miwtk  •  polnaa  dell' aa». 

■a  a*  iila»daa0  feacralmeole  le  facoltà 


ftr  tm  «pera.  Ora  qaeato  latta  cendeda 
caair*  f  arrart  di  calare  ehe  penaano 


r  nell'  nomo  tre  anime  ;  perchè  •• 
àè  fusae  vero ,  potrebbe  accadere  Am 
mentre  vaa  di  queato  anime  è  inteu 
alle  Uaprcaaioni  ehe  le  vengono  da  an 
aenao,  àn'altia  attendeaae  interameoti» 
e  umiiltincaiiipnte  e  ceaa  o  ad  opera- 
fioni  del  tult*  straniere  a  qodle  oaJ'è 
oecap.iti  l'altra  anima. 

é.  ehe  Mn'aiit ma «ovr'aflrcee.  Dice 
«m'anima  $<wr' altra,  perchè  quei  tali 
filuaoS  pongmifl  «na  di  queat'  anime  nel 
fegatosa  vegetativa;  an^altra  nel  caora, 
la  aeMiti«e  ;  la  tene  nel  cervello,  Ilo- 
tal  letti  va.  •—«'aectiufa:  bella  HMtafara, 
per  caà  l' aniau  vien  ceasiderata  saea> 
ma  vaa  iamma  vivifieaala. 

9.  Vas$ene  il  tempo  re.  Li  MaiaMi 


ti^Ù  DEL   rURGATORIO 

Ch*  altra  potenzia  è  qaelìa  de  V  asrolta,  fO 

E  altra  é  quella  rhe  ha  V  aTiima  intera: 
Qoefita  è  quasi  legala,  e  quella  è  sciolta. 

Di  ciò  ebb*  io  e<)perienzia  vera, 

Udendo  quello  spirto,  ed  ammirando; 

Che  ben  cinquanta  gradi  salito  era  t> 

Lo  Sole,  ed  io  non  m*  era  accorto,  quando 
Venimmo  dove  queir  anime  ad  una 
Gridare  a  noi:  Qui  è  vostro  dimando. 

Bfaggiore  aperta  molte  volte  impruna, 

Con  una  forcatella  di  sue  spine,  t< 

L*uom  della  villa  quando  Tnva  imbruna, 

Che  non  era  la  calla,  onde  saline 
Lo  Duca  mio  od  io  appresso  soli, 
Come  da  noi  la  schiera  si  partine. 

Tassi  in  Sanleo,  e  didcendesi  in  Noli:  23 

della  «lurala  nasce  dalla  socc<*«None  nel  i4-i(t.UdeHdoqueUnipirto,tdaBh 

iHMtro  inte'lello  della  serie  delle  ilivenie  mirmnth.  PiHrhè  V9mmirnndo  iodica 

idee,  e  dalla  perceiiooe  dei  me  rhe  si  U  fona  éAV  allraiinae  deU  «ll«  tmt 

ricoDoace  idenliro  io  quella  soeniiaiMie,  ■dite  e  la  irapitrUnf  a  lor»,  o  ia  aacl- 

dalla  quale  roi'^arìaino  la  ronlinuaiitme  V  atteniione   appunto  e    emmirar"" 

della  nostra  esistfoxa.  Ma  quando  Pani-  dell'  udire  sta  la  rajpooe  dell' inu 

ma  si  Gasa  intensamente  sopra  una  e<K  rato  correr  del  tempo,  oni»co  intii 

^«,  non  pensando  alle  idee  cor  fra  taulo  citme  il  Vel'nlello  e  il  Landino,  le  roa 

8nrc4>don^i  In  lei,  lascia  fn^ire  ioav-  «dm^o  ed  a munnmf/o,  e •p:ego*  aiea- 

vcitita  una  parte  della  durala,  e  non  Ire  stetti  ad  udire  pieno  di  raaraiiglia 

esiste  per  lei  rhe  nn  solo  punto.  quello  spirilo  .  Chi,  pemerhè  il  s«de  dit 

10-12  C/^'a/lrapr»(ms:arc.Perrhè  pneo  avanti  rh*  io  lo  incontraiai  era  a 
dltra  polenra  è  quella  rhe  ascolta  ovede      poro  più  di  trenta  |p^di,  lo  vidi  aet^ 

quella  ikiLi  civia  che  ha  tirato  a  sé  l'ani-  quanta,  rhe  mi  parve  un  momento.  Egli 

ma,  ed  altra  è  quella  che  V  anima  ha  avea  dunque  paiwato  in  quel  colloquio 

intera,  cioè  non  occupala.  Qimla  non  più  d*  un  ora,  ed  erano  già  tre  ora  e 

en^ondo  in   quel  momento  altiva ,  non  un  terzo  di  sole   II  Cn«ta  ron;«innjjeiid# 

opeiMUilo,  è  come  li*|;Mta,  mentre  quella  diversamente  le  parole,  inlendi-ra  iar^ 

spie(;a  la  sua  Titraa  libera  neh' eserrixio.  ce:  «mmtraiwlo  rhe  ti  sole  era  at.; 

Cos'i  m-l  caso  di  Dante,  la  «uà  anima  certo  con   meo   felice  senteoia,  a  pia 

era   tutta   raccolta  nelT  esen-i/io  della  storto  perioilo 
viitù  uditiva  al  parlare  di  Maurreili,  e  17  o/i una.  ad  u lavora,  onilai 


intanto  riniane\ano  inetti  le  altre  pò-  18    Qui  i  tnttro  dimando, 

li*nxe.  come  la  riflfuira.  Va  mi-mora-  qui  è  la  calila  di  rhe  voi  ri  dinandarte. 

lira    er. ,    onde   m-n    s'arror(teva   del  ìedi  Canto  III,  verso  76. 
Ii'nipo  che  passava,  non  si  ricnrduva  più  19  aperta,  apertura.  — faipmiaa, 

(i«'l  luogo  dov'era, di  quel  chi>  era  da  (a-  serra  co'  pruni 

re  ce   In  somma  il  vi-n»  si  è, rhe  l'anima  22  la  ratta,  è  pmpriameole  Papar* 

è  una,  le  sue  pi»lenze  o  virtù  sono  più,  tura  rbe  ai  fa  nelle  siepi,  che  dicevi  per 

e  dir  quando  e^aa  con  alruna  di  qneiila  lo  più  enfiala.  ^  <fi<me,  pmrtìm§,  aaoa 

potenze  ed  organi  relativi  attende  far-  «afie.  parlie.  interpi«la  la  «,  c«inie««- 

teoieiite  ad  alcuna  ci«a,  le  altre  p«ilania  ne,  i faae,  per  9ae»  ttm$:  eooinai,  pmr' 

a  gli    Mliri   oi^noi  diversi  rioungooo  (ì,  tafi,  ta,  ita.  1 

saoaa  operare.  25.  Vani  fu  5mfao  ««.  Vw4  dirai 


I  CANTO  QOARTa  |67 

I  Montasi  sa  Bismantova  in  cacunac 

I  Con  0860  i  pie;  ma  qai  convien  eh*  aom  voli  : 

I  Dico  eoo  1*  ali  snelle  e  con  le  piarne 

Del  gran  disio,  diretro  a  quel  condDUo, 
Che  speranza  mi  dava,  e  iacea  lume.  30 

Noi  sale\'am  per  entro  il  sasso  rotto, 
E  d*  ogni  lato  ne  stringea  io  stremo, 
I  E  piedi  e  man  voleva  il  sool  di  sotto. 

Quando  noi  fummo  in  so  T  orlo  supremo 

Dell'alta  ripa,  alla  acoperta  piaggia,  36 

Maestro  mio,  diss'  io,  che  via  feremo? 
Ed  egli  a  me:  Nessun  tuo  passo  raggia; 
Pur  SDSO  al  monte  dietro  a  me  acquista, 
Fin  che  o*  appaia  alcuna  scorta  saggia. 
Lo  sommo  er*allo  che  vincea  la  visla,  40 

<W— Ili  liflgfci  S  Jlirik  a  fatSetw  ic-  bero,  ma  loretva  eoi  fi  locliì  le  prode. 

«N^lli  avrà  vadali,  ma  ch'egli  erta  n.  B  piedi  t  wtan  ec.  E  il  calla 

Hill  fffco  di  ««elio  cba  salir  à»wm ,  tra  ti  arto,  cbe  a  salirà  d  era  d' uopo 

bitocn  erto  ed  aa|>asto  ;  e  eha  par  non  V  adoperare  le  mani ,  non  clia  i  piedi , 

^pMi  ■luii,  biaognava  avema  il  desio  cioè  andar  carpone. 

<"'lfi  w  avrà,  a  il  conforto  di  qaella  3^1.  Per  arto  tw/nremo,  di  sopra. 

^  •<  irta.— ÀMfao,  cillbs««n  Boato  davcsi   intenderà  la  riraunrerenza  dei 

*d  bacalo  d' Urbino   —  Sitli,  città  a  piano  parallelo  a  quel  della  basa,  che 

f^f^  tn  Finale  a  Savona  nd  Ganova-  sarrlibe  l'orlo  mforiore  odi  sotto  Cbia- 

Mi^Mita  in  baaso  Inogo.  ma  poi  alta  ripa  V  imbaHamcDlo  della 

31   McnloMÌ  9€. ,  cioè  montasi  sn-  montai;Da  vhe  s' eleva  nn  buim  tratto  per- 

^  Ifcsmantova  :  —  im  emrwmà ,  fino  pemlicolarraenle   sul  piano ,  quasi  nn 

■HFalla  «d  aspra  soa  cima.  È  Disman-  gran  muro,  e  in  capo  al  quale  i  Poeti 

Ims  aa'  altissims  montagna  nel  tarrìt^  son  giunti  por  nn'  ioca^atnrs  nel  masso 

àsdi  Irggio  in  l^imbardìa.  alquanto  inclinala. 

t!  C9»  €Mió  ipiè:  col  sola  ■tais  35.  alla  »eoperta  pioggia,  cioè  allo 
VBMdi                      «  scoperto  donio  del   monte.   Dunque  la 
29  aamdoUù,  alcnoi  prendon  la  pa-  via  per  cui  OMiulavano  era  cosi  ad<  len- 
irla wméalla  per  nome,  nel  significalo  Irò  nel  moiitr ,  iba  non   vedwauu  la 
i  aaM^oflisrf  o  scorta,  lo  lo  prendo  pi*gfp»  esterna 

fn  ••  parlaripio,  ed  interpreto:  Gin-  3C.  rhe  ria  faremo?  prendenmo  s 

ficnc  cha  ma  nomo  voli,  com'  io  vola-  destra  o  a  «iniftira?  o,  dove  andremo? 
ri,  dal  desio  eanéotta  dietro  a  colni  37    Senun  tuo pauo  caglia .  nuf 

cbr  mi  laoaa  sparar  la  cima,  ed  era  guida  dar   pssso   m  dietro,  sll'ingin     bsd^ 

si  miei  paesi.  l«a  purgaziitne  delle  pa^  di  non  ladirtreggiara,  rbe  nel  cammino 

j.  la  coavcraiaao,  e  diflìcila,  ma  aoa  dalla  virtù  un   i-smo  indietro  per  \i|:è 


*  impossibila  a  cbi  voglia  eoo  faraiaiia,  d*animo  e  un  fiillii enorme  a  una  rovina. 

ad  abbia  Taialo  dalla  grazia.  SS    Pur  imo  al  nunU..     arqui- 

31 .  pm  mUra  il  sana  raiio,  pel  tla,  mugu^dagoa  pur  sempre  insù  \er»o 

finiul*  scavalo  nel  sasso  —  saJavaai,  la  rima  —  aequi»targ  usasi  aorb'  oggi 


MI'  aali^  §mUre  par  mlin  in  alcun  luogo  della  T««cana  in  smsu 

Im  itrama,  doe  V  asIrsasilA,  la     di  talire 


§pamàm  4è  naair  lacavala  caoticfa.  Cib  3SI  «ag^ia.  cioè,  cbe  sappia  guidarci. 

vad  Sra  cba  ara  ansi  strallo  il  pa»-  40.  Lonimwtoee.  lui.  :  la  sommila 

IW     di  quel  monte  ara  alla  si ,  cba  U  vista 


V.  la  co?la  superba  più  assai, 

Che  da  mezio  quadranle  a  centro  lisla. 

lo  era  lasso,  quando  cominciai- 
0  dolce  padre,  volgiti  e  rimira 
Com'  io  rimango  eoi,  se  non  ristai. 

O  lìj^tìuol,  disse,  ìnsin  quivi  ti  tira, 
Additundoini  un  balzo  poco  in  eae, 
die  da  quel  lato  il  poggio  tutto  gira. 

Si  mi  spronaron  le  parole  sue. 

Ch'i'  mi  srorxaì,  carpando  appresso  Ini, 
Tanto  che  il  cinghio  sotto  i  pie  mi  fue 

A  seder  ci  ponpmmo  i^i  ambedut 
Volli  a  levante,  ond'eravam  salili, 
Che  suole  a  ri^iardar  {povare  altrui. 

Gli  oechi  prima  drizzai  a'  bassi  liti; 
Poscia  gli  alzai  al  Sole,  ed  ammirava 
Che  da  sinistra  n'  eravam  ferili. 

Ben  s'avvide  ìl  Poeta,  clw  io  stava 
Stupido  tutto  al  corro  doila  luce, 
0\e  Uà  noi  ed  Aquilone  inlrava. 

Ond'  egli  a  me;  Se  Castore  e  PollaM 

Fossero  in  compagnia  di  quello  speccliio, 


no.  E  lulln  il  T.  86  :  U  poygi-  mie  Più 
duutitmiipenim  gli  atchi  miti. 

ilnila  i  ma  ulruraiBlu  («(intla  di  die 


di  BM  tìid  niiibil*,  delU  il  lrt|pii 

3 Dalli.  Allori tbt  qunli  liili  tini 
ci  aa(ilri>nM  trgn  un  «iji^ei  i 

1*  tetta  tn  éiUil  più  TVptria, 
pia  cria,  Clw  éamnzn  iue-''-- 


KgiuiliitaqadbdnifCliE  caoMUcUa 

M.  CU  (WihM.^iMròaeA»  il  n- 

Incart,  brpiicnr,  (  colni  cki  prU 
if  é|Ula.  r  ftri  Knpn  li  «  nli*  cm 

IHl-3?.>"!imaW 


c.Iat.!*d«n 
f  nuprnaili  mvrtvigtia  in  vtJar«,«>nil> 


«•(tffln 


r1i«  l'io 
s  Ji  *B 


««.Skill" 


laai  di  ^a  dal  (rv|iìrd  ile! 

,  mie  ai  mlf  (lrtr«  ■  il..^' 

00.  Ore  Ira  uni  ftl  j 


lo  ekt  accada  ntll'  «tuilMÌa  a» 


D  apprtno  lui,  u 
r  il  CHij*io  «e,,  (noi 


paalp  appailo  ^ditrt 

lont,  —  Obi,  pgii 

04.  Ca$tar*t 


CANTO  QUARTO.  269 

Che  sa  e  giù  del  suo  lame  condace, 

Ta  vedresti  il  Zodìaco  rabecchio 

Ancora  all'  Orse  più  stretto  rotare,  65 

Se  non  ascisso  ftior  del  cammin  vecchio. 

Come  dò  sia,  se  '1  vaoi  poter  pensare, 
Dentro  raccolto  imagina  Sion 
Con  qaesto  monte  in  sa  la  terra  stare 

Si,  eh'  ambedae  hanno  un  solo  orizzòn,  70 

B  diversi  emisperi;  onde  la  strada, 
Che  mal  non  seppe  carreggiar  Fetòn, 

Vedrai  com'  a  costai  convien  che  vada 
Dall' un,  quando  a  colui  dall'altro  fianco, 
Se  r  intelletto  tuo  ben  chiaro  bada.  75 

Certo,  Maestro  mio,  diss'  io,  unqnanco 
Non  vid'  io  chiaro  si,  com'  io  discerno, 

«o1«,  perdocchè  quello  astro  pia  che  al-  cogliendo  in  un  solo  pensiero  ?«  dia 

tra  crcalara  riflette  ila  sé  la  'noe  del  mente,   pensa  che  il    montt*  Sion  (sul 

sspTDio  Fattore  ;  e  ciò  è  8fco»do  le  dot*  qsale  sta  Gerusalemme)  relativamente 

tnoe  dì  Dante  espraise  nel  suo  Conv('  a  qaesto  monte  dol  Parlatorio  è  sopra 

9Ìo.  Vedi Tivtt.ul, Gap.  44.  la  terra  sìlusto  in  maniera,  che  ambe- 

68.  Ck»§n§gik  del  ino  lume  rtm^  due  i  monti  hanno  uno  stesso  orìazonte 

émee,  A$  porta  il  suo  lune  a  vicenda  a  differenti  emisferi ,  cioè  V  uno  ha  le 

ndr  emiaferio  superiore  e  nell'  iiiferio-  sue   radici   diametralmente   opposte  a 

rt ^  OTTero  che  illomina  i  pianeti  e  sopra  quelle  dell*  altro.  —  orixzàn ,  Felòn , 

•  tutto  dite.  son  formali  secondo  il  nominalÌTo  gre- 

<t  6>.  D§9§dr€MlS  ce.  La  coatf Ila-  co,  e  sì  posson  considerai-e  corno  tron- 

riaiii  deigaroÌM  è  più  vicina  airorso  che  cementi  di   Orùsone  .  Pelone;  meor- 

fadlai  defi'arìete;  perciò  se  il  Siile  fosso  tre  Ortssonfe,  Fetonte,  son  formati 

■latoin  gemini  ioTCce  ili  essere,  come  egli  sui  rasi  obli  i|ui.  Ci»s'i  dicesi  rimofeone 

ora,  !•  vieto,  si  sarebbe  veilnlo  il  sole,  e    Timoteonte ,    Carene    e    Coron- 

«  il  pasto  Mio  todiaeo  ntbecfhin  (ri»s-  U,  ee. 

aoeg->aDto  pà  roggi  solari,  so^  rubene,  74*74.  onde  fa  strada  ee.  Onde  ve- 

cooBO  dioo  Virgilio),  rotare  piò  vicino,  drei  come  la  htrada,  che  mai,  cioè  mal  per 

più  «frcflo,  all'orse,  a  meno  che  il  detto  lui,  o  per  »iia  Kvenlura ,  Pelon  non  seppe 

oolo  ooB  nadase  fuor  del  cammin  vee-  carreggiare  o  scorrer  col  carro  (questo 

ékàOp  doè  fuor  dell'  ccliilii-a.  Se  stando  è  la  linea  dell'  eclittica) ,  eimvicue  che 

il  aolo  eolio  Zodiaco  al  ponto  et|uinu*iale  vada  dair  un  fianco  a  eottui  (a  qucato 

comporÌTO  o  Dante  cosi  vicino  all'  orse,  monte  del  Purgatorio),  quando  va  dal- 

aoasa  dobbio  se  fosse  stato  in  gemini  V  altro  fianco  a  colui  (al 


gemini  V  altro  fianco  a  colui  (al  monte  Sion). 

il  tropico  di  cancro,  avrebbe  ve-  Coi («f,  ctilui,  lui,  si  trovano  e  da  Danto 

doto  lo   Zodiaco  rotore   infucato    più  medesimo  allro\ e,  e  da  altri  acrittorì 

prcaM  ai  settentriooe,  essendosi  o  quel  del  tiei-enio,  riferiti  pur  anco  a  coao. 
tempo  ocoatato  dall' ef|uatore  per  quaai  76.  unquaneo,  unqo' ancora,  mai 

24  gr.  vano  di  osso  polo  :  quindi  al  l'ur-  sin'  ora. 

golorio  aarebbesi  mostrsto  il  «ole  nello  77-78.  A'onrid'fo  ee.  Cnstniisdre 

2odtoeo  di  tanto  piegoto  verso  il  setteo-  intendi  :  non  vidi  mai  si  chiaro  là  dove  il 

Crìooo,  qoanto  o  Gerusalemmo  ai  vede  mio  in|;rgno  parca  manco  (cioè  uoo  in 

dbbaaaato  verso  meixod'i  quondo  trovasi  teai  mai  si  bene  cosa  i  he  pris  mi  paresso 

olla  fioe  del  SHgittario.  superiore  alia  mia  capucità),  com' oro 

et(-70.I>eiilro  raeeuUo ee. lot.s rao-  diteci  no,  che  il  mez/o  icichio  ce. 


170 


DEL  PORGATOBIO 


Là  dcn-e  mio  in<!;egfio  parea  manro, 

Che  *1  mezzo  «erchio  del  moto  soiierno, 
Che  si  chiama  Equatore  in  alcun*  arte^ 
E  che  sempre  riman  tra  *l  Sole  e  il  verno , 

Per  la  ragion  che  di,  quinci  si  parte 
Verso  scttentrion,  quanto  gii  Ebrei 
Vedevan  lui  verso  la  calda  parte. 

Ma  so  a  te  pia(«,  volentier  sa|irei 

Quanto  avemo  ad  andar,  chf  il  poggio  sà^.Q 
Più  die  salir  non  po^^on  gli  occhi  miei. 

Ed  ej;li  a  me*  Que-ta  muiitai^ne  è  tale, 

Che  sempre  al  cominciar  di  sotto  è  gra^e, 
E  quiinto  uum  |)iO  va  su,  e  roen  fa  male. 

Però  quand*  ella  li  | Mirra  soave 

Tanto,  che*l  suo  andar  ti  sia  leggiero, 
Come  a  se<-onda  giù  1*  andar  per  nave; 

Allor  sarai  al  fin  d' estu  sentiero; 
Quivi  di  riposar  l' affanno  asftetla: 
Più  non  ris|»ondu,  e  questo  so  per  vero. 

E,  com*e|;li  ebbe  sua  i>arola  detta, 
Una  voce  di  presso  sonò:  Forse 
Che  di  sedere  in  prima  avrai  distretta. 


SO 


» 


90 


79  ti  iKezzo  cfrrkio,  ciuè  il  crr- 
cliio  che  i>tf  ili  mnzo  ai  liopici.  —  dei 
molo  tupemo,  del  |iia  alt»  cielo  gi- 
rtntr. 

80.  inaimn'arlt.  in  astroniHnia. 

81 .  tra  7  5tiff  e  il  rtmn  (juamlo 
il  8olr  xta  «lalla  parlr  lirl  tr<>piit>  «lei 
capriconio  è  vrrnn  in  «jat-lta  ilH  caii- 
C  o,  e  (juando  vta  ilalla  pai  ti-  drl  ti-o> 
picii  drl  canrri*  t  irrnn  in  i|uflla  dH 
rapnromo;  ptrció  I  ««pinliTr  eftt*inprr 
Ira  il  sole  e  il  >rrDo,  tiapiie  il  di  del- 
1'ef|iiiiiofie. 

K2-84  quinci  ii  parte  ec  iiilpndi; 
tanfo  si  kiMm  quinri.  •!••  f|iii*st«i  tiii<nlr 
Ti'reo  «etti-Dtrioni'.  quatttn  yli  Ehrei, 
rrdi'^an  lui  jartito.  iliM-i»stti.  ilal  turo 
ni«*ntc  Sion  trrto  la  rahln  par  le,  rute 
dal  lato  di  in «^mp, ionio  \hvr  rrdn«- 
no,  inlviidriidu  drl  ti  iìi|mi  ih  cui  a%r«ou 


finta  ilrlla  Dirtna  Comtmààim.  Chiv» 
Irasr  però.  |Mitirbbe  in  ^«alcho  Boóo 
•«Hilmere  aneli*'  la  l«i.  quamdm  — IW 
la  raginn  rke  «fi  Uaotr  si  o 
cbe  nel  Pui|;«li>riu  dove  il  aolo  lu 
aariaiiienir  iHi«trar«i  nio  aa  inf  ip- 
ptn»!*'  a  «(nello  ebe  timo  imIIo  triTC 
abitala.  i|naii«lo  ba  brn  intraa  cbo  3 
HHHitr  di  SitNi  e  il  PuripaUiiW 
OD  cfHiiunr  i  ri/#«Mile  e  ti  vtraa 

UU  E  i/«(iN  I*  mtm  più  r«  Mi-  Il 
•eOM»  iiioriilf  n'e  limilo  tarilo  agl'v- 
eipiriiti  la  «la  dflla  virtù  e  fatieoka,  ■> 
a  misura  rbr  un»  vi  ai  avaafi,  ai  fj 
piana.  I*  liiiiMT  piM  r«il  diìrraiee  aofia- 
i-i>rf  e  UH  bisti|Mio  «Irli*  amnia  L'Anlald 
B qtmftl»  piti  ra  rn,€ men  fa 

V&    QuifM  di  ripvMmr  et    I 
pm|M«ili   %aiiii«  bpiiili    air  ofiolle 
crrM-ptilr  ani  ore  -  il  aido  arraatam  aal 


là  il  loro  reipifi,  pniiiN   drlla  fatai  di-  ea ni iniuu  della  perfrtinue 0  Vii  darei» 

sperftione     La  Ir/unir   qummlo  da  me  dietro,  e  on  de'»r(;ni  d'coaar  pffrf«lla 

leQuita  e  drl  Kuli  e  drl  l.^odino;  e  fu  nella   «irta   •  il  dilrlto  rba  aellS  f»> 

gi^   additala  ciiinr   Diifjliiirr  della  co-  rarla  si  aente.  ~  Qairi.  ia  ^«al  !■» 

niufir  qtiandn  dal  ili    I'     Punta   nelle  go,  o,  alliira 

tue  Tilt '/'r  roxmnyiri/.rAe  per  l'i  nielli*  99  in  priwm  :  ÌBto«dli  •  prima  rbc 


CANTO  QUARTO. 

AI  sQon  di  lei  ciascun  di  noi  si  torse, 
E  vedemmo  a  mancina  un  gran  petrone, 
Del  qaal  né  io,  ned  ei  prima  s'accora. 

Là  ci  traemmo;  ed  ivi  eran  persone  (*) 
Che  si  alavano  alP  ombra  dietro  a!  sts?o, 
Come  I*  Qoro  per  negghienxa  a  star  si  pone. 

Ed  an  di  lor  che  mi  sembrava  laseo, 
Sede\'a  ed  abbracciava  le  ginocchia, 
Tenendo  *1  viso  giù  tra  esse  basso. 

O  dolce  Signor  mio,  diss*  io,  adocchia 
Colui  che  mostra  sé  più  negligente, 
Che  se  pigrizia  fosse  sua  sirocchia. 

Allor  sì  volse  a  noi,  e  pose  mente, 
Movendo  il  \\ìSO  pur  so  per  la  coscia, 
E  di5se:  Va  su  tu,  che  se*  valente. 

Conobbi  allor  chi  era;  e  queir  angoscia, 
Che  m*avacciava  un  poro  anror  la  lena, 
Non  m* impedì  d'andare  a  lui:  e  pomicia 

Che  a  lui  ftii  «punto  alzò  la  testa  appena. 
Direndo:  Hai  ben  veduto,  come  il  Sole 
Ddir  omero  ì-iinistro  il  carro  mena? 

Gli  atti  suoi  pigri ,  e  le  corte  parole 
Rfosson  le  labbra  mie  un  po'O  a  riro; 
Poi  l'ominriui.  Bc'larqua,  a  me  non  duolo 

Di  te  omui   ma  dimmi,  |>errliè  assi.^o 
Qiiiritta  se'Y  attendi  tu  isf'orta, 


«71 


iOO 


\Vb 


110 


il6 


fio 


:ìó 


^  ■■  $HtmvAm  Ugfpero  V  •■dare  io  tu . 

IM.  m  uìmmctna,  ■  inaou  manca, 
«ùbira 

n  Qui  sUnoo  CI 'loro  rlie  per  abi- 
(>*i«  wdulcnra  iiiilii|*i4ri«n  la  lar*  eoa* 
*<ntaa«  al  fip  dflU  %ila 

ioS    mtggkiemx»,  |ii|;riila. 

114  CArcr  1^19 risia /Tuicr  «e.  Cer- 
\  dM  la  puMtuia,  i  niiivimriili  e  il 
■h4a  M  parlate  «li  aunlo  «pinlu  tiinu 
■ili.  cW  ••  pi];rìxia  ■•«ii'  pristina,  non 
Ansile  ne  fari*bb«  alliiuMOli.  —  ti* 
furkia.  »<  rrfla 

143  M"^€mdo  il  rùo  te.:  mo- 
'nda  I'kvIìi--,  Cloe  «corrmilu  snla- 
't^la  c«llv  »giiarilu  tu  per  le  coare, 
-•<lf  Biio  prenderai  la  fatica  Ji  le«ar 
j5  lal^-ala 

144  eA«  fc'ra/mfr,  t-hc  %n  biavo, 
«ì^c  hai  buoaa  Irua;  w««ìto,  rbc  punì. 


IIS.1I6  •  qwM' •ngnKim,  Càe 
m' atarciara  ee  K  la  falica  liurat a  ìm*I 
iiiiiiiUrr,  i-lir  mi  farv%a  tatlora  celfn- 
eil  aff-iiiiii'^o  il  mpiro. 

11 'J- 12(1  Hai  ben  redulu,  «e  Gò  e 
dello  prr  iuimIu  irriMirio  :  e<l  e  da  na- 
trr«a:e  che  la  drritii>nr  ai  Btrliirqaa  è 
aecHodo  i|iirl  cbr  Minlr  par  la  più  ar- 
Vfnirr;  rWcbì  ba  perfctlammlr  rbiara 
la  cii(*nMir  d'una  rtiM  diaprez/a  e  irtide 
anelli  chi*  rrrtano  oclia  niarav  ijlia 
Qui-kl'at%crlriiira  e  di  l>«nle  niedrtimo 
Del  secondo  didla  Httnarckia  in  piio- 
cipio 

12.% -124  ttelatqua  fu  un  ecrel- 
Icnte  f^bbiiratiire  dì  i-ctre  e  di  mUfÌ 
ikiruiuenli  iiinsirali,  ma  o  nio  pi(;r:H«i. 
DIO  —  «  me  non  dìtole  Di  U  ornai, 
piiirhi*  li  «   |;.;ii  in  luiii>o  di  <>«ltu/iiiiii* 

12'*  Qmìilta,  e  awi'ibin  di  luo- 
gti,  e  «jle  qui 


172  DEL  POBGATOBIO 

O  por  lo  modo  osato  f  bai  riprìso? 

Ed  ei:  Frate,  1*  andare  in  sa  che  porta? 
Che  non  mi  lascerebbe  ire  a'  martiri 
L' angd  di  Dio  che  siede  Ìb  so  la  porta. 

Prima  convien  che  tanto  il  de!  m*  aggiri 
IN  ftior  da  easa,  quanto  fece  in  vita, 
Perch*»  indugiai  al  fin  li  buon  sospiri; 

Se  oradone  in  prima  non  n*aita, 

Che  svga  sa  di  cor  clie  in  grazia  viva: 
L' altra  die  vai,  che  in  ciel  non  è  ndita? 

£  già  1  Poeta  innanxi  mi  saliva, 

E  dicea:  Vienne  ornai,  vedi  eh*  è  tocco 
Merìdian  dal  Sole,  ed  alla  riva 

Copre  la  notte  già  col  pie  Marrocco. 


IV) 


ì'ii 


126.  lo  «0i«  umU,  aoi  l'uata 

lai  pì(rrisia. 

427.  cheportm?  cke  ■ip^rtaT  cba 
giova? 

4  50-t  31 .  e*«  tanto  <l  dcf  vi'iyyi- 
ri.  Il  tempo  è  aiiwala  dal  valgar  dei 
deli  :  ecco  dwi(|«e  il  sewe  IcUcnla  dì 
qaekto  puao:  conviene  chn  il  ciclo 
m'mggiri,  mi  giri  intono,  fnor  della 
porta    del   PBr|alorìo,    gwnwto  fèet, 

S tanto  mi  giri  intorno  in  \ila  ;  onia, 
e  farcia  tanti  giri  intomo  •  mo,  in 
questo  luogo,  qnanti  no  foce  dnranto  In 
mia  vita  mortale. 

434.  Ch»  tmrgm  iu,  che  ardevi  • 
Dio  da  un'anima  io  alalo  di  graiia; 
chi  i  peocatori  non  potaoi  ■orìtaro  ni 
per  ti  ni  per  altri. 


457-158.  9§di  €h'i  tocco  M^ri- 
dtan:  cioè,  vedi  che  ^ni  è  mc/^i»- 
giomo. 

4B8-I59.  od  Mm  riva  Coprt  la 
noiU  ot.  So  il  Min  tocca  il  meridiano 
della  montagna  del  Purgatorio,  potia 
noi  mono  dell'  emìsrcro  anstralc,  deve 
oaMr  mena  nolto  a  Gerusalemme,  pnnlo 
aniipodo,  il  principio  della  notte  a  Ma- 
rocco, dio  «  annoilo  ani  cooSne  c^yh 
dentalo  drl  noalro  emisfero,  che  rione 
ad  cfBor  l'orientde  per  il  Purgatorio ,  e 
P  aurora  diil  lato  opposto,  dui  al  G^n- 
ft.  —  té  ottm  rjr«,  ini.  al  cctufiDe. 
—  Copro eoi  pU le,  significa:  cnnincìa 
•  moTero  il  p.  imo  paaso  venendo  ad 
oacnraro  l'emisfero  io  cni  éiaio,  aMotrc 
U  solo  a'avuBa  ad  iUnaùnmv  l'oppoate. 


CANVB    91JI1ITO. 


PnMéméB  f  RiMfftr  A  Mmw  rimemarm»m  ài  umm  mHHtmd'at  éi  zittii t  I  fMtf.  «9*r» 
•M  «/i  «w»  namrm  mw  «m  ptr  i&nmn  mtl  pnmt  m&mém,  fii  ai  mlf^amm  iatmmm  ^atmt 
•   rwtniarti  mt  tén  mmginmii.  Irmaemrmt^m  tési  fmn  kt  àon  eurma  amtmm,  im  malti  és 
wMamim,  ai  ptmtuwmm  a  paréamMfmm  mt  a»f»  mmici.  Jmcùf  éat  Ctuaaim,  Bmmtamu  é* 
ma$aftttn  alm  Piaém  Summ  MvrMw  pmnietUrwaaiaa  «f  Fmu  ti  mtaàa  datt*  Im 


Io  era  già  da  queir  ombre  partito, 
E  seguitava  Torme  del  mio  Duca, 
Quando  diretro  a  me,  drizzando  il  dito» 

Una  gridò:  Ve*,  che  non  par  che  loca 

4.  Fi^,  dU  non  par  oe.»  vedi  cbo  aotlo,  eioi  nella  più  l>assa  parto.  Danio 
Bob  pare  che  il  raffgio  dal  sole  risplcn-  ere  in  basso  loco  rispetto  •  Virgilio  che 
Ja  d  sinistro  lato  odia  poraona  ckt  i  di      gli  andava  inuand  salendo  n  ombIo. 


CAKTO  QUINTO. 

Lo  raggio  da  sinistra  a  quel  di  solto, 
E  come  vivo  par  che  si  conduca. 

Gli  occhi  rivolsi  al  suon  di  questo  motto, 
E  vidile  guardar  per  maraviglia 
Por  me,  pur  me,  e  il  lume  eh*  era  rotto. 

Terchè  1* animo  tuo  tanto  s'impiglia, 
Disse  *i  Maestro,  che  l'andare  allenti? 
Che  ti  fa  ciò  che  quivi  si  pispiglia? 

Vien  dietro  a  me,  e  lascia  dir  le  genti; 
Sta,  come  torre,  fermo,  che  non  crolla 
Giammai  la  cima  per  soffiar  di  venti. 

Che  sempre  Fuomo,  in  cui  pensier  rampolla 
Sovra  pensier,  da  sé  dilunga  il  segno, 
Perchè  la  foga  V  un  dell*  altro  insella. 

Che  potev'  io  ridir,  se  non:  I*  vegno? 
Dissiio,  alquanto  del  color  consperso 
Che  fa  r  uom  di  perdon  talvolta  degno. 

E  intanto  per  la  costa  da  traverso 

Yenivan  genti  innanzi  a  noi  un  poco, 
Cantando  Miserere  a  verso  a  verso. 

Quando  s*  accorser  eh*  io  non  dava  loco. 
Per  lo  mio  corpo,  al  trapassar  de*  raggi, 
Mutar  lo  canto  in  un  0  lungo  e  reco, 

E^due  di  loro  in  forma  di  messaggi 
Corsero  incontr'a  noi,  e  dimandarne: 
Di  vostra  condizion  iatene  saggi. 


1^73 


iO 


15 


20 


30 


S.  ém  rimiitra,  pendio  aDdaTano 
cai  lalt  a  ^Uitra.  Sa  fermaliti  e  ▼cito  il 

mi  tmtii  lUi,  Tedavaoo  il  tole  la- 
atla  loro  «niatra,  alzatisi  a  rì- 
mtnétmà»  il  canuBÌiio  sa  per  il  moata 
a  chiaro  cka  dovoaoo  aTarlo  a  daatra, 
a  F  aailira  a'  «aislra. 

€.  Beommvimo  ee.  lol^odi :  a  para 
cka  «ava  a  qoel  modo  cbe  eogliooo  ao- 
Uh%  cka  kaaoa  corpo  matariale ,  dia  aaoo 
mi. 

9.  Fvr  Mf ,  jNir  m»,  cioè  solo,  folo 
■a.  —  cfc'  ara  rollo,  cha  ara  rotto 
daH*  oailira  dal  corpo  mia. 

4f.  t^impi/flim^  a'iaipacaia. 

42.  f<  pifplglte,  ai  mormora;  è 
laraiao  imitativo,  cba  rappraaaala  •■ 
partara  filo  a  aatlo  vaca. 

4i.  rmiyoffi^  cioè  sorga,  fartto- 
|1«a. 

17.  4m  tè  iOmngm  U  taglio,  vaia  a 


dira,  s'allootana  dal  fina,  dal  propotito 
a  cai  nùraTt. 

48.  P9rehè  la  foga  ae.  Perchè  l' uà 
peotiero  foprevvenieota  intoilat  am* 
mollitoe,  rcDrime,  la  foga,  T  impeto, 
del  primo.  La  mente  divisa  in  più  pan- 
•ieri  è  meo  forte  ad  agoaoo, 

20.  del  color  $e.,  cioè  tinto  dd 
rossore  che  Tiene  da  vergogna. 

21 .  di  perdon  talvolta  ae.  :  dico 
lolcollc,  e  perchè  vergogna  non  sem- 
pre  nasce  de  nohii  cagiona,  e  perchè  non 
in  tutti  può  fare  hoooa  scosa  al  fallo, 
ma  sola  nei  giorani  e  negl'  inesperti. 

23.  Ecco  ({nei  negligenti  che  sorpre- 
si  da  morta  violenta  si  rivolsero  a  Uio. 

27.  In  im  O  lungo:  iatericiiooo 
di  meraTÌglia.  —  roeo,  p*rel^,  io  «m 
forte  pertnrhaiiooa  d'animo  si  altera 
p«r  snco  la  voce. 

30.  $aggi,  consapevoli. 


E'I  mio  Hae-^lro:  Voi  potete  andiirne, 

E  rilrarro  a  color  che  vi  mandoro, 

Che  il  cori  0  di  cosmi  è  vera  carne. 
Se  per  veder  la  riia  ombra  riplaro, 

Com'io  avviso,  assai  è  lor  risposto: 

Faccianli  onore,  ed  esser  puù  lor  caro. 
Vapori  accesi  non  lid'io  ai  loslo 

Di  prima  nolle  mai  fender  sereno, 

Né,  Sol  calando,  nuvole  d'  agosto. 
Che  color  non  lornaascr  suso  in  meno, 

E  ginnti  là,  con  gli  altri  a  noi  dier  vo'tn. 

Come  schiera  che  corre  sema  Treno. 
Questa  gente  che  preme  a  noi,  è  molta, 

E  vengontl  a  pregar,  disse  '1  Po^'la; 

Però  pur  va,  e  in  andando  ascolta- 
0  anima,  che  vai  per  esser  lieta 

Con  quelle  membra,  con  te  quai  nasce-li, 

Venian  gridando,  un  poco  il  passo  qnetd. 
Guarda,  se  alcun  di  noi  unque  vedesti, 

Sì  che  di  luì  di  là  novelle  porti; 

Deh  perchè  vai?  deh  perche  non  l'arresti 
Noi  fummo  t;ià  tulti  per  forza  morti, 

E  peccaiori  iniìno  all' ultim"  ora; 

Quivi  lume  del  ciel  ne  fece  accorti 
Si  che,  pentendo  e  perdonando,  fuora 

Di  vita  uscimmo  a  Dìo  pacificali, 

il.  e  rilrirre,  t  rpKrltn.,  rìfc- 
nt(,  •,   «HI»  par  diciiioo,  rappri- 

54,  fn-vitftrw.,  a  tagìnn  d 

HrCmnarDiis.  Cos'i  il  Coi).  Paegul 
(Iw  ibc  I*  com   Tataro. 

3Ì  Cam- io  ùVtitB.ci^itt' io  t 


« 


mrno  «pnia  di  Irmpo.   «nc'*KÌ,pH 


40    iuta.    Inlfi 


nal  n...odo  d^  rirt,  ,  htk  •>  rb.  ■  pn. 

JimoBo  nuo  ti   «.ffeninre.  •  (««Ila 

Ioni  w  hcriano  prrQfaien  ■  Dia. 

ST-S9.   Yapcri  Kfni  *e.  Int.:  ia 

18.  «p«o  «;««■.  *wl*.fcr 

mali  DI)  piw. 

M    Psirt,  inqurlptintodinHii 
—  lymt  dtl  tilt  ni  frrt  wnrff,   1 

r\at'nfm  che  iiL  Talta  khw  ckianiiti 

•Idia  ndnG  randere  PaiMm.  dal  ris- 

ii-, Bt  al  cairn  dai  isla  io  ganUn  «ui 

fintit  divin*  CI  te  rawf  dare. 

K-ST.  a  Dh  patìReali  m.  :  nior 

A*  quelli  fititi  n«  (vaa.aer  la  io 

«li  in  gruia  .li  Die,  il  qidt  sn  M  a» 

CAUTO  QUHfTO. 

Che  del  disio  di  sé  veder  n'  tecora. 

Edio:  Fercbé  ne' vostri  visi  guati, 
Non  riconosco  alcun;  ma  s' a  voi  piace 
Cosa  ch'io  possa,  spiriti  ben  nati, 

Voi  dile,  ed  io  farò  per  quella  pace, 
Che,  dietro  a*  piedi  di  si  fatta  guida, 
Di  mondo  in  mondo  cercar  mi  si  foce. 

Ed  UBO  incominciò:  Ciascun  si  fida 
Del  beneOcìo  tuo  sema  giurarlo, 
Pur  che  '1  Toler  nonpossa  non  ridda. 

Ond*»,  che  solo,  innanzi  agli  altri,  parto, 
TI  prego,  se  mai  vedi  quei  paese 
Che  siede  tra  Romagna  e  quel  di  Carlo, 

Che  tu  mi  sie  de*  tuoi  prieghi  cortese 
fai  Pano  si,  che  ben  per  me  s*  adori. 
Perch'io  poesa  purgar  le  gravi  offese. 

Quindi  Ivi' io,  ma  li  profóndi  fori, 

Ond'  usci  '1  sangue,  in  sul  qual  io  sedea, 
Fatti  mi  (tire  in  grembo  agli  AnIeBori, 


175 


60 


66 


70 


7S 


d  crada,  col  gran  desiderio  cba 
•kkìamo  dì  Ted«rio. 

58.  Perchè,  per  quoto.  — gmaH, 
gmordì  otteoUmeote. 

Sl-«3.«r  io  fiarò.  od  io  loro  tatto, 
W9  U  gi«ro  por  qaollo  poco  cIm  mi  m  fa 
ro  £  flMMO  in  Boodo.  Qooota 
cho  DooCo  cena,  r abbiamo  dotto 
voMo,  •rimiefom— >o  è  la  paco 
Mi'aoimo  elio  oca  pai  alerai  orafa 
paryarla  dal  Dooeoto  o  dai  «ìq  : 
è  lo  poco  pobblico  por  il  «ivilo 
0  cbo  dove  OMoro  ol> 
Àé  «itorao  dofli 
aUa  firtÌBoa  INo. 

S4.  Eé  ««•  oe.  Qooati  è 
ad  fami!  citlodioo  di  Faoo,  cbo  Uo 
▲ooVUl  d'Edo  Sfilo  d'Obino  II  fo 
mMo  «oaidooa  w  Oriaco,  vula  dal  Po- 
dÉoaao,  mostro  andava  poleslè  a  Mila- 
M.  n  OM  odio  coslro  iaoiipo  dd 


lano.    Atto   Vili   auirì  tal  prindpio 
dd^SOS. 

66.  Pmr  eh$  1  voler  uonpoita  ee. 
loteodi:  porche  impotenia  ooo  renda 
▼aM  la  taa  praferto  di  far  eooo  obo  d 
piacda.  —  La  aonfotia  o  HBp«lam« 
cbo  aadodcaio  o  oooollomo  il  baco  To- 
kio doirAlicbìerì,po«oa  naaeoro  da  Dio 
aoo  penDetteote  ;  o  di  qoorto  farao  to- 
rnea qaell' anima. 

67.  On^lo^ot.  nCod.  Aotold.:  Ed 
io,  eke  aolo. 

68-69  .^iirlpMio  ac.Qod  paaaa 


tra  Romafoa  a  il  Rcfoo  di  Napoli 
fovrrMto  da  Corlo  11,  ciaè  il  kMfo  dova 
è  Fano.  È  yarto  paaaa  la  Marco  d'An- 


di  toi  d' 


ddFoppoaifiooo  oba  ontrti 
■le  di  Bolofao  looomtoi^ 


disvilo 


mttkf^  dm  olr— i  molli  «iidoncoi  cbo, 
•oa  e— taato  «  tatti,  Imrio  andar  ea»- 


7i.  ben  per  ma  f'«iarl,doè  oaa 
fervora  ai  ori,  d  prcfbi  pormo.— »  éo», 
in  alato  di  frarin. 

73.  Qmmii,  daè  d'ivi,  di  fsd 
paeao. 

74.  te  «Mi  omI  to  aodon.  lotoBdl  : 
noi  anale  w,  obo  ora  aono  apirito  nd 

avewaado.AUndadropHm 


Ira  yielto.  Por  vondi 
laco  da' and  dea  ri  ami 


Mnflan  ¥i 


lo 
te  tm  Vo. 
da 
andavo  potcatt  a  Hi- 


fno  ;  od  ora  to  did- 


di  oolorn  cbo 
laana  acda  nel 
Irwod'Empadorto. 

75.  tu  srantào ^t§9Ì  Atdnori*  nd 
territorio  de' Padovani.  Àmienmri  por 


DEL  FOBGATOBTO 

Là  dov'io  più  sicuro  esser  credea: 

Quel  da  Esti  il  fb  Tar,  che  m' avea  in  ira 
Assai  più  là  che  drillo  non  volea. 

Ma  9'  io  Tossi  fuggilo  inver  la  Mira, 
Quanti'  i'  ftii  sovraggiunlo  ad  Oriaco, 
Ancor  sarei  di  là  dove  si  spira. 

Corsi  al  palode,  e  le  cannucce  e  il  braco 
H"  impigliar  si,  cb'  io  caddi,  e  li  vid'  io 
Delle  mìe  vene  farsi  in  lerra  iaco. 

Poi  disse  un  allro:  Deh,  se  quel  disio 
Si  compia  che  li  traggc  all'  allo  monle, 
Con  buona  pieble  aiuta  il  mio. 

lo  fui  di  Moniefeltro,  i'son  Buonconte: 
Giovanna,  0  altri  non  ha  di  me  cura; 
Perch'  io  vo  tra  coslor  con  bassa  irontc. 

Ed  io  a  luì:  Qaal  forza,  o  qual  ventura 
Ti  traviò  si  fiior  di  Campaldino, 
Che  non  sì  seppe  mai  tua  sepoltura? 

Oh,  rispos'  egli,  appiè  del  Casenlino 

Traversa  un'  acqua  e'  ha  nome  l'Archìano, 
Che  sopra  1'  Ermo  nnsce  in  Apcnnino. 

Là  "ve  1  vocabol  suo  diventa  vano 


SS.  BuBmcont6lu6i\\ttQ\-i<^U-'lr 

il  n»1>  hndii  PidD>i. 

Guido  di  Uunlflcilra.  Su  moglie  Mt 

Ti.  «  [1  far.  f™  Tir*  V  «nldJio. 

nome  G.oonp*.  %!!  combine  ìn  Cui. 

T8.  iuai  più  li  tt-,  d«  olir,  i 

pildino  coalro  i  GaelG  ■  ii  la  mocU, 

Krmini  deli,  pn.titii,  0  ■■  di  lì  di 

Oli  11  ino  udiiere  iud  Iu  «■  lr«nlo, 
f  il  TiHonIn  rb<  gli  mrlte  m  bota  il 

quel  che  «vfui  inrrìtalB. 

79.  ^ta  folli  Malto  (MW  la 

JfiTV.   L.  Min  i  un  Iihir»  uIIo  rìte 

Bliin».  b.^1  r»lii  qsHlo  tilU  d'tnM 

d'ui>  r.Bil(  thi^  «ce  dill.  Br.  DM.  rug- 

gMido  jxr  li,  non  iirrtl.*  inconliilD 

Amini,  «  i  Girli  di  FirMBe,  ■tmuim 

qnrl  pinliDO  clic  lo  liDDislìò  t  lo  tra 

■  rI>  Il   di   nurtitv  del   12)1»  •  Cote- 

pr<ul*  dei  .irirj  d.I  narvhw. 

noiiHo  P.1  pi.n»  di  Cimpildioo  in  Ci- 

KntiDO.  Gli  Aclixi  «CD  «miiiditi  di 

Qoiudo  mi  ridi  iddwo  incelici. 

ti.  datttlipin'.ànèJp^rtì'rìn. 

citlk,.d.d^.o<.cont..  lGu.lG,.',«H 

B3.  Certi  elpaM»  IntFo.lh  »■ 

>rtf«  iì  hggir  or»  Il  W.n,  uni  «. 

reil»  1*  liltorìa ,  iTcìDo  ■  capo  Amerigo 
di  ««boni;  aderì  »d  tai^lri'iotdtU 

St.DtfUmUÌÀt:  iol.d.lna- 

.  e.»llo  if  -Ciro  Alighieri-  L.  Rapab- 

ffatch-iiciidtlleniietfne. 

SS.  IM,  H  qud  dina.    Il  n  doq 

«DI  rhia»  in  Oliar  dì  Saa  Baniabi  ■  li- 

89.  esUrf.  Idi.:  d.^B>«  itnttì 
ptrenli  0  •  alici. 

d<»<>ddl.p.K'..»...cidHI..t«.SI. 

87.  fan  6Mnd  pMaIr,  eoi  con 

96.  erma,  l'eremo  di  Canaldoli. 

ftvt  di  pieU  (ii.ii.n.. 

97.  U'cerc..  Ikdoieperdeilna- 

CAUTO  <JUUfTO> 

Arriva*  lo  lòrato  nella  gola. 

Fuggendo  a  jpMo^  e  sanguinando  il  piano. 

Qoivi  perdei  la  vista,  e  la  parola 
Nel  nome  di  Maria  fini,  e  quivi 
Caddi,  e  rimase  la  mia  carne  sola. 

r  dirò  1  vero,  e  tu  *1  ridi  tra  i  vivi: 

L'Aogel  di  Dio  mi  prese,  e  quel  d'Inferno 
Gridava:  0  tn  dal  ciel,  perchè  mi  privi? 

Tn  te  ne  porti  di  costoi  r  eterno 
Per  ima  lagrimeita  che  '1  mi  toglie; 
Ma  io  hrò  dell*  altro  altro  governo. 

Ben  sai  come  neir  aer  si  raccoglie 

Qoeir  amido  vapor  che  in  acqna  riede, 
Tosto  che  sale  dove  '1  freddo  il  coglie. 

Ginnse  quel  mal  voler,  che  par  mal  chiede. 
Con  r  intelletto,  e  mosse  il  fame  e  il  vento 
Per  la  virtù,  che  soa  natnra  diede. 

Indi  la  valle,  come  il  di*  fu  spento. 
Da  Pratomagno  al  gran  giogo  coperse 
Di  nebbia,  e  il  ciel  di  sopra  fece  intento 

Si,  che  *1  pregno  aere  in  acqua  si  converse: 
La  pioggia  cadde,  ed  a*  fossati  venne 


lonini.  Cliiaiiiè  qnel  diavolo  il 
tanto  intelletto  a  smUafara  In 
ToloDtè  aviila  solo  à\  Janni, 
interprati  nal  wtai  voUr  cito  fmt 
tMd§  coir  {«toJlalto  (die 


m 


100 


iO& 


no 


116 


aoAAniMno, 
oaa  «nona  MT Amo. 

lee.  f  In  ^nrato  ot.,  a  il  mio  paiw 
iavnfrt  aal  SS.  Nona  ai  Maria. 

4M.  aofn, abbandonato  dairanina. 

4M.0  f«f I  trtmfnno,  cioè  TAnfolo 
MFUfirno,  il  Danooio. 

405.  O  l«dM  dai,  at.  Intonai  :o 
in  do'aalaali,  o  venato  aal  dalo,  par^ 
cM  ai  orni  daO' anima  ai  eoatoi? 

4ii.  fatomo,  aiaè  la  parto  atorna, 

4et!  dfir«*ro,  aaU' altra  parto, 
ed  nano.  —  fonamo,  trattamanlo. 

4eé.  In  ^n*to  tomario  è  acacritto 
a  andò  onda  ai  larma  la  pioggia. 

4ie.  tk§  im  nofun  rSd§ ,  Am 


mala 


la  parole),  credono  iodiaato 
^  il  qaala  volendo  per  ano  i 
il  mala,  aempro  lo  atoaia  nal  ano 
inlellalto;  o  giwmȤ  apiagano 


latara 
▼aito 


■iinii 


144.  io9§'lfr9Uoat9§lÌ9,é9k 
■•Da  fradda  ragiona  dall' aam. 

442.  Cimut  fmtt  mnl  nofar,  aa. 
Intendi:  U  già  detto  Aneal  d'Infamo 
finatf .  aacaaaiè,  alTinteliaito  ^nal  ano 
mal  volerà  gm  mamfcato,  €h$  jNir  mnl 
tMtÌ9,  dio  calo  carta  di  nnacara  agli 


1 4  3-11 4  .a  motM  il /Vmm  ae.Cealr.: 
a  pir  tm  9itià  dto  mm  «alwin  iUié, 
moaaa  ae.;  aioè  :  a  par  la  potenm  dM 
l'angdica  aoa  natnra  gli  aiaao,  maaan 
U  omiaa  ▼aporaàom  a  U  Tanto  par  an- 
aaitefo  no  temporale. 

415.  Indi  In  ««dte.Caatr.t  HH, 
€oméU  di/kipenta,  cnparMilMè- 
Hn  tm  Mite  ém  FroUmagm  mm  al 
pinmi  fiogOm 

44i.   " 
fiaa  U  Vaiaamo  aal 
pm»  giog:  emè  fino  alTAi 

417.  Intenlo,  aenao  ai 
il  cmlnm  eotUrmsU  a'Omtio, 
Voktmtm  notte  ai  Virgilio. 


dbdU 


Di  lei  ciò  elle  la  Iciru  non  Miffcr^: 
E  come  a'  ri^i  grandi  si  convenne. 

Ver  lo  nume  rcal  Unto  veloce 

Si  ruinò,  die  unita  la  ritenne. 
Lo  corpo  mio  gplaEo  in  m  la  foce 

Trovò  l'Ardiian  rabeslo;  e  quo)  so?pin°« 

Nell'Amo,  e  sciolse  al  mio  pollo  la  croci', 
Ch'io  Tei  di  me  quando  il  dolor  mi  vinse: 

Vollommi  per  le  ripe  «  per  lo  fondo; 

Poi  di  sua  preda  mi  coperse  e  cinse. 
Deh,  qaando  lu  «arai  tornalo  al  mondo, 

E  rijio^U)  della  lunga  via, 

Seguitò  il  terzo  spirito  al  secondo. 
Ricordili  di  me,  che  son  la  Pia: 

Siena  mi  te,  dl^^rcccmi  Blaremma: 

Salai  colui  che  innanellata  pria, 
DJ-ip0j:ato  m'aves  con  la  sua  gemma. 


121     S  cerni  ■'riti  grandi  « 


■UH  chr  < 


E  quana»  q lieti' «c<|Ui  li   fu  eoneina- 

15S-ISe.Sa(nefiMcfeMii.i«l- 

lult  pria  K.  :  Caalr.  e  Ini.  :  colui  lo  la 

1  nini  con  Hnl'imptto  «no  LI  mi  lis- 

«>  d'Ang,  eh>  et. 

ehi  pnma  avaa  atnlti  r  andlB  d' aa  ak 

1r.>,  cioè,  ma  gU  laJ.ri.-La  Pia  b^U 

par  la  piogpa. 

tie.itiolu<iImi«FMatù.:tàiìu 

>hoi  :  a  rinaala  ladaia  di  lai  era  al.U 

h  «lie  braccia,  dalle  quali,  mocuda,  b 

■pMala  da  nn  Nailn  a  PagueUo  Pao- 

arca  Calla  crm  upra  il  pcUo. 

BHctiiocbi  tisnnr  i,ì  Caakd  ddU  Fie- 

127. U  datar.  Int.  deiDÌapHeall, 

li  i.    l'er  quale  aatuie,  ih'is  riraia 

parcaiaUHrieane.U». 

gnor   HepcU],  lu^tui  tara  la  1m컫 

139.  di  IM  predo,   ,ioi  di  (erre 

■  d'allrspredalou  cinipi  ucliuopa*. 

dei  C«l.   PiigQiali  dinmam  rt' nt^ 

»a«io- 

iS*.St«mmih  M.  IclniJi;  Siam 

pure  dal  C.»la,e  chcDcll'inaiemadrlla 

BÙ  di^.  l  natili,  a  in  H.i-«nii»  (ui  di- 

ri.ae.prB..a.i««■..-.  Saio-cala. 

lla  e»  u  EÌon»  d' eital.  alla  Goeilra, 

diloitiuagemmaloanall..   t  ^ell. 

In  da  Dii  famiBlioRlieniiiU  per  le  gamba 

[rcddo  e  atralO  vano.  —  C«t  aaeala 

a  getUla  capai»lla  anlla  alrada  par  or- 

ni.^0  di  dira  aal>>  «iM  t..  il  Paela  d 

dipc  del  marita  e!»  l'alibe  ii  toapalla 

dà  aa  ceona  dri  nipa  wgralaeoB  rht 

fadailem.— Il  giixwe  par  eui  U  fia 

lo  irellcLDlo  lUicilD  roaJuw  il  niirul- 

li- 11 


■  taBabivai;    ìaìqaitk  de'  f» 


rì9 


ejkmrm  srarrai. 


rirgWm.  fft§»  amgmmnàm 


,0im  fmM'orm  utramm 


QoMMb'si  pwto  il  giuoco  della  sara^ 
.    Colui  elle  pente  si  riman  doioDia 

Eipeteodo  ie  volte,  e  tristo  impara: 
Con  r  altro  se  le  va  totta  la  gente: 

Qaal  va  dinanzi,  e  qiial  dlretro  il  prende, 

E  qnal  da  Iato  gli  si  reca  a  mente. 
£i  ttoa  8* arresta,  e  questo  e  quello  intende; 

A  evi  porge  la  man»  più  non  fa  pressa; 

E  cosi  dalla  calca  si  difende. 
Tal  era  io  in  quella  turba  spessa, 

Volgendo  a  loro  e  qua  e  là  la  fiaccia, 

E  promettendo  mi  seiogliea  da  casa. 
Quivi  era  V  Aretin,  che  dalle  braccia 

Fiere  di  Ghin  di  Tacco  ebbe  la  morte; 

E  r  altro  che  annegò  correndo  in  caccia. 
Quivi  pregava  con  te  mani  sporte 


fO 


io 


9  ^am^jjL  ■ni  «gli  altri. 

S-a.  Si'  rimwm  doUnU,  rnntM  m1 
laof»  M  |ì«0M  ripetendo  U  tolU,  le 
ififianwiti  dei  dadi,  cioè  ri* 
■  •|etUii^afarn«oTÌ  tiri. — 


4.  Qmtméio  tifmrU  te.  ?  ^anda  i     no,  par  vaodicara  il  (iralal  isa,  faoM  a 
(giooao  «Im  n  fa  can     Roqia,  ora  H.  Bciùncaaa  ara  adilara  Ji 

Bota,  e  a  lui  cha  ladara  io  trilNioala  Cai* 

to«  iacoDtro,  l'ocdaa ,  e,  trooca^ajU  la 

latta,  aoo  aiaa  ti  parli  dalla  datla  aittè. 

Quasto  Ghino  dopo  aiaara  stato  liiflfa- 

aiaste  il  larrorc  dalle  Uaranma  Sanasi, 

a  dalla  ttcaaa  Corta  di  Roma  a  on  ri- 

;  a  impara,  ciò  cka  aa-     balli  Radieofani,  ckc  fece  as  aido  di 

■Mflia  aapar  priou ,  a  yoI-     ladi-ooi.fi  riconciliò  con  BonifanoVIll, 

i  mmfSm.  ehe  gli  donò  una  gran  priorìa,  a  di  qndla 

4.  &»  r«lfre,  col  Tincitara .  la  I«ca  cavalìera. 

4  5.  £  r«/fro  th»  omm§ò  cormu/a 
focaeeia.  L'Anonima  nata  a  qnoita  Ina- 
ia :  •  Qoeati  fu  aa  giovane  ek'ebba  namr 
Gfvdo  de'Tarlati  d'Arana,  U  ^aala  alta 
«Btfli  •  avi  il  riscìlara  porge  la  mano,     teaafitla  di  Bibiaaa  f«  molla  paraagailalo 
££fii  ^aaldm  eoaa  dalla  Ma  viaaila,     a  agiato  da  quelli  di  Boodiaa.  AilaiM 

li^fa«do,  a  qnaUi  panapwtaadaio,  lag- 
già  nai  fiame  Amo,a  qmri  anB«|è.»  Sa- 
«....i^,  9 1*^9  amando  viraria  del  j>o-     caado  qaaaUatarìa  leparala  «arvviitfoài 
4ailà m8iaBa, ima  morirà Taeaa,  6t-     acacia  defoaa  apiagani  fomwrfa  —»> 
laUodi  filma  di  Taeea  d' Arinalmifa ,     «tato, o «alla aaccia aba  ai  darà , 


f  M  H  raas  •  wmkU,  la  prega  a 
dilm. 
7  Bi,  noè  il  rindtora. 
%•  Àt¥Ì  pmr§9  la  m«ii  m.  Intendi  : 
•  am  U  riscilora  porge  la  mano, 
~  qnakba  eoaa  dalla  laa  viaaila, 
pii. 
18.  rjreHa.  QMrti  è  M. 


W  IWiaa  da  Tarrita  aa»  nipote, 
rabata  alla  strada.  Gbi* 


aleni,  a  il  Costa  Ira  fBaati,  api^ 
I  ffiTiiMla  «al  imt  tm  CMiàa; 


DEL    FDKGATOltlO 

Federigo  Nmelìo,  e  quel  da  Pisa 

Che  Te  parer  lo  buon  Marzocco  forte. 
Vi<li  Coni'  Orso,  e  1'  anima  divisa 

Dal  corpo  suo  per  asilo  e  per  ìnveggia,  jC= 

Come  dicca,  non  per  colpa  commisa; 
Pier  dalla  Broccia  dico:  e  qui  provveggia, 

Menlr'è  di  qua,  la  donna  dì  Brabanle, 

Si  che  però  non  sia  dì  peggior  greggia- 
Come  libero  Tiii  da  tutte  quante  ti 

Quelle  ombre  the  pregar  pur  ch'altri  preghi, 

Si  che  s' avacci  il  lor  divenir  sante. 
Io  cominciai:  E"  par  che  tu  mi  nieghì, 

Beta.  Miri!  di  Briliiale,  tHonJt  mo- 
glì(  di  Filippa,  prcM  in  odia  ipinls  mi 
Diilro  probibilmentB  per  l' amare  eh'  ti 
partiva  al  Egli  eha  U  n  ireti  atnli  pel 
precideaM  iHlrìnanìo  eoa  Inlwlh 
d'  Aragona.  Mi  qiul  fate  il  dcliiio  ap- 
pi4loBli  BOB  ai  aa  con  «lima.  CI  Ui- 
chcltl  dica   th«  t^i  •«■>>&  1*   regiiu 


IO  CofDpai;nk,  ioia  narra 
,,li«™™:.P.,..,..,l 

jiroili'iH,  mi  pfrlo  (.iiuTthiii  de' nemici 

S.  Fediriga  fioviUo.  Fu  Bglii 


—  *  gutl  da  PUa .-  Pari 

HiiEi>aidaI>ÌH.C«lsi[ii 


Il  acflli  ScD- 


cale  per  li  gola  nel  12;il. 

l'et*.|B'wM  Cglio,  ed  (»n&  il  parco- 

SO.  iwtgtia,  iniidli,   d.l  proreo- 

in  doppio  s. 

■oilcuaichxpiDmwli  viriàcrUliaua 

•il»  al  panladi  indire  a  baciare  la  mano 

dell' «icidi.  rialrodi  DiDiedi»  che 

.loia,  Il  eh.  per  .noi  r.lli  .  p«  anr 

V  .icMorc  dì  Farinala  la  M.  Becdo  da 

cr»piriloall>  rovina  di  qacll'ÌiiM(«ato 

tlaprena. 

non  »n  polli  io  ^e;|ia  ptggiort,  ùi 

19.  ConfOriB.  llcuni  cndooo  eo- 

aloi  della  tamiclia  dr;U  Alberli,  a  elio 

23.  ■ui^ldffM.-ìd.lloRla- 

^iiiDenle  al  lonso  d.l'eta  il  Paela  Kn- 

il  rtjlio»  Sflinolo  del  eenlt  Nipotean. 

21   pn-d,  perUl  Mio. 

Alberta  di  H..|«>i  .onna.-r»..M 

26.  che  prejiaf  par.  lo  (joalì  pre- 

JIUMtc!  raoinia  di  Pier  della  llrw> 

fireno  the  altri   (cioè  ali   nomini  abo 

(ia,  diTiia,  lepinla  dal  prnpria  eorpo 

«oovi.il  P"ci.i,H.DÌQ.-p»r,.n. 

t"  natia   a  per  iotidia    Pierre  de  la 
bnu»  ara  diIo  in  Tnrrni  d' uni  «cura 

ch'e.0,  «mele  altre. 

ST.Sl.bai'aoaen'.ùch.a'alTrcia 

("Dilllia.  Ph  eUrorga  del  ra  San  Luìp, 

il  loro  purgar»  d.  ogoi  raliqui.  di  pee- 

«  aolio  niippa  m  l'Ardilo   {iuua  a 

ette. 

«noia  ptlenu,  che  lolle  il  face»  per  il 

28-30.  JPparrfce  !•  «iiitojA*  «.: 

eoa  eeoaiilio,  QBiadi  Pioiidii  eorligia- 

*'  pan  ebt  lo,  o  Virgilio  ,  Ine*  che  ri- 

CANTO  SBSTa 

0  loce  mia,  espresso  in  alcun  te^to, 
Che  decreto  del  Cielo  orazion  pieghi  ; 

E  questo  genti  pregan  pur  di  questo.       \ 
Sarebbe  dnnqne  loro  speme  vana? 
0  non  m*  è  il  detto  tuo  ben  manifèsto? 

Ed  egli  a  me:  La  mia  scrittura  è  piana, 
E  la  speranza  di  costor  non  fella, 
Se  ben  si  guarda  con  la  mente  sana; 

Cbè  cima  di  giudicio  non  s*  avvalla, 

Perchè  ftioco  d' amor  compia  in  un  punto 
Ciò  che  dee  Foddis&r  chi  qui  s*  astalla: 

E  là  dovMo  fermai  cotesto  punto. 

Non  si  ammendava,  per  pregar,  difetto, 
Perchè  il  prego  da  Dio  era  disgiunto. 

Teramènte  a  cosi  alto  sospetto 

Non  ti  fermar,  se  quella  noi  ti  dice, 
Che  lume  fia  tra  '1  vero  e  1*  intelletto. 

Non  so  se  intendi:  io  dico  di  Beatrice: 
Tu  la  vedrai  di  sopra,  in  su  la  vetta 
Di  questo  monte,  ridente  e  felice. 

Ed  io:  Buon  Duca,  andiamo  a  maggior  fretta; 
Che  già  non  m*  affatico  come  dianzi; 


tSI 


30 


3S 


40 


60 


•foi  mio  dubbio,   mi   nicgbi 


ì,  «pragMOMoto,  in  alcon  tetto 
(Mi  Vàf  VI  MVBneide) ,  ebe  pregando 
m  ritgbi,  ii  caofi,  il  Toler'del  aalo.  De- 
9um  (mia  Dmum  pecU  tptrtan  pro- 


M .  fT^gtm  pw  di  quetto,  pregan 
aie  ■•■  aalaata  cba  ti  pieghi  il  decreto 
A  Dio  ;  o,  prcgaa  aolo  di  questo. 

K.  O  mom  m'iU  deUo  (mo  «e.  Op- 
par  •«•  bo  ben  inteso  il  too  detto. 

M.  è  pUmm,  cioè,  4  chiara. 

SS.  non  fmUs,  noa  erra,  bob  è  epo- 

iTckè  «ine  M  giudieSo  non  f'm- 
wmttm.  lat.:  cbe  l'aito  gindicio  divino 


Boo  rìnetto  del  tao  ri- 


man  «•  ;  ovtwo.  osila  è  tolto  alla  già- 
M  filKo. 

ss.  PmtààfiÈOtù  d^mmor  «e..*  perw 

I  la  ctritè  dot  ginsti  di  qaetto  non- 

,  db  pragaao  per  le  anime  pnrganti, 

b  •■  p«ato  de  che  eate  deroao 

•  fai  Mio  tempo  —  PorcM. .. . 

,  80  coamia,  o,  ccnpiendo. 

.  f*  mimlULt  Ba  ttallo,  ttaoia* 


CMMSfab 


40.  Elàec.f  doè  adi' InlerBO,  doro 
io  introdacera  la  ^illa  a  parlari  a  Pn- 
liunro  («odi  il  verto  latino  recato  fvi 
topra  alla  nota  28).  —  fvmmi  tolmto 
pùmto,  doè  affermai,  preanadai  ^bo* 
tta  maadma  :  cbt  bob  è  do  tperaro  eko 
prego  abbia  efficacia  oc. 

44 .  Nomi  wmmendav  ee.:  la  prt- 
gbiera  bob  aveva  virtà  di  aaoBdart  lo 
anime  dai  P^^^t  perchè  colai  cbo  pia- 
gava era  iiiigianto  da  Dio.—  per  fr§' 
gmr,  per  vie  di  pregare,  por  praabicri. 

43.  rframoBle  è  od  toaao  ed  €#> 
m»  lat ,  e  vde  aia.  —  a  cael  allo  oa- 
ipeUo  ee.,  a  tk  profoada,  a  si  eoUilo  da* 
MtaiioBe  BOB  ti  acqaetaro  dd  tatto. 

49.  CJblaaM/lae*.  Modettomeola 
Virgilio,  umbdoddU  ragioao  a  dotta 
aataralo  ftlotota,  rimaada  per  alflatla 
qaettìoao  l' doBBu  a  Beotrìea,  cbo  rap* 
preieoto  la  adeasa  £vÌBa ,  la  teolagia| 
al  laaie  della  ^ale  TaaMBa  ragìoaa  d> 
trova  «ad  vari  cbo  iavaaa 
corcber«bbo.0ad'4 

B€mtrie9,  la  rìvdadoaey  è  il  faaolo  cba 
tta  di  meno  tra  l'nmaBo  wtdietto  o 


W 


DEL  rune*!  OR  IO 

E  vedi  ornai  che  il  poggio  l'ombra  gella. 
Noi  andercm  eoa  questo  giorno  innanzi, 

Bispose,  quanta  più  poiremo  omai; 

Ma  il  fallo  é  d'altra  Torma  che  non  stanzi. 
Prima  che  sii  lassù,  tornar  vedrai 

Colui  che  già  si  copre  della  costa, 

Si  che  i  suoi  raggi  lu  romper  non  fai. 
Ma  vedi  là  un'  anima,  rbe  a  posta 

Sola  soletta  verso  noi  riguarda: 

Quella  ne  insegnerà  la  via  più  (osta. 
Venimmo  a  lei:  0  anima  lombarda, 

Come  ti  slavi  aliera  e  disdegnosa , 

E  nel  mover  degli  ocelli  onesta  e  larda! 
Uila  non  ci  diceva  alcuna  cosa; 

Ma  lasciavane  gir,  solo  guardando 

A  giiifi  di  Icou  quando  si  posa. 
Pur  Virgilio  si  trasse  a  lei,  prei^ando 

Che  ne  mostrasse  la  miglior  salila; 

E  quella  non  risposo  al  suo  dimando; 
Ma  di  ooslro  paese  o  della  ^ila 

C'inchiese.  E  il  dolco  Duca  incominciava; 

Maniova....  E  1'  ombra,  lulta  in  sé  romita, 
Surse  ver  lui  del  luogo  ove  pria  stava, 

Dicendo:  0  Mantovano,  i'son  Sordello 


0»   Hita  l'oDilitl  dove  Doi  liims.   1 

\\n«  dclli  TÌU- 

fMli  HlillBO  il  moDU  ddlt  p.U  c.ric.1- 

00.  p(Sto,(«.  piùl»l.,pièiF^ 

diu. 

Dulc,  ibiiro  t  cbt  il  BDPle  do.c.i  B'I- 

61    0  aRinia  iMthinIg  «.  fe  -mt- 

urt  l'tnJin  otl  h«t«  «le  wi  «luiiii- 

tì,  un.  scUnuì-M  dd  l'o«U,  ■  «. 
Iri'  .iti  lomn  aflia  «lunorU  il  (nti 

54.  cb  non  .(ai«(,  tb.  a-n  pf  Hi: 

JlltMUinrt,  Ai  propr.  tilc  dtlenoi- 

E«k..piril..ch."r.«»U»ta«ìdÌM 

iMrt,  gMicart.  Tile  i  lo   dalorrt 

3*i  UUoi. 

qui    *    (hi    .pT«ia    «  Whifl    »■    WU 

seai-i,  dotitw!.. 

il.  la nmiptTiun  fili  SMultaf,- 
"°^.  •  pollo.  BuMifnl.-  KkU  otl- 

G7.  Pur,  uo  «[«Di*  ^Balli  m* 

TO.fdrffiiRd.  4«l«niUt>  1. 

l'/«/«^C.IXIX,..lO:£P«-Jol* 

mtatltiKdii  lì  a  foUa   lllH  lornU 

72   JfmrMd.  .,Q«i  il  •««•*■»- 

iu  !>(■•>•  *«>  •Icuoì  C«td.  ch4  pftta 

■p«<i.  Voleii  din  :  Uiniai*  mi  fa  pa- 

in tutte  di  tkt  pDUla;  di  noa  Irepi* 

ini  .  IBI  r.  ÌMmM«  dall'  «.bn.  — 

liUla  Ih  $i  nmilK.  à^  At  d*  prioia 

t*«li:(d«<>d>..«<.p.!im.nù,io 

TI.  Sordilh,  daTownlI  d.  Uà- 

CAHTO  SBSTO. 


tll3 


Della  tua  terra.  B  1*  un  V  alliu  abbneciava. 

Ahi  serva  Italia,  di  dolore  ostalo» 

Nave  senza  noecbiero  in  gran  tempesta, 

"^     Non  donna  di  Provincie^  na  boedeUol 

Quell'anima  gentil  fa  cosi  presta, 

Sol  per  k)  dolce  suon  della  soa  terra. 
Di  fere  al  cittadin  sue  quivi  tela; 

Ed  era  in  te  non  stanno  senza  guerra 
Li  vivi  tool,  e  Tim  l'aUro  si  rode 
Di  qnei  che  nn  muro  ed  una  fossa  serra. 

Cerca,  misera,  intorno  dalie  prode 

Le  tue  marine,  e  poi  ti  guarda  in  seno 
S*  alcuna  parte  in  te  di  pace  gode^ 

Che  vai,  perchè  ti  racGonctaase  il  freno 
Giastiniano,  se  la  sella  è  votaT 
Sena*  esso  fora  la  vergogna  meno. 

Ahi  gente,  che  dovresti  esser  divota, 
E  lasciar  seder  Cesar  nella  sella. 
Se  bene  intendi  ciò  che  Dio  ti  nota! 


76 


80 


86 


90 


tm,  b  «eetlUato  «r«f«Ur«  àtli  XIII 
Mob,  •  BeovMiito  da  Imola  lo  chia- 
■itacha  •90^%Ui€ÌpmdentmiUt§t 
mriaHi.  •  San  calabrì  gli  amati  di  lai 
la  aoralla  d*  Eizaliao  da 


re.  Ahi  tmr^m  ÌUAim.  Q^me  è  ana 
dal  Poata,  «Im  al  Tederà 
MaaloYanà  acooffliani  aaa  tala 
i  TiaauU  r  oo  dair  altro 
»,  noD  p«è  freoara  il  dolora 
t  Pira,  paMando  lo  alato  d' Italia  a  quei 

aaiak  dàaordÌMta  a  dinto,  a  i  cit- 
odiaiitiai  EaroaaoMDta ,  a  aongia- 
nA  aallt  laafau  nùoa.  È  qvasto  «no 
dkPpià  ipla«d»di  tratti  dalla   Divina 


TI.  ìftmitnum  «oacMcro  ae.  Ghia' 

PlCalia  oavaaciaa  oocehiero,  poi- 

i  ■•■  ara  gofarsala  dall'  imparatora, 

iim  wèM  tirasBÌ  tribolata,  a 

anaraavolU. 
7a.  Nmm  dommm,  boo  «fBora.- 
èmrédio,  QMata  parala  è  ^i  aaala  nel 
)€M  i  LatimchiamaTaao 

pièaaaai  cka  ilaaaipuea 


isloroo  alle  rÌTa.  L'Italia  è  cireaadaia 
d' ogni  parte  dal  mare,  aaWo  che  a  aat- 
laolrìooe  dove  aorfOBa  U  Alpi.  Q«aida 
daaqaa,  fool  dire,  i  p«pou  cho  aIaD 
loofo  i  doa  narì^  e  poi  quelli  che  aao 
fra  terra,  #  poi  U  guiaréa  im  tm». 

SS.  ChM  9al,9e.  Batfigva  l'Italia  a 
ueavallo.  L'impcrator  Giaatiniaaa,  li- 
Uvata  nel  leato  aocoU  l'Italia  dai  voli 
per  OBora  di  Beliaano  a  poi  di  Naaala, 
▼i  oraiaè  on  naoro  fovama .  la  die  •■ 
•adica  di  leggi  cIm  intilolè  dal  aia  bo- 
■M,  a  iperaTa  di  rialsarla  all'antica 
gloria.  Ma  raocoociato  il  frano  a  onaato 
caTallo  (int.  riordinate  le  leggi),  aebbana 
■elti  ateaer  la  mano  par  tenerlo ,  non 
fnaMi  onpredachalainiaraaiaaarif- 


ae.  4ofee  fM«y  dofee  noina. 
•a-ae.  inlomo  dmU$  prod§,  doè 


90.  5eiif'eM0^  aansa 

91-93.  iMfaalab  ae.  Aki  ninla  di 
Chieaa,  €k$  dùwntU  «taar  tfennln, 
ohe  dorreali  attender  aalo  alle  aaaa  di 
religiena,  e  leeciara  il  Mvema  dei  po- 
Mli  a  Ccaan ,  Se  ftaM  talaMK  aie  da 
INa  U  ««In,  aa  hai  intaaa  il  pracatta  di 
Crialo  nelle  Serittnan:  miiin  Citerà 
quei  ch'i  di  Cnmn:  U  mia  ragnn  mam 
l  ài  fatti»  wmdai  mimm  «ha  wMUm 
par  CriUa,  H  wmtùUt  a  éimi  aam- 
InwtCaN*  ae« 


DEL    FU  AG  A  TORIO 

Guarda  com'esta  fiera  è  falla  fella. 

Per  noD  esser  corrella  dagli  sproni,  sa 

Poi  che  pone?li  mano  alla  predella. 
0  Alberto  Tedesco,  che  abbandoni 

Costei  eh' è  fatta  indomita  e  selvaggia, 

E  dovre.ili  inforcar  li  suoi  arcioni, 
Giusto  giudicio  dalle  stelle  cangia  IK 

Sovra  '1  tuo  sangue,  e  sìa  nuovo  ed  aperto, 

Tal  che  il  tuo  sucrassor  temenza  n'aggìa: 
Che  avete  tu  e  il  tuo  padre  solTerlo, 

Per  cupidigia  di  costà  distretli, 

Che  il  giardin  dell'  imperio  sia  diserto.  i05 

Vieni  a  veder  Monlecchi  o  Cappellelli, 

Monaldi  e  Fllippeschi,  uom  senza  cura. 

Color  già  tristi,  e  coslor  con  sospetti. 
Vien,  crndel,  vieni,  e  vedi  la  pressura 

berla  dil  HO  BÌ|Mili  Gioiinni  d'Jtnilni 
nel  1 308  l^l>  rKU»  di  uiiilcra  ijli  nuli 

ngioDe  cov  imn  «corrnit  <»|[ii  «proni      nhilrttlLiiì:  qainJJ  forte  la  id^giio  drl 

di  (ipKi  «VDJcilart,  di  OD  iuigiiraiDra     Poeu. 

Mpinli.  102,  il  tuo  (VMtMor,  noi  'Ddi- 

SS.  Poi tht paatili  mano  atlapT*-     tir*  Anìga  VII,  di  cni  per  ao  IcfDfo 

Alla.   Prtdtil»  D  hridtlla.  *  iveììa     iperìHim-dio  alle  «M  d'iul'i. 


'  Villini,  lih.  VII,  4 


nnlaoga:  .plgtial 
frne.  i  regnare 
Ori  duaqua  si  rqi 
ngonua  id  iid  a 


olla,  a  av>]l()  DoD 


I 


4  0 J.  il  giardin  Mf  «perla,  iim 
<iiia,aii'>EÌ«>a,  l'iMlia. 
t06.  MtmUtthi  4  CapptlhUi:  m- 

L  r.iii'K<i<GhilH>lliaed;Va»«. 


pctHiia  por  qnalo  a 

iBsdMimi,  ut  ìuata 


gerle,  Il 


<n.    0  Alberiti   Ttdllto.   Aibtrtg 
d'Aoslril     figliuolo  dtll'imporitora  lli- 
dolla  d' Hebìburgo ,  il  prìiBo  delle  tua 
i'  Aailrìa,  la  della  all'  impara   mI.     pei  dea 
CMBotaig  a  1299;  Dà  mii  lolle  pu.     Jiicordi 

100.  Giulio t(wlÌcÌo,r,«i,  ti 
MOtiga.  P»  che  «ncnai,  a  moda  di 
biit,  tlU  OUKtg  lieleaU  elie  ebba 


ai  Filinpsihi  mi  icapàua  ili  r>- 
De.  Il  Boti  iolaDde:  catara  Eràti 
liceodi  nella  loro 
io:  oBfUi  Bel  laro  allita  anara 
in  gli  ani  degli  allri.  la  prtff 
[""""a. 


CANTO  SESTOt 


tèU 


W  tuoi  gentili,  e  cura  Vnr  mi^agne,  4io 

E  vedrai  SantaGor  com'è  sicura. 
Vieni  a  veder  la  tua  Roma  che  piagne, 

Vedova,  sola,  e  di' e  notte  chiama: 

Cesare  mio,  perchè  non  m*  accompagne? 
Vieni  a  veder  la  gente  quanto  s'ama;  iis 

E  se  nulla  di  noi  pietà  ti  muove, 

A  vergognar  ti  vien  della  tua  fama. 
E  se  licito  m'è,  o  sommo  Giove, 

Che  fosti  in  terra  per  noi  crucifisso, 

Son  li  giusti  occhi  tuoi  rivolti  altrove?  420 

0  è  preparazion,  che  neir  abisso 

Del  tuo  consiglio  lai  per  alcun  bene. 

In  tutto  dall'  accorger  nostro  scisso  ? 
Che  le  terre  d' Italia  tutte  piene 

Son  di  tiranni,  ed  un  Marcel  diventa  isi 

Ogni  villan  che  parteggiando  viene. 
Fiorenza  mia,  ben  puoi  esser  contenta 

Di  questa  digression  che  non  ti  tocca, 

Mercè  del  popol  tuo  che  si  argomenta. 

M  firfcMtarì  od  tio  partilo,  daMnoi     ratora  dall' anÌTano,  del  padre  d'agii 


fìuatizìa,  wmt&r  j/iilri». 

12  Mas.  O  d  frtpmmiam  te.:  • 
eoo  qaciti  mali  cba  ai  fai  aofTrira  proM'* 
ta  odia  prufondiU  da'looi  ooMigti  akaB 
beiM  im  IfOlo  scino,  Mparalo,-  loalaa* 
dal  Doatro  inlendere? 

4%.  tm  MareH.  Farooo  a  Rana 
di  aoesto  oome  aomini  aagnalalianaM, 
fra  I  quali  eolaì  cba  aapognè  Siracia,  0 
V  altro  che  ti  oppoaa  alla  Uramuda  di 
0.  Ccaara.  itm-cMlu$qm  toquMX.  L«- 
cano.  lib.  I,  ▼.  513. 

426.  OgnitnOanu.  Ogni  aoao  dì 
413.  Vedati,  perchè  abbandonala     contado  cba  prenda  parla  Balla  faiioni 

lava  lo  coma  contro  rantorìlà  ' 


emrm  ìor  MogngiM^  l^rcndili 
dai  lora  mali  ;  informati,  CMO- 
idli  laro  piagha,  i  loro  bisogni. 

444.  A  rcdrcf  SmHtmfior,  Santa- 
im  è  ^M  contea  nella  Maremma  la- 
aaa.  Era  Indo  imperiale  ;  ma  allora 
perla  neglige nia  dell' imperalore  a  il 
Imla  falerno  di  qnei  Conti,  |Neno  di 
•  di  nibane.  —  com'è  ticwro. 


.,  aome  ci  ai  vive  bene.  Il 
Cad.  Slurd.  ba  noma  ti  cmrm,  cioè  m^ 
■^è  gatanMU. 


I,  cbe  aei  per  la  direi  ione 
affla  Uomo  mania.  »-  tote,  daseiia 
d'ama  aiata.  —  cMéma,  grida,  dal 

145.  fieni  •«fdarae.,  di  cba  odio 

ai  aditna  Ira  laro  gl'Italiani. 
l4ft-4aOM«effofli'd:queifaipm- 
to  è  diritta  a  acaeare  la  troppo  ardita 
Som  U  fliuK  oc.  —  •  fommo 
Cima.  Caak  cbiama  Gcaù  Crialo.  Vero  è 
chi  li  iirala  è  profana  per  eaMr  del 
cakm  MalaUica ,  om  il  Poeta  fileeofo 
Baasdali  ba  miralo  alt' idea  vara  cbe 
fi  ala  aaCta,  dall'ente  creatore  e  moda* 


le,  prcaome  di  dettar  cenno  agli  altri, 
e  Tool  reggere  a  tignoreggiara.  Gib  è 
detto  contro  te  gomte  nmooo. 

428.  afte  non  fi  foce*,  è  detta  iraal- 
eamente  perrbè  rirenxe^  all'  appaata, 
rìgnardava  pia  rb' altra  città. 

429.  fliefcdp  in  grafia.— ti  Affi» 
Il  bea  ragiona ,  ai  bea  aravfada 
Domigli,  nella  eoa  daBbararia 

Ed  è  delta  irameamenla.  Altri  laa» 


gono  «'«rgomenln,  doè,  oi  «iute,  f'iì^ 
gogna,  percbè  tali  diaordini 
in  le. 


tB&  DEL   PDRGITOIIIO 

Molti  bau  gìostìzia  in  cor,  ma  lardi  srocrn,  ix 

Per  non  venir  seniu  consiglio  all'arco; 
Ma  il  popol  luo  r  ha  in  sommo  della  bocra- 

Molti  rJfiman  lo  romnne  inrarco; 
Ma  il  pO[>ol  ino  sollecito  rLeputide 
Sema  chiamare,  e  grida:  I'  mi  sobbarco.  iS6 

Or  ti  fa  liela,  che  in  hai  t>en  onde: 
Tu  ricca  ,  tu  con  pare ,  tu  con  senno, 
S' io  dico  ter ,  l' eOétlo  noi  nascondo. 

Alene  e  Lacedemona,  che  fenno 

L'antiche  leggi,  e  furon  si  civili,  tiO 

Fecero  al  vi^er  bene  nn  picciol  cenno 

Verso  di  te,  che  fai  lanln  sottili 

Pro\-vrdl menti,  cb'a  meixo  novembre 
Non  giugne  quel  che  tu  d'  ottobre  fili. 

Quante  volte  del  tempo  che  rimembre,  >*6 

Legge,  monela,  e  uRci,  e  costume 
Hai  lu  rootalo,  e  rinnovato  membre! 

130-132.  Moia  hmt  gimtàia  in  136.  Or  lì  fa  (tela  «    Pnirgai 

rorfe.llnUi  probi  cMTieÌlUilÌiiiei|iiÌe  l'ironli:  cM  lu  lui  ttn  ntdc,  eia*, 

•llroT*  inlndo»  it  giinlo  e  ragllHW  il  eba  lu  bai  l»ii  ri|;iiiu  Ji  tillrgrarlì. 
fìniln;  mi  primi  di  dirtriittiin,  pH-  lóT.  Tu  vieta  M.  Etto  i  tri  flm- 

prnatt,  o  islla  toma  pabblka,  per  li-     riccho»,  li  p*»,  !•  «picim-  Pran- 
■wn  d'HTir*  B  piiuiB  brer,  •  Urdi     nn  li  prìnit ,  «pnllulto ,  rigricullun 

il  papui  Ino,  D  Fiirnn,  non  hi  biu^oo     tione  «.;  li  ttm  gli  ilndj  oBmti  i 

BÌiMtiia*a^uiliiD«ir  urBonicnla  i  kn  la  MO.  /Unm  (I  dt'If.  (bberoii  m 

fi'wMtt»  lulU  lotAni:  ti  drlibeniio-  «llenti  ordini  di  gotrmo. 

ni,  pnaBiuit  dnrili  cb'^li   dì«  di  141.  Pietro  ■!  Dnrr  »fiw  ee  Fc- 

gÌBiliiioi  rno  K  lii  rcMRioiM  puti-  erra  «n  pimi  futa  allo  drilli  drll* 

"      "*        '  "    mora  di  tili  ,    Vino  di  1(,    io    pingnoi  di 

™.-|rl-  lo«. 

U3.  ttUili.  notili  il  utt  di  iiiHiti 

iifiilralan.  d' ing»n"oi^ ,  «  ài  p«o  durcK.li 

•  .ironMIa-  Ì1J-N4  cK'»mnioiiottmtrrtc 

iif-  QoiiI  PuclBliwitl'iniaia.fprr  gfudF 

iti)  diiJrgnn  pri^ro«pc  in  tprrli  rìvprVTr' 

■■D-  ri. —  /Ili,  ordini. 
Ul  iti.  M  limpa  tSt  rimtmtrt,  àoi 

F«jv       boIId  IpBf  io  dfl    IflOpD  ,    dvl  i^atlt    bij 


CAIVTO  SESTO. 


W7 


E  se  ben  ti  ricorda,  e  vedi  lame. 

Vedrai  te  somigliante  a  quella  inferma, 
Che  non  può  trovar  posa  in  su  le  piume. 

Ma  con  dar  volta  sao  dolore  scherma. 


160 


148.  ««....Midlì /UHM,  M  hai  chiaro  liatiniia  comparazione,   e   d'una  per- 

3  luM  dalPmlelletlo ,  M  ragioni.  fetta  convenienza  I  —  ieherma,  npa> 

454.  con  dar  «o/te»  col  Toltard  ra;  doè  c«rca  difeoderri  dal  sao  do. 

ar  dalF  una  parta  or  dall'  altra.  Bel-  lora. 


CAunro  semaio. 


iVp*  l9  OH»  mteùgUmat  mt  mmtitHÈdlif,  9àt  S^rdtUo  «m  smm  gnut  Sùrprmm  eké  fuggii  # 
nrfili»,  0  Itttaméi  lui  ma  Imago  tUrmm.  Riekiutm  fmindi  éml  «awmw  PmHm  d'mUum  imdixioptr 
taUn  pm  tptéUm  mi  Pmrgémhm,  gU  jé  «//kv  «  gmiàmt  mm  ttatné»  Helmo  M  tnumomtù  d«t  gim  mo, 
U  tmdmm  i«  mmm  wmUtmm  tmiwmtm  mèi  otoM»  p0r  im  pmuar  U  mmttt,  Stmmno  Im  f  ud  luogo  mme- 
tiuimm  «Mi  pfimapt  tao  tmWotetipmH  dti  mumémmi  bttrmmdimtmH  n$tr*mromo  mWmltimo  il  ptn. 
év M Dio,  rmi$  mimi  mo  mééUm Smréttim, 

Posciadié  r  accoglienze  oneste  e  liete 

Faro  iterate  tre  e  quattro  volte, 

Sordel  si  trasse,  e  disse:  Voi  chi  siete? 
Prima  eh*  a  questo  monte  fòsser  volte 

L*  anime  degne  di  salire  a  Dio,  6 

Fur  r  ossa  mie  per  Ottiivian  sepolta 
r  son  Virgilio;  e  per  nuli'  altro  rio 

Lo  ciel  perdei,  che  per  non  aver  fò: 

Cosi  rispo-e  allora  il  Dura  mio. 
Qual  é  colui  che  cosa  innanzi  a  sé  :0 

Subita  vede,  ond'ei  si  maraviglia, 

Che  crede  e  no,  direndo;  eli* è,  non  è; 
Tal  parxe  quegli,  e  poi  chinò  le  ciglia, 

È  umilmente  ritornò  ver  lui, 

E  abbracciollo  ove  *1  minor  s'appiglia.  f6 

I.  VteogUenxe.  Allude  agK  ab- 
kractiaiiieflAi  di  >irgiIio  e  di  Surdello, 
di  rht  al  rerm  75  del  canto  pree. 

S    fi  frofxe,  cioè,  s' arretri. 

4^5.  J^rima  eh' a  quetio  monU  §e. 
Prìna  dw  la  anime  degli  eletti  ireni»- 
aaro  a  viiriBeani  in  queeto  Inof»;  o, 
prioiaeiic «focato  montr  divrniaae  la  ria 
par  andar  al  cielo  ;  il  che  Dante  avppoea 
arv«n«to  dopo  la  morte  di  Gcaà  CnaCo, 
aaodochi  prima  il  delo  non  foaae  aperto 
ti  mortah ,  •  la  pnrgaiiooa  ai  facaaaa 
altroTo. 

6.  per  Ottatian  tejwlU:  par  cura 


di  Ottaviano ,  che ,  a  «vanto  difi ,  U 
fece  traspoitore  da  Bnndiai  a  Napoli 
'7.  riOt  reità. 

t.  per  fum«rvr  fé,  per  non  arar 
creduto  eovivrnMUleOTeiila  in  Dio  a  «a* 
Tentare  Riparatore.    • 

14.  riiomò  ver  M,  parche,  e» 
m'ha  detto,  ae  n'ara  diaeoatoto  dopc 
gli  amichevoli  empiemi. 

15.  ove  'I  minor  fappiùHm^  cioè  ai 
piedi, o ai  ginfKthi.  Al  Canto Xll,y  180, 
radeai  Stazio  che  Già  9i  ekhienm  etd  «è- 
kraecimrHpicéi  Mmio  DoUor.  Pren- 
iearegenvM,  uwipUeii  genma,tnyìtmo 


^^F  ^HI^^H^^H 

988                                                 DEL    PURCtrOBIO 

0  eloria  de'  Latin,  disse,  per  cui 

Mostrò  ciò  che  potea  la  lingua  noslra: 

0  pregio  eterno  dol  loco  ond'  io  Taì, 

Qual  merito  o  qual  grazia  mi  lì  mostra? 

S' io  son  d'  udir  le  lue  parole  degno,                     M 

Dimmi  se  vien  d' Inferno,  e  dì  qual  chiostra. 

Per  tulli  i  cerchi  del  dolente  regno, 

Rispose  lui,  son  io 

di  qua  venuto: 

Virtù  del  eiel  mi  mosse,  e  con  lei  vegno. 

Non  per  far,  ma  per  n 

on  fare,  ho  perduto                   li 

Di  veder  l'alto  Sol  che  tu  disiri, 

E  che  fu  lardi  da  i 

1)0  conosciuto. 

'    Luogo  è  laggiii  non  tristo  da  martiri. 

Ma  di  tetidbre  solo, 

,  ove  j  lamenti 

Non  suonan  come  | 

;uai,  ma  son  sospiri.                W 

Quivi  sto  io  co'  parvoli 

i  innocenti, 

Da' denti  morsi  della  morte,  avante 

Che  fosser  dall' um 

ana  colpa  esenti. 

Quivi  sto  io  con  quei  clie  le  Ire  sante 

Virtù  non  si  vestirò,  e  senza  vìzio                        3& 

Conobber  1'  altre,  e  seguir  tulle  quante. 

Ma  )«  tu  sai  0  puoi,  alcuno  indizio 

Dà  noi,  perchè  venir  possiam  più  tosto 

io  Viriplio,  in  TdcU»  t  ■<a  •Un.  Si  >>i>li 

rrliRiane  d..l  t(k>  Dio ,  <  MODde  «urlìi 

26.' fallo  Sei.  Iddi». 

27.  the  fa  tarili  ia  mt  amoteiu- 

neri  il  idiiiibo  Pndt. 

(0,  noè  ><>lo  dopo  morte. 

il  eléchr  pena  Ut  (fiif  iw  ueilra. 

ag.    da  «arlirf,    prr  «gione   di 

H          Intendi  1.  t.liu.,  cb.  ««.no  [.  p.r- 

^^        lire  pia  tneit  t  toa  piò  ■rtnt.i  tbe 
H        \  \rpL.  L  M,„,  H,!,a.  perrht  ti». 
H        nuJoRti  «litbi  ll,li,BÌ..{i;«i  gì.. 

3!l.  Ila  di  tn*bn  »b  «e.  Vwp 

ìie  prri.  ».«  gli  .Itn  aamini  TÌitH» 

o  groHli ,  >U  in  1i'.so  illuuiMt*.  Vedi 

iicioi..i\  drirm/fr». 

IIIM  <l«  r*piiUr>i  Unnifra.  MU  !■- 

53    JellHWUM  lelpt,  dot  dil 

liu  llngu,  più  cht  nri  munii  ir\ 

II.  l.ilo  il  g.'.m  un..n«.   Om,u  in 

Adam  prcciKMTUiil. — fittiti,  dai  pai^ 

)              M  »F>lo  .fa.  l.  p„lt 

(ic.  del  .cbu  l.lino  aim-.  libmli, 

purgali  n.rl'ii^H  d<l  bmoimo. 
5*-3S.  cht  U  Ut  »*!(  1  tri*  *c. 

^B       Ib**'  F""'  <l>^ÌrEÌii>rr1iS«rd<iL|a. 

^H           V.Oimmitttimd-hfenurc, 

Ini   le<rr<irliil«log)cfae,  r»l*,^«- 

^V     cM:  4lm»ii.>ln>i  ^'Inr^n...  xliin- 

nnii  ccorìli.  — ■(nuam'iip.tHri 

^H        mi  il  •Mi  »iTt>H>  ■•  ncinto  di  n»<  In- 
1                 lenstiNd   IcgiforfivHtrMiwIra. 

d-.,.-!  «„..                                     '^ 

».  raUn.milelenrtàdMioM 

25  Aon  pn-  far  «  ,  ni.  n»n  uit 

KOHid.,  1.  l<-,.|jf  Biiiinl*  e  II  ctnl*. 

S8.  fW  n«i,  di  «  poi. 

CAirrO  SETTIMO. 

Là  doire  il  Pai^torio  ha  dritto  inizio. 

Rispose:  Lnogo  certo  non  e'  è  posto  : 
Lìcito  m'è  andar  soso  ed  intorno: 
Per  quanto  ir  posso,  a  guida  mi  t*  accosto. 

Ma  vedi  già  come  dichina  il  giorno, 
E  andar  sn  di  notte  non  si  pnote; 
Però  è  bnon  pensar  di  bel  soggiorno. 

Anime  sono  a  destra  qaa  remote: 
Se  1  mi  consenti,  menèrotti  ad  esse, 
E  non  senza  diletto  ti  fien  note. 

Com*é  ciò?  tà  risposto:  chi  volesse 
Salir  di  notte,  fora  egli  impedito 
D'allrai?  ower  saria  che  non  potesse? 

E  il  baon  Sordello  in  terra  fregò  'I  dito        ^ 
Dicendo:  Vedi,  sola  questa  riga  ^ 

.Non  varcheresti  dopo  *1  Sol  partito: 

Non  però  che  altra  cosa  desse  briga, 
Che  la  nottarna  tenebra,  ad  ir  suso  : 
Quella  col  non  poter  la  voglia  intriga. 

Ben  si  poria  con  lei  tornare  in  giuso, 
E  passeggiar  la  costa  intorno  erranflo. 
Mentre  che  l' orizzonte  il  di*  tien  chiuso. 

Allora  il  mio  Signor,  quasi  ammirando: 
Menane,  disse,  dunque  là  've  dici 


M9 


40 


4& 


60 


66 


•0 


99.  iriilo  imixio,  Tcro  prìnrìpto, 
b,  «re  comincta  Terameotc.  Ciò  dìee 
perchè  finora  ti  erano  trattanti  dora 
lUa  U  aniau  non  andia  ammeaaa  hi 
Fargatorìa. 

40.  mam  t^è  poiio,  non  c'èaMa- 
Seala. 

42.  Ptr  fiMmlo  ir  peno,  fin  dota 
■it pai «a^o  inoltrarmi. — a  guidate., 
doè,  per  gnida,  come  gnida  m'aeeoiB- 
pagno  a  te. 

45.  Ptrò  è  bwm  tt.  :  però  è  kena 
pcnaara  ann  bel  hwfoper  paaaarri  la 
uoUa. 

47.  SéI  mi  contenti,  te.  Abbiamo 
accHa  ^eala  leiione  del  Cod.  AntaM. 
con»  pie  ekfanta  della  lagnenla  dia 
danna  ahra  adinoni:  St  mi  eon»tt^ 
ti,  rii  wurrò  od  ttm, 

A^.fn  ritpotlo,  aoltint  daVìrgilia. 

SI.  orver  feria  te.  0  atieriebba 
cb'ei  non  ne  averne  in  aè  il  poterà?  — 
Convinti  dalle  ragioni  dell'  editore  ro> 


mano,  abbiamo  preferita  ^aaela  ■«..«- 
ne  alla  comune ,  cbo  è  la  segnenta  :  • 
non  tarria  che  non  potette;  la  gitala 
Teniva  ioterpreUta ,  o  non  toUrù ,  0 
no»  tatirtbie,  per  non  poterò  ?  Da  «•- 
ter  faceti  in  antico  tatrt,  a  qvindi  anr^ 
re,  il  che  avvenne  anche  in  altri  Ttrbi. 
54.  dopo'l  Sol  pmrtito:  A  aola  è 
«mbolo  della  grazia  di  Critto ,  la  qnaln 
maorando ,  non  pnd  l'aomo  far  an  | 
nel  cammino  deUa  cristiana  parfc 
Puè  ancbe  significar  la  ragioaa  ilh 
nata  dalle  scienze  per  cai  aolo  pnè  e 
aegairsf  il  miglioramento  della  toeiatk. 

57 .  Qnetlm  eoi  non  poter  ee^  QnaUa 
tenebra  eoW  impolenaa  di  cai  è  eagiaM 
rende  tanza  efletto  la  faglia  cba  eia» 
tenna  arrebbe  di  aalira. 

58.  eon  lei,  cioè  eaUa  taBcbra  aoC- 
tnma. 

•0.  Jfemfff  éke  Fmigionie  ee.  In- 
tendi :  mentre  il  tola  tla  aotto  V 
fante. 


\^ 


I 


290  DEL  PUBAATORIO 

Ch'aver  ai  ptò  diletto  dimoranda 

Poco  allnngiti  e'  eravaoi  di  liei, 

Qoand*  io  m*  accorai  che  M  monte  era  scemo, 
K  goiaa  che  i  valloni  sceman  quici. 

Colà,  disse  qoeil'  ombra,  n'  anderemo 
Dove  la  costa  foce  di  sé  grembo, 
E  quivi  '1  noovo  giorno  altenderemo. 

Tra  erto  e  piano  era  un  sentiero  sghembo. 
Che  ne  condusse  in  fianco  della  lacca. 
Là  dove  più  eh'  a  mezzo  muore  il  lembo. 

Oro  ed  argento  fino  e  cocco  e  biacca, 
Indico  legno  lucido  e  aereno, 
Fresco  smeraldo  in  l'ora  che  si  fiacca. 

Dall'  erba  e  dalli  fior  dentro  a  quel  seno 


63 


70 


S4  diHH,  di  n. 

65.  era  tcemo,  era  iBctTato. 

66.  A  guitaehtifttMtmiee.  Come 
le  Talli  neir  «iiiinfenu  da  nei  tbftalo  toi^ 
mano  incavamento. 

68.  face  di  iè  grembo,  fonna  ia  tè 
ttesia  una  cavità,  un  8«*ao  od  monte: 
t'ilitfrna.  Qutrala  cavità ,  come  ai  Vfdrà 
in  apprnao ,  e  rircoadala  anteriurmeirte 
da  un  Irnibo ,  da  no  orlo  rilevato.  Vedi 
la  n»ta  72 

70-7 1  Tra  erto  §  piano  ee.  Il  CnaU 
spiega  :  tra  V  cria  costa  e  le  strada  pie- 
na j  per  la  quale  caniminav.inio ,  era  un 
sentiero  <il»li<|uu ,  lortnueu,  mi  eentiero 
tghemèo ,  rbe  d  cunduwi*  alla  N|iMida 
della  lacca, due drlla camita supniddtiU. 
Ma  Ira  erto  e  piano  putrflibe  enni  ai- 
gnifirare  porle  rrl».  p«irfe  ptono,  qaali 
so({lìiino  fsarr  le  vir  a  travrrstt  i  m<Niti.  E 
qoesl»  mi  pare  il  verno  vero. —  in  /kliH 
eo  delia  laerm,  all'uno  de' lati  di  i|Bflla 
cavita  riicdiare;  ad  una  delle  cklrcmità 
deirwrio  rhe  le  rircunda  rsifiiiH  mente. 

72.  IA  dove  più  ek'  a  messo  ee. , 
cioè,  là  d<ive  il  Iruibu  chi*  cii  i-oudv  quella 
Iacea  mmore ,  vnhi  manco ,  e  i  ilevatu  la 
m(>tà  aif  ni»  che  negli  altri  |Miiiti  di  eaao, 
di  guiu  che  nel  dello  lat»  la  diocesa 
ebo  cunduce  a  qwd  «eoo  e  diddeaima. 
Ma  per  intender  bene  la  fi|pira  di  que- 
sto lutigli,  immaginiaiiHi  che  il  miuIo  del 
girmie  in  eni  liovanai  i  PtHfti,  a  vm  eer- 
to luogo  e  per  una  piccola  estepiinaa 
a'arvnlli,  e  fonm  una  cavila, il  eoi  fondo 
dcriim  paaau  passo  al  mtHile ,  a  a'intar* 
ni  alquanti»  nel  fianco  della  soprastaato 


pandica.  Gò  iauMghiato,  eoraprend^- 
raoM  dia  dal  lato  medio  oppoalo  al  mon- 
te la  ptceula  valle  è  aeopèrta  e  aenza  ri- 
paro  aleoBo,  ma  dai  lati  di  fianco  TÌeoa 
ad  evere  eome  dna  spomle  o  argini,  i 
q«ali  hao  la  loro  maggiore  allena  dove 
81  «uiscono  cid  mimte,  e  di  mano  in 
mano  diminaemlo  andranno  a  perdersi 
nella  parte  anteriore  della  valla  dov'  è 
l'apertura,  a  d'onde  eomincia  il  andò 
ad  avvallare.  Oi  a  si  fissi  l' attcnxione  sa 
qnd  de'  due  lati  della  valla ,  nel  qaala 
aoao  ì  Poeti:  il  pante  intermedio  Ira 
l'origine  di  queirargioe  o  apooda,  a 
rastremila  di  esso,  sarà  quello  ove  P  al- 
latta dd  lombo  amore  a  awssa,  cio4 
toamUee  per  wtetà.  Se  da  qaeslo  aaa- 
losi  pniceda  verso  il  prindpio  delrar- 
Talloiiiento,  e  sin  dove  la  spoada  Boa 
ba  che  riiTa  tre  paMÌ  di  «Itefla,  saraaw 
al  lutiffi»  indicato  dal  Pt>eta  ,  dooo  p^ 
A'  a  tmnut  muore  ii  iembo. 

75  «74  coeeo:  ««cola  d'aa  fratiea 
oade  gli  antichi  tiravano  aa  bd 
^biacra,  iiialeria  d'un  colora 
aimo.  die  si  ottiene  eoa  ano 
ne  diiuiica.  —  /a4ico  Ugno  «e. .-  faaalo 
è  forse  l'ebiino. 

75  Fretro  «maraido.  lat.  :  ame- 
raldo  dflla  uià  fre»ca  e  pia  recealo  sa- 
aarlicir  — ta  l'ora  eh*  §i  fio€tm,  cioè 
m  quel  pantu  die  ai  distacca  peata  da 
peno  lu  c«ital  paniti  la  sua  »aperfiria  è 
pie  liacia  e  di  pie  hi'l  verde.  Il  God.  Po^ 
giali  U.:ge  allóra  dba  fi  fimrem, 

7a.  doniro  et  qwel  wemo,  ia  qaella 
valleiu. 


CANTO  SBTTUIO. 

Posti,  cmnin  sana  di  color  TinlOy 
Come  dal  suo  maggiore  è  vinto  il  meno. 

Non  avea  par  natura  ivi  dipìnto, 
Ma  di  soavità  di  mille  odori 
Vi  foceva  un  incognito  indistinlo. 

Sah^  Bfffma  in  rat  verde  e  in  su'  fiori 
Quindi  seder  cantando  anime  vidi, 
Che  per  la  v^lle  non  parean  di  fuorL 

Prima  che  *1  poro  sole  ornai  s'annidi. 
Cominciò  *ì  Mantovan  che  ci  avea  volti, 
Tra  color  non  vogliate  eh*  io  vi  guidi. 

Da  questo  halxo  meglio  gli  atti  e  i  volti 
Conofrerete  voi  di  tutti  quanti, 
Che  nella  lama  giù  tra  essi  accolti. 

Colui  che  più  siecl*alto,  ed  ha  sembianti 
D*  aver  negletto  ciò  che  far  dovea , 
£  che  non  muove  bocca  agli  altrui  canti, 

Ridolfo  im()erador  fa,  che  polea 

Sanar  le  piaghe  e*  hanno  Italia  morta. 
Sì  che  tardi  per  altri  si  ricrea. 


%9\ 


so 


86 


90 


95 


7T.  citffim.  Int.  di  qneIR  oggetti 
£  il  M  crfarv  èi  sopra  rammentali. 

7f .  «OM  «re*  fmr  natura  ae.  Na- 
tan BMi  ■  era  contentata  di  solamente 
di|wngiiayiel  terreno  di  oo' infinita  ira- 
rfetbdÌMMnjBn  d4*lla««ia«e  fragrama 
di  aiDr  «dcrt  vi  airea  creato  un  rumpo- 
•!•,«■  aiat»,  «mtii(M«ffnlo,  incognito, 
pcrdiè  Balli  avea  di  timile  con  qneln 
dcNn  MaCra  terra. 

aa  Qmtméi,  dal  Inogn  ore  cogli  al- 
tri tf«  vcnntau — 6alrr  Rt^na  r  nna  di- 
Tota  aatilana  in  lode  ilrlU  SS  Vergine 
At  InCtnaM  canta  dopo  il  divino nfficto. 
Oneat*  mmm  appartcng«>no  pare  alla 
qanrii  ciane  di  negligmii:  tdlamenla 
kanao  aa  Inogo  distinto  in  rigvardo  del 
loro  grado  prìncipeiiro. 

84.  Or  per  fa  ralle  te.:  cèe  per 
Mgiaaa  dclfa  cavili  della  valle  mm  ri 
pofaaaa  tadare  dal  Inogo.  fuori  di  ana 
valle,  dal  qaale  noi  erav«m  venali  al 
fianco  della  lacca.  Vedi  il  verso  74 

a5-87  l*HBia  che  'I  poro  $ole  te. 
InlenA  :  il  Mànlnvami  {SiirJcllo)  ehe  e{ 
•reavAlM.  guidali  eoll,c«tminrtò  a  dira: 
aoa  iiagliaM  eW  ia  vi  gnidi  tra  rnlnro 
prima  Ac  qael  poeo  di  ginrnn  che  rì- 
Bana,  fieiaca.  lliaa«o/H  a  cagioaa  del 


cammino  tortaoao,  a  che  qna  a  11  ttì' 
geaai,  pel  <|nale  gli  avea  guidati. 

90  TAen^l/a  lama  ce.  Suttinteodi: 
meglio  che  min  ctinosrereale  se  faale  «^ 
coHi  fra  rasi  già  nella  lama,  cioè  nella 
ralle  ;  pi>irhè  ivi  qndlc  anime  die  pri- 
me ti  ofTiireU»<>ro  agli  occhi  rnstrì, 
T*  imprdirclibero  di  vedere  le  altra  cha 
stan  dietro. 

91  ■  ekt  pie  tlctTallo.  Coma  impe- 
ratore. ^  ed  ha  iemhiamti  Cuti  la 
Kid.  meglio  a  paierniiochrlacom.e/<(i. 

93  rke  non  muore  6ocra,  cioè  che 
non  canta  Safre  Aeytiic,  coma  gli  altri 
fanno 

94 .  Midoifè,  di  Habsborgo,  il  padre 
ddr  imperatore  Atbrrto  d'Austria  ;  del 
qnal  Ri«lulfo dice  il  \ iflant, lib.  VII, 54, 
che  se  avesse  voluto  passare  in  Italia, 
sema  contrasto  n'era  aignora.  Bidolfo 
mon  nel  IS'.tO. 

96  51  cAe  farrfl  te.;  t\  die  il 
•occorso  die  altri  volesse  recare  ali  Ita- 
lia sarfbbr  tardo.  0\«cro:  ti  cba  tar- 
di, fuor  di  tempo,  essendo  ella  ornai 
aorta  dt* Ile  sue  piaghe,  altri  tentare  di 
ricrrarla,di  gnanria.  E  nsato,  coaie  al- 
trove, per  pia  rvidrnza  il  pretante  ti  ri- 
crea por  il  fatare  ti  rierttrd.  E  fttrta 


DEL    FDBCMOniO  1 

L'altro,  cbe  nella  vista  lui  conforta,  ' 

Resse  la  terra  dove  l' arqua  d3»«, 
Cbe  Molla  in  Albia,  ed  Albia  in  mar  ne  porla: 

OUachèro  ebbe  nome,  e  nelle  fasce 

Fu  meglio  assai  che  Vincislao  suo  6g1io 
Barbuto,  cui  lussuria  ed  ozio  pasce. 

E  qnel  Nasello,  che  stretto  a  consiglio 
Par  con  colui  e'  ha  si  benigno  aspetto, 
Mori  fuggendo  e  diiìlìorando  il  giglio: 

Guardale  là,  come  si  batte  il  petto. 

L' altro  vedete  e'  ha  fallo  alla  gnaocia 
Delle  sua  palma,  sospirando,  letto. 

Padre  e  suonerò  son  dei  mal  di  Francia: 
Sanno  la  vita  sna  viziala  e  lorda, 
E  quindi  viene  il  duo)  cbe  si  li  lancia. 

Quel  che  par  si  roerabrulo,  e  che  s' accorda 


Allro 


di  Ani^di      barbi  MUcI 


iiiba 


I 


«»™'*"Ili.«lia      a-     .       • 

■an  II  soglia,  «111  aa  ne  la,  *  tOBtkiH 
a^Kltar*  Gnclti  rwl  folilliili  (an  gin  11 
Vnipa  IM  I*  riparti,  nidaira  putini, 
>oa  lolla;  Arrigo  micia,  bob  pi>l«. 

9'.  tht  Ulti»  villa  Imi  cim/'Drìa.- 
alwni<alradÌeoi.I<»UrlD. 

)8-«l.  Reiu  la  Urrà  h..  cìdì  li 

llulUD'Hul<1»i,riu 


JiNiivaiT«,>)>llt>ilCi 


l-ri|D  01 


«■«(uggirBiPam- 
cUiando  far  --■-"- 


Francia,  cbe  bi  per  ilraina  il  mUo. 

106  comt  ti  tali*  il  pillo,  li  M- 
gioMdi  ,iù  tidillil  «no  110. 

107-IOS  l.allra,  cioè  it  Mpr*Ì- 
dotlo  Arrida  III  re  t<  Nifim.  — la 
falla  alla  oianeia  ce  .-  mpiniida  il 
r.llo  .ppuiTBi-  di  "■•  dell,  «w  pitM 
alla  dDincii'  Quoto  à  alla  di  cbi  t 


L 


^Otl-^a'ì.e luat  faia.  Inlandl 
bhI''  iperboli,  dii  dmgliitiiìMofii 

■ao  ii|[io  V^yio'd' 


nlli 


t'hiama  Filipmi  il  Srllo,  ed  *  «fro- 
lli .  li  latHia,  gli  IrapiMa,  |U  b- 
4I2-M9.  (^  e**  farti  wtm. 


CAUTO  SETTIMO* 


tn 


CanlaDdo  con  colai  dal  maschio  naso, 

D*ogni  valor  portò  cinta  la  corda. 
E  se  re  dopo  Ini  fosse  rimaso  iU 

Lo  giovinetto  che  retro  a  Ini  siede. 

Bene  andava  il  valor  di  vaso  in  vaso; 
Che  non  si  pnote  dir  dell*  altre  redo. 

Jacomo  e  Federigo  hanno  i  reami: 

Del  retaggio  miglior  nessnn  possiede.  m 

Rade  volte  risarge  per  li  rami 

L*  omana  probitate:  e  qnesto  vnole 

Quei  che  la  dà,  perchè  da  lai  si  chiami 
Anco  al  Nasuto  vanno  mie  parole 

(Non  men  eh*  all'  altro,  Pier,  che  con  Ini  canta),  m 

Onde  Paglia  e  Proenza  già  si  doole. 
Tant*  è  del  seroe  sno  minor  la  pianta,  '^ 

4\9.  Jmeomo  m.  Intendi:  Jocomm 
e  Fcdtrìgo.  scinoli  di  PiaCro  III,  h^wam 
ì  rMmì  •olamcDto,  il  primo  l'Aragona, 
l' altro  la  Sieilia,  ma  naaiva  di  loro  poa* 
ùada  reradiU  misliora,  cioè  la  Tir  là 
patema.  Il  Bnti  ha:  ma*l  rttmg^Ì9 
wtiglior. 

42M25.  Rad»  aollé  ritwrg§  «e. 
Rada  yolte  1*  umana  probità  dal  tronco 
•ale  nei  rami,  doè  rada  Tolte  dagli  ati 
paaM  ai  nipoti  ;  e  mietto  Tnola  Dio, 
perchè  da  mi  ti  ektawU^  a  Ini  ai  do> 
mandi,  che  è  fonte  d'ogni  TÌrtè,  a  da 
cni  ado  ?iana  all'anima  la  vara  nohil- 
tk,  U  Tara  grand<va,  non  dai  nateli,  « 
né  dai  tnperhi  titoli. 

424.  a<JV(u«fo,  detto  disopra,  cioè 
a  CarloI  re  di  Sicilia. —  iiti§  parole.  In* 
tendi  :  intomo  ai  figli  degeneranti. 

125.  ck§  eom  M,  cioè,  con 
Carlo  nasuto. 

126.  Onde  Puglia:  cioè,  per 

Ha  a  Pm 


Pietre  III.  che  In  £ 
membra:  in  coronato 
p.—  1.^1  4276  :  ebbe  in  moglie 
figlia  di  Manfredi,  ed  oecnpò 
éofa  i  faBMai  Teapri.  Sa  ne  è 
mtka  altrota. — che  Raccorda 
ìtmda,  che  canto  te  Sahe  Regina 
•aW  dal  maachio  naso,  doè  con 
Orla  tradì  SiaiUa.  Credcai  per  alami, 
»,  aaaottdo  che  è  più  o  meno 
,  ai  poasa  argomentare  la 
•  minore  fona  firila. 
144.  Vagni  valor  te.  La  corda 
dilli  ai  lombi .  come  notammo  altroTo, 
è  mabole  adla  Sacre  Carte  di  alcuna 
fisti  prolmaate ,  e  per  lungo  oso  fatte 
fwd  sntare.  Onde  qui  si  tuoI  dira  che 
aiW,  Pietro  HI,  andò  cinto  d'ogni 
■amara  di  Talora ,  ebbe  ogni  virlà. 
444.£tf  gtoHnetto.  l'ielro  111  ebbe 

Cifra  figlinoli  :  AlfonsOf  Jacopo,  F^ 
go  e  Pietro.  Crede  il  Coste  die  il 
gieTUMlto  aecennat»  sia  Pietro,  che  non 
aneeaaM  in  aK-nno  dei  reami  patemi  :  io 
paiòion  d'aTvisocbe  yoglia  dire  d'Alu»a> 
ao,  il  primogenito,  che  n«l  1285  soceea- 
aa  al  padre  nel  regno  d'Aragona,  e  mork 
seau  figli  nel  12u4  nella  fresca  ctè  di 
29 anni.  L'eapreasioae  fot$9  rimato  fa- 
voriaee,  a  parer  mio,  queste  spiegan«»na« 

4 17.  di  ra<o  in  voto.  Int.  metefo» 
rie.,  di  padre  in  figliuolo,  di  re  in  re. 

448.  Cito  non  ti  pnote  dir  te.  Il 
che  non  si  può  dire  cmere  aTtanoto  d^ 
gli  altri  ercni. 


giona  del  qnal  Cartel.  Pugli.  «.  .w.,^^ 
la  si  dolgono  del  mal  governo  che  na 
fanno  i  dlie«*ndcnti  di  lui.  Int.  Carlo  II. 
427-129.  Tante  del  teme  ee.Tauto 
la  piemia,  il  generato,  Carlo  II,  è  mi- 
nore del  generante,  Carlo  I,  quanto  Co- 
stenu  tt  Tante  anc'oggi  (poiché  nel  1 50# 
ara  sempre  viva)  di  marito,  pia  che  aoa 
aa  na  Tanteno  Bcatrìca  a  Margharite; 
doè,  tento  peggiore  è  Carlo  II  di  Car» 
to  I,  quanto  di  costui  fu  migliore  Pia» 
tra  III.  Insomma  t*  è  tento  dÌTarìo  ta 
bonU  tra  Carlo  il  e  Carlo  I,  quanto  «a 


t94 


DEL  PmUSAIOftlO 


Qatnto,  piò  che  Beatrice  e  Margherita, 

Grostaaza  di  manto  ancor  si  vanta. 
Vedete  il  re  della  aemplioe  vita  m 

Seder  là  solo,  Arrigo  d' Inghilterra; 

Questi  ila  ne*  rami  soci  migliore  necita. 
Quel  che  più  basso  tra  costor  s' atterra, 

Goardando  in  suso,  è  Goglielmo  marchese, 

Per  cui  e  Alessandria  e  la  soa  guerra  m 

Fa  pianger  Monferrato  a  il  Canavese. 

n'era  tra  qnctl'  oIUom  •  Pietro  IP  Ara-     bsooe  ra,  il  ^ale  feee  gran  coee.  Qne- 


fona.  Pietro  d'Anneoa  ebbe  in  niof lie 
Coftanxa  Bglia  di  Manfredi;  e  Carlo  I 
d'Aogiò  fa  marito  da  prima  di  Bealriee 
Sglia  del  conte  Reinnndo  di  Provenia. 
e  poi  di  Margherita  Sglia  dMInde  dncn  di 
Borgogna,  rorae  il  Poela  ba  nominato 
eoa)  queeU  dna  prinripi  per  le  loro  con- 
torti, volendo  moetrarli  ancbe  dal  lato 
deUe  Tirtà  deoMalicbe  e  delle  fentiUna 
dell' enÌDo,  di  cai  le  aMgli  aoao  per 
l'erdiaario  migliiiri  giodia.  Molti  eo- 
Bentatori.  tra*  qnali  il  Ceaia ,  crcduno 
ebe  Beeinee  e  Margberiui  licno  le  dne 
Sglie  del  eonte  di  Pioverne  meritate, 
la  prima,  come  a' è  dettola  Carlo  d*  An- 
«ò,  r altre  e  Sen  Luigi  fratello  di  Ini. 
Ma  eam' entra  qai  San  Luigi  ?  Altri  la 
anppeaero  le  mugli  de' due  Aragunen 
Jacopo  e  Federiga  ;  me  eltrecbe  ai  fa- 
rebbe ripetera  al  Poeta  nn  eooceUo  gik 
eannzieto  di  «opra,  aappiamo  dall' iit<^ 
ria  cbe  mtiglie  a  Jecopi»  fu  Bianra,  e  a 
Tederigo  Eleonora ,  nglie  ambodne  di 
Carlo  II. 

\Z\.  Irrigo.  Arrigo  III  d'Inghil- 
terra, figlinolo  di  Giovanni,  fn  tfmulica 
■omo  e  di  buona  Cede, a  padre  d'GJnai^ 
do  I ,  cbe ,  ticcome  dice  il  Vdlam ,  fa 


af  Arrigo  fn  poeo  alto  alle  cose  dt* I  go- 
verno, tanto  cne  il  tuo  regno  fn  turbale 
da  tumulti  e  da  aedìiioni,  e  nel  1258 
i  baroni ,  ebe  aveano  alla  tetta  il  conte 
dfi  Leiocater,  gli  ai  ribellarono,  ed  ri  ne 
reato  vinte  e  fatto  prigione,  finché  il 
figlio  Io  liberò  e  gli  reatitni  il  trono.  — > 
Sed9r  ié  toi».  Dice  aolo  per  eianificAra 
dM  i  ra  di  semplici  eoetamà  e  li  bnou 
fede  tono  eeaei  rari.  Gfaccr  Ié  9ot§ 
legge  il  Cod  Poggiali. 

i32.  ka...  migliore  «arite.  Intea 
di:  è  più  Mire  di  Pietra  e  di  Carlo  I 
nei  enoi  rami,  cioè  nella  ana  pref  i^  ; 
porohè  Odnerdo  tno  figlio  fa  gran  prin- 
àpe,  ed  aggiunie  all'  Inglnllem  il  pti^ 
cipato  di  Gallea. 

453.  Quel  ek§  pie  batm  «e.  Gi- 
glielmo ,  miircbeae  di  Monferrato,  per 
Don  ewrra  di  aengne  reale  è  ^  poeto 
più  bantu  ileyli  altri.  Costai  fn  niaae  da 

Snelli  di  Alessandria  delle  Peglia,  e  lia- 
binso  in  una  gabbia,  dove  mon  ik  d^ 
lorc  nel  42u2.  Sego)  onindi  ana  goerra 
crndclr  ira  gli  Alessandrini  ed  i  figlinoli 
del  niarcliese,  ot^lla  ijnele  cbber  la  p^ 
gio  quei  del  Muuferrato  e  del  Caaavese 
ékie  suatcaevan  la  eaaaa  dm  lem  aigoori. 


CJkXVO  OTTAirO* 


riM*  !■  strm,  «  émt  ^«««fi  sttmémm  4mt  Ci0f  m  fuarMm  éettm  vadt  Arf  màUtm   ttrft 

mHU  imstétmlm.  Ntllm  ^usié  tmoUrwim  fr«  ittmkrt  •  Tarn,  natmatee  rjhgàitn  Ihmét^f'i- 

tt  et  Pisa,  mm  «Mi  M  trmmtma  ai^ummm  fmftmmmmém   B»t'^  m  fwwi»  ttmifo  tt  »«ft,  •  ffM  Jl^ 

M  rfi  avMaia*  rpMNi,  •  «at  sttm  mmttm  rf«U*  «ft  I»  fmtmitm.  Dstm  «è.  mmift  m  Dm0r  Cm/^ 

Miimi^'ud^iad*mé»mmu99  4«àamifmmfmUà  niyrft  il  IW««  Mo  ■•  MTammim  rfl 

mC« 


Era  già  T  ora  che  Tolge  il  disio 
Ai  naviganti  e  intenerisce  il  core, 

1-6  Era  già  Form  te.  Coelr.:  Era  già  fora  che  volge  il  ditio  e  imiem^ 


CAlfTO  OTTAVO. 


295 


IO 


15 


Lo  dr  e'  blu  deuo  a*  dolci  tmid  addio; 
E  che  io  novo  peregrìn  d*  amore 

Punge,  ae  ode  squilla  di  lontano, 

Che  paia  il  giorno  pianger  che  si  muore: 
Qnand'  io  incominciai  a  render  vano 

L*  adire,  ed  a  mirare  mia  deir  alme 

Snrta,  che  i'  ascoltar  cbicdea  con  mano. 
Ella  gianfo  e  levò  ambo  le  palme. 

Ficcando  gli  occhi  verso  l' oriente, 

Come  dicesse  a  Dio:  D*  altro  non  calme. 
Te  lueii  anie  si  divotamente 

Le  osci  di  bocca,  e  con  si  dolci  note, 

Che  lece  me  a  me  oscir  di  monte. 
E  r  altre  poi  dolcemente  e  divote 

Seguitar  lei  por  tutto  l' inno  intero, 

Avendo  gli  occhi  alle  superne  ruote. 

lentN»,  cMÌccbè  rtità  quello  per  me  an 
MDMivano. 

9.  Suria,  «laUii  ia  piedi.  Qnrlle 
aiiiaie,  rtmie  è  drtto,  MdnaiM  in  sul 
vci  d«  e  ìd  MI  i  fiorì. — chgVmMeoUmree., 
che  rolla  meno  Cereve  eeono  alle  altre 
accittrcbv  i' ■«ciilU«eere. 

tO.  Sllm  gi%tm»t^  éìt  do)  iaeieflw; 
•  Uro,  rd  allò  le  mani  :  è  l'aUefgia- 
laente  di  clii  prrf»a. 

1 1  «erw  /'  f»Heftli.  Gli  •■liehi  cri- 
eliaai,  orando  la  nuile,  volgevaoo  la  bc- 
eta 


4t  nuore  mi  ntniganli.  Lo  <H  (ta 
faci  gìanifi)  eh^hmn  dello  euLlin  adnM 
maM,eeh»pumgeémmereilmnrop0- 
fw§nmm,m edw  ec.  llepMMrrdi>lla  luee, 
i  dorano  én  latto  il  rrratii  fa  ai  che  le 
imai|ÌBÌ  drilc  eaae  piò  rare  rìtiinmio 
^ìfemme  •ll'amnio.  l'errìò  dirr  il  Pnela 
Af  ««fseirora  (1*  ultima  di>l  iptirim) 
Af  lalaBcrnce  il  rvure  ai  dh vigenti , 
dartaadvTi  il  drtidrrio  dr|;li  amiri  a 
wm  kaa  detto  addio  ^elto  kiraao  di  ;  e 
cW  panffi  d'  amore  il  nmHIo  viaa- 
èmtUtj  nné  fti  fa  arutire  un  m4*lanco- 
■■••  Jaridtna  «lei  laonati  runijiniiti  ed 
aaìcì,  «V  ode  da  Innfp  il  ««uno  di  al- 
ana  cmipaoa.  La  rampane  a  r«i  si 
eval  aeminare ,  è  <|ueila  *  hr  invita  aU 
rjw  Mmrim  della  «ira.  e  rlie  vera- 
■MSCe  adita  in  qnaUlir  «iistiin/a  i|uando 
•fin  eaaa  ti  lare,  e  l'ofiilira  s'a«aii/a, 
pare  cW  pianj^  il  gi«»rno  die  finisce, 
••de  ai  aolilano  «iaiulantr  s'ereri^are 
la  BiettiEia,  e  il  dnidcno  lidla  tara  pa- 
tria ■  Cile  Mie^ ita,  rhe  incanto  di  pitraia  I 
C  q«i  ti  ncAi  come  l'AlijbHni  Don  Milo 
lìipilla  ffrligieaamente  i  dnmmi  fMla 
S.  Cfciaw ,  HM  anca  le  pie  erede  me  e  le 
di«i4e  unaeinanfa,  da  cai  a  tempo  ta 
trar  partito  per  ìulareaMre  il  c«ere  dei 
•«•«  leggilon. 

7-a  mrmdrrtmmVmàirw.CMk^ 
t  Doa  adir  pia  eoaa  air  una  ;  o  qaaado  il 
■io  «dito  non  fo  pio  efleCtn  da  •■•ao 
alcano,  a  cagiuae  del  tn|iraTTeflulo  ti- 


poi 


a  i|iiella  parte  doade  nasre  il  ade, 
•'he    (■•cieiilera\ano  il    aole   orteate 
eoRie  nimlitilo  di  <ì*iii  Criato,  hatoratore 
della  natura  aniana  rorroltadal  peccalo. 

12  wm  emltmét  noa  calmi,  noa  mi 
raro  d'  altro  che  di  pacato  biìmIìco 
orirmte, 

13  Te  lurii  mnU,  è  V  inno  che  si 
eanta  ibllat^ieM  nell'ultima  parte  del- 
ruflinn«li«imi,  che  direM  rumpieta. 

17  />er  ImIIo/' inno  intera.  La  pr^ 
ghiera  rontenula  nella  aeconda  alrofa 
dfirinoo  fio  Olio  eoBvrnivaai  earto  a 
•luelle  anime  libere  timai  dalla  earm- 
Dfiue  della  materia  ;  ma  lo  faUM  etia 
per  ^lei  rhe  «iino  ancora  in  vito.aap^ 
riatmenle  pei  grandi,  che  viveooo,  co- 
ni'eoii  un  it'nipo,  tra  gli  agi  e  le  daliiie, 
tiioo  più  e«p«>»ti  agl(  aMalli  dello  ipirito 
di  losMiria    Ma  %rdi  Milto  la  noia  19. 

18.  cfieiafNnie mole,  alle roiauli 
flfere  rrlcvtt,  al  rii'Io. 


Agniza  qni,  letlor,  ben  gli  occhi  al  vero, 
Cile  il  velo  è  ora  ben  tanto  sottile, 
Certo,  che  'I  trapassar  dentro  è  leggicj 

Pvidi  quello  esercito  gentile 
Tacilo  poscia  riguardar  in  eue, 
Qoasj  aspettando  pallido  ed  amile: 

E  vidi  uscir  dell'  alto,  e  scender  giu6 
Due  angeli  con  duo  spade  aETorate, 
Tronche  e  privale  delle  punte  sue- 

Verdi,  come  foglielle  pur  mo  nate, 
Erano  in  te^te,  che  da  verdi  penna 
e  iraÉn  dietro  e  ventilale. 


L'un  poco  sovr  a  noi  a  star  st  venne, 
E  l' altro  scese  nell'  opposta  sponda, 
SI  che  la  gente  io  mezzo  si  contenne 

Ben  disccmeva  in  lor  la  testa  bionda; 
Ha  nelle  facce  l'occhio  si  smarria, 


eDifioU  dclli  vuiiHiB  (he  urna  p<r  D4r 
rirli  ;  pircioccUilMDwnuiriliili  ou 
(icilmrtilc  li  put   psiulrtr*.  Ui  dil 


I 


TcnkurB  ■  ilihutuls  dijli  uultì  dd- 
l'inlcroili  urpeoU,  cb'igii  ftrttim 

Ilio  IcEgc  il  CoiTacL 

37.  pHralf  dttU  fwib  (m  D>m 
priY.!»  .d.ll..piiule  .ne,  P.r  .igo.fir«. 
ella  li  gmUitu  ilimiii,  ilijli  quili  •sdii 
■ìitiliBlo  iiueilt  eplilt,  HDD  t  mù  dii- 


Derno  dice,  che  nella  dae  >ped»  .pan- 

qai  topn  sp»U.  Straudo  lo»  hl»- 

leu  degli  engeli  »bo  Gfarali  i  rìmtdj 

utlilt.  ebe  Hiui  ODI  t>iI>  dqIId  ■roU 

UDO   ■olaintDla   foEire.  <■«>  tpooge- 

>  peDetnU*  *  hcilg  pMMr  olirà  Hon 
tntrlJrla,  •  ipp<ll>rii  o«t  kidjiIki  ko- 

re.  E  ti  tugano  »ll'  ocaiiona,  aiutale 

w  iMI>  IvIUra.  Me  qnnu  u  cbiimie- 

Anteli. 

nkb*  «  Tolet  Ironie  il  ptl  ■•li'  uo». 

28-29.  Ttréi  tt.  Tmlì  tm*  in 

B  ohe  UH  Ji  sia  nelDrelt  clioanErlira 

vt$U,  dica  «m  h(l  modo  portin,  iaien 
di  dira:  Tardi  a>e*aiio  la  teili.  Ttllt 

il  Idton  cb*  «Ilo  le  dt»n.i.^.  <he  w- 

p*  iti  diiflio  one  dotIr.n.  o  o»  .roso 

(>1»r.  por  «,,1.  ~  tome  fottiMp^r 

fat  Btntttv  fetilniiHile,  twnds  l'it 
legarnneiuiieiint  >l  »»»  propr»!  E 

U  inda,  come  cieuuD  ea,  a  dabolo 

«Mio  UTOmuo  0  biU'e  irmele  uii 
nlaiieiw  illa  «h Jiiio»,  il  pcricDli:*! 

reuu  e  ennlurler  doelle  aoiiBa. 

2U-3D.  cto  <b  verdi  pni  Pfr- 

«ni.  Aé  prìKipi,  »ll.  p.Je-B^tila, 
qMl  <ha  «'dcurìia  di  loro  i>,:lla  •«[■ 
MU  drl  Piipse  Iorio. 

etnitt  C«i™i«tieinlcndi;C*«  IrWx 

dulro  pcrniit  <  cmlilola  da  «rJt 

ptnKt.  oio*.  (ba  Iraexui  di'ira  bal- 

M  pie«ia»p*i;«iuloM.,tÌ(^«pi-t- 

«ule    a   agiUK  per  l'aria  dati*   loro 

lud..  umiltDenlc  gli  aaucli  dil  cÌoU  cha 

tcrdi  ale. 

CANTO  OTTÀTO. 

Come  Tirtù  eh*  a  troppo  si  confonda. 

Ambo  TOgnon  del  grembo  di  Maria, 
Disse  Sordello,  a  guardia  della  valle. 
Per  lo  serpente  che  verrà  via  via. 

Ond'  io  che  non  sapeva  per  qoal  calle. 
Mi  volsi  intomo,  e  stretto  m' accostai 
Tutto  gelato  alle  fidate  spalle. 

E  Sordello  anche:  Ora  avvalliamo  ornai 
Tra  le  grandi  ombre,  e  parleremo  ad  esse: 
Grazioso  fia  lor  vedervi  assai. 

Solo  tre  passi  credo  eh*  io  scendesse, 
E  fui  di  sotto,  e  vidi  un  che  mirava 
Pur  me,  come  conoscer  mi  volesse. 

Tempo  era  già  che  l' aer  s' annerava. 
Ma  non  si,  che  tra  gli  occhi  suoi  e'  miei 
Non  dichiarasse  ciò  che  pria  serrava. 

Ter  me  si  lisce,  ed  io  ver  lui  mi  fei: 
Giudice  Nin  gentil,  quanto  mi  piacque. 
Quando  ti  vidi  non  esser  tra'  rei  ! 

Nullo  bel  salutar  tra  noi  si  tacque: 
Poi  dimandò:  Quanl'è  che  tu  venisti 
Appiè  del  monte  per  le  lontane  acque? 


897 


40 


46 


50 


65 


1$.  Com»  vir(*  «e.  •  Omnti  «e»- 
tmtuptrmuUa  cofrumpil  «e»- 

•  4ÌM  knsMUXt.  Ona  troppo  viva 
■■  troppo  forte  odore,  no  toooo 

gagliardo  ce.,  offendono  il  ro- 

•  organo,  e  ne  confoodooo  la 
,  vitiva,  olfattoria,  acustica  ae. 

87.  M  grembo  di  Maria,  cioè  da 
fati  laago  del  ciclo,  ove  siede  Maria. 
WÈtfira  di  poritè. — Vedi  il  tuolnugo  nel 


..  Canto  XXII. 

sé.  Ptr  lo  ierpenlé,  per  cagiona 
M    acrpenta.  0D4e  iropeoirgli  di  far 
inaile  anime.  La  valletta 


ita  di  o4loroai  Cori  umbuleggia  pro- 
baUtnaatef  com'bo  «ccennato,  la  tem- 
perai dgnoria;  il  terpé,  le  inaidìe  e  i  pò. 
ricoli  d'ogni  maniera  che  la  circondano, 
•ad*  apeiao  impallidistono  i  aavì  prin- 

2*  qnaado  pii  lo  fluito  volgo  gì'  lovi- 
.  —  9ia  via,  cioè  subito  subito,  in- 
coatanenta. 

40.  perfual  eaUi.Sottiataoiì:  do- 
Tcaar  venire. 

43  c/la /Uklc  apoi/^.  alle  tpidla  di 
Tirgilio,  nel  quale  io  confidava. 


43.  E  SordtUo  ancho:  cioè,  a  Sor- 
dello  di  nuovo  parlando  diaaa.  —  ao- 
vaUiamo^  cioè,  scendiamo  nella  valle. 

45.  Gfaxioto  fia  hr  «e.  Grato  as- 
sai fia  loro  il  vedervi  ;  puiebè  ali  uomini 
illustri  ffodooo  di  vedere  a  ai  udirà  i 
poeti,  dai  quali  possono  ottener  fama 
nel  mondo. 

48.  Pur  ma,  solo  me. 

49-51 .  Vaer  t'annerava  ee.  ini.  : 
l'aera  si  oscurava,  ma  non  tanto  cIm 
non  mi  dichiarattet  facesse  chisro, 
lasciasse  vedere  cto  che  pria  serrava, 
eie  cbe  prima  teneva  chiuso,  impediva , 
doé  lo  scambievole  riceooadmento. 

55.  Giudice  Nin.  Nino,  della  casa 
Visconti  di  Pisa,  sladica  nel  giudicalo 
di  Gallura  in  Saniegna,  capo  di  paria 
guelfa,  nipote  del  conte  (wolino  della 
Gberardesca.  Fu  egli  nel  1288  cacciato 
di  Pisa,  e  mori  in  seguito  guerreggian- 
do contro  i  Pisani.  Dante  lo  avaa  cono- 
sdoto  air  assedio  del  caatallo  di  Caprona 
Bal42UO. 

57.  per  le  loalana  aciiae:  per  si 
lungo  traii9  d'  acque ,  cioè  dalla  foca 


^98  ABL  POEGATORIO 

Ohi  dissi  luì,  per  entro  i  luoghi  tristi 
Venni  stamane,  e  sono  in  prima  vita. 
Ancor  che  1*  altra  si  andando  acquisti. 

B  come  fo  la  mìa  risposta  udita, 

Sordello  ed  egli  indietro  si  raccolse, 
Come  ^nte  di  subito  smarrita. 

L*  uno  a  Virgilio,  e  l*  altro  ad  un  si  ro\^ 
Che  sedea  li,  gridando.  Su,  Currado, 
Tieni  a  veder  che  Dio  per  grazia  volse. 

Poi  volto  a  me:  Per  quel  singnlar  grado, 
Che  tu  dèi  a  colui,  che  sì  nasconde 
Lo  suo  primo  perchè,  che  non  gli  è  guudo, 

Quando  sarai  di  là  dalle  larghe  onde. 
Di  a  Giovanna  mia,  che  per  me  chiami 
Là  dove  agi*  innocenti  si  risponde. 

Non  credo  che  la  sua  madre  più  m'ami. 
Poscia  che  trasmutò  le  bianche  bende, 
Le  quai  convien  che  misera  ancor  bramì. 

Per  lei  assai  dì  lieve  si  comprende, 

del  Tevere  Coo  al  monte  del  Pvgtlorì». 
Vedi  Canto  II,  T.  100  e  erg. 

58.  Oh  !  disti  lui,  per  •miro  i  fiw- 
ghi  tristi  §e.  Non  ptr  l'tHide  ch«  to 
credi,  ma  IraTenanau  1*  Infero**  giiinii 

Jni  stamane.  Voh!  è  on'esclamaiìoue 
i  maraviglia  peoatodo  al  cammiao  da 
Ini  fatto. 

59.  in  primM  vila,  nella  vita  mor- 
iala. 

CO.  Ancor  che  Valtra^  ancor  cbe 
l'altra  vita  immortale,  ti  andando,  fa- 
cendo questo  ^iaRgio,  aeqnitti,  mi  pro- 
cacci, in  \irlà  delle  cuav  rhe  imparo. 

62.  Sordello  ed  egli  §e.  Sordrllo 
non  s'era  per  aocbe  accolto  che  Daota 
ara  vivo. 

66.  Vieni  a  reder  te.  Vieni  a  t^ 
dere  che  cusa  Iddio  {ler  sua  grazia  vol- 
le, citte  che  an  nomo  veoiaae  vivo  fra 
l'ombre  de' morti. 

67.  grado,  riconosrenra. 
6'J   Lo  tìio  priwM  perchè,  cioè  la 

tna  prima  cagione,  o  ragione  di  opera- 
ra.  —  che  non  gli  i  guado  te  Inten- 
di :  ti  che  nun  vi  è  rondo  di  guadare,  di 
penetrare  sino  a  qnel  perthè,  —  gli 
vale  ri. 

70.  di  là  dalle  largho  onit,  di  là 
dal  va»t(>  mare  che  ciroiniUi  il  uivota  del 


66 


70 


76 


no\  cioè  nel  BMwdo,  aell'* 
tfarfo  abitato  dagli  nomiiii. 

74.  GioKomnm,  figlinola  di  Nino  del 
Viscouti  di  Pi»a  e  moglie  di  Riccardo  da 
Camino,  Trivigiano. — cKeporwttthim' 
mi,  che  per  me  preghi. 

72  Là  éote  ogrimuiotinH  te.  In- 
tendi :  U  su  nel  cieiOf  ove  è  aacultata  la 
voce  degrmnticcnti.  Benvonaloda  Inii  !a 
alla  paiola  innocenti  chioaa  :  poiché  ri 'a 
era  fanciulla  e  vergine.  Forse  fa  data  in 
moglie  a  Hicrardu  dopo  il  4300  a  dnpo 
'la  morte  di*l  padre  suo. 

73  la  sua  madre:  Beatrìco  Sfar» 
chesolta,  moglie  di  Nino  e  ptiacia  di  Ga- 
leaziu  Vibcunti  di  Milano,  il  matrlino- 
oio  di  Bi'utrice  col  Viacooti  avveuna 
nel  1300  Bcatiice  aveva  allora  S2aooi, 
e  Galeazzo  soli  23. 

74.  Solevano  la  vedove  cnifer>i  il 
capo  di  bianche  bende  in  segno  di  cor- 
roi'cio.  InU'udi  dunque:  trtammìò  lo 
bianche  bentie  in  altre  di  gaio  colore  ; 
passò  dallo  stato  veilovile  ao  altre  nor/e. 

75  Le  quai  cònvion  che  miurtL 
ancor  brami,  per  non  trovarsi  troppo 
J>ene  col  nuovo  marito. 

76-78  Per  lei  oMMoi  di  lieve  te  In 
qneslo  ternario  morde  cou  bel  nui!i>  'a 
leggerezia  a  incottanxa  delle  donne,  m 


CAirro  onrA"TO. 

QmdId  In  llBimiiiiia  feeco  d*  amor  dura, 
Se  r  occhio  o  il  tatto  spesso  nel  raci-ende. 

Non  le  farà  si  beila  sepoltura 

La  Tìpera  che  il  Meiane^e  accampa, 
Com*  avria  fatto  il  gallo  di  Gallwa. 

Cosi  dicea»  segnato  della  stampa 
Nel  soo  aspetto  di  quel  dritto  zelo, 
Che  misarata mente  in  core  avvampa. 

Gli  occhi  miei  ghiotti  andavan  pure  ai  cio\o. 
Por  là  dove  le  stelle  son  più  tarde, 
Si  come  ruota  più  presso  allo  stela 

E  il  Duca  mio  :  Figliiiol,  che  lassù  gnardeV 
Ed  io  a  lai:  A  quelle  Ire  fecelle , 
Di  che  il  polo  di  qua  tutto  quanto  arda 

Ed  egli  a  me:  Le  quattro  chiare  stelle 
Che  vederi  staman,  son  di  là  basse, 
E  queste  son  salite  ov*eran  quelle. 

Com'  ei  parlava,  e  Sordello  a  sé  *1  tra<ise 
Dicendo:  Vedi  li  *l  nostro  avversano; 
E  drizzò  *1  dito,  perché  m  là  guatasse. 

Da  quella  parte,  onde  non  ha  riparo 
La  picciola  vallea,  era  una  biscia, 


iqQ 


80 


ti 


■Ìp9  !•  fii  3  prwraie  •  il  ncmm  pr»- 
irit  ■!  pmmCo  «  al  lontano 


Lfl  riperm  rke  il  Mrlmum  me- 
ì.  La  vipera  che  il  \  ÌKcuati  mrtte 
mI  MOipo  ^1  MIO  fudii  E  iMilii  die  sa 
i  HBolcrì  ai  aciilpierc  l'arme  della  fa- 
■iglu  a  cai  apparlcooe  il  lepiilto  Or 
b  vipera  ral  aepnlcro  «li  Heatrire  alle- 
ritaaJo  il  avo  ptico  am«tre  «lU  nieinnria 
M  piiaa  marilo,  a  la  ooo  tinppa  coo- 
aanita,  aarebbe  alata  men  bello  orna* 
■colo  cbe  il  gallo ,  rh'  avrebbe  rantalo 
!■  aaa  voHorìla  miMlestia  e  fi-deltà.  II 
àmìtnte  marito  ti  «ppflU  alla  Icnba , 
ftrAè  aolo  ooalche  tempo  ilopo  la  loro 
■•rie  ai  lìoJica  il  ìraro  de' potenti,  a  ai 

ai  tf  golfo,  ttemiM  dì  Nino  do* 
éki  di  Gmllura. 

91  irgnato  deUm  ttmmpm,  improBO 
■d  folto  dell 'impronta  ce. 

aS.  di  quei  dWflo  telo  ««.:  di  qael 
gìsalo  Belo  rbe  avv«in|>a,  aia  eoa  ni- 
fva,  rome  asola  ia  culai  rho  parla 
moaao  da  ragiona  o  da  virtù ,  aao  da 
ira  o  odio. 


85.  ghÌ4>tH,  cioè  aridi. 

ae  Pur  là,  aolaoMaU  là. —dora 
la  atelU  ee.,  ami  vano  il  polo  aatar- 
lieo,  ove  t'Hpporenlo  nviduaiooo  dri!  ; 
alella,  faccndiai  per  iapaiio  pia  mi:  • 
di  qoelln  IO  eha  ai  firano  la  alalie  f  <- 
ÒBo  aireoaainro,  è  a»aai  loota. 

a? .  si  €»m9  mola,  ce.:  sicromc  1^ 
parti  della  ruota  rhe  sono  piò  pnai»o 
mll»  cfcto.  eM»e  all'aac,  d  peraa. 

89.  quetU  Ira  fmeeUe.  (^cOc  sua  a 
U  alfe  dell' Endaoo,  della  Nave  «  4. 1 
Paarc  d'  oro.  Alteforicanteotc  po<4«iaii 
^arste  tro  atdic  sigailìrare  le  Ire  «ittti 
teolugKbo,  cbc  si  mtatraa  la  aera,  par- 
cba  fucata  è  pia  atta  al  raccogliiiK  iito 
a  alla  conlemplaciooa.  L'altra  «{a^Uro 
riguardano  la  vita  operatÌTa,  e  pere  si 
vadooo  al  asalliao. 

87  Da  qitM»  pmri»  anda  ■»•  ha 
ripara:  laieodi  la  parie  oppiala  al 
■onte,  oasia  la  parla  aalariorc  d^lla 
vallette  Vedi  la  Btite  72  dd  Caato  pra* 
cedrate.  Allegor. .  il  teotelora  ci  aiaa!a 
taospra  dal  lato  o<«tro  pie  daboK. ,  a 
doada  siaBi  oicao  dilieai 


300 


DBL  PURGATORIO 


Fono  qnal  diede  ad  Eva  il  cibo  amaro. 

Tra  r  erba  e  i  fior  venia  la  mala  striscia, 
Volgendo  ad  or  ad  or  la  testa,  e  il  dòsso 
Leccando  come  bestia  che  si  liscia.   ^ 

Io  noi  vidi,  e  però  dicer  noi  posso. 
Come  mosser  gli  astor  celestiali. 
Ma  vidi  bene  e  1*  ano  e  T  altro  mosso. 

Sentendo  fender  l' aere  alle  verdi  ali, 

Foggio  1  serpente,  e  gli  Angeli  dier  volta 
Soso  alle  poste  rivelando  iguali. 

L' ombra  che  s' era  al  giodice  raccolta. 
Quando  chiamò,  per  tutto  queir  assalto 
Punto  non  fo  da  me  guardare  sciolta. 

Se  la  lucerna  che  ti  mena  in  alto 
Trovi  nel  tuo  arbitrio  tanta  cera, 
Qoant'  è  mestiere  infino  al  sommo  smalto. 

Cominciò  ella,  se  novella  vera 
Di  Valdimagra,  e  di  parte  vicina 
Sai,  dilla  a  me,  che  già  grande  là  era. 

Chiamato  fui  Currado  Malaspina  : 

99.  Forst  qual,  fon«  tal*,  qval*     degli  •ngeli  alla  bncM^ianjBi  leve 


10^ 


10S 


ilo 


iti 


fa  quella  ec. 

400.  la  mala  ikitcia  ee., la  langa 
•  trista  biscia  striadaota. 

401.  Volgendo  «e.  Il  ?nio  ai  Tasta 
aenpra  di  forma  e  di  atti  lastng^iieri 
par  innmiani  oel  cuora. 

405.  h  noi  vidi  «e.  Intendi  :  Non 
fidi  coma  gli  angeli  si  moaaero ,  pcrdiè 
io  era  intento  alla  biscia ,  e  sì  inatanta- 
nco  fo  il  loro  lararsi;  ma  li  fidi  già 
maaai  e  volanti. 

404.  gli  attor  te.  L'aatora  è  ne- 
cello  di  rapina,  e  dà  p«r  la  caccia  alla 
aerpi.  Qni  chiama  i  due  angrii  con  que- 
ato  nome  ^  per  significare  la  rapidiik  a 
la  forxa  cun  che  disceudef  ano  a  fngan 
la  nemica  biscia. 

405.  Jfn  vidi  bene  oc.  Con  questo 
Terso  esprìme  mirabilmente  la  TMocità 
da' due  angeli. 

iùS.alU  po$t€,  ai  luoghi  otu prima 
arano  postali.  — if/utUi,  eguali,  a  pari. 

109.  l'omòra,  cioè  V  ombra  di  Cur- 
rado, la  quale  era  stretta  a  Nino  Gin- 
4àM  enando  ei  la  chiamò  dicendola: 
SUp  Cnrrmim,  vieni  a  vtéer  «e. 


gli  oochi  da  doaao.  I  Codd.  Yat.  5190  a 
Antald.  leggono  con  migliora  aroMmia  : 
Fnnto  non  fk  da  megnmrdariXMtMim. 

412.  Se  la  lucerna  «e.,  cioè,  at  3 
luoM,  la  diTina  grana  illnminanta. 

415.  foiiUi  cera,  ttntt  coopan- 
dona  del  tuo  libero  arbitrio:  mma  In 
cera  è  alimento  del  luma,  caak  la  fe- 
dele corrìspondenia  dell' ooom 
aoe  e  aocresce  la  grazia. 

114.  ai  totMoo  tmaUo,  al 
ddo.  Lo  rhiuma  imal$o,  perchè  ^pa- 
rìaee  ai  nostri  occhi  come  un  bello  aButo 
aaurro.  Ma  foi-se  si  potrebbe  anco  inten- 
dere della  ama  del  monte  sasaltata  d'en* 
be  a  di  fiorì,  come  si  vedrà  a  aao  laogo. 

115.  «a  noce/la  «era.  Com  mI- 
rioffnio,  COSI  nel  Purgatorio  imma- 
gina Dante  che  le  anime  non  abbiano 
alcuna  n<itizia  delle  cuae  che  nd  mondo 
avvengono  di  presente;  e  ciò  per  afcr 
frequente  occukione  di  dir  qnd  tka  aenta 
de' suoi  contaniporaod. 

410.  Valdimagra,  distretta  ddla 
Lunigiana. 

4ì7.ehegià grande  là  era:  t&oh, 


410-111.  per  lullo  qneltaiiaUo     dm  già  ìa  qnol  luogo  io  era  potente. 
Punto  re.:  qaaalo  darò  qudl'  avalla  118.  CAiaaialo  /M  Currado  Ma 


CAUTO  OTTAVa 


304 


Non  «m  r  antico ,  ma  di  Ini 

A*  miei  portai  1*  amor  che  qni  raffina. 

0  !  disti  lui,  per  li  vostri  paesi 

Giammai  non  fui;  ma  dove  si  dimora 
Per  tutta  Europa ,  ch*ei  non  sien  palesi? 

La  fama  che  la  vostra  casa  onora, 
Grida  i  signori»  e  grida  la  contrada, 
Si  che  ne  sa  chi  non  vi  fu  ancora. 

Ed  io  vi  giuro,  fl^  io  di  sopra  vada, 
Che  vostra  gente  onrata  non  si  sfiregia 
Del  pregio  della  borsa  e  della  spada. 

Uso  e  natura  si  la  privilegia. 

Che,  perchè  il  capo  reo  k>  mondo  torca, 
Sola  va  dritta ,  e  il  mal  cammin  dispregia. 

Ed  egli  :  Or  V&,  che  il  Sol  non  si  ricorca 
Sette  volte  nel  letto  che  il  Montone 


420 


iU 


430 


Di  in  ObtaiMM  MalMpini  tì* 
Tcilt  Bel  Xn  secolo  nascoTt  ma  Corrt* 
èmy  A9  aUmaì  •Corici  disUoipiooo  «ci 
M«e  éì  Aniieo,  morto  nel  4230.  Qm> 
flfi  cU«  avattro  6gli  :  Moroollo,  nar* 
cWm  ék  Malano;  Manfredi,  marchcia 
£  CpTigallo }  Federigo,  marcbat*  dB 
filifrailea.  a  Alberico.  Da   Moniallo 
di  Molauo,  morto  nel  4285, 
Fraoccachino,  presso  il  naala  fi 
«aoii*  Dante  nel  4506:  e  in  Molano, 
M  vaecUo  Castello,  si  mostra  ancora 
■a  nato  di  torre  cbe  cbiamasi  la  larrt 
éi  MkuUt,  a  lì  pratao  nna  casa  rba  eoli- 
aarva  aampra  il  noma  di  lui.  Da  Man- 
froéi  maraiese  di  Giovagallo  nama 
Mandlo  H,  quello  cbe  nel  XXIV  dal- 
V  infèrno  è  detto  il  Vmpor  di  Val  di 
Jfafm.  Da  Federigo  di  Villafranca  aa^ 
qmm  Corrado  e  Obìzzino.  Questo  Cor- 
rado, cIm  morì  nel  4294 ,  a  fa  padre  di 
qoella  Spina  di  coi  narra  il  Boceaeeio 
in  osa  soa  novella,  è  Terìsimilmanta  il 
personaggio  col  quale  parla  ora  il  aa» 
atra  Poeta.  D*  Obmino  poi  nacqaera  aa 
tètra  Moroello  a  on  Curradina,  cba 
soM>  qaai  gioTani  Malaspini  per  coi 
Dania  aadA  ambascia  torà  al  Vaacafa  di 
Looi. 

4^.  the  qui  raMna,  cioè,  H  mjl- 
nm,  ti  raddiri%%a.  Vale  a  dira,  cba  dai     nt 
lerrcoi  oggetti  si  rÌTolga  a  Dio  cba  sala 
i  èa  amara  ;  o ,  se  raoi  pia  aaapliea- 
menta,  ti  purifica  della  cama  a  dal 


aaagaa ,  a  dÌTanta  tatto  apiritnala  a  dì- 
fioo. 

422.  Giammai  non  fki.  Intaodi: 
prima  del  4500. 

425.  eh'H  non  tien  palati?  cioè, 
dia  essi  non  sisno  cbiarì  a  famosi  ? 

425.  Grida ,  celebra.  —  i  tignori, 
i  marcben. — laeoiUrada,U  Lonigiaoa. 

427.  t^io  di  topra  vada,  coaì  ma 
riesca  di  salire  in  cima  di  qaesto  moala 
par  andare  al  cielo. 

428>429.  non  H  ifregim  Dal  fré- 
gio dtlla  torta  ae.  Non  ba  ponto  aar- 
doto  o  noa  si  spoglia  dall'  aatiaa  lada 
di  liberalità  a  di  guerriero  Talora. 

450.  Uto§  nminra,  cioè,  la  ' 
coasuetudina,  i  baoai  costami 
in  quella  casa,  a  ona  aeaalleata 
aisiooa  di  natura. 

.  454 .  perchè  il  capo  rto  ae.  laC: 
qaaatanqna  il  capo  reo,  cioè  il  papaBo- 
nifaiio  Vili,  torca  il  mondo  dal  camaùaa 
diritto,  dalla  TÌrtò,  co'saai  tristi  aaaai» 
pj,ac. 

455.  USol  te.  Intendi  :  il  aaU  aaa 
fi  rieorea,  cioè  non  ti  riuot  tàtrà,  ntm 
tomerk  aetu  Tolta  nel  aegoo  dall' aria> 
ta;  cba  è  qnaato  dira,  aoa  paasanMaa 
sella  anni,  eba  aa. 

454-^55.  mlkUad^a  MantO' 
^  00.:  il  letta  ebc  il  Moatooa  ricapra, 
è  qaal  tratto  di  cielo  cnmprasa  Ira'aMi 
piedi,  ora  s'imnMgiaa  cba  il  sala 
al  principia  dall' aaoo  a  ricoricami 


3tS 


DBL  PVBGATOIK) 


Con  tatti  e  quattro  i  pie  eopre  ed  inforca,  i» 

Che  ooleata  oorteee  opinione 

Ti  fia  chiaittn  in  mezzo  della  tosta 

Con  maggior  cbiovi  che  d' altroi  sermone  ; 

Se  corso  di  gindìcio  non  s' arresta. 

436.  Che  eotetU  ef<rfeté  «0^  Ae-  farti  d^odi,c{oAeoB  pia  etrti  arcomea- 
^jtmna  ale  benriicciBeclMl>aBtc.dtvrt  li. —db*  é^  rnUmi  strmon»,  che  dai 
ricefere  a  ricevè  dai  MalaipiDi,  Yadi  raaeoqti  alimi  ;  ebe  è  quanto  dira  :  na 
la  ooia  al  t.  448.  proverai  au  la  tteiao  la  vi'HU. 

437.  Ti  fia  ehiavaim,  iochiodrta,  439. 5e  eor«o di g«tid<r<o ce.: doè, 
cioè  iniprena,  pcnMM.  aa  Boa  ai  arreata  o  aon  ai  muta  il  corao 

458.  Con  mag§iar  càtwfpcaa  pie     dcfli  «vanii  gik  atabilili  ia  cielo. 


VAwwm  inolia. 


Suirmmrùrm  ii  Putta  wimto  étM»  atmmtkr%%m  «'i 
«wm:  éopo  IM  puilt  iwfhmÈm  ai  irwmm  fa  ^mm 

««wffWMalo,  Ifl  éiMàmér,  «rf  ^Urama  amàadm  im 


éé  ha  In  aagma  umm  aùtitnota  »r- 
*^irtmaanm  «af  ama  rtrgHia,  dm 
alta  parta,  aa*  amét  rmtmér  am  A^^ 
•ma  W  taOa  framtt,  a  éM$agU  aiaaaa 


La  concubina  di  Titone  antico 

Già  s*  imbiancava  al  balzo  d*  oriente, 
Fuor  delle  braccia  del  sno  dolce  amico: 

Di  gemme  la  sua  fronte  era  lucente. 
Posate  in  fi>;ura  del  freddo  animale. 
Che  con  la  coda  percuote  la  gente: 


4 .  U  cmirwMM  di  TiUme  è  l' Aa- 
rara.  —  Il  Owta  ,  seguemlo  la  apnai- 
vioac  di  varj  aBticki  eiinifataluri.  credè 
qui  deacritta  l'aarora  lonara  maalrao- 
tcai  ad  ar^no  delUi  Scorpimia  aU'aria- 
zaiilc  del  Har|^tnn*  rirra  la  tre  ora 
dalla  Dotta,  qnarla  del  pIcnilMnio.  llPe-, 
razxini,  e  do|io  lui  il  rli  P.  Punta,  paa> 
Mroao  dir  Ihinla  abbia  parìal«  drfl'  au- 
rora del  maltioo  cbr  apunlava  cui  a^ 
gHo  dai  Pesò  aull'  ortntHite  «r  Italia 
odia  qoale  scriveva,  quao«U  nel  Purga» 
lurìo,  in  cui  si  trovala,  era  vinna  a 
eaMMÌrsi  k  Ima  »ra  della  notte  Ma 
eoMiJarala  nel  cootealo  m  Pana  ebc 
l'altra  apii*ganone,  ano  na  resta  la 
meale  d'  ■•  sagace  letturv  pienamenta 
appagata  ;  nod'io  ,  laa<  lalair  da  parla , 
aiiraeao  I'  «atea  clw  rredu  vera,  iiMa- 


aaci  iaaaaei  non  ka<  mmiIim  dall'  insigna 


oaalnNiMMiPk^if 
dal  gitala,  dopo  aver  q«t,  colla  aanrla' 


l 


di  ini,  diabiaralo  il  teaCo  a  parte  a  pan>      ««•<« 


Uf  riferirò  anrba  par  diatoaa  la  parab 
ia  ine  del  Canio. 

'  2  (^tdf'Imèteneatw.'kiaKarfBO- 
itra  nel  SUI»  principio  Paaran.  ^-  •! 
èarfxo  «f'ortanfa:  inti>ndi  nel  paato  M- 
l'onrnte,  sairorinonte  io  cai  trova» 
vaai  all«ira  il  P<«eta  io  eoaipogaia  di 
nei  nobili  apinti  di  cai  aopra  ba  pai^ 
ato. 

8.  del  tuo  doler  «miro:  cioè  di  IV 
tooe  8tiMr4»,o\«en*  di  <U*f.ilA,clie,ÌBVa^ 
ebiatu  l'itone,  V  Aurora  si  feca  annca  • 
traase  in  cielo  ai  sooi  piaceri. 

4.  IM  gernnu,  di  t»te1le. 

5>6.  #*ofle  in  /f^raae..-f|araalin 
p#aee,  animale  a  !ian|>nr  freddo,  a  cfca 
pr  m4e  col  la  riMla .  a%  endi»  in  casa  la  aaa 
maggior  fona  Quando  il  sole  e  in  Ariate 
vedevi  io  oriente  sai  far  ddraarora  la 
coatellarione  dei  Pesci  Ancbe  aetl*  fa/, 
ai*  annunna  Taonira  ed  modeaiiaa  a^ 
gao  :  Cht  i  peteiguiznmn  tu  p0r  T^fH- 


CAltTO  ROSO. 

E  la  notte  de^pMS^  con dw  saia^ 
Fatta  avea  duo  nek  looo  or*  eFavamo, 
E  il  terzo  già  ebiaava  in  ginso  l' ale; 

Quand*  iu  che  meco  avea  di  quel  d*  Adamo, 
Tinto  dal  sonno»  in  en  l'erba  inchinai 
Là  Ve  già  tatti  a  cinque  sedevamo. 

Keir  ora  che  comincia  i  tristi  lai 
La  rondinella  preaso  alla  mattina, 
Forse  a  memoria  de*  suoi  primi  guai, 

E  che  la  mente  nontra  pellegrina 

Più  dalla  carne,  e  man  da*  peosier  presa, 
Alle  sue  vision  quasi  è  divina; 

lo  sogno  mi  parea  veder  sospesa 

Un*  aquila  nel  eie!  con  penne  d*  oro. 
Con  Tale  aperte,  ed  a  catare  intesa: 

Ed  esser  mi  parea  là  dove  fòro 


30a 


iC 


ib 


20 


7.  E  U  motte  ^potH,  mm  cM 
wmh,  «e.  Altro  tegno  a  far  chiaro  mag- 
giatBMato  ch«  oMiMMTa  meno  d' un'ara 
al  levar  del  aoU  Dell'oriziunto  dove  i 
F-c6  ai  trovavano.  1  paaai  cud  cai  ael- 
l^afàaeti*  di  prìaiatera  la  ootte  aala 
al  ■aridiann,  aoan  la  Ubra^  oppueCa  al- 
PàntU  ia  coi  età  il  aole,  io  ie»rpitm§ 
§  1  tmfiilario.  Ora  dirrndu  il  P«»eCa 
cfca  émm  di  furati  paaai  oraa  gii  (atti,  a 
cfcail  teeso chinava  giù  l'ali,  s'inleoda 
ahe  la  tiara  e  lo  «rorpÙMie  avraa 
già  il  OMridiaoo  del  Porgat«irio 
id#  ia  onidriile,  e  che  «ul  ^«er^ 
ttava  allora  il  sagUtario  \i\  terso 
dalla  aoil<>)  già  voltato  pia  della 
ia  accideate.  1»  tale  atalo  della 
calaata,  p<«ti  doe  i  tre  laiiieati  a^ 
ail'aecideate  del  mrndiaat»  «otto  cai 
iaa  d'eaafre  il  Piifta,  voi  vedrala 
alPanaate  di  eeao  i  PeMi  foon  deH'ona» 
aaata,  iaihiaocati  dalla  laco  del  aula  ia 
ariate  che  vico  loro  dietro  Al  Caato  II 
ha  detta  che  il  sole  av««  eacetala  éi 
■Mwa  U  eiiio,  ci«*e  oltre  il  meridiano, 
ll«apHeania,e  là  ahhtaa  aotatodi'»' 
raa  ama  ora  di  aola. 

Da  qael  che  a' è  detto  fla  ^ai  a^ia- 
BMf^o  cono  a  falt4»  ala.  Il  C»> 
vieae  dietro  al  Sagittaria:  aa 
yiide  y  Sogittano  ha  paaaotM  ialaa^ 
il  ■cridiaao,  tfiaaia  I  Aneta,  ia 
ata  il  aola,  ^uaado  il  Caprie«*nM  avrà 


tarh  tatto  foorì  delforìssonte  in  orìaate, 
a  avrein  due  ore  di  sole. 

S.  mi  loco  oo'ormommo,  doà  ael- 
l'aeiaaoote  del  Fai-gatorio,dì  cai  Sa  dal 

{trinci pio  del  Canto  a'è  fatto  a  daaenvart 
a  eoadiritine  attronomica. 

1 0  <f<  qwei  d'Adamo,  il  corpo  frala. 

1 2.  fiillt  e  ctn^ttf,  cioè  Daata,  Vir- 
gilio, SonMIo,  Niao  e  Currado. 

13.  NolVof  §e.,  p«icu  priaa  dal 
lavar  del  »t4e. 

1 5  a  niem«»ria  de'nmi  primi  gu&t. 
Alladr  nIIn  n«*t«  favola  di  Pmgna. 

16-17  peUrgHna  Piti  dailm  cor 
ne,  noe,  qunti  divma  dai  a^nai,  i  qaali 
eaaendo  •«•piti  inhi  le  recano  le  imprct- 
aitNii  degli  <»bi«*tli.  e  ooo  le  danno  ae> 
caaiiioo  di  pcotare  alle  coae  eaterae^ai^ 
che  ella  rimane,  per  cosi  dire,  tutta  eaiK 
centi  ata  in  ae  tteaM.  A';giangaai  che  ia 
qaaH'ora  e  anche  naturalmente  pia  li- 
bera, mem*  a|»gr8vata  dalla aialcna,  par 
la  fatiaai  difreolioae. 

IK  AUetuevieiomee.ÈéiwImm, 
iadaviaa,  alle  aae  vìmooì,  cioè  preveda 
il  faturo  dalle  mtr  ateaae  viaiooi.  Era  fra 
le  eaperatmoM  degli  aatichi,  eaaa  ab* 
hiam  aolatw  aorho  altrova,  che  i  aogai 
aal  far  M  giamo,  fwaaara  ^paii  rivtla 
new  del  faturo. 

ia.20  aoapaaa  Oa'afaOsfiafcM, 
librala  m  aria  aa  l'ala  eoa. 

21.  14  dame  ee.,  aal  moala  Ida,  aat 


anch'caao  fatto  il  aao  paaaaggio,  l' Ariala     Gaanuade  fa  rapita  a  parUta  m  «aia 


304 


DEL  PniOATOBH) 

Abbandonati  i  snoì  da  Ganimede, 
Quando  fu  ratto  al  sommo  concisloro. 

Fra  me  pensava:  forse  questa  fiede 
Pur  qui  per  uso,  e  forse  d*  altro  loco 
Disdegna  di  portarne  suso  in  piede. 

Poi  mi  parea  che,  più  rotala  un  poco, 
Terribil  come  folgor  discendesse, 
E  me  rapùise  suso  infino  al  foco. 

Ivi  pare\'a  eh'  ella  ed  io  ardesse, 
E  si  r  incendio  immaginato  cosse, 
Che  convenne  che  il  sonno  si  rompesse. 

Non  aìtrìmenle  Achille  si  riscosse, 

Gii  occhi  svegliati  rivolgendo  in  giro, 
E  non  sapendo  là  dove  si  fosse. 

Quando  la  madre  da  Chirone  a  Schiro 
Trafugò  lui  dormendo  in  le  sue  braccia. 
Là  onde  poi  gli  Greci  il  dipartirò  ; 


ss 


30 


35 


da  GioTe  trasfomito  in  aaoilt.  —  Nel 
ratto  di  Ganimeda  timbolri^giò  la  aa- 
pìenia  degli  antichi  qael  rapimento  con 
che  il  primo  Vero  innalza  talvolta  gli 
animi  nostri  alla  conlcmnlaiione  di  sé. 
E  anche  il  nostro  Poeta  vaìcndmi  di  qne- 
ate  fidare  Rapieoteroente  interpretate,  a 
adattandole  pia  apccialmcote  ai  anoi 
lini,  vaol  dim<.>strare  i  maraviglioti  ef- 
fetti della  eelette  graxia  in  colai,  che 
diataccato  dalla  materia, anela  al  primo 
Vero. L'aquila  aimbologgia  Lucia,  aenza 
la  qoale  non  è  possibile  all'anima  isoU 
levarsi  a  Dio:  il  sunno.  l'aAtraziona 
da'seosi  ;  l'ardore  nella  sfera  del  faoro, 
l'amore  onde  l'anima  neeeasoriameota 
s'infi<imma  verso  il  sommo  Vero,  che  è 

fmre  il  sommo  suo  bene,  una  volta  che 
o  ha  conoaciuto.  Il  monte  è  ùmbolo 
della  contemplazione,  e  dell'elevazione 
dell'anima  al  disopra  di'lle  cosa  terre- 
ne. Cristo  medesimo  sceglieva  un  monte 
per  rivelar  la  sua  yloria,  un  moute  per 
insegnare  la  più  aublime  dottrina,  aa 
monte  per  far  \a  sua  ascenaiuDe  al  cielo. 
Anche  gli  antichi  poaero  la  presenza  di 
Giova ao  un  monte, au  l'Ida.  Quest'Ida, 
nel  concetto  del  l*i*eta,è  U Santa  Ghieaa 
di  Criato,  di  cai  è  acritu*  die  è  fomdata 
iuìla  cimn  da»  wumli,  ed  eMoUata  m 
UUU  i  eolU,  a  dove  nnirameale  Id- 
òu  U  copia  di  aè  alla  anima  ;  a  daa- 


d«  nnicamente  ne  traaporte  al  cielo. 

24.  al  iommo  ameiitcro,  al  aoa- 
nin  conaesso  dei  numi. 

25.  fiede.  Fiedere  reìt  ferire  ;  na 
qni  dal  Poeta  è  usato  metaforicamente 
nel  senso  di  piomlm,  •*  Mwente  •  far 
preda. 

26-27.  Pw  qui  per  uto.  Solo  an 
questo  monte ,  donde  altra  fella  ebbe 
uso  di  rapire  al  cielo  la  gente.~t  fona 
d'altro  loco  ec.:  e  forse  da  altro  tee* 
disdegna  di  portare  in  alte  ed  pie, 
colPartiglio,  w  sue  prede. 

28 .  rfce ,  pt'A  rotala  «w  pòco:  die. 
fatte  votando  nuche  più  rote,  porlH  pim 
giri.  Il  Cod.  Caft.  legge  ehg  relesfs. 

50.  tn^no  al  foco,  cioè,  fino  alh 
afera  del  fuoco,  rbe .  secondo  V  antiai 
opinione,  era  sopra  il  delo  ddl'arìa, 
ed  immediatamente  sotto  qnelio  ddia 
luna,  col  quale  finge  il  Poeta  ebe  eeo- 
fini  la  cima  del  monte  del  Pnrgatiirio. 

52-53 .  e  H  l'inrendio  immmginata^ 
aognato,  foue,  nn  fece  ser.tire  il  suo  ar> 
dorè, Che  ee.  Gian  pittore  ddla  natnrn! 

57.  da  Chinme  ee.  Arb.lle  dalla 
cnatodiadi  (Ibirone,  aotto  Pedncmieae 
dd  qnule  era  alato  poeto.  In  lrafo.';nto 
e  portato  mentre  dormiva  dalla  modft 
Tati  ndl'isola  di  Sciro;  donde  UliaM* 
Diomede  lo  trasaero  per  eeadnrie  aUl 
gnerra  di  Troia. 


CAUTO  Noif  a 

Che  mi  scoss*  io,  si  come  dalla  feccia 
Mi  (figgi  '1  sonno,  e  diventai  smorto, 
Come  fa  l' nom  che  spaventato  agghiaccia. 

Da  lato  m'era  solo  il  mio  Conforto, 
E  il  Sole  er'alto  già  più  di  dae  ore, 
E  il  viso  m*  era  alla  marina  torto. 

Non  aver  tema,  disse  il  mio  Signore: 

Fatti  sicnr,  che  noi  siamo  a  buon  ponto  : 
Non  stringer  aia  rallarga  ogni  vigore. 

Tn  se*  omai  al  Purgatorio  ginnto: 

Tedi  là  M  balzo  che  il  chiude  d'intorno; 
Tedi  r  entrata  là  've  par  disgiunto. 

Dianzi,  nell'  alba  che  precede  al  giorno. 
Quando  l' anima  tua  dentro  dormia 
Sopra  li  fiori,  onde  laggiù  è  adomo. 

Venne  una  donna,  e  disse:  F  son  Lucia; 
Lasciatemi  pigliar  costui  che  dorme, 
Sì  r  agevolerò  per  la  sua  via. 

Sordel  rimase,  e  1'  altre  gentil  forme: 
Ella  ti  tolse,  e  come  il  di' fu  chiaro, 
Sen  venne  sufo,  ed  io  per  le  sue  orme. 

Qui  ti  posò:  e  pria  mi  dimostrare 

Gii  occhi  suoi  belli  quell'entrata  aperta; 
Poi  ella  e  il  sonno  ad  una  se  n'  andaro. 

A  guisa  d' uom  che  in  dubbio  si  raccerta, 
E  che  muti  in  confòrto  sua  paura. 
Poi  che  la  verità  gli  è  discoverta. 


305 
40 


45 


bO 


SS 


€(l 


^ 


40.  Che  mi  teot^  io.  Queite  parole 
si  rìforlaBo  al  verso  54.  JVo»  mitri- 
mgnU  ÀtkiUe  ti  riteoste...,  eJba  mi 
MOff*  io. — fi  eom$ ,  toatochè,  apiNioa. 
—  émilm  faccia,  perchè  ivi  piò  che  al- 
trora  ai  mostra  il  sonno. 

48.  ehe  tpatentato  agghiaeeia,  a 
tm  ai  gda  il  sannae  per  lo  spavento. 

45.  si  mio  Conforto^  Virgilio. 

45.  {|  Vito  m' era  atla  marina  tor- 
te  :  il  trovar»  volto  al  mare,  faceva  sì 
1-ba  ■Clio  egli  potease  rìcoooac«ra  il 
l««go  «T'ara,  non  vadeado  cba  ciaUtd 


48.  iVòfi  f  f  rtfigar  re.  Goè,  la 
re,  e  ti  coofurta  di  baoaa  aperama. 
51dla  paura  il  cuore  ai  ristringe,  rios- 
piccditee,  e  nella  sperania  si  rallarga. 

31.   ìà  'te   par    disgiunto,  evo 


esso  balso  par  diviso  èa  un'apertura. 
55.  dentro,  dentro  il  tao  earpo. 

54.  è  adomo:  aotUoteodi  il  emah. 

55.  iMcia.  È  la  stessa  nomioata  acl 
Canto  II  deirinf.,  simbolo  dalla  Grazia 
illominante. 

57.  Sif  eoiik,  %\  adeptrando. 

58.  t'Ulre  gentil  forma,  le  altro 
anime.  Forma  eorporie  fé  ehianaata 
Fanime  per  sentenza  da'  teologi  sai  < 
ailio  di  Vienna  in  Francia. 

64.  mi  dimottraro,  mi 
fono. 

65.  eUa  e  U  eanno.  Lacit,  a  il 
sanno  die  t'aveva  fin  allora  ocanpato. 
"Od  una,  ad  nn  tempo  staaM. 

64.  db*  te  duMo  ce.,  dw  ddlo 
stato  in^aieta  dd  dabbio  paan  alla  eer- 
tazza. 


306 


DEL  PURGATORIO 


Mi  cambia'  io:  e  come  senza  cura 
Yidemi  il  Duca  mio,  sa  per  lo  balzo 
SS  mosse,  ed  io  diretro  in  ver  l*  altura. 

Lettor,  tu  vedi  ben  com*  io  innalzo 
La  mia  materia,  e  però  con  più  arte 
Non  ti  maravigliar  s*  io  la  rincalzo. 

Noi  ci  appressammo,  ed  eravamo  in  parte. 
Che  là^  do\'e  pareami  in  prima  un  rotto, 
Pur  com*  un  Ebsso  cbe  muro  diparte. 

Vidi  ana  porta,  e  (re  gradi  di  sotto. 
Per  gire  ad  essa,  di  color  diversi. 
Ed  mi  portìer  che  ancor  non  iacea  metto. 

E  come  l'occhio  più  e  più  v'  apersi, 
Yidii  seder  sopra  *1  grado  soprano, 
Tal  nella  faccia,  eh'  io  non  lo  soffersi: 

Ed  ona  spada  nuda  aveva  in  mano 
Che  rifle(i6\a  i  raggi  sì  ver  noi, 
Ch'  io  dirizzava  spesso  il  viso  invano. 

Ditel  costinci:  che  voete  voi? 

Cominciò  egli  a  dire:  ov'  é  la  scorta? 
Guardate  che  'l  venir  su  non  vi  nói. 

Donna  del  Ciel,  di  queste  co  e  accorta , 
Rispose  il  mio  Haestro  »  lui,  pur  dianzi 
Ne  disse:  Andate  là,  qui\  i  è  la  (.orta. 

Ed  ella  i  passi  vo>tri  in  bene  avanzi, 
Ricominciò  il  cortese  portinaio: 
Yenite  dunque  a'  nostri  gradi  innanzi 

Là  ne  venimmo  ;  e  lo  scaglion  primaio 


70 


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86 


90 


07.  Musa  cHra,  mom  Tìiini'e- 
tadfaM  ch«  era  eavMtt  dal  mio  imhU 
taM. 

7U7a.  •  ptrò  etm  più  mrU  «e.  Nm 
li  aMTavigliare,  se  io  cerco  di  sMlaoere 
€00  piò  arto,  cnn  piò  Inai  bom  ttile, 
la  materia  tublime  di  che  favello.  Que- 
llo hMakameoto  di  tlilo  «  è  già  veduto 
•allo  deaerisioae  del  misterieeo  eogoo  : 
a  lo  vedremo  pare  in  appraaio  ofm 
falla  cha  la  maif*ria  lo  aaiga. 

74.  rotto,  rottara. 

75.  femo,  llnaara. 

io.  aaprwitf,  di  sopra,  pie  aUa. 

81-82.  Fai  mtUm  fmeeim  m..  aioè 
Irimaale  lamiooao  aalle  Caecia .  eba  io 
MB  Ir»  iofèni,  cioè  naa  potai  latra 
gH  oeahi  in  lai. 


84.  ith'  io  dirivutu:  mt 
aaeHe  parte  il  o^jo,  U  vieta, |^  oaey.— 
MMMmo.  perehr  ne  restava  abbagliato. 

85.  eottinei,  di  eaoli,  dal  loofo  ore 
liete. 

86.  o«'4  faMortofdaè:  uv'èrao- 
gelo  cbe  so«>|  eaMi«  taartt  alla  asìme 
che  veagttno  qui  7 

87.  fMm  mn^';  MBfiataafioBa 
di  dii«^>to,  o  Don  vi  ooeeia. 

88.  di  queste  eoio  «Marte,  cioè, 
caoaa(>evole  delle  leggi  di  qBealo  laogo. 

9 1  t*  pani  «Offri  in  bono  mtmigi, 
vi  aiatj  a  preaefiiira  lalioaiMala  il  vo- 
stra eammioo. 

85.  m' nostri  grmdi  immm»xi,  avin- 
talavi  a  questi  nostri  gradini. 

94.IiiMV#mmm9ae.UGod.Cact 


CANTO  NONO. 

Bianco  marmo  era  sì  piiiito  e  tenK>, 

Ch*  io  mi  specchiava  in  esso  quale  i'  paio. 

Era  il  secondo,  tinto  più  che  perso, 
D*iina  petrina  niTÌda  ed  arsiccit, 
Crepata  per  lo  lungo  e  per  traverso. 

Lo  terzo  che  di  sopra  s' ammassiccia, 
Porfido  mi  perea  si  fiammeggiante, 
Come  sangue  che  fbor  di  vena  spioda. 

Sopra  questo  teneva  ambo  le  piante 

L*Angel  di  Dio,  sedendo  in  su  la  soglia, 
Che  mi  sembrava  pietra  di  diamante. 

Per  li  tre  gradi  su  di  buona  voglia 

Mi  trasse  il  Duca  mio,  dicendo:  Chiedi 
Umilemente  che  *1  serrame  scioglìa. 

Divoto  mi  gittai  a*  santi  piedi: 

Misericordia  chiesi,  e  ch'ei  m*  aprisse; 
Ma  pria  nel  petto  tre  fiate  mi  diedi. 

Sette  P  nella  fronte  mi  descrisse 

Col  punton  della  spada,  e:  Fa  che  lavi, 
Quando  se*  dentro,  queste  piaghe,  disse. 


307 

96 


iOU 


i06 


liO 


là  ci  trwmmo  allo  temglion 
».  La  p«>rt«  tiniboleiygia  h  «• 
ll«  coofcasione  ;  ^i  ««11111  di 
<  colore,  le  diiposHnom  nwowarie 
per  C4tntrgiiir«  la  grana 
gì«alì€c8xinne.  Lo  sralino  bianco 
I  la  itncerità  eoo  rhe  «ieviioii  aco- 
•I  «arerdote  le  colpe  :  lu  tralino 
timt9fikekeperxo,r'uìè  piùcapnd«4co- 
lar  Baiw,a  d'mnm  pietm  arsictia.rptr 
l#  Ìmm§0  €  per  trmern  crepata,  ai- 
yàflaa  b  cootririoDi' del  more,  per  mi 
fìaaa  a  apenarti  I»  sna  antira  durnza, 
a  3  latto  e  ramarituitint*  dell'anima 
■ala  neordama  di  Din  o(Te«o  eoi  pec- 
aala.  Il  tento  finalmente,  rbr  para  di  no 
fiammeggiantf  e  aanipiigso,  il» 
V  amore  di  Di»,  che  runir  fiamma 
aacaaderai  nel  pemtenlo.  aeodo 
che  m  ragiitne  di  qni'ilo  ai  rimHtano  i 
panati .  dimitaa  iunt  et  peeraim  ami- 
te,  fiiofi<aiM  dilexit  mtUium. 

96.  ^mai$  f  paio,  quale  io  appa- 


M.  Vwnm  petrina,  è*  ona  pietra. 

Ito  f*  amanmttieeia  ^  è  aoprap- 
paala ,  ovraro,  ala  o  aorge  qmai  mai- 
§a,  a  tutta  d'oo  maaso,  su  gli  altri  due. 


404-105.  in  tu  la  taf  ita,  Cha  mi 
tembiara  ee  Ciò  indirà  il  fwndaManto 
inenociiaa«*  dalla  Giicaa  alabilila  aalla 
ferma  pietia. 

406.  dt  ha/orna  ragiui:  rifariicila  a 
Dante. 

408.  efce  'I  frrawia  acao^lte;  aìoè, 
cba  ap  a  la  terralura. 

1  IO.  MUerieordia  «MaH,  §ai'9i 
m'apritte  Om  il  Cd.  Fior.,  il  Bar- 
tiilin.,  ei  Pai  2  e  67.  più  rhiaraaacate 
che  la  roiniiKe  :  Miteritordiachieti  the 
m'apriate  IM  rrstoaoa  qui  acoennati 
quegli  alti  di  umiltà  e  di  rontriciooa  eha 
il  peoitrntr  «niprtme  oel  Cmnfittar. 

4  12  Sette  P.  Sodo  sei  aetla  Pai- 
gnificate  le  marrliie ,  o  le  aiolo  ioali* 
nacMini ,  rhe  i  aetl**  pceroii  capitali  haa 
laaeiato  a«  ll'an  ma  di  Dante,  o  dai  aaii> 
▼eftil»  mattano  in  geoerole,  aoeba  dopo 
la  «aeromentale  aafM»i«noiie.  o  cIm  dao- 
bnoo  «a^ar  lavate  od  aoa  ad  una  par  la 
trmporal  neoilenaa,  ooho  lo  opara  aati* 
afattone  dal  aaceo  aaiaiatra  ianpoale  par 
ciaamn  per  rato. 

415-144.  Fa  ékatami  or.:  ciaè, 
adepera  in  guiaa  cka  aiaoa  da  la  lavate 
queste  piaghe. 


Cenere  O  terra  che  secca  si  cavi, 
D'un  color  fora  co]  sdo  vestimento, 
E  di  $ollo  da  quel  trasse  duo  chiavi. 

L'una  era  d'oro,  e  l'altra  era  d'argento; 
Pria  con  la  bianca,  e  poscia  cod  la  gialla 
Fero  alla  porta  si  t^ti'  io  fui  contenta 

Quandunque  1'  una  d' esle  chiavi  falla. 
Che  non  si  volga  drilla  per  la  toppo, 
Diss'egli  a  noi,  non  s'apre  questa  Lalla. 

Più  cara  è  l' uno  ;  ma  l' slira  vuol  troppa 
D'arte  e  d' ingegno  avanti  che  disserri, 
Perch'eli' è  quella  che  il  nodo  dìsgroppu. 

Da  Pier  le  teogoi  e  disseml,  eh'  io  erri 
Ami  ad  aprir,  eh'  a  tenerla  serrata, 
Pur  che  la  genie  a'  piedi  mi  s' alierri. 

Poi  pinse  r  uscio  alla  porta  sacrala, 
Dicendo:  Inlrale;  ma  fac^^iovi  accorti 
Che  di  fuor  torna  clii  indietro  si  guata. 


I 


I 


IIG  D'antolnr  forali.:  àoi,  ni- 

nieatemrBtc,    e<l   t'if  molli  irle  cJ 

cchile  del  mctuiiBn  cUro  et»  il  «in 

■(ti.  leni.    Chf  lii  qDBii  chiite,   lo 

intimcntB.  la  nueilo  colan,  dia  pure 
i  qDiil  delti  lUSt  con  coi  il  ucenlDlc 

c-rp«d-  ™lp™    dilva  «;   EJ  •••' 

i  rniflci»  )■  iiu  Brilli  «  1.  n>»li>» 
..bJ^Ì  pn»  il  .do  oi.>re  ili*  lìiU  dei 

nMfiont.  per  cui  d.ll'ibiU  iinrdilc 
li  di-urri  il  cuore  d  1  p««ibinli  pra- 

rati  delti  iDÌB»,  per  rai  «  aaittt  ci 

pcccitora  iJ  implunr  culle  liciine  la 

lliiiaiUi,»dr>pdiie>l<'i»l<w>M,*(li 

-wdofM.   ((  piaiu/Ue;  minUIH  alU- 

rii,  atpmrgiie  tm  cinere. 

Dorili  cbiif  e  è  ben  pia  diKi^  a  tsI- 

42U.   Ftet  alla  porla  fc.  InWndi: 

«nii  the  l'illri,  pen:bi  «p  prWc- 

Ite»  ilU  porlo  qiidllo  che  io  Joidirt- 

ti;BÌo*,  l'epriM. 

Jel«.»ni»nin.,  «porB-'lIn»» 

(ha  D»»  t'icaniiii  w  i  ■'bri;  yt/Hn 

d».  —  t-MB  d-iut  <M»(  *e.:  !■ 

un  CBore  Mc<^  dì  cir.U  e  pioodi  Dia. 

chim  d'iniMto,  ttatii»  tBlli  Hti  bdo- 

.ibri  uliehì,rig>i<ie.  1,  «itnu  ^.1  ^ 

optr*  OBfl  che  t  i-ia  tcibro,  di  «ddi- 

tuurcli  .ifitel  proiUKc. 

ttMO»,  anelli  d'un  li  •»  iiil.,rìlk. 

IH.  Cìu  no»  liclfa  driUa:  o 

l2T-t2U.  e  d!«rmi.eK'ÌOtTTÌ  tr 

ella  io  oriì  onii'.  |itull.<il<',Bcl  fir  iruui 
*l  pecrtl^B,  wfl'B«lTcrlo,  cb.a  Ir- 

•irii  idcuir  b  dkcmiaii*  par  diriati  e 

il  pnilnl.  >  Dcdicu  le  .M  pii(i«,  « 

darla  KrrilD  nei  tacci  d«l  pecetta,  par- 

diiporto.  —  lappi.  Hrrilan. 

l50,/'oip.'iMa»e.QBilclieBÌÌÙone 

133.  »;ì..  p.»,.  porli. 

hi  alla  parlf  .«croio .-  .  il  &«].  Vili- 
riaa  5<3<J,  atta  varia  Itmla. 

<3|.|2»   PÌU'araèfi,M:tiad\:, 

d'ora  ii|B>li(iBlc  l'iuioriU   diviBi  >li 

132.  Cll«Ji/i.tfrlorM«e.lBM.«n 

CANTO  NONO. 


309 


E  quando  for  ne'  cardini  distorti 
Gli  spigoli  di  quella  regge  sacra, 
Glie  di  metallo  son  sonanti  e  forti, 

Non  raggio  si,  né  si  mostrò  si  aera 
Tarpeia,  come  tolto  le  fa  il  buono 
Metello,  por  che  poi  rimase  macra. 

Io  mi  rivolsi  attento  al  primo  tuono, 
E,  Te  Deum  laudamwì,  mi  parea 
Udir  in  voce  mista  al  dolce  suono. 

Tale  imagine  appunto  mi  rendea 

Ciò  ch'i*  udì  va,  qual  prender  si  suole 
Quando  a  cantar  con  organi  si  stea: 

Ch'or  si  or  no  s*  intendon  le  parole. 


i35 


440 


U5 


m  Tolft  eoo  qulcbe  afTetto  alle 
^  abbajodonate.  Il  med** 
6  G.  Crìato  dioendo,  cha  cbi 
la  au  nano  all^Mnlro  e  ai  Tolla 
è  atto  al  r^oo  dei  eieli. 
488.  iWr  «a'eonfffM  distorH,  ae.: 
«aMlo  ar  arrolicro,  o  giraron  sai  ear- 

484.  GU  tpigolt  di  quella  regge, 
Jliff  Tale  porla;  e  gli  ipigoli  ioqo 
certi  pntooi  di  metallo  che  nelle  graodi 
aarta  laogoo  laogo  di  bandelle.  Dice  il 
LtmdSmo:  •  Le  gran  porte  non  si  eolle> 
gas*  m  gaasbcri  con  le  bandelle  ;  na 
m  aMB^io  di  bandelle  hanno  certi  pon- 
laai  ;  ad  ia  luogo  di  gan;;beri  hanno  un 
coocavo  ia  che  entran  questi  pontoni, 
ed  à  aa  ^elli  si  bilica  la  poita  in  for- 
aa  cba  ai  apre  e  serra    > 

4S4.  Non  ruggio  si  ee.  Allude  ai 
veni  eai  ^ali  Locano  descrive  lo  stri- 
dora  daOe  porte  e  il  rimbombare  efae 

fero  la  rape  Tarpeia  allora  che  G.  Ce-     le  parole  cbe  io  adiva,  onala  si  soole 
Mro  apogliò  con  violenza  l'erario,  re-     prender,  cioè  ricerere,  dall' adito  imh 
p^^aate  in  vano  Metello  tribuno.  —      atro,  quando  ec. 
JVms  raggio  fi  :  suppl .  :  fecero  ul  rooio-  444.*  cantar  con  organi  :  dora 

r«,dbeaoo  raggio  si  ec — «4a«aio«frò     si  canti  al  suon  dell'organo:  ~^  elea, 
$ì  merm,  ni  fece  sentire  si  upro  suono,      stia,  dairantiq.  itera. 


487.  eoaia  ioUo  ì§  fu  U  ènoiio  §e. 
Come  fo  riniosao  da  lai  Metello,  eba  la 
difeodava  perebè  Caaara  ooo  aotraaae 
aal  taaoro  pubblico.  Oa  graa  teaoro 
chiudfva  la  porta  Tarpeia,  ma  ano  ìa- 
finitamente  pi&  grande  na  aarra  la  porta 
ebe  l'Angelo  diaehioda  ora  a  Dania;  e 
la  atessa  sua  groasana  a  asateria  diaio- 
slra  maggiormente  il  pregio  di  db  eba 
dentro  di  sé  racchiude. 

138.  rintase  maera:  cioèy  vuota, 
o  molto  sc4'ma  del  denaro  dieeonteneva. 

4  39.  al  primo  tuono,  al  primo  fra- 
gore della  porto  che  si  apriva.  Al  pri- 
mo romor  dfella  porto  le  anime  parganti 
intonan  l'inno  di  grazia  a  Dio  per  l'ani- 
ma aiunto  a  salute. 

444.  Udir  in  voce  ec.  Forse  vuol 
dire  :  udire  Te  Deum  in  parole  unito  a 
melodia. 

4  42.  Tale  imagine  §c.  Intoodi  :  tole 
impressione  facevano  nel  mio  orecabia 


Api 


IX. 


VWtÌI-«L 


La  concubina  di  Telone  antico 
Già  g' imbiancava  al  bnt%o  d'oriente, 
Fuor  delle  braccia  del  tuo  dolce  amico: 

La  concubina  ec.  In  qacsti  varai     gnalara  col  meno  dcHe  apparaaie  del 
c\licntemeDte  il  Poeto  ha  Tolato  se-     cielo  il  momeoto  io  cai  egli,  che  oara 


340 


DEL  PURGATORIO 


di  quel  d'Adamo»  cioè,  il  coi  corpo  «rt 
frale  e  non  instancabile  come  anello 
de'sum  compagni,  cadde  tìuIo  dal  son- 
no, e  s'addormentò.  Questo  momento 
era  quello  io  cai  dt*sta8Ì  V  aarora,  die 
Djotc  chiama  concubina  di  Titono,  por» 
die  essendo  Det^  e  non  atendo  avnto 


F  accorgimento  d'impdraro  da  Gioifo 
pd  ano  spoao  tM*  inunortalità  ém  c^ 
[erti  ancne  V  etema  giovineuo ,  non 
s'era  congiunta  seco  Ini  in  nofto  fwo 
e  legittime  ;  talché  Titono  dÌToone  mm- 
firn,  oaaio  decrepito,  per  età.  Indi  aof^ 
ginnfo: 


Di  gemme  la  ma  fronte  era  ìueenie, 
roste  in  figura  del  freddo  animale^ 
Che  con  la  coda  percuote  la  genie  : 


Con  questa  terzina  si  dcscrÌTe  che 
nella  patte  in  cui  terminava  Palbdre 
seorgevasi  un  sruppo  di  stelle  laceotì 
che  Ugurayano  la  coatcllaiione  d'un  ani- 
male  freddo  che  percuote  colla  coda  ;  e 
nello  stesso  momento  la  volta  celeste, 
nel  luogo  oo'erarame,  doè,  suH'orìz- 
lonte  iu  cui  si  trovava  il  Poeta,  era  in 
tale  stato,  che  due  dei  passi  con  che  la 
motte  sale  «ran  gii  fatti  o  trascorsi,  ed  fi 
terzo  ckinmra  in  giuso  tornio,  rioè  stava 
per  discfnilere.  —  La  difliculti  di  con- 
aliare  tntte  queste  drcnstanre  diede  orì- 
gine a  diverse  interpretazioni.  I  più  an- 
tichi espositori  supponendo  che  il  freddo 
animale  che  con  la  coda  percuote  la 
gente  fo5se  lo  scorpi«ne,  e  truvando  che 
la  coatellaxione  dello  scorpione  uella 
notte  dal  7  all'8  aprili-  del  1300,  nella 
quale  l'autore  pone  la  sua  bcena,  era 


lungi  dal  precedere  il  nascer  del  sole 


ma  die  precedeva  anzi  di  poco  quei 
della  luna,  che  sorgeva  sul  1  orizzonte 
drca  alle  tre  ore  di  notte,  interpreta- 
rono che  l'aurora  a  che  Dante  allude 
fosse  Tsurora  lunare,  e  che  i  tre  passi 
fossero  le  tre  ore  notturne  decorse.  Md 
oltreché  questa  interpreta/ione  fa  creare 
•  Dante  (li  kiia  pnipria  testa  una  nuo\j 
mitulugia.  ha  il  gra\e  inconveniente  di 
farlo  di)rmire  prr  rirra  undici  ore,  per- 
chè in  uno  dei  \ersi  seguenti  dice  apei  > 
temente, che  nuamlo  si  risvegliò,  il  sole 
era  alto  più  di  due  ore.  Per  interpr«^ 
tare  i  passi  futti  dalla  notte  altri  coiiien- 
tatari  più  recenti  ricoisero  alle  quattro 
vigilie  nelle  quiili  gli  antichi  dividevano 
la  notte,  esuppitsero  che  il  terrò  passo 
fosse  la  terza  «igilia,  per  cui  non  pote- 
van  mancare  chi*  ilueo  tre  ore  allospnn- 
tar  dii  giorno.  Ma  Dante  disse  che  la 
motte  de' passi,  con  che  sale.  Fatti 
area  duo,  E  il  lers-i  già  chinava  in 
giuso  l'ale,  dandoci  cosi  ad  intendere 


che  i  pasti  con  che  Mie  erano  pi  n  di  duo. 
Or  se  1  passi  notassero  le  viffihe,  la  notto 
non  starebbe  ascendendo  ohe  nd  primi 
due  pasd,  mentre  cogli  altri  andrdiho 
diacentlendo. 

Io  non  mi  arresterò  a  dtare  dtm 
interpretazioni  escogitate  da  altri  per 
porre  in  accordo  il  senso  delle  divorae 
tran,  colle  quali  il  Poeta  deacrìve  il  mo- 
mento io  cui  cadde  sopito  dal  aoone.  Il 
poco  die  ho  detto,  lo  diasi  solo  eoo  l'ani- 
mo di  far  concepire  su  che  versa  l'ar- 
gomento, ed  io  che  conslitano  le  ano  dif- 
ficolUi.  Passerò   quindi  senza  piò   ad 
esporre  quale  sis  a  parer  mio  la  ngniS- 
cazione  dei  versi  di  Dante .  —  La  divi- 
sione del  cielo  in  dodici  parti  è  antica. 
Il  zodiaco  fu  diviso  in  dotiid  eustdlonc^ 
ni:  gli  Bslrologi  dd  basd  tempi  divide 
vano  r  euiisferio  che  sta  sa  Portzaonte  e 
quello  che  giace  al  disotto  c&aacnnoinS 
parli  per  iiie/zo  di  6  circoli  masaimi  che 
a' intcì  secavano  sotto  angoli  ^nali  od 
punti  cardinali  opposti  di  settentrione  e 
di  nu'zzodi.  Le  dodiri  lunule  ugnali,  io 
che  la  volta  cele>te  veniva  cos'i  divisa, 
si  chiiimavano  nel  lin<;uaggioasirolo<nco 
case;  e  queste  si  contavano  numeni-a- 
mente  pai  tendo  dalla  parte   orientale 
dell' uriz/onte,  divcendriido  per  l'emi- 
sfero sottoposto,  e  rimontando  poscia 
d^lla  parte  ocndentale,  ritornando  poi 
inCue  per  reniisfiTo  mi  periore  ali 'orien- 
te. In  questo  iikhIh  If  case  contenevano 
le  costella/ioni,  che  duninte  la  rìvolo- 
zinne  dinrn:i  venixiino  in  ordine  soccet- 
aivna  spuntare  Kiiir orizzonte  del  lungo. 
La  primi  c^ua,  quella  che  conteneva  la 
co>tella/ione  che  »lava  per  surgere  nel 
momento  d»*lla  UHScila  del  Lanihioo.  o 
del  principio  dell'  avvenimento  di  coi  si 
voleri  trar  l' au  ;urio,  era  chiamata  l*a- 
scendente  o  l'oroscopo:    qnest'era  la 
più  potente,  ed  era  detta  casa  di  rito, 


CAlfTO  VCftfO, 


3H 


k  Mcwi^i  delle  rierhe%%t,  la  tena  dei 

fatatili,  U  quarta  de' parenti,  la  qainU 

é^ft§H,  U  sesta  delta  ioluU,  U  miIìbm 

èà  wimrimotdo,  l'ottava  della  morte, 

h  Basa  dalla  rtiigiona,  la  decina  dalle 

HfwtÈà,  Pandràma  degfì  «miei,  la  èu^ 

ItiMMi  dei  ntwdei.  Secondo  che  questo 

caie  erano  in  quel  momeoto  occupato 

èm  cralrUaciooi  propixie  o  contrarie,  da 

rtclle  beaevule  o  maligne,  V  infanto  era 

Ivtauio  o  sfortunata  par  rispetto  alto 

éam  d'oggetti  posti  sotto  il  doraiaia 

Wle  rispeltiTa  case.  Questi  particolari 

W  saraiBeoto  citati  a  sudisfaxione  di 

carìasità:  oaello  soladta  c'importo  di 

ihhiivr  è  la  dÌYÌsioaa  delta  fotta  erla- 

i  pasti,  dbe  l'astrologia  atafa 

e  l'astrologia  durata  ancora 

il  km  ai  tempi  di  Dante,  e  bene  spesso 

iffi  medesimo  sa  na  mostra  istrutto. 

da  poeto,  figarateri  ora  di  trovarvi 
ieoatemplara  la  \oltac«  lette  sulla  sera 
dal?  all'  S  aprile  del  1300,  nell'istante 
apprfmtf  io  cui  il  sole  è  tramontato  dal 
paoitf  occidentale  dell' urizzuoto,  a  U 

E  la  notte  de'pami,  eon  che  naie. 
Fatti  area  aun  nel  loro  ov'eranamo, 
E  il  lena  già  chinaiHi  in  giuso  l'ale;  ec. 

È  chiaro  che  la  frase  con  che  tale 
J-naca  7m  pr^etita  indeterminato,  refe- 
nkia  4ito  prima  metà  del  periodo  n«>t- 
taroo,  a  n«»a  un  pri-srnti*  d«*finito;  al- 
trinrali  il  dire  die  il  trizo  pn^so,  con 
che  tmit^  efernara  ingiutn  t' air,  impli- 
cherehhc  aontraddizi'  ne  Dumine  la 
Bulle  era  £  tanto  atanz.ita,  chr  il  terxo 
passo  eoa  cui  sale,  t'alia  la  nntelhirione 
«lei  tagidaria,  chinaT.i  glitso  le  ali,  cioè, 
aveva  ctimifieiato  a  piHsare  al  m<'iidia- 
sa,  e  stava  per  difendere  alla  parte 
uppofta  ia  occidontr:  Ir  c«ist>lla/i«»ni 
uè  ìm  srurpione  e  della  libra,  come  più 
avanzate,  aveano  fatto  i  lurn  pass^iggi 


notte  viene  spuntando  dal  luogo  orian- 
tale  diametralmento  opposto.  La  coatoU 
laàaoa  dall'ariete  tramonta  col  sola  : 
quella  della  libra  sorge  colla  notte.  Si 
ÌBmiagÌBt  in  altra  la  volto  eelasto ,  che 
c'è  davanti,  e  che  s'appogaia  sali* orò- 
tonto,  divisa  dai  suoi  arcali  marnimi  in 
sei  parti  o  lunule  eguali  :  il  meridiano 
aark  nel  mexxo  :  tre  lunula  o  casa  sa- 
ranno all'oriente  dal  medesimo,  e  tra 
casa  storanno  al  ano  accidento.  Di  mano 
in  mano  cha  la  rotaaaaoe  diurna  della 
sfera  calcato  andrà  procadendo,  la  notte 
diametralmente  opposto  al  aoia  andrà 
salendo  :  dopo  la  coataUaxiooa  della  li- 
bra, montorà  aall'oriaante  quella  dallo 
scorpione,  dopo  queUa  dello  scorpione 
quella  del  sagitterio:  aoco  io  questo  tre 
coatellazioni  che  sono  ascese  l'ona  dopo 
Poltra,  {pausi  eatt  the  ta  notte  tale.  A 
questo  punto  la  notte  è  gunto  al  suo 
colmo  nai  meridiano  j  asaa  domina  tutto 
r  emisfero  che  gta  sull'  orizzonte  del 
haogu.  Oi  a  il  Poota  a  determinare  l' ora 
ohe  vuole  asprimara  dira  : 


«:  mrridiann  anti-normrnle  ;  e  perciò 
•l;<e-  d!fi  patti,  ron  rhe  tale,  fatti  atea 
«uà  net  loro  nr'  traiamo  ;  rioe,  per  ri- 
i;>ett«  air  oririoiite  in  rtii  li(>vavasi  il 
V*-eHe_  e  in  i-oi  ri  figuriamo  d' esser  noi 
La  ccftt^llariniie  di- Ilo  scorpione  stori 
',aiadi  diMeiidfndndiilld  p:  ima  casa  per 
!  saMffe  al'a  sernoda.  e  quella  della  1.- 
4/ 'a  dalla  seci'itda  per  passare  alla  trrza 


casa  all'oecidento  del  meridiano  In  tol 
posizione  della  sfrra,  alla  libra  non  man- 
clieri  pio  che  discendi-re  per  l'ultima 
cav  per  arrivare  ali*  orìrzunte  ;  e  quindi 
allacostellarione  dell' anrte,  diametral- 
mente opposta,  in  cui  si  trova  il  sole, 
non  niaiiiucra  che  di  montare  per  l'a- 
scendente,  o  l'oroscopo,  per  apparira 
luir  orizzonte 

Volgvtr  ora  il  T(>stro  ignanlo  all'o- 
riente, e  lo  vedrete  già  imbiannto  dalto 
luce  d«'l  sole  rhe  s'appressa,  e  scorge- 
rete immerse  io  questa  bianra  luca  le 
stelle  dflla  rt»^tf|tazione  del  pesce,  che 
neir  online  d*>i  si'|;qi  prerode  quel  del- 
l'ariet** 

G>nqn<  »te  considerarioni,  alle  qaaii 
siaoH»  stali  in  parte  condotti  por  una  via 
piana,  e  dirotta  da  nozioni  aitronomì- 
che,  panni  a«er  posto  in  piena  Inra  il 
concotto  del  Poeta  ;  e  quindi  ose  offrirvi 
l'iolerpielazione  a  cui  siamo  giunti, 
ci'me  la  più  veridica  e  porsoaiiva. 

Dil  Pn.f.  Mossom. 


CAXWO  DEcmo. 


Poi  fummo  dentro  al  soglio  della  porta 
Che  il  malo  amor  dell'  anime  disusa. 
Perchè  fa  parer  dritta  la  via  torta. 

Sonando  la  senti'  esser  richiusa: 

E  s'io  avessi  gli  occhi  volti  ad  essa, 
Qaal  fora  stala  al  fallo  degna  scusaf 

Noi  salivam  per  una  pietra  fessa, 

Che  si  moveva  d'una  e  d'altra  parie, 
Si  come  l' onda  che  fugge  e  s' appressa. 

Qui  si  con\  iene  usare  un  poco  d' arte. 
Cominciò  '1  Duca  mio,  in  accostarsi 
Or  quinci  or  quindi  al  lato  che  si  parte. 

E  ciò  fece  li  nostri  passi  scarsi 

Tanto,  che  pria  lo  scemo  della  tona 


ì.  PM,  poiehi.  —  «j(ÌB.  »|lii- 

43.  olialo  (IK  il  pari*,  al  lata  A.- 

r.,»gi;..     "^               ^ 

dk  folta.  Dwn»  ì\  n»ds  di  eatuni- 

2.  Cfc.  a  malo  anu/r  te.,  ibc  U 

■ulo  dell*  •ninii,  rende  poco  (t«|a<iD- 

vli.lKiIu  diillr  due  ijiandtacrp^Hli,  f 
die  aiid*i>no   t  tinìttns  cMi'Dada: 

au   dinua;  pcrriocihe  i  più  l*KÌU- 

eoi,  clic  di  miBr)  in  lauia  nht  il  i  ìnl- 

«Mi   YÌBe«r.    d.1l'>ai~rt    d.ll.    co.. 

a  («to,  1.  t»«d.  di.  ,.»n  W  i.- 

»nlra,ttJ{(ni  dall'altro  UlocU» 

«U'iab'n 

A.  Smondo  la  Muli'  M-'  tM,  ù 

■  mi  tanni  dal  tootr  ebe  ali*  Ita,  di» 

13.  £  eli  fin  a.  E  cìi  fu  caiìWKi 

,  d  <r.  cbima. 

cba  i  o»ir.  putì  (iinMi  d  latrii ,  «Mr- 

L        6.  OwiJ^ratjQfd.qxilsarebbitì 

,J.  p.r  la   «...1.  eh.  «  .^rìo 

klltl  Kua,  diHW  l'tvii»  dalodii  dal- 

Ì'url>  di  ■>«  TolLirnii,  e  la  F.ilt  nii- 

MeJiTV.dÌM<>rd<3l  .l33delCintu 

LditricolU  d«  primi  pan  di  iwiitaiiu. 

7.JW«»<ipfelrflrHla.polroU<., 

pgrU  delli  Lidi  clie  rìmaM  MonnU  .- 

».èh»ri»otetatt.Ul.mM«.. 

(U*lt  prilli*  .  l«(ar  PoriiwiW.— 
L<  $tr«m,  dtilatuna.  il  Vii.  511»  «^ 

A§  indna  e  leniva  ;  atàa,  iiHireKa  s 

altra  ejmo.ii,  EUmduaucato  II  ouiolv 

riMlnn  iTitnidji  ara  Jdl'on*  »u«da, 

Oiorno  dal   pii.niliin.o ,  dorea  la   lun;; 

•r*  Ul-illra ,  ««..d,.  qae.K.  tWula 

K(r  dal  »1b.  Pi«  che  d»  nrt  di  mU' 

[      It-tl.  in  aefoittTii  (ir  qmn- 

l-llii  dan<|M,lraiin.au.lpo»dilUI.- 
P'.o1h  «  ir.it>iiner«4l'aa|i<lo,<l  rai» 

E»oadt,  tri  lU'  «tira ,  HCondn  eha  ad- 

C«rk'HMr.d.U..U. 

■odi  Mi  Im-  imi  difAciI  riMHtM. 

CAKTO    DECIMO. 

Rigiunse  al  letto  suo  per  ricorcar-^i , 

Che  noi  fossimo  fuor  di  quella  cruna. 
Ma  quando  fummo  liberi  ed  aperti 
So  dove  '1  monte  indietro  si  rauna, 

Io  stancato,  ed  ambedue  incerti 

Di  nostra  via,  ristemmo  su  in  un  piano 
Solingo  più  che  strade  per  diserti. 

Dalla  sua  sponda,  ove  confina  il  vano, 
Appiè  dell'alta  ripa,  che  pur  sale, 
Misurrebbe  in  tre  volte  un  corpo  umano: 

E  quanto  1*  occhio  mio  potea  trar  d' ale 
Or  dal  sinistro  ed  or  dal  destro  fianco, 
Questa  cornice  mi  parea  cotale. 

Lassù  non  eran  mossi  i  pie  nostri  anco, 
Quand'  io  conobbi  quella  ripa  intorno. 
Che  dritto  di  salita  aveva  manco. 

Esser  di  marmo  candido  e  adorno 
D*  intagli  sì,  che  non  pur  Policleto, 
Ma  la  natura  gii  averebbe  scorno. 

L*  angel  che  venne  in  terra  col  decreto 
Della  molt'anni  lagrimata  pace, 


31^; 


i:- 


20 


25 


30 


36 


4$.  entma:  eoA  chiama  la  feodilara 
4à  maHa  via ,  aogasU  come  la  cnma 

47.  Hitri  ed  aperti,  cioè,  fuori 
Mb  BfWetta  angntta  via. 

49»$iramnafSt  ritira,  ai  ristrìD(;e, 
«B  piaoo  air  intomo,  che  fa 
girone  del  Purgatorio. 
4i^20.  imurti  Di  noitra  via  :  se 
li  ^iKiere  a  destra  o  a  sinistra. 
L  Daila  tua  sponda,  ec  La  lar> 
4cl  ripiano^  o  della  roroìoe,dal- 
F  «rWeaterno  al  piò  della  ripa  che  pur 
9^,  Aa  continua  a  sorgere,  era  la  mi- 
man  d»  tre  nomini. 

%4,  Miemrrebbe,  dall' aoliq.  aiwii- 
nr,  iioode  poi  mitwrre  ;  V  ivtessa  ra- 
banno  forre,  porre,  indurre  ee. 
%&.  trar  d'ale:  vale  quanto  volare; 
^  «ffoiSca  il  trascorrere  dello  sguardo. 
87.  eomiee,  cioè,  quella  strada  che, 
a  sodo  di  cornice ,  cingeva,  coronava, 
la  ripa  lotiopoata.  —  mi  parea  eotaU, 
Tale  a  dire,  aè  pii  nò  meno  larga. 

18.  Lastù  wm  eran  wtoati  ae,: 
BOB  avevamo  ancori  dato  un  pasto  per 
^•fUa  itrada. 


29-50.  quella  ripa...  Che  drillo 
di  talila  ee.  La  ripa ,  che  avea  mtm- 
co,  a  cui  mancava,  drillo  di  salita,  pe- 
rocche  non  vi  si  vedea  né  wala,  né  aper- 
tura, con  che  ai  dk  alla  gente  drillo,  fa- 
coltà, di  salire,  o  di  passare,  è  il  tratto 
del  monte  clie  a'alsa  perpendicolarmeo- 
te  tra  1  primo  a  il  secondo  ripiano,  e 
che  Sancheggia  la  strada  su  cui  aano  i 
Poeti.  Benvenuto  da  Imola,  alla  parole 
drilltt  di  talila  aveta  manco,  nota: 
directionem  adteentut  non  habebal; 
che  varrebbe  dire  :  noi»  atea  dtrexione 
o  avviamento  per  salire. 

52.  Polieielo.  Fu  celebre  scnltora 
di  Siciooe,  città  del  Peloponneso. 

55.  gli  averebbe  f corno,  parda- 
rcbhe  al  paragonasi  vedrebbe  vinta.— 
gli,  vi,  in  quel  luogo.  La  Nidob.  fi. 
Questi  alti  esempj  che  seguono  d'asiltà 
sono  una  bella  lesione  alle  anima  cba  ia 
qncato  luogo  purgano  l'antica  awarbla. 

54.  L'mngel  $e.  L'angelo  GabrìaUe, 
che  recando  Pannunzio  a  Maria,  ncriò 
la  pace  al  mondo,  a  fn  eagiana  aia  la 
porte  del  cielo,  da  gran  lampa  chiusa 
per  lo  peccato,  ti  aprìsaero. 


^^I^^^l 

3,(                                                  DEL   PDR 

^B 

Ch'aperse  il  Ciel  dal  sno  luogo  divieto,      '""^H^B 

DìnaDxi  3  noi  pareva  s 

1  verace                                      ^H 

Quivi  intaglialo  in 

un  atto  wsve,                           ^| 

Clie  non  sembiava 

ìmagine  che  tace.                        .^ 

Giuralo  rÌ  sarta  ch'ei  < 

Jiee=s'^fB,-                           -«1 

eh'  ad  aprir  1'  alto 

amor  vol£«  la  chiave 

Eree  Aneilìa  Dei,  si 

1  propnamente, 

Come  figura  tn  een 

j  si  SDggella.                              ti 

Non  tener  pure  ad  on 

laogo  la  mcnie, 

Di^se  il  dolce  Waeslra,  che  m'avea 

ria  quella  perle,  onde  il  core  ha  la  eente  : 

Per  ch'io  mi  volsi  col  ■ 

l'i»),  e  vedea 

Diretro  da  Haris,  | 

per  quella  costa ,                       M 

Onde  m'era  colui  che  mi  movea,                         ^H 

Un'altra  Ì<:torÌB  nella  roccia  importa:                         ^^| 

Per  ch'io  vareai  Vi 

rollio,  e  fe'mi  prendo.             ^H 

Acciocché  foiise  a^l 

i  ocelli  miei  dispo^le.            ^H 

Era  intagliato  li  nel  marmo  xUtsso                                U 

Lo  carro  e  i  baci  traendo  1'  arca  santa. 

Per  che  si  teme  uffirio  non  commesso. 

(ul...  p.nl.td,^.»«^.«.l.<..p.. 

d..p.l..p.ll'<iil«.-f»rfi-i'<iff- 

.u,  J..,u>IUl.ri.»in,i.l..«>l». 

ao^.wlui  ckrnj  ■»<«>,  ÓM»Ì-U» 

JI.  (t<ttllm.t,i*li,TÌ> 

sa    iaipaiM.  vntU  iipn,  d>è  n- 

*2   CT'  ad  aprir  K.:  elii  m«H 

U..L.. 

SS  carrai  Virtilit:  a.D.  pirt»;. 

(«i»»  mmtn;  cl.t  »>  la  prin»  pt» 

ttU  ■««Il  IHtJuIu  >l  >l*l>  ■  MIM,  «he 

sltln.  r«.»  «Il>   J>.lr>  d^  l».  — f 
.11.  «.4«.l.  .U».  f«.i  ./^W  p» 

rit«  tN°  ^  «1.  -.«..i 

ti   Si  mtf  tn  alio  «e    U  >» 

ia  l.i.  •UoBs>.,u,.|.u.  eh*  ^w<l*  galli 

•.ni>l.nM«»  i  pi*.  V  MÌl«»t>l«- 

!nl..««..rp.n«.io«r,'U,«« 

"*m"  Ji.^«llr  b'.W.1..  fr>rri.- 

•HtS'"*" 

4n  punoJwiuogo,  mU-«I. 

o.nr  *»tut* 

',              "n.°^  putta  parli  t .  J*ll(  »■ 

M    t*  (arra  ti.  Qual.  •niln'. 

^H      airtr«. 

^L           n   «lMlif(nl*(Ki.rìii»,tÌriÌ|li 

V.I   —  (nÉr»J« ,   tr.c<>ti  ,  .  1«  .»•  d< 

^H    d<nBÌ(ii<>rl«.nntMI*e..i>i.<KÌi>Hi|. 

»    Pa-tflf.lIrUM.  ilU'Ual 

^B    rf«fHi<«M.-nÌI..»l.«..,ri..Unr^ 

!»!>'<»«»  »»>t<  .1.1  k.il.  Ou.  w1l> 
.{U.b  Ui»  lu  puai  p«r  «ler  «gli  auM  ili 

^H    lu;gwMI-»Ma»il.uJH,.ni.^.. 

^H          Ml-$l   DktlntamriaSMai, 

lucili.  I'Aki  nel  punlD  dia  itMi  p*t 

Hh^^^^^^^^^^ 

CAUTO  DBlMa  345 

Dinanzi  parea  gente  ;  e  tutta  quanta, 

Partita  in  sette  cori,  a  duo  miei  sensi 

Facea  dicer  1*  m  No,  V  altro  Si  canta.  60 

Similemente  al  forno  degl*  incensi, 

Che  V*  era  immaginalo,  e  gli  occhi  •  il  naso 

Ed  al  si  ed  al  no  discordi  fensL 
Lì  precedeva  al  benedetto  vaso, 

Trescando  alzato,  1*  ornile  Salmista,  66 

E  piò  e  roen  clie  re  era  in  qnel  caso. 
Di  contra  effigiata,  ad  nna  vista 

D*  nn  gran  palazzo,  Nicol  ammirava. 

Sì  come  donna  dispettosa  e  trista. 
Io  mossi  i  pie  del  loco  dov*  io  slava,  70 

Per  avvisar  da  presso  mi*  altra  storia 

Che  diretro  a  Micòl  mi  biancheggiava. 
Quivi  era  storiata  Talta  gloria 

Del  roman  prince,  io  cui  gran  vakMre 

Mosse  Gregorio  alla  soa  gran  vittoria:  76 


adtn,  D  tnso  è  :  ndl'oecanon*  di  qutl 
(iHfiiUigi  «U«  mn  terribile  ««TÌto  p«r* 
c^  MS»  Oli  «eorparc  nffieio  che  DÌ4» 
Me  fli  b«  afSdato.  Forse  Tvole  accen* 
Hn  elle  ^ietioxiooe  e  al  ritpelte  raei* 
pece  Mie  due  potestà. 

58   lNiiaiixì|>areft  genie.  Vedeeti 
ÌHeori  el Cerro UHs  mnllitedine di  gente. 
iO-aO.  PmrtiUi  m  tette  eori.Ermni 
*9mDmtid$epUmchori.  lieg.  2,rap.6. 
•  rfiie  miei  tenti:  e  due  tifi  miri  sensi: 
ideeteaei  cbe  possono  essere  inetti  da 
•Da  aatfltitodioe  cbe  canta  sono  la  vieta 
e  P  adite.  Ora  si  tdoI  dire  cbe  quei  cori 
9nm9Ù  bene  acoipiti,  e  si  mostravano 
M  \§rì  •  vivi  aeiratto  del  cantare, 
cbe    ■MCteaDo    in    cuntradizione    due 
iroai;  perebè  Pvdito  diceva  non  eoi»- 
lena:    la    vista    diceva   li,  eantano. 
Fmeem  éieer  Fun,  invece  di  /aree  di- 
cere mii'  un,  c«>Bie  il  più  regi>lare  aoda- 
■cotf»  avrebbe  volato.  11  Bi«f;ioli  per 
eaalFadire  alla  Kidob.   e  al   Lombardi 
ba  volato  leggere  mi  duf  miei  temi; 
mm  aon  eredo  ci  abbia  rafpone. 

62-43  e  fii  ecrbi  eil  nato  Gli  ani 
iVTrbber  ginrato  cbe  quello  era  vera- 
■eate  iai-enao:  Feltro  contraddiceva 
aaa  eenlendo  odure.  —  (enti,  si  Icao, 
cioè  ai  fercro,  legitt.  perfetto  dall' anUq. 
fert  per  fare. 


S4  al  6etiedef  (orato,  all' Arca  santa. 

as.  TVeaeande,  cioè,  demanda  ;  dal 
prareoi.  tretemr,  onde  U  nome  tullori 
vivo  del  villcieceiu  (rafeone. — odalo, 
■Ito  da  terra,  ncIPatto  del  saito. 

SO.  B  pivi  e  aw»  dke  re  David  era 
io  qaell'atlo  piò  cbe  re,  per  eaaer  tatto 
taaorto  in  Dio  e  moeso  da  t 


cbe  re.  per  l' umiltà  cbe  ia  esao  appan- 


Dio;  e 

«-.  .«.  |.^.  . ^  ^^  ..  esao  ap^..- 

f  a,  Balla  ritenendo  della  regal  maeatb  : 
jpiit  ekt  re  agli  occbi  della  fede  ;  aiifi 
che  re  agli  occbi  del  mondo.  La  vera 
religione  e  il  secolo  non  convennero 
mai  nell'idea  della  grandetta. 

67  ad  una  tùia,  a  una  sedata,  t 
nn  balcone. 

6X.  ificol,  figlia  di  Saol  e  autglie 
di  Da^id 

69.  coma  donna  ditpettota  e  IH- 
tta,  cioè,  ia  aria  di  duuua  adirata,  co- 
me qaella  cui  dispiaceva  ramilU,ebe, 
trearamlo,  mostra%a  il  marito  suo. 

71    Prr  arvitar,  per  mirare. 

74-73.  prinre^  per  principe,  è  fatta 
sul  nom.  Utjno  prinetpt^  com'altrota 
dtMte  ferm»,  Scipio  oe.  —  la  cui  gram 
ralitrv  M/otte  Crtgorio  «e.:  la  cai  aooh 
ma  virta  (di  Traiano)  e  le  opera  «fregia 
e  magnanime  (cbe  a'iateadono  sotto  il 
nome  di  ralorr,  prese  la  cagione  per 
l'effetto)  moMcre  S.  Gregorio  olla  gran 


Io  dico  di  Traiano  imperadore: 
Ed  una  vedovella  gli  era  al  fretio, 
Dì  lagrime  atteggiata  e  dì  dolore. 

DiolorDO  a  lai  parea  calcata  e  pieno 
Dì  cavalieri,  e  l'aquile  dell'oro 
Sovresso  in  vista  ai  vento  si  movieno. 

La  miserella  infra  tutti  costoro 

Parea  dicer:  Signor,  famnii  vendetta 

Del  mio  fìgliuol  eh'  è  morto,  ond'  jo  m' accori 

~d  egli  a  lei  rispondere:  Oni  "aspetta 

Tanto  eh'  io  tornì.  Ed  ella:  Signor  mio, 
Come  persona  in  cui  dolor  s"  affretta, 
B  tu  non  torni?  Ed  eì:  CIiì  Ga  dov'io, 
La  ti  farà.  Ed  ella:  L'altrui  bene 
A  te  che  lìa,  se  'I  tuo  metti  in  obbliot 
I   Ond' egli.  Or  ti  conforta,  cbò  conviene 

Ch'io  solva  il  mìo  dovere,  anzi  cb'io  muoia 
Giustizia  vuole,  e  pietà  mi  ritiene. 

Colui,  che  mai  non  vide  cosa  nuova. 


ijHr|t1iel.bsde1d< 


HnlvD.  S.  Taminlta  d'A< 
nriiilmlulil>eni>gnr,c 

ipkgirìt  ÌD  Ma»  OtlolHO 


!  Tilc  il  itmplica  («ira , 
.  GnniiMaiiiiiB  «  Ua^ 


'    Ijlin. 


.»rf«ol.. 

Ed  una  cntoMlla  te.  Cut  m 
ili*  ijuale  rr 


H  f«r  bcóprtrt  l' Boiìciil* -.  tff  t- 
■era  il  ina  praprìo  IcIìudId.  L'affina 
«Hi  VadarÉ,  Amaa^aili^a  >e  le  pii- 

«lU  M  fa  («Btcnla.  —  f  ii  rra  ai  JVc- 


SU-9U.  LalhTii  ttiuiUclit  fitte. 
i  i|ual  lode ,  di  (juil  pra  uri  a  la  il 
esc  the  alici  oprrerk  hnoJoaù  (ia- 


80,  al' Sfalle  deffar 
neil<(dÌEliaalib«iu  lilrtanMpi.QiiBlii 
IB.*  MCod.  ADldd..  t  par  li  oirgliotei 
aUT«rtaH«lalRi>aiiidBMMiia|KrÌB- 
•apa  avvila  di  •ciIhIo  «ri  (  d'  arfrala 
impanala  ia  dalla  t>l*.  Vvgagllt  ntl- 
rara  (natia «nipa  d'oro),  l'alln  rdi- 
aeni,dia  l'miOflKreliU  aquile  arCgiilo 
in  d.*pfi  d'ora. 

•I  ■  in  n'Ha  tt,  r«rci ,  t  itictU, 


eia  tlli  Idi  li 

riiHiBt  la  t.     , 

dolora.  U<|uila  ni  «fon 


di  quote  Egurt  liiìtilnnit 


CAUTO  DECIMO. 

Produsee  esto  visibile  parlare 

Novello  a  noi,  perchè  qui  non  si  tmova. 

Mentr*  io  mi  dilettava  di  guardare 
Le  immagini  di  tante  omilitadi, 
E  per  lo  Fabro  loro  a  veder  care; 

Ecco  di  qua,  ma  fanno  i  passi  radi, 
Mormorava  il  Poeta,  molte  genti  : 
Onesti  ne  invleranno  agli  alti  gradi. 

Gli  occhi  miei  eh*  a  mirar  erano  intenti, 
Per  veder  novitadi,  onde  son  vaghi. 
Volgendosi  ver  Ini  non  foron  lenti. 

Non  vo*  però,  lettor,  che  tu  ti  smaghi 
Di  buon  proponimento,  per  udire 
Come  Dio  vuol  che  il  debito  si  paghi. 

Non  attender  la  forma  del  martire: 

Pensa  la  succession;  pensa  che,  a  peggio. 
Oltre  la  gran  sentenzia  non  può  ire. 

r  cominciai  :  Maestro,  quel  eh*  io  veggio 
Muovere  a  noi,  non  mi  sembran  persone, 
E  non  so  che:  si  nel  veder  vaneggio. 

Ed  egli  a  me:  La  grave  condizione 


347 

95 


iOO 


i06 


HO 


il5 


fmimA ,  o  b  cai  n  Tedca  espr«to  il 
fiHtrt  »•  fio  qui  •*  è  descrilto. —  AÌ0- 
•rib  m  noi,  boo  iimì  Trduto  tra  doì  , 

liato  ooo  può  la  nottra  lealtara. 

.  di  tmmle  wnililadi  :  di  UdIì 

L  Mper  lo  Fabro  loro  $e.  E  the 
oilrali  Wlain  rhe  oTevano ,  erano  an- 
dm  <Ht|  ieaiderabili ,  a  vedere ,  per 
firmiti  Ai  U  aveva  fatte,  DiottcMO. 

4$$.  di  qua.  Il  Costa  intese  cbe 
epailt  mSm»  veniitcro  dalla  detira  di 
virgifi*  •  dii  Dante  mentre  stavano  gaar- 
iaméo  k  scultore  :  ma  se  rifletteremo 
cW  Daato  fioo  dai  verso  !»3  è  possalo 
iflo  Jostro  di  Virgilio,  e  che  ora  por 
fvdcr  Voaimo  è  coslrello  a  volUrsi  verso 
di  lai,  ooncloderrmo  che  questo  anime 
vcagMM  dUlla  sinistra  dei  Poeti  e  non 
do  dmUm.  Vedi  ancbo  il  Canto  sof., 
v.49. 

401.  JfunNorora  il  Voetm,  cioè, 
Virgilio  sommessamente  diceva. 

4  OS.  tugli  miti  gradi,  ai  cerchj  sn- 
periori  dd  Purgatorio,  o  anche  allo  so- 
lilo éel  cerchio  superiore. 

405.  ter  lui,  cioè,  dal  Iato  di  Vir- 


E 'Ho.  Il  Boti  leggo  tor  hr,  cioè  ?tno 
geoli  :  cbo  pur  Touiano  dalla  parto 
ov'  era  Virgilio ,  cbo  s*  è  detto  ossero 
da  sinistra. 

406-408.  Non  oo'però,  UUor,§e^ 
non  voglio,  o  lettore,  che  per  udirò  lo 
grave  enndiiinne  di  coloro  che  pur  si  ooo- 
vertirooo,  iu  ti  nnaghi,  tu  li  seiorrìsco, 
tu  li  rimuova  spaventalo  dal  hmom  prò» 
ponimentn  di  tornare  a  Dio. 

4  09.  iVofi  aUendtr  te.  Non  por  moo- 
to  alla  fonna,  alla  natura,  ai  oooslo 
peoo  dei  Purgatorio,  ma  a  quello  l^ 
ad  esso  boccederè,  cioè,  alla  beatilodiae 
del  Paradiso. 

410.  pensa  ehe,  a  peggio,  ce.:  al 
pefigio  che  possa  accadere,  questo  pone 
non  potranno  durare  olirò  quel  lampo 
che  Dio  pronuocterh  lo  gran  sooteoio  ; 
cioè,  Doo  più  io  Ih  del  giudiào  ooif  ar- 
salo. 

444.  E  fio»  to  cfco:  nèsoprol  diro 
cbo  cosa  mi  sembrino;  o  a  che  rassooK 
jfjiare  quegli  ogflelti  che  mi  apporiscoao 
da  lootaou.  —  A  nel  ttder  vaneggia  : 
COSI  è  vano,  impotente,  il  mio  vodore, 
o  tanto  incerta  è  la  mia  vista. 


348 


DM.  PUEGATOmo 

Di  lor  tormento  a  terra  gli  rannicchia 
Sly  che  i  miei  occhi  pria  n'  ebber  tenziooe. 

Ma  guarda  fiso  là ,  e  disviticchia 

Col  viso  qnel  che  vien  sotto  a  qnei  sassi  : 

Già  scorger  pool  còme  ciasctm  si  picchia.  (^)      120 

0  superbi  Cristian  mi<«ri  las^d, 

Che,  della  vista  della  mente  infermi , 
Fidanza  avete  ne* ritrosi  passi; 

Non  v'accorgete  voi, che  noi  siam  vermi 

Nati  a  formar  V  angelica  forfoda,  itb 

Che  vola  alta  giustizia  senza  schermi? 

Di  che  l'animo  vostro  in  alto  gallaT 
Voi  siete  qoasi  entomata  in  difetto, 
Si  come  verme,  in  cui  formazion  fella. 

Come,  per  sostentar  solaio  0  tetto,  i30 


H6.  gii  roimleeAM,  gli  rìpicgt. 

447.  eh$  i  wUei  occhi ,  ehi  ucIm  i 
mia  occhi,  tanto  pia  p«rfelti  ó^lnm, 
—  pria  n'ebber  lemlinw,  B'ebber  coa- 
trasto  prima  di  te\  cioè  doveros  eon- 
(•odere,  «roriarsi  prima  di  coooMor  la 
TCrìU  della  cosa.  Tentione  è  lo  itflito 
che  tenxofu  oggi  uMto,  ma  è  più  le- 
coodo  la  aua  origina. 

418.  diivUieehia  :  mHaforiaaweiita 
per  dittingui.  E  qnesta  parola  raprìne 
molto  bene  lo  iforzo  necessario  agli  oe- 
dn  par  i«vilapp«r«  l'oggetto  da  ciò  che 
lo  ingombra,  aodericoBoacerlo  nellt 


1*)  Si  porgali  peecatodellaflaperbia. 
20.  eomecia$emn  ai  pleeMa:  ooMo 
che  peeo  ciaaciin  Ma  premuto,  aehiaccit- 
lo.  Qacato  modo  dì  Mip|iltXKi  heam  eon- 
fiaoe  a  chi  portò  tnopp'alta  la  tetta. 
Alcuni  Cod.  hanno  ti  nleehia,  rece  outa 
••eo  nel  XMII  òrW'Inf.t  1*  qoaleeigni- 
ficherebbe,  t'affanna,  o  gt^mtc,  tetto 
quel  peao. 

4Zl.  tatti,  facchi,  drboli. 

422.  Che,  delia  vitta  «e.:  cioè,  che 
«Beando  àachi  della  meiite ,  l't  pentata 
di  camminar  innanzi,  dì  aiMlafa  a  bnoo 
fine ,  a  i  paiM  vostri  invece  tono  ralfo 
gradi,  aooo  e«>ntro  ogni  b«on  fine. 

425.  a  formar  rmmgHiem  fiarfmi' 


fa  :  la  nMaaria  a  il  oianCe  detl'  nomo  eoo- 
aiderato  nella  tna  mortai  condioooa 
flnila  terra ,  dove  non  è  veramente  die 
nn  wrme;  e  b  nobiU  tna  dettìnazione, 
qnando,  depoeta  la  corporea  tcorxa,  t^ 
tlirk  Tale  dell'immortaliti.  Dal  primo 
rìttmo  t'argomenta  la  ttoltezza  ddla 
anperbia  ;  Hai  trc«»ndo,  la  neccaaità  di 
drcondar  di  virtù  qndlo  apirito  eba  ap<^ 
gKo  delle  toperba  vanite  terrene ,  a  ao> 
eompagnato  tolo  dalle  opera  tna ,  àm 
freaentarti  a  colui  che  giadieharà  le 
giottizie. 

426.  Che  rota  alia  gMiaia.  Int.  : 
a  Dio,  o  al  giudixio  di  Dio.  —  tenta 
teharmi.  Mi  piacerebbe  qveslo  aggiunto 
riferito  a  giutlixia;  ceriediè  ffotllsin 
tem%a  sehermi  ti|^ifirherabbe  ghutiEÌM 
contro  mi  non  vi  ha  rijmro  né  éSfettL, 
Biferito  airnn^mo,  vorràbbe  dire:a«li 
d' ogni  difeta ,  e  tegoita  aoln  dalle  aa» 


ti.  —  enCometo  :  ndla  erecn  orìgine 
ha  ree  2vro/i«,  neutro  plnr.  Ma  ilPea 


te,  cioè,  a  divenire  aeaiantn  angelica, 
tpirite  immortala,  di  cui  prcaao  gK  an-"* 
ticki  era  atmbole  la  farfalla.  Quatta  M- 
liitima  eemparaiiune  diiwiatra  dve  ee> 


427.  in  alfe  golia,  in  alle  gallar 
1^,  M  leva  in  ■nprrbia. 

428.  anlfmiefe  In  difbiio:  sedo 
aeolattieo  che  vale:  aiete  iuaetti  dilalli- 

Pecla 
V  ha  foggiato  *n  i  nomi  greco-latini  ms- 
trì  ddla  terza  deci,  in  hm,  oeotepmmm, 
dogwM  ee. 

429.  Si  eonie  «enne  «a.  Qacslo 
tarae  è  una  dicniaraziona  ani  praaancii» 
te,  e  vnol  dire:  voi  dete  ea«e  il  laiBU 
aopra  ricordate,  la  cai   fermanooe  è 


CAUTO  OBCiaio. 

Per  aemola  talvolta  una  figura 

Sì  vede  giunger  le  ginocchia  al  petto, 

La  qoal  fti  dei  non  ver  vera  rancora 
Nascere  a  chi  ia  vede  ;  cosi  fotti 
Yid'  io  cotor,  quando  posi  ben  cura. 

Ver  è  che  più  e  meno  eran  contratti, 
Secondo  ch'avean  più  e  meno  addosso; 
E  qual  più  pazienza  avea  negii  atti, 

Piangendo  parea  direr:  Più  non  posso. 


34» 


13& 


■•nchTol»,  finché  ooo  fhingt  »é 
farfalla,  ch«  è  il  tenna  di  tua  parf^ 
nona. 

131 .  Per  mmuola,  iavace  dì  nen- 
sola:  uuntoia,  chiaoMà  dagli  archi- 
tetti qoal  aottryiM  dia  ragga  aoaa  eba 
•porga  fuor  dal  maro.  —  «un  /If  «m. 
cioè  una  figura  amana. 

133-434.    La  quot  fa  dal  non 


goa  laerime  Tora.  Qnmdi  la  potenxa  àm 
poeti  e  degit  artisti. 

433.  cwra,  intasdi,  di  bao  raTfi* 
tarli. 

436.  eoniratH,  raeeordaii,  ripie- 
gati. 

437.  Satondo  eh' antan  ptii  $  mena 
addotto.  Suiunt.  di  peto. 

438  ^uol  pifk  patienta.  Voci  di- 


vtr  «e.  La  qaafa,  emnerchf  sìa  liata,  a  ra,  che  tdibmie  fuaner  più  e  meon  grari 

fiata  la  soa  raneiÈra,  cioè  l' affanno  eba  i  peai,  tatti  parò  o'  eran  ti  fattamanta 

I,  fa  nascerà  varo  affanno  in  chi  la  oppressati,  rhr  anche  chi  mostravssi  pi& 

È  noto  eba .  per  la  natura  della  paziente  e  mrnu  degli  altri  gravato,  pa« 

ooatra  Bente ,  da  unta  sciagura  si  trag-  rea  dir  piangendo  :  non  ne  patto  piii. 


CAunro  iM:€iiiioraiiiio. 


mtùmg  ém  ■«•  di  ^m*U»  jtnvM  wtJmmti  •  Pottt  m  dtstm  ftr  Im  ^< 
■Ma4^«M  Un»  Omòtff  df  cmA  </i  Smui^flfum,  td  è  t'Mtgànit 

àa  rmgtona  dtitm  9'imttm  dritti  mtumdmmm  fmma,  •  mUm»s  mm  fU 
tàt  4lm  tm  purgmMU0  t' mmium  smp^ròiM. 

0  Padre  nostro,  che  ne*  cicli  stai, 

Non  circonì^rilto,  ma  per  più  amore 
Ch*  a' primi  effetti  di  lassù  tu  bai. 

Laudato  sia  il  tuo  nome  e  il  tuo  valore 

Da  o<;ni  creatura,  coro*  è  degno  I 

Di  render  grazie  al  tuo  dolce  vapore. 

0  Padre  nr.tiro  re  È  qui  una  4.  if  Ino  ««lotv,  la  Im  vkià,  U 

traduzioor  spi«>Cata  del  Paier  taa  onnipotenta. 

r.  —  I^on  eireonscrillo  et.,  non  6  al  tuo  doUa  aapora.  Ma  Mei 

terminato,  essendo  che  rintinito  non  ha  amanaciom  detta  taa  inanità  boolà.  Per 

teraiini  ;  ms  perchè  ivi  Tsmur  tuo  mag-  vapora,  preso  ^aneralneota ,  a*  iatco- 

gparmante  si  diffonde  verso  i  primi  af^  duoo  tolte  le  dinii«trazioiù  della  gaa 

fatti  della  tua  creazione ,  cioè  versa  i  aloria  si  nelle  ofton  della  croaziaoa  che 

esali  f  gli  angeli  ;  per  lo  che  splendiina  dalla  grafia,  onde  S.  ObioN  eMte  :  ^n*- 

•■co  di  maggur  luca,  che  è  la  dimostra-  liat  mgiwmt  H^  proplar-mmgnatH  gUh 

àooa  della  gloria  di  Dio.  Vedi  Par.,  riam  imam.  Il  Conte  leggeva  cwi  la  Ni- 

Cafite  I .  dob.  e  qualche  altra  stampa:  ai  Iva  aUo 


4-5. 


Vegna  ver  noi  la  pace  dal  tuo  regno, 

Chò  noi  ad  e^a  non  polem  da  noi, 

S' ella  non  vien,  con  latto  nostro  ingegno. 
Come  del  sno  voler  gli  angeli  tuoi 

Fan  sacrificio  a  te,  cantando  Osanna  , 

Cosi  facciano  gli  uomini  de"  suoi. 
Dà  oggi  a  noi  la  cotidiana  manna. 

Senta  la  qual  per  questo  aspro  diserto 

A  retro  va  clii  più  di  gir  s'affanna. 
E  come  noi  lo  mal  eh'  avem  sofferlo 

Perdoniamo  a  ciascuno,  e  tu  perdona 

Benigno,  e  non  guardare  al  nostro  merto. 
Nostra  virtù  che  di  leggier  s' adona. 

Non  spcrmenlar  con  l' antico  aworsaro, 

Ma  libera  da  lui,  che  si  la  sprona. 
Quest'  ultima  preghiera.  Signor  caro, 

Già  non  si  fa  per  noi,  ct;é  non  bisogna, 

Ma  per  color  che  djpiro  a  noi  re^laro. 
Co^  n^te»  noi  buona  tamagna 

Queir  onìbre  orando,  andavan  sotto  il  pondo,  j 

Simile  a  qnel  che  talvolta  si  sogna, 
Disparmenle  angosciate  tutte  a  tondo, 

i  •nnnlK»:  •  all'alUi  Im  it-  23.  clii  non  Minjna,  ptrdii  a> 

I  udii  SjirriSrriKtra  lihic  pìè  r.|iiDi  di  (iwirr. 
ir«(niil(iJ)>(«l<»a>Mli'ai  ai    ek' di'clri*  ■  ■»<  <e..  OKÌ,  ri 

^  nei  ad  MIO  n   PrreÌ«nM,  toliora  in  tii>,  ««mimiin  Jntraa  ■> 

TÌH)«  •  noi  per  Ina  brnignr.  prr  r»|i(nBnp.ti  ntll'aHniU. 


12.  dU-tuni.  e 

13.  la  alidi» 
ipctidìinn ,  g«l  f« 


pprnll|[l.rÌ"HÌbl.oniÌii|i([m;  «^  Il  m  fc» 

filMUn  CnttMln-lprìi  d'OiUbA 
•  lìam/^nmi  tobài  et*  «■  Vi 


19  f'sifiwa.  tnla  ibbiilDli 
Ufgìtr.  fMlIntiila. 

M.  .Vwt  •p(fmM(«r  m.  ,  nno  i 
rinonlir*,  nini  ocllfra  ■  rliniala 

3l.'*iillaipr»ifl.»iit>nl'*> 

pll  Unti  oioJi  la  apinnt  al  malli. 

33.  Qattf  mlllma  pTtfhlrra:  i 


a.  nntH' 

a  fVFl  'hr  InlvnlU  iJ  ni|rna.  pioyn- 
dort  —Itiipgrmnlttc  .tliis'ùi'him»- 


CAirrO  DECIMOPRIMO. 

E  lasse  su  per  la  prima  cornice. 
Purgando  le  caligini  del  mondo. 

Se  di  là  sempre  ben  per  noi  si  dice, 
Di  qua  cLe  dire  e  far  per  lor  si  pnote 
Da  quei,  e*  hanno  ai  voler  bnona  radice? 

Ben  si  dee  loro  aitar  lavar  le  note, 

Che  portar  quinci,  si  che  mondi  e  lievi 
Possano  uscite  alle  stellate  rote. 

Deh  1  se  giustizia  e  pietà  vi  disgrevi 
Tosto,  si  che  possiate  mover  1*  ala, 
Che  secondo  il  disio  vostro  vi  levi, 

Mostrate  da  qual  mano  in  ver  la  scala 
Si  va  più  corto;  e  se  e'  é  più  d*  un  varco. 
Quel  ne  insegnate  che  men  erto  cala; 

Che  questi  che  vien  meco,  per  1*  incarco 
Della  carne  d*  Adamo ,  onde  si  veste, 
Al  montar  su,  contra  sua  voglia,  è  parco. 

Le  lor  parole,  che  renderò  a  queste. 
Che  dette  avea  colui  cu'  io  seguiva, 
Non  fur  da  cui  venisser  manifeste; 

Ma  fu  detto  :  A  man  destra  per  la  riva 
Con  noi  venite,  e  troverete  il  passo 
Possibile  a  salir  persona  viva. 

E  s*  io  non  fossi  impedito  dal  sasso, 


39(1 


30 


3S 


40 


45 


M 


•ppratMNie  che  ognuno  forse  ha  provato 
^ùlcha  Tolta  sognando ,  quando  d  vor^ 
rcoBiMO  aiutare  in  no  gran  pericolo,  e 
•••  ii  può.  Fona  a  tutti  non  piacerà 
^««ito  paragone  di  un  male  vero  e  reale 
a  u  angnato  j  ma  comunque  sia ,  io  lo 
Muto  molto  rspressiro. 

29.  la  prima  cornice^  doè,  il  primo 
cerchio. 

31 .  5a  di  là  tempre  ben  per  mot  ti 
àiee:  sa  nel  Purgatorio  sempre  da  qo«l* 
l'afiime  si  prega  a  vantiiggio  noatro. 

8S.  Da  quei,  €  hamno  al  teler  §e,: 
óak  y  ià  quelli  che  hanno  la  voloiilà 
Iraotta ,  accompagnata  a  diretta  dalla 
grasia  di  Dio  ,  che  è  la  radie§  kmama 
da  cu  aola  può  sorgere  efficace  oraiio- 
tf'f  perctoodie  da  quelli  che  della  gra- 
fia «Ovina  sono  privi,  non  hanno  la  ani- 
me  purganti  che  sparare. 

SI.  Ben  li  dee  loro  aitar  te,:  haa 
si  devo»  dai  vivi  aiutare  quella  tfliaM  a 
lavai  e  la  noCe,  la  ouc^hie  del  peccato, 


eolle  quali  vennero  dal  mondo  al  Pur- 
gatorio. —  nola^  vale  segno ,  imprea- 
sione  rhe  resta  d'  alcuna  coaa. 

55.  gutnci,  di  qui,  da  questo  mondo. 

56.  rote,  aono  chiamati  i  deli  Aa 
girano. 

57.  Deh!  te  giuttizia  et.  La  parti- 
cella te  è  deprecativa,  ed  ha  il  seoao  me- 
desimo di  còti. — viditgre9iy  vi  sgravi 
del  peao  che  vi  opprime.  —  fimttizia 
e  pietà.  Int.  la  giustisìa  di  IHo  aodi- 
afatta  per  la  pietà  da'  hoooi  a  fedeli  vi- 
venti. 

59.  9i  levi,  vt  ald  al  Paradiao. 

40.  da  qual  mano,  da  fual  parta; 
aa  da  deatra  o  da  sioìstra. 

45.  pareo,  lento,  tardo. 

48  iVoii/Wrd«esi<ae..*Ma«fida 
da  chi  TeoÌ8sero;oàsipoCeaparilaaJa 
eoa  em  «tavan  quella  aninM. 

51.  PmeibiU  ataliree..  àok^  tala 
da  potervi  salirà  aa  vivo,  «hi  ha  iaea  il 
corpo. 

SI 


312  DEL   POEGJlTOElO 

Che  la  cervice  mia  superba  doma» 
Onde  portar  convieromi  il  viso  basso, 

Cotesti  che  ancor  vive,  e  non  si  noma,  1^ 

Gnardere'  io,  per  veder  s*  io  '1  conosco, 
E  per  farlo  pietoso  a  questa  soma. 

r  fui  Latino,  e  nato  d*  an  gran  Tosco: 
Guglielmo  Aldobrandeschi  (b  mio  padre: 
Non  so  se  '1  nome  suo  giammai  fu  vosco.  io 

L' antico  sangue  e  P  opere  leggiadre 
De*  miei  maggior  mi  fer  si  arrogante, 
Che  non  pensando  alla  comune  madre. 

Ogni  uomo  ebbi  in  dispetto  tanto  avante, 

Cb*io  ne  mori',  come  i  Senesi  sanno,  H 

E  sallo  in  Campagnatico  ogni  (ante. 

Io  sono  Omberto:  e  non  pure  a  me  danno 
Superbia  fé,  che  tulli  i  miei  consorti 
Ha  ella  tratti  seco  nel  malanno. 

E  qui  convien  che  questo  peso  porti  10 

Per  lei,  tanto  eh*  a  Dìo  si  soddisfaccia. 
Poi  eh*  io  noi  fei  tra*  vivi,  qui  tra*  morti. 

Ascoltando,  chinai  in  giù  la  faccia; 
Ed  un  di  lor  (non  questi  che  parlava) 
Si  torse  ^'otlo  *1  peso  che  lo  impaccia:  74 

E  videmi  e  conobliemi,  e  chiamava, 
Tenendo  gli  occhi  con  fatica  fisi 

55.  e  mtm  ti  ntma.  SiUtinl.  </•  1$;  66.  ogni  /ante,  ogni  parlmU,  m/à 

ottia,  Ji  cai  la  n«Mi  Imi  «L-iUi  il  dihmc.  aennnm.  f^iimiU  viire  denva  à»\  f  >• 

57    E  per  farlo  yietuti»  ce.  :  •  per  Ut.  fari,  |>jirlar«  ;  ed  è  eMitrarà  dB  Ia- 

■OTcrlo  a  cmu|iaMi«Hif  di  ia«  t-k«  peno  fante^  che  diceti  del  baiiibta*  eba 


leUo  qacntn  p<*»«iit«'  «Nssn.  •ctiii'lii'  la  lingua;  ma  qui  è  saaCa  fa 

58.  Latino  ee.  Sta  i|hì  per  itaitano.      a  significare  uomo  dot  fi^  OOmmU  9 


Coatyi  è  (ImbiTto,  iJft|iu«lH  di  4ÌM|{liel-  laigari. 

■a  AldobrandeM^i  de' nulli  di  Santa-  V8    i  miei  contorti,  ^alU  Ma 

iara,  famiglia  piHenie  nella  Marenima  Mia  «cbialta. 

iiSiwia.  Fa  mctìmi  dai  Samin  ibe  Milia-  69. ne/ ima /mmo, nella «Saavwitara. 

Tana  la  sna  Mprrliia.  m  CampagoatMM,  73.  ehinoi  in  giià  lo  foeria.  li  Buh 

laofo  della  dflla  >t)<i-riiiina.  gioii  e  il  Giata  crrtlonu  cba  llanta  cbi- 

66.  giammai  fu  vttBcn,  fu  giammai  aaaae  la  la«xia  |irr  bmiaa  craawa  par- 

Wito  tra  v«M,  n  nei  %aaln  li»t*|{hi.  laodontu  chi  alava  tanto  pìi   kaaaO  di 

910.  alla eomtmmo madre.  Int.  allaa^  lui;  aia  a  me  |»ar  pin  beli»  il  avpparra 

■■ne  origine,  per  la  i|UMle  «gni  numo  ai  cke  egli  ahbaaaanae  la  fmotc  par  la  aoB- 

dm  riaa— im  1 1  «gtiale  ali  altn»  «amo,  a  fnaiunr  drl  Henlirsi  pur  agli  nmoran  dei 


— 1  afri  biia^oprrnubUta  «»  per  nacbaa»  pacratn  rbe  là  u  puniva  ti  durai 

tt,  cba  aoiinc«ar  eanMie.be,  e  dal  aaaa.  Vedi  anche  al  CauU»  Xlll,  t.  136. 
il.  in  àiapoUit,  in  diapragiak.  75.  ohe  to  impaeeia:  ciaè,  ah«  b 

•5.  eomoiSemoH  omm».  U  Bali:  nsparciava.  Uaa  il  praarnto  pawhè  M 

C  miei  Samoti  il  tonmo.  In  figura  ancara  in  ^ nallo  aCaln. 


CANTO  DECIMOPaiMO. 

A  me  che  tetto  chin  con  loro  andava. 
0,  disti  Ivi,  non  se  to*  Oderìsl, 

L*onor  d*Agiibbio,  e  l'oiior  di  quell'arte  to 

Cbe  alhamaittre  è  chiamata  in  Parisi? 
Frate,  diss'  egli,  più  ridoo  le  carte 

Che  peaneUeggia  Fr^ico  Bolognese: 

L*  onore  è  tatto  or  suo,  e  mio  in  parte. 
Ben  non  sare*  io  stato  sì  cortese  81 

Mentre  eh'  io  vissi,  per  lo  gran  disio 

Dell'  ecceUenza,  ove  mio  core  intese. 
Di  lai  superbia  qui  si  paga  il  fio: 

Ed  ancor  non  sarei  qni,  se  non  fosse 

Che,  possendo  peccar,  mi  volsi  a  Dk).  90 

0  vanagloria  delie  ornane  posse, 

Com'  poco  verde  in  solla  cima  dora, 

Se  non  è  giunta  dalP  etati  grosael 
Credette  Cimaboe  nella  pintura 

Tener  lo  rampo,  ed  ora  ha  Giotto  il  grido,  9k 

Si  die  la  fama  dì  coivi  o<;cura. 
Cosi  ha  tolto  r  uno  all'  altro  Guido 

7».  OdkHai,  OJemi  Ji^kptkhìo  ^i  90  poMnde  fteemr,  eio*,  mtmi% 

G«IAié|,«ili«^l  dotato  Ài  DriMfio,  fa  «a  io  anenra  in  vita,  ove  ai  pad  aomprtift- 

«carfWalB  ■òwiatra  dell»  grafia  A  Cm  é&n  tm  fotfoto. 
mmUm  Dcr^nnr  morii»  fmm  ariiM  «M  f  1-92.  O  XMMm§Urim  Àdh  wmtm 

IBoe.  Fa  adopralo  in  aomo  da  Booifa-  fmm.  O  oiinera  e  «aoa  i.loria  della  b- 

ém\  Iti  a  wkimmt  bWi  inaM>m«  i-on  G««ll«.  oultè,  delhr  Urte,  dell'  amaoo  iogn—. 

a^ai .  di  ^«eff  arfe  dm  aHaoit.  a  dalle  a(*ere  per  ea»*  prudatta  ! — Cwm 

WÈK9  «e.r  «--ot,  il  m  oiaia  eoo  ■eyuralli  poro  fnré»  re.  Qoaiia»  p««o  «lnw-ofr* 

m  aorta  protra  e  in  uiwiria,  tka  ia  PO-  49  tmllm  tima,  ai  oMoiieoa  vira,  t^ 

ffì^  dieeai  wniuminer.  geta  (raa»  ulori-  ),  ae  ooii  é  aouiaggiagÉa 

aS-V3  péà  ridim  le  emrUr.  L^ffffia-  da  lampi  oerrM,  Inolaai  dalia  artialiiB 

dba»el«lora,rwll4i)iiaieilP-fta«apriaM  •  letteraria  p^rfeaiwa ;  aa  lataaÌBlkiB 

il  Abtl»  cW  lerataw»  le  oiipialora  di  ai«M«'*  o«in  ct««linaa  uà  mner  rana  a 

Froae*  B«l«goaaee<  Ila  %arietè  oanDi»*  lanctalla!  Ivd  e  ano  «erila  dì  fatto,  eh» 

■io  doP  ouhri,  o  eolle  allre  bt  Ile  ^ual  là  a  «NHira  dia  le  MW  arti  ai  arooMM 

del'a  enoip««f toof  e  drl  «liargno.     jw  ol  lort*  ptrfatiiiatmaiu,  b  alorii  dai 

«•Arffàoi,  dipioff»  avi  penarllo.  poaMti  artiali  n  «a  atalÌBaagda ,  a  akì 

%k    L'mmaww  or.  :  egli  ora  è  laoaCo  vira  d«ip«i  fa  dimroliawra  obi  hi  arasti, 

•d  ■■■dii  «laggMir  pilUire  aW  ••  «Mi  —  Del  reali»^  lo  aietaf«ra  è  tallo  dolFa^ 

m,  od  0  OMr  rioMoe  1'  «o«ra  di  avanfi  kero .  U  cai  vita  «•  n  aatanaaa  è  mMf 


kero,  Il 
aperta  la  via  a  ben  tlipingera.  cola  doli*  rimo  «aedo ,  •  lo  aorta  dal 


aM7.   Ara  nmm  tmn'io  ttato  al  aaccorii  di 

Bli»Botii  il*  alalo  vf«r«do  ai  13.  Sa  non  4  ftéiUtt.  So 

b  riodgrgli  ^oeala  iBotilalB  avlo,  aagaiUta.  Qiialebe  tarto  5f  «NI  è 

I,  par  il  d>  lidi  ini  rW  iirl  aNfroafar  /uta,  aiutala  ;  ad  è  baooa 
profeto  a«ea  dairrrreffnia«.  cMio,  AW  Vi  ttaarl»! 


il  pt— o  il  pf«ei4rbret«4|aetl*arta.     batti  ala  ebo  wata  lapiriatf  a  padraa 
Eé  mwtaiT  ae.  :  eiwo,  o  o  noort'oaa     dal  aaoyo:  yi  rale  aaif»t  U  pi  taH. 


aarei  io  l'argatono^oM  odflarcno.  97    T  Mw  9ltmtiro  Guide.  G«id» 


324  DEL  PUBGATORIO 

La  gloria  della  lingua  ;  e  forse  è  nato 

Chi  r  ano  e  V  altro  caccerà  di  nido. 
Non  è  il  mondan  nimore  altro  che  nn  fiato  lOO 

Di  vento,  eh*  or  vien  quinci  ed  or  vien  quindi, 

E  muta  nome,  perchè  muta  Iato. 
Che  fama  avrai  tu  più,  se  vecchia  scindi 

Da  te  la  carne,  che  se  fossi  morto 

Innanzi  che  lasciassi  il  pappo  e  il  dindi,  ics 

Pria  che  passin  mill'  anni?  eh* è  più  corto 

Spazio  all'  eterno,  che  un  mover  di  ciglia 

Ai  cerchio  che  più  tardi  in  cielo  è  torto. 
Colui,  che  dei  cammin  si  poco  piglia 

Dinanzi  a  me,  Toscana  sonò  tutta,  iio 

E  ora  appena  in  Siena  sen  pispiglia, 
Ond*  era  sire,  quando  fu  distrutta 

La  rabbia  fiorentina,  che  superba 

Fu  a  quel  tempo,  si  com'era  è  putta. 


Caralcanti,  filosofo  e  porta  fiorratino , 
oscurò  la  fama  di  Guìao  Gaiiiieelli  ho- 
logacse,  che  poetò  prima  di  lui.  Il  Goi- 
nicdli  morì  nel  4276,  e  il  Cavalcanli 
nel  4501. 

98-99.  della  lingua.  S'intenda  del- 
la lingoa  nobile  italica ,  di  coi  non  poò 
nefi'arsi  che  la  maMÌma  parte  è  in  boeea 
del  popolo  toscano. —  e  forse  è  nm!o  ee. 
Pare  che  debba  inlcnaorai  di  Dante 
medrtimo,  che  avrebbe  oscurato  nella 
lingna  e  nello  stile  i  due  Gnidi.  Ma  ▼». 
glio  arrertire  che  potrebbe  anche  ri- 
apanniarglisi  questo  poco  niudesto  Tan- 
to, specialmente  essendo  a  carico  d'an 
fuo  amicissimo;  e  intrudere  in  generale 
della  incostania  della  fams,  per  cai  dii 
A  grande  oggi  può  direoir  nullo  doma- 
ni. Vero  è  che  non  si  nega  ai  poeti  tu- 
fiierv  tvperhiam  qwtiitam  fneritit. 
Unto  più  quando  l'«l«>gio  è  posto  in 
bocca  ad  altri ,  e  con  tanta  delicatena 
come  Otti  ti  vede. 

102.  E  mula  nome.  Come  il  vento 
cambia  nome  secondo  la  parte  da  eui 
•pira;  eosì  la  fama  passa  da  ano  in  nn 
altro,  •  or  di  questo  ai  celebra  il  noma 
or  di  quello. 

403-408.  Ckéfetmam.  Qnal  nag^ 
é»  fama  avrai  se  sHndi  (aepari)  da  te 
fl  eorpo  già  Terrbio,  cbe  ae  foaai  moiin 
Vtmbinojquandoehiamari  pappo  il  pane 


e  dindi  i  denari  T  cioè  :  che  fama  avrai 
maggiore, se  muori  vecchione  foa«  morto 
fanciullo,  dopo  un  corso  di  anni  minoro 
di  mille,  dopo  circa  noveeento  anni,  spo* 
fio  di  tempo  riguardo  all'oternitè  pia 
corto,  che  non  è  un  battere  di  cigUa  ri- 
apetto  al  moto  del  cerchio  edeato  cbo 
più  lootuai  gira?  Il  rìdo  che  gira  me  • 
tardo  è  quel  delie  fisse,  che,  accondoTiK 
lomeo,  compie  il  suo  giro  in  trentini 
mila  anni.  La  fama  dunque,  ai  eoodndo 

5er  questo  ragionamento,  è  incarta ,  o, 
opo  tutto,  raramente  durevole  ;  ondo 
Tanto:  qnem  illum  temim  tupérbim 
esse,  ut  oitemitatem  «ominif  ipo 
prcBSumatf  E  s'ancha  dopo  nillo  anni 
la  tua  nominania  renga  niooo,  dPtl* 
lora  egli  è  coma  aa  tn  fooii  Borto  im 
culla. 

409'i\O.Colui,éh$ddtemmimee, 
Int..  dalla  fama  di  colui  tke  %  A  lento 
posao  cammina  dinanzi  a  te,  woè  tnttn 
Toacana.  Cuatr.:  loscamm  kMsi  urne 
colui  ee. 

442.  Ond' era  sire,  ddlo  qnd 
dtlà  ora  signore. — quat^  fk  disarmi^ 
te  90.,  qMudo  io  Montaporti  rimoaaro 
aoonfilti  dai  Sencw  gli  arrabbiati  Ro- 
rentini. 

448-444.  dk»  superhm  ao.»  oU  • 
qnd  tompo  fn  altera,  eooao  oggi  è  vilf  al 
pari  di  Meretrice. 


^^1 

■! 

m 

CAKTO   DECIMO  PRIMO - 

Che  viene  e  va,  e  quei  la  discolora. 

'"■ 

Per  cui  ell'cscH  della  terra  acerba. 

^^1 

Ed  io  a  lui:  Lo  tuo  ver  dir  m' incuora 

^^1 

Buona  umilia,  e  gran  tumor  m'  appianii 

^H 

Ma  chi  è  quei  dì  cui  tu  parlavi  ora? 

«t^l 

Quegli  é,  rispose.  Provenzon  Salvani; 

Ed  è  qui,  perché  fu  presuntuoso 

^^H 

A  recar  Siena  tutta  alle  sue  mani. 

Ito  è  cosi,  e  va  senza  riposo. 

Poi  che  mon:  colai  monela  rende 

m 

. 

A  soddisfar,  chi  è  di  là  tropp  o'o 

Ed  io:  Se  quello  spirito  eh  alteiidu. 

Pria  che  si  penta,  l'orlo  della  Mia, 

Laggiù  dimora,  e  qua-eu  non  ascende. 

Se  buona  orazion  lui  nun  aita. 

130 

Prima  che  pas*i  lu-mpo  quanto  vu.se. 

Come  fu  la  venuta  a  lui  largilji? 

^ 

Quando  vivea  più  glorioso,  di.s.se. 

m 

Liberamente  nel  campo  dì  Siena, 

.^M 

Ogni  vergogna  deposta,  s'  affis-'e  : 

1»=^ 

1 

E  li,  per  Irar  l' amico  suo  di  pena, 

1 

.«•lato 

Un  fimi 

1  i  ■inil«  il  lul.iM  d.ll'irba     Iruppu  (rdilD,  dii  hi  HoppooHI 

«■;  e  il  Icirpu  ckt  mi  au     luiHrbia,   cnlnl   monda  rttids,  pa|i 

UmiiMt 

n»eimHii.i  la  diilnigi;e,  in     L<t  liu,  olii  unpIiriD  porU  pc 

r  Mdia- 

i(h(  lliDtF<li-«>liinl'ciba     fin  (111  rl'ivio*  giuiiiiii. 

ib.u'cr. 

t  itrit,  aetrla,  (tn  ncir            427-132  Si  qiitllo  tpMlo 

K.1M.: 

dJlU*  If  rri. 

H  Ir  min»  the  itiii  lUnu  1  »ntli 

li  I-orto 

tl8.  n 

'  inctton  et;  ni  urllc  nel     dilla  ciui.  rIÌ  uHifl»  ni<>iii«iU  < 

iella  li- 

l(y.  gran  (umor,  li  lopertii,  1*     buon.  .,r«ioù.  dno  fei.uu,  a» 

a  «Ira 

"-x; 

•alt  dFl  imo  iniina.                  qniHti  pnni  cb>  hi  duhIb  b 

al*m|H> 

•rWR»»!  StU«7,i.  Fu  Sa-     tallir  «  qu.Ili>  do  imcn  (V. 

.diCa^ 

niml*  in  i 

r.«>«™  di  p>rl(  ghibrlliu ,      lo  IV  pMTf..  "■  130  >  Mg.)  ; . 

«Hot  h 

P«lM«d. 

a  il  nf  B- 

lini  .II' Ari 

lit ,  ma  pow'ia  dn  Giinbcr-     Uni,  t  nua  iiHD.le   innirt  «u 

■à  dalla 

i.M>,  •!». 

■io  Ai  Urlo  I  rt  di  Pu|[l»  •     >i»  mori»  Unii  inni  iMali  a. 

riuoT 

«piW.li 

pani  guKir*.  fu  MnnliUn  o            liS  pii  gtoriou ,  odiai 

»•  "«-      .^ 

n.^»<l< 

I2('>'J  pcHH  Calle  a  Valdel-     |ior  f|i<"^  ;  i"  t^i"  '■»  "*  •>  l»>*nk    ^^ 

u,  ■  li  UI 

Fa  porUla  a  ««Ira  pur  lg«u            13S.  ('  «fflu*.  <i  pianli  tirw>  lA^H 

"1°^.^^" 

Aé.A 

.opr.  d^  .« 

Ioli»  .1  go.eni»  di  Siaai ,  ■            136-137-  f>n-  Irar  l'aiRini 

n.  Par               1 

fjK«  l.r. 

,0„0.                                                              1,bcr.(B<l'l»icUl>l»ddl<p«DI 

icb«M- 

(2S-I26.  Fot  ckt,it«:U.— colai     .lowa,  «ffri.i,  «11.  prigione  i 

in  cui  lo 

tM  OBL  PORaATORIO 

Che  sostenoa  nella  prìgìon  di  Carlo, 

Si  oondoMe  a  tremar  per  ogni  vena. 
Più  non  dirò,  e  acaro  so  che  parlo; 

Ma  poco  tempo  andrà  che  i  tuoi  vieini  iio 

Faranno  si,  che  tu  potrai  chiosarlo. 
Quest*  opera  gli  tolse  quei  conlini. 

teserà  Carlo  I  rt  dii  Paflta,  H  quali  441.  Faroimo  ai  «e.  Int.:  facda»- 

o'eaigera  in  ràeatt»  dieci  mila  fiarioi  dati  a  fjM«uil«iU  provare  tatti   i  diiafi 

4'oro,  ai  eonduase  a  diiedrra  la  linnaina  dfUa  doloroaa  povei  tà«  e  qaanto  aia  darò 

tatto  angoadoao  e  trnnente.  Il  l'oatill.  a  amaro  il  chiedere,  faranoo  ai  che  po- 

Caet.  ci  dà  qaeata  ntOina  intorno  al-  trai  intrnd«>re  e  inlerpretara  la  perifraai 

Panico  di  Proveniano.  Qiti  dwm  mrmt  dal  framofif  per  ogni  vena,  a  a*  alla 

dominui  Senarum,  quidam  mmi€u$  m  beo  apfinipriaU   alla  coaa  che  ha 

tuutdielut  Vigna  reperii  se  md  eat^  iolaan  d'eaprìnicra. 

flirtum  Curradtni.  unde  erat  in  etr*  442  (/ue$t'operagliloUeee.Oée- 

eer$  Caroli  ipse  el  malli  alti,  rìm  rìHB«»nile  alla  domiinda  che  Dante 

\òS.  a  tremar  per  ognivena.ìkfola  fK  ha  ffaUa  (\edi  vano  127-152),  a  di- 

ado,  che  avea  prunaio  quanto  coati  ad  ce:  Queata  opera  genaeuaa  gli  tolse qaai 

an'  anima  gentile  il    picchiar  per  eoe-  eoofini,  o  lo  liberò  da  quei  ooofini,  fra 

coreo  air  a  Unii  piirta,  e  fiineaeriveoda  cai  rìmangitno  la  anioM  di  cnloro  the 

■e  aentiva  tuttora  il  brivido,  polea  crear  bawno  indagiat»  a  pratirai.  QueaU  con- 


questa  forma  ad  esprimere  il  mtndi      ini  aono  iatnro*  al  oMala  del  Pargm- 
esra.  torio  aotto  alla  porta  guardata  dall'ÀD- 

440.  i  tuoi  vicini,  i  taoi  citt«IÌBÌ.     gala. 


CAIVTO   DECOroSECOIVIHI. 


ImMiat»  OétHM,  •  emttimmmmtU  il  mmmm  «•  ^w  J»  pmm  étl  emèm,  wtéa  Dtmt» 

sta  pmwimeHtm  moti»  fmmmu  mtm^  é»  pumiu  $m^réim.  Po»  mmmm  mttmim  m  Pmttà  m 
tàt  gk  gmtds  alto  «Mto  ptr  «au  «  «Mf#  mI  mcmi#«  fynmm»,  td  tm  *mmc$Um  «al  èmtitr  étW 
da  P  émllm  ff9mt0  dtirjhgkmni  md'u  «•  »mpm/mul0  •  Uggmm  tà»  ptrf 


Di  pari,  come  buoi  che  vanno  a  giogo, 
IV  andava  io  con  quell*  anima  cerca, 
Fin  che  '1  sofferse  il  dolce  pedagogo. 

Ha  quando  disse:  Lascia  Ini,  e  varca. 

Che  qui  è  buon  con  la  vela  e  co*  remi,  k 

Quantunque  può  ciascun,  pinger  sua  barca; 

Dritto  SI,  com*  andar  vuoisi,  rife*mi 

Con  la  persona,  awegna  che  i  pensieri 

4.  Di  pari,   a  paro  a  para;  a  S-6  ^1  è  buon  ee,:  qw  è  ben abi 

•oppia,  •  con  paaai  uguali.  —  mme  ciaacnno  ai  ado{>eri, ^««iiliiiifwa^ 

♦yy  >ba  9amna  ee.,  eioè ,  éalla  laata  to  pia  paè  a  ramminara. 
cbÌM,  anosa  i  buoi  ^a  vama  aatl»  •!  7.  Drillo  ee.  Mi  rinai  tm  colli 


aio|a:aglÌDarl«paaocbaava«a  aepra     aaoa  iu  quel  mado  cbe  ai  aiiola 
iMpalla,  ad  ••  por  M  


^^^  - .      pw  palar  efm  W  ftaa     oara,  a,  aba  ai  costìcm  «IP  «aa»  di 

Mwa^  rogianara.  caanioara. 


*•  *•**•*  P*»»  ■■«■1.  t-f.  ofettgna  eke  (  pentkri  ee.t 


CA2VTO  DECIMOSECONOO. 


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n 


Mi  limaDessero  e  chinati  e  scemi. 
Io  ni*  era  mosso,  e  seguia  volentieri 

Del  mio  Maestro  i  passi,  ed  ambedue 

Gié  mostravam  com*eravam  leggieri; 
Quando  mi  disse:  Volgi  gli  occhi  in  gioe  : 

Buon  ti  sarà,  per  alleggiar  la  via, 

Veder  lo  letto  delle  piante  tue. 
Come,  perché  di  lor  memoria  sia, 

Sovr*  a*  sepolti  le  tombe  terragne 

Portan  segnato  quel  eh*  elli  eran  pria; 
Onde  11  molte  volte  si  ripiagne 

Per  la  pantura  della  rimembranza, 

Che  solo  a*  pii  di  delle  calcagno  : 
Si  vid*  io  II,  ma  di  miglior  sembianza, 

Secondo  r artificio,  figurato, 

Quanto  per  via  di  fuor  dal  monte  avanza. 
Vedea  colui  che  fu  nobii  creato 

Più  d*  altra  creatura,  giù  dal  cielo 

Folgoreggiando  scendere,  da  un  lato. 
Vedeva  Briareo ,  fitto  dal  telo 

Celestial,  giacer  dall* altra  parte, 

EBtierì  ni  rimaneMem  non  cioè ,  tutto  qael  piano  che  foma  tira» 
pie  «hi,  soperbì,  nttomt  erano  dianzi,  da,t|»orgrnflo  fuori  della  falda  del  mm^ 
■M  kaaai,  amiliati  ^  per  V  effcttit  de*  ve-  te.  —  Secondo  V  arliflcin,  teoondo  il 
aapplìci  elle  in  Purgatone  ha  la     mafpniero,  unt»  nin  perfetto,  del  difino 

arti'iiri*  Si  noti  rne  gli  ecempj  d'umiltà 
erano  M*i«l|iili  aulla  rì|ta ,  e  qveali  di 
fain«iM  superbia  ««tnn  delineati  ani  p^ 
Timriito .  a  liiiiKMtrare  che  gli  amila  ta- 
ranno  alla  line  esaltati,  e  i  aoperbi  d*> 
prcMi  e  ciil|H^Uiti. 

23  eht  fu  nnbil  creato.  Qvaili  è 
Loci  fero,  che  fu  il  piò  nobile  fra  tatti 
gli  spinti  creati  da  Dio. 

27  Folgoreggiando^  qvaei  folgort' 
per  la  Iure  rbe  diffondeva  all'  intorno. 

28  Briareo.  Gmioi,  secondo  le  fa> 
Tolc,  fu  uno  de' giganti  figlinoli  deUa 
Terra  che  mossero  guerra  agli  Dei,  f 

Siac<|oero  fuliiunati  a  vinti  nella  valla 
i  Flegra- Gtlla  promiscuità  degli  aeaA> 
dafanti  rìavegliata  per  le  opere  aepol-  pj  aarri  e  profani  volle  il  Poeta  far  at* 
crali  alimob  i  pii  fedeli  a  pregar  per^  noaeere  i  mali  effetti  della  aaperUt  ia 
lar*.  Dice  aelo  a'pti,  perdio  i  omni-  o^oi  tempo,  e  i  documenti  eoe  la  m- 
dani  gnardano ,  leggono  Ione,  e  tanna  piente  degli  aoticbi  à  laactè  pnr  Mi 
iaonnci.  miti  a  fame  canti  contro  il  vino  Ima- 

22-24.  51  tWio  il  <c.  Coà  vidi  ato  Kammenliamod  ancocba  il  Poema 
Sa  II ,  ma  eoo  piò  legp,iedita  oroMi»  di  l'elaa  sopra  il  doppio  foodamenlo  4all8 
figure ,  /tgurato,  quatUo  pfr  ria  «e.,     nttarile  filosofia,  e  della  rivelazione. 


44.  mUeggiar,  allevi  >re. 

45.  lo  iefio  delle  piante:  intendeai 
3  asolo  ove  le  piante  camiuinando  ai  po> 


47.  ferrarne,  scavate  aul  terreno. 

48-  fognato,  arolpii»  o  con  lettere 
a  con  emblemi. —  quel  ek' rtli  eran 
•Ha.  cioè,  il  nome,  la  pri«apia,  le  qua* 
Ltà  lóro.  —  quali  elli  eran  pria,  legge 
3  O^iec  Poggiali. 

21.  Ch»  toio  a' pii  ee.  Questa  ma> 
talora  è  t<»lta  dall' immagine  di  colui 
tho  cavalca,  il  «{naie  dà  delle  celca- 
gaa  al  cavallo,  cioè,  lo  sprona.   In- 


328  DEL  PUEGJlTORIO 

Grave  alla  terra  per  lo  mortai  gelo. 

Amedea  Tirobreo,  vedea  Pallade  e  Marte , 
Armati  ancora,  intorno  al  padre  loro. 
Mirar  le  membra  de*  Giganti  sparte. 

Vedea  Nembrotle  appiè  del  gran  lavoro , 
Quasi  smarrito,  e  riguardar  le  genti 
Che  in  Sennaar  con  lui  superbi  foro. 

0  Niobe,  con  che  occhi  dolenti 

Vedeva  io  te  segnata  in  su  la  strada 
Tra  sette  e  sette  tuoi  figliuoli  spenti! 

O  Saul,  come  in  su  la  propria  spada 
Quivi  parevi  morto  in  Gelboé, 
Che  poi  non  senti  pioggia  né  rugiada  ! 

0  folle  Aragne,  si  vedea  io  te, 

Già  mezza  aragna ,  trista  in  su  gli  stracci 
Deir  opera  che  mal  per  te  si  fé! 

0  Koboam,  già  non  par  che  minacci 
Quivi  il  tuo  segno;  ma  pien  di  spavento 


la 


35 


40 


45 


50.  Grave  atta  terra  ee.  I  corpi 
morti  rìmangoDO  abbandonati  eoo  tolto 
le  membra  loro  sopra  la  terra,  e  poro 
che  gravitìao  aovHeua  più  che  i  viti. 
Però  iateodi  :  Tederà  la  imiaurata  molo 
del  morto  gigaoto  opprimere  col  tao 
peto  la  terra. 

31.  Timbreo.  Apollo  fo  chiamato 
Timbreo  da  no  tempio  che  i   Dardaai 

5 li  odlficarooo  in  Timbra  città  della 
'roade. 

34-35.  Nembrotle  Colui  rhe  fi  eoa- 
iifrliò  follemente  di  cdiiicare  la  torre  di 
Babilonia. — del  gran  lavoi  o^dellagrao 
torre.  —  emarritOt  confuso,  stordito. 

56.  in  Sennaar  ee.  Nelle  pianoro 
di  Sennaar,  ove  ediGcavasi  la  predetta 
torre. 

37-58.  Niobe,  moglie  d'Anfiooe  re 
di  Tebe ,  insuperbita  di  sua  fecondità , 
teodo  madre  di  sette  figli  e  sette  Gglie , 
oaò  sprejparLalona  come  minore  di  lei, 
e  ritrarre  il  popolo  tcbano  dal  suo  culto; 

Gr  lo  che  i  figli  della  Dea ,  Apollo  e 
aoa,le  Decisero  a  furia  di  saette  tutta 
«MOta  la  prole,  cagione  di  sua  soper- 
Ka.  —  te^iMfa.  delineata.  — Gli  ocdii 
éeUnii,  sono  quelli  di  Niobo  ta'qaali 
«ra  tasta  eaproMioo  di  doloro 

41-42.  Cha  poi  ae.  David  nel  da- 
tara  dalla  morta  di  Sa«|  maladì  il  monta 


Gelboè;  per  la  qoale  malodiziona  apn 
cadde  più  aopra  quello  né  pioggia  aè 
mgiada.  —  Quivi,  ivi. 

43.  ti  vedea  io  le.  Intendi:  ooa 
pari  evidenza  che  il  precedeota  fatto. 

44.  Gid  mezza  aroy  mi:  oon  era  an- 
cora compita  la  traaformasione,  a  tanto 
restava  della  donna  da  poterne  vcderail 
dolore.  —  Àraen»,  o  Aragne,  celelMV 
tessitrice,  giunse  a  tanta  sa|NBrbia  dal 
ino  valore,  che  sGdò  Mioonra  a  ^i  fa- 
cesse più  eccellente  lavoro.  Fn  dalla 
Dea  vinta,  e  suhsno  medesimo  drappa 
atracciatole  in  faccia,  intugli ttraiei, 
convertita  in  raf«no. 

45.  che  mal  per  te  ti  fé:  che  fn  la- 
forata  per  tuo  danno,  in  tna  naPora. 

46.  Roboam.  Fu  figlinolo  di  Salo- 
mone ,  e  re  superbo.  Il  popolo  di  Sidkem 
pregollo  perchè  volesse  dimianira lo gra- 
Toue  imposte  dal  padre  ano,  ad  agli  ti- 
rannescamente :  Io  le  accreaoarfc  :  aio 
padre  vi  battè  con  verghe,  ed  io  tì  bat- 
terò con  bastoni  impiombati.  Parqncata 
crodele  superbia ,  di  dodid  tribè  ékm 
erano  eoo  esso  lui,  nodiei  gli  ai  ribal- 
larono, oBoboam  pieno  di  aoapattoai 
foggi  in  no  carro  a  Gernsalamma  pri- 
ma che  il  popolo  a  furia  lo  caeeiaaat. 

47.  il  Imo  tegno  ee,  Intaodi:  la  taa 
indta  figura. 


CANTO  DEGIMOSECONDO. 

Nel'pirta  on  carro  prima  ch'altri  il  cacci. 

Mostrava  ancor  lo  duro  pavimento 
Come  Almeone  a  sua  madre  fé  caro 
Parer  lo  sventurato  adornamento. 

Mostrava  come  i  figli  si  gittaro 

Sovra  Sennacberib  dentro  dal  tempio, 
E  come  morto  lui  quivi  lasciaro. 

Mostrava  la  ruina  e  il  crudo  scempio 
Cbe  fe  Tamiri,  qbando  disse  a  Ciro: 
Sangue  sitisti,  ed  io  di  sangue  tempio. 

Mostrava  come  in  rotta  si  fuggirò 

Gli  Assiri,  poi  che  fu  morto  Oloferne, 
Ed  anche  le  reliquie  del  martiro. 

Vedeva  Troia  in  cenere  e  in  caverne: 
0  IlMji^come  te  basso  e  vile 
Mostrìlfìi  il  segno  che  li  si  discerne  ! 

Qiial  di  pènnel  fu  maestro  e  di  stile, 
Che  ritraesse  1*  ombre  e  gli  atti,  eh'  ivi 
Farien  mirar  ogni  ingegno  sottile? 

Morti  li  morti,  e  i  vivi  parean  vivi  : 
Non  vide  me'  di  me  chi  vide  il  vero. 


3«9 


60 


bò 


60 


65 


4f.  io  émro  poHmento,  doè,  U 

tÒM  «fi  dura  materia,  istoriata. 

9#.  J/fMOM.  Fu  figliuolo  di  Aniìa- 

e  4i  Enfile  :  acriae  la  propria  ma- 
irm  par  Taodlicare  Aafiarao  suo  padre 
Àm  Iti  tradito  per  la  superba  vanite  di 
H  di  00  gioiello  offerlule  da  Po- 
^  freno  del  tratlimcnto.  Vedi  la 
ai  Caoto  XX  dell'  tnfemo,  ▼.  54. 

52-S4.Jf(Mf ramo  ee  Sennacberib, rol* 
aBpiibinìiiio  de{{li  Assiri,  meotre  oravo 
o'piodi  di  «0  idolo,  fu  morto  dai  proprj 
aaMÌfflwolì.clie  poi  ti  dettero  alia  foga. 

SS'M.  la  ruina^  la  sconfitta  dato 
^  Toairi  ragioa  degli  Sciti  a  Ciro,  su* 
tiroooo  da'  Persi.  —  il  erudo 
ì.  Taflurì  eomandi  cbe  dot  bu- 
eto  età  Morto  Ciro  foaae  reciso  la  to- 
aCo ,  o  Eottoei  recare  oo  vaso  pieno  di 
aoof^o  onaooy  io  qoello  lo  mioMrso 
JicHida:  aoaati  del  aaogue,  di  cbe  avo- 
ali  oolo  ooCaoto* 

S7.«<IMt,  fatto  dal  lat.  tiUrt, 
Ofw  aota  ;  bramare  avidamente. 

M.  Bd  mmtkt  1$  rtliquU  ce.:  od  o»- 
^o  lo  f  roodo  strage  cbe  fa  fatta  degli  As- 
airì.— -If  ff/tguie  del  marliro,  le  tracco 


del  macello  di  loro  fatto  iella  foga. 

61.  in  cmttme,  in  case  informi  e 
roioate. 

62-63.  IliAn.  Dione  era  la  ròcco  di 
Troia. — eom*  te  batto  e  vile  oc.:  co- 
me la  effigie  tua ,  ti  àegno,  ti  meotrofo 
acaduto  dalla  superba  tua  alteno. 

64.  fliie,  stromento  da  diaognaro, 
o  da  incidere. 

65.  l'ombre,  le  figore;  nel  qool 
Benso  Tedesi  usato  ancbe  nel  verao  7 
del  Cauto scg. — gli  alti,  gli  atteggia- 
roenli,  Pespressiooo  loro.  Questa  lei.  è 
della  Nidob.  e  di  varj  Codici,  e  mi  pare 
migliore  dell'altra  l'ombre  e  i  tratti. 

66.  Farien  mirar  et.  Coai  l'Ao- 
tald.  e  altri  Cod.  Indurrebbero,  doè,  o 
maraviglia  ogni  ingegno  che  eopoco 
foaae  odia  soa  acutena  dì  coooacero  o 
di  appressare  le  bellesxe  di  ooella  dU> 
fiale  imilasiooe.  Ovvero  :  farebbero  Mft> 
rovigliare  il  piò  sottile  ingegno,  ooi 
che  on  groaaolano  nomo  e  nuovo  «  taU 
cooe.  La  com.:  Mirar  fariena  um  I»- 
gegno  toltile. 

68-69.  Non  Me  et.  lot.:  /RmU 
chinato  giti  \g;u)j  fincbè  andai  cbiaato^ 


330  VBL  PUBGATORK) 

QatntMo  calcai  fin  che  chinato  gjvi. 

Or  superbite,  e  via  col  viso  altiero, 

Figliuoli  d*  Eva,  e  non  chinate  il  toHo, 
Si  che  veggiate  il  vostro  mal  aentiero. 

Più  era  già  per  noi  del  monte  volto, 

E  del  cammin  del  Sole  assai  più  $ff9b, 
Che  non  stimava  I*  animo  non  scioltd: 

Quando  colui  che  sempre  innanzi  atteso 
Andava,  cominciò:  ttrizza  la  testa; 
Non  è  più  lempo  da  gir  si  sospeso. 

Vedi  colà  un  Angel  che  s^apprcsta 
Per  venir  verso  noi:  vedi  che  toma 
Dal  servigio  del  di'  1*  ancella  sesta. 

Di  riverenza  gli  atti  e  il  viso  adoma , 
Si  che  i  diletti  lo  inviarci  in  Jiee: 
Pensa  che  questo  di'  mai  non  raggiorna. 

Io  era  ben  del  suo  ammonir  uso, 

Pur  di  non  perder  tempo,  si  che  in  quella 
Materia  non  potei  parlarmi  chiuso. 

A  noi  venia  la  creatura  bella 

Bianco  vestita ,  e  nella  faccia  quale 
Par  tremolando  mattutina  stella. 
Le  braccia  aperse,  e  indi  aperse  l'ale: 


70 


n 


IO 


tt 


noo  vide  mrglio  di  me  i  casi  (dei  qaaK 
calcai  col  piedr  le  imroagini  )  dii  ad  easi 
fi  rìtmvè  prearnte  Ma  se  llunte  maravi- 
glia PabiliU  d«4rartikta  oelivnigiare 
cou  tanta  venta  e  vivesra  4|itcate  iato> 
rie ,  OMi  n8ravi|rliaino  neno  noi  la  fe- 
liciti del  Pitela  nel   de»rnv«^  qoeate 


76.  mUen,  attento  a  de  «U  mm- 
Tettila  oferart. 

7a   Aon  i  piò  Umpo  «.  Il 
piò  n«»n  conviene  che  «ineali 
•uapi^dnno  la  celerità  del 

81  I  anertìu  tetta,  l'ora 
dici  Mtn  le  ore  del  giorno  cbt  n(m 


Ìg«re,che  veramente  s|iirpno  e  parlano    'Reamente  %**fa  chiamate  ano  «ariello:  ft 
nei  snot  versi ,  come  I»  pi4reliDere  hi 
marmo  per  opera  del  più  grande  aciil- 
lore. 

70.  €  9ia  eoi  rtto  aUierm,  cioè ,  e 
fia  petttn-Dti  e  a  tesili  levata. 

t\.  e  non  ehinaàt  ee.  Chi  vuole  im- 

5 arare  nmiltà,  guardi  ft|»ea«o  la  terra, 
ove  le  saperhe  grandette  devono  aa* 
^re  a  finire. 

75-75.  Pie  era  già  ee.:  avevamo 
già,  COBI  andando,  girata  più  parte  della 
ice  che  arconda  il  moiile ,  e  apeaa 
i  tempo  di  ^nello  che  ai  peaaavt 
•nÌBo  ooalro  non  «rsollo,  cioè,  tatto 
{■tento  e  applicalo  a  cuoaidoraro  onailf 
Vo<£  U  noia  al  vera»  ì  del 


F. 


Canto  IV. 


dnni|iie  la  sesia  ora  avoo  eonipilo  3  WEB 
nfiìcio,  era  iiienodi. 

83  Si  che  i  dileUi,  il  «U  «  M 
aia  in  piacere,  in  grado. 

81  ntm  raggiomm,  MB  ri  rii^ 
eende ,  mm  lnrna  a  splender*. 

85-87  lo  era  hen  ee.  Ceatr.  •  iat.: 
io  era  ben  uso  drl  «no  eummomirt;  baa 
pratico  di  «|acsio  suo  nvviao,  parckè 
piò  volte  n|ietuto,  di  non  pcroava  i 
tempo;  cosicrhe  non  potoo  portmai 
d^iiMO,  oscuro,  io  ouelln  materia. 

89.  Hionco  nettita,  vaatila  di  Uaa- 
eo.  Qui  r  a|^.  bianeo  è 
aMate  a  modo  di  avveriHa. 

90  par,  ai  moalm.— I 
MÌalillando. — mattmtinu,  tal  aattlaa. 


CAlfVO  DEcniosecoifDo. 

Disse  :  Venite;  qui  «m  preeeo  i  yrtdl, 
Ed  agevolementa  ornai  si  sale. 

A  questo  invilo  veogon  molto  radi: 
0  gente  amena,  per  volar  fv  nata. 
Perché  a  poco  vento  così  cadi  7 

Menooci  ove  la  roccia  era  tagliata  : 
Quivi  mi  batteo  l' ale  per  la  fronte  ; 
Poi  mi  promise  sicura  T  andata. 

Come,  a  man  destra,  per  salire  al  monte. 
Dove  siede  la  Chiesia  che  soggioga 
La  ben  guidata  sopra  Rabaconte, 

Si  rompe  del  montar  t*  ardita  fòga, 
Per  le  scalee  che  si  fero  ad  etade 
Ch*era  sicuro  il  quaderno  e  la  doga; 

Cosi  s*  allenta  la  ripa  che  cade 
Quivi  ben  ratta  da  li*  altro  girone  : 
Ma  quinci  e  quindi  V  alta  pietra  rade. 

Noi  volgendo  ivi  le  nostre  persone, 


334 


95 


iOO 


106 


94.  À  pusU  HimUo,  a  qaMto  mio 
iariU».  Mfoila  a  dir  rAngrl»,  ««io  po- 
dii  gli  aomÌBÌ  dia  cormpttnilano ,  par- 
ade daa  pia  ratta  aHa  auggmtimii  del- 
l' appatjto  the  allr  tme  biuHic  lapirazio- 
■.  La  lax.  com.  À  quesUt  annumio, 

05.  per  volar  ««  mata,  oata  par  to* 
lari  al  cido. 

te.  «  paeo  venia.  Ini.:  TÌnla  da  ao 
fefài  gloria  OBonilaiia.  che  ni»o  é  cba 
■a  Taolo ,  e  dalla  altra  untaue  vaoiU, 
~  alarrat 

lee  CMna,  a  man  deaira,  «e.  1a- 
BM  per  lalire  •  inam*  destra 
tal  amata  la  cai  la  di  unta  dt  S  Minialo 
t^iaaaho  aopra  la  alla  di  Firritao,5< 
^aà  BMMlera)  Tardila  f«iga  dd 
!,  aaaia,  a  allrnla  T  iiii|ietaail 
il  troppo  ripiilo  raderà  del 
Bflolo ,  Per  U  traiee,  per  l'aiuto  della 
tmàa  a  cordonala,  roM  ec. 

Idi    toygiof  a,  lieo  «otto,  dnaiiaa. 

leS.  Aaèaroale  IN>nte  «opra  TAr- 
BO,  dManiato  t*tn  da  Minger  Kubomala 
di  Maadalla  ailaoMa,  die  lo  (ree  Cab- 
Wicaro  eiaeodo  polcalè  di  Fireaaa  ad 
4137  0.;gi  clnaaiaai  aiU  Craiéa. — 
Im  èem  fmidmta.  chiama 
Fìroaao,  par  BMirdora  il 
gerarao. 

104-403.  chi  i{  fero  ad  elade  H.: 


dia  forooo  fatta  al  taoipo  antico,  qnaodo 
Firooae  era  acmplira,  né  coooaee?a  io- 
gaooo.  Ch'era  ticuro  il  quaderno  $ 
la  doga  :  »  aceeooa  a  due  frodi  solanni 
aonuoeaaa  ai  lonipi  di  Dania.  Da  'tal 
M.  Nicctda  Arciaiu.ili  nd  1299,  d'ae- 
e«*rdo  con  un  tal  M.  Baldo  d'Agngliooa, 
alterò  il  quaderno.  Hi  libro  pubblico, 
atorrondiHie  ana  carta  doiula  ai  potea 
aver  la  pmva  di  una  sua  ingiustitia.  E 
S.  Durante  de' Qiiaranionlesi.  don- 
aiare  e  caniarlingo  alla  Canara  oel  8al0| 
Irasae  aoa  ditga  ddl«  staio  por  far  MW 
profitto  di  tallo  il  sale  o  denaro ,  cbt 
vendfndo  avanzava.  Sei  XVI  del  Poir.p 
volando  Dante  nominara  i  diicaadaeU 
di  quelito  ladro  nobile,  gli  cbiaoM  fVfl 
the  arroMsam  per  lo  Hata. 

406.  Cod  t'alleala #.s  daè,oad 
par  via  di  gradi  la  c«Mla  dd  laoato,  cba 
aaaai  ripida  srende  dall'altro  giroat  dà 
iopra ,  ai  f a  meno  faticosa  a  salirà. 

408    Ma  qnineé  e  quindi,  etJ  ma 
dall'aaa  odairaltra  baoda  l'alia  pio» 
tra  raéi,  raseau.  toeea  Tua  Saaeaa' 
r  altro  di  eolai  db%  ala  ftr  fwflc 
ilraito  via. 

409.  JVo4  oalfiiidb  oc.;  làmàm  mJk 
folgaadad  ool  fiaaeo  daalro  e^  iafeii»> 
nvamo  t  fsdl*  apertura  i  maao  dni- 
ttri. 


332  DEL  PUA6AT0EIO 

Beati  pauperes  spiritu,  voci 
Cantaron  si,  che  noi  diria  sermone. 

Ahi  quanto  son  diverse  qnelle  foci 
Dalle  infernali  1  che  quivi  per  canti 
S'entra,  e  laggiù  per  lamenti  feroci. 

Già  montavam  su  per  li  scaglion  santi,  il 

Ed  esser  mi  parea  troppo  più  lieve. 
Che  per  io  pian  non  mi  parea  davanti  : 

Ond*  io:  Maestro,  di,  qua!  cosa  greve 
Levata  s*  é  da  me,  che  nulla  quasi 
Per  me  fatica  andando  si  riceve  ?  120 

Rispose  :  Quando  i  P,  che  son  rimasi 
Ancor  nei  volto  tuo  presso  che  stinti. 
Saranno,  come  i*iin,  del  tutto  rasi, 

Fien  li  tuoi  pie  dal  buon  voler  si  vinti, 

Che  non  pur  non  fatica  sentiranno,  m 

Ma  6a  diletto  loro  esser  su  pinti. 

Allor  fec*  io  come  color  che  vanno 
Con  cosa  in  capo  non  da  lor  saputa. 
Se  non  che  i  cenni  altrui  snspicar  fonno; 

Perché  la  mano  ad  accertar  s*  aiuta,  i30 

E  cerca  e  trova,  e  queir  ufficio  adempie 
Che  non  si  può  fornir  per  la  veduta: 

E  con  le  dita  della  destra  scempie 
Trovai  pur  sei  le  lettere,  elio  incise 
Quel  dalle  chiavi  a  me  sopra  le  tempie:  i2i 

A  che  guardando  il  mio  Duca  sorrise. 

440.  Beati  p^uperei  ee.  Vanetto  tutto,  itaoi  piedi  verraoDO  piiUi{tfmtì^ 

eoo  ch«  quello  anime  laudano  rumiltà,  dalla  volontà  non  aolo  senza  iiu  fatict, 

rirtù  contraria  al   peccato  della  su-  ma  con  tuo  diletto.  —  tu  pimU:  M- 

perbia.  spinti  l'Antald. 


444.  Cmntaron  ti,  ee.  Int.:  canta-  429.  <  etnni  altrui  ae.:  i 

rooo  con  tanta  toavilà ,  che  con  parola  della  geoto   verso  di  lui,  lo  fauo  »> 

■onsi  potrebbe  dire.  spettare  d'aver  qualche  cosa  addewo. 

442.  /oHJr'aperture,  aditi.  450.  Perehi  ,  per  la  qui  cosa. 

447.  per  lo  pian,  per  la  cornice  di  431 .  e  quell'ufficio  mewnpia,  a  fi 

sotto,  sebben  piana.  col  tatto  quel  che  ce. 

421-426.  Quando  i  P.  Quando  i  453.  icempie,  separata.  allar|ato 

P  impressi  dell'Angelo  nells  tua  fronte  sai  modo  più  atto  a  trovara  la  eoaa  aba 


(simbolo,  come  s'è  detto,  delle  reliquia     ai  corra. 

iti  peecati  pentiti) ,  ora  rimasti  quasi  434.  pur  tei,  sci  solaoMBla. 

eallati  al  togliera  del  pecrato  della  435.  Quel  dalle  ekimi^  ì'àa§Ù0f 


ai^ptrbia,  radice  ed  alimento  di  tntti      cba  teneva  le  due  chiavi. 

~*i  altri,  saranno^  come  quel  primo  436.  Jdka,al  qnalattodiefrctrat 

saparbia) ,  araneeUati  del     costar  colle  dita  i  F  restali  svila  froate. 


s 


333 


CANTO  DEcmroTERao. 


i^  «alM  s4tomd»,  étm  «m  fimmgmtù  i  Pùett,  $i  pmrgm  U  peeemt»  déWtavUU.  Shi»  fluite 
•"w  9tnUt  tf*M  Mf  eUitio,  0d  *MK«  f  fi  «tcki  emelu  é'um  fU  di  ftrf.  Di  trmtm  te  trmtt»  «•- 
^^»p9rM  Mvvfti*  dta*  mei  mot$0  4m  SfiùiH  tU$tt,  dtt  witurdam  m§run 


/imtariiitéi 


«MM  •  smitt.  Si  mmti/Mt0  aU'JlitèùH  Im  SamtM  St^im, 


Noi  eravamo  al  sommo  della  scala, 

Che  secondamente  sj  rìsega 

Lo  monte  che,  salendo,  altrui  dismala: 
Ivi  cosi  una  cornice  lega 

Dintorno  il  poggio,  come  la  primaia, 

So  non  che  V  arco  suo  più  tosto  piega. 
Ombra  non  gli  é,  né  segno  che  si  paia; 

Par  si  la  ripa,  e  par  si  la  via  schietta. 

Coi  livido  color  della  petraia. 
Se  qai  per  dimandar  gente  s*  aspetta, 

Ragionava  il  Poeta,  io  temo  forse 

Che  troppo  avrà  d*  indugio  nostra  eletta. 
Poi  fisamente  al  Sole  gli  occhi  porse; 

Fece  del  destro  lato  al  mover  centro, 

£  la  sinistra  parte  di  sé  torse. 


iO 


15 


S.  ittondamtmté,  per  U  Mcornla 
vetta. —  9Ì  ri9ega,  ti  ristringe,  si  ritira 
il  d«ntro,  lasciando  intorno  a  tè  on  li- 
fitmù. 

8.  dté,  ialendo,  olirmi  di$mcla: 
H  fUkU  oMotre  è  salito,  dUmala,  porga 
M  Baio  de*  perrali  colui  rbe  vi  sale. 
Stiemdo  inreca  d\  talendolo.  V'ha  chi 
cr0d«  che  possa  esaere  an'iniitaiìone  del 
fcinodio  latino,  osalo  <|ualrhe  volta  io 
sflMo  paanro.  come  tidendo,  habendo, 
per  àmm  vidttw,  habetur, 

4-5.  toti  una  eomiet  lega  Din- 
tir  MI  ii  poggio.  Chiama  cornice,  come 
l'è  detto  altroTe,  quel  ripiano  che  rir- 
c— da,  ioga,  il  monte  a  guisa  d'nn  snel- 
le, coti...  ennie  la  priwutia,  la  prioM. 

9.  pia  loefo  piega,  piega  pie  pre- 
ale,  per  aver  minor  circonferenie  del- 
r  olirò  cerrliio  che  gli  sta  sotto. 

7.  Ombra  «e»  f  li  è,  te.:  hri,  gH, 
ama  è  owkbra,  immagine,  o  tegii#,  mi- 
taro,  Hm  si  mostri. 

•-•.  PétH  te.  Cosi  pere,  dee.  di 
qocl  colore,  la  scbicfla  ripa  \nhieHa 
percbè  noo  tì  eoo  figure),  e  cosi  pare 


la  achietta  via,  come  il  lirido color  della 
pietra.  Il  color  livido  della  ripa  e  della 
via  hen  conviene  all' invidia  punita  io 
questo  girone.  —  Col,  è  detto  olla  pro- 
venzale per  com'el  o  eom'il:  da  eom'el 
si  è  fatto  com'ii;  qnindi  per  pia  fad- 
lità  di  pronnnria  si  è  camniata  Vm  io 
n  e  fatto  eon'l;  e  finalmente  ooi.  Se 
n'hanno  altri  esempj  in  Dante  medeei- 
Do  e  in  altri  scrittori  anttehi. 

40-42.  Se  qui  por  diwtandar  m.: 
«e  ani  ai  as|>etta  persone  per  dooMii- 
darfe  se  sia  da  prendere  il  destro  eolie 
o  il  sinistro,  io  temo  forte  che  troppo 
tarderemo  ad  elejgere  la  strada,  eisf 
ta,  acelte. 

14.  Fece  dei  doitro  iato  oe,  l 
Poeti  son  fermi  al  aommo  della  aeolo  : 
Virgilio  incerto  del  cammioo  da  pres- 
dere  si  volge  al  sole,  che  prcp  e  MM 
0  goida.  Essendo  passale  OMoedi,  il 
•ole  e  alla  sua  destra:  daqodleoorCe 
dooqne  ai  volge  il  Poeta,  e  per  volgisrsi 
lieo  fenno  il  destro  piede,  di  cbe 
fa  centro,  e  move  in  giro  come  oo 
paaao  il  pie  Sinistro. 


334 


DEL  PORGATORIO 


0  dolce  lume,  a  cui  fidanza  V  entro 
Per  lo  nuovo  cammin,  tu  ne  condnci, 
•Diree,  cene  omdur  ai  vuol  qoìnc' entro: 

To  scaldi  il  mondo,  tu  sovr'esso  loci: 
S*  altra  cagione  in  contrario  non  pronta , 
Ener  dea  sempre  li  tuoi  raggi  duci 

Qoanto  di  qua  per  on  mip:liaio  si  conta. 
Tanto  di  là  eravam  noi  già  iti, 
Con  poco  tempo,  per  la  voglia  pronta. 

E  verso  noi  volar  fnron  sentiti. 
Non  però  visti,  spiriti ,  parlando 
Alla  mensa  d*  amor  cortesi  inviti. 

La  prima  voce  che  passò  volando, 
Vinum  non  habeni,  altamente  disse, 
C  dietro  a  noi  V  andò  reiterando. 

E  prima  che  del  tutto  non  s*  udisse 

Per  allungarsi,  un*  altra:  Psono  Oreste: 
Passò  gridando,  ed  anche  non  s*  affisse. 


20 


u 


30 


16.  0  dotce  htme  m.  Il  wU.  ■  c^ 
il  Poeta  fa  si  brlla  nreghiera,  poi  anv* 
qai  caser  figura  drlriroperalAre  ro«i«- 
no,  sotto  la  coi  guida  a«<li8ntn,  come  ti 
diate  fin  dal  I  Canto  di-H'Iii/.,  poè 
V  «ouiot  faoMglift,  ttkimào  cIm  pMiai 
Dttote,  «Iter  virUMta  •  ttlie«  mi  ^««U 


la.  fHinr'Milro,  per  ealr*  ■  ^pM- 

tt»  llMfO. 

20.  S' mltrm  emgiont  «e.  lolcndi  : 
purbò  altra  eag ione  nun  aforii  a  farà 
il  eoaftrario,  i  ta<M  raggi  debbono  etatit 
•aaipre  guida  al  viatHlNula.  bd  t  quanto 
dira  :  il  viamlanla  debb«  ^  non  è  Cor» 
iato  a  faro  altrinM*nti)  cammioafo^ann- 
pra  d  tuo  lame,  o  non  di  notlo.  ■  prvm 
te,  inealta,  fa  furia. 

22.  migliaio,  Miglio,  cka  è  no  ai- 
|Ìi«odipo<M. 

24 .  per  /«  voglia,  a  ctgìoa  dalli 
foglia  pronta,  eke  ci  (ace«a  allattiro  il 


23-27.  pmrUmdo..,.  eorlml  In- 
.  lutràdi  ;  ontfarendo  in%ili  olla 
d'aninre,  di  oarità  e  d'ofni  al- 
tra  «uiÉ  eootrarÌN  all'iavidia;  cioè,  io- 
vilaado  ad  enipi«f«  d'aaiora,  di  «an- 
ta aa.  L*  invidia,  cho  ^ai  ai  piuan,  aaMt 
^  auacanaa  di  carità  o  da  agowaM» 
20.  ftiiuiiiiioi»à«6««f.  OManraft 


n  «b.  Biondi  a  «pMtlo  laogo,  cb«  Dante 
diitingue  ^ai  Ire  gradi  di  carità  :  Dare 
tnecorso  a  coloro  die  ne  tono  privi  (di 
ehe  porse  un  beli*  esempio  Maria  alle 
none  di  Cena,  iiaaado  accortati  della 
maaeama  dal  vino,  a  deaidartada  rì- 
apamiar  aucUa  vrrfofna  al  padr—  di 
caaa,  ai  voIm  al  figlio  dicendo:  vìmhi 
non  hattent^:  Porro  té  a  perirala  an- 
che della  nMirtc  per  la  talToan  allrw  : 
raMoOrwtlt  IVireretribaiionadlil 
par  malo  :  Àmmte  dm  c«M  amia  < 

51.  E  primm  dka  rfel 
f* mdiu9,  pnna  «he  qad 
gaail«MÌ  «la  imù,  affatto  avai 

32  r  timo  Ortcte.  QaetU 
tono  di  Pilade,  il  qnalo,  attendi 
coadanntto  a  aMrte  Orlala  non 
tciulo  da  Ì!!gi»t«i,  gn«lò  :  T  SMW  ( 
Vedi  Oc.,  IH  mmifitim.  Ban  a*inlaade 
però,  cbt»  quiete  voci  n«n  «anfana  né 
dalla  Vrrgiiifl.  ne  da  Pilada,cbanon  ann 
aartoin  quel  lu<*go;  ma  aono  oHrallanti 
latti  citati  dagli  Angeli  a  riaardaaa  a 
auell'aaiiue  vseaipi  contrari  alla  iari. 
dia  che  eaar  là  purgano.  E  gli  aMBM 
lalanni  di  fraterno  anMira  tkm  amba  u 
paganeaimo  ci  offre, 
confiMiMMe  «lei  maligni 

S3.  «il  mmeke  non  t'i^fUm,  •  p«r 

Bla  non  ai  toflcraiè. 


OàmrO  BECIMOTBIZO. 

0,  disagio.  Padre,  che  voci  sob  queste? 
E  com'  io  dimandai,  ecco  la  terza 
Dicendo:  Amate  da  coi  male  aveste. 

Lo  booo  Maestro:  Questo  cinghio  sferza 
La  colpe  dellt  invidia,  e  pM  sono 
Tratte  da  «!»%>  corde  Mia  forza.  (*) 

Lo  fren  vuot  esanrVòI  contrariò  suono; 
Credo  che  l'adirai,  per  mio  avviso, 
Prima  che  giunghi  al  passo  del  perdono. 

Ma  ficca  gli  oochi  per  Taer  ben  fi.-o, 
E  vedrai  gitfte  innanzi  a  noi  sedersi,  - 
E  ciascun  è  lungo  la  grotta  assiso. 

Allora  più  che  prioM  gli  occhi  apersi; 

Guarda'mi  innanzi,  e  vidi  ombre  con  manti 
Al  color  della  pietra  non  diversi. 

E  poi  che  fummo  un  poco  più  avanti, 
Udì' gridar:  Maria,  óra  per  noi: 
Gridar  Michele,  e  Pietro,  e  tolti  i  Santi. 

KoD  credo  che  per  terra  vada  ancoi 
Uomo  si  duro,  che  non  foì^fe  punto 
Per  compassion  di  quel  eh'  i*  \  idi  poi: 

Che  quando  fui  si  presso  dì  lor  giunto. 
Che  gli  atti  loro  a  me  venivan  cerli, 
Per  gli  Oftbi  fui  di  grave  dolor  muntor 

Di  vii  cilicio  mi  parean  coperti, 


I3& 


3» 


40 


46^ 


M> 


6^ 


Si.  M  ttmtio,  0  app*!»  io 


se.  JmmUm,  Parol«4elVM9d«: 

gl'iBioiid  vwtri. 
17.  9f9r%m%  fwlifa,  «*rr»gi]t. 
M-3e.  •  pef  mnm  TrmiU  §t.  E 
fmé  h99wét  éMm  fer%m,  •««•,  flt  w» 
Iti  S  dw  «  CMii|i«Hi«  U  fer«4i,  i 
iMè,  •  gli  «MBiitiii  eoi  i|aali  ti 
yiwti  pcmUmb  «  s'inàtaiio  • 
rselWac,  t^mnlrmiU,  rmvati, 
OMiIrari*  al  litrv  %iii*,  JaU 
I,  ciaé,  «  aalU  earttk.  Pwé  k 
trmiU  ém  tnvnt  pi*ir«4W 
•ptegarM: 


2  Si  purga  il  pMMto  «fella 
.  !• /«mi  r««f  «fMT  «e.  Il  fi 
•  kiwi  parrattMMrr  gÌ'ta<riilÌMai,  a^ 

ffiimm  ancrt  4^  emmirmrtm  MMna.aiaè, 

4ì  awaifi  lerrtliili  4'inT^ 


è'ttm  paniti.  —  Vnolusw,  ^ 
tmré. 

42.  «I  patto  del  pmriom»,  ckè,  • 
pie  «MU  «cala  che  ami  «aannJo  Ulta 
aMnafula  al  lento,  o«e  sta  l'AagaU  d» 
penlima  e  cancella  e«4al  pereata. 

45.  l«nyo  la  grotim,  laago  toripa 
del  girone. 

48.  JlrolarM..*  lividi  aanabpia. 
Ira  drl  monta. 

51  Gridar  BlirheU.  AaeaMa  I» 
LiUnie  de'  Saitli.  rhe  ad  alla  Toai  ra- 
cita%anM  da  furile  aoNua. 

53  ckft  per  Urrm  vmd^mtt 
lateodi  ;  che  viva  «f^t  aooio  M 
—  Anrmi:  dal  baaa»  latiaafcMK 
i  Fni%eMaali  frrar»  aaffcay  a  mtetd. 

56  reMtro*  carli,  mi  m  vOtix 
ehian  e  diaiinti. 

57  nergUteki^iii 
lar  munti!,  r«|u««ale  a  dira: 
dal  gra^edidonripiiwiata  la  lagi  mt. 

SS.  eUieio,  ««ala  aspra  a  paagvflla. 


336 


DEL  PURGATORIO 


E  r  un  soflRsria  l' altro  con  la  spalla, 

E  tutti  dalla  ripa  eran  sofferti. 
Così  li  ciechi,  a  cai  la  roba  falla, 
,  Stanno  a^ perdoni  a  chieder  4or  bisogna, 

E  r  ano  4ÌP6apo  sopra  l' altro  avvalla. 
Perché  in  aitnii  pietà  tosto  si  pogna. 

Non  por  per  lo  sonar  delle  parole. 

Ma  per  la  vista  che  non  meno  agogna. 
E  come  agli  orbi  non  approda  ir  Sole, 

Cosi  ali  ombre,  dov'  io  parlav'  ora, 
*  Loco  del  ciel  di  sé  largir  non  vuole; 
Che  a  tutte  un  61  di  ferro.il  ciglio  fora, 

E  enee  si,  com*  a  sparvier  selvaggio 

Si  fa,  però  che  qneto  non  dimora. 
A  me  pareva  andando  fare  oltraggio. 

Vedendo  altrui,  non  essendo  veduto: 

Perch*  io  mi  volsi  al  mio  Consiglio  saggio. 
Ben  sapev'ei,  che  volea  dir  lo  moto; 

E  però  non  attese  mia  dimanda; 

Ma  disse:  Parla,  e  sii  breve  ed  arguto. 
Virgilio  mi  venia  da  quella  banda 

Della  cornice,  ondo  cader  si  puote. 


65 


70 


75 


SO 


59.  io/feria,  re{7geTa,  sottonera. 
60   S  tutti  dalla  ripa  ee  Intendi  : 

«  tutti  erano  sostenuti  dalla  ripa,  doè, 
tt  appoggiavano  alla  ripa. 

6 1 .  (1  cui  /a  roba  faUa,  a  cai  manca 
la  roba  per  fitere. 

62.  a'  perdoni^  presso  le  chiese, 
oVèil  perdono,  l'indulgenza,  e  perciò 
concorso  di  gonte. 

63.  avvalla,  abbassa. 
04.  Perchè,  a^Gnch^. 

65.  Pfon  pur  per  lo  tonar,  non 
•olo  pel  chiedere  rfl«mosina  con  parole 
di  lamento. 

66.  Ma  per  la  vitla  ee.:  cioè,  ma 
per  r aspetto,  per  l'aria  espressiva  del 
volto  e^  non  meno  agogna,  che  non 
domanda  meno  ang«isciosamente ,  di 
^ello  che  domandino  le  parole. 

67.  non  approda,  non  arrtra,  non 
||inge  a  farsi  vedere. 

68.  do9'io,  del  laogo  nel  «pule: 
•fvero,  avanti  alle  anali.  Il  Cod.  Caet. 
Mtkaic, 

60.  Luta  dH  eiti  di  tè  largir 
MOfl  tuole:  doè,  il  ade  non  vnola  es- 


ser loro  liberale  di  sé,  mostrarsi  loro. 
70.  ti  ciglio.  Intendi  le  palpebre. 
Non  si  pntfs  immaginare  pia  saettate 
supplizio  agl'invidiosi,  cbe  di  encir  ^e- 
gli  occhi  che  mai  non  poteron  vedere  il 
bene  dei  fratelli ,  e  die  se  n'  attrìstarono 
come  di  lorn  sventura. 

74.  eom'atparvieroe.  Era  costu- 
me de'cacriatori  di  cndre  gli  occbi  agli 
sparvieri  di  fresco  presi,  pv  ^è  age> 
Tolmente  addomesticai  li. 

75.  al  mio  Contiglio,  ■  Virgilio, 
ebe  gli  era  guida  e  consiglio. 

76.  ch«  volea  dir  lo  wutlo,  cbe 
cosa  avevo  io  in  animo  di  chiedergli, 
sebbene  mi  stessi  muto;  perdiè  pene- 
trando egli  il  pensiert»!  non  c'eri  con 
Ini  bisogno  di  pande. 

78  f  i«  òrere  ed  mrgmio,  dei,  jporln 
•on  brevità  e  con  acutezza,  conio  m  con- 
viene fare  co'  archi,  i  quali  Imhm  lo 
mento  mono  diatratu  di  coloro  cko  for 
gli  occhi  ricevono  l' ìmpreaMono  do'< 
Sestanti  oggetti.  ^^ 

79-80.  mt  9enia  da  quoUa 

da  ee.  SUra  <*"nq«»«  «•  •  «•«•^^ 


CANTO  DECIMOTEBZO. 


337 


Perchè  da  nulla  sponda  s*  inghirlanda: 
Dair  altra  parte  m' eran  le  devote 

Ombre,  che  per  l' orrìbile  costura 

Premevan  si,  che  bagnavan  le  gote. 
Yolsimi  a  loro,  ed:  0  gente  sicura,  86 

Incominciai,  di  veder  l'alto  lume 

Che  il  disio  vostro  solo  ha  in  soa  cura, 
Se  tosto  grazia  risolva  le  schiume 

Di  vostra  coscienza,  si  che  chiaro 

Per  es^  scenda  della  mente  il  fiume,  90 

Ditemi  (che  mi  fia  grazioso  e  caro) 

S' anima  è  qui  tra  voi,  che  sia  latina; 

E  forse  a  lei  sarà  buon,  s' io  1*  apparo. 
0  frate  mio,  ciascuna  é  cittadina 

D' una  vera  città  ;  ma  tu  vuoi  dire,  n 

Che  vivesse  in  Italia  peregrina. 
Questo  mi  parve  per  risposta  udire 

Più  innanzi  alquanto,  che  là  dov'  io  stava; 

Ond'  io  mi  feci  ancor  più  là  sentire. 
Tra  1*  altre  vidi  un*  ombra  che  aspettava  iOO 

In  vista;  e  se  volesse  alcun  dir  come. 

Lo  mento,  a  guisa  d*orbo,  in  su  levava. 
Spirto,  diss*  io,  che  per  salir  ti  dome, 

93.  S  forte  te,:  •  forte Ugiof ara 
se  io  impererò  •  roooeoerle,  per  le  ori- 
rioni  che  ti  faranno  e  ano  prò  qaaodo 
io  rechei  6  nel  mondo  novelle  di  lei. 

95.  D'una  vera  città.  Le  città 
9§ra,  ferme,  slabilef  dntineU  de  ùta 
alle  anime,  è  il  Paradiao.  Sa  f^ctfM, 
terre  si  disiingaonodiversenesìoniedt- 
tedinent e  ;  ma  le  anime  giuste  sciolt* 
del  eorpo  divengono  tatto  eittadiat 
d'ana  medesima  patrie. 

96.  Che  vivesié  in  ItaUa  f$rt' 
grina.  La  vita  presente  è  nn  pellegrì- 
naffgio,  il  cui  termine  è  il  tzwmi  «Me 
fta4«fn«if  kie  manminnti^itaiem,  nd 
futuram  inquirimus. 

400-102.  che  aspettava  Inviata: 
cioè,  cbo  deve  sej^no,  o  roostreva  eepel- 
tere  che  io  dicessi  elcaoe  coee.  —  e  te 
votene  ee.,  e  se  elcano  mi  Toleaee  do- 
mandare come  quell'emme  oioetraiaa 
d' espcttere,  risponderei  :  leveado  il 
mento  in  sa,  corno  soglioo  fare  i  cit- 
eU. 

403.  per  talir:  cioè,  si  cielo.— fs 


94.  §' inghirtandat  si  cinge. 

88.  V orribile  cottura,  le  spavett- 
ICTob  cadtare. 

S4.  Premevan  ti,  ec:  sappi,  le  la- 
erima:  npiogeveno  con  tento  forte  le  1*- 
eriase,  cfce  le  sfoneveno  ed  ascir  fuori 
èJàa  escile  palpebre  a  bagner  le  gote. 

85.  eieaira,  certe. 

86-87.  t'aito  lume.  Iddio.  —C&e 
si  iMa  vostro  solo  ka  in  sua  cura, 
cbe  è  il  solo  fine  de*voetrì  de>iderj. 

88-eO.  Se  tosto  gratta  risolta  le 
tehhane.  Cosi  Is  divina  graxia  purifichi 
le  Toelra  ceedenxa,  vi  lavi  ogni  macchie 
àeì  ^ecceto,  si  che  per  essa,  •opt'  eese 

noBse,  scenda  chiaro  il  fiume  della 

Ile.  Per  fiume  della  mente,  il  Porte 
le  loco  intellettuale,  de  cui  sono 
iUaetrmle  le  enime  digli  detti  nelle  io- 
tairie»*  di  Din.  E  queste  divine  Inee 
Mie  BMOte,  prfmio  elle  anime  d« 
Sesti,  «Bcbe  nelle  aeicre  carie  più  d' ooa 
Telia  è  eignificete  aottu  V  allegoria  d'aa 
largo  Some  che  inonde. 

92.  latina,  it^liene. 


VL 


Se  In  se'  quegli  che  mi  rispondesti, 
Fammìli  conio  o  per  luogo  o  per  nome. 

i'  Tu!  Senese,  rispo^,  a  con  questi 
Altri  rimondo  qui  la  vita  ria, 
Lagrimandt)  a  Colui,  che  sé  ne  presti 

Savia  non  fui,  awegoa  che  Sapia 

Foisi  cliiainalii,  e  fui  d^li  altrui  danni 
Più  lieta  assai,  ohe  di  venlura  mia. 

E  perché  tu  non  credi  cb'  io  l' inganni , 
Odi  se  fui,  com'  io  ti  dico,  folle. 
Già  di.'Kendendu  l'arco  de'  miei  anni. 

Erano  i  ciliadin  miei  presso  a  Colle 
In  catDjio  giunti  <  o'  loro  avversari. 
Ed  io  pregava  Dio  di  quel  eh'  à  volle. 

Rutti  fur  quivi,  e  volli  negli  amari 
Passi  dì  fug^i,  e  vergendo  la  caccia. 
Letizia  presi  ad  ogni  altra  dis|)arì: 

Tanto  eh'  io  lei  ai  in  ^u  i'  ardita  fiicda, 
Gridando  a  Dio.  Ornai  più  noti  li  temo: 
Come  te  il  merlo  pei-  poca  bonaccia. 


107.  ripumdjt,  riparai». 


109.  Sepia    Fu 


I 


i 


urna  n41i  ia  luUsglu  Jai  Kum 
n  fai.  €>-*.  L  •!«  ni^l.*  <li 
di  PismoStMu;  PhUn.  J.  (d, 
itUiitil  Salii*  it'  l'tiixiiunl.  >  i 


n,  ili  furi  tV «  toUt,  oti,  (k* 

u  cb*  I  &.nM  ■  (l>  «lih  GiShUìiu 

lU  d.   Pr..vn>HiH>  SaliHÌ  ■  dui 
C<iirf.  \<.»lla,  l»(r>t««diì  Fh- 

IscoT 


I     F>H«t<U 


120   ad  DI 


Sumìbi,  Balli*  fi, 
•tntlcmi*  C**li|>l> 
Cwt>|li>«t>lti>  ai  II 


,..gl« 


123    Crmt  fi  il  «urlv  m 


■■■od.  Do,  ai  iti  poter  pia  I 


CANTO  OEClMOTEaiO. 


a39 


f35 


«:o 


ns 


Pace  volli  con  Dio  in  «1  lo  stranio 

Della  mia  vita;  ed  ancor  non  sarebbe 

Lo  mìo  dover  per  penitenza  scemo. 
Se  ciò  non  fòsse,  eh*  a  memoria  m*  ebbe 

Pier  Pettinagno  in  sne  sante  orazioni, 

A  coi  di  me  per  caritate  increbbe. 
Ma  tn  chi  se*,  che  nostre  condizioni 

Vai  dimandando,  e  porti  gli  occhi  sciolti. 

Si  come  io  credo,  e  spirando  ragioni? 
Gli  occhi,  diss'  io,  mi  Beno  ancor  qai  tolti; 

Va  picciol  tempo,  che  poca  é  1*  offissa 

Fatta  per  esser  con  invìdia  voItL 
Troppa  è  più  la  paura ,  ond*  è  sospesa 

L' anima  mia,  del  tormento  di  sotto. 

Che  già  lo  incarco  di  laggiù  mi  pesa. 
Ed  ella  a  me:  Chi  t*  ha  dunque  condotto 

Quassù  tra  noi,  se  giù  ritornar  credi? 

Ed  io:  Costui  ch*é  meco,  e  non  fa  molto: 
E  vivo  sono;  e  però  mi  richiedi. 

Spirito  eletto,  se  tu  vuoi  eh*  io  muova 

Di  là  per  (e  ancor  li  mortai  piedi. 
Oh  questa  è  ad  udir  si  cosa  nuova, 

Rispose,  che  gran  segno  è  che  Dio  t*  ami; 

tni4a  in  gmoaio,    per  poca  bonac'  rAntìpargatorìOf  m  non  l' v. 

CM»  trtàtado  finito  il  verno  •  «onta  !•  avanzare  le  oraxioni  di  quel  buon  ro- 

priaMvera,  dine  al  padrone  cne  te  lo  mito  fiorentino,  o  aaneee,  cooi'allrì  fo- 

tTcve  nddomealicnto:  iktmdn»,  fié  «os  gì 


UO 


US» 


villa 


a  muro;  a  volò  ria.  È  chiaro  che  il  (e- 
«flr  im  tm  la  (meeim  a  il  griémn  m 
IKa  rìgaardaoo  aolameote  Sepia  ;  e  eba 
ti  coofnMilo  tra  il  merlo  e  lei  non  corre 
cka  m  rifnardo  alla  preauatuoea  arr** 
canza,  e  al  folle  iofjanno.  M«>lli  teati 
Mono  conia  fm  il  wurim:  e  eoa  ciò  ai 
noterebbe  in  generale  il  fare  di  pacali 
•ccelli  cbe  aptieoa  aendmo  in  gennaio 
iotiepidir  Tana,  ai  i allegrano,  a  dn- 
fvettano  a  teaU  levata,  come  aa  li>taa 
mnta  le  primavera,  lo  però  preferiaco 
la  prima  letiooe.  L'eJit.  di  Ravenna 
dal  IS48  porta  come  /a  il  fmer§9,  ma 
in  non  saprei  dire  an  qnale  antontà  ai 
•ppaggi  qochta  variante. 

425-126.  MM  Mre^òe  U  mio  do- 
ver  ce.  Vnol  dire  cbe  ella  non  aarabba 


431.  aetolfl,  doò,  non  endti 
gli  nerbi  di  eoeioro  che  pnrgana  U  pae> 
calo  dell'invidia. 

452.  fptrando  ragioni,  ragiaohM- 
•esdo  tutlnra  in  vita 

1 33-  4  35.  G/t  occhi  te.  Int  :  qvando 
io  aerò  m4>rto,  pHierò  per  poco  laapo 
gli  occhi  chiusi  in  qneat»  baUo;  paiano 
poca  ò  rolTeia  che  no  fatta  a  INo,  ful- 
gendoli  invidioaanienle  a<»pra  gli  aonnni. 

156-158.  TrapfMee.  Goò,  tanta 
panca  mi  prende  dd  lormento  onde  qni 
aotto  ai  puotsconci  i  anperbi ,  cbe  già  mi 

re  di  aeotirmi  addano  qne'  gran  pcd 
laggin.  —  La  tmparUa  è  gaserai- 
mente  il  %  ino  delle  alte  manti  j  ViimU 
dia  dei  vili  e  dappoco. 

145-144.  M  l«i  mot  ae.:aa  te  f«ai 
rba  ammeaaa  nel  Pncfato-  cbe  io  di  M.  nel  mondo  de'vivi,  ?nia 
rio,  mk  avrebbe  nnlla  acoutato  dd  ano  a'tnoi  congianlà  per  eccitarli  a  fregare 
debilo,  ma  tnttora  a*  aggirerebbe  nal-     per  te. 


310                              DCL  rakoAnmio                            ^^H 

Però  col  prego  Ino  Ulor  mì  giova.                       ^^M 

E  chiaggolì  per  quel  che  [u  piii  brami,                     ^H| 

H                           Se  mai  calcili  1d  terra  dì  Toscana, 

^k                         Ch'  a'  miei  propìnqui  la  ben  mì  rinfaraì.               lio 

^M                   Tu  gli  vedrai  tra  quel!. 

a  cento  vana 

^K                        Che  <:perB  in  Talumone,  e  perderaglì 

^M                          Più  di  speranza,  ch 

l'a  trovar  la  Diana: 

^t                    Ma  più  vi  perderanno 

gli  ammìragli- 

■             4M.  mi  Tinfami.  mi  rende  .ppr«- 

W       «g  l'ini»  eongiunli  !■  I.y«i>  fimi ,  » 

pMlaqoeei'aciiui  Diana  fuea  trotau. 

parcbi  nella  china  di  S.  NieeolA .  uno 

t«n«. 

dei  pomi  più  eleltU  della  «1(1  di  Sie- 

HM.lrarwIIagenhp.ifui.  Anche 

nel  XSIX  dell' In/wTio  tu  >l,l.o:  Or/-« 

nmfondlii,e  ricco  d'asoBa,  che  aoc'oc- 

,ì™-.«  Cr~fe  rt«.»-  ™«  la  ■-«..? 

V  «  ch..n.a  p«»  fiìalu. 

cbetpen,  per  eiere  ■eauulati.  per  com- 
pr*  n  pO'U  eeiilelle^lìTolainoiie,  Ai 

na.ale,  e  direllori  d«  lavori  «1  p«to 

Ti  perderanno  qn.ld-e.«  più   cb.il 

«ù  eui  Tenni  •  t»ni  P"*"'"  *"'  ""■'■ 
— t  fMTderoglt  l'iA  ài  fjHrania  :  ma 

ranno  incile  la  •ila.  Il  Pi-liU.  dal  Ci>d. 

CiH.'ni'la  a  onnUi  tonfo    Oaini  OMHi 

«{),ewé,  tari  ìmpreia  pia  rli.perala,.!- 

(tao  l'aria  mirldiale  di  ^oel  l..«fte,  df 

lennin  habnl  wiUm.  al  cum  aBOI 

a  «nwor  l«  Oiana,  una  poli,  d'aeqaa 

t6(.  pnjHer  moJaM  aero» .  »I  pluri. 

dia  i  Scacri  credevano  t"i>e><>i(n  le  (oro 

mum.  mn-iimlkr.  La  eomune  leiiaaa 

olili,  e  per  Irotir  l>  qix'r  .i  r»rronl. 

CANTO    DEC  in09D  ARTO. 

C'-iiiH  r-fi«rt.K  ~ii  u,K  r—'diKH 

^„  p^.  a«„  r.i„  -'j,-,  ,  „.  ,v".» 

•A»*  alo»  »««<«•'.  IU-.  <a>>'ewM 

Chi  è  roslui  che  il  nostro  monte  cerehia. 

Prima  che  morie  yl 

i  abbia  dato  il  volo,            ^^_ 

Ed  apre  gli  occhi  a 

sua  voglia  e  coperchiar      ^^H 

Non  Bo  chi  sia;  ma  so 

eh' ei  non  è  solo;                ^^H 

Dimandai  in  che  pio  gli  l'uvMcìnì,                  "^^H 

B  dglcemeoie,  si  ci 

Ile  parli,  accolo.                      ^^ 

Cosi  duo  spirli,  l'uno  . 

all'altro  chini, 

1.«nMa,|>r>i.iton<e. 

analoaceaire  o  .i«o,r..  wc«|lim, 

2.  Prima  tkt  m^t.  prima  che  la 

narta,  fe1«|l.ei.il«  V  aiKu.e  J.l  corno  .li 

MWiO. 

Ibi  ,  abbiala  dato  di  uvur  Tolere  .u'  loo. 

T.  Cnil  duo  iptrli    L'una  4  mra- 

jVi  el«ni. 

^rCnidii  del  Diradi  Drrliaara,  l'al- 

e.   attuto,  iniprrtlhe,  dell'aiiU- 

U«  me»e(  Iliaieri  da' Calboli  di  Ferh 

CANTO  DEGIMOQUARTO.  344 

Ragionavan  di  me  ivi  a  man  dritta; 

Poi  fer  il  visi,  per  dirmi,  supini; 
E  disse  r  uno:  0  anima,  che  Otta  IO 

Nei  corpo  ancora  in  ver  lo  del  ten  vai, 

Per  carità  ne  consola,  e  ne  ditta, 
Onde  vieni,  e  chi  se*;  chò  tu  ne  fai 

Tanto  maravigliar  della  tua  grazia. 

Quanto  vuol  cosa,  che  non  fu  più  mai.  a 

Ed  io:  Per  mezza  Toscana  si  spazia 

Un  fiumicei  che  nasce  in  Falterona, 

E  cento  miglia  di  corso  noi  sazia. 
Di  sovr*  esso  rech*  io  questa  persona; 

Dirvi  chi  sia,  saria  parlare  indarno;  20 

Che  M  nome  mio  ancor  molto  non  suona. 
Se  ben  lo  intendimento  tuo  accarno 

Con  lo  intelletto,  allora  mi  rispose 

Quei  che  prima  dicea,  tu  parli  d*  Amo. 
E  r  altro  disse  a  lui:  Perchè  nascose  3( 

Questi  il  vocabol  di  quella  rivera. 

Pur  com*  uom  fa  delle  orribili  cose? 
E  r ombra  che  di  ciò  dimandata  era, 

Si  sdebitò  cosi:  Non  so,  ma  degno 

Ben  è  che'l  nome  di  tal  valle  pera;  30 

Che  dal  principio  suo  (dov*  è  si  pregno 

9.  Pai  fer  li  tisi  ec.  Poi  leTtrooo  trare  addentro  nella  eams:  qoi,  »•- 

il  Tollo.  Qoetto  è  Dttarale  alto  ch«  fan-  urortc,  aeeamare  eoU'inUtUHo  ral* 

no  gli  orbi  «[«andò  vogliono  parlar*  al-  comprendere  perfeUamenU. 

trm.  29.  Si  tdebilò,  pagò  il  debito  eb» 

40-  fitta  t  qui  Tal  qnanto  chiosi.  aveva  di  rispondere. 

\2.  me  ditta,  cioè,  ne  dì.  Anche  il  50.  valle.  Int.  tolta  la  eavitè  aellt 

Petrarca  nrllaCani.  XII  della  Torto  pri*  quale  l'Arno  scorre. 

ma  osa  dittare  in  sinnificato  di  dire.  31-36.  CM  dal  principio  HUf  «e. 

Colui  che  del  mio  mal  meco  ragiona,  Costr.  e  int.  :  perciocdiè  dal  prìocipioMa 

Mi  lascia  in  dubbio;  fi  confuso  ditta.  (d'Arno),  che  è  là  dove  l' alpestre  monto 

44.  della  tua  gratta,  della  grafia  ond'ètroncoPeloro.ètì  pregno d'aequ. 

che  Dio  ti  concede  di  venir  vivo  al  Por-  che  in  pochi  altri  fooghi    è     pi&  ;  dal 

gatorio.  principio  sno,  io  dico,  So  là  doffo  m 

46.  si  spaxia,  va  patseggìando ,  rende  a  ristorare  il  mare  di  qoal  dwdB 
•corre  :  è  il  lat.  tpatiari.  loi  asriaga  ,  cioè  alia  io  vaporo,  il  ciò* 

47.  un  fiumicei  ec.  L'Amo,  elio  lo;  per  ragion  della qoale  evaporariom 
nasco  io  ona  montagna  deirAppennino  hanno  i6omi  le acqoe;  KtrMi  ft /^««e* 
aitaato  presso  i  contini  della  Romagna ,  —  L' alpestre  monte, ond^  è  tronco  Po- 
e  detta  Falterona.  loro,  è  TAppeonino,  che  so  non  fono  U 

49.  Disow^esso,  daQn1oogo,o  Stretto  si  congiungerebbe  eoo  Peloro,flli'è 

«la  ona  città  poeta  sulle  sue  rì^e.  Dato  on  promontorio  della  Sicilia.  Lo dieojNn^ 

altrove  :  l' fui  nato  e  cresciuto  Sopra  gno  in  quel  ponto,  cioè  gravido  d'aeqvo, 

il  bel  fiume  d'Amo  alla  gran  villa,  perchè  ne  sgoroano  due  Comi,  PAmo  da 

22.  aeeamo.  Aeeamare ^sìepona^  ona  parto,  e  il  Tertfo  dall'altra. 


342  DBL  rURGATORlO 

L'  alpestro  monte,  ond*  è  tronco  Peloro, 
Che  in  pochi  luoghi  passa  oltra  quel  segno] 

Infin  là,  Ve  si  rende  per  ristoro 

Bi  qoel  che  il  ciel  della  marina  asciuga, 
Ond*  hanno  i  fiumi  ciò  che  va  con  loro, 

Virtù  cosi  per  nimica  si  fuga 

Da  tutti,  come  biscia,  o  per  sventura 
Del  loco,  0  per  mal  uso  che  li  fruga; 

Ond*  hanno  si  mutata  lor  natura  4  > 

Gli  abitator  della  misera  valle, 
Che  par  che  Circe  gli  avesse  in  pastura. 

Tra  brutti  porci,  più  degni  dì  galle. 
Che  d'altro  cibo  Catto  in  uman  U30, 
Dirizza  prima  il  suo  povero  calle.  43 

Botoli  trova  poi,  venendo  giuso. 

Ringhiosi  più  che  non  chiede  lor  possa, 
Ed  a  lor  disdegnosa  torce  il  muso. 

Tassi  caggendo,  e  quanto  ella  più  ingrossa. 

Tanto  più  trova  di  can  farsi  lupi  bo 

La  maledetta  e  sventurata  fossa. 

Discesa  poi  per  più  pelaghi  cupi. 
Trova  le  volpi  sì  piene  dì  froda, 
Che  non  temono  ingegno  che  le  occupi. 

57.  ii  fuga,  ti  caecit,  le  si  fa  goer^  48  Ed  a  lor  ditdegnotm  §e.  Int. 

n  come  a  nemica.  f«  riHera ,  die  giunta  a  quattro  ■i|||^ 

58-39.  o  per  iveniura  te.  :  o  per  circa  da  Areno  torce  a  pooefila.  Il  iW 

sventurata  situazione  del  luogo  che  si  la  con  ardita  personìCcaxione  imniafiaa 

malanente  disponga  gli  animi  al  mio,  che  Arno  volti  il  muso  agli  Aretini  ftat 

o  per  cattivò  alito  che  li  spinga  a  maU  dispregio  della  luro  arrogante  asendiiai- 

•perare.  tè.  Il  Buti  legge  diidegnamio, 

42  CAe  por  eWC<rt«ee.  Circe  fis,  49.   f'astt:  se  oe  va^  etgftmiOt 

seeeodo  la  favola,  una  maga  cKe  trasm».  scendendo ,  fcnrrendo  all'ingià.  Il  T»> 

tara  gli  aoounì  in  brvtie.  Te  quali  si  pa>  relli  crede  debba  leggersi  9m  H. 
staravano,  nelP isola  da  lei  abiuta,  •  50-5l.lu/}f«onoi  Fiorentini fuef^ 

d'erba  o  m  ghiande,  iat  dnnane  come  la  quel  par»l«  significa  /«pi.  de* quali  è 

se  dicessa  :  essi  vivono  a  modo  di  bestie,  propria  l'avidità,    la   rapacità  ee. — 

45-45   Tra  brutti  porci  re.  Per  li  foua,  fiume ,  per  dispregio, 
bratti  porci  intende  onei  del  Casentino,  55.  votpi  sono  i  Insani,  allora  le- 

e  massime  i  conti  Guidi.  Il  P«*still.  Can.  nati  per  malifioei  e  frodolenti. 
nota  a  questo  lungo,  che  i Guidi  nomi'  51   ingegno  «noie  il  Monti  che  stia 

nabuntur  eomitet  de  Porciano,  qui..,  qui  per  ordtyno.  e  spiega  :  che  bob  te- 

jnerffo  pot$unl  vocari  porci  —  D^  mono  di  rsecr  (irese  da  nessuno  ordigno, 

firn  prima  il  tuo  povero  callo,  co-  — che  le  occupi,  rbe  le  80|ierì,le  vinca, 

Brincia  il  sao  corso  povero  d'acqae:  oppure,  che  le  giunga  sprovvedute,  che 

r Ano.  le  sopraffaccia  :  non  temono  in  somau , 

4t.  Boioli.  Botoli  sono  cani  piecoli,  come  suol  dirsi ,  trappois  che  le  pifit: 

tHÌ  a  ringhiosi  :  sotto  questa  iaimagiBe  ingegno»  significa  qualunque  argome»» 

ai  parla  qui  degli  ArHini.  to  della  mente. 


CANTO  DicuioqiaAmTo. 

Né  lamio  di  dir,  pereh' altri  m'odm: 
B  booo  atre  oosUii  s*  ancor  s' ammenta 
Di  ciò  che  vero  spirto  mi  disnoda. 

Io  veggio  too  nipote»  che  diventa 
Caodalor  di  qoaTliipi  in  snila  riva 
Del  fiero  finme,  e  tntti  gli  sgomenta: 

Vende- la' carne  loro,  essendo  viva, 
Poscia  gli  aocide  come  antica  Mva: 
Molti  di  vita!,  e  sé  di  pregio  priva. 

Sangnìnoflo  esce  della  trista  selva; 
Lasciala  tal,  che  di  qui  a  mill'  anni 
Netto  stato  primaio  non  si  rinselva^ 

Come  air  ammnzio  de^  fìitari  danni 
Si  torba  il  viso  di  coltri  che  ascolta. 
Da  qui  che  parte  il  periglio  lo  aaaanni; 

Cosi  vid*  io  r  altr*  anima,  che  volta 
Stava  ad  udir,  turbarsi  e  fiirsi  trista. 
Poi  eh'  ebbe  la  parola  a  sé  raccolta. 

Lo  dir  dell'  una  e  dell'  altra  la  vista 
Mi  fé  voglioso  di  saper  lor  nomi, 
E  dimanda  ne  fei  con  prieghi  mista. 

Perchè  lo  spirto,  che  di  pria  parlòmi, 


34a 


65 


60 


66 


70 


76 


92  eoim  aniiem  hd9m.  lot. 
N  vecide  veediia  bcttìa  da  mteelW. 

63.  miti  di  vita,  é  tè  ài  pr§gÌ9 
pHé«;  •  m*lti  toglit  u  TÌla,  •  ■  ti  !■ 
bwMM  faint. 

64.  dellm  fritto  99k>a,  cioè,  di  Pi. 
rem» ,  eittk  telvaggia  •  pian  di  tratt» 


}a.mim$etrédidir  ÈGmdodd 
baca  cW  profwie  •  fMrlare  col  mio  vi* 
àm  lÌBcri  éJCMÌhoW.—pmreh'tdlH 
m*9dm,  ^««itanqae  iotit  Mroltatnda 
fMrfi  èmÈ  (da  Virgilio  e  da  Itaotal. 

M4nr.  E  èiioii  imré  eottwd,  cioè, 
tari  Imoso,  povere  a  cosini .  Mitilo  allra 

Talto  aMiiaw  todulu  lodata  la  preposi-  tia.  —  Irt'fto.  pnò  qui  ligniacarai 

rinaa  avaati  i  prooooii  di  perooaa.  — >  dotumtm,  seimguraim. 
^mmmr  t^mmmetdm,  te  tornato  di  Ih  65.  UtMeiaia  tof,  cioi,  il  diradata 

caalÌB«arft  ad  arerò  a  mente  oael  cba  di  eittadioi,  e  abbattala, 
ara  Yeraaa  ifirito  di  profetta  ni  risola.  66   Ifflio  ttalo  primaio  te,:  oal- 

Bt.  km  «foole.  M .  Fulcteri  de'  Gal-  l' aolico  ano  Oorido  italo  aaa  tana,  aaa 

boG,  aipola  «n  Rmierìf  nel   1302  aa>  ti  ripopola  come  prima, 
icaìin  podealfc  di  Firenae,  fu  iadoiio  per  W  Dm  ^mal  ekt  p^fit^  da  qaahn» 

deaara  da  «ad  di  parie  Nera  a  paria  oao  parte  ;  qoal  che  aia»  la  parto  oada 

ivtarc  i  Biaaebi  di  qaella  citte.  il  perirolo  IoadJeoti,  gli  mga  coatrat 

59.  Cacrialor  di  que'  Impi,  cioè  a  attocebi  lai  atoaao,  o  peraoao  cba  p» 

dei  Fiaraaliai  cUanalì  aopra  eoi  aoia  aaparteonno.  Laecio  la  allra  ifirgai la 

£  lapi.  ai  cboai  deano  di  qaealovarao,  pariada 

66.  IM  /laro  fiwmé,  deH'imo,  abi-  mi  aaeota  la  pia  aempKca  o  la  aola  Tcrt. 
Uto  da  aoniai  fieri  e  beetiali.  -^MH  70.  rollr^aaiaNi,  doè,  maHar  Bi- 

§H  tgowenU,  tparge  Ira  loro  la  ceatar  mari. 
aaaioBt  a  lo  apavento.  7S  «600  fa  parala  m  $è  rueoUé: 

61 .  Vtndé  ta  emrn§  Uro  :  P«fvbè,  abbo  tirato  quel  dÌKoraa  aaUa  Baala, 

perdaearojcaaie  8*6  detto,  diede  molli  a  niellatovi  sopra. 
de'Biaocbi  ia  nano  dai  loro  nemid.  76.  parlòmi ^  ioTeca  £  parkmmA^ 


PEL 

Bieominciò;  Tu  vuoi  eh'  io  mi  dedtira 

Nel  fere  a  te  ciò  che  lu  far  non  vuo'inii 
Ma  dacrbè  Dio  in  le  vuol  che  Iraloca 

Tunta  sua  grazia,  non  li  ^arò  scarso:  9*^ 

Però  sappi  eli'  io  ^a  Ouìdo  del  Duca. 
Fu  il  sangue  mio  d'  invidia  si  riareo. 

Che  se  veduto  avessi  uom  farsi  lieto, 

Vi^lo  m'  avresti  di  livore  spareo- 
Dl  mia  semenza  colai  paglia  micio.  83 

0  gente  umana,  perchè  poni  il  core 

Là  VE  meslier  di  consorto  divielof 
Questi  éRinier:  questi  è'I  piv^ìo  e  l'onore 

Dello  casa  da  Calbolt,  ove  nullo 

Tallo  s' è  rcda  poi  del  suo  vnlore.  t9 

E  non  pur  lo  suo  sanile  è  fatto  brullo 

Tra  'I  Po  e  il  monto,  e  la  marina  e  il  Reno, 

Del  ben  richiesto  al  vero  ed  al  trastullo; 
Che  dentro  a  queliti  termini  è  ripieno 

!  COR  alitino  ilcBiu  vstli  gli      «nif  pntpr»  diniDaliiiM  l'illni  «1*- 

lidtduea,  ietti! ft,  miiil*.  delti  uplxiii^niulrcliitrii  il  TtdrclwMla 

OH  (i  tari  icario,  non  li  ur4  nrll»  poMeuicm»  dei  Irta  ipirilHli  la 

riipaiin.  pnn  «mr  ijnicla ,  (xHhl  io  qulli  bm 

!* imidio  fi  riaria.  Si  noli  l«  li  nnu»  n*  ti  di  einbr*  il  h 


E.  Belli  me- 


S.Mf. 


81 
^•i 

«■li  ibmi  deH'iaioiir  n<"iavi 

rit  ftf  dJM  il  Ftwln  :  Po-clitfi .  0  f 
BIMBI,  daùderi  anHanainciilr  qE 
«««,  per  (odert  drtis  anali  i  una 
dMOo  rffwiuorW.  <■!»'  eacluiM 
•MtHgavT  I  b(BÌ  tirnnin  D.m  aol 
B«  M  Mita  ^a  puaacneri  ad  un  I 
p*,  •  n  HI  euo  aTtgUn  l'intidi; 
^H  dM  un  li  hannn .  ■  .orrcLI 

■ncli  i    a  H    il    ftW    CMBralMO 

ecoNpl*,  toma  la  rana  liiiorar 
artiJ!u,l.,..i..J,.'p,i,r,p.„„, 
eba  la  Irltla  naluii  dill'aDimi  rigni 


Strillura:  Qtàa itmtnttcril  ho-  •«■»  e>d  in<lir-D<iitl( 'olooitogli  hk- 

,  ime  mtUt.  ili  diirlli.  Il  rrrn  1 1  nkirilo  clwaogB* 

96SI,piTcUpaniÌlei>ntt  Ibrai  rinii'llalia.  a  ragsiuoE"  'I   l**'*  n 

•i  poaannc  |u<l«r<  io  ciimaoc  cDgli  tosi  la  wiiita  prr  L-ai  ai  [ifrlectoiM  il 

lo  è  il  linw  ritkUila  al  c«ro.  Irina 
riekialiral  tratluUa,  lono  lo  arti  io- 

Untn  MolribBiiriiBa  ■  buoni  coataml 

cbiina  trmilmllo.  ci«*  lallinad^ll'iat 

gal  BOB  ora  la  «>la  lamitlla  Ja'Colbolt 
di»  ••«■<  prrJulo  il  prcco  d'uà  ralla 
pcoHri,  •  ugni  giBiilaiu  d>  eoala- 
mi ,  nia  ebc  IBIIs  il  pane  cn  iabirba- 

W.  Tra  ■ÌPatil  monlr.  <c.  D^ 

M.  dnfrnogti'iCf  («mlut.-illuB 


CANTO  DECIBIOQUARTO.  345 

Di  venetiosi' sterpi,  sì  che  tardi  .  93 

Por  coltiTare  ornai  verrebber  meno. 
Ov'  è  il  buon  Lizio,  ed  Arrigo  Manardi, 

Pier  Traversare,  e  Guido  di  Carpigna? 

0  Romagnuoli  tornati  in  bastai-di  1 
Quando  in  Bolo^a  un  Fabbro  si  ralligna?  iOO 

Quando  in  Faenza  un  Bernardin  di  Fosco, 

Verga  gentil  di  picciola  gramigna? 
Non  ti  maravigliar,  s' io  piango,  Tosco, 

Quando  rimembro  con  Guido  da  Prata 

Ugolin  d*  Azzo  che  vivette  nosco;  i06 

Federigo  Tignoso  e  sua  brigata, 

La  casa  Traversara,  e  gli  Anastagi, 

95.  Di  venenoii  iterpi ,  di  mtlva*  ffna ,  raifgentilirooo  per  opere  egregie , 
IP  coetami.  raliignirono ;  e  che  oè  pur  v'era  spe- 

96.  Ptr  eoHivarM  ee.  Per  qvehi-  raoiadÌTederliineppreeso.  Quando  im 
voglia  tura  di  lejpalatori  o  di  filoeofi ,  Bologna  un  Fabbro  iirallignaf  QaMtk- 
troppo  tar£  ormai  ai  gìangerebbe  a  mv-  do  aark  mai  che  in  Bolonna  ralligoi  un 
tarli. —  ornai:  il  MS.  ddla  Cora,  ha:  Fabbro?  ec.  Si  noti,  dopo  lutto,  che 
o  ami.  questi  due  pcraonaggi ,  quando  Guido 

97.  M.  Liiio  da  Valbona,  cavaliere  parlava,  erao  già  morti. 

asaai  dabbene  e  costumato.  —  Arrigo  404.  Guido  ee.  Fu  valoroao  e  lib»> 

Mamardi,  aecondo  alcuni,  nacque  in  raleaifpiore  di  Prata,  luogo  tra  Raven- 

Faeiiaa,  aecoado  altri,  in  Bertinoro:  fa  na  e  Faenta. 

atomo  pnideote,  magnanimo  e  liberale.  405.  Ugolin  d^ Atto.  Coatui  fa  de- 

9%.  Pitr  Traconaro,  fu  aignore  d»  gli  Cbaldini,  famiglia  toacana. — noieo. 

Bavcnoa  virtuoso  e  magnifico ,  il  quale  Alcune  cdiz.  leggono  voteo.  U  Loob. 

dicooo  che  marit^ffse  una  sua  uglìuola  a  oaaerva  che  Guido  del  Dura ,  ia  boeea  di 

Slcfaao  ra  d'  Ungheria.  —  Guido  di  cui  aono  peate  queste  parole,  non  avralH 

Cat'figma,  fa  oobilisaimooomodi  Non-  be  avuto  motivo  di  commemorare  tra 

tefdtre,  e  aopra  ogni  altro  liberalia-  ì  Romagnuoli  illostrì  Ogolin  d'Ano, 

uomo  tciacano,  ae  egli  non  foaaa  via» 


99.  O  Romagnuoli  (ornali  ee.  :  o  auto  in  Romagna  con  eaao  Guido  :  perciò 

Hoaiagnuoli  imbastarditi,  degenerati I  il   detto  chiosatore  legge  «ofeo.  Eeea 

Il  Coela,  il  Biagioli  ed  altri  ,  pensano  la  nota  dell'Anonimo  a  questo  loop: 

cW  dal  Torao  99  al  402  la  frase  aia  pò-  •  Ugolin  d'Auo  fu  di  Faenxa ,  e  Gnido 

■ìtÌTa ,  e  che  Guido  del  Duca  che  qai  da  Prata  fu  d' uno  caatelln  detto  Prata, 

porla  opponga  all'  ignavia  e  alla  corrn-  del  contado  tra  Faenza  e  Forlì,  li  qaali 

Boae  dei  oobili  Romagnuoli,  il  preaeote  di  bafiso  luogo  nati  ai  traaaero  a  tanta 

nagcntilìrsi  di  due  oscuri  dttadioi.  Ma  orrevolmadi  vivere,  che,  abbandonati  i 

ciA  cootradirebbe  a  quel  che  ha  detto  luoghi  di  loro  nativitade ,  eooveiMroBO 

•opra  lo  stesso  Guido,  che  Romagna  era  continuo  con  li  predeili  nobili.  • 
tatù  imbastardita,  e  che  non  v'era  più  406.  Federigo  Tignoeo.  NoAilt  • 

traccia  dell'antico  valore.  All'oppoaloii  coatumato  Rimincac,  ma  che  ? isao  par 

laodo  interrogativo  che  abbiam  preferi-  lo  più  in  Brcttinoro.  — e  tua  brigata  : 

Co  mantiene  il  diacorso  nel  primo  teno-  intende  uno  scelto  drappello  d' aoiici 

re ,  e  dimostra  che  più  non  vedevaoai  degni  di  quel  signore. 
allora  quei  belli  eaempii  di  un  Fabbro^  407.  La  casa  Tratermra ee.  Nubi- 

Jdf  un  Domenico  Fabbri  de'  Larobertaaii  liaaima  famìglia  di  Ravenna.  —  GK  AmO' 

li  Bologna)  e  d'un  Bernardin  di  Foaco,  slagi  furono  parimaola  di  RaTeooa ,  od 

«bc  nati  del  volgo ,  di  pieeiola  grmni'  ebbero  parantela  eoo  qoai  da  Polaata. 


l   PDBGÀTOIIO 


(E  runa  genie  e  l'allra  è  diretatal) 

Le  donne  e  i  ravalier,  gli  afTannì  e  gli  agi. 
Che  ne  'ovoglìava  amore  e  cortesia, 
{.i  dove  i  cuor  son  filiti  si  iUBlvagi. 

0  Btcllinoro,  che  non  fuggi  via. 
Poiché  gita  se  n'  è  la  tua  famiglia, 
H  molta  gente  per  non  esser  rìaf 

Ben  fa  Bagnacaval,  che  non  rilìgliB, 
E  mal  fa  Castrocaro,  e  peggio  Conto, 
Cbe  di  fii;liar  tai  comi  più  a*  impiglia. 

Ben  farnnno  i  P^gan,  da  che  il  Demonio 

Lor  sen  gira:  ma  non  però  cbe  poro 

"a  d'essi  wstimomo. 


rChi  far  lo  possa  li 
Ha  va  via,  Tosco,  ornai,  eh'  or  mi  diletta 
Troppo  di  pianger  più  clie  di  parlare, 
Si  m'  ba  nostra  rcgion  la  mente  streitd. 
Noi  sapevam  che  quell'  anime  care 
Ci  sentivano  andar:  perii  tacendo 

408.  E  l'uno...  I  VMrati.i  t'ui»     di  «mliiiiHre  li  •nnouM* 
t  l'dln  iìtcruàtroM  t  dirtUla,  dir*-      mlltnii.  loim.grH  p«iKi 


1 


0  Ugolin  de'  Fani 

e  tuo,  da  che  piii  non  s'aspcHa 


{ben  «nJiikdt'iD»  «lei  «',  1*  "tlg . 

IM  UdMHUW  lol  IMiforpiinlo 

,  p.droni. 

,..»d<.ci»«.br.l.  .i>iii«.<l«».i 

riBw,  Il  «ut  d'ini^g  1  GgliDoli  di  H>i- 

I.l-b.i,H«,(.,Mp.«,in™-.™.i, 

n«dDPiK»ì,<,»i.d*,«d.^>«l.i,.l  p.. 

«'tn  nra  d>  i.  olrlci»  •dilibn->l>ià. 

KO   Cì,4  n»  -««f'wca  «.  D.i 

unii  »tltu«  td  .Ri  ,m.,n  <  «rMi* 

4IS    aig  «»  |»r«  K.  N.  gogdi- 

nitlMoK   *.^;.    D.Eli   ■»<»   («■!»«■ 

n«o  1.  i™..  C».  d,1  pgdr,  1^  ù 

M  „t,l,.H  .  d.ll.  d».,... 

f  h'  ngg  «gt.!  ig..  btn*  il  »«■■  Ig», 

*n.   U  Jm^  «M,  A.m.fn.. 

Qu-Mo  eoM  rnds  ttgvilg  il  hnpe  tti* 

ROHIB*,  pWHK  di  Cdo. 

di  Gu-lu  d(l   l>g«  <:«>*  prgtni.. 

42l-12S.tr0gl>gdr'f«lDli,ra>^ 

itìU  Umm  Cmi.. 

mo  g»b.l«  .  .i,iiu»  d.  Flou:  ■«  A- 

i\».p,rwmnjeTTÌa.ftti,<n 

W  »«<««.,(  ptrci*  die.  il  ^.Mg  ihg 

KOB  Hr*  cbi  pon  »n  mila  «Mm  smb- 
r*r>  1>  glg>>>  drlli  t.Biiglig  dì  tu. 

pi  illrai. 

415   flg0MMMl,D'>bìl((er»dtl- 

430   MiIrgrtyfn.-UogUnpM. 

li  Bamig»  In  Bixniii  •  Lur».  — 

d.i...g.>cui*r>d.ll.  Vtrjr^td   h.g. 

thi  uni  rifflia.  ti<« ,  cbe  Bug  ripto- 

dgg*  mUì  «iBon ,  ^■■<i  Igronv  i  (onti 

di  tai  nv  (unrniii  ■»•  (mi.  —  Cg- 

«47.  ^«*p«rN-.>ip~d.M|> 

iM-Ot.  dMtlttmmUric: 

I 


C4NTO   DBRIMOQOABTO. 


HI 


410 


136 


140 


FaoovMi  noi  del  cammìn  confidare. 
Poi  fàmmo  fatti  soli  procedendo. 

Folgore  parve,  qnando  f  aer  fende. 

Voce  che  giunse  di  centra,  dicendo: 
Anciderammi  qualunque  m*  apprende; 

E  ftiggìo,  come  toon  che  ai  diJogna, 

Se  subito  la  nuvola  scoscende. 
Come  da  lei  1*  udir  nostro  ebbe  tregua. 

Ed  ecco  r  altra  con  à  gran  fracasso. 

Che  somigliò  tonar  che  tosto  segua: 
Io  sono  Aglauro  che  divenni  sasso. 

E  allor  per  istringermi  al  Poeta, 

Indietro  feci  e  non  innanzi  il  passo. 
Già  era  V  aura  d' ogni  parte  quota, 

Ed  ei  mi  disse:  Quel  fu  il  duro  camo, 

Che'dovria  1*  nom  tener  dentro  a  sua  mela. 
Ma  voi  prendete  l'esca»  si  che  l'amo 

Dell'  antico  av\'ersarìo  a  sé  vi  tira; 

E  però  poco  vai  freno  o  richiamo. 
Chiamavi  il  cielo,  e  intorno  vi  si  gira, 

Mostrandovi  le  sue  bellezze  eterne, 

liiruM  è*  ornai  pari*  «ra  lo  fcalpimaata  la,  parche  era  amata  da  Memrio  :  paté 

4^  Matri  piaiU ,  a  perciò  dal  tacere  di  ostaruU  agli  amori  del  oame .  a  per 

fBaDe  aSmm  eorleti  argomentavamo  di  ^[MaCa  eolpa  fa  da  lui  eoorertita  m  taaao. 

iaa «Hard  BBcaai  per  cattÌTa  strada,  che  441.  Indietro  feci  ae.r  per  ripa* 

alar*  ea  aa  aireobero  arvertiti.  rtrn ,  come  altre  ToÀle ,  dietro  la  spalla 

ISO.  Poi , jNMciachè.  del  Maestro,  di  coi  egli  carnmiaara  al 

131-132.  roi^ort /MfTCfc.Costr.:  ainntro  fianco. 

fteg,  «aa  voce ,  che  y  tmiae  di  eonira,  4  43-4  44 .  Quei  fk  il  duro  camo  $e., 

daè,  cW  ci  Tcaoe  di  faccia,  dicendo  :  Aw»  Int.  :  aai>l,  cioè ,  lo  sparenlcTole  aoooo- 

eidtrmmmi  qualunque  mi  apprende;  di  mlle  parole,  fn  il  doro,  il  forta  fra» 

ueMqore  quando  ec.  no  \xùfio^  gr.,  lai.  A-amaai),  di  cai  li 

455.  Àneidirammi,  ncciderammi.  parlai  innanzi  (Vedi  Canto  pree.,  ▼.4<ll, 


14fr 


la  jparola  dette  da  Caino  dopo  che  a  dia  dovrebbe  contenere  ì'aoma  aell 

par  ÌBn£a  chbe  nmso  Abele.  Qaesta  gìostitìa.  Donde  queste  vod  procedano, 

fad  fiaardaao  alle  anime  del  Par(pito-  a  il  loro  fina,  si  aocconè  a  qad  nadcai* 

ria  i  faaaaCi  affetti  del  peccato  ddl'ia*  mo  luogo. 


fi£a.  —  m^ apprende,  mi  riconosce,  a 

ad  Irava,  au  scaopre.    La  Scrittura: 

QiMifi  qeÀ  teataief  me,  oeeidei  me. 

433.  fcaf canile,  squarcia. 

43S-4S7.  CoaM  da  lei  l'udir  ee. 

il  aoetra  udito  ccs«4  di  ncerera 

da  qaella  voce  :  doè,  c«iaM 

fa  "rawata  il  aaona  di  quella  Toca, 


4It.  Jf  tavro.  Coatd ,  accoado  la 


445.  Jfa  voi  prendete  Teeea.  Ma 
▼d  correte  dietro  con  tutta  l'anima  ai 
beai  terreni  che  il  diavolo  vi  getta  avaali 
per  perderri  :  e  questi  sono  la  cagioaa 
ddla  vostra  invidia,  a  di  lotta  la  Toatra 
iniquilè. 

447  E  però  poco  ra/  frano  a  ri- 
dkiamo  Freno  è  il  terrore  ddla  Afiaa 
ariaaeca  a  degli  cacmpj;  riekiam»  i, 
come  dice  sotto,  la  maraviglieaa  data 


lavala,  fa  figlinola  di  Erctteo  re  di  Ala*     dd  firmamento ,  eoa  che  Ilia  a'  iafUa 
M,  ao  fhVe  inridìa  ad  Erse  aaa  aorai-     coalinao  a  staccard  da  questo  faogo. 


ti  culigi  H'iin  cbc  lede  ì 


CAKTO    DECimOVVINTO. 


Qaanlo  tra  1'  oitimar  dell'ora  lerza, 
E  il  principio  del  di'  par  della  spera, 
Che  sernpre  a  giii=a  di  fanciullo  scherza, 

Tania  pareva  già  in  ver  la  sera 

Essere  al  Sol  del  suo  corso  rìmaso: 
Vespero  le,  e  qai  mezza  nolte  era. 

B  i  raggi  ne  Tcrian  per  mezzo  il  naso, 
Percliè  per  noi  girato  era  si  il  monle. 
Che  già  drilli  andavamo  in  ver  l'occaso; 

Quand'  io  <¥nli'  e  me  gravar  la  fronte 
Allo  splendore  assai  più  che  dì  prima, 
E  slupor  m' cran  le  cose  non  conte: 

l-B.^OBNln  Ira  IWlinuirK.  Quid-      tlìna  tSgnili 


iuta;  il  che  inai  din  cIm  bmii- 
ra  ore  *lli  Bn*  itel  gioron.  — 
ariKa.  Uiu  pni  che  la  ipcri  a 
•enpra,  a  faina  di  faniiullD, 

i_,  par  aiuiiificira  cba  mai  |iNon- 

iDdo  che  i  nwtaint 


nilaiira,*» 


lo  d«l  Purgatoci  n  ara 

'.(I  MupD  che  (ir 

•ri.  doi  in  llali 


1  ■II'sMiJaala,  dia  duna 

di  3  ora. 

nsoil  tum,  prtcnunea- 

è  per  mai  «e.  Dlaaa  il  Poe- 
11,  vrnr>l«,dia  aTaada 
■  facd*  ti  i»Dla  del  Pur. 
>r>c  cha  ilMla  ntaoulc  gli 
I  dii'Iro ,  a  tìA  1  amala 
■lata  Ira  l'oriem.  a  ìt  deb 
Dode  apf  ara  nanireals  dw 
moa  *  ^Delio  aragli  di  av- 
ara tarau  ponenla.   PaUa 

il  P«(la  ■ell'orB  del  n- 


.,«a  , 
diqoa 


la  aaaira.  Vaapra  al  l'urgalurìo 
k,  M  ara  patMla  dopa  il  mtttvÀt 
1  ■  Oaraulamn»,  dianatralnaa 


Io  KiunUilae 
perairan  ioli 
ceanik  l'aadi 


della  Trmledai  idngi  lolarì. 

g.  driilianilmania,  aKcIaranKi  pn 
Jirilla  Unaa. 

<0.  ttnlf  a  ma  avarar  ea. ,  imlii 
gli  cicehi  ■((■licalt  ilellD  iplendan  di 
«n'illra  luta  tlm  ii  aculunae  «  quatta 
del  ible.  IHrh  in  apprane  theluca '»■ 


CATITO  DECIMOQUINTO.  349 

Ond'  io  levai  le  mani  in  ver  la  cima 

Delle  mie  ciglia,  e  fecimi  il  solecchio. 

Che  del  soverchio  visibile  lima.  15 

Come  quando  dall' acqna  0  dallo  specchio 

Salta  lo  raggio  all'  opposifa  parte, 

"^  Salendo  su  per  lo  modo  parecchio 

A  quel  che  scende,  e  tanto  si  diparte   . 

Dal  cader  della  pietra  in  igual  tratta,  so 

Sì  come  mostra  esperienza  ed  arte; 
Cosi  mi  parve  da  luce  rifratta  * 

Ivi  dinanzi  a  me  esser  percosse  ; 

Perchè  a  fuggir  la  mia  vista  fu  ratta. 
Che  è  quel,  dolce  Padre,  a  che  non  posso  25 

Schermar  lo  viso  tanto  che  mi  vaglia, 

Diss^  io,  e  pare  in  vKr  nOi  esser  mosso? 
Non  il  maravigliar  se  ancor  t'abbaglia 

La  fiimiglia  del^ielo,  a  me  rispose: 

MeasQ  è,  che  viene  ad  invitar  eh'  oom  saglia.       30 
Tosto  sarà  eh'  a  veder  queste  cose 

Non  ti  fìa  grave,  ma  fleti  diletto. 

Quanto  natura  a  sentir  ti  dispose. 

■lapiva  4i  questo  aerrescimenU^  di  l«c«  catollrica ,  che  è  appunto  quella  parto 

•bbagliaotc,  di  eoi  noo  conoscea  la  ca-  deiraUì^a  che  tratta  dei  raggi  della  Iseo 

gMMW.  refralli  dagli  apecrfaì. 

44^^5.feeimÌilioleerhto,6oè,ttti  22-23.  Coti  mi  pmr99  te.  Coaì  nù 

riparo  delle  maoi  alla  luce;  il  quale  alto  parte  di  ctscre  perc(«su  da  luco  che  ivi 

ftetf,  diariouiare,  tempera  la  aovorckii  era  ri  fratta  [rifralta  ato  qui  per  ti* 

loco,  il  $a9erchio  titibiUt  che  nuoce  fleua),  rihatluta  diuand  a  me.  Quello 

•Ho  nato.  Vedi  quel  die  notai  al  ▼.  56  ero  luce  che  l'Angolo  ricorevo  do  Dio  o 

ed  Conio  V 1 11  :  Come  otri m  rk'a  troppo  riflotlt^va  «lo  «è 
tieamfomém.  Il  focab»!o  toleechio  è  ai-  24.  Perchè  a  fuggir  tm  mia  vi- 


ino  di  paratole ,  di  ombrello.  Qui  alo  fu  raita.  Hcriocbè  i  miei  occhi  fu. 

è  «alo  por  airoilitudine.  ron  presti  a  suUrarai  i  quello  aploii- 

44-20.  Comefuaiu/oec.  Int.:  come  doro. 

^•OMdo  dairacqua  o  dallo  specchio  il  25-26.  a  ek$  non  pauo  Sthet' 

roggio  riflewo  rimbulza  io  nutao  parte*  mar  ee.:  innanzi  a  coi  non  poaao  faro 

cMo,  io  mndo  pari,  a  quello  con  cui  adierm»  Innto  che  mi  giovi? 

^iaceoilo, cioè,  formando  ran^nlo  di  ri-  50.   Mi f sto,  MeMaggero,  Angolo, 

foaaioao  uguale  a  quella  d^inridcnia,  —  eh*  wm  taglia,  che  si  salga. 

0  H  éiparU  {tuo  raggio  rìflesaii),  ai  al-  51.  Toalo  tarò  ek'a  otdarte.:  cioè, 

lootana,  Daf  cader  della  pieira  (cioè  quando  barai  purgato  dai  peccati,  of- 

dalla  lìnea  perpendicolare  ali  orixaon-  verrà  re. 

tolo  dcpreiaa  fi  a  il  raggio  riOesso  e  V  in-  52-53 .  ma  fieli  dilelto  ee.:  ma  li  tt- 

ódoote)  tanto  quanto  dalla  detta  lioea,  rk,  o  rit-cwrai,  tanto  diktto,  quanto  per 

ém  iguai  tratta,  (per  uguale  spatio)  ai  al-  natura  sarai  disptisto  a  riceverne.  Quanto 

loBlaao  il  raggio  incidente;  cooi  ec.  Lo  più  l'uomo  si  puiilica  nello  spirito,  too- 

pewpendifolare  ai  chiame  da  Alberto  to  più  forte  diviene  alla  contemplaiìooo 

Mogao  il  cader  della  pietra.  del  vero,  aorgente  dei  più  puri  o  do' più 

2i.  arte.  Quest'arte  o  scieoto  è  la  grandi  piaceri. 


350  DBL  purgàtobio 

Poi  giunti  Annmo  ali*  Angel  benedetto, 
CoB  lieta  voce  disse:  Intrate  quinci, 
Ad  un  anileo  vie  meo -che  gli  altri  eretto. 

Noi  montavamo^  già  partiti  linci, 
E^BeaH  ndtericordes,  foe 
Cantato  retro,  e:  Godi  ta  che  vinci.      ^ 

Lo  mio  Maestro  ed  io  solr  ambedue 

Suso  andavamo,  ed  io  pensava,  andando, 
Prode  acquistar  nelle  parole  sue; 

E  dirizzarmi  a^lui  si  dimandando: 
Che  volle  dir  io  spirto  di  Romagna, 
E  divieto  e  conserto  menzionando? 

Percb*  egli  a  me:  Di  sua  maggior  magagna 
Conosce  il  danno;  e  però  non  s'ammiri 
Se  ne  riprende,  perchè  roen  sen  piagna. 

Perchè  s*  appuntano  i  vostri  desirl. 
Dove  per  compagnia  parte  si  scema. 
Invidia  muove  il  màfetaoo  a*  sospiri 

Ma  se  r  amor  della  spera  suprema 
Torcesse  in  suso  il  desiderio  vostro. 
Non  vi  sarebbe  al  petto  quella  tema; 

Perchè  quanto  si  dice  più  li  nostro, 


nO 


45 


50 


SI.  Poi,  poifM. 

85.  JjiIratefMsiiei,  eotnle  è»  qai , 
ov'è  aM  tcala  leaipre  meo  rìfida  otlU 


37.  iimei,  i\  U. 

3S  BeaUtc.  Parola  dì  Omì  Criita 
(Vedi  S.  BAatlco,  rapo  5| ,  che  mi  ai 
«•Dtaao  dall'Angalo  mtr  lodare  ramo- 
ra  del  proaaimo,  virtn  eootraria  «U'ia- 
vidia. 

59.  e:  Godi  tu  che  vinci  E  fo  p«r 
cantato;  Gwdi  te  ek§  rinH.  Cmo  le 
qvali  parole  ai  iaviu  ad  nulliire  nella 
speranza  di  nn  elenio  giMlinienlo  tkà 
•Tré  saptttoTineere  l'amin  proprio,  e 
liguardare  il  prosaÌDio  cume  sé  ste»ao. 

42.  prpdé,  prò,  gtilità.  — prode 
acquistar  ee.. ricavar  vautaggio,i»lniir- 
mi  )  faceiiilolu  psriare 

44 .  lo  spirto  di  RomuLoma,  Gvido 
daiDnca. 

45.  B  divieto  e  cotuorio.  Sai»  i 
▼arsi  se  e  seg.  del  Canio  preerd. 

4e.  Di  $ua  mtaggior  wuifagmm,  di 
naggior  vino,  cbe  (•  V  iu%idia. 
47.  e  perà  non  s'ammiri,  man  ù 


ammiri  da  voi ,  bob  si  prendi  Btrtri- 
glia  da  voi. 

48  Sa  ne  ripremié,  oc.  Sa  ma 
rimprovera  il  mondo  dieaiida;  •  gcate 
«niaiia ,  penlM*  pani  il  eaora  là  ovn  è 
atralieri  di«iHo  dì  ronanrtot  —-  pertkè 
men  am  pimgna,  afeiocciiè  poi  in  Par- 
gaUiio  si  abi  ia  per  voi  a  pàaagcr  ■«•• 
per  qn«^U  r<il|»a. 

49-51  Perchèi'appmdmmoaaAak.i 
l'invidio  muote  ti  mimteen  (il  OMntiei) 
a's«ia|>iri,  ci<>e,  vi  affanna,  porcile  if- 
stri  d«^iiYrr|  si  appuntano,  ai  dirMoao, 
e  si  f<'rniaiio,  in  «nella  aorta  dU  nani, 
de' qua  II  srrmsfi  il  godimento  ^aasdo 
altri  nf  part«H-ipano. 

52  dr/(a  spera  si^reiiw,  del  daioy 
dM  è  kfilr  df'bfaii. 

53  Tttrrtssé,  rivolgesaa. 

54  fitm  ri  $artbke  al  peUa  a*,  s 
cioè,  il  timore  rhe  altri  partili  ipaaiir» 
dei  neni  die  deaiderato,  moa  vi  pwngt 
rabbr  il  eore. 

55-57  Perekè  qumnlo  ae.  Impar- 
docrhe  uuantu  maggiora  è  il  nnmaan  di 
colora  ette  /i  (io  delu)  partedpano  di  aa 


CANTO  OECTMOQUIRTO. 

Tanto  poflBiede  più  di  ben  ciascuno, 
E  più  di  caritate  arde  in  quel  cbioetro. 

Io  son  d*  esser  conlento  più  digiuno, 
DisB*  io,  che  se  mi  fòsse  prìa  taointo, 
E  più  di  dubbio  nella  mente  aduno. 

Com'  esser  poote  che  an  ben  distfibnto 
I  più  posseditor  fÌEKxia  più  ricchi 
Di  sé,  che  se  da  pochi  è  poasedotot 

Ed  egli  a  me:  Perocché  tn  rificchi 
La  mente  ^nre  alle  cose  terrene. 
Di  vera  luce  tenebre  dispicchi. 

Qaello  infinito  ed  ineffabii  bene 
Che  lassù  é,  cosi  corre  ad  amore, 
Come  a  Incido  corpo  raggio  viene. 

Tanto  si  dà,  quanto  trova  d*  ardore: 
Sì  che  quantunque  carità  si  stende, 
Cresce  sovr*  essa  1*  etemo  valore. 

E  quanta  gente  più  lassù  s^  intende, 


354 


60 


66 


70 


bcQC  cb«  per  Mser  di  talli  poè  d»  ogou- 
no  cbiamarai  noilro.  Unto  pia  ciascuno 
n9  poaùcde  in  paiiicolarv,  e  piò  «e. 
L'nnina  dei  braCi  Baiando,  aecondocht 
pii  aotlo  dina  Dania,  tanti  apacdii  in  cai 
si  rìfleila  la  lura  eterna,  ne  legnila  rha 
qnanlti  pia  creacono  in  numero,  tanto 
aafginra  ai  fa  il  lama  noI  ccleate  aof- 
Maroo,  a  pia  chiara  la  viaione  baalilicn 
dì  óoackcdann.  Qnalcba  edii.  legga  Ckè 
p§r  fWWiH»  ella  fona  tornareìiba  an> 
cbaoMflin. 

9S-€0.  lo  fon  d'§sier  eanlntUt  ne. 
!•  sta  adaaao  più  diginiM»  d'aaaer  ronten- 
toy  cioè,  pie  Inalami  dall' ea»er  pago,  di 
imd  ék'w  aerei  sa  non  l' avocai  fatto 
Jk«an  domanda;  a  ia  magf^inr  dubbio 
wmm  ora  kiTilappato.  —  mi  fo$$$ ,  lar* 
■ÌBaB<*aa  anlira,  per  mi  fotti. 

ei-eS.  ditìrUmto,  diviM.  •/  ^ 
po$i9dÌÌm'  m.:  faccia  piò  ricchi  di  aà , 
••  tonchi  fià  •  ciaaeano,  aa  ai  divida  tra 
malli  ptvaeaaorì,  di  ^nel  cIm  aa  faaaa 
diilribuito  tra  pochi. 

M-C5.  H/lcrfc{.lomi  fmrt.aempra, 
tattavia,  rat  penaieru  alle  ci«e  della  ter- 
ra da  cai  oon  aai  atarcar  la  menta. 

66.  IH  ver*  /«re  re  Dalla  mia 
ptrnlt,  ehn  aoa  laro  di  Tarila,  rfia* 
fUtki  Utubn,  ti  ai  genera  «onfn- 
td    erro: a,    perchè    non    aai 


nlavarti    al    diaopra    della    materìt. 

67.75  Quello  l'm/biilo  m.  ld<fio, 
bene  ìnGnito  ed  ineftabila,  cofi  eorn  ad 
mwtttrtt  coaì  corre  ad  invaalira  la  aoima 
inoaioorate  de'  brali ,  «ama  il  raggio 
del  «ole  i  Ituidi  corpi,  ^wgli  cioè  CM 
riflettilo  la  luce ,  e  le  bea  a  propornoM 
dalla  carità  che  arde  in  aaM  ;  ai  dw  Fa* 
lama  tirtu  beatrice ,  f  aCerno  aiiil»r« , 
creare  tectindw  rho  è  maggiora  H  detti 
calile:  lapida  qaanla  genia  piàlMfè 
tl'imifwh,  dita,  an  nell'Empireo «i  CO- 
noace  per  maina  rifleaaiooa  d*  ■■•  !■ 
altro  del  lume  di  Dio  che  gì' iafiila 
(mulMC  te  lnfefli<;tl,tptegii  Benraunti^y 
'—'41  pie  «'  è  do  bòne  mmoro  (riaè| 

o  più  vi  e   della  della  TÌrtà  b«a> 


Unt« 

talli 


liKcante),  e  pio  ai  ama.  •  l'Miort 
dall'  una  all'  eltr'  anima  beata  ai  ri- 
flette ,  come  dall'  mio  apeerbio  nll'tl- 
tro  la  Iure.  E  p«T  ^eata  atmilitadi- 
ne  degli  •pei-rhi  dÌTÌcne  evidootOi  dba 

Ìiianli  più  «nno  gli  «piriti  in  coi  ai  ri- 
ellr  la  «irln  beatrice .  tanto  mmiort 
e  più  inteiiM  invite  cinarono.  V«||  ao» 
(he  «nel  rlie  s'  a  detto  di  anpra  alla  no- 
ta 53  Mi  fl  d  re  che  falche  lealn,  mi 
che  io  niHi  hn  vetluto ,  ha  Icftiian  !•- 
tende,  rhr  e  bnona  variante;  a  aigoì- 
Grhrrebbr  è  inlr$a  IH  DÌO ,  0  inimi$ 
nella  «firtna  ritiont. 


35!K  DEL  PUBGATOniO 

Più  V* è  da  bene  amare,  e  più  vi  8* ama, 

E  come  specchio  1*  uno  air  altro  rende.  7» 

E  se  la  mia  ragion  non  ti  disfama, 

Vedrai  Beatrice,  ed  ella  pienamente 

Ti  torre  questa  e  ciascun'  altra  brama. 
Procaccia  pur,  che  tosto  sieno  spente. 

Come  sort  già  le  due,  le  cinque  piaghe,  80 

Che  si  richiudon  per  esser  dolente. 
Com'io  vole\'a  dicer;  Tu  m'appaghe: 

Vidimi  giunto  in  su  V  altro  girone,  (*) 

Si  che  tacer  ini  fer  le  luci  vaghe. 
Ivi  mi  parve  in  una  vi.-ione  S5 

Estatica  di  subito  esser  tratto, 

E  vedere  in  un  tempio  più  persone: 
Ed  una  donna  ia  su  V  entrar,  con  alto 

Dolce  di  madre,  dicer:  Figliuol  mio. 

Perchè  hai  tu  co^  verso  noi  fatto?  9<j 

Ecco,  dolenti  lo  tuo'  padre  ed  io 

Ti  cercavamo.  E  come  qui  si  tacque, 

Ciò  che  pareva  prima  dispario. 
Indi  m*  apparve  un'  altra  con  quelle  acque 

Giù  ynìr  le  gote,  che  M  dolor  distilla,  95 

Quando  per  gran  dispetto  in  altiui  nacque; 
E  dir:  Se  tu  se' sire  della  villa, 

76.  non  H  dièfama,  doo  li  sodili-  modi  diverai  ha  Mpaio  pratentarci  quc- 

ifa.Ritpoiide  alla  ineUfora  òe\  digiuno  ala  htorie  di  virUiMÌ  e  di  viiioai  fatti, 

osata  da  Danta  al  verao  58.  88-00.  Eduna  donna- Questa àMa- 

79.  tpente,  tolte  dalla  taa  fronte.  ria  Vergine,  cbe  avendo  smarrito  il  san 

80.  lo  cinque  piaghe.   Le  cini|ao  divin  fijjliuolo,  rilrovstulo  dopo  tre  d'i 

P'igba  rha  riuiaoguoo  delle  sette  che  nel  tempio,  come  si  li'gx'  in  S.  Luca, 

iUigelo  ti  aveva  segnate  nella  fronte  gli  disse  ,  senza  impazienza  ,  anzi  eoa 

eolla  punta  dello  spaila.  Stioo  le  cini|ae  tutto  dolreszo:  Fili,  quid  feeisti  no- 

moccnie  dei  peccali  che   rimanevonO|  bii  iie?  re. 

tolta  vio  la  superbia  e  l' invidia.  92-03.  E  come  ea.  E  coma,  dette 

84.  Cke  ti  richiudon  €C.:  che  si  queste  piirole,  ki  larq or, spari  lo  visione, 
naanono  eul  duleiscne,  cioè,  mediooto  94-00.  un'  altra  ce.,  cioè,  un'ol- 
la contrizione  e  la  penitenza.  tra  di>nna.  Qut^ta  è  la  moglie  di  Fisi- 

82.  Com\  mentre.  —  dicer,  dira,  strato  tiranno    di  Alene,  lo  <|nola  do- 

-»  m'  ajìpaghe ,  m'  appaghi.  mandò  vcnilrlla  contro  quel  giovinetto, 

n  Terzo  girone.  che ,  acceso  d' amore  verso  la  figliuola 


^ 


I-i.  /e  luci  vaghe,  gli  occhi  miei,  di  lei,  puhblicaniente  buciollo.  —  con 
quo  e  lo  voganti  per  desiderio  dì  vede-  quelle  aeque  ee.  Int.  :  con  quella  la- 
re altre  cuse.  griine  che  spreme  dagli  ««chi  il  duloiv 

87.  in  un  tempio.  Nel  tempio  di  ^iMimio  nacque,  quHnd'éciigioiiato|wr 

Gamsalemnie.  Qui  il  Pneta  vede  alcu-  yran  di*pello,  per  gran  disdegno  in  ai- 

ni  esempi  dello  «irtù  contraria  al  pec-  Imi, contro  altrui  ;  in  una  p.inila,  l'ira, 

cato   dell'  ira.    Nota   quanta  fecondità  sii  ha  taUuIta  il  significatu  di  eontrm. 
d' ingegno  nelF  Alighieri,  che  con  Unti  97-99.  aire  <le//avi7<o,  re; signore 


CANTO  DBcmoQuimo.  35$ 

M  cai  nome  ne'  Dei  fti  tanta  lite, 

E  onde  ogni  scienzia  disfovilla, 
Vendica  te  di  qaeye  braccia  ardite  400 

Che  abbracciar  nostra  figlia»  o  Pisistrato. 

E  il  signor  mi  parea  benigno  e.  mite 
Risponder  lei  con  viso  temperato: 

Che  farem  noi  a  chi  mal  ne  disira, 

Se  quei  che  ci  ama  è  per  noi  condannato?        iOi 
Poi  vidi  genti  accese  in  fìiuoco  d' ira. 

Con  pietre  nn  giovinetto  ancider,  forte 

Gridando  a  sé  por:  Martire,  martire: 
E  tai  vedea  diinarsi  per  la  morte, 

Che  r  aggravava  già»  in  ver  la  terra,  ilo 

Ma  degli  occhi  ikcea  sempre  al  ciel  porte; 
Orando  air  alto  Sire  in  tanta  guerra. 

Che  perdonasse  a' soci  persecutori, 

Con  qoell'aq[)etto  che  pietà  disserra. 
Quando  l' anima  mia  tornò  di  fhori  il6 

Alle  cose,  che  son  fuor  di  lei  vere, 

Io  riconobbi  i  miei  non  £bi1sì  errori. 
Lo  Duca  mio,  che  mi  potea  ved^e 

Far  si  com* uom  che  dal  sonno  si  slega, 

Disse:  Che  hai,  che  non  ti  puoi  tenere;  iso 

Ma  se*  venato  più  che  mezza  lega 

Ma  ffia  ai  AteM,  per  éar  aoM  «1-     ri  apra  «Ila  picU.— Con  fMafTa^pca», 


la  ^aala  fa  gran  lita  tra  NetUmo  a  Mi-     ■  nfnrkea  ad  gnmdo 
■arra.    vmieogiiiieimuiaéiBfmfW^  4  4  5»4  4  7 .  Qumio  Ftmimm  wdm  aa.» 

ptlièBiaMa  le  icitnia  ricaTeronogran»     L'««BoclMMfoa  erada  la  rinooiMMaa- 

ara  appranaiooi  di  aoaa  faraaaala  ari- 


diaioM  laaa  dai  00011111  eha  la  aMtiTa-     aara  appranaiooi 

^  a  di  Ik  qoetta  laea  li  dilfoia  ad     alaoti  ;  a  del  proprio  ingàmio  a'aaaarpa 


illoauoara  il  mondo.  aolo  qoaodo  naregliato  poò  parafasara 

'tC^.Ai^ofMtarMfrìspoBdaraalai.     lo  ioinia|ini  tognata  (eoa  rcataao  oaHa 

a  P  ai 


407-408.  im  gÌ€9Ìn$tto.  QiMtli  h  OMOioria)  eoo  V  appnattOBa  ririen 

S.  Silano,  dia  mori  lapidato.  —  me^  cIm  egli  par  mano  ù^  aanri  noa  pie  !•- 

der,  oeeidara. — forU  Gridtmdo  m  ii,  |^ti  dal  toBoo  Ila  dcpii  abiatti  praaia- 

rioè,  foHenrate  gridando  Fon  aU'id-  ti.  Fatta  qoeata  eaondaraiiaM,  iolas* 

tra:  Dagli,  degli,  Jliorlira,  wunrHrm,  darai:  qiaodo  l'aaima  aria  (eU  sai 

409.  B  lui  Videa  ehinm-H  «e.  È  eoooo  ara  latta  daotrodi  a*  rietralte) 

bella  tradaiione  del  pasao  dagli  Atti  famd  éi  fmri,  cioè  toro»  aatto  3    ' 

Apoat.  ora  ri  deKrìfa  la  lapidarioM  di  irittaro  draeari  a  riaarara  l'iaipraHJ 

focato  Santo  diacono:  potUii  mUm  daOa  aaaa  di  foori,  la  fodi  Taraa 

gemiHu  te.  Vedi  al  eap.  5.  aooo.  loriaaoobU  chala  cosa  Tadola  .— 

441.  Jfa  (fagli  oecA</Wfaf«Rqnni  logm,  arrori;  om  «oii /Mf<^  rioè  mb 

«I  €iel  porU.  Intendi  :  ma  tonerà  eaaa-  fantaitid,  oao  ckiaMra^  bm  tìmmimA 

pre  gli  occhi  aperti  e  rivolti  al  aialo.  a  caaa  tara ,  a  dri  faUi,  cba  la  alaria 

4 12.  iW  o/la  Siri,  a  Dio.  —  in  racaaota. 
tanta  guerra,  io  ri  erodela  martirio.  490.  Cba  Ikmi,  €k»  uom  Hpmottmt' 

4ÌA.  che  pietà  d%iitrrm,Aaìm^  re :eioè, dia  oaniipvoi  raggerà  io piadL 

tb 


334 


DEL    rUBCATOBiO 


Velando  gli  occhi,  e  con  le  gambe  avvolte  ^H 

A  gni^a  di  cui  vino  o  sonno  [uega?  ^^ 

0  dolce  Padre  mìo,  se  ta  m'ascolle, 
■    r  li  dirò,  diaa'  lo,  ciò  che  mi  apparve  iM 

Quando  le  gambe  mi  furon  si  lulte. 
Ed  eì  :  Se  lu  avessi  cenLo  larve 

Sovra  la  taccia,  oon  mi  sarlon  cbiii^ 

Le  tue  cogiUizion  quantunque  pane. 
Ciò  che  vedenti  fu,  perchè  oon  scuse  ix> 

D' aprir  lo  cQore  all'  acque  dalla  pace, 

Che  dall' eterno  fonie  son  diffuso. 
Kon  dimandai,  Che  bai?  per  quel  che  (ace 

Chi  guarda  pur  con  l'occhio  che  non  \ede, 

Quando  disaniniato  11  corpo  giace;  i3i 

Ma  dimandai  per  darli  Forza  al  piede: 

Cosi  [rugar  convieosi  ì  pigri,  leali 

Ad  usar  lor  vigilia  quando  riede. 
N'oi  andavam  per  lo  vesjiero  allenii 

Oltre,  qnanto  poièn  gli  occhi  allungarsi,  I40 

Cooira  i  raggi  serolioi  e  lucenti  : 

m.  Velando  gt>  DCcM,  tckndn  t*  133.156.  JV«di>Piiiidal,CbakuT 

pupille  f sili  pilpchn,  Mautilii  flipnhi     «.  DaoM  iinlilK  pulBIa  <loaiind*r«  ■ 

—arnU gamb€iHm,lle,àot,to»itim-  i)«>iand»ti  la  m- sn  t>ani>  120)  liu- 
ti th>  Id  iDiliDdo  l'incrociHiaa,  niiai  giani  dal  mia  MiUr  MrpmiiBda  ■  n- 
^0(11*  digli  ■briicbi  >  dei  HHiDaliDli.  cilliale  p<r  li  >ii  I  Oad  igTl  la  >Tnrte 

126.  ti  lolla,  li  iapcJila  od  Ioni  cha  uun  |li  diiuiidl,  ekakatf  pacaci 

ntEii*,  «1  «  lulitdb.  Disliig  cha  iDul  dounndirlo  Chi  sHar- 

127-119.  St  Ih  ocrui  etnia  Ur-  dapurcm  tacckia  te.,  doè,  chi  pu- 

etnie  mattktrt,  par  inipnìirc  clii  ti  li  cba  wa  pn*  icdcr  l'uiliriH  dell'aoBn, 
l<g|iiHÌB  Uttn  qarJ  cIk  li  opHidcB-  >  il  i|ail  oFibia  DDQ  h*  pii  foni  din- 
In  di  la,  la  tur  coffilatùmi^  la  tua  iu-  dira  ^amadu  4ai  corpi»  è  partila  1*  loi- 
laraa  itlitiaDi  no»  ni  MTÙn  cAlw*.  m*;  nwilniia  accbiOiiBnì  dir  ?lttilia, 
BUnala  j  fuonliinfM  |«rr>  , 
IBIeU  pwala. 

■'"  •V.ptTi 


•ntiiHali  di  pardaas,  di  dh*  a  di  «- 
rìik,  dtc  a  mnigliiBii  diai'aciiai  rbc 
IpCfaa  il  faaoi  «liegaoBa  il  Lullori 
dall'  ira:  piràordié  la  bai  •  la  Icgya  e 

m!   Ckt  dati'  ifarao  fml*   a  : 


Dio   dij.« 
le  li  dìOapdi 


CANTO  MCIMOQVUnO.  3ft5 

Ed  ecco  a  poeo  a  poco  vm  fbnio  ferd 

Verso  di  noi,  come  la  notte,  oscuro, 

Né  da  qneUo  era  loco  da  causarsi: 
Questo  ne  tolse  gli  occhi  e  Taer  poro.         *  «45 

145.  n§,  d,  ioU9gU§edd,  Mipt>    mì  oltr«  U  firtt,  aoel*  U  retpiro  fa 


CAUTO  WKìCMMMSBn^. 


ttti  unm  CtrM*  tm  —  mipm  fimm  •  Pomt  rf*—  wtmpAtà»  ^k»fmm  épmrgm  rim,Um 

liptrtki  U  Pmm  mtl émtèi» ém»d0  tmtm  twimiMi  ptmtU,  m  éM  fiamtH  •  éti  tediati 
l»S9MÈtllÌfmit»§mw»mmptt^9mtt»mamé9ra 


Buio  d"  inferno,  e  di  noUe  privata 

D'ogni  pianeta  sotto  pover  cielo, 

Qoant*  esser  può  di  nuvol  tenebrata, 
Non  fece  al  viso  mio  si  grosso  veto, 

Come  qoel  Aimo  cb*  ivi  et  coperse,  6 

Né  a  sentir  di  cosi  aspro  pelo; 
Che  l'occhio  stare  aperto  non  sofferse: 

Onde  la  Scorta  mia  saputa  e  fida 

Mi  8^  accostò,  e  1*  omero  m' offerse. 
Si  come  deoo  va  dietro  a  soa  guida  K) 

Per  non  smarrirai,  e  per  non  dar  di  cozzo 

In  con  che  1  molesti,  o  forse  ancida; 
ir  andava  io  per  P  aere  amaro  e  sozzo, 

Ascoltando  il  mio  Duca  che  diceva 

Pur:  Guarda,  che  da  me  tu  non  sie  mozzo.         tf 


I.  Jfeii9  rin/WiM,  buio  Mal  b     nè1ttgwaa,«UMlvap«Tin4«%MÌ 
trovai  adi' inferoo.  M. 


2.  ml$»fm§r  cM»,  m  Xtf^àvf  4-6.  if •»  te «1  Hip  wthm,  €^ 

d  ^%ài%  Meo,  tearto, ciclo;  Jovo  daedo     draiid  •  nttoii  :  bob  feaa  al  ■■•  dw, 


è  rariBMrta  CmI  il  Betti.  E  ^otfeH  ai  e  mm  occM,  vdod  fraaao,  aè  «pio 
par  dM  daBiidiore  tpirgafioiM  di  ^w^  d  aapro  «  Midlrf^  •  coma  la  Mak  d 
la  «ka  aa  aa  dà  «oaoacawalo  :•  aalto     taalira  |al  iiaai),  aaa»  yd  laaia  aa. 


«Ma  patirà  di  firllt,  mi^  apMa  m     —  aqrrafMia,  par  aafaitar  PaUifaria 
traila  M  eM»wnm  fn^^mf  éi  ald»     dd  telo,  AiaaM  io  pai tacalia awi a | 


It.  0  Capraidooa i^  tatto  vaaa •fMa*  frati  di  ^ad  fcuaa. 
da  aafra  è  dalla  aaftt  arinifa  Irafflil  7.  OU  f  aadMo  aa.  #  par  «ka  ,  far 

a<aa«la;Matraaa  alla  B«na  priva  di  la  yak  aaarU  iaipriidiai,  f  mah 

laaaa  dialallapar  bltioa?ali,laaa>  noa  fojfarta.  aoa |»alè, tiara apartaw 
fiaafi  la  aaraaatanaa  di  aaa  pfafaada  S.  aajiaK  aaria,  aaearta. 

vaDaaàiaaa  tra  aMatf,  doadaaaaada-  13.  fofia,  Walla  dal  kam^,  ^ 

la  d  vada,  la  aa  acoaMord  r  aaaarilè  aaiara,  nolaala,  ad  aera  par  aaaa  a  r^ 
t  P  arrara.  Ma  aa  de 


prai  [ialtirti  aaaara  aiaiapar  adiaia      '    14-15.  dka  diraaa  ^r,  cha 
Hfido ,  darà  la  laca  è  aliladwiala     oMateanaadafa  diaaado.— daaM< 


^^F'^^^l 

■ 

3-,6                               DEI.  PUR. 

5,»Tonio 

m 

Io  scDlia  voci,  0  ciascuna  pareva 

^ 

Predar  per  paco  e 

per  misericordia 

L'Acne)  di  Dio,  clie  lo  peccala  Icto. 

Pure  Agnia  Dn  eran 

le  loro  esordia: 

Una  parola  in  tolti  era  ed  an  moda. 

ìi> 

Si  che  parca  Ira  esse  ogni  concordia. 

Quei  sono  spirti,  Maestro,  eli' i' odo? 

Diss-  io.  Ed  egli  a 

me:  Tu  vero  apprendi. 

E  d'iracondia  vao 

solvendo  il  nodo. 

Or  la  clii  se'  clic  '1  no- 

;tro  fumo  fendi, 

Si 

E  dì  noi  porli  pur 

,  come  se  lue 

Partissi  oncor  io  tempo  por  calendi? 

Cosi  per  una  voce  detto  fue. 

Onde  il  Maestro  m 

io  disse:  Rispondi, 

E  dimanda  se  quii 

icj  si  va  sue. 

30 

Ed  io:  0  creatura,  eh 

e  li  mondi. 

Per  tornar  Isella  a 

colui  che  li  fece. 

Maraviglia  udirai  i 

»  mi  secondi. 

lo  ti  seguiterò  quanto 

mi  lece. 

Rispose;  e  se  veder  Turno  non  lascia, 

u 

L'  udir  ci  terrà  giunti  in  quella  voce. 

^^■U 

Allora  incominciai:  Con  quella  fascia. 

^H 

Che  la  morte  dissolve,  men  vo  suso. 

^M 

E  venni  qui  [«r  la  infernale  ambascia; 

VI 

wn  ti.  m«.D,  »>>  li  d1»di,  0  di- 

di.  Solerao»  gli  aolictii  dindera 

Ul,^^ 

eii»»  Ji  nu- 
li. Ina,  loelie. 

pa  io  Ire  epaiì,  o  lenaiu,  che 

li  tllijl- 

Insane  calUji  o  t.l<«h,  oe»  e  i,li. 

m.  Pur*  Aynut  UH.  Tnlli  f«uiii- 

t  dello 

cilTtnn  II  liirs  pi  (ghiera  roD  le  iiainla 

>l(r<i  Wlel^Nola  che  io  qliealo 

■dodJc. 

di  Btnil  CVÀtu  Agnm  Dei,  chopn.te- 

1.  dur.U«ditiJ.;s».»».l 

Mll'el- 

rituB  io  leiupa  .  lono  usuili-  AantUo 

Ire.  aDt'iel.T>ilIt. 

M  Dia  i  tbiinai»  Gnu  Cr.ito  per  la 

SO  M  quinci  N.:  ae  di  qa 

.Ita  e,»,  ael  «.e»).. 

l' ir..  Q—O  parola  .r.=o  il  prii.cipi. 

SS.  MMftetmli.Mnii 

Mia  Fr«glÙB>,  la  ^u.\.-  poi  Gn,..  nelle 

pnaan. 

>lln  parai  ra»liin,,<Iaiianù6ifr'<i  rem. 
a.  (^'WMi  «pirli,  «s.tlutel- ti» 

51.  quanto  mi  Ita,  mia 

'mT', 

rfl.rtaBUr«,«up.pinl,T 

■iodi  gliele  eenb^e,  dead*  D. 

2*. E  d-iracoudiatc.  Ini.:  lan 

leello  l  B«ire. 

rarpnio  il  pe«.lo  .lell'ir.,  cb.,  cerne 

SS-SG.eKMdarn.Ewilri 

u  I1.HI..  li  lega  .'..  eU«  Tolu  •»»  pe^ 

MM  ti  I>ii>  della  pace. 

15.  ck<  '1  naiiro  fumo  fmti.  ci-t. 

oJ-SS.  Con  iMlla  fàitiM. 

Mio. 

*f.:  (Hi 

tii  il  rum»  in  tl.t  ow  .lame. 

eerp..k<ili».lc,;.l.l'.nÌD.., 

<  the  1. 

M.27,  e«w  ..  Iw  l-arliui  «. 

.on.di».l... 

Come  ae  lu  fuui  «neon  nel  luunJo  rie' 

S9.  pir  la  ioknaieai-tbBitia.  t(- 

^              (in,  «te  il  Innfo  ai  Diniri  fxr  fUn- 

J 

■ 

CANTO  DECIMOSESTO.  357 

E  se  Dio  m' ha  m  saa  grazia  ridunao  40 

Tanto,  cb'  e'  vuol  eh'  io  vegga  la  sna  corte 

Ver  modo  tolto  fuor  del  modern'  oso. 
Non  mi  celar  chi  fosti  anzi  la  morte, 

Ma  dilmi,  e  dimmi  s'io  vo  bene  al  varco; 

E  tue  parole  fien  le  nostre  scorte.  4& 

Lombardo  fui,  e  fbi  chiamato  Marco: 

Del  mondo  seppi,  e  quel  valore  amai 

Al  quale  ha  or  ciascun  disteso  l' arco: 
Per  montar  su  dirittamente  vai. 

Cosi  rispose;  e  soggiunse:  Io  ti  prego  60 

Che  per  me  pregbi,  quando  su  sarai. 
Ed  io  a  lui:  Per  fede  mi  ti  lego 

Di  fer  ciò  che  mi  chiedi;  ma  io  scoppio 

Dentro  da  un  dubbio,  s' i'  non  me  ne  spiego- 
Prima  era  scempio,  ed  ora  è  felto  doppio  66 

Nella  sentenzia  tua,  che  mi  h  certo 


40.  ridUuso,  rieerato,  raceolto.  È 
bellMnao  mede ,  porche  porU  tero 
V  ìéf  d' VB  amoroM  eastooimeolo  in 
«■M  grana. 

41.  fittr  ieiwtoiem'nto:  pafdi4 
da  Emi  •  da  S.  Paolo  in  poi  noo  tf  ara 
pie  a£Co  caso  fiinila  d' uà  tìto.  Vadi 
inférmo,  Canto  II. 

48.  «fisi  Im  mòrte,  prina  cka  in 


44.  mi  ftmrco,  al  paaao,  alla  aaltlaal- 
fl^  altra  earehio. 

A$:  Umbmrdo  fmi,  «e.  Aiarai  di- 
COBO  cho  4M8to  Marco  fu  un  Tancnano 
aoaco  di  banta,  a  abiamato  il  Lombar- 
do par  MI  IH  molto  in  craaia  ai  Sifoori 
dalla  Lamkardia  ;  dia  fu  di  gran  valo- 
re, nralico  delle  corti,  ma  faàla  all'ira. 
Ma  torta  LowUardo  fu  il  casatodt  fio- 
tto Marco,  dicendo  il  Boccaccio  dM  oo- 
•tui  fìt  di  Ce'  Lombardi  do  Vimt§ia  ^ 
wooto  di  Corte  e  Bovio.  Alcuni  altii 
penaano  dtet/tmbordo  aia  quinnanimo 
À'itoUemo,  parche  a  Parigi,  dova  molto 
quatto  Marco  uaè,  chiamaTami  gcaaral- 
aanto  ijomhordi  tolti  gl'Italiani. 

47.  IW  wundo  eeppi.  M' ialaai ,  0 
fai  pratico  dai  nogotj  del  mondo. 

4t.  km  or  eimeemm  dieteoo  «a.;  ài- 
iUto  6  eontrario  di  liip. 


tinto ,  ditmdormo  a  amili  ;  a  oòmò 
iotcadi  :  al  qnal  talora  ciaaenno  la  di" 


eteto,  h^ceasato  di  tondera,  f«reo, 
di  volgera  la  traccia  ;  cha  è  quanto  di- 
ra: òaaenno  ha  abbandonato,  poato  in 
non  cala  quel  valora,  cioè  I  oaeato  • 
rirtuoao  operara.  Il  Boti  :  B  futi  vm- 
loreutmi. 

54 .  ffiMmdo  fw  Mra<,  cioè,  m1  Pk» 
radilo  al  quale  t' iofii. 

52.  Per  fede,  per  promaaaa. 

55«54.  mm  io  eeoppio  «a.  Int.!  mn 
io  ho  neir  animo  un  dubbio  tola  cha  noi 
poaao  pia  eontenera  e  no  aeoppio.  -— 
éeMro ,  internamento.  —  da  ma  dmè' 
bio,  per  un  dubbio:  il  dm 
origine  o  cagione  Oca)  dioati 
mento  teoppimr  «folto  teie, 
biteec. — fTno»  me  ne  tpie§Of^ho 
non  me  no  tciolgp,  o  libera. 

55-57.  Primo  erm  icefmpio,  ?ef  io 
parole  di  Guido  del  Duca  intorbo  alln 
corrutiona  della  aodetè,  eotrè  nai  Piata 
nn  dubbio  intorno  alla  cagiona  4»  orn- 
ato diaordina.  Seotondo  ora  Marao  tam- 
bardo  lameotara  la  coca  madaaima , 
dica  aha  è /Uto  doppio  il  ano  dnhbi», 
cioè,  pranda  maggior  fona  a  gli  dt 
maniera  anaiatè ,  per  la  aoa  panlt,  lo 
quali  lo  fan  pia  certo  d'aaaa  oarnmiano 
aodala,  di  ne  ha  udito  dira Ik  la  ^1 
cerddo,  ad  altrora  da  Guido  ;  alla  fiala 
eertana  a* accoppiava,  andava  ofto,  il 
dubbio  tuo  intorno  al  f  crcbò 


Qui  «I  allrove,  quello  ov'  io  l'accoppio.  ^H 

I^  mondo  è  ben  così  mito  diserto  " 

D' ogni  vìrlule,  come  la  mi  suone, 

E  di  malizia  gravido  e  coverto;  «i> 

Kb  prego  che  m'  additi  la  cagione. 

Si  ch'io  la  ve^ga,  e  eh'  io  la  mostri  altrui; 

riiè  nel  cielo  nog,  ed  un  quaggiù  la  poDc. 
Allo  sospir,  die  duolo  strinse  in  bui. 

Mise  fuor  prima,  e  poi  cominciò:  Frate,  ci 

Lo  mondo  è  cieco,  e  In  vicn  ben  da  lui. 
Voi  che  vivete  ogni  cagion  recate 

Pur  SOM}  al  cielo,  si  come  se  tulio 

SIoNea'e  seco  di  necessitate. 
Se  cosi  fosso,  in  voi  fora  distrailo  70 

Libero  arbitrio,  e  non  fora  giustizia, 

Per  ben,  leliiia,  e  per  male,  aver  lulto- 
Lo  cielo  i  vostri  movimenti  inizia; 

Non  dico  lutti;  ma,  posto  eh' io  l' dica, 

Lame  v'  è  dato  a  bene  ed  a  malizia,  '& 

E  lìbero  voler  cbe,  se  litica 

Nelle  prime  batlHglia  col  ciel  dura, 

51.  rflin-la,  iimbIìhIb,  4ùeai  Imiti,  n*,pafla  du  io't  iicà. 

M.  irrsl^do  ■  cattrta.  Ini.:  non      ngiDi»,  il  lumg,  ondo  il  b*at 


Xllllt 


a  ntlUp 


.,  I* 


■1  di  h-H- 

lanlv  tot  lilla ,  àoi,  w  li  npoMM  W- 

63-  CU  Hi  (viu  in»,  n.  Ptoc- 

(ra..nu   t  mi>lt  Gn  di'priai   lUu- 

thè  UIbih   him   ci»  qinu  cijioiK 

thi   «Ile   prxc   l<nJ«»  n|F>M  U 

pLncb ,  <■■  ucBÌle  riU  M  rip-U  wo> 

atlPiaflou  itììi  ■■olir  .  pfl  climi ,  « 

pr«  ii(l«n.  Cd  UlU  {.dilli,  iMlm 

Ulwii>cl»Ù.HMn(r>«ri. 

H'  <ii  <■».  «>■>  »gii*  ■  «iriì>u.  U  * 

|g(* 

^»  .k.  i  <i.ì^.pp(ti>i  d«Mi  iài 

M.  (  (ovini  ««K..-d.>è,|q  mi 

«Miri  km,  per  !•  lu  téli  ,  ài  t<~ 

id.4trìn.  di  U..I.  nei  r»i»>la.  (ke  «fui 

wtdilùraUDdu- 

•7.roi.lkf.irf(,,™».i«ntì«l 

drlu  i  BiUdIs  di  SM  ptnpri.  iitt>,l« 

■■■1*  fa  nawi  .BOI  ditccnd*  nelle  nu 
Ji  wtl.  .  •«'«■d.  ì*  ■«>,  >  Buon, 

68-1»  MtMH  iHlloKnxtH  ,no 

qnei  primi  InpCiti  •  «l.l't*  ÌDclia.- 

Biomli  twar»  D»»irì  .[(«Ita'd,  M. 

TI-T2.  t  nim  far*  giulitim  t.:  « 

Mmpx  [m..rt  .  diHcer.  4l  l>tiM-  Qi» 

nkbt  WKBila  (,».(i».,  rt.  .ir  i>p«r> 

■In  .ignitr.   !.«  cM»  1  RWln  «<»<- 

nrBtJ  infila:  IfaH  ilio  tutti,  pcnM 

bw»  H|«iUw  pr«g»>  .  .llrgrH»,  « 

_     W-n.  torirtiw.  bL^ilcid- 

ttSM^  di  priii  .biU,  di  «lliti  MMB- 

Pi  «.,  dd  qotl,  pw.  p.&  Lrinsl»  chi 

CAIRO  1>IGIIIOSniO. 


869 


Fai  Tinee  tatto^  se  beo  si  Mtrict. 
A  maggior  knai  «d  a  miglior  naCora 

Liberi  goggiaoilB,  e  <^la  cria  so 

La  mento  m  rd,  cbel  cid  non  ba  in  sua  cura. 
Però,  se  il  monde  prasento  diaria, 

In  voi  é  la  cagione,  in  ?oi  ai 

Bd  k>to  ne  nrò  or  inora  spia. 
Esce  di  mano  a  Ini,  die  la  vagheggia^  S6 

Prima  die  sia,  a  gnisa  di  fandnlte, 

Cbe  piangendo  e  ridendo  pargoleggia, 
L' anima  sempKoetta,  che  sa  nnite. 

Salvo  che,  mossa  da  liM  ftiUore, 

Tolentìer  toma  a  ciò  che  la  trastnlla.  so 

Di  piociol  bene  in  pria  sento  sapore; 

Quivi  sT  inganna,  e  dietro  ad  esso  corre, 

fio  guida  o  fren  mb  torce  il  eoo  amore. 
Onde  convenne  legge  psr  firen  porre; 


7f .  À  wmgfUr  ftf%u  «e.:  rfaè,  • 


^^••^  •  •  flMINI  0f*Ml  99 '•  9 1 

i«  Vii  !■  awte .  h  foal*  ■•■  ■ogfJMt 
•IF  ìbìmm  4«gfi  Miri,  •  M  ai  moTi- 
■MBli  Mlt  oMterìa.  Dict  iltra««  fl 
P—ii  Ab  la  hMtk  ^tìm  tpirt  Mua 
FanM  Mtlni,  prìaapio  di  Ni 


r  dal  brillo  I 
9pim,  W9ne9  émdi€9i9r9 , 
Quatto  tennoa  di  fpii 
par 9 aaa aealiaaa  agfirani  tiVUrria 
tiV  fcarfaR .  è  divaoato  agfioiai  al 
krvMa  aaaa  «a  aaataaBÌiMra  ^ai  pie  M 
la  ardioarìe  TÌMBoa  daUa 


Mnara.MMa 

HBWSa* 


SH^ee.  Caca  ài  «Nma  9e.  Caalr.: 

fasfva  cfca  momc  da  lieto  fmUon 
fama  vaImMfH  a  etd  dka  fa  fraa  lui- 
te;,  «aet  di  «MMo  a  ìn<,  d^  te  •» 
anaayas  jioaia  cMa  aiSt  a  ^inaa  ai 
(ianatelte,  d^  pten^anda  a  ridmda 
farfaliffte  Intoadi:  L'aaim  tetta 
acaiffica,  aha  Milla  aa ,  faichè  aolo  ap- 
praada  pai  taaai  (•enaaaebè  paiUaitai 
4m  Kfto  fattora,  dal  footo  ttetM  dalla 
Mina  a  dalla  Walitadhia,  éUm  teme 
vaIrnMeH,  alla  fa  Hteroa  Talaaliari  al 
piacerà ,  oppara  H  voJ^a  per  ava  Mh 


tera  vana  tatto  cte  aha  la  diletta),  ^p^ 
•l' aninia,  io  dieo ,  atee  aempfiaa  a  mn 
dalla  BMoi  del  eraateva,  eM  la  iifh>s 

r*  I  prweato  Ball'atoraa  idea  prtea  wm 
Irarh  dal  aalla,.ad  èaaaavMpw^ 
gaietta  aba  ar  piasM  or  rìda  9tm  ifana 
fiacada,  aaaanda  la  paniatta  aka  aate 
laMoaa. 

W^  •   W  ^^CCWV  ^VNv  ^vt    SVI    MHI 

dai  aanao,  dai  Wai  tomai,  jdaaali  te 
eoafronto  da' celasti,  a  aMMharafi  »- 
amia  9mpor9,  aaate  diletta,  a  appetite. 

SS.  QéM  f 'liiaaaaa.  lat.:  aradi^ 
da  trarar  la  feliotà  ad  beai  a  aaHa 
aadiefaaiooi  di  aaaito  tonra. 

se.  Sa  faida  o  fnm  aaa  teraa 
Sa  aaa  baaaa  warta  a  adacanaa 
naa  kaaa  il  saa  amara,  a  aaa  valto  atoi 
iaiiiinito,  aa  aetoato  laaaa  aaa  W  ii> 
Taiga  al  vara  eoiaMa. 

S4-Se.  Oadaaoaaeaaaac.  Buia  di 
ali  aaayei  ioeUaali  a  aemr  dietoa  al 
Saaa  falaa,  aaaveaaa  aaidarii  raiaa  9 
Mae  aal  f  raaa  della  la«p ,  a  aa» 
avara  aa  ra  o  aa  reggitore ,  «la 
JMte  aera  ailtadf  ateif» 


te  t0rT9,  é9k^  dialiagaaMa,  a  agU  aUrì 
addito«a  ddla  Ten  a  bea  erdlaata  aa- 
cietb  alsaa  la  pérto  priatipak ,  dal  te 
gtartifia.  Danto  ad  CSaarOa  fatiapi 
daa  dttà ,  spella  dd  tea  ttean^  a  r  al- 
Ira  dd  vtefr  «tateapte. 


Convenne  rege  aver,  che  discernesse 
Della  vera  citlade  almen  la  torre. 

Le  leggi  Eon,  ma  clii  pon  mano  ad  esse? 
Nullo:  però  che'l  pastor  che  precede 
Ruminar  puù.  ma  non  La  l'ungliie  fesse. 

Pt'rdiè  la  gente,  che  sua  (luida  vede 

Pure  a  quel  ben  ferire  end' ella  è  ghiotta, 
Di  quel  sì  pasce,  e  più  oltre  non  chiede. 

Ben  puoi  veder  che  la  mala  condoUa 
È  la  cagion  che  il  mondo  ha  Tatto  reo, 
E  non  natura  che  in  voi  sia  forrolla. 

Soleva  Roma,  che  il  buon  mondo  feo. 

Duo  Soli  aver,  che  l'una  e  l'altra  strada 
Face»  vedere,  e  del  mondo  e  di  Deo. 

L'  00  r  altro  ha  spento;  ed  è  giunta  la  spada 
Col  pasturale;  e  1'  udo  e  1'  allro  insieme 


Per  vìva  fona  mal 

convien  che  vada; 

6T.  thi  pò»  marni  BdtiK?  Chi  [t 

dnlo  cha  dì  qanU  lì  parla  più  aaUo. 
400-101.  Ptrth>Ìaa»nUtc.?it- 

«<.pi«,,  AiU«..,y.To  ehiU   t. 

«^■reT 

cLà  la  gante,  cba  vada  il  paMrt.contr.. 

99.   Rumiifar  p«ò.  ma  non  ha 

Lualnra  dai  propH-u.  miniatalo,  p«- 

CMgU.  f«u.    1J4-  ..".   proibito 

ferir»  .  f  n.1  t^t  K-.  cioi  carrara  »>- 

I.DMnL«  dicira  oi  brfli  laoiporali  aa. 

!(»-  la  Mb  romfelO.   la   n.U 

rianimf  la  ia*  q»liU  del  niMiMrt 

*i'm,trVw>shÌi,  ftua-iVtdivé^oDt 

106  l(o«o,(fc««»wnm<MiA./w. 

di*  in  qiDtlo  umiDd»  Dia  joìtyt  li- 

H~nia  tact  buono  il  mondo  iu  qaanlu 

miSe*»  At  il  «IO  Dopolo  doiea  rie» 

cbt  principaluionla  da  tal  li  diffua  par 

»ni  iù  Sfondati  ci1>a  di  udì  doUri- 

t,l.al-|o.;::n.l.lucd.lCi.li.na,i.^. 

01,  iota»  nel  nmiiiert;  ed  winpis 

407.i>aaSDlJ.IIpapa,ci>è,«l'ia- 

di  l»<>«(aptruH.m,  Ggurola  «ll'tm- 

peratora ,  dia  quui  dna  wU  IwBinsi 

Skia  futa.  Or.  DauK  tool  din  ebo  il 

«■•no  «corta  al  popolo,  «no  par  b  lii 

Pipi.  1*1  p<u(in-  cStpraidii,  chi  »  io- 

di  Dio,  l'altro  par  il  baunaca  lampe- 
tale.  Vadi  al  G>Dlo  11  dcH7V-  <"•-  •! 

nioii  liuan*  eaidi  al  popolo  di  Crl- 

d.lltÌH.   ruon-or  paó;  cu   ì   mai 

(.  (26.  Mi  pon  crad.,no  i  giotaoi  par 

lemporalo  dai  pipi  ;  alla  ioa  molto  piA 

t'unfhii  friu.  lommiaiirrtiVTuB- 

anlrcbe,  ut  quola  larta  lu  mai  qu<d 

nunlo  :  Neuooo  owcrta  pii  |g  liijgi  ui- 

Dba  i  Poali  .  cbi  poro  ia  prau  pootOM 

Mnli  «  ««ili ,  cbe  pure  >i<li»a  e  hhh. 

■  nm  Bi>l>,   peirb*  mliii  (ha   licda 

109-1(0.  ftwrallrofca  .««lo, 

l'n.o1alilpap.)l.a.rcaia  l'aura. 

mastra  in  brada  a  in  cui  tulli  li  iftc- 

MtBO,   piadict   .t,   laacina   .llimt' 

l'impariture,  iDlrando  iu  tuofo  di  lui. 

m«U,  ™,.>u  t™..  ma  (li  .aampi 

—  fi  i  ffiMla  la  spada  Col  pati»- 

•oa  tulli  aonlrari  a  i|iielle  requie  ch'egli 

rait:  cioè,  I.  pnialt  ci.ilo  «.Iti  .pici- 

d.lU)  t>«1•k«r».vMa/rMa,c..n■ 

luilt. 

n>a•  mala.   Quagli   elia  nauunu  <U 

HI.  Prrctro  /una  u.:  nacMaf 

li  Totlia  «ai  acHnaira  alla  caofuiia- 
()«  ddla  dna  pol«ll,  eoo  hanno  «- 

confiuo povera g  laJa  mali. 

CAUTO  DECIMOSESTO. 


361 


Peroochè,  gionti,  Fiin  l'altro  non  teme. 
Se  non  mi  crédi,  pon  mente  alla  ^iga, 
Ch'ogni  erba  si  conosce  per  lo  seme. 

In  sul  paese  ch'Adige  e  Po  riga 
Solea  valore  e  cortesia  trovarsi 
Prima  che  Federigo  avesse  briga: 

Or  può  sicuramente  indi  passarsi 

Per  qualunque  lasdasse,  per  vergogna 
Di  ragionar  co'  buoni,  o  d' appressarsi. 

Ben  v'en  tre  vecchi  ancora,  in  cui  rampogna 
L' antica  età  la  nuova,  e  par  lor  tardo 
Che  Dio  a  miglior  vita  li  ripogna: 

Currado  da  Palazzo,  e  il  buon  Gherardo, 
£  Guido  da  Castel,  che  me'  si  noma 
Francescamente  il  semplice  Lombardo. 

Di  oggimai  che  la  Chiesa  di  Roma, 


W 


ISO 


Ub 


442.  Perouàè,  gkmti,  «e.  P«ro^ 
,  Boo  può  V  «M  ta- 
ra. fliMr,  eooM  do- 
vrabU.  franata  dall'altra. 

44»-444.^»  «Muto  aito  jplgo,  fé..* 
paaì  aaata  alla  n>ifa,se  t«<n  eoooaeera 
u  yalitl  dalPerba  :  cha  è  qnanto  dira  : 
at  tmì  a>iMtii  ■  caa  la  cagiona  par  la 
■■alt  il  aando  dìtvia  è  la  confnsioaa 
dcOa  im  potcìtè ,  gnarda  ai  pcwiim 
mèmnà  caatnmi,  fratto  dal  disordinato 
ff«g|ÌBaalo  aitila,  a  coootci  dal  mi  af- 
fada  k  Baia  cagiona.  (Sablima  docn- 
Hla!  La  prabitè  nasca  dai  buoni 
li  ;  i  bnoBi  ordini  dalla  sapiens  a  a 


Ula  rsimona:  daoaoa  mal  pranda  a 
obi  kaapMMa  a  la  ntigiona  disprasn.) 
44S.  in  ini  pm$i§  te.  Intandi  la 


Marea  Trifigìana ,  la  Laoibardia  a  k 


44e-447.  SoUm  vaiare  te.  Erano 
i  i  rastnmi  nalla  dette  proTÌncia  pr»> 
aa  cba  Paderìcall  imperatora  aTeeéa  lii- 
pa  calk  Cbiasa  ;  prima  cioè  cba  atcssara 
MfisBiineismento  lo  controtarsia  lira  il 
sncardaaic  a  Pinparo.  E  non  t'Iia  dnb- 
bio  cka  k  gara  cb'abbe  la  corta  raaaaa 
a  aal  qnarto  Arrigo  o  col  Barbaressa  a 
eoa  Fadarieo  II ,  furono  accompagnala 
da  tilnperetoli  accessi  per  l'nna  parta 
•  par  Feltra ,  a  cba  par  cesa  priaaiaal- 
I  s'iaCradnssa  e  s'slimootA  la  mti- 
a  Podio  tra  i  popoli  italiani. 
4 1 S-H 20.  Or  pud  f  •Vm-MMiili,  M. 


Caetr.:  Or  pud  iiewrmmemU  ptt&rei 
itM  per  (de)  ^almmqw  lofcioffa  (di 
paeeero)  per  vergogna  di  mgionare 
eoi  htoni  o  a  appreetarti  toro;  po- 
roccbè  non  te  ne  incontrerà ,  di  qrnali 
buoni ,  sk  facilmanto.  La  kccia  aerana 
a  sicara  dall'uomo  onesto  è  sampra 
ina  rampogna  al  maltsgio;  pardo  nan 
pnè  questi  amarna  P  incontra.  D  taeto 
vit.  a  PAmbr.  498  bannolKmyioiMr 
eo' buoni,  d' nppretemrti.  L'uaa  • 
P  altra  è  buona  lesiona. 

421 .  v'en,  ti  sono.  Par  far  la  km 
tace  plur.  s'sggiunge  un  no  alk 
nog.  Dunque  da  #  si  ba  * 
msnte  eno. 

4  22-4  23.  e  j»ar  lor  tordo  ee.:  a  para 
lora  cbe  Iddio  tardi  trappo  a  togiierfi 
dalP  iniquo  e  dieordinato  auodo  per 
riporli  nella  pace  del  dolo. 

424.  Cnrmdo  dm  Polaao,  fu  ga»> 
tiluomo  di  Breccia.  ^CAorM^  fu  di 
Tratigì ,  e  per  la  tirtA  sua  sspra— e 
■yoato  ii  bnono, 

425.  Guido  dm  CmIoI, poeto  di 
Reggio  di  Lombardia  delk  nobil  fami. 
diada'BoberU.cbepor  testiaMnknai  di 
Bantenuto  da  Imala  ricatè  malto  eme» 
ratamaato  Danto  in  sua  casa ,  meaira 
errata  eauk  per  la  tarla  dtià  kmbarda. 

428.  Ff  ncsif  menk ,  al  moèm 
francaea  di  cbiamar*  Lombmiréi  tutti 
gP  Iteliani.  —  iowipliee,  schietto ,  sia» 


Per  confondere  ìd  sé  doo  reggimenti, 

Cade  nel  tango,  e  sé  bruita  e  la  soma. 
0  Marco  mio,  diss'io,  bene  argomenti; 

Ed  or  discerno,  perchè  dal  r«(aggìo 

Li  fijli  di  Levi  furono  esenti: 
Ha  qual  Gherardo  è  quel  cbe  tu  per  saggio 

Di  cli'é  rimaso  della  gente  spenta, 

In  rimprovcrio  del  secol  ivIvaggioT 
0  luo  parlar  in'  inganna,  o  e'  mi  tenta. 

Rispose  B  me;  clié,  parlandomi  Tosco, 

Par  che  del  buon  Gherardo  nulla  senta. 
Per  altro  soprannome  io  noi  conosco, 

S' i'  noi  logliessi  da  sua  figlia  Gaia. 

Dio  sia  con  voi,  cbè  più  non  vegno  vosco. 
Vedi  l'albùr  che  per  lo  fumo  raia, 

Già  bianrheggiare,  e  me  convien  partirmi, 

L'Angelo  è  ivi,  prima  di'  egli  paia. 
Cosi  (ornò,  e  più  dod  volle  udirmi. 


1.  l'ai 


>  l'iltrs 


il».  Uiam 

181^52.  Ed  or  d|-(»nw  K.  Ed 
onoiiiiipniidci  ntr  qxil  riglon.  «clau 
[iMlilribódl  L«i  |l'nrdÌHl>.lliu 
B  UMnlaUk)  dal  tiiiartisicnla  della 
lem  di  CtsaiB  dialrìtallt  di  t)li>  alli 


eh*  l(  rilU  dal*  ai  Lctìiì 
nnlf  ad  kaMlamliiin ,  i 
liàtndiàm.  —  funnii  tu 


.d  p.. 


ilGht 

ora   al 

ban   padrt.   Il   ulirìc» 
dna  d.  Uarto,  ftr  èu- 

?liaB 

>l    DdO 

it  delia 

li|,l....a™B.r.pp„.„ 

CllllBD«,dirb<UD«>'« 

dai  tri 

.tio^ali  , 

parlalo/ GhrraHo  da  axia»  h  «.In 

liaae  TÌrta,  d»  per  la 

dùul. 

•icoadi 

i.a...,b.llia.j»6(li* 

a  Gala, 

d.'lU  qaakdi»  Vk-y 

<rlie   >(l 

1'   dilHI 

I3T.  M,  pwlmdmi  Taira,  rtw 
ands  la  Taacana ,  «me  dal  liii|-Da|:gia 
iprtriKt,  nai  noilnif  d'ignorare  un 
BMia  per  T««fau  natinimo. 

140.  da  ma  fi^lit  Cala    (}iihIu 


Hi    ptT 

lofMieriA 

i-na-' 

»  il   lum. 

-pr,™ 

,  AtiK 

rima  cbt 

(fli 

aiappa 

ri«a.— 

CtA  tornò. 

ciot,cnld>tl>. 

'   iadietiN 

iadieW». 

1   ckc^i 

din 

i^codd, 

.dipa. 

iiichied-, 

1,  mi  pai 

».jl.or. 

iCorip. 

irU; 

p»r(b» 

brat». 

p'ìb';^;';' 

Ma. 

E1 

T,f,ù 

rtaddl. 
<f.iMà| 

€JJnP#   WnSCMMOtkEXTMmO. 


Ot€iH  t PmH fiiàH éti  mm/mm^h  f  JUfkkH 


•ir  mplftm  Bn* 


grimiiHnm  «Ma 


Attmm  Fìrj^th,  ptr  «m  ptritr 


Ricorditi y  lettor»  ae  mai  nell'alpe 

Ti  colse  neblùa,  per  la  quel  vedessi 

NoD  aUrimeiiti  che  per  pelle  talpe; 
Come,  qoando  i  vapori  umidi  e  spessi 

▲  diradar  oominciansi,  la  spera 

Dd  Sol  debilemeDte  entra  per  essi; 
£  fia  la  toa  immagine  leggiera 

In  gingnere  a  vedery  com'  io  rividi 

Le  Sole  in  pria,  che  già  nel  corcare  era. 
81»  pareggiando  i  miei  co*  passi  fidi 

Dal  mio  Maestro,  osci*  faor  di  tal  nnbe, 

A*  raggi  morti  già  ne'  bassi  lidi. 
O  immaginativa,  dbe  ne  mbe 

Tal  volta  sì  di  fuor,  ch'oom  non  sT accorge, 

Perchè  d*  intomo  SDonm  mille  tube, 
Chi  mnove  te,  se  il  senso  non  ti  porge? 

44.  MieméiH^ Mtor,  «e. C«lr.  •     émtlùjm^mù  aè  mA  wwm maUm  èOU 
_  ...  k^p«l«t«T«dMniioiialtrì-     T«no  ^««1  bvìo  il  FMte  rìetvt. 


IO 


ib 


M  iMps  •ttiwww  di  nMih 

frffietla  ck«  ka  dinon  agli  «ccb ,  li- 

tmétfA  mtm  k  ipirt  dtl  toh  lq««odo 

• • »  ••      "     •       •    »  •• 

I  laptn  mmm  •  tft«i  «ooiiiicmao  t  *- 

ladani)  éMmtmiU  ttÀn  per  li  ditti 

Ttpwi.^  t^  •  Imipm,  d  «Df. , 

'    •  vmté,  iebkrm  •  M- 


7-e.  M0mÌm$iÈmimwui§inei«ffU' 
m  fl».  B  ^iMii  %m  ÌBiaMgiM ,  •  rap- 
frmmàaòm»  aiU  taa  raoBont  dall'o»' 
«nate  fMMM««,  Mrè  Mtrn  t  f^9i^ 
f%  par  fNn^ara  •  witn,  a  éprarti, 


ai  aiai  mIm  il  raffia  dal  aDla,  eka  fii 
ara  Ib  ili  traawoia,  aaaada  aiitaaia 
afe  praaa  a      '    *    -   -       •  *  - 


40.  Sì,  eoak,  a  aotal  I 
42.  À'rmffi  m»rU  m.  Vaal 
n  Paala  cIm  fueì  tmorì  del  laaM 
i  ra|gi  dal  aoIocIm  |ià  aecoMavaa  aaM» 
l'annaota,  araaa  fiè  tpaDli  alla  ladW 
dd  MoaCe,  a  sola  UlttaHaara  la  allaft. 
Pii  cha  il  fola  ta  aatta ,  a  pie  wmo 
ia  allo  i  aaoi  raffi. 

49-45.  Oimmm§kmlhm,  a  paia— 
imaMfiaalifa,  a  fanlaaa  —  mt  mia 
IW  «alla  j4  «N  ^ar,  ae.  *  ai  ff«y,  «aril 
ri  l'aaÌMo  oaaCra  all'alScia  da'aaaS, 
cka«aa  aae  ai  aaaarft  di  faal  alM  aaa> 
cada  hari  di  tè ,  ^nd'  aaiW  fK  ali»> 


cU,atkWaa. 

46.  CMaMaatff,  ft  <f< 
CU  è  cka  ti  la  aparara,  «ka  ti  lai 

falla  oMm  eiatraitat     rakiatto  cba  ta  coatempU,  aaaada  i 

d'aaa  f^eiactia  di  ^aaUa  *  taaa  bob  ti  parfaaa  di  iaan  laraai 
paè  arara  idea  eha  ipprii-     iaiprfiaaa  ? 


roan  di  aaal 
afii,  laafaaJi.  d%Mar  dora 


STuovelì  lume,  cbe  nel  cicl  s' inrorma , 
Per  sé,  o  per  voler  che  giù  !o  scorge. 

Dell' empiezza  ili  lei,  che  mulo  rorina 
Nel!"  uccel  che  a  cantar  più  si  diletta, 
Nell'immagine  mia  apparve  l'orma: 

E  qui  fu  la  mia  menle  si  ristretta 
Dentro  da  sé,  che  dì  fuor  non  venia 
Cosa  che  fosse  allor  da  lei  recella. 

Poi  piovve  dentro  ali"  alta  fantasia 
Un  crocifisso  dispoltoso  e  liero 
Nella  sua  vieta,  e  colai  si  moria. 

Inlorno  ad  esso  era  il  grande  Assuero, 
E.sler  sua  sposa  e  il  giusto  Mardocheo, 
Che  fu  al  dire  e  al  far  cosi  intero. 

E  come  questa  immagine  rompeo 

Sé  per  sé  stessa,  a  gul.~a  d' una  bulla 
Cui  manca  1'  acqua  sotlo  qual  si  feo; 

Surse  in  mia  visione  una  fanciulla, 
Piangendo  forte,  e  diceva:  0  regina. 


IT.  clu  mi  tiel  l'iaforma,   tU< 

mi*  r«U>;t  olla.  6^,  Uni*  la  alu, 

dieueeel.  dai  .enei  adalla  lerriHi.»... 

the  i  ronoilo  in  ade,  t  >|aaU  luna 

S6.  Oh  CToàfiaa.  on  aan>«  pMl« 

Ktndenilo  iliU*  iltre  crlali,  a  per  oo- 

tuet»  re  dì  Pi^reit,  dd  qaala  afl-  m 

JfT  di  Dio  die  lo  icorgt.  Io  invi»,  quiB- 

ruedninre   IraT»  che  de   lui  ara  eUla 

■•«ai  prurfliel». 

ti-M.  Deltfmpkiia.  Jrfl>ni|.io- 
lk,i«lri.diPriiEDe,c)iefuni.>Rli<diTe- 

37.  t  alai  »..-  a  Ulc,  lul*  io  !• 

ttdevB,  ei  iDorÌTa,  ndla  «a  tarocia, 

fM  «  wrriU  di  Filone!*.  Qanle  dD> 

do*,  a  di.^»,. 

FtouBÌBa,  per  Tindicini  dell' ingiù  rìi 

50.  Che  fa  al  dire  e  ai  far  toA 

rinwoti  d«  T«eo ,  toeuro  ia  p«ii  un 

Inlaro,  cbp  rinuerdu  al  dira  a  al  brc , 

SdinglB  dì  lui   dilanialo  Ili,  ■  Ji  cui 

dot  pd  delii  a  nei  talli,  fa  Mal  |i<i- 

l^a  en  medre ,  e  c-tlo  glieli)  die- 

ito,  cmi  iwrfello. 

Jen  in  dbn.  Senudo  U  più  d«'  PmIÌ 

Propie  fa  eonierliu  in  mndins,  Filo- 

Ma  M.  E  lotlD  chs  qunta  immiiiaa  ti 

IMlt  io  r«i|pinal>.   DnnM   tl«i.  con 

™l";p^u"un'l°b*l'.^an™r.^,E; 

rnit,  MD  ULiiiio  e  Slr.hoi»,  d»  1. 

.ni^Di  11  yd»  d'acflua,  nllg  la  aula  ai 

Bi  paugoos  or*,  Ktsoili)  il  enliM,  «|. 

(.^t .  -  .Ielle  iiuela  fi  Ìa6,ò,  Sune  ac 

M.ni  mtmn  «  Urror.  .  .  t«a.  i^- 

,i'ir.«odi:; 

di,»  de   prìnui  ktll- imiKagint  mU 

apparve  torma,  poi  Piotai  dimiro 

alla  fai-Uuia.  ore  Surii-  In  wtla  ci- 

M>tnÌM.;i>Ìn.rr.i.ir 

n'uM.  Qi>ei>lericdirt.adinudì1 

S2.  ti  rMrrltM .  ù  chiù»  e  >»■ 

S4  •iM/-<HiCHilli>-<ì«»la*U>iaia 

Mila  1*  U. 

DgIluoIb  dd  r*  Leti»  a  di  Anela. 

2*.  rrfflK.  ri««ul.. 

ZS-W.    0    rri/ma.    PertU   eir 

JS.  Poi  piotv  «e.,  di»«e  adii 

ira  «r.  Ù  regina  luedcc  mia,  pertlii, 

CAKTO  DECIMOSETTIMO. 


aeft 


Perebé  per  ira  hai  voluto  esser  nulla? 

Aucisa  t' hai  per  doq  perder  Lavina; 

Or  m*  hai  perduta:  i'  sono  essa  che  lutto, 
Madre,  alla  tua,  pria  eh*  all' altrui  mina 

Come  si  frange  il  sonno,  ove  di  butto  40 

Nuova  luce  percuote  il  viso  chiuso, 
Che  fratto  guizza  pria  che  muoia  tutto; 

Cosi  r  immaginar  mio  cadde  giuso. 

Tosto  che  un  lume  il  volto  mi  percosse, 

Maggiore  assai,  che  quello  eh'  è  in  nostr'  uso.      is 

r  mi  volgea  per  vedere  ov'  io  fosse, 
Quand' una  voce  disse:  Qui  si  monta: 
Che  da  ogni  altro  intento  mi  rimosse; 

E  fece  la  mia  voglia  tanto  pronta 

Di  riguardar  chi  era  che  parlava,  m 

Che  mai  non  posa,  se  non  si  ra£fìronta. 

Ma  come  al  Sol,  che  nostra  vista  grava^ 
E  per  soverchio  sua  figura  vela. 
Cosi  la  mia  virtù  quivi  mancava. 

Questi  è  divino  spirito,  che  ne  la  K 

eombttla  eolia  Tigilit ,  ni  ptr  di  molU 
Taghtcìt. 

43.  eadd9  giiuo,  TeoM  oieoa, 
ini. 

44.  Toito  ck$  un  Imim»  così  l'Ani. 
Ed.  R.:  U  com.  il  lumt. 

45.  €h$  quello  ee.,  cIm  ^aUo  oIm 
per  tolito  ferwce  gli  ocdù  noeCrì,  o,  • 
coi  •iaiBo  usi. 

48.  Ch9  da  ogni  al|ro  Infenfo  «cs 
la  ^al  Toee  da  o^i  altra  attessioBe , 
da  oni  altro  pensiero  mi  rinaoan. 

54 .  Ck9  mtti  non  potm,  «e.  Nola 
qui  in  generale  il  carattere  d'alia  foglia 
intensa.  C  il  concetto  del  lerMiìo  i 
il  aegoente:  Fece  la  mia  TOglia  luto 
pronta,  tanto  solleeita  e  impoiiento,  dì 
Tederò  chi  oi^  quegli  che  parlava,  cka 
quando  la  Toglie  è  a  tal  aogno,  mm 
pota  wmi,  non  s'acquieta .  M  «Mi  fi 
raffronta,  aa  non  tiene  a  Ironfa  colla 
ceca  o  persona  bramata. 

52-51 .  Jfa  come  «ISol  «e.  Coalr.  • 
hit.:  Ma  la  mia  TÌHè,  o  facoltà  fiiifa , 


for  lo  sdegno  preso ,  bai  Toluto  ctffr 
«•«Ila»  distruggerti,  darti  morte  ?  Amata 
ai  mtàm  por  aver  creduto  che  Turno , 
cai  era  slata  promcasa  in  moglie  Lotì- 
■it^  isoso  alato  ucdao  da  Enea,  che 
JeaideraTa  lo  nesso  della  medesima  tci^ 


57.  Jneita  thai,  ti  sei  uccisa,  ptr 
nam  perder  JLorintf,  non  potendo  td- 
lerara  cbo  andasse  moglie  el  profugo 


58.  Or  m'hai  perduta:  in  altro 
■mdo  e  irreporabilmente,  uccidendoti. 
—  c^  Ivlfo ,  che  pian(;o  amaramente 
aiRa  roTÌna,  alla  morte  tua,  prima  rbe  • 
«•eOa  diTurBo(che  puro  avranno  poco 
lofo  quelU  d*  Amata.  Vedi  l' jkn., 
Ift.  XU). 

40.  ove  di  butto,  quando  di  botto, 


44.  <l  Wao  eMuto,  gli  occhi  dùosi. 

42.  Cho  fratto  guisxa  tc^  il  mal 
so—a,  rotto  cbo  sia,  non  muore  snoito 
del  latto ,  non  dà  subito  luogo  a  aaa 
parffatla  vigilia;  ma  riasana  di  lai 
qaaldM  cose,  e  a'adopra  per  ricoaa 
perai.— gasare»  che  è  propriaoMOla 
qaeDa  aeoleni  che  fé  il  pesce  per  ah»- 
tarsi  al  moto ,  traslato  qui  al  sonno  cbo 


meocava  univi,  come  nuiBca,  viea 
la  nostra  vista  in  faccia  al  aole,  cbenaUa 

ivela 


opprime,  e  per  aovercbio 

la  sua  figara,  cioè,  ■  fa  laviaibiio  par 

troppa  luce. 


Via  d"  andar  su  re  (Irina  senra  prego, 

E  col  suo  lume  sé  mcdesmo  cela. 

Si  fa  coD  noi,  rome  l' nom  a  fa  sego; 

Che  quale  af^pctta  prego,  e  1'  uopo  vede, 
Malignamente  già  si  metle  al  nego. 

Ora  accordiaiDo  a  taulo  invilo  il  picde^ 
Procacciam  di  salir  pria  che  s' abbui , 
Che  poi  non  si  porla,  se  il  df  non  rìede. 

Cosi  disse  il  mio  Dura:  ed  io  con  lai 
Volgemmo  i  nostri  passi  ad  una  scala: 
E  toslo  ch'io  al  primo  grado  Tai, 

Senli'mi  presso  quasi  un  muover  d'ala, 
E  \enlarmi  nel  volto,  e  dir:  Beati 
Pacifici,  cbe  son  senz'  ira  mala. 

Già  eran  ^pra  noi  tanio  levali 

Gii  ultimi  raggi  che  la  notte  fegat, 
Che  le  stelle  apparivan  da  più  lati. 

0  virtù  mia,  perchè  si  li  dileguet 
Fra  me  slesso  dicea,  che  mi  sentiva 
La  po»^  delle  gamhe  po^la  in  Ir^iie. 

Noi  eravam  dove  piii  non  saliva 
La  scaia  su,  ed  eravamo  adissi, 
Par  come  nave  ch'alia  piaggia  arriva. 

Ed  io  attesi  un  poco  s' io  uili-^ì 
Alcuna  cosa  nel  nuo\o  girone; 
Poi  mi  rivolsi  al  mio  Maestro,  e  dissi: 


t 


a  prrgo. 


e.  Elgli  iiinpcci  70,  CM  n-an  lopra  mai  te 


ll'itfinrU 


caini  cbfl  Fuopivede^  chi 


I  ilici»  Il  DHU  dw  pil  «da 

Ilo  73   6  tirti  mi*  «.,  a  ^i  bxL 

QicsU   imuiilrB»   otti'  t    tnrfnm   il 

4i      P..CU,  0  ertcIlD  Jilli  noUe,  •■«  Soi^ 


T(i-7H.  Jn(p(*HiiialKa,  •lUp- 


ea-CS,  cmldnnf.  (■rmi  icbId.— 
Btalt  M  B4alt  pvifiri.  ^wAÌ^-n  fitii 
Bri  lotabunlur.  S,  JtaUiu.  —  mala. 


CAIfTO  MCmOtBTTIIIO* 

T>o1oe  odo  Padre,  di,  quale  oflhiBÌQBe 
Si  pvrga  qui  ael  giro,  dare  seno?  H 
Se  i  pie  si  stanno,  non  stea  tuo  sermoBe. 

Ed  egli  a  me:  L*amor  del  bene,  eeeino 
Di  svo  do^er,  quiritta  si  ristora, 
Qui  si  ribatte  il  mai  tardato  remo. 

Ma  perchè  più  aperto  inlandi  ancora, 
Tolgi  la  mente  a  ne,  e  prenderai 
Akmi  buon  ihitlo  di  nostra  dimora. 

Nò  Creator,  né  creatora  mai. 

Cominciò  ei,  Igliiiol,  in  senni  amore, 
O  natnrale  o  d*  animo;  e  tn  1  sai. 

Lo  naturai  Ai  sempre  senza  errore; 

Ma  Taltro  poote  errar  per  malo  obbietto, 
O  per  troppo,  o  per  poco  di  Tìgore. 

Mentre  ch*egK  è  ne*  primi  ben  diletto^ 
E  ne^  secondi  sfc  sIbsbo  misnm. 
Esser  non  po6  cagkm  di  mal  diletto; 

Ma  quando  al  mal  si  torce,  o  con  più  cura, 
O  con  men  cbe  non  dee,  corre  nel  bene, 
Centra  il  Fattore  adovra  soa  ftvttnra. 


367 


u 


IO 


M 


100 


MIMMÌlta« 


as-ae.  «mm»  dì  tmémtr,  cM, 
èà  Mito  iH^rw*.  L0tU- 

.FMtrMktM  «««•« 

ck«  iev'ciM»,  eoe  iMf  Mo. 
aa.  fàkrtUm  H  ritiofu,  ra  «mìì» 
t€  Twt9mf  ti  fntoffs,  mi  Bmi* 


9t.Qmi»iribmit§9§.  btewli:MÌ 
«  fmiam  3  Card*  nwmton,  ci«>è,  ••lai 
cht  fti  twéo  ncll*  optr«  «  mrìtìk.  Li 
▼ili  è  Hi  ■«•:  3  porto  ò  il  mb  al 

fi -et.  if9  Crwlorf».  Ufo  è  I 
Dtm§  tmUn  «ti.  n  rtfiownMoto  cke 

MpW  è  fin*  A  WtlÌHÌflM  dottrìiM  !■•> 

eS-Oa.  O  maimrmU  •  ^mtàmm  m, 
Soa»  àm  atto  ^— oro;  H  —furoli ♦ 
r«iÌMli^cioè  4*niiB0.  n  Mlaralo^oka 
è  ^hBo  mI  futo  oppgfiwo  i  W«  a^ 
flOMij  alla  oooCra  coaatnraaioBo ,  aoa 
erra  oiai.  Qoallo  d*  animo,  oiiia  ai  ra> 


gioBO,  eha  dipeodo  dal  liboro  Tolart, 
p«è  orrort  m  tro  bmmIì:  qModo  li  di- 
rìgo d  OMdo  cIm  n  iBotlri  aolto  aparìa 
di  koM;  qoaado  trapawa  il  OMd*  èri 
fenroro  con  che  debbooai  amare  lo  aaaa 
eraeto;  «aando  awMa  dal  farraav  d»> 
bito  proponioml«airta  A  divani  ok» 
biota,  oano  aarobbo  ai  pavairti^  a^ 
aoM,  al  piiiaiii,  alla  palna,  a 
Dio. 

f7-0a.  Mentn  wk'M  è  at.» 


oaaato  aoMr  d' animo  è  folto  W  pfimi 
beni,  cioè  a  Dìo  o  alta  firlà,  a  ala 


nt'MeoMli,  nai  torrcai,  ri  ■■ii..yw, 
nas  oooadto  t  tomuM  dri  oowpaMvato,  # 
procado  aoaoado  ■  oroMo,  aa* 

SO.  Btitr  non  ^mà  m^  aaa 
da  catolo  amoro  iogw  narri  ìim  aai 
rana  dilcttaaiana  oolM\oto. 


iae-IOl.oeaitjPÌ*ciir«t  f.T%k 
troppo  noi  boni  dcHa  torra  ;  o  poaa  Mila 
vtrli  0  in  Dio,  cba  aono  i  prioù  beai. 

lei.  Coaira  fl  Ftit§r§  ca.  Aliata, 
in  tal  caoo,  Im  /ialfara,  ra<«M,araaÌara 
di  Dio ,  opera  eeaira  Dio  aaa  laClaia, 
parche  a'alloatoM  dall'ordÌMo  '  " 


Quinci  comprender  puoi,  ch'esser  conviene 


Amor  sementa  in  v 


Ed'o 


i'  ogni  viriate, 


li  operazioD  clie  merla  pene. 


ÀiRor  del  suo  suggello  volger  viso. 
Dall'odio  proprio  son  le  cose  lule: 

E  perchè  intender  non  si  può  diviso, 

Né  per  sé  slanle,  alcuno  esser  dal  primo, 
Da  quello  odiare  ogni  affetto  é  decìso. 

Rosta,  se,  dividendo,  bene  slìmo, 

Ctie  il  mal  cbe  s' ama  é  dei  prossimo,  ed  esso 
Amor  nasce  in  (re  modi  in  voslro  limo. 

È  ehi,  per  esser  suo  vicin  soppresso, 

Spera  eccellenza,  e  sol  per  qucslo  brama 
Ch'  el  sia  di  sua  grandezza  in  basso  messo. 

È  chi  podere,  grazia,  onore,  e  fama 
Teme  di  perder  perch'  altri  sormonii, 
Onde  s'attrista  si,  cbe  il  contraro  amai 

Ed  è  chi  per  ingiuria  par  eh'  adonti 
Si,  che  si  fa  della  vendetta  ghiotto; 
E  tal  convien,  che  il  mele  altrui  impronli. 

Questo  Lriforme  amor  quaggiù  disotto 


« 


KH-105.  Jmoritmenla  il.  Amori 

pri»ci,ioni,rt.„d'.emvir.ù,™n. 

4U.  iiiMtlroIiiKO.  ndl.  t«iri 

.Ubo. 

d,l  naf*  allrvi  d'.«>l  vdio. 

i  OHM  08.  Or  ptrchi  mai  non  può 
K.  Cotlr.  <  int.  :  ori  ftnU  ébb»  «m 

)  15-116.  S  f««.  E  cIÙ  .««  io- 

Hill»  M  •»«  nbb»ll»,  ó<é,  ièW  Dli- 

l-ellilo  1  Icrri .  «Icllo. 

liU  di  <|iloll't«trt  in  cui  rUJtde,  iv- 

ne.  prrct'oJlrì  ttnKMlt.  ciot, 

lia»  chi  iBÌU  \„  DMe  •HlctUil*  d'uBO- 

ptr  lo  iDniliarti  d' •Icuno  m  po1«e, 

rs  MOo  Mt.  dcnre,  dall'oaù)  proprio. 

■«•]>(»Hni>«l;ir.  H  miiaiwt. 

ioa-i  H.B  ptTcKt  mMndrr  et.:  • 

i20- il  «iiitTùro  ama,  mmi  r.l- 

(nii  d.^pr«.i.D.. 

121-122.  chi  pir  iHfiwrim  par 

iliDla  p<r  lè  (  divi»  dall'iDL.  pniQo , 

c&'*d«il>  .■  chi  f  iBgi"™  ri«T««  pw 

dilli  pr1n.>c^ÌH.e,d.  Dio,  .v.ic.a 

.:h.  .'.«.D.I.  irir..-(M-(to,  .*id.- 

anht,  loDliUB,   diirodiin  II  dell. 

423.  £  Idi .  xoKu.  — Mm-«*I<, 
■timps  («riDÌ  n<lt.  «.  niDla  it  du» 

titt,  ilio  nato  uun  d*  lai  Imllo. 

ili  ehi  l'ottfM.  Il   Cotia   iplcgi   qutl- 

Ui-ilS.  JI«W.«.iirfB«''»-— ". 

Vimpnmli  scr  thlrggia,  etichi,  S>- 

•HHBi  oroecd»  con  rtllo  gÌDdliÌB,  M 

IW.tnY»™..*  Ir.  wrl..-»ii*«. 

Diadi  lolla.  u'LiUi  «xUopMli,  ti», 

cb(  MHDBo  dnidcn  nuli  attitnii 

.lgl»ip>rbl,d(|l'>ntid'igii«  dagl'in- 

CANTO  DECIMOSETTIMO. 

Si  piange;  or  vo'  che  tu  dell*  altro  intende. 
Che  corre  al  ben  con  ordine  corrotto. 

Ciascun  confusamente  un  bene  apprende, 
Nel  qual  si  quieti  T  animo,  e  desira: 
Perchè  di  giugner  lui  ciascun  contende. 

Se  lento  amore  in  lui  veder  vi  tira, 
0  a  lui  acquistar,  questa  cornice, 
Dopo  giusto  penter,  ve  ne  martira. 

Altro  ben  è  che  non  fa  1*  uom  felice; 
Non  è  felicità,  non  é  la  buona 
Essenzia,  d*ogni  ben  frutto  e  radice. 

L' amor,  eh*  ad  esso  troppo  s*  abbandona, 
Di  sovr*  a  noi  si  piange  per  tre  cerchi; 
Ma  come  tripartito  si  ragiona, 

Tacciolo,  acciò  che  tu  per  te  ne  cerchi. 


M9 


i25 


W 


136 


4tS,  éeiV altro,  adPtItra  tmore. 
•^ÌMUnd$,  ta  ititeoda. 

426.  €am  oréin$  eorrotto^  tuMnclo 
poco  i  MÌoii  beni ,  troppo  i  tecondì , 
CMM  m  è  dichitrato  sopra  nella  nota 
al  Ttno  400. 

427.  Ci&teìm  eanf%uament€  9c. 
Parla  dal  primo  bene,  dì  cai  Boezio 
dica  :  Aaie,  »l  diximua,  diverto  trO' 
miio  tomamkir  adipitei.  Ett  enim 
WÈemiièmt  komimtm  veri  boni  naluro- 
Mter  éuortm  ewpidiUu.  —  eonfuset' 
■Mala,  Boa  disUatam«nte ,  o  con  cer- 
tana  di  cofainone. 

42t.  odoiirm,  •  Io  desidera  (qne- 
itoWae). 

429.  PareM .  per  Io  che.  — di  giih 
fmr  M,  di  giungere  a  possedere  qnel 
beaa  caafasamente  appreso,  si  sforza. 

4S6-482  Sé  lento  amore  ee.  Se  Ta- 
■ari  yaatf  a  è  pigro  a  volgersi  a  quel  be- 
ai a  aii  ae^ aistar'o  ;  ort ero  :  se  amore  tì 
tira  laalA  a  conoscerlo,  o,  conosciutolo, 
ad  eparara  per  acquistarlo,  questo  gi- 
risi (ia  di  qaesta  negligeoza  abbiate 
■fate  il  dabita  pentimento  in  rila)  re 
ai  db  H  gaatigo.  Qui  danqae  è  punita 
Paccidia. 


433-435.  Miro  he%  è  ec.:  tì  è  on 
altro  bene  che  non  fa  l'uomo  felioa,  ad 
esso  non  ò,  come  è  Dio,  il  sommo  bene. 
—  non  è  la  buona  JKiiensùi,  d'ogni 
ben  frutto  §  radice,  cioè,  la  bontè  pri- 
ma a  snslanziale,  premio  ad  origina 
d'ogni  altro  bene,  k  quest'altro  bona 
comprende  le  cosa  materiali,  buone  in  sé 
stesse,  ma  inabili  a  quietare  l'anima 
nostra,  e  sorgente  di  nostra  rorina .  sa 
con  cristiana  moderazione  non  si  asino. 

459-437.  L'amor  eh' ad  etio  ee. 
L'amore  che  ad  esso  bene,  doò  al 
bene  diverso  dal  bene  sommo,  si  ab- 
baoilona  troppo,  è  punito  ne'tre  eer- 
chj  superiori,  ove  piangono  coloro  che 
troppo  amarono  lo  ricchezze,  i  cibi  e  la 
bevande,  e  i  carnali  diletti. 

458-139  Jfa  re  me  «e.:  ma  come  aia 
ragionata  questa  triplice  partizione  ce.; 
ossia,  come  dice  il  Costa  :  •  Ma  taccio  la 
ragioni  per  le  quali  coloro  che  troppo 
si  abbandonarono  al  detto  amora  aieno 
ripartiti  in  tre  cerchi,  acciocché  tu  par 
te  slesso  ti  farcia  ad  investigarle.  •  — 
Nell'avanzi  niella  gola,  nella  lussuria, 
sì  comprenJunu  tutti  i  motivi  di  questo 
amore  eccessivo. 


1^ 


BBL  FOmGAXOMO 


€Ainr#  ]mcDi#iTAW«. 


JUcMmM  émirjlmmmt,  tfmtm  rirgaU  Im  malmm  étW 
fmthmt  «  il  <<*«'•  mrMrt»  étmmmrw  $  «mi  «(Kp«Cili.  Qmiméi 
9iem  torrtmdo  alla  $mUm  ém  Paett,  «  dm»  mtmmmai  mah  «Un 


fmrU 

pmrfmmti  Vmcmékm 

et  9trtù  €omtrmnm  «f 


pttH  torrtmdo  alla  «alM  ém  PmU,  «  ém»  w—rt  m§h  aUn  neorémm»  utmfit  «*  •«tu  cwuna/iH  «f 
iBfV pteeato.  VA^aiU  éi  Sm  Ztmm  ammmmtim  tristi  gami  per  Jtktm  é, Uà  ScmUi  ,*  «  étttrm  tmi  ém 
mdmt  ttUMO  mtcmiU  utmfl  dti  mmti  «fftni  étKm  mméim.  fM»  rfafo^  Dmtm  r  mtétrwmutm. 


Posto  avea  fine  al  suo  ragionamento 
L*  alto  Dottore,  ed  attento  gnanlava 
Nella  mia  vista  a'  io  parea  contento. 

Ed  iOy  cni  nuova  sete  ancor  Inigava, 
Di  foor  taceva,  e  dentro  dicea:  Forse 
Lo  troppo  dimandar,  eh*  io  fo,  gli  grava. 

Ma  quel  padre  verace,  che  a*  accorra 
Del  timido  voler  che  non  s'apriva, 
Parlando,  di  parlare  ardir  mi  porse. 

Ond' io:  Maestro,  il  mio  veder  s'avviva 
Si  nel  tuo  lume,  eh*  io  discemo  chiaro 
Quanto  la  tua  ra.^ion  porti,  o  descriva: 

Però  ti  prego,  dolce  Padre  caro, 

Che  mi  dimostri  amore,  a  cui  riduci 
Ogni  buono  operare  e  il  suo  centrare. 

Drizza,  disse,  ver  me  T acute  luci 
Dello  intelletto,  e  ficti  manifesto 
L*error  de' ciechi  che  si  fanno  duci. 

L*  animo,  eh*  è  creato  ad  amar  presto, 
Ad  ogni  cosa  é  mobile  che  piace. 
Tosto  che  dal  piacere  in  allo  è  desto. 


IO 


tf 


10 


2.  alto  Dotiort,  profondo  nel  suo 
upor«. 

5.  Nella  mia  vista,  negli  occhi 
ibmì.  Gli  occhi  esprimono  \ÌTamento  gli 
•litui  dell' animo.  —  vista  aignificn  an- 
Aaa$patto. 

4.  muova  sete,  nnova  braaia.  — 
/Higova,  •timolaTa. 

0.  gU  grata,  è  a  Ini  molekto. 

8.  non  t'aprirà,  non  si  appalcaaTi. 

9.  Parlando,  di  parlare  ee.  Par- 
lindo  epli  a  me,  Tolgvndiiroi  nna  pa- 
rtU.  mi  porse  ardire  di  parlare  a  Ini. 

40  il  mio  teder,  il  mio  inlellello, 
h  aùn  ragiono. 

4f .  IMI  tuo  lume,  nella  Ina  dol- 


mento. — porti,  o  deseritm, 
o  dichiari. 

ì 4.  Che  mi  dimostri  amara.  CU 
m'in»qfni  che  cosa  é  qneiramnrOy  ti 
qnale  riduci  ogni  buono  t  malo  mitim 
re,  siccome  dianzi  dicesti.  Vedi  Ài  CtAlt 
prec.,  Tersi  10U405. 

47.  /lefi.  ti  Ga,  ti  sari. 

48.  L'errar  de' eieeU,  ài  «m- 
gl'ignoianti,  cioè,  che  Togliono  farà 
guida  agli  altri ,  e  che  inacgnant  tgti 
amore  essere  laudabil  cosa. 

49.  presto,  culla  dispoaiàont ,  • 
disposto. 

20.  è  mobile,  n  mnoTOi  o,  è  prtstt 
a  muoversi. 


21 .  Tosto  eKe  ee.  Il  Costa  sm 


4%.  La  liMi  ragion^  il  ìaa  ragiona-      s  tthito  che  dal  piacere  è  atiool 


mt|t: 
utto  • 


CANTO  DEClMOTTAVa 


a7i 


Tostra  apprensiva  da  esser  verace 

Tragga  intenzione,  e  dentro  a  voi  la  spiega, 

Si  che  r  animo  ad  essa  volger  face. 
E  se,  rivolto,  in  ver  di  lei  si  piega,  tò 

Quel  piegare  ò  amor,  quello  è  natora, 

Che  per  piacer  di  nuovo  in  voi  si  lega. 
Poi  come  il  fuoco  movesi  in  altura. 

Per  la  sua  forma,  eh*  è  nata  a  salire 

Là  dove  più  in  sua  materia  dura;  30 

Cosi  1*  animo  preso  entra  iu  disire. 

Che  è  moto  spiritale,  e  mai  non  posa 

Fin  che  la  cosa  amata  il  fa  gioire. 
Or  ti  poote  apparer  quant*  è  nascosa 

La  verilade  alia  gente  ch'avvera  36 

Ciascuno  amore  in  sé  laudabil  cosa  ; 
Perocché  forse  appar  la  sua  roatera 


Mfi 


oo: 


Tcair*  ad  aìenn  atto.*  Io  ioteDderei: 
éoatoebè  è  desto  dal  piacerà  in  mito, 
«ieè  praaeote,  o  che  agisce  sa  lui.  Ma 
■M  rimetto  ai  safj. 

22-23.  Vostra  apprensiva,  la  to- 
atra  facullà  di  apprtrodeie,  o  iateilettira, 
iragg§  inteuxùme  da  esser  verace: 
óoè,  ritrae  imm.  gine  dMtf  obietto  reale 
/iilemxsoiit  rliiaiiiano  i  filo» 
le  immagini  o  •imililudini  delle 
.  Gode  il  Varchi  dice  iieirErcula- 
melim  virtù  fantastira  si  riser' 
te  iwsmagini  o  similitudini  delle 
,  le  quali  i  filosi»^  ckusman  ora 
fpesie.  ora  ìwvmìììm.— dentro  a  mai 
III  spifega.  Intendi:  la  niflie  a%aott  al- 
l'anima, e  la  s\iluppa,  tantoché  lichia- 
OU  ratteoiiooe  di  li*i. 

2S.  B  sa,  rivolto,  in  ver  di  lei  ti 
piif  ;  e  se  r  animo  che  si  è  rivoli»  « 
^•ella  immagine,  si  piega  «arso  di  lei, 
tatt*  in  lei  s'abbandona,  ec. 

26-27 .  qurllo  i  natura,  ee  Qvello 
«nere  e  natura,  la  qual  natura  lega 
tèdi  oaovo  io  «oi  io  %iriu  «lei  piaceie. 
n  prime  legame  che  ranuuo  ha  c»l!a 
oaiara,  è  l' essere  d»»p4»i4u  ad  amare: 
•1  aeeoóde  e  quando  in  alto  %iene  aa 
amare,  e  la  oaiura  di  nuM%o  ra  tale 
aiiim«»  SI  uiiiM«  — Sieet»me 


atte  eoo 


«|li  ka  detto  nel  Cenln  prfee«lrnte  cIm 
I  amiiio  è  lcgat«i  di  naturale  aoMire  al 
aaoMBo  bene  e  alla  prof»na  enMsrrta- 
tieae,percie  dice  ora  che  un  altro  Icf  «■ 


wtiemio  naturale  delFabimo  è  V  obietto 
piacente.  C  però  Che  per  piacer  di 
nuovo  in  voi  si  lega  si  potrebbe  anco 
spie];ar«:  mivellauieute ,  di  nmovo,  li 
forma,  naM-e  in  voi,  io  virtù  del  piacere. 

28  in  altura,  in  alto. 

29.  Prr  la  sna  forma,  ee.  Crede- 
vano j'Ii  aulicbi  che  il  fuoco  foeae  natu- 
ralmente nato  a  «alire ,  pefxwo^è  n«a 
sepevaoo  che  l'eria  pe^aaae,  e  cIm  cs- 
Bendo  speciliranieote  pia  grave  della 
fiamma ,  la  spingesse  olf  in  a«.  La 
forma  i-oiigiunla  alla  materia  prima  co* 
sIìiuìm»  .  serfuJo  le  scuole ,  le  diYcne 
natole  dei  airpi  «peciali. 

50.  Là  dove  te.:  cioè,  aotto  il  cna- 
cavn  «lei  nel»  della  luna.  La  rotan  •&• 
tjcliilà  cie«li-\a  che  in  caao  foeae  la  aftra 
eeOM'rvalnce  del  fuoco. 

31 .  preso,  preso  dal  pìnccrt  di  ti- 
cane  «osa. 

32  Che  i  moto  tpiritvk:  n  fm\ 
desire  non  e  un  molo  materiale ,  coma 
quello  del  fuori»  che  sele,  ma  nn  asola 
spiriluale.  e«Hi  ebe  Tanimo  quasi  ai  trae 
alla  c«iM  aiiiaU ,  e  oon  ei  p«a  lachè 
non  ha  il  |M>«H^limento  di  quella. 

5^56  cA'orrera  ecdMarfema, 
amore  r«M*re  M*nipi  e  cuaa  lodevvia. 

57-5!)  ptrorrhi  forse  et.:  m^pa 
rocche  fot>e  la  uialena  d'aaMre,aiaa,ta 
naturai  diftpo»iy ione  ad  antare,eaenpre 
buwiia  .  Mia  non  e  buono  «gni  aoMire  cW 
da  qaella  procede ,  cuaaa  nao  è  boooa 


37t  DEL  PT7EGATORIO 

Sempr'  esser  buona;  ma  non  ciascan  segno 
È  buono,  ancor  che  buona  sia  la  cera. 

Le  tue  parole  e  il  mio  seguace  ingegno, 
Risposi  lui,  m'hanno  amor  discoverto; 
Ma  ciò  m' ha  fatto  di  dubbiar  più  pregno  : 

Che  s' amore  è  di  fuori  a  noi  offerto, 
E  1'  anima  non  va  con  altro  piede, 
Se  dritto  o  torto  va,  non  é  suo  merto. 

Ed  egli  a  me:  Quanto  ragion  qui  vede 
Dir  ti  possMo;  da  indi  in  là  t'aspetta 
Pure  a  Beatrice,  eh'  è  opra  di  fede. 

Ogni  forma  sustanzial,  cl^  setta 
È  da  materia,  ed  è  con  lei  unita, 
Specifica  virtude  ha  in  sé  colletta, 

La  qual  senza  operar  non  é  sentita, 
Né  si  dimostra  ma  che  per  effetto, 
Come  per  verdi  fronde  in  pianta  vita. 

Però,  là  onde  vegna  lo  intelletto 


40 


45 


60 


65 


ogni  figura  che  t' imprime  nella  cera, 
qaantanqoe  la  cera  sia  buona.  Per  ma- 
tera,  o  wuUeria,  d'amore,  intende,  al 
modo  delle  scuole ,  la  materia  deter- 
mimattiht  oaaia  amore  in  genere;  e  di 
questo  dice,  che  forse  è  sempre  buono  ; 
ma  non  è  sempre  buona  la  forma  de- 
Ifmitnanto,  ossia  amore  in  specie. 

40.  il  mio  seguace  ingegno, cioè yU 
mente  mia  che  atteolameote  ha  segui- 
tato il  tuo  dire. 

42.  m'ha  fatto  di  dubbiar  piik 
pregno  :  cioè,  mi  ha  empiuta  la  monte 
di  maggiori  dubbj. 

43.  s' amore  ec:  io  l'amore  nasce 
in  noi  per  effetto  delle  ctise  piacenti  che 
SODO  fuor  di  noi  ;  e  se  l' animo  s'induce 
•IP  atto  aolamenle  moaso  da  questa  ca- 
gione |  non  ha  merito  alcuno  nel  bene 
o  nel  male  operato. 

46-48 .  Quanto  ragion  ec.:  io  ti  pos- 
to dichiarare  quel  taulo  che  la  ragione 
umana  può  dì&ceriicre  inturno  a  questa 
materia:  rispetto  a  quello  che  la  ra- 
giona non  può,  t  che  per  fede  è  da  cre- 
oeru,  aspetta  cne  Beatrice  lo  ti  dichiari. 
(Di  qui  si  può  conoscere  anche  più  chia- 
rttMate  cnt  Beatrice  è  aimbolo  della 
ttolncia.ji 

49.  0§ni  forma  9uttanM,iai,  cioè, 
•gai  aottania  apirituale,  ogni  anima.-— 


Forma  sostanziale  era  modo  di  dire 
delle  scuole. 

50.  ed  é  con  lei  unita,  l'anima  no- 
stra ha  unitine  con  la  materia,  col  cai^ 
pò,  ma  non  identità  :  perciò  dica  dia  è 
setta,  cioè  distinta,  da  material  ad  è 
unita  colla  materia. 

54 .  Specifica  virtude  hainsi  eoi- 
letta ,  cioè,  contiene  una  rirtà  che  le  è 
speciale,  partic«>lare.  Questa  epedaU 
Vtrtò  è,  come  dice  Dante  stesso  nel  Comr 
v«o,  Vapfidittt  d' animo  naturale. 

52-5  ) .  La  qual  senza  operar  ee.: 
la  qual  virtù  sperilica,  essendo  una  sem- 
plice dìsp«>6Ìzione  virtuale,  non  può  co- 
noscersi né  diniostraiVi  se  non  per  l'ef- 
fetto attuale,  come  la  vita  in  uua  pianta 
si  manifeslu  per  le  verdi  fronde. — osa 
che,  fuorché,  dal  iirovenz.  mai  fve, 
come  altro  volte  •bbiauio  notato. 

55-56.  Però,  là  onde  vegna  «e.  Pe- 
rò uomo  non  sa  onde  a  noi  venga  lù  in- 
telletio,  rintvIliiTcnza  dei  primi  aaaiomi. 
Diceil  Gusla  che  il  Gmdillac  ha  dimoatra- 
to  il  primo,  che  questa  intelligenza  ha 
origine  dai  sensi  e  dall'esperienza:  ma 
oggi  ai  tiene  per  molti  che  gli  aaaioaii 
sieno  Teritè  pure  e  primitive,  cioè  prò- 
poaizioni  evidenti  per  sé  stesse.  Ma  so 
ciò  vedano  i  Glueon ,  che  umi  tOAO  del 
mio  proposito  tali  questioni. 


CANTO  DECniOTTAVO. 

Delle  prime  notizie»  uomo  Don  sape, 
E  de*  primi  appetibili  l' affetto, 

Che  sono  in  voi,  si  come  studio  in  ape 
Di  far  lo  mèle;  e  questa  prima  voglia 
Merto  di  lode  o  di  biasmo  non  cape. 

Or,  perché  a  questa  ogni  altra  si  raccoglia, 
Innata  v*è  la  virtù  che  consiglia, 
E  dell*  assenso  de*  tener  la  soglia. 

Quest*  è  il  principio  là  onde  si  piglia 
Cagion  di  meritare  in  voi,  secondo 
Che  buoni  e  rei  amori  accoglie  e  viglia. 

Color  che  ragionando  andare  al  fondo, 
S*accorser  d*e3ta  innata  libertate; 
Però  moralità  lasciare  al  mondo. 

Onde  pognam  che  di  necessitale 


373 


60 


•5 


10 


57-58.  Bde'orimi  appetibili  te.  E 
l'tiDor*  ài  qaelU  rote  che  prìmtcri- 
iDMto  l'oomo  appetite*  j  le  quali  tooe 
ìd  Doif  come  è  nelrtp«  lo  tiùdio,  l'io- 
dioaxiooe,  a  fabbricare  il  mèle.  1  f»ri- 
M<  apptiiltUi  aooo,  per  cs.,  la  propria 
eonacrTuioDe ,  il  piacere ,  la  felicità. 

59>e0.  f  q%àeita  prima  taglia  ec,: 
e  qMfli  primi  appetiti ,  e  naturali  teo- 
<l«ose,  non  aon  rapaci  per  aè  atctsi  né 
dà  lode,  né  di  biaumo. 

€1-63.  Or  perchè  a  quota  ee.  Il 
CfOatt  spiega  coti  r'*  Ora  afiiiicbè  colli 
dctU  inclinazione,  o  voglia,  ogni  altra 
voglia  ti  accompa(»ni,  \i  è  data  fino  dal 
Toftro  naccimento  tnrtù  (la  ragione), 
che  cooaigtia,  e  cbe  dee  tener  la  ioglim 
dell' ataontire ,  cioè,  che  deve  ttaie  in 
f^ardia,,accioccbè  n^n  arcontentiata  in- 
debitamente. •  Il  BiRgìoli  poi,  dietro  il 
Daniello  e  il  Vmlurì,  costruisce  e  iutar> 
prcCa  in  quest'altro  modo:  «  Ora,  è  in 
voi  innata  la  virtù  che  consiglia,  cioè  la 
ragione,  affinchè  ogni  altra  voglia  si 
raccoglia  a  questa  vii  tu,  e  questa  dee 
tenere  la  chiamo  dell'assenso.  •  Se  deTO 
dire  il  mio  parere,  né  l'una  né  l'altra 
di  quatte  iutcrpretozioni  mi  appaga: 
cbè  della  prima  non  so  che  sento  si  ri- 
«avi  :  la  seconda  suppone  troppa  tortnra 
delrordine  n.iturale  nelle  parole  del 
lesto,  lo  credo  che  dando  al  perM 
il  tento ,  cbe  dì  frequente  ha ,  di  ptr 
guanto  o  atrtgnacké,  sia  piano  ogni 
co^a.  £d  ceco  qui:  Ora,  avvegnaché, 


sebbene,  a  questa  prtma  voglia,  cioè 
primitiva.  i%$tintiva,  ti  raecogliano 
intorno,  si  riportino,  tutta  le  altre  voglia 
e  appetiti  speciali ,  che  possono  aitar 
buoni  e  rei,  è  innata,  naturaia,in  vm  la 
virin  che  consiglia  la  aeelta,  doè  la  ra- 
gione, la  quale  dee  custodire  la  porla  dal- 
l'attento,  aprendola  ai  buoni  deiidariy 
cbiodendola  ai  pravi  Oppure,8etivnola, 
ti  ritenga  il  perchè  come  cantala,  aqni* 
valente  a  poicM,  e  ti  abbia  il  rocoogUm 
'  non  eome  eong  ,  ma  rome  india,  nraa.  di 
raeeogliarB  per  raeeogliere,  il  qnala 
tcarobio  di  coniug.  ti  oaaerva  ti  ajpaiw 
negli  antichi  Nclron  modo  o  nall'illfo 
ti  avi  è  un  aento  f{lo4tn  di  quelli  vani. 

64-66.  Queit'è  il  principio  ce. 
Questa  facollè  di  seguire  e  di  rinlnnara 
liberamente  l'appetito  {sub  U  9rU  i|p- 
petHu»  tuus)  è  il  principio,  là  OfMÌ0, 
da  cui  si  parte  la  cagiona  del  vaaira 
meritare,  secondo  che  questo  libara  va- 
lere accoglie  i  baoni  amorì,  a  tigliép 
tepira,  riffelta,  i  rei. 

67  Color  eh*  ragionando  amimf 
al  fondo:  i  filoMifi  che  penetrarono  ai- 
denirti  la  naturi  delle  eote. 

69  moralità,  morili  dottrina,  ìa- 
tegnaineoti  e  regole  intomo  li  eoetniM| 


le  quali  sarebbero  alata  vana 
principio  c«'i  t»  della  liberlè  dal  Talari. 
70-72  Onde  fw^noni.*  onda  auffM- 


•to  rhe  ogni  ip|»etito  lorgeiaa,  81 
vt>«ae,  in  voi  per  fona  di  neeaaailb.  Vii 
liete  tempra  in  potere  di  contenerla. 


874 


DEL  nniGATORIO 

Surga  ogni  amor  che  dentro  a  voi  ^  accende, 
Di  ritenerlo  è  in  voi  la  potef^tale. 

La  nobile  virtù  Beatrice  intende 

Per  lo  libero  arbitrio,  e  però  guarda 

Che  r  abbi  a  mente,  s' a  parlar  ten  prende. 

La  Iona,  quasi  a  meiza  notte  tarda, 
Facea  le  stelle  a  noi  parer  più  rade, 
Fatta  com'on  secchione  che  tot  t'arda; 

E  correa  contra  1  del,  per  quelle  strade 

Che  il  Sole  infiamma  allor  che  quel  da  Roma 
Tra*  Sardi  e*  Corsi  il  vede  quando  cade; 

E  queir  ombra  gentil,  per  cui  si  noma 
Pietola  più  che  villa  Mantovana, 
Del  mio  carcar  diposto  avea  la  soma. 

Perch*  io,  che  la  ragione  aperta  e  piana 
Sovra  le  mie  questioni  avea  ricolta, 
Stava  oom*  uom  che  sonnolento  vana. 

Ma  questa  sonnoleiiza  mi  fu  tolta 


s» 


7S-74.  U  «oMb  9irtà.  BcetrÌM 
mI  momt  di  moèih9ÌHk  0  li- 
arUlrio. 

74-77.  Ut  Iwmm,  tr.; cioè,  la  Imi 
cà«  tardò  a  levarei  ^oan  a  nana  oittta, 
parcbè  qvaat'era  ta  arata  arra  dal  pla- 
■Imho  ;  a  gik  piò  d' aoa  volta  abbiamo 
■otaio  dia  la  lana  dopo  il  ano  piano  ri- 
tarda agni  aara  di  qoaai  no'  ora  il  ana 
Itfani.  Si  cIm  dnqoa  giorni  dono  il 
plemlnnio  naU'oqniiiofio,  ella  ti  aitava 
^•MÌ  CBH|aa  ore  dono  il  tramtfnlo  dd 
•ola,  càa  Tnol  dire  arca  no'ora  prima 
di  niiiia  notte.  Sennoocbe  e  da  avrcr- 
lira  abe  Dante  è  noli'  craitfero  antar- 
tien,  dova  qaando  tramonta  il 
mI    nostro: 


li 


la  Iona 


ffuméo  ^  tramonta.  Coei  a 
MHM  feniì«  ad  aaaere  arca  un'ora 
prima  di  metzo  gionio  ;  a  in  Italia^  8a> 
U  «stama  go<>gr  di  Dante ,  arra 
di  aola.—Fneas  le  «le/la  «  mai 
pmrer  piii  rmde,  pardM  oaenranda  ani 
■M  Biaifior  lame  le  pia  mionia,  non 
ri  ?adcana  cbe  qnelle  di  maggior  gra»> 
fin  qna  e  più  là. 
7t.  Fatta  9om'  «m  «eecMoN  «e. 
■e  an  seoefai«»ne,  perchè  la  luna 
aalaata  moatrava  una  delle  ana 
parli  raleadt  a  Tahra  aeama,  coma  nt 
di  rana  cbe  ba  il  fonda  a 


gniaa  di  «n  aniafcrin ,  a  ba 
paiia  anperiore.^-dke  fvlto  m 
arroventato.  —  Varj  taati  banao  FtMa 
eom'ffn  irheggùm  ek§  tmttn  mrém:  a 
per  venti  l' ardere  converrebbe  ae^ia 
allo  eeheggitme;  ma  per  carta  anan- 
glianza  culla  Cgnra  deUa  lana  tam 
meglio  il  geeehitme. 

79-81  entra 'Icid.  contra  l^appa- 
rente  corso  dd  ricln ,  da  ponente  vctm 
levante.  —  per  quetù  ttrade,  aoè,  per 
lo  todiaco,  vera»  il  fine  dd  legno  daMa 
Bcorpitme,  nel  quale  ai  trova  il  aole  al- 
lora rhr  ^viel  da  l^oma ,  eioa,  gli  abi- 
tttun  di  R<Mna  lo  veggono  tramoaina 
io  quella  parie  del  dclo  cba  è  Irt  U 
Corsìra  e  la  Sanlegna. 

1(3.  Pietola  Pircolo  loogn  dagfi 
antichi  chiamato  Andei ,  ore  naeqat 
Virgilio. — §i  noma  pie  che  tilìaMta^ 
toeana,  è  più  famosa  che  la  dlU  di 
liaotova. 

84 .  Del  mio  earemr,  del  carica  die 
lo  gli  a>e«a  imp(«to  di  soddisfare  alla 
mie  interrogaiioni.  —  dipvtUt  tfaes  li 
ioma,  erasi  «gravato  col  sodisCanai. 

86.  «re«  rirolta,  aveva  cooipreai, 
riposta  nella  menta. 

87  eana  (da  raiuiraì,  lancggìa , 
vaga  incerto  di  pensiero  in  pcssiero. 
Vedi  sotto  terso  143. 


CAKTO  DECIMOTTATO.  375 

Siibilanìente  da  gente,  che  dopo 

Le  nostre  spalle  a  noi  era  già  volta.  90 

E  qaale  Ismeno  già  rìde  ed  Asopo 

Lungo  di  sé  dì  notte  fona  e  calca , 

Por  che  i  Teban  di  Bacco  aresser  uopo; 
Tale  per  quel  giron  suo  passo  falca, 

Per  quel  ch'io  vidi,  di  color,  venendo,  95 

Cui  buon  volere  e  giunto  amor  cavalca. 
Tosto  fur  sovra  noi,  perchè  correndo 

Si  movea  tolta  quella  torba  magna; 

E  duo  dinanzi  gridavan  piangendo: 
Maria  corse  con  fretta  alla  montagna;  100 

E  Cesare,  per  sug^ugare  Ilerda, 

Punse  Marsilia,  e  poi  eorse  in  Ispagna. 
Ratto,  ratto,  che  il  tempo  non  si  perda 

Per  poco  amor,  gridavan  gli  altri  appresso  ; 

Che  studio  di  ben  fer  grazia  rinverda.  106 

0  gente,  in  cui  fervore  acuto  adesso 

Ricompie  forse  negligenza  e  indugio 

Da  voi  per  tepidezza  in  ben  far  messo^ 
Questi  che  vive  (e  certo  io  non  vi  bugio) 

«MVM  il  («pagn«.0T«,  iop^rati  Afrtni*, 
Petreio  ed  un  fi^liauio  di  Pompeo,  soc- 
giflfrè  la  alta  di  ll«rda  (oggi  della  Lan- 
d») .  Non  potaa  il  Puela  tra  i prvfenaaaa- 
fj  addaroa  «no  pie  iotignedi  proolaita 
e  initaiicabilitfc  nelle  nioadaiie  farcid>« 
Anche  Nnttro  Signore  per  inaagMi*  i» 
prudenia  spiritoale  ai  saoi  f«gaaei|  aJ* 
dotte  in  esrmpio  Tarle  fina  d'oo  todr» 
f aHorp  per  fWni  degli  iibìcì  d»po  la  airat- 
tn  che  il  padrooe  gli  avea  già  ' 
Tedi  8.  Lara,  eap.  XVI. 

403   Hallo,  ratto,  ek$  §9, 
preitn,  che  aeciiicckè  9t. 

404.  Per  paco  amor,  fot 
datia,  per  accidia. 

4eS  Ckeitwàio  oa.tAaìa 
Paiii(»re,di  far  del  kene,  allidi  peaii 
riwoarda  {k»  riaiooréirffi,  rinvar 
Caccia  rivivere,  ia  noi  lo  grana  divÌMI. 

406.  atuUt,  ioteoao,  ardeote. 

40t   metto  ti  rireruco  a  inéa%ia. 

4ev.  non  ai  àsgfo.  ae«  vi  dito  b«- 
già.  Bagiaro  è  fnrara,  faro  «•  amarne 
S*è  detto  ^indi  Aufts  oao  pOT*^, 
dÌ8Cf*rao,  che  è  rooto  della  cott  «bo 
qocllo  si  afferma. 


89-90  dopo,  dietro.  -—  a  noi  i 
0ià  aoila,  era  incamminata  veraodi  noi. 

•4.  lfOMiioe<fJ«opoee.  Fiumi  della 
Beotia,  lango  i  <|aali  gran  toi  ba  di  grate, 
porforn  propino  Boero,  nome  fotelare 
dìTvko  a  della  Beotia  tutta,  correva  eoa 
facoilo  iceiaa  iovorando  il  nome  di  tari. 

92.  tauif  0  ài  té,  longo  le  loro  ri- 
aa,  ^  fairia^  foriuao  diacorrìmeolo. 

94 -f6  TaU  ptr  quel  giron  oc.  Co* 
air.  •  int.:  Tal  furia  e  ealca,  par  f«ol 
eh'ia  oidi,  di  color  (di  accnlioai),  cmi 
èmam  aaiàra  §  gimtto  amor  cavalca 
^apr«M|,  /We«,  venm^ooilannatra  voi- 
Ut  tflopoaao por  4|oel  girone  Falcare ii 
potaa,  ««dare  come  il  eevallo  che  Irel- 
ttodo  deaeri vo  eolle  gambe  doventi  ooa 
falce.  Paragona  Dante  qnelle  anioM  • 
Usti  cavalli  an  aovalca  o  aprooa  il  f<»- 
ata  ama^a. 

400  Maria  ae.  Intendi:  Maria  Ver- 
gi»o  eorao  a  viaitare  S.  Eliaabctla  eoo 
aoBma  oeleritl  per  luoghi  montaeai. 

404-409  B  Cctare  te.  E  Ceaart 
eoo  tHVHBa  eelerita  part.toai  da  BoiM 
andò  a  Maraiglìa,  e,  qorlla  cinta  d'aaoo* 
dio  (qoaalo  è  il  ai  ^o  onde  la  p«Me), 


376 


DEL  PUBGÀTORIO 

Vuole  andar  su,  purché  il  Sol  ne  riluca; 
Però  ne  dite  ond'  è  presso  il  pertugio. 

Parole  fbron  queste  del  mio  Duca: 
Ed  un  di  quegli  spirti  disse:  Vieni 
Diretr'a  noi,  che  troverai  la  buca. 

Noi  Siam  di  voglia  a  moverci  sì  pieni, 
Che  ristar  non  potem;  però  perdona, 
Se  villania  nostra  giustizia  tieni. 

r  fui  Abate  in  San  Zeno  a  Verona, 
Sotto  lo  imperio  del  buon  Barbarossa , 
Di  cui  dolente  ancor  Melan  ragiona. 

E  tale  ha  già  T  un  pie  dentro  la  fossa, 
Che  tosto  piangerà  quel  monistero, 
E  tristo  Ga  d*  avervi  avuta  possa; 

Perchè  suo  figlio,  mal  del  corpo  intero, 
E  della  mente  peggio,  e  che  mal  nacque, 
Ha  posto  in  luogo  .di  suo  pastor  vero. 

Io  non  so  se  più  disse,  o  s' ei  si  tacque, 
Tant*  era  già  di  là  da  noi  trascorso  ; 
Ma  questo  inlesi,  e  ritener  mi  piacque. 

E  quei,  che  m'era  ad  ogni  uopo  soccorso, 
Disse  :  Volgiti  in  qua,  vedine  due 
Air  accidia  venir  dando  di  morso. 


ilO 


ili 


i30 


440.  purché  il  Sol  ne  riluca.  Co- 
me il  sole  torni  ad  illumioarci. 

444.  ond'è,  da  qual  parte.  —  il 

rrlugio,  la  fenditura  del  monte,  ot'ò 
leale  per  salire. 
444.  to  buca,  Papertara  per  eoi 
ai  fate. 

447.  Se  villania  nottra  giuttl- 
%ia  Heni:  se  quello  che  faonarao  ae- 
eondo  il  dover  nostro,  tu   lo  reputi 


4iS.  r  fui  Abate,  Dicono  che  que- 
sti tt  chiaroosse  Don  Alberto ,  e  fosse 
uomo  costumato,  ma,  come  dice  il  Lan- 
cilo, molto  rimesso.  Il  Pelli  però  ci  fa 
aapere  che  un  Alberto  fu  abate  della 
badia  di  S.  Zeno  io  Verona  ai  tempi  di 
Federigo  II,  e  non  del  Barbaroaaa, 
■'tempi  del  quale  trotasi  abate  un 
Gherardo, 

449.  Barbaroeta.  Federico  I,  cosi 
clùtmato.  Avrei  voluto  prender  quel- 
l'aggiiinto  di  buono,  nel  aenso  che  tal- 
Tolta  ha  preaao  i  Latini ,  di  prode,  di 
téhroto;  mt  Tedato  chi  perla,  ni 


par  più  veriaimilo  che  aia  detto  ptf 
ironia. 

420.  dolente  ancor  ec.:  doleate 
ancora  per  i  mali  che  Federieo  le  recò, 
venrlicandosi  della  resisteota  che  quei 
bravi  cittadini  gli  oppoeero. 

\2\.  E  tale  ha  già  tun  pie  ec.  In- 
tendi Alberto  della  Scala  signore  di  Ve- 
rona ,  già  vci^chio  e  preaso  a  morte. 
Uori  nel  4301. 

424.  Perchè  iuo  tiglio  oc,  Perahè 
ha  posto  in  luogo  del  vero  abate  dì 
8.  2eno  un  suo  ligliuolo  mal  intoro  del 
corpo,  cioè  sltirpio  e  gobbo  dd  corpo, 
e  più  storto  ancora  dell'  animo,  e  oa> 
stardo.  Questa  violenta  intmtiooe  av- 
venne nel  1292,  quando  Alberto  eia 
capitano  del  popolo,  e  P  intnuo  abate 
si  chiamava  Giuseppe. 

425.  che  mal  nacque,  nato  illegii- 
timanicnte. 

432.  All'  accidia  venir  ee,:  Tenir 
dando  di  morso  all'accidia,  cioè,  mop> 
deodo  o  trafiggendo  con  eaempj  a  pro- 
posito la  ignava  pusiooe  dell'  toctdit. 


CANTO  DECIMOTTAYO.  377 

Diretro  a  tatti  dicean:  Prima  (Vie 

Morta  la  gente,  a  cui  il  mar  s*  aperse. 

Che  vedesse  Giordan  le  redo  sue.  i35 

E  quella,  che  l'affanno  non  sofferse 
Fino  alla  fine  col  figliuol  d' Anchise, 
Sé  stessa  a  vita  senza  gloria  offerse. 

Poi  quando  fur  da  noi  tanto  divise 

Queir  ombre,  che  veder  più  non  potersi,  '140 

Nuovo  pensier  dentro  da  me  si  mise, 

Del  qual  più  altri  nacquero  e  diversi: 
E  tanto  d*  uno  in  altro  vaneggiai, 
Che  gli  occhi  per  vaghezza  ricopersi, 

E  il  pensamento  in  sogno  trasmutai.  i45 

433-434.  Prima  fue  Morta  te.  La  io  Sicilia  eoo  Aeerte.  Vedi  Virgilio  nel 

^tolc  ebrea,  a  coi  il  filar  Bono  s' apar-  V  dell'  Bneid$. 
•e  al  paaaa^fio,  fa  tatta  per  la  saa  co-  144.  Cktglioediipervagheisaee. 

dardia  e  deieiione  d'animo  sterminata,  ehe  per  taghexxa.  cioè,  per  qaeato  vi- 

prima  die  la  Palestina,  coi  il  Giordano  gare  di  pensiero  in  pensiero,  non  li^ 

irriga,   Tedease  i  snoi  eredi,  cioè  gli  sandosi  più  la  mente  in  alcuno,  i  miai 

Ebrei  alesai,  destinati  da  Dio  poaaeaaori  oeehi^  mancando  a  poco  a  poco  V  attÌTi- 

di  qoella  terra.  tè  deli'  anima,  si  coinaero. 

456.  £  fvelta.  ehe  l'affanno  non  ÀÀH.  Sii pentamenio ineognoee. 

Boferte,  Intende  di  quei  Troiani  con-  filaraTigliaaadeacriiiooadeloomesìpaa- 

dotli  da  Enea,  che  attediati  dalle  fati-  si  ordinariamente  dalla  vigilia  al  i 

cba  del  riaggio  si  rimasero  aenxa  gloria  e  dal  pensare  al  sognare  1 


CAlVrO    DECIHOIVOIVO. 

Si  étteriM  ta  imùttHosm  mùiomt  tàt  po€o  primtm  dtlt'tttm  s'offrt  lUe  ÀUghkH  tkt 

i  Putti  sul  fiMNiio  giroM,  </oM  te  «NMM  iiattudo  «  U  Vito  rivoU»  Ma  Urna  pimtgmn  U 
ééWJmmrUki.  S'avviitgomo  m  Jdrimmo  F  di  Cm*a  FUteki,  tk$  mUt  domumdt  ééVM^ 
tkUrt  ritfondé. 

Neir  ora  che  non  può  il  calor  diurno 

Intepidar  più  il  freddo  della  luna, 

Vinto  da  Terra  o  talor  da  Saturno; 
Quando  ì  geomanti  lor  maggior  fortuna 

4  -3.  NeH'ora  ee.  Int.  :  nell'  ultima  V  orinonte.  È  nolo  del  reato  che  il  mag- 

«ra  dolla  notte,  quando  il  calore  lasciata  gior  freddo  non  si  prora  a  menanolla. 

dal  sole  in  terra  e  nel!' atmiitfera,  tinto  ma  un'ora  circa  prima  del  levar  dei 

dalla  naturale  frif^idezza  della  Terra  a  di  aula. 

Saturno,  non  ha  più  forza  d' intepidmr^  4.  Quando  %  geomanii.  l  geomtaCi 

d'intiepidire,  •/  freddo  della  l«HM,cioè,  (dal  gr.  yix  terra,  e  /Mcvrif  indoiinol. 

della  notte.  Era  opinione  degli  antichi  auperstiiioai  indovini ,  preaumerano  di 

astrologi  che  Saturno  trovandoai  nel-  leggera  il  futuro  nella  figura  da' corpi 

l'emisiciio  notturno  apportasse  gran  calcali  e  nelle  puniaggiatura  che  alla 

freddo.  Dice  talor  da  Satwno,  perchè  cieca  facevano  nell'arena  eolla  punta 

non  sempre  questo  pianeta  trovati  sul-  di  sna  verga.  Sa  la  diapoaisioaa  dai 


3fZ8  ^^^^  POEGATOftia 

Veg^no  io  orienle^  iananzì  i^*  albt, 
Snrgar  per  via  cha  poco  te  sta  bmoa; 

Mi  venne  ia  sogno  tua  femmina  balba. 

Con  gli  occhi  guerci»  e  sovra  i  pie  distorta , 
Goa  to  man  moodie,  e  di  colore  scialba. 

Io  la  mirava  ;  e^  come  il  Sol  conforta 

Le  fredde  membra  cbe  la  notte  aggrava^ 
Coaìi  lo  4g«ardo  mie  le  iacea  scerta 

La  lingua,  e  poscia  tolta  la  drìxiava 
In  poco  d' ora,  a  lo  saurrito  volto, 
Com'  afldor  vooU  om  le  colorava. 

Poi  eh'  ella  avea  ii  parlar  cosi  disdolta. 
Cominciava  a  caotar  si,  che  con  peoa 
Da  lei  avrei  mio  intento  rivoUo. 

Io  son,  cantava,  io  son  dolce  sirena. 

Che  i  marinari  in  mezzo  al  mar  dismago; 
Tanto  son  di  piacere  a  sentir  piena. 


40 


i$ 


fO 


paali  legaati  loaiìgKam  q<— Hi  èdh 
stelle  ehe  compongsao  il  Sue  del  Mfso 
<Ì6ll' AqMrio  e  il  prtnrm  o  dei  Peiri,  la 
dùaflia^eao  il  aegwo  di4le  ■eggier  for- 
teae.  Il  Poeta,  per  ttgoilKare  <?••  aiMiTa 
forma  Tura  che  precede  il  giome,diee  : 
Era  l'ora  che  i  geomanti  veggono  in 
cielo  la  lur  maggior  fortuna,  cioè,  che 
apparivano  sopra  INirizzunte  l'Aquario 
tutto,  e  parte  dei  Peaci  inmediataoMiila 
precedenti  l'Ariete  ;  che  e  ({uanto  dire  : 
ert  TÌcmo  il  naacere  del  sole  ^  poiehè 
il  Poeta  facera  il  ano  TÌaggto,  eoa' è 
detto  più  Tolte,  mi-ntre  il  sole  era  in 
Ariete. 

6.  Surger  per  via  ehe  poco  le  ita 
bruma t  alzarsi  suU'oriizoiite  da  quella 
parte  del  cielo  che  per  poeo  rtmaB* 
oacara  ad  eesa  fortuna,  pmcké  i  raggi 
del  sole  che  nasce  di  là  la  rischiarano. 

7.  balbo,  balbuziente. 

a.  teimlbat  ibiaBcala,  di  eolore  co- 
BM  di  OMirto. 

40.  §,  Còma  U  Sol  eonfortm:  a  h 
qoella  guisa  che  il  sole  ravviva  eoi  aue 
attor»  M  membra  ■■tirisEit»  dal  freddo 
dtlb  MUa,  eoai  il  mie  agnardo  ec.  la 
mmàa  UmLué  bnrtt.  Tee  eUeea,  e 
dw  àmen  WUa  a  sedoeenla  aelt»  il 
mmréè  ééV  «um,  è  aigmfieato  il  f^ba 
kw,  la  falicìlà  ab*  ai  npooe  «alle  mw 
I,  MI  pitcari  della  g*to  a  di  Va* 


die  «ilia  éarpi  ia  aè  alai», 
l'apprensione,  e  il  corrotta  ■oalregia» 
disio  fa  deaiderabyi  aMto.  Vedi  aotta 
ti  vera»  58. 

42.  eeorta,  agile  a  aptdita,  di  btiU 
bofiente  che  era. 

43.  tutta  la  drixxetva,  le  drìnaTa 
la  persona ,  che  dianzi  era  aoTra  i  pie 
distorta. 

4  4 .  •  io  aaiarrtlo  rof to,  doè,  adal. 
bOf  bianco,  quel  di  chi  è  preao  da  smar- 
naieati»ada  peare. 

45.  Com'afiwr  uu9Ì:tmk^  to  ffaeea 
di  qnd  mlore  che  tanto  interesaa  P  aoio- 
re.  Color  d'amore,  è  certo  col«»r  del> 
cato  che  pende  al  pallido.  Nella  l'ifa 
Nuova:  •  Avvenne  che  questa  donna 
ai  facea  d' aa  coler  pallido ,  come 
d' aoMire.  s 

48.  intentn,  attenzione. 

49.  fireaa.  Le  Sireae,  aecoado  i 
poeti,  aoto  abitatnei  Ari  mare:  bellia- 
aiaM  femmine  dal  meno  in  sa ,  a  ad 
reato  mnetruoai  peaci,  con  false  lana- 
gbe  alleltaoo  i  marinari,  gli  addurwaa 
tato,  a  pà  gli  uccidono. 

20.  dfwiago,  dbrio ,  fo  asdr  Ad 
vera  catamine. 

21 .  Taalo  eoa  di  piacere  te.  Coalr.  : 
l«Mlo  aaa  jMtna  dà  ptorerr.  tanta  atea 
piaaavola,  a  emlir,  a  anilinai ,  t  d» 
mi 


CUfTO  DECIMONOrrO. 


379 


Io  ¥ilii  UliflBe  del  sqo  cammin  vtgo 

Al  canto  mio;  e  qatl  roeco  s*  ausa 

Rado  seo  parte,  si  tatto  i'  appago. 
Ancor  non  era  soa  bocca  richiasa,  n 

Quando  una  donna  apparve  santa  e  presta 

Lunghesso  ne  per  for  colei  confusa. 
0  Virgiiiò,  TirgiHo,  chi  é  questa? 

Fieramente  dicea  :  ed  ei  veniva, 

Con  gli  occhi  fitti  pure  in  quella  onesta.  SO 

L' altra  prendeva,  e  dinanzi  1*  aprfra 

Fendendo  i  drappi,  e  mostravami  il  ventre: 

Quel  mi  svegliò  col  puzzo  che  n'  usciva, 
r  volsi  gli  occhi;  e  il  buon  Virgilio:  Almen  tre 

Yod  f  ho  messe,  dicea  :  sorgi  e  vieni,  35 

Troviam  la  porta  per  la  qoal  tu  entro. 
Su  mi  levai,  e  tatti  eran  già  pieni 

Detratto  di'i  giron  del  sacro  monte, 

E  andavam  col  Sol  nuovo  alle  reni. 
Seguendo  lui ,  portava  la  mia  fronte  40 

Lanilino ,  pensano  che  ^t  Virgilio  che 
preo<leTa  raltra;  e  fone  torna  mef^o 
COSI  Ve<ti  sotto  la  nota  al  ▼.  SO,  e  ri- 
cordati l'idea  rappresentata  da  Vii^lio. 

32  Fendendo  i  drappi  ee.,  Btrao> 
ciaodole  ndl'  indignazione  le  vesti  iUa 
loee  della  verità .  al  subentrare  della 
rajjioae  svanisce  il  prest  gio  dei  seov, 
e  il  vino  comparisce  nella  soa  vera  de- 
furmità. 

31-55.  fvoM  flioeeki.  Int.  ren» 
Virgilio,  com'è  nstnrale  ch*ei  fiaceaii 
dopo  svegliato.  — Jlmen  tre  Voci  «e., 
cioè,  slmeno  per  tre  volte  ti  ho  chia- 
mato. 11  testo  Burtulin.  porta  noa  ¥•• 
riante  assai  notabile  di  questo  ternarie, 
leggendorisi  cosi  :  lo  volsi  §tt  aedi 
ed  hwon  «Mesfro,  e  mentre  Vociò  eomt 
dieetee:  eurgi  e  vieni;  TVovioi  tm 
portm  per  la  qua!  Cu  entros Smmih^ 
vai,  ee. 

86.  Altre  edts.  V  aperto,  fmr  io 
guai,  cioè  l'apertnra. 

37.  ermi  §ià  pioni  te.:  i  protà dal 
aacro  mtmte  erano  illnminata  dd  aelt 
giè  alto. 

89.  oHe  rmlrpreaegiiivaoo  il  viaf* 
gio  da  levante  a  ponente;  e  perciò  è 
chiaro  che  il  sole  P  averaoe  dietro  U 
spalle. 


23.  !•  tolH  UUiSO  te.  Uliase.  se- 
i  peoAj  per  D<»n  essere  sedotto 
éoà  cMle  Mie  sirene,  si  fece  torare 
c««  cera  le  orerchie,  e  legare  all'  albero 
Arila  mano:  donane,  o  qui  il  Pofta  fa 
periva  la  sirena  da  mentognera,  o  per 
le  aireaa  intendendo  la  v<  luttè,  allnde. 
cmne  Seo  il  Lombardi,  alle  Insinglie  di 
Giret,^lle  qnaK  Ulisse  fu  vinto  e  t*> 
mite  per  pia  d'un  anno  oeiramoroao 
Uccie.  —  «Bimnlii  vago,  navigaxione 
errante  qna  e  là .  viag'tio  senta  ceiie 
twiae.  —  La  Ics  voUi,  che  è  del 
B^,  del  Viv.,  de' 4  C«d  PaUv.,  e 
d' aluì ,  aà  è  piaduts  pie  della  eom. 
trmaot  sagaWa  da  piò  d'nno. 

23.  s'ama,  st  addomestica. 

28.  «ma  dotuia.  Forse  questa  doHia 
e  la  aanta  Verità  amira  agli  nomini ,  e 
•caiea  di  falsità  e  di  lusinga  Pnè  an- 
eli'asacr  la  grasia  ìlInBunante,  la  solita 
LflKÌa. 

27.  ÌAÈmghetto,  appresso,  vicìae. 

28-29.  O  Virgilio  oe.  Son  parole 
Mia  SanU  Donna.  —  fieramente,  eoa 
ferie  risentimento.  —  ed  ei,  VirgiKe. 

88  fmre ,  sempre,  sema  pnale  r^ 
moverii  ;  o  anche,  solamente. 

81.  JL'affra  er.:  la  donna  onesta 
prenfleva  V  altra.  Alcuni ,  fra' quali  il 


380 


DEL  PURGàTOBIO 

Come  colui  che  l*  ha  di  pensier  carca, 
Che  fa  di  sé  on  mezzo  arco  di  ponte; 

Quand*  io  udi':  Venite,  qui  si  varca: 
Parlare  in  modo  soave  e  benigno, 
Qiial  non  si  sente  in  questa  mortai  marca. 

Con  r  ale  aperte  che  parean  di  cigno, 
Volseci  in  su  colui  che  si  parlonne, 
Tra  i  duo  pareti  del  duro  macigno. 

Mosse  le  penne  poi  e  ventilonne. 
Qui  lugerU  affermando  esser  beati, 
Ch*  avran  dì  consolar  V  anime  donne. 

Che  hai^  che  pure  in  ver  la  terra  guati? 
La  Guida  mia  incominciò  a  dirmi, 
Poco  ambedue  dall*  Angel  sormontati. 

Ed  io:  Con  tanta  suspizion  fa  irmi 
Novella  vision  ch*a  sé  mi  piega. 
Si  ch*  io  non  posso  dal  pensar  partirmi. 

Vedesti,  disse,  queir  antica  strega. 
Che  sola  sovra  noi  omai  si  piagne? 
Vedesti  come  V  uom  da  lei  si  slega  ? 


45 


60 


bi 


60 


42.  Che  fa  di  iè  ee.,  cioè,  che  va 
colla  persona  alquanto  curvata. 

45.  in  questa  mortai  marea,  in 
questa  regione  de' mortali:  marea  per 
regione  è  usato  da  molti  anticlii. 

46-48  Con  l'ale  aperte...  Voi- 
ieei  in  tu  ee.  Aprendo  le  ali  e  drizzan- 
dole dov'  era  la  scala,  colui  che  si  par- 
lonne, l'Angelo,  volteei  in  tu,  ci  av- 
viò so ,  Ira  i  duo  pareli,  tra  le  duo 
sponde  del  duro  sasso. 

40.  e  ventilonne,  e  d  fece  vento. 
Con  questo  ventilare  dell'Angelo  vien 
cancellato  nella  fronte  del  Poeta  il 
quarto  P,  cioè  il  peccato  dell'accidia. 

50.  Qui  lugent  ec.  Arfoiinando  es- 
iire  beali  coloro  che  non  si  stanno  ne- 
ghittosi negli  a[p,  e  indifferenti  per  le 
cose  dell'anima;  ma  s'aifatirano  conti- 
nui per  l'eterna  salute .  e  piangono  le 
miserie  proprie, e  la  cecità  d'un  mondo 
pazzo  che  ride. 

51.  di  consolar  l'anime  donne 
che  on  giorno  avranno  le  anime  loro  gioco  delia  quale  ne'  gironi  ehe 
donne,  domine,  padrone,  pusaedilrici,  sopra  il  nostro  capo,  e  ai  qnali  ora  an- 
di  eontolar,  di  consolazinoe.  È  tradotta  dreroo,  piangono  gli  avari ,  i  goloii ,  i 
la  amtenza  di  Cristo  ;  Bea«  ^ui /u^enl;  lussarìoai,  i  quali  purgano  appanto  il 
fuoniam  ipti  eonsvlafmnlur.  folto  bene  da  loro  amato  e  tefuito. 

ì>2.  che  pure  ec:  che  contiou  a  CO.  come  l'uom  da  lei  ti  ileget.  So 


guardare  in  terra, mentre  le  Duove 
se  che  si  preparano  ti  dovrebbero  far 
fretta. 

54.  Poco  ambedue  oc.  SottiatMi- 
di  :  e.<tendo.  Cioè,  saliti  poco  al  di 
pra  dell'Angelo. 

55  Con  tanta  tutpixion ,  così 
spettoso  e  sospeso.  Il  Cod.  Pogg.  «o- 
tp&uion. 

56.  Novella,  di  fresco  avuta. —  ms 
piega,  mi  trae  a  sé. 

57.  dal  pensar  partirmi,  cioè,  ri- 
trarmì  dal  pensare  ad  essa  visione. 

58.  Vedesti...  quell  antica  flfv- 
ga  ec-  Arceima  alla  hi  ulta  donna  ve- 
duta da  lui  poc'  anzi  in  sogno,  <•  che  è 
figura  ,  come  qui  dice  ,  dei  tre  paecati 
capitali  di  che  resta  a  parlare,  avarìzia 

fola  e  lussuria.  Virgilio  prova  qni  ai- 
Alunno  quel  che  già  più  volte  gii  ha 
detto,  eh'  eì  vede  tutto  ciò  che  si  pina 
nella  mente  di  lui. 

50.  Che  tota  tovra  noi  ee.  Par  ca- 


CANTO  DECl&IONOrrO. 

Bastiti,  e  batti  a  terra  le  calcagno, 
Gli  occhi  rivolgi  al  logoro,  che  gira 
Lo  rege  eterno  con  le  rote  magne. 

Qnale  il  falcon  che  prima  a'  pie  si  mira, 
Indi  si  volge  al  grido,  e  si  protende, 
Per  lo  disio  del  pasto  che  là  il  tira; 

Tal  mi  fec'  io,  e  tal,  qaanto  si  fende 
I^  roccia  per  dar  via  a  chi  va  suso. 
N'andai  infìn  dove  il  cerchiar  si  prende. 

Com'  io  nel  qointo  giro  Ini  dischiuso,  (*) 
Vidi  gente  per  esso  che  piangea, 
Giacendo  a  terra  tutta  volta  in  gìuso. 

AdhasU  pavimento  anima  mea, 
Sentia  dir  lor  con  si  alti  sospiri. 
Che  la  parola  appena  s' intendea. 

0  eletti  di  Dio,  gli  cui  sofTriri 

E  giustizia  e  speranza  fan  men  dori , 
Drizzate  noi  verso  gli  alti  satiri. 

Se  voi  venite  dal  giacer  sicuri. 


381 


65 


75 


wtm  ■kf*,  M  M  ]ib«rt ,  come  ti  i  TÌsto, 
per  l»ilMÌo  della  Mpienza  e  per  la  gra- 
na, cIm  fliana  trelano  la  turpitadiua  e 
ì  daaai. 

ei.  Bttia  te.  T\  basti  aver  cii 
Tcdulo,  a  penta  ora  ad  affrettare  il  paa- 
to,  f  kalki  a  Urrà  le  rairagne, 

€2-e3.  CU  occhi  ritolgi  ee.  Ri- 
v«lgi  gli  occhi  air  iovito  che  Dio  ti  fa 
■Malraodoli  le  bclK-zze  delle  caletti  tfa- 
rt  dM  iotomo  egli  ti  gira.  Il  logoro  è 
^«d  rìchiaiiio  fvUo  di  penne  a  m«>do  di 
■■'  ala,  cao  che  il  fiilcooiere  tuule  ri- 
chiaotara  il  falcime.  Dio ,  come  altrove 
M  dieta,  collo  tpeltacolu  sorprendente 
dei  deli  richiama  continuo  m  allo  la 
Mente  e  il  caer  oottro  dalla  basta  a  tor- 
Ma  terra. 

54  Quale  il  falcon  ee.  Quatta  ti- 
aHitudine  cvrritponde  alia  metafurìca 
parala  logoro  «tata  ne'  precedenti  ver- 
ai.  Il  mirarti  ai  piedi  prima  di  proten- 
étni  è  atto  oaturale  del  falco. 

65.  ei  grido.  Sultinteodi  del  falco- 
■iere.—  ft  protende,  ti  tporge ,  o  ti  la 
•vasti. 

67-6S.  e  lai,  e  co^^  fatto.coti  diritto, 
a  pronto.  —  quanUo  ti  fende,  per  tutto 
«•elio  tpaiio ,  che  é  tra  le  due  tponda 
étW  incavato  aoole. 


69.  in/in  dove  il  eerchiar  ti  pren- 
de,  cioè,  fin  dove  si  coraincia  il  moto  lo 
carchio:  all'  opp(«to  di  quello  cha  fa- 
ceto  taiendo,  cb'  era  per  linea  ratta  : 
il  che  vaol  dire  tino  alla  eomiea  ,  al 
ripiano. 

70.  fui  ditehiuto,  fai  all'aperto, 
parche  talcodo  era  stalo  serrato  tra  la 
sponde  del  matso. 

f  )  Quinto  girone. 

73.  A  Ihmtit  ee.,  v.  del  talmo  418. 
Con  quetle  perule  confcaeano  quella  ani* 
me  l' adesione  che  ebbero  alla  coaa  far* 
rene,  alle  rircliezz<>. 

76  to/Jrin....  taliH.  GÌ' iofiniU 
de'  verbi,  urcmrMovi  l'articolo,  furono 
dagli  antichi  ridotti  a  numi ,  non  solo 
per  il  ting.  rha  t*  usa  tuttora,  nu  ancha 
per  il  plur. 

77.  E  giuslisia  e  tperan%a.  Int.: 
i  cui  eoffriri  (patimenti)  riitcooo  ma- 
no aspri  a  supportare  nel  coosidenra 
che  lete  e  la  giustixia  delle  vostra  paaa 
ed  il  premio  che  io  cielo  atpettato. 

78.  gli  alti  taliri,  la  alta  scala. 

79.  Se  voi  teniU  ce.  Son  la  parola 
che  risptinde  uno  spiritai  alle  paròla  di 
Virgilio.  Sa  voi  qni  venite  limrri  dalia 
pena  cha  qui  ti  toffre,  cioè  dallo  altra 
volti  in  gin  ce. 


ut 


XBL  PUEGATOftlO 


E  vo!ete  trorar  la  via  più  tosto, 
Le  vostre  de^re  sìen  sempre  di  lorL 

Cosi  pregò  il  Poeta,  e  si  risposto 

Poco  dinanzi  a  noi  ne  fn  ;  per  eh*  lo 
Nel  parlare  avvisai  I*  altro  nascosto; 

E  volsi  gli  occhi  allora  al  Signor  mio: 
Ond*  etii  m' a^eenti  ooo  lieto  cenno 
Ciò  che  chiedea  la  vista  del  disio. 

Poi  eh*  io  potei  di  me  fare  a  mio  senno, 
Trassimi  sopra  quella  creatura. 
Le  coi  piirole  pria  notar  mi  fenno, 

Dicendo:  Spirto,  in  coi  pianger  matura 

Quel,  sanza  il  quale  a  Dio  tornar  non  poossi, 
Sosia  an  poco  per  me  toa  maggior  cara. 

Chi  fosti,  e  perché  vòlti  avete  i  dossi 
Al  su,  mi  di ,  e  se  vuoi  eh*  io  t*  impetri 
Cosa  di  là  ond'  io  vivendo  mossi. 

Ed  egli  a  me:  Perchè  i  nostri  diretri 


90 


^ 


8t .  Le  vottre  dutre  ee.  Vaol  dire  : 
teaetovi  tempre  ■  destra:  il  che  facendo 
avreblKro  aTuto  srmpre  a  dntra  l'eRler- 
Do  del  montr.  —  di  furi,  per  ài  fòri, 
scambialo,  come  spesso,  l'o  in  ss. 

a4 .  Nei  portare  avtisai  l'mitrm  no» 
itOSto,  Ecco  come  spirgs  quettto  l«o^ 
il  Costa  :  •  i'tUtro  noicotto  :  cioè,  Tal- 
tro  pi-nsiero  n•^enstu,  non  i^presao  eoo 
parole.  Colui  che  risponde  a  Virgilio 
nostra  e>  Ile  sue  pan>le  di  sapore  che 
t  due  Poeti  non  erano  per  purgare  ivi 
il  peccato  dell'  avarizia  ,  ma  dà  ladizio 
di  credere  (e  questo  è  il  pensiero  na- 
tcosto)  che  Dante  fosse  uno  spirite 
•ciolte  dal  corjio.  •  Ma  oueata  spiega- 
fìone,  che  è  pur  di  tutti  i  coineNiatorì, 
è  vuota  di  eoni'ettn ,  p«*rchè  eei  tamente 
h>  api  ito  rfc«'  giaceva,  eviiie  s«ipra  ai 
dice,  tutto  volto  a  terra,  e  aderente  al 
ptvim«*nto,  uon  poteva  vedere  la  nuova 
cesa  d' un  viro  in  quel  luogo,  e  far  c»> 
nw  gli  altri  le  sue  mariui^lie  :  dovea 
crMere  n^tuialmente  che  tutti  qoelN 
cbe  per  di  le  pmsMvano  fonerò  aniine. 
E  sa  nostre  di  eapere  che  essi  «tio 
TWtavano  in  quel  cerchio  a  purgar  l'a- 
Tiriria,  gitel'avea  già  detto  Viigiiio  rul 
dk^andarlo  della  atrada  per  pruaefui- 
ro  il  TÌaggio.  Il  eolo  Torelli,  eb*io  a»|H 
pia,  ha  ben  iotcM.  Eoao  il  aenao  éà 


yerto:  nel  parlare,  o  mentre  sentiva 
parlare,  mevitmi,  poai  ■enle  allVIIra 
enea  che  mi  era  uaseaela,  cioè  al  p«^ 
IftBle,  che  atando  bine  asta  io  bmi  pa> 
teva  vedere,  ma  che  scoperti  aagw- 
tendo  il  snono  della  vnea.  U  vaaao  9# 
eem prova  queata  spiegaànoa. 

85.  B  volti  gli  eedri  miiarm.  Cmà 
leggo  col  Cod.  Caet.  e  il  Fat.  54€.  La 
com.  p<»rta  K  Vf»W  gli  otdù  m§H 
al  iigntìr  mio;  kc.  cb'ie  laaci* 
tieri  echi  la  vuole. — CenqnesU* 
ta  Dante  pregava  Virgilio  cbe  gii 
dease  di  and.ire  a  parlare  n  qneU'nnii 

87.  Im  vitlm  del  éiei;  ì 
desiderio  che  ai   faoevann  vi 
Yulto  mio. 

90  U  emi  pmroU  «e.  Vi 
pra  quella  creatura  ,  cui  mi  foan  B^ 
tare  il  suono  del  parlare  ;  n,  cbe  in  W^ 
tai  mentre  parlava. 

94  -ftt.  m  CSM  piémgtr  m.,ìmmk 
il  pianto  opera  ,  compiace  yaMn  pn^ 
gazinne  ee . 

93.  5ofl/a.  affrena ,  fiui  wmggiùr 
cura,  la  cura  di  pi.ingerc  le  tnc 
per  soddisfate  alla  giustizia  divina. 

95  Jim.  atrio  sn. 

96.  J<M,nelaHMidndni 
moni,  mi  partii. 

97.  dirtlri,  dnni, 


CAUTO  BBClMOMHrO.  3g3 

Rivolga  il  cielo.a  aè,  aaprai:  ma  {Mima, 
Scias  guod  ego  fin  raceessor  Pani. 

Intra  Siestrì  e  Cbnrinerì  a*  adima  loo 

Una  Gumana  bella,  e  del  s«a  nenie 
Lo  titol  del  mio  sangue  ia  soa  «ima. 

Un  n\e?e  e  poco  pie  prova'  io  come 

Pesa  il  gran  maolo  a  chi  dal  fongo  il  guarda, 
Che  piuma  «enribran  tutte  l' altre  some.  I05 

La  mia  conversioDe,otmèl  fa  larda: 
Ma,  (ome  &uo  fui  Roman  Pastore, 
Cosi  aoopersi  la  vita  bugiarda. 

Vidi  che  lì  non  si  quetava  il  core, 

Né  più  salir  potiesi  in  quella  vita;  i  io 

Perchè  di  que^  in  me  s' acce^ìo  amore. 

Fino  a  quel  punto  misera  e  partita 
Da  Dio  anima  fui,  del  torto  a>  ara: 
Or,  come  vedi,  qui  ne  son  punita. 

Quel  di'  avarizia  fa,  qui  si  dichiara  115 

In  (urgazion  dell*  anime  converse, 
£  nulla  pena  il  monte  ha  più  amara. 

98.  Ritolga  il  cielo  a  sé,  Toglia  405.  dk«  piuma  te.  SoUiot.:  che 
•1  ddo  ricolti  ■  sé.  pesa  ti,  rlie  re. 

99.  Sciat  te,:  ci«è,  Mppi  eh«  io  4U8.  iavita  bmfiarda,  inganoatii- 
foi  avccmure  di  Tictro.  Qanti  è  Otto-  e«  nelle  •ui*  pri>nietM,  inquanluebè  la 
kono  dlc'PirMhi  conti  di  Lavagna,  poo-  felirìU  che  fa  sparare  nel  pmaeilimeato 
tifice  ttÀ  mome  di  Adriano  V  ,  morto  dei  beni  lerrem  n«n  naoUeno.  E  de 
•el  1279,  ^araota  ^orui  dopo  la  wmè  dice  perrhè  né  aocbc  io  q«el  pollo  »  dì 
dcsiooo.  che  aia|*|p<»re  non  ètulla  terra,  ai  soo 

490*401.  Sioitri  r  Chiaveri.  Due  trovò  conientw  il  suo  rooro. 
tarr»  M  GciM»«es«to  nella  nviera  di  le-  140  poliefi.  <t  polie.voea  anliipia- 

TSBla.  ^ 9'aéiwta.  8'av\alla  , «rorre  al  ta,  ai  potrò.   PnUmi  il  Cod.  Puogiati. 
baaoo.^0M  fimmano,  il  rianir  Lava-  44  4     Porche  ee.,  per  la  qval  etat 

fM oéel  omo  mmu  Lo  titol  oe.  :  %'  aeeeae  in  me  1*  aaioro  di  qaarta  fila 

a  il  lititlo  della    mia    famiglia  (i  kit-  apintuole  ed  Hema. 
■Mta  dei  tornii  di  Lorogita  forae  dai  442  parlata,  diviaa. 

fiMiad  cibo  e4la  ebbe  lnng«i  qurl  fio-  445-416  {fmel  ok'otmritim  fam. 

■e)  fm  orna  tima .  o  /f  «uà  cima,  co-  GK  effetti  dei  l'avariata  nella  noola  a  Bel 

wo  lofgo  Beavcnoio,  dti  tmo  noia  ;  coora  de^i  oomini  «mnio  didiiarati  o  ai- 

doè,  aeeuod»  ebe  «pifgano  tolti,  preode  gnilirati  tu  /mrga»ùm,  cioo,  mA  aodo 

mm  primeipio,  ano  angine,  dal  none  con  che  si  pargaiMti|oi  le  animo  «ommt* 

di  ^Milo  iusM  :  ovvero,  come  io  indi-  fa.ei«>é,chr  da  t\uvt  viaio  si  coavartiraM. 

•arei  a  apirgaro  :  e  del  iuo  notmo  il  Alcuni  preiMlfm»  il  eowooraa  ia  aaaao  di 

molo  dot  wUo  imngue  fan»  wm^tor  molto  in  giù  :  ma  non  bona,  eba,  ehwafcè 

CWifo.  ama  gloria.  qiMota  idea  %rrrrbbe  ripetala  loata^pii 

4tlt-4«M   t7  gran  mowlo,  n  moolo  aotlo.  le  «lae  parole  pmirgatiam  o  MR- 

Mpale.  —  tome  Peto,  quanta eoOa  di  torto  Marebbrro  V  sua  adl'akri. 
talira  a  ehi  dal  fango  il  guarda ,  a  417    piit  amara  ,  porttoedkè  tra 

ibi  vuol  a4«lrorrlo  nrlla  »aa  dignità,  a  laro  nrgalo  fio  aoeo  il  veder*  il  dolO| 

I        aerVarlo  paro  dalle  brattare  della  terra.  Terao  cai  ai  sealouo  taoto  ìnKamaala. 


P^*^^^^^^! 

381 

lEL   PUB 

.„o.,o 

^ 

E  vo'ete  trovar  la 

via  più  tosto. 

■ 

Le  vostre  delire  sien  sempre  di  fgri. 

Così  preaò  il  Poela,  e 

sì  risposto 

^^H 

PoL-o  dinanzi  a  noi 

nefn;  perch'io 

^^H 

Nel  parlare  avvilii 

r  altro  nascosto; 

^^H 

E  volsi  gli  occhi  ullora 

b1  Signor  mìo: 

^^^È 

Ond'elli  m'a*«nii 

con  lieto  renna 

Ciò  che  chiedea  la 

vista  del  disio. 

^^^M 

Poi  cf  io  polei  di  me 

rare  a  mio  senno, 

^^^M 

TraBsimi  sopra  quella  crearura, 

^^H 

Le  cui  piirole  pria 

notar  mi  tenoo, 

90 

f 

Dicendo:  Spirlo.  in  cu 

■i  pianger  malora 

Quel,  .'iaaza  il  quale  a  Dio  tornar  non  puos^i, 

Sosia  on  poco  |«r 

me  tua  maggior  cori 

1.                            1 

Chi  fo^^ij,  e  perchè  vòlti  avete  i  dossi 

^J 

Al  EU,  midi,  e  se 

vnoi  eh'  io  t' impetri 

■ 

Cosa  di  lù  ond'  io  vivendo  inosai. 

^n 

Ed  egli  a  me;  Perchè  : 

i  nostri  direlri 

81,   U 

\VBilridetlTtfc.\an\  ilire: 

«™,:    Diri    p.rl..B,    0 

menlrt  wnliit 

IcacMvi  HI 

Bpr><<l»'ri>!Ìlcb<[i»i>do 

pnrlor..  .[.ìh.*,  ^ 

RiMiU  nllUl» 

nulo  «pmpM  *  dnlta  l'mlor- 

B,  riniti  par- 

Md.lm«ii 

Lh-.  — iK/'bH,  p«dJ/Bri. 

"•■""-"  P* 

•«n>U.io, 

II...  .e.ler>,  aio   At    ■ 

iFOpcm   Hni- 

84 .  UH  piwlBT»  «p&ai'  r.U«  m- 

Und..i1  tHno  dtlU>n«.   Il  •«ai.  M 

ttothi.  Eo 

:„  «im.  tpn-g.  ,,i„l.,  lu^B» 

nmw. 

_              ÌIC«U:. 

rolIrDMKOrta.-doe.l'.l- 

Vi.    E  volri  Ilìaca 

Uallm.  IM 

■              lr.p..»i»r 

D  DM .-Up,  nan  .ipnv»  fin 

Irgl-..  ciJCd.Cnfl.  >i 

,1  l-tt-  SIt   !.. 

K            p.n.1.  CI 

dì  che  riijHnda  ■   Vi.|^lia 

<»»..p»rl.SWn(„H. 

«*i«^«*l 

H            ntolr.  .1 

altJ^nrurb.-tM-eV 

i.l«^>rin» 

V        idotrxni 

Don  crino  per  |.iirg.re  in 

beri»ét,l,f«.At.—€m 

■                i1p«»U< 

l«ll'Hi'>ili,i»rti  -kIrìo 

In  UnM,  p«.R.v.  Virjil»  d»  rU  M*» 

JicT«l*re 

|t  4«»t>   *  il  ftatxtf:  0»- 

d«.'di<i«l..r>>n>rl.r' 

..-.II'™-. 

lOMt.)     eh 

■    Dani*   f-OH   ■«  «inrl* 

ST    lt,rula4tl4ÌÉU.  >  Hf*  dd 

•oMtaM 

eorp..  .  Mi  >|-.«i>  ^cp- 

d<..d«io  dh.   .   tM«. 

IH    »d«Ml 

■iOB..  Ar 

inntadi 

.-U.-..p,rrl„„„.,«,n.. 

eo    UnJpn'sIi 

«.    Vtadw- 

b  .rr  it> 

A.  ji,™,,  „.,„  *,p,.  .i 

ai^i.."- 

.<>l>».W.....drr.»l..l 

l,re!l..,.n-drfp.rl.r. 

<;.,  .b>itll<>- 

p.™;-.., 

.  non  polni  yririi  l«  nuot> 

«i  n«,.„  p.H.r 

«M  J'sn 

Ti»  in  ^oA  kiBio,  (  hr  to- 

91-lH,  <•>«••  pilli 

1    ::j^L:^ 

1   l<  iiH  nitrii' in  li  II  i  ifnt 
nidioonle  At  Inlli  ^n^lK 

■             cb.  p.rrii 

""m'smIb.  .»«« 

,  (M.in«rl>r 

■               E  M    .«< 

ih  a  (iiwie  (be  «ni  Bin 

..  1.  Z'^r, 

V           r««.«>,i 

K  qarl  cnThm  ■  pargnr  l'i- 

^.'.d'i.™"  .lirsiu,! 

ni.  dlTIM. 

™         *.ri>»,  gnd'.t«  pi  d,iu.  Vi,  rii»  ™i 

W     J<H..II'.D.. 

jMii><l.ri»  ddl.  UriclN  p*r  jimtaui- 

06.  M  U.  liti  ««Ida  d*  .ÌT«IL— 

r>  il  n»r 

o.  lindo  Tar.llLrb'i.t.,^ 

p»,i>.K, 

n  inloo.  £«M  il  «gun  did 

tì7'.KH"'jw.l, 

•cbHIM. 

CAUTO  BBClMOIKnrO.  383 

Rivolga  U  cieloa  aè,  aaprai:  ma iRima, 

Scias  quod  tffo  fin  tuceessor  J^$$rL 
Intra  Sies^tri  e  Chhrv^ri  a'  adlma  100 

Una  fiumana  bella,  e  del  s«a  nenie 

Lo  titol  del  mio  sangve  ùl  saa  <:iffla. 
Un  mese  e  poco  pin  prova'  io  come 

Pesa  il  gran  manto  a  chi  dal  fongo  il  guarda, 

Che  piunna  «ennbran  tutte  l' altre  some.  f05 

La  mia  conversione, oimèl  fa  larda: 

Ma,  (ome  fdUo  fui  Roman  Pastore, 

Co8i  aoopersi  la  vita  bugiarda. 
Vidi  che  lì  non  n  quelava  il  core, 

Né  più  salir  potiesi  in  quella  vita;  i  io 

Perchè  di  questa  in  me  s' accese  amore. 
Fino  a  quel  punto  misera  e  partita 

Da  Dio  anima  fui,  del  tutto  avara: 

Or,  come  vedi,  qui  ne  son  punita. 
Quel  eh'  avarizia  fa,  qui  si  dichiara  115 

In  I  urgazicn  dell'  anime  converse, 

£  fìuila  pena  il  monte  ha  più  amara. 

98.  Ritolga  il  cielo  a  sé,  Tooflia  405.  che  piuma  «e.  SotUot.:  che 
il  delo  ri\nlti  •  sé.  pesa  rt,  rlie  re. 

99.  Sciai  ce.:  ei«è,  Mppi  che  io  4U8.  imtUa  hwgiarda,  inganottii- 
fn  saccrsftt>re  di  Piotr».  Qarati  è  OUo-  e«  oeJle  suf  proinetM ,  inquanluchè  la 
kooo  de'Fieschi  muti  Hi  Lavagna,  pno-  feliriU  rbe  fa  lorrare  nel  pmaedimeoto 
Icfica  col  nome  di  Adriano  V  ,  mwto  dei  l»f  oi  lerreiM  n«o  «aoUefia.  E  &h 
oel  I27(,  «|«araDta  giurili  dopo  la  ava  dice  perrhè  né  aocbc  ia  quel  paalo,  di 
«Icziooe.  che  «af»|if*<>rc  nun  è  sulla  tarra,  ai  aoo 

4a0«4ei.  SitMtri  r  Chiaveri.  Doa  trovò  con  lento  il  suo  mora, 
tarra  del  Gen«»vesi«to  nella  nv»era  di  le*  140  policft.  ti  po(ie,voea  aiitì<|aa- 

vaola.  —  t'adima.  s'avvalla  fSeorra  al  ta,  ai  potea.   i*»tfa$i  il  Cod.  Pnagiali. 
baaao. —  C7iui  /Itnnana,  il  lianie  Lava-  441     Perché  ee.,  per  la  q«M  aaat 

goa.  —  e  dei  iuo  mime  Lo  titol  ae.  .*  a*  accese  in  me  T  anora  di  qMgla  nla 

a  il  titolo  della    mia    famiglia  («liia-  spiriluale  ed  eterna, 
nata  dei  conti  di  Laragna  forse  dai  442  partita,  diviaa. 

poaaeasi  che  ella  ebbe  Inngii  qurl  fi«-  445-116  ijael  ek'aMoritim  fa§e. 

me)  fa  tma  dmm ,  o  fr  tua  cima,  co-  GK  effetti  deiraverkia  nella  «Mnla  e  Bel 

me  \èfp,e  BeiiTennio,  del  nm  mewta  ;  em*re  degli  aomini  tMNie  dicbiarali  a  ai- 

cioè,  seetmdo  che  spiegano  lutti,  preade  gnifirati  tn  /»siry«aton,  cioèf  wd  OMido 

avo  principio,  saa  origine,  dal  none  eon  che  si  pnrgaiM*i|M  le  anima «oMWf- 

di  queato  fiunta  :  orveru,  come  io  ìhcI'h  aa. cit«,che  da  qui'l  viaio  si  coavartiraao. 

•arci  a  spiegare  :  a  del  fuo  noma  ti  Atcum  premiMno  il  eiinvoraa  m  aaaaa  di 

Idolo  del  mio  tangue  (a  eoo  mm§§ior  «olla  t«  gin  ;  ma  nun  bona,  che,  «Itradiè 

tante,  tna  gloria.  qvcaia  idea  verrrbbe  ripetala  laalaqai 

4oa-IU4.  il  gran  manin,  n  manto  sotto,  le  due  parale  pmrgoiiam  a  m»- 

( capale. —  tome  Peto,  quanto  casta  di  «arsa  »tareb4M>ro  I'  «uà  aell'akri. 
allea  a  cki  dal  fango  il  guarda,  a  417    p<è  amara,  perciaeaiié  tra 

(hi  vuul  sifstrnrrlo  nrlla  saa  dtgnitè,  a  laro  ■«•gal»  fin  anco  il  vcdera  il  cialO| 

«erbario  poro  dalle  brattare  della  terra,  ietto  coi  si  seatooo  tanto  roKaoioMla. 


1      ^^^^^^^^H 

■ 

F 

Si  come  l' occhio  nostro  non  s"  sderEo 
In  allo,  Hitso  alle  cose  lerrene, 
Cosi  eÌQSlìzia  qui  a  [erra  il  merse. 

Come  avarizia  spense  a  ciascun  bene 
Lo  noslro  amore,  onde  operar  perdési, 
Cosi  giustizia  qui  slrcili  ne  liene 

Ne'  piedi  e  nelle  man  ledali  a  presi; 

1 

■ 

E  qaanto  Qa  piacer  del  giusto  Sire, 

iti 

■ 

Tanto  staremo  immobili  e  dii'Iesi. 

m 

lo  m' era  ÌDgìnorchialo,  e  volea  dire  ; 

Ha  com'  io  cominciai,  ed  ei  s' accorso, 

Solo  a,scoltaDdo,  del  mio  riverire: 

* 

Qual  cagion,  disse,  in  giù  cosi  li  torse? 
Ed  io  a  lui:  Per  vostra  dignitate 
Mia  coscienza  dritta  mi  rimorse. 

Drizza  le  gambe,  e  levati  so,  frate, 
Rbpose;  non  errar,  conservo  sono 
Teca  e  con  gli  altri  ad  una  potesUte. 

Se  mai  quel  santo  evangelico  suono. 
Che  dice  Ne(fvt  nubent,  inlendesti, 
Ben  puoi  veder  percU'  io  rosi  ragiono- 

Valtene  ornai;  non  vo'  che  più  l'arresti, 
Che  la  tua  stanza  mio  pianger  disagia. 
Col  qual  maturo  ciò  che  tu  dicesti. 

f 

140 

H8-I 

lig.naitt-a^wJnallo.i.on      Jim»lri  «»r  dcliil»  d' 

sgai  Crùliu» 

*ÌrìT.'1», 

iiDD»islevè>1<ic<lo.  lìilp«.[.      UT»crir<  ari  »a.<iio 

poDMfica  il  Ti- 

iiaitrg, 

ire.  —  fila.  iMtnl.  ttando.      oirio  .liGnùCrnta, 

m. 

423. 

OHdt  npiTarsTdèii  Perde,     le  ur-Jc  dell'Anela  *  G 

iunooì  utll'i- 

ridcr.  .d«.r- 

■             fi'Sr 

tì  «Mn  mcriliTi*,  c<'iue  non      ^ralrum  Iiunin. — ad 

unafwiMMto. 

■                  F»I>  «HT 

dll  fiiulo  Sin,  dì  Dia.                    137.  Ni<rHi  milwnl 

■ 

.fimi*  di  G(» 

■                   t». 

7DHVa.-|vinacch>al0.D.i>-      Crlibi  •!  Sid  ducei  p<rr  Ir 

•rli  d>l|-ii>|U>- 

■             UBolr. 

i»a  qn«l'*ll0  qninla  r.Huc  ]•      no  io  cui  Erio»  cl.«  m.'ll' 
cha  igli  icvi  il  uuimo  p<.a-     lera  niirìiiKinj.  Qui  Adi 

.L.n»  vii*  Im- 

r»au  nule  «MI 

■             t^<«. 

irOpD  dulia  Chini.                    sw  piroli   [it  cMiiprt' 

Ddi>c>  (In  tili 

V 

Sala  ucùUwmda  ,  nlo   per     o»naD  muri..,  ann  a. 

1  più  d.  «IS- 
di«,>»pì. 

■               «Jir«  l> . 

HI  «u»,  e  nun  per  ■•dar  n».      dtr.ni  ewix  Ctuo  della 

— >M«for»(r<r>.  del  win  .Ur  rìre-     gli  *"  du'iiu  qudli  re 

.«.u»;  iiirip 

r«>l*.L'i 

inin>i»*r«>ruc1i«DinUi'ora      idagni  lulU  ni»lrt  dì» 

dilunlirpiùaroHllparolD.      h  lulli  iMiHKrvi  (d  ani 

pulaUI*  1  Mii 

130. 

,uaìctitff«T. 

_                     133. 

wi  riiwiTH-  U.wi.dn  th.  .d      W,  Anixna  i  IHo. 

^             iivi^^t 

..  —  dita^. 

L 

(tu,  liei,  uà  tl»rU  M  [.Iti,          i-ll .  Coi  «uot  noli 

ttvtHeU  Im 

CAlfTO  DECIBIOIfONO.  38S 

Nepote  ho  io  di  là  e*  ha  nome  Alagia, 
Buona  da  sé,  parche  la  nostra  casa 
Non  faccia  lei  per  esemplo  malvagia; 

E  questa  so!a  m' è  di  là  rimasa.  14à 

^^^mU:  coropÌMo  la  pnr^aiìoM,  eoma  445.  B  quetia  iola  m'è  di  là  ri- 
^  «iìccsti  poc'anii.  Vedi  il  Tersoci.  nuua.  E  questo  sola  degli  altri  miei 
_  4A2.  Alagia  ,  della  famiglia  dei  conaaDgeioeiè  rìmaato  io  vita.Conqoe- 
f^v^ti  Fieschi  dì  Genova ,  fn  moglie  di  ito  ricordo  il  papa  mostra  desiderio  che 
"<>roelIo  Ualaspioa  march,  di  GioTa-  Alaoia  aia  mossa  a  pregare  per  lui,  et- 
S^lo.  figlio  di  Manfredi.  ieodo  ella  tale  da  poter  far  salire  a  Dio 
443.  bmona  da  ii  .  huoBa  in  tè  prece  Ch9  tytrga  tu  di  cor  che  in  grtk- 
iaa«  per  propria  iadMe.  Jiim  «toa. 


CMNTO  mSSnEMMMO, 


LtteltU  Pmpm  Aeriamo,  «  mmHimtmdé  ftr  fmtl  eenkio  U  «mmmtmc,  odomo  mH^amlmm  rbww 

mtemiU  mtàiU  •am^  et  wirtm  9mtrmU  aWAwmritim.  A  M  Damtt  s'opprttta,  •  rieàiutaU 

«>A<  tim  •  ptnàii  §alm  MmM  ^mii  fmM,  n'od$  «sttr  Ugo  Captf,  •  mimi  JUrm  iiiwHtiwa  mM  9ifJ  • 

•««(te  imi^Èiii  étUm  «m  «iMMifmM.  Fa'  to  «W^TO  '«"'  ^""  éamtmda,  •  gii  cita  gU  ttmapj  cA» 

C«  matm  A  H  ripHtm»  a  tvrar  étH  atoH.  S*  ma»  d  tmomt»,  «  «'«fui  dm  itM*  furU  um  coatte» 

nféBmUaaMOf  oadt  miUTAUthitH  ài  ét$u  mmpamgnf  é*tidtH»  di  tamoutr  la  tatioaa  di  umla 

Centra  miglior  voler,  voler  mal  pogna; 
Onde  centra  il  piacer  mio,  per  piacerli, 
Trassi  dell'  acqua  non  sazia  la  spugna. 

Mossimi,  e  il  Duca  mio  si  mosse  per  li 

Luoghi  spediti  pur  lungo  la  roccia,  i 

Come  si  va  per  muro  stretto  a*  merli; 

Che  la  gente  che  fonde  a  goccia  a  goccia  . 

Per  gli  occhi  il  mal  che  tutto  il  mondo  occupa. 
Deli*  altra  parte  in  fuor  troppo  s*  approccia. 

4 .  Coiiira  miglior  nolerec.  In  Dante  ghi  (un^o  la  roccia,  Inngo  il  dono  del 
erano  a  contrasto  due  voleri ,  o  due  dcei-  monte,  i  soli  tpoditi,  cioè,  non  eecnpali 
deij  :  Fano  di  trattenersi  ancora  un  pcH    dalle  anime  distese  al  suolo. 

co  a  Mrlar  con  papa  Adriano  :  raltro,di  6.  Copte  ti  va  te.  :  come  chi  cam- 

rtKdire  alF  intimazione  da  lui  riceruU  mina  sn  la  mnra  di  ooa  fortena  ai  tiene 

d' aaderaene ,  perchè  gli  facea  perdere  stretto  ai  merli  per  non  cadere  dal  Uie 

un  tempo  preiioao.  Ma  come  questo  te-  che  è  acnxa  riparo.  —  tiretto,  lo  prea- 

lere  era  il  migliore  e  il  piò  discreto ,  derei  qui  per  arverbio  nel  aeoso  ai  rm- 

trìeiiA  sa  V  altro,  seblx'ne  innocente,  tenie. 

di  fodiafare  la  propria  curiosità.  Quindi  TS.Cki  lagente ee.: pMc^ lageoto 

le  sentenza,  rbe  on  volere  mal  ai  metto  che  piangendo  f.mde  fnon  insieaae  celle 

e  contrastare,  non  deve  coczare,  contro  lacnme  Ù  wml  che  tallo  il  mondo  oe- 

OD  volere  migliore.  eH^ ,  cioè ,  V  avarizia. 

5.  Tratti  dell'acquate.  Parlare  tf.  Dalf  altm  parte  in  faorea.: 
allegorico  che  vale  :  nariii  colla  brama  troppo  si  avvicina  alla  parto  esterna  del 
di  sepere  non  soddisfatta ,  di  Ih ,  onde  monte  che  è  senza  riparo,  onde  non  re- 
io  poteva  saper  tutto.  itova  a  noi  spaiio  da  camminar  libera- 

4-5.  per  li  Ituujhi  spediti,  pei  ke-    mento  da  quella. 


V, 


o 


^r       386 

^P  Maledetta  sie  lu,  antica  lupa, 
^B  Che  più  cbe  iiille  l'altre  he.'^tie  ha!  preda, 

^1  Per  la  Uia  Tame  sema  une  capai 

^M  0  del,  nel  mi  girar  par  che  si  creda 
^M  Le  condiiiijD  dì  qua^iù  trasmutare, 

^1  Qoando  vorrà  per  cui  qne^ta  dlscedaf 

^B  Noi  andavam  co'  passi  lenti  e  scarsi , 
^M  Ed  io  alterilo  all'ombre  ch'i'Eenfia 

^M  PieJasameDte  pianger  e  lagnarsi: 

^^  E  per  i-entvra  adi':  Dolce  M«ria: 
^^  Dinanzi  a  noi  t^hiamiir  ro")  noi  pianto, 

^^t  Come  fa.  donna  che  in  pnrtorìr  sia; 

^B  E  seguitar  :  povera  To^ti  tanto, 
^H  Quanto 'veder  si  pnò-pcr'qBairiOspizìo, 

^M  0\e  sponesti  il  tuo  portato  fante. 

^H  S^aen temente  interi:  0  buon  Fabrizio, 
^H  Con  povertà  volesti  anzi  vìrtute, 

^1  Che  gran  ricchezza  posseder  con  viaio. 

^H  Quelle  paro'e  m' eran  si  piaciute, 
^H  eh'  i'  mi  trassi  oltre  per  aver  contezza 

^F  Di  quello  spirto,  onde  parean  venute. 

Esso  parlava  anror  della  lar^'hezza 
Che  fbre  Niccolao  alle  pulcelte, 

IO.  antica  lupa  Lupainllrtapnlli     che  questi  li  {naa.  Vedi  PHCf., 
qui  l' itirini,  perclit  >I>  tMim  «muli     la  XXXtll. 

inviil'n  del  it)H.4*.   Ho  IT.   ird  la,  wllial.  fra. 


CANTO  VBinrESIMO. 


387 


35 


40 


Per  condurre  ad  onor  lor  giovinezza. 
O  aDÌma,  che  tanio  ben  faveile. 

Dimmi  chi  fosti,  dissi,  e  perché  sola 

Tu  queste  degne  lode  rinnovelle? 
Non  fia  senza  mercé  la  tua  parola, 

S*  i'  ritorno  a  compier  k)  cammio  corto 

Dì  quella  vita  eh*  al  termine  vola. 
Ed  egli;  V  ti  dirò,  non  per  conforto 

eh*  io  attenda  di  là,  ma  perché  tanta 

Grazia  in  te  luce  prima  che  sia  morto, 
rfui  radice  della  mala  pianta. 

Che  la  terra  cristiana  tutta  aduggia 

Si,  che  buon  frutto  rado  se  ne  schianta. 
Ma  se  Doagio,  Guanto,  Lilla  e  Bruggia 

Potesser,  tosto  ne  saria  vendetta; 

Ed  io  la  cheggio  a  lai  che  tutto  giuggia. 
Chiamato  fui  di  fé  Ugo  Ciapetta: 

Di  me  son  nati  i  Filippi  e  i  Luigi, 

Per  cui  novellamente  é  Francia  retta. 
Figliuol  fili  d*an  beccaio  di  Parigi. 

di  Miri  dotò  tre  fanciulle  che  per  fran  die,  (H:iU|iditf  parla  per  fona  a  parte 
povertà  erano  in  pericolo  di  menare  con  false  tns>n(;be  da  Filippo  il  Belle 
dàaMcsU  vita.  —  ktrgheua,  Urgo  oeiraqoo  4299.  Doagio  dieetì  oggi 
dono. 

aS.  degne  lode,  lodcToli  CMmpj. 
—  rinncvelU,  riprli. 

59.  Di  quella  tita,  della  tiU  moiw 
iìtìa^  che  fugge  com'  umbra,  e  di  eoi  ho 
|ià  cotto  la  metà. 


Douai,  Guanto  GmoA,  Bruggia  Bro|ca. 
47.  Potetser,  toifo  ee  liU.:  te  eo- 
tali  città  aveuero  forte  toffieienli,  -^^ 
Rf  Maria  tendetla,  te  ne  vedieLbo  la 
vendetta.  Queste  parole  di  Ciapetta  no* 
ttranu  denidfrìo  di>lla  aconritia  o  oae- 
40.  mom  per  conforto  ee.  JioaptT'  ciata  de' Franei>«i  dalla  Fiandra,  che 
dkè  io  aperi.  ravvivando  tu  la  momorìa  avvenne  nel  4302,  cioè,  duo  coni  dopo 
di  ma  ne  mei  discendei.ti,  che  essi  sieoo  l' iramaginaria  venuta  di  D^iDte  al  l*aiw 
per  far  pieglurre  in  mìo  prò;  chà  dì  gatiirio,  a  prima  che  egli  tcriveaao  U 
tott'  altro  che  di  morti  s' occupan  etti.  Poema.  —  n$  fariam  vendetta  legga 
44-42.  fonia  Gratta,  quale  qoclla      il  Damrl!o 


di  venir  vivo  nel  re{;nu  de'  morti. 

45.  radice, princìpio.  —  «ietta  mala 
^anta,  della  mala  famìglia  de'  Capeti 
re  di  Francia.  Costui  che  parla  è  Ugo 
IlagDo  doca  di  Francia  e  conte  di  Pan- 

S',  padre  di  Dgo  Gapctta  primo  da'  re 
ipetingi. 
44.  fa  f^rra  crvfìana  tutta  adug* 
già:  doè,  porta  noci'vole  umhia,  reca 
gravisaimo   Documento   alla  terra  cri- 


45.  u  ut  tckianta,  se  ne  coglie. 
46  Doafto.  Cuaiif/>,f e.  Queste  toao 
alcune  delle  prinii|>ali  citte  della  Fiali* 


48  r^e^^fopercJbfnfo,  dtll'antiq. 
cluirre  o  ckeggere.  — .  a  lui  che  tutta 
giuggia,  cii»e,  a  Dìo.  che  tutto  giudica. 
Ciyggiare  èittti*  dal  proveniale/ii(/ar, 
eonvrilila  in  g  U  lettera  J 

52  Figtimtl  fui  d'un  beccaio  e$. 
Per  et>nvturrrsi  qu.iuto  sia  f^lsa  l' lOl- 
potazionoddla  per  taluno  al  sottro  Poe- 
ta, ch'egli  «bbia  altiibnitn  (|Deste  vile 
(•ligine  ai  Cnj'i-ti  a  ttf^go  dell'odio  tpo 
ctiutiii  Filippo  il  6«'llo  e  Carlo  di  Va- 
lois.  si  li'gga  quel  che  lascia  arnlto  sa 
tal  Oiiiteiia  I».  \ìIìmhi,  storico  caHdidit* 
»imiif  nel  lib.  1\ ,  al  cap.  5  delle  tao 


388  DEL  PURGATORIO 

Quando  li  regi  antichi  venner  meno 
Tutti,  fuor  eh' un  renduto  in  panni  bigi, 

Trova'mi  stretto  nelle  mani  il  freno  S§ 

Del  governo  del  regno,  e  tanta  possa 
Di  nuovo  acquisto,  e  si  d'amici  pieno, 

Ch'  alla  corona  vedova  promossa 
La  testa  di  mio  figlio  fu,  dal  quale 
Cominciar  di  costor  le  sacrate  ossa.  eo 

Mentre  che  la  gran  dote  Provenzale 
Al  sangue  mio  non  tolse  la  vergogna, 
Poco  valea,  ma  pur  non  facea  male. 

Morìe  Fiorentine,  e  dì  Ti  apptrìrk  cbe  rona  a  sao  figlio  Ugo  Capeto.  La  soe- 

qvella  proveoienia  dì  Ugo  il  grande,  eeaeioae  poi  dei  re  fiaoceaidopo  Carlo 

aebbene  dimostrata  oggi  favuluea,  era  il  Semplice  è  questa:  Baool,  o  Radnlfn, 

creduta  a  quel  tempo  dai  più.  Ed  è  ere-  Lodovico  d'oltremare,  Lotario  e  Carlo, 

dibile  che  questo  errore  nasrene  dal-  Lodovico.  Y,   Ugo   Capeto,    coronato 

1*  avere  avolo  la  Casa  d'  Ugii  il  privile-  nel  9S7. 

sìo  di  provvedere  la  città  di  Parigi  delle  56-S7.  taniapona  Dimuavo mequi- 

oettte  da  macello,  o.  come  suol  dirai ,  sto:  tanta  potenza  per  posetw  novi- 

il  grand'  appaltn  drlle  carni.  mente  acquisitati. —  e  ai  d'ami  t  pieno: 

SS.  Il  regi  antichi^  intende  la  di-  cioè ,  e  mi  irotai  sì  pieno  d'  amici,  di 

naatia  de'  Carolingi.  partigiani. 

54.  fuor  eh'  un  renduto  in  panni  58.  alla  corona  vedova  ec*  cioè, 

higi.  La  storia  non  dice  ug|;i  <P  alcuno  vacante  per  la  morte   di   Lodovico  V, 

dei  Carolingi  che  al  tomp.-  dì  Ugo  Ma-  oltìmo  re  de'Carlovingi.  —  di  WDÌo  fr 

gno  fosse  rónduto  in  panni  diyi,  cioè,  y/io,  di  Ugo  Ciapetta. 

socondo  la   comune  8|iip|]azione ,   fosse  60   te  taerate  otta  ec.  La  atirpc 

divenuto  monaco.  Può  ei»»i're  che  così  reale.  Pn  mie  figuratamente  le  o«a  per 

si  credesse  volgarmente  al  ti>mpo  di  Dan-  le  persone  ;  e  le  dice  locrofe  percuè  i 

le,  nato  l'equivoco,  com'è  probabile,  re  aono  Mcraii  perla  santa  ontiono. 

dalla  fuga  e  reclusione  del  re  Carlo  il  61 -G3  Jfmlre  c^  la yrvn^ole  «e. 

Semplice  nel  rantello  di  l'croiine,  ove  Finché  I' accrrsciinmto  della  potenzt 

EM  mori.  Ma  potrebbe  anche  essere  cbe  per  la  dote  provenzale  non  fece  la  aia 
ante  colla  frase  renduto  in  paimi  bigi  stirpe  aodacf  e  sfrontata,  Poco  vaUm, 
non  aveue  per  nienti*  voluto  acn-niiare  cioè,  non  atea  gran  virtù,  ovvero,  era 
a  professione miinastica,  ma  per  pciim»  scarso  il  suo  potere,  ma  almeno  noo 
è/^i  Mellificata  I'  umiliazione  e  la  mise-  noccva  ad  alcnii^t,  si  conteneva  nel  do- 
na a  cui  fu  ridotto  Carlo  il  Semplico,  vere.  La  dote  che  qui  si  accenna  8<Nio 
tome  per  somigliante  metafora  si  no-  le  ricchezze  e  gii  sluti,  prima,  del  conte 
bina  M  porpora  a  denotare  lo  spien-  di  Tolosa ,  che  andarono  alla  Franrìa 
dora  della  foituna  e  1'  impero*  e  que-  per  il  matrimonio  della  sua  figlia  con 
sta  supposizione,  che  nirlierebbe  meglio  Alfonso  fratello  di  S.  Luigi  112*28);  poi 
d'arrunlo  il  Poeta  colla  storia,  e  mollo  quelli  di  lUimondo  ISerlingWrì  conte 
favurita  dalla  variante  redutto^  invece  di  Provenza,  lasciati  da  lui  per  teata- 
di  renduto,  che  è  di  due  Cod«l.  Mare.,  mento  all'  uJtitna  di'llc  sue  figlie.  Bea- 
del  Trivig  a  del  Baitolin.  Mj  comoo-  trice,  sposala  nel  I24a  a  Carlo  d'Angiò 
qoe  ciò  sia,  il  fatto  sta  cbe  durante  il  altro  fratello  di  S.  Luigi.  ChianMii 
regno  di  questo  Carlo ,  morto  nel  920,  grande  quit.tJ  dote  noo  tanto  per  q«el 
Ugo  Magno  gettò  i  fondamenti  di  qnclla  die  era  m  se  htena,  quanto  perchè  fu 
grandezza,  che  31  anno  dopo  la  sua  alla  rata  di  Francia  meno  t  grtndì 
morte,  avvenuta  nel  V56,  fruttò  la  co-  acquisti  o  nsurpaziuoi. 


CANTO  VENTESflIO. 


389 


Li  cominciò  con  forza  e  con  menzogna 

La  sua  rapina;  e  poscia,  per  ammenda,  65 

Ponti  e  Normandia  prese,  e  Guaspogna. 

Carlo  venne  in  Italia,  e  per  ammenda, 
Vittima  fé  di  Cnrradino;  e  poi 
Bipinse  al  ciel  Tommaso,  per  ammenda. 

Tempo  vcgg*  io  non  molto  dopo  ancoi  70 

Che  traggo  un  altro  Carlo  fuor  di  Francia, 
Per  far  conoscer  meglio  e  sé  e  i  suoi. 

Scnz*  arme  n*  esce,  e  solo  con  la  lancia 
Con  la  qual  giostrò  Giuda;  e  quella  ponta 
Si ,  eh*  a  Fiorenza  la  scoppiar  la  pancia.  75 

Quindi  non  terra,  ma  peccato  ed  onta 

64.  Li  comineiò  con  fona  ee.:      yenoe  in  Italia  •  t*  impadronì  del  re- 

SDo  di  Sicilia  a  di  Paglia ,  discaccian- 
one  Mtufredi ,  cha ,  morto  Currado , 
•e  n'era  fatto  signora.  —  ViUima  fé: 
cioè,  Mcrificò  alla  propria  ambixiona  a 
■icnreiza,  dandogli  morta,  Curradiso 
figlinolo  di  Currado  a  legittimo  «rada 
di  qnellt  corona. 

09.  Ripinte  te.  Rispinia.  rieaceiò 


In  Propensa  medetiraa  comiociò  parta 
con  TÌolensa  parta  con  frode  a  spiegare 
la  Msa  insssiabile  cnpìdigis  a  rapacità, 
facendo  tristo  governo  dei  Prureniali , 
cba  pretto  sentirono  la  difTerama  cha 
era  tra  il  bnon  conta  di  Tolosa  Bm- 
nondo  a  il  fiero  Carlo  d'Angiò.  Questa 
connetto  è  torcalo  anche  al  Canto  VI  del 


Par.  V,  130  Olii  spiega  li  per  da  ^«mI  S.  Tommaso  al  cielo  (a  Dìo),  d'onda 
Uwupo,  non  avverte  al  poteia  per  nm-  tutte  le  anime  provengono.  Fn  detto  cba 
mmda,  che  suppone  una  rapina  speciale     Carlo  per  opera  di  un  suo  medico  fi 


fià  accennata  avanti.  È  diriìrile  del  resto  aTrelenara  onesto  santo  filosofo  per  ti- 

acfordara  tutto  ciò  che  qni  dice  il  Poeta  mora  di  averlo  contrario  ai  suoi  desiderj 

«00 P istoria ogf*i  conosciuta  deirefran-  nel  concilio  di  Lione;  ma  anco  qnasto 

ccù.  La  Normandia,  per  es.,  fu  congni-  fatto  non  è  ben  certo ,  par  quanto  ne 


sta tadaFilippoAngnsto  molti  anni  avanti 
la  4ot»  Pru9€n%ale.  Forse  vuole  inten- 
dersi che  fu  ripresa  novameiite  agi'  In- 
gìcn  che  Pavean  riguadagnala.  E  ciò  por 
sia;  mi  ad  ogni  modo  se  qualche  discra* 

Sinu  pia  qua  o  piò  là  s'incontri,  non 
ee  far  maraviglia,  quundo  riflettasi 
alla  gran  difficoltà  che  s'avea  in  quei 
tanpi  dì  rintracciare  il  voro  delle  cose 
OTrenute  in  età  e  in  lunghi  remoti  dallo 
«crittora.  Chi  leggendo  la  Ditina  Com' 
mudia  non  fa  ragione  dei  tempi  e  degli 
atndj ,  chi  confonde  il  XIX  secolo  col 
XIV,  o  s'aggirerò  disperato  in  un  labe* 
liuto,  o  storcerò  mirtrramente  la  oito- 
nle  significaxione  delle  parole. 

05.  ptr  ammenda  Cio(,  per  fera 
Ammendi  di  nna  colpa ,  ne  commise 
un'altra.  E  qnrsto  ripete  più  folte  per 
dara  mngfvior  fonte  all'ironia. 

66.   Fonti,  Pvnlhim  in  Piccardia. 

€7-08.  Carlo.  Carlo  duca  di  Angiò 


potesse  esser  corsa  voce  a  f  uel  tempn. 

70.  non  molto  dopo  ancoi,  non 
lontano  da  quest'oggi. 

74-72.  «m  altro  Carlo.  Carlo  da 
Valots,  venuto  in  Italia  nel  tSOI  .—Per 
far  amotcer  §e.  InUrndi  :  per  far  me- 
glio conoM-ere  la  sui  malvagia  natura 
a  quella  dei  suoi. 

73-74.  Senz'arme  ee.:  senza  eser- 
cito esce  di  Frsncia,  e  solo  srmato  dalla 
lancia  con  cui  giostrò  Giuda,cioè,iI  tra- 
dimento. Carlo  venne  in  Italia  con  eoli 
500  cavalieri  e  con  multo  cortegno  di 
baroni  e  di  conti.  Fn  inviato  da  Dooì- 
fasio  Vili  i  Pi  reme  come  paciero  :  sotto 
aelore  di  liordìnare  la  citta,  ingannò  i 
Pifventìni  e  gli  afflisse  con  ogni  maniira 
di  estorsioni  e  di  crudellò. — pontm,9§' 
grafa,  spinge. 

75.  Al  icoppiar  la  panno,  Totaa- 
4ala  di  densri  e  dei  migliori  cittadini. 

70-78.  Qnindi  ee.:  da  questa  lut 


Guadagnn'à,  per  se  lanlo  \>ìù  grave, 

Quanto  più  lieve  sìtdÌI  danna  conta. 
L'allro^che  gié  usci  preso  di  nave, 

Veggio  vender  sua  figlia,  e  patteggiarne, 

Come  fan  li  corcar  dell'  allre  schiave. 
0  avamia,  che  puoi  (□  più  Tarne, 

Poi  e'  liai  il  sBi^ue  mio  a  le  si  tratto. 

Che  non  sì  cara  della  propri 
Perchè  men  paia  il  mal  ruturu  e  il  fallo. 

Veggio  in  Alagna  enirar  lo  fiordaliso, 

E  nel  Vicario  suo  Cripto  esser  callo. 
Vegplolo  un'  allra  volla  es?er  deriw; 

Veggio  rinno^  ellar  1"  aceto  e  il  fole, 

E  Ira  noo^  ì  ladro 
_    0  il  nomo  Pitale  si  ci'udele, 

Che  ciò  noi  saii>,  mii,  senza  deorelo. 


Jlllflta  (in  rifiatili,  (iUl 
|;nr  di  llnaii  |  |),iuindu  U  iiurfui 
(ul  fordotito  (ri'l  giàl>«,  amt  di  t>>>ii 
cì«l,  j  f.i  (rigi..™  iTiittrìo  Ji  CtiUa. 
Bniiiliiiii  \lllTu  lUiDneiMiluwl  1303, 
per  ur.Upi  di  niin-  il   Bdlx  n  ii 


I  •fir.  .<1  <. 
7    !■•"«  mm  f  of«  «e.  E  .(-     , 

ndcoll  fai«ijgf  «  ufUu  «lu      lì-w  D(rlntiib.>|4i  <i>pE)i«ti>Mj.("«u, 


CAIVTO    rtRTESIMO.  39 1 

Porta  nel'tempìo  le  cupide  vele. 
0  Signor  rnìOi  qtiando  sarò  io  lieto 

A  \eder  la  vendetta,  che  nascosa  9ò 

Fa  dolce  Tira  tua  nel  tao  i<egreto! 
Ciò  dì*  r  dicpa  dì  qnell'  unica  sposa 

Dello  Spirito  Santo,  e  che  ti  fbce 

Verso  me  volger  per*  alcuna  chiosa, 
Tanlf  è  disposto  a  tutte  nostre  p^ece,  ioo 

Quanto  il  di*  dura;  ma  ..quando  s'annotta, 

Contrarìo  suon  prendemo  in  quella  vece. 
Noi  ripetiam  Figmalion  allotla, 

Cui  traditore  e  ladro  e  patrìcida 

Fece  la  voglia  sua  deir  oro  ghiotta  ;  105 

E  la  miseria  dell'  avaro  Mfdà, 

Che  segui  alla  sua  dhnanda  ingorda, 

Per- la  qual  sempre  coovien  che  si  rìda. 
Del  fòlle  Acam  ciascun  poi  si  ricorda, 

Come  Turò  le  spoglie,  si  che  V  ira  ilo 

Di  Josuè  qui  par  che  ancor  lo  morda. 
Indi  accusiam  col  manto  Safira: 

mI  4807,  nel  poDlìGcato  dì  GtrnenteV.  ordIiniU  per  cornane  pcegfcièrt  e  medi» 

E  fserto,  e  non  eltio,  è  il  tempi»  \u  faiNHw  ananto  énm  il  giorno  —  pr»e§ 

cw  ilcffvdclced  avtrore  PorlmUatr  il  plai-ile  è  sccoodo  la  Icnniiiai.  lai. 

pUt^th.  jM^VM»,  a  co»  nei  prineipj  dalla  fingna 

f5-M.  tmfBtnéenm,  et.:  tioè,  la  a' andare  ■traCtaroeDte  dwt/v.  Goal  lét- 

fnJetta,  dir  Dascnaa  ma  crrta  na'teM  tura  il  pernio,  fo  «oea,  le  gnUé,  le 

aMrdi  ginditj  addolcisce  l' ha  im  nelle  erocf.  er.  Qualche Qod.  pere  bt  MUla 

•mw  cà«  ncvTÌ  dai  peccatori.    Iddio  notira  prece. 

■aa  anniari  isbita  chi  INiltragigia,  per*  108.  Rigwutiiam  amnastè  a  trftdi> 

cfaè  è  oiann,  e  il  tao  sdegno  è  tempra-  mento  per  scie  di  riccbene  Sidieo  a«o 

todalte  fiala  d'una  Tradetia  che  naa  sio  e  oiarilo  di  Didonc  sna  propria  ao- 

poè  fagginrii.  Ma  qncstr  cspmeioni  che  rella . 

acBtooo  defl'vea  umano,  si  Togliona  in-  106  K  la  mUeria  ieirataro  Ifff- 

Icrpretare  discretamente.  dei  Si  sa  the  costui  chiese  grafia  agli 

fi.  CU  eh'  f  tficaa  ee.  Daslr  ha  Dei  che  tutto  che  loccaaaa  si  camblaaac 


chiesto  ad  Dga  due  cose.  Pi  imamnlt     in  oro.  Fu  esandito  :  e  in  meoo  all'aro 
qaal  feaae  la  eonditione  di  lui  :  pascià     lo  stolto  ti  moriva  ni  fame. 


perchè  foaae  egli  aolo  a  lodare  ({li  eaen-  109  Aram  t)nmo  giudeo,  che,  ea- 

pj  di  poTcrtè  e  di  liberalità   Òli  la  aa*     scmlon,  contro  il  ronieodamrnto  dilKo, 
da  prime 


pera  da  primo  che  ivi  simili  eaemm  ri  approprìaiii  parte  della  preda  fatta  ndla 

lodaranvaolamente  il  giomo,  e  clic  la  citte  di  Gcnrn,  fu  lapidato  per  ordine 

notte  ri  predicavano  inveev  i  gastighi  di  fTio^oè    ihri  fotte  Àeam  ameorm  ti 

della cnpidigia.  — di qaeiTuniem epa-  ricorda,  il  Vat.  5199.  E.R- 
MI  «e.^di  Mina  Vcrgina.  Vedi  enpra  III   lo  «orerò,  lo  rìmprofcri  a  la 

verao  21  «aag.  punisca 

99.  per  Amma  ehioM,  per  avana  4  f  3   eoi  «larfto  Safhrm  :  Anania  e 

qualche  apiegazione.  Safira,  aegnari  degli  Anoaloli ,  vollero 

400.  TùmV  è  ditpoflo  ee.  Qnri  tali  ritemrri  in  aerhi  parte  del  preso  di  ma 

f»empj  di  poterti  e  di  aslioena  tono  loro  campo  venduto,  a  far  credere  a 


39S  DEL  POAGATOEIO 

Lodiamo  i  calci  eh*  ebbe  Eliodoro  ; 

Ed  in  infamia  tutto  il  monte  gira 
Polineslor  che  ancise  Polidoro.  il» 

Ultimamente  ci  si  grida:  Crasso, 

Dicci,  ché'l  sai,  di  che  sapore  è  l'oro. 
Talor  parliam  l' un  alto,  e  i'  altro  basso, 

Secondo  V  affezion  eh'  a  dir  ci  sprona. 

Ora  a  maggiore,  ed  ora  a  minor  passo.  120 

Però  al  ben  che  il  di*  ci  si  ragiona. 

Dianzi  non  er'  io  sol;  ma  qui  da  presso 

Non  alzava  la  voce  altra  persona. 
Noi  eravam  partili  già  da  esso, 

E  brigavam  di  soverchiar  la  strada  m 

Tanto,  quanto  al  poder  n'era  permesso; 
Quand*  io  senti',  come  cosa  che  cada. 

Tremar  lo  monte  :  onde  mi  prese  un  gielo, 

Qual  prender  suol  colui  eh'  a  morte  vada. 
Certo  non  si  scotea  si  forte  Delo'  i30 

Pria  che  Latona  in  lei  facesse  il  nido 

A  parturir  li  due  occhi  del  cielo. 
Poi  cominciò  da  tutte  parti  un  grido 

Tal,  che  '1  Maestro  in  ver  di  me  si  fco, 


L  FicCro  cKe  queflo  ch«  gli  offriTioo  ne  spìeearon  la  testt,  e  la  porlanmo  il 
otta  F  iotera  aomma.  L'Apostolo  o«  li  loro  re,  che  le  versò  in  boccn deipara 
^àò ,  e  dennnxiò  loro  istantaneo  il     liqneralto,  dicendo  :  D*  oro  aTetti  Mta^ 


S. 

fotaa 

•gridò 

gaitigo  della  menxogoa  e  della  aTarìiia.  oro  bevi. 

Vedi  gli  Alti  Àp.,  cap.  V.  1 18.  Talor  parliam.  Qni  Ufol«- 

4l3>445.  £/ÙM(oro  fa  mandato  da  ice  di  uMldisriire  al  Pi>eUciret  la  at* 

Seleaco  re  di  Siiia  in  GeniMl«-mme  per  conda  domanda.  —  l'um  allo,  ini.  ia 

«inrpare  i  tesori  del  lenpio.  Pose  pieda  alto  suono.  Talor  parla  Citmo  ailo,  il 

entro  la  sacra  soglia;  ma  tosto  gli  ap-  Vatie.  3199.  E.  R. 
parre  un  nomo  armalo  sopra  no  cavallo,  420.  Ora  a  maggior  «e.,  era  cm 

che,  Ini  percnU*ndo  coi  calci  ,  lo  co-  maggiore,  ora  con  minor  forta. 
strìnse  a  fuggire  shigotlito  e  colle  maoi  421 .  al  ben  che  il  di'  te.:  ai  baam 

vote.  —  Ed  in  infamia  ee.  Intendi:  e  esemp]  di  pu\erlii  e  di  liberalità,  dei 

in  tutto  qnel  cerchio  del  monte  si  ram-  quali  ani  si  fa  menzione  il  giorno, 
menta  l' infamia   «li  Polinnesti>re.  Co-  423.  ftWj^acan.ci  sollecitavamo.— 

str.:  B  PolinesUtre,  cioè  il  nome  di  lai,  di  goverekiar  la  itrada,  di  avaniarci 

gira  in  infamia ,  infamato,  per  tutto  nel  cammino.  Soverchiar  la  ilrada, 

il  monte.  Costai  fu  re  di  Tracia.  De-  vool  dire  percorrerla,  giungerne  a 

cise  Polidoro .  figlinolo  di  Pi  iamo  che  capo    È  il  modo  lai.  tuoerare  iter» 
gli  era  stato  dato  in  costodia  con  pai^  430.  Delo,  i&ola  dell'  Areipclaga , 

te  de'  regi  tesori  durante  V  assedia  di  anticamente,  &ei-ondo  che  oerra  Virgi- 

Troia.  Ho,  errò  agitala  e  natante  per  la  oada  . 

416  Craito.  È  qaesti  Marea  Cras-  ma  dappoiché  fa  rìreito  di  Lalaa^  dM 

aa,  di  famoaa  rìccbcua  a  avariiia.  Morì  ivi  partorì,  sì  fermò. 
Bella  sua  infeliee  spadinooa  anatro  i  452-  /<  ifiseoecAiee.  Apollo  a  Dia- 

Parti.  I  nemici  tro? ttona  il  cadavara  aa,  cioè  il  sole  e  li  Inaa. 


CANTO  VENTESIMO.  393 

Dicendo:  Non  dubbiar,  mentr*  io  ti  guido.  135 

Gloria  in  excelsis,  tutti,  Dea, 

Dicean,  per  quel  cb*  io  da  vicin  compresi, 

Onde  intender  lo  grido  si  poteo. 
Noi  ci  restammo  immobili  e  sospesi, 

Come  i  pastor  che  prima  udir  quel  canto,  i40 

Fin  che  *1  tremar  cessò,  ed  ei  compiési. 
Poi  ripigliammo  nostro  cammin  santo. 

Guardando  V  ombre  che  giacean  per  terra, 

Tornate  già  in  su  1*  usato  pianto. 
Nulla  ignoranza  mai  con  tanta  guerra  445 

Mi  fé  desideroso  di  sapere, 

Se  la  memoria  mia  in  ciò  non  erra, 
Quanta  parémi  allor  pensando  avere: 

Né  per  la  fretta  dimandare  er*  oso, 

Né  per  me  lì  potea  cosa  vedere.  i60 

Cosi  m*  anda\  a  timido  e  pensoso. 

-1 36 .  Gloria  in  emeeltU.  PriBÒpto  etm  ttmta  giurré.  IbC.  :  Non  mti  alcana 

<«3«irinao  canuto  dagli  Aogidi  nella  ignoranza,  se  io  ben  mi  ricordo,  ac- 

liaacita  di  Gesù  Cristo.  eompagoaU  da  tanta  gnerra  dMmpazien- 

457-438.  per  quel  ch'io  ee.  CoaCr.  te  cnnoaitk,  qnanfara  quella  cba  pa- 

«int.:  Per  quel  ch'io  coropreai  da  Inoyo  reami  aenlire,  penaando  al  tremar  del 

'?idno d'onde  il  grido  si  potè  inieodere.  monte,  mi  fece  desiderar  di  aapara,  per 

440.  Come  %  paelor ,  ee.  Coma  i  quietare  il  mio  animo.  Qnalcba  taalo 
pnalorì  in  Betlemme  quando  udirono  legge  così  :  JVu/te  igmormtuM  wtM  co- 
qnell'inno.  tanta  guerra  Mi  fé,  Jeeiderando  di 

441.  ai  eompièti^   compieiai ,  ai  sapere  ee. 

conpi  qnelIMnno.  Abbiaoi  veduto  già  450.  A'éperma  li  potea  eoaa  «#• 

parlami,  perdèti,  fuei,  invece  di  par-  dere.  Né  da  ma  poteva  di  anello  aeno- 

lommif  ee,  timento  comprendere  coaa  alcana,  aloè, 

445-448.   Kulla  ignoranza  mai  intendere  quel  ne  foasa  la  cagiona. 


CAIinrO    W  JKJWTUSOIOPRIIIO. 


Mtmtn  I  PmH  t'mjfniuuf  9tn0  te  setta,  ti  tmtom»  talmtmrt  ém  Mm*tmkrm  db  éUtn  hm 
rmIfM.  La  qumU  rùmlutala  dal  eprr«M  Mamtewmmo,  9  mppagatm  éeitt  mm  étmumée^  palma,  1 
sta,  la  aagUma  étl  trottar  dtl  atetu,  cM  tUa  tia^  ad  miemmt  tata  dalla  ama  alUh 


La  sete  naturai,  che  mai  non  sazia. 

Se  non  con  1*  acqua  onde  la  femminetta 
Samaritana  dimandò  la  grazia, 

4-5.  La  teU  naturai  ee.-.W  nostro  gU  darò  non  atra  Mete  in  eterna; 

naturai  draiderio  di  sapere  e  d'ioteoda-  nella  quel  acqua  era  significata  la  dB- 

re,  che  mai  non  può  sasiarti  sa  non  per  Tina    aapieoaa   procadaata  dhl  Dio  a 

3oelFacqna  salutare  cbe  la  SamaritaM  condnranta  a  Dio,  nella  cai  Tiaiooa  aò- 

omaudò  a  Gesù  Cristo  di«po  eh?  ebbe  lamanle  può  appagarli  1*  umano  ialol- 

dttto:  Chi  beterà  dell^ acqua  ch'io  letto. 


39i 


DEL  PCKGÀTORIO 


BK  trtvagHava,  e  pongémi  la  fìrtta 

Per  la  impacciata  via  retro  al  mio  Duca, 

Fcondblièroi  alla  giusta  vendetta. 
Ed  ecco,  si  come  ne  scrive  Luca, 

Che  Cristo  apparve  a' duo  ch'erano  in  vìa, 

Già  sorto  fooT  della  scpuicral  buca, 
Ci  apparve  un'ombra,  e  dietro  a  noi  venia 

Dappiè  guardando  la  turba  che  giace; 

Né  d  addemmo  di  lei,  si  parlò  pria, 
Dicendo:  Frati  miei,  Dio  vi  dea  pare. 

Noi  ri  volgemmo  subito,  e  Virgilio 

Rendè  lui  '1  cenno  cb'  a  ciò  si  conface. 
Poi  cominciò:  Nel  beato  concilio 

Ti  ponga  in  pace  la  verace  corte, 

Che*  me  rilega  nell'  etemo  esilio. 
Cornei  diss^  egli  (e  parte  andavara  forte). 

Se  voi  siete  ombre  che  Dio  su  non  degni, 

Chi  v'ha  per  la  sua  scala  tanto  scorte? 
E  il  Dottor  mio:  Se  tu  riguardi  i  segni 

Che  quebti  porta  e  che  TAogel  proffila. 

Ben  vedrai  che  co*  buon  convien  eh'  e'  regni. 

5.  impacciata,  ingombrata  dilla     afa  in.  preferiaco  alla  cornane  :  #|»fr' 

ehi  andate  fori»  f  f  rimo.  otrM  to9^ 
tuona  con  «arj  altri  luoghi  io  cai  il  Fòt* 


ff    ^ 


tw^a  delle  anime  Tolte  ingiù. 

6.  condonimi.  Èrimprrf.deH'aa- 
liq.  eondotire^  dd  qoal  tempo  tutta  a 
tre  le  voci  sing.  per  nniformitk  di  oa> 
deonsi  finirono  anticamente  io  a.  Conr 
doleami  legge  il  Coil.  Chig. 

a.  apparve  et  duo:  apparre  dom 
la  aaa  reanrrezione  ai  due  diacepoli  roe 
andavano  in  Kmaus. 

10.  un'ombra   Sapremo  poi  chi  è. 

1 1 .  Dappiè,  al  luolo. 

12.  Ni  ci  adéenmno,  nk  é  %^ 
eorgcmmo.  —  al  parlò  pria ,  tinche 
cominciò  a  parlare:  ai  per  f fu,  H»- 
ekè. 

45.  Rendè  luil  cenno,  gli  fece 
cenno  di  ringi  aiiamcnlu  per  il  corteae 
augurio. 

4C.  AVI  beato  concaio,  Mll'ado* 
nania  de' beati  in  Paradiso. 

Al.  la  verace  corte,  la  corte  del  gio- 
dica  eterno, corte  di  TcritàiDoBaoggctta 
ad  iagaBBo. 

A.  Come!  iiifeoH  (e  Mrft  em- 
dmeem  forte)  re.  Coa^  rAntald.,  l'Etti . 
il  Marc.  51,  i  PaUv.  9,  67,  il  tetta 
Vi?., le  cdii.  di  Ful.y  Jca.  aN«p.  Esor- 


ta avverte  aimilmente  che,  per  parìarr. 
non  a*  arrralavano  ,  né  alfenlavano  il 
paaao  j  secondo,  perchè  coai  l'andàneii- 
to  pertodfco  vien  piano  a  oalnrala,  bos 
fratto  come  ncll'  altra  lexiooe  in  cui 
a'addensnno  senca  legame  tre  iatcrro* 
gaaicmi.  LVissorvazione  dclBiagiult|Che 
cuai  leggendo  si  farebbe  credere  At 
Virgilio  appena  reso  il  saluto  voltasae 
fìllanameute  le  apalle,  a  si  deaae  a  cor* 
rere,  è  più  lepida  che  vera  ;  perciocché 
chi  vieta  supporre  che,  mentre  Virgilio 
rende\a  il  buon  augurio,  Paltr'mBiBra 
ai  onisse  a  lui  e  prose.;uiuero  di  pari 
il  cammino? —  parie  anlaieam,  intan- 
to andavamo. 

2(K  f«  non  degni:  noe  degni  di  rì- 
ee? er  a«  iu  cti>lo. 

21 .  per  la  iva  tcaìa,  per  Io  monte 
del  Purgatorio,  che  è  scala  onde  ai  tale 
al  delo. 

92  I  eegni,  cioè  ì  P  aegnati  anlla 
frante  di  Dante,  de*  quali  oa  rìiMiiffvi^ 
no  ancora  tre. 

25.  profeta,  dcKoea. 


CAPITO  TEKTESIMOPAIMO. 


305 


Bla  po^ colei  che  di'  e  notte  fila, 

Non  gli  avea  tratta  ancora  la  conocchia, 
Glie  Cloto  impone  a  ciascuno  e  compila; 

L' anima  sua,  eh'  è  tua  e  mia  siroccfaia, 
Venendo  su,  non  potea  venir  sola; 
Però  cb'al  nostre  modo  non  adocchia: 

Ond'  io  fui  tratto  fuor  dell'  ampia  gola 
D' inferno  per  mostrarli,  e  mostrerolli 
Oltre,  quanto  'I  potrè  menar  mia  scuola. 

Ma  dinne,  se  (u  sai,  perchè  tai  crolli 

Die  dianzi  il  monte,  e  perchè  tutti  ad  una 
Parver  gridare  infino  a' suoi  pie  molli? 

Sì  mi  die  dimandando  per  la  cruna 

Del  mio  disio,  che  pur  con  la  speranza 
Si  fece  la  mìa  sete  men  digiuna. 

Quei  cominciò:  Cosa  non  è  che  sanza 
Ordine  senta  la  religione 
Della  montagna,  o  che  sia  (taor  d' usanza. 

Libero  è  qui  da  ogni  alterazione: 


ù: 


ÓO 


40 


83  Me  po'<»MT  ma  pnicbe  rofri 
noè  la  pam  l«arlu>u  rlif  fila  lo  alani* 
della  vita  d' ogni  uomo.  Poi  per  poìrkè 
fa  aaat»  «bra  volto  dal  IWla,  e  da  al- 
tri icrìttorì  ;  ed  è  lei.  d«ll'  Ang.  a  dì 
var|  altri  Cadd  ,  che  lio  prrfer.to  alla 
Com.  wta  poiché  /ai.  per  pimarmela 
b«M  coi  Boatrì  lerrikli  graniraalici. 

26.  tr^ta,  tirata,  tìlala  la  eoooe- 
cUi. 

27.  Cloto.  Altra  Parca  cha  al  na- 
acara  di  aiaaran  uuma  ìiiinana  §■  la 
roeca  di  Larhesi  qaclla  ^nnume  di  ata* 
■e,  daraalvla  fìlaiiira  del  quale  \«n| 
che  duri  la  vita  di  ciasruno  —  impo- 
«•«aoprappaoa  alia  mcia  -  eompHé, 
cioè,  nalnage ,  gìr«aMlu!e  intoroo  colla 
mano. 

28.  eh'  è  iua  €  mia  iirorehia-,  che 
è  d*oiia  medesima  natura  die  la  mia  e 
la  taa,  a  creata  tUI  iiio4i>stnio  Dìo. 

8U.  él  nostro  mudo  et  .*  n<m  ioten- 
àt  oè  vede  aome  noi,  poirlié  ella  échìu- 
M  nd  corpa  mortala. 

il^.  étU'mmftia  gnla  D'inf^Hmo 
dal  gran  baratro  iofernale,  di  cui  \ir- 
Ijilio  abitava  la  bacca,  rhiamuta  a  aaa 
laaga  il  llaièa.  —  per  mottrtrli  ee. 
Sottinl.  tt  camaiiBb  e  le  coae. 

33.  guanto  'I  pHré  menar  m'a 


«raoto.  Finché  potrè-  aaMrgli  gnidfc  e 
maestro.  E  fuor  d'allegoria:  io  dorè 
giun|;erè  la  niitorale  ragiooa. 

55  perthè  tuffi:  iot.  gB  apirìti 
chr  s'a{»girano  per  questo  moalv.'— ctf 
una,  ad  nnn  v<icr  o  insieme. 

36  iwfino  a'tu'H  pie  moW,  inffoo 
aMe  radici  di  esso  monte  bagnate  dal- 
l'»»rean». 

3T-Ó9.  Sì  mi  die  te.:  €ib  doman- 
dando Vir  ;ilin,  mi  iliè  si  per  fo  cruna 
Dd  mio  liisio^  colse  talmente  nel  mio 
ilosidi'rìii,  rhe  ao!o  prr  la  sperama  che 
il»  f»itrr|iii  di  soililixrarlo ,  esso  deside- 
rio ffrcw  nipn  digiuno,  meno  arido,  co- 
minciè  a  i|itir!arsi  on  poco. 

41M2  Taira  non  è  te.  Noa  tì  èeosa 
che  la  rf/t'yionelVl/amontogiM.  cioè 
il  Santo  Moiitr,  prnvi,  che  non  sia  ncl- 
1* online  e  nell'usinza.  In  ooa  parola  : 
nulla  qui  awii'ne  di  nnoto,  fuor  del- 
l' ordine  ciin<urto. 

43.  Libero  è  qui  do  ogni  altera- 
sfolta  Qui  è  libero  ^nota  il  fui  accom- 
pagnato detr  ag];ctiivo  (tòera ,  poidiè 
queiravvrrbio  rompemlìa  qunto  luo» 
go)  da  tutte  quelle  altnaiioni  a  che  ra 
stiggetta  la  terra  abitata  da;;li  uomini , 
come  di  trmaoti,  d!  fulmini ,  di  ocb- 
bfe  ec. 


H  39G 

r 

^V  i^bbIo  liiiig(icai'i:aL*«i>i 


I 


Di  quel  che  '1  cieio  in  sé  da  sé  riceve 
Esserci  puote,  e  noa  d' altra  cagìoDs: 

Perchè  non  pioggia,  non  grando,  non  neve 
Non  rugiada,  non  brina  pìii  su  cade, 
Cbe  la  scalena  de'  Ire  gradi  breve. 

Nuvole  spesw  non  paion,  uè  rade, 

Né  corrnscar,  oè  figlia  di  Taumante, 
Che  di  là  cangia  sovenle  conlrade. 

Secco  vapor  non  surge  più  avanle 

eh'  al  sommo  de'  ire  gradi  eli"  io  parlai, 
Ov'ha  'I  vicario  di  Pietro  le  piante. 

Trema  forse  più  giù  poco  od  assai; 
Ma,  per  vento  che  in  lerra  si 
Non  so  come,  quassù  non  Iremo  ii 


4t 


ani  itgnt  di  (à  per  II 
ll[lii'iidajiir'>ru,  r 


uauutìim  ionoB  *< 


t  da  l<ù  (Lll* 
Dicdniino.  k 


r.  IH  qitt 


ptrpai 

Ài.  granila.  griDdìne.  No*  tram- 
Una  o  nati  U  Cod.  Pogg. 

AH.  Clu  la  taUttla  «.  U  hrttt 
•»l(lli  dei  In  gtldi  t  i|iiclli  iftoti  )■ 
purla  di'l  PirjatariD ,  Jbib  ila  l'Aida 
«olla  diavi. 

40.  nonpalan,  bm  li  FaoaaTedfr*. 

SO'SIJV^  corrwMar.ia  l(up*niB - 

rè'a^iL'hi^ino.  Sk^A-  la'  tatoli .  Iri^ 


leùlo.  La      diTaai 


-  Che  di  le,  m 


la  nfxiilD  al  T.  SS  (  Kg.  : 


da  SI  aenla  ti,  the  urfs, 


t  libar»  d(  ogni  ailoraiivpa  -. 
i«k1  atUrattént,  far  qBtl  tt 
ritti*  tmttdaèl,  éaè  riwol 


Sreeo  vapor,  Bof  laMB  «ti- 

rk'  (D  parlai  Ji  cU  M  pillai 

la  li  lU.  Trrma  furie  et.  lai.-  la  ^H« 

a  Èf  M  molila  >uU<'|>.  tu  ai  tr>  gradi  >"P^- 

lu  11  dalli  loivlaltufu  far  UrtwaBlaaìmo- 

«DgD  fa.  —  poM  od  alimi,  ti  rìUritn  ■  f<* 

I  ™-  p»,  B..n  tAaIrtma. 

clalv  96.  tu,  prr  cnla  te.  Crrdataia 

I  tk       ttfflHU  is  IWISObilL 


CANTO  TElfTBSIMOPRIMO. 

Tremaci  quando  alcuna  anima  monda 
Si  sente  sì,  che  surga,  o  che  si  muova 
Per  salir  su,  e  tal  grido  seconda. 

Della  mondizia  M  sol  voler  fa  pruova, 
Che,  tutto  libero  a  mutar  convento, 
L*  alma  sorprende,  e  di  voler  le  giovar 

Prima  vuol  ben;  ma  non  lascia  il  talento. 
Che  divina  giustizia  contra  voglia, 
Come  fa  al  peccar,  pone  al  tormento. 

Ed  io  che  son  giaciuto  a  questa  doglia 
Cinquecento  anni  e  più,  pur  mo  sentii 
Libera  volontà  di  miglior  soglia. 

Però  sentisti  il  tremoto,  e  li  pii 
Spiriti  per  lo  monte  render  lode 
A  quel  Signor,  che  tosto  su  gì'  invìi. 

Cosi  gli  disse;  e  però  che  si  gode 

Tanto  del  ber  quani'è  grande  la  sete, 
Non  saprei  dir  quant'  ei  mi  fece  prode. 

£  il  savio  Duca:  Ornai  veggio  la  rete 


397 


60 


65 


70 


75 


S8.  Trewìaei,   (rema  (]oesto  moo*  bent)  •nche  priint  Mlire  al  delo.  —  ma 

te ,  •  letteralmeote  trema  in  q%teito  non  lascia  II  talento,  mt  non  le  lascia 

lm§9,  libera  questa  soa  foglia ,  il  talento,  Fap- 

59-60.  che  surga  ^  o  che  $i  mwh  patito,  cioè,  dì  purgarsi  ;  il  qual  talento 

*««e.:  ehe  eurgm,  riguarda  le  anime  ìtt  divina qiuititia,  al tormento,ìù?ur' 


m  quel  girone,  il  cui  primo  mo-  galorio,  pone crm(ro«oj^/ta,  oppone  alla 
iiBBaate,  eome  aentonsi  purificate,  è  Ai  voglia,  di'  galire  al  eieto,  appunto  come 
akara  in  piedi  :  cke  ti  muara  Per  ialir  nel  peccare  su  nel  mondo,  questo  talento 
Ml^ 4  ietto qapetlo  alle  anime  degli  altri     fece  guerrM  alla  voglia  del  bene: 

o«>nrbe  allira,  nell'antagonismo,  I 


il  ta- 


lento si  deirriiiinava  al  piacere;  wa, 
Boroiuettendiisi  alla  ragione,  mole  il  do- 
lore a  re<linlegiare  la  ipustiiia. 

68.  Cinquecento  anni  e  pti».  Ini. 
quelli  paMiBli  nel  cerchio  degli  avari  ore 
Biamo  ;  elle  era  troppo  più  tempo  da  che 


li  f  le  quali,  non  giacendo,  purgate 
c^  aeao  u  mettono  in  cinimino  verso 
l'alta.— -atei grùlo.  Ini.:  il  grido  dal- 
l'iaoa  €hria  in  exceleit  ee  ,  «eco»- 
^,  aegnita  a  accompagna  il  tremare 
dd  fliente. 

t^-tZ,  Delta  mondixia'l  tot  valer 

•e.  Goalr.  a  int.:  Fa  prora  d( /(a  fliond»-  quell'umbra  irovaxanì  in   Purgatorio: 

xte  (che  ranima  è  monditia)  il  «o<  vo/er  ma  l'aliio  tfnipo  l'avea  passato  nei 

(nppliaai  folira  a/ cielol,  che  (il  qual  cerclij  addictio. —  pur  mo,  ora  sola- 

Talerc)  Isilto  It'òero  a  miKar  contento  raentt*. 

fataaxa)  aorprem/a  (invade)  l'alma,  e  72.  che  tetto  tu  gl'intii,  cha  io 

M  volar  le  giova  (e  il  tuo  volere,  del*  prego  gì'  invii  tutti  subito  al  cielo. 
r  aniaia,  ha  pieno  effetto,  ouia  le  torna  73-75   e  perà  che  ti  gode  ec,  lot 

ni  fiovamanto  il  volere)    Dirà  sotto  eo-  fuori  d'ullegorii  :e  perciocché  l'uomo  ai 

mm  l'aaiflia  vuol  sempre  mutar  conoen-  eoalenta  tanto  del  sapere,  quanto  ne  è 

fi^  fliaqaaato  volere  è  conlrHRiato  e  vinto  grande  il  suo  desideri»,  non  saprei  diri' 

dall'altro  volere  di  m/)n</arii,  e  perciò  quanto  il   parlare  di  quell'anima  mi 

BOB  è  aaaolotomento  libero  che  dopo  la  fece  prode  (lo  slesso  che  pro)^  mi  gio- 

pvrgacione.  vò,  mi  recò  pifcere. 

61-60.  Prima  tuoi  ben;  ec.  Vuol  7C-77.  veggio  la  rete  ec:  vo^j^  la 


398  OBL  PUEGATOKIO 

Che  qui  vi  piglia,  e  oome  n  scalappia, 
Perché  ci  trema,  e  di  che  congaudete. 

Ora  chi  fosti  piacciati  eh'  io  sappia , 
E,  perchè  taati  secoli  giaciuto 
Qui  se*,  nelle  parole  tue  mi  cappia. 

Nel  tempo  che  il  buon  Tito  eoo  1*  aiuto 
Del  sommo  rege  vendicò  le  fora, 
Ond*  usci  M  sangue  per  Giuda  vcuduto, 

Col  nome  che  più  dura  e  più  onora  ^ 

Er*  io  di  là,  rispose  quello  spirto, 
Famoso  asMii,  ma  non  con  fede  ancora. 

Tanto  fu  dolce  mio  vocale  spirto. 

Che,  Toiosano,  a  sé  mi  Irasre  Roma, 

Dove  merlai  le  tempie  ornar  di  mirto.  90 

Stazio  la  gente  ancor  di  là  mi  noma; 

Cantai  di  Tebe,  e  poi  del  grande  Achille, 
Ma  caddi  in  via  cen  la  seconda  soma. 

Al  mio  arder  ftir  seme  le  faville, 

Che  mi  scaldar,  della  divina  fiamma,  U 

Onde  sono  allumati  più  di  mille; 

Deli'  Eneide  dico,  la  qual  mamma 
Fommi,  e  fummi  nutrice  ix)etando: 

cAgione  cbe  vi  traUieoe  leffatj  e  pmi  ÌD  88.  Tante  fu  éoU$  mU  mmIi 

ascilo  oercliio ,  cIm  è ,  cuiue  t^c  «l«Uo ,  jpirio.  Tmilo  «lilell^  il  mio  cani*.  àMf 

il  ialemlo  «li  tódibCarc  alk  divint  glo-  clic  nel  Cimaiio  è  iaàm  •  SUó»  tt  m^ 

»Uxia. — «  eomr  ti  uulappia  te,:  tto-  mo  tli  doUe  patU, 
me  coUl  Mie  ti  apre,  cuiue  per  voi  «  89.  Tolotano.  Stiiie.|»eU  iè  qa» 

cice  del  calappio  :  che  ciò  avviene  per  la  ^i  che  qui  fnveUa.  Daole  le.tnppoae 

pnrgayioae  «iropita.  toloMno,   secundo  che  a' ««ai  Uw|n  ti 

78.  Perchè  ex  frema,  perdiè  tremi  credeva,  e  fu  rredulu  fiooal  aaeo!a  XV. 

(lactto  monte. —  e  di  che  eongaudcU,t  De  doe  luojihi  del  libra  ¥  ddUa  JMm, 

di  che  vi  coogratulate,  eciitaodo  jGIo'  opera  di  Stuio,  ai  ricava  cha  fa  aipa 

ria.  Irtanu.   Ma  W  5flre,  per  cai  ai 


81.  coppia  i  da  capere.  Fa  eh'  io  la  patria  di  Staitu,  sua  polarua» 

rati  capate  per  le  tue  parole,  o  mi  coiMMciute  da   Daikte.  e«iaa4o  alala  ■!> 

eapiica ,  intenda  nelle  tui-  parole,  per-  trovale  cvi-e  uo  t^ulo  dopa, 
che  ec.  93.  Uà  caddi  in  tdm  ae.  lai.:  aaa 


82.  Tito  Vespasiano,  che  ditlnuce  detti  |K>rfcx.one  al  Mcoiido  pacaaa  (d^ 
GcruiiMlenuiic.  1'  ÀekilUide)^   poiché  la  viìa  jmb  ai 

83.  Dtl  $ommo  rcQt ,  cioè  di  Dio.  hahtò. 
—  9§ntiicò  le  fora^  teudiiò  i  lori,  le  94-96.  .(  mio  ardor  ae. :  ^al  ala 


Cerile  «.hi;  i  Giudei  feri'r»  a  G.  C  paetico  aidoie  (unuu  prineipio  ad 

85.  Col  nume  ce.  :  col  nume  di  Poe-     tamentt>  le  fe%ille  Denalrflieàij  4i  Witti 
(a,  il  quale  è  pù  diirevule  e  onora  pia     divina  fiamma  che  taniì  a  laali  ii^ 


I*  numi!  che  qualfcivu|lia  altro  litmt  o 

tilalo.  07-4)8.  tMmma  Fwmmi,  ni  liaa 


87.  non  con  fede  aneofm,  ,nam  ptr     poeti.  —  a  fumpii  nulriea  f 
•nahe  con  la  fede  criatiana.  a  mi  edace  alla  huaoe  poetia,  a  aii  fa 


CA.NTO   VEMESIMOPRIMO.  3'39 

?(Miz' e-sa  nuli  fcrinai  \ìQ>o  di  dranuna. 

E,  por  esser  vivulo  di  là  quando  icO 

Vìsse  Virgilio,  assentirei  un  sole 
Più  etri' non  deggio  al  mio  usdrdi  bando. 

Volser  Virgilio  a  me  queste  parole 
Con  Vigo  che  tacendo  dicea:  Taci: 
Ma  non  può  tutto  la  virtù  che  inu)le;  f05 

Che  riso  e  pianto  aon  tanto  seguaci 
Alla  passion  da  che  ciascun  si  spicca, 
Che  men  seguon  voler  ne'  più  veraci. 

Io  pur  sorrisi,  come  l' uom  che  ammicca  ; 

Perchè  T ombra  si  tacque,  e  riguardommi  ilo 

Negli  oabi,  o\e  '1  sembiante  più  si  ficca. 

E,  se  tanto  bvoro  in  bene  assommi, 
Dis6e,  perché  la  feccia  tua  tesleso 
Un  lampeggiar  di  riso  dimostrommi  7 

Or  .con  io  d*  una  parte -e  d*  altra  preao:  1I5 

L*  una  mi  fa  tacer,  V  altra  scooginca 
Ch'  i*  dica  i  ond*  io  sospiro,  e  sono  inleso. 

féò»  ad  eanni  cbe  Mrì<4Ì.  —  uhmiiimi  alU  CritteBaf  die  oegfi  ombìdì  pik  «•- 

k  fu  beUa  Toee  d'afTetlu  e  dK  filial  le-  rmei  (cioè  di  cuore  aperto),  meoo  ebbe- 

■amia.  diacono  alla  vtilunlà,  »,  non  atpetUno, 

tt.  «m  fermai  ptio  di  diammm,  per  eaternarai.  Tatto  dèlia  volootè. 

DOS  itabiliì  nel  mio  pensiero  airone  cu-  109  /o  pur  torrùi.  lo  pare,  iofe- 

sa,  laaaiaimaseotenxa,  cbeoeirRneìde  Moed  apertii  per  natura,  non  ostanle 

MO  aveiae  il  prinripin  e  l'ispirwnoae.  il  renoo  di  Virgilio,  a  ai  bella  scena,  in- 

•100-102  £,  per  esier  rtvnlo  re.  E  voluntariameiiie  Ivrì  cttUl  sorriso,  qaal 
•eeeosenlirei  di  pensre  un  giro  dì  side,  fa  talora  rkì  vuole  awertire^ilciiao  dì 
no  anno  dì  pin  clie  non  deg(*i»,  io  questo  Vi  lo,  e  senza  cbe  altri  a^aecoip  ,  di 
eailio'M  Purgatorio,  se  avessi  avuta  la  ooalclie  e  sa  ruriiwa  ,  o  nuiatrargli 
sorte  J&  TÌverc  nvlienipn  cbe  visse  Virgi-  d'iverla  già  nouta  edi  stesso.  Jaimie- 
lio.  Quwla  parlare,  rbe  stando  a  rigure  core,  e  prupriaineuli*  ìér  cenno  ciigii  oe- 
sarebbe  «ne  stolta  bestemmia,  è  molto  ohi,  ma  può  estendersi  aiu:be  alla  bocca, 
naturale  ali*  entusiasmo  di  Stazio  par  IH.  iVeyli  oceki  et.:  negli  oedii , 
Virgilio,  e  gli  va  dato  quel  peso  cbe  snul  ore  V  «suettu  dell' animo,  1*  iotemo  pen- 
dersi luttogioi  no  a  somiglianti  iperboli,  siero,  e  la  passione  presente  fk  pooe  e  fa 
Ma  ripetere  la  centesima  volta,  cbe  cbi  di  aè  mostra. 

non  ba  a  mente  il  doppio  ìntendimeoto  112.  E,  te  fante  latoro  in  berne  «t- 

dì  Dante  in  quest'opera,  non  trarrà  mni  gommi,  ee.  I^dikse:  se  lu  d<mm  condurra 

OD  buon  aenao  delle  s«e  immagini  e  dai  a  buon  termine  la  grande  opera  iutra- 

smm  YerH.  presa  dì  \isitaje  vi«i»i|«esti  Inogbi,  per- 


l04.C«iaifacfteUc«iMÌoee.,cao  che  ea.  JaaonmMre.  eondarra 

fai  tiaa  cbe  senza  parlare  dicea:  lìaci,  .aM,  o  a  eumpmienio. 

■ao  miaeeprìre.  413   Icsfejo,  testé,  ora. 

105.  la  tir  fa  che  tuole,  la  volontà.  114.  dimuiirommi,  mi  fa  yeilara 

100-108.  Che  rito  e  pianto  ee.  Un-  aa  Ismpo  di  riso, 

perciocché  il  riso  segue  si  proiitamcnta  115  d'una  parte  ed'aitra^  cioè 

alia  paasiiiar  da  cui  ti  epiecMy  da  cai  da  Virgilio  e  da  Stazio, 

procede  (cioè  airaUrgraua),  e  il  piaalo  117.  omd'io  totpiro  ee.  Sospira  «d 


400  BEL  PUmOATOBlO 

Di,  il  mìo  Maestro,  e  non  aver  paara, 
Mi  disse,  di  parlar;  ntt  parla,  e  digli 
Qael  eh*  e'  dimanda  con  cotanta  cara. 

Ond*io:  Forse  che  ta  ti  maravigli, 
Antico  spirto,  del  rider  eh'  io  fei  ; 
Ma  più  d' ammirazion  vo*  che  ti  pigli. 

Questi,  che  guida  in  alto  gli  occhi  mìei, 
È  quel  Virgilio,  dal  qual  tu  togliesti 
Forza  a  cantar  degli  uomini  e  de*  Dei. 

Se  cagione  altra  al  mio  rider  credesti. 
Lasciala  per  non  vera;  ed  esser  credi 
Quelle  parole  che  di  lui  dicesti. 

Già  si  chinava  ad  abbracciar  li  piedi 
Al  mio  Dottor;  ma  e'  gli  disse  :  Frate, 
Non  far,  che  tu  se'  ombra,  e  ombra  vedi. 

Ed  ei^surgendo:  Or  puoi  la  quantitate 

Comprender  dell'amor  eh' a  te  mi  scalda, 
Quando  dismento  nostra  vanii ate, 

Trattando  l' ombre  come  cosa  salda. 


i» 


m 


i:jo 


1» 


coDtrtslo  io  cui  tono  tra  il  tacere  die 
Virgilio  TQole,  e  il  parlare  di  che  Stazio 
mi  prega.  —  e  fono  itUetOf  iot.  da  Vir- 
gilio. Quanta  natura,  quauto  affetto  in 
qneala  acenal 

-118.  Di,  U  mio  Maestro.  Coatr.: 
Di,  mi  ditt$  il  mio  Maestro^  e  tum 
ater  paura. 

424.  guida  in  alto  gli  occhi  miei , 
cioè,  ffuida  me  a  vedere  in  alto  ^  o  le 
marangliedi  lasaù. 

42S-426.  dal  qual  tu  togligli 
Porta  te:  dal  quale  tu  toglieatì  ardore 
poetico  e  stile  a  cantare  altamente  l«  ge- 
sta degli  nomini  e  degli  Dei.  Ho  preferi- 
to questa  Ics.,  elio  si  «pnaggia  a  molti  e 
buoni  Codd.,  alla  com.  Porte  a  cantar. 


428-129.  ed  e$i€r  credi  QuelU 
parole  «e.  Ed  abbi  per  fermo ,  caaere 
stata  cagione  del  mio  sorridere  quelle 
parole  che  di  lui  dicesti,  non  pensando 
eh'  ci  fosse  qui  predente. 

450.  ad  abh-aeeiar  K  fisM,  in 
segno  di  grandissimo  rtwctto  ;  ed  è  là 
appunto  dote  il  minor  rmppiglim. 

434.  eh' a  le  mi  scalda,  che  ai  fa 
caldo  Terso  di  te. 

455.  diimento  notira  vanitmte, 
cioè,  dimentico  che  n«  aiamo  ombre 
vane,  impalpabili. — diswtemtù  da  di- 
tmentare,  che  vale  lasciar  cader  dalla 
mente,  dimenticare. 

1 36.  come  cosa  talda,  come  m  fea^ 
acro  corpi. 


CAirao  VEiirrESiinroi^ECOxuo. 

iVW  ttmt^»  c*v  M/fono  «#  mm»  giroM,  Stmu9  mmrrm  m  t'irgtUo  ««ai  pttetti  rmUàam 
immgmmmf  m  fmrtmtonm,  •  t«m»  «i  pmynmisM  mttm  esf miuom»  rf«/to  /#rf#  erutimmm. 
m  hu  mmo99  yiigilio  et  mtotu  fmuU  •  fumimi  pt'tnmmgg*  dh*  jmo  ««f  liiaito.  Gwatf  i 
•  ìmm  mUmmt  fmsM  m  dtMrm,  amemmlrmim  m*  mlètn  pieno  d*9doi9§t  JMM^  éi 
M*M«  iritmmt  mia  md  uurgmmr  tfmptrmmuu 


éè 

Al 


Già  era  l'Angel  dietro  a  noi  rimase, 

4.  Già  tra  FÀngel.  Il  Poeta  mm     parìr  dell'Angelo,  il  ano  fulgara  te.; 
^-^  qui,  come  l'altre  volle ,  l' ap-     na  ai  coulenta  d'aecennaro  die  qocfto 


CANTO  TElVTBSllIOSECQinX). 

L'Angel  che  n'  avea  volti  alRsto  giro, 
Avendoini  dal  viso  un  colpo  raso: 

E  quei  e'  banno  a  giustizia  lor  disiro 
Detto  n'  avea  Beati,  e  le  sae  voci 
Con  siHuni,  senz*  altro,  ciò  fornirò. 

Ed  io,  più  lieve  cbe  per  l' altre  foci, 
M*  andava  si,  cbe  senza  alcun  labore 
Seguiva  in  su  gli  spiriti  veloci: 

Quando  Virgilio  cominciò:  Amore, 
Acceso  di  virtù,  sempre  altro  accese 
Pur  cbe  la  fiamma  sua  paresse  ftiore. 

Onde,  d*  allora  cbe  tra  noi  discese 
Nel  limbo  dell*  inferno  Giuvenale, 
Che  la  tua  affézion  mi  fe  palese, 

Mia  benvoglienza  inverso  te  fa  quale 
'  Più  strinse  mai  di  non  vista  pm^na, 
Sì  eh*  or  mi  parran  corte  queste  scale. 

Ma  dimmi,  e  come  amico  mi  perdona 
Se  troppa  sicurtà  m' allarga  il  freno, 
E  come  amico  omai  meco  ragiona: 

Come  poteo  trovar  dentro  al  tuo  seno 


404 


iO 


15 


20 


coM  cnao  gii  «Treoate,  •  ci  porta  ho- 
s'altro  Inngo  la  acala  cha  oiena  sul  s^ 
flUcardùo. 

5.  M»  colpo  rwo,  due,  000  da'? 
limfc alici,  da*  quali  è  dello  altra  Tolta. 
li  dùana  eolffi  parche  araoo  Impraa- 
maak  fatta  colla  punta  della  spada. 

4^.  È  l'angelo  cha  canta  qodla 
Mia  otta  ^attitudini  che  raccomanda 
Faoiero  dalla  giustizia  ctiolraria  al  Ti- 
no ddravarìsia,  cha  è  madra  d*ÌDi- 
^«iti.  Caatr.  a  int.  il  ternario  coai:  E 
gik  I'AbocIo  na  avea  dello  esiar  boati 
^«ei  a*  hanno  lor  destro  a  giostiàa , 
aoè|  gialli  i  coi  desitJerj  son  volli  alla 
^ostina  ;  a  la  soa  ▼•  ci  fornirono  dò , 
qoasta  aantaoaa ,  colla  parola  sola  <i- 
ffmf ,  dBecndo  :  Uroft  qui  f muiiT  ^ 
•Mtea,  omettendo  eiuriunt,  rìsarbato 
■■I  rtrchio  soperiora  dei  golosi .  doTO 
ai  adirà  Brmii  qui  tstwvM  jmMiam. 
Vadi  verso  nlt.yCinto  XXIV. Questa  Ira. 
è  dd  testo  VW.,  del  GkI.  Fior,  a  d'aU 
tri  aneora  da  me  veduti  nella  Lanrea- 
giaBB,o  mi  par  di  tolte  la  mtgltora.  Co- 
iBOBemente  si  le^^e:  E  qud  ^  hanno 
m  $iuttizia  (or  ditiro  Detto  n'titean 


Beali,  imleiu»  9oH,  Con  dlio,  o  io»- 
%' olirò  eia  fornirò.  La  aoto  dalla  gìa- 
stiiia  la  opportuno  eoalraato  colla  Ida 
caecrandrt  dt-lForo. 

7.  piA  lieve,  fatto  più  leggaro  par 
V  altro  P  cancellato.  —  foei/U  Ofor- 
tare  dove  sono  la  scale. 

"8.  /a6ore,  fatica  :  ^  il  lai.  loèor. 

9.  gli  tpiriti  veloci,  doè,  Yiry.  a 
Staso. 

40-42.  iaiora,  Àeceto  M  efrlft. 
Amore  nitissi»  da  Tirtooaa  cagiaat.  Sa 
alcuno  ama  nna  persona  perchè  ia  ama- 
sia è  virtù,  l'amato,  coma  coooaca  Pai- 
trai  amore ,  è  costretto  a  riamarlo.  -— 
parette  fetore  ,  si  paleaassa. 

ÌA.  é'Moenola  fiori  poco  dopo  Sia- 
no, e  li'dò  la  Tclia:de,  nella  ^aie  Paa- 
tore  mi  stra  giande  affesione  a  Virgilio. 

10-17.  /^«  quale  te.:  fo  fafa  ^ala 
più  strinse  alcuno.  Fu  della  aiaggiori 
che  mai  si  scntiuero  per  panoaa  ooo 
cooosriuta  che  per  fama* 

\  8.  mi  parran  ee.:  mi  parraa  aorta 
^«eata  arale,  pei  diletto  che  ho  di  aiacr 
tcco. 

22-23.  Coai^  poleo  Irocor  «e,  ixaar 


DEL    PURGATO* in 

Luogo  avflF^rìa,  tra  cotanto  °emio, 
DI  quanta  per  Ina  cura  toftì  peaof 

Qnesie  parole  Stai  io  mover  fenno 
Un  poro  a  riso  pria;  ptwria  rispose: 
Ogni  tuo  dir  d"  amor  m' è  raro  mnDO. 

Veramente  piii  volte  appaion  co», 
Che  danno  a  dubitar  falfa  malPr», 
Per  le  vere  cagion  che  son  nascose. 

Lj  (uà  dimanda  tuo  creder  m'avTpra 
E«ier,  eh'  io  to^  avaro  in  t*  altra  viu, 
For»  per  qnelta  (Cerchia  doy'  io  era: 

Or  sappi  eh'  avarizia  fu  parlila 

Troppo  da  me,  e  qoesla  disrtiisOTa 
Migliaia  di  Innari  baomi  ponila. 

E,  se  non  fijsse  eh'  io  drizzai  mia  cara, 
Qusnd'  io  inlegi  li  dove  In  ehiamc, 
Cmcfialo  quasi  all'omana  natura: 

Perchè  non  reggi  tu,  o  sacra  fame 
Dell'  oro,  l'  appetito  de'  mortalit 
Voltando  «eniirei  le  giostro  grame. 

ioHngtachrStafififriipiieialt  JO-il.  frrcM  KM 


mnrlalli  peflara  t^il,  Mrl  J««l* 

iiK'iile   •'  iniirprrli  :  fuié    M«  e^f» 


.I.J,'LMhlMMl 


■  pitiiU:  Ih  f«M  «'uria,  r  rhr  «irliu 
F  M  iwMhii  rUiitrvit.  ri  ujri«qui  r*- 
fc((w>.  Or.  MpM  IH,  Hb.  L 

f  -  sa.  «4i(iu  di  iwwr<,*«.  m- 

[  Ai!  «4.n«i..»<,  di  «.«,  io  .i»«i. 

L  hatrkinng  pnxiu. 

r  >    iT.  <Hnal  m<a  etra,  m  nmdi, 

n.  «r^dfMW,  ta  gridi ,  la  wlb 


■..■'■  Dail.  ^uH  p""l«  ewlintorr» 
l>Lf  SUlii>  (oniprru  ,  Atri  f^—J—- 
rtt*    aiìpìip    p*r    hnrift4(fn    ►pi*'*™' 

42    fnftBBJn  te.  Sf  «n»  f«^  **• 

,  rfriiMi  «.(»««.  i"^;^,2riE 

lo*o fiF.1  i.fr  K»" "  F»W«.  *^.'f" 
.ri  l.,ll'|il-rl,..  [,  .  it.  ■••n  .i  prt«t^u 


CANTO  ▼ENTKSIMOflMOIirDO. 


408 


Allor  m'accorsi  che  troppo  aprir  l^aH 
Potean  le  mani  a  spendere,  e  pentèmi 
Cosi  di  quel  conte  degli;  altri  mali. 

Quanti  rifurgeran'CO*  crini  scemi, 

Per  rignorama,  che  di  questa  pecca 
Toglie  il  pentir  vivendo»  e  negli  estremi  I 

E  sappi  che  la  colpa,  che  rimbecca 
Per  dritta  oppeeizione  alcun  peccato, 
Con  esso  insieme  qni  sDovende  secca. 

Però  s*  io  soo  tra  quella  geate  ^tato 
Che  piange  1*  avarìzia,  per  purgarmi. 
Per  lo  contrario  suo  m'è  incontrato. 

Or,  quando  tu  cantasti  le  crtide  armi 
Della  doppia  tristizia  éi  Giocasta, 
Disse  't  Caolor  de*  bacolici  carmi, 

Per  quel  che  Clio  lì  con  teco  tasta, 
Non  par  che  ti  faessa  ancor  iéd^ 
La  fa',  senza  la  qoal  ben  fiir  non  basta. 

Se  così  è,  qual  sole  o  quai  candele 
Ti  stenebraron  si,  die  tu  drizzasti 
Poscia  direlro  al  Pescator  le  vele? 

Ed  egli  a  lui:  Tu  prima  m*  inviasti 
Verso  Parnaso  a  ber  nelle  sue  grotte. 


45 


60 


65 


80 


65 


45.  mpHr  roH:  netaf.  tedi.  <!••• 
taMtk,  «■!•  «ini  tìUargùrii.  -^punièmi, 
mi  pimUi,  da  pentert. 

46.  amanti  ri»nrg9ram  et.  Vedi 
a  Om$9  Vii  àtìì  Inferno,  rtrm  57, 
«▼«  èu9  che  ì  prudi (rhi  risweiltmuM 
Btl  A  Sade  roi  espelli  mooi. 

47-48.  Per  Vignorantm  fé.  ttt 
PifioriMi  dw  la  prodigalità  aia  Mcca- 
!•;  la  fwde Ignoranza,  tneeeoaBbÌM,  t» 
fia  ai  pnMli|o  il  pentirai  maalra  TÌfa^ 
a  io  vaaCa  di  omrta. 

49-ai .  te  colpa,  efca  Wia^aaMi  mJ 
la  ealpa  càa  diriltanimta  è  aontrarìt , 
appoata  ad  alcan  peccato,  aiccoaw  è  la 
pradifalili  all'atariiia,  f«t  tmm  muda 
,  cioè ,  aa  eooaoaia  par  la  pai  ga> 
aal  laofa  atcaao  av'  è  paàita  il 
io  aao  cofiÉrai  io.  Avviene  aal  Par* 
ic  Dell'  lalenio,  dora  alanoo 
ì  piadi^i  e  fli  avari. 
95.  la  «rada  mrmi ,  la  pnjpN  dai 
doa  SglinoU  di  «iacaeta,  Eteaela  a  ^ 
liaice ,  eha  per  empia  sala  di  rafao  fi 
trnridaroDo. 


paccato 


sa.  DeUmdopjria  tHsMm.  I*t.:  i 
dna  triati  ed  empi  figli  di  Gioeaate,  dap* 
pia  aagione  dì  dolore  alP  iaielicaaiadra. 

97.il  Cantar  ae.  Virgilio , caafara 
dalla  BaroKca,  o  aia  da' varai  |>aatoraii. 

8S.  CUOi  la  maaa  cIm  Staaia  iavoca 
ad  principio  dalla  Tafcaida.  — - 
f«al  ek§,...  leco  teato:  aeeaadb  i 
aha  alla  taeaa;  eiaé  per  la  aaala  fa 
poetiche ,  le  quali  aentaaa  dalla  aa^ 
daaae  pagana. 

SO.  La  ft^,  ac.,  la  feda  criatiaaa. 

6I-G2.  ^tiol  sole  o  qwti  candd§: 
à^è^  foal  edeate  o  qual  tarraao  hane? 
nalaaeàrartm,  ti  lohar  la  taacàra  dal 
gaaCìlcaiiBo.  —  emmd^m  è  dal  aaiidart 
lat,  «pleridar  ài  lacai 

as.  etl  Fwuatcr,  a  8.  Piatra,  aW 
la  peacolore  in  Galilea. 

64-6a.  7W  pWiiaa  ai'iavteKl  fé. 
Tb  prìoM  (lo  ha  dtftto  aache  aa^pra^ai  1^ 
caati  poeta,  a  poscia  ai'illaaiiaaali  mp» 
praaao  Di9.  aiaè  aeUa  viadi  Ma,  o-ail 
anilar  dietro  a  Dio.  Per  te  poeti  /M» 
par  li  crtfMaaa,  diri  pia  folto.  — op- 


404 


DEL  PUBOATOBIO 


E  poi  appresso  Dio  m' alluminasti. 
Facesti  come  quei  che  va  di  notte, 

Che  porta  il  lume  dietro,  e  sé  non  giova. 

Ma  dopo  sé  fa  le  persone  dotte. 
Quando  dicesti:  Seool  si  rinnova; 

Toma  giustizia  e  primo  tempo  umano; 

E  progenie  discende  dal  ciel  nuova. 
Per  te  poeta  fui,  per  te  cristiano: 

Ma  perché  veggi  nie*ciò  eh'  io  disegno, 

A  colorar  distenderò  la  mano. 
Già  era  il  mondo  tutto  quanto  pregno 

Della  vera  credenza ,  seminata 

Per  li  messaggi  delP  eterno  regno; 
E  la  parola  tua  sopra  toccata 

Si  consonava  a'  nuovi  predicanti; 

Ond*  io  a  visitarli  presi  usata. 
Vennermi  poi  parendo  tanto  santi. 

Che,  quando  Domizian  li  perseguette. 

Senza  mio  lagrimar  non  fur  lor  pianti 
E  mentre  che  di  là  per  me  si  stette. 


70 


7S 


IO 


S6 


pretio  Dio,  •lenoi  ipiegano,  dopo  Dio, 
padre  dei  lami.  Li  Ice.  die  eegao  nel 
seno  66  è  del  God.  Caet.  La  coniane 
era  B  ftrima  te.  Si  faoda  attenzione 
agli  effetti  che  Stazio  afferma  prodotti 
in  Ini  da  Virgilio;  e  ai  fedrk  eonc  i 
poeti  (parlo  dei  grandi),  aacerdoti  ab 
antico  delia  Borale  e  civile  tapienn , 
ritraggono  feramente  chi  ben  li  atndia 
dal  vizio,  gnidann  alla  cognizione  del 
▼ero, e  danno  anche  tpeno  PupirazioBe 
dei  canni. —  grotte,  gli  antri  leereti  dd 
BMwte  Parnaao. 

69.  Ma  dopo  fé,  ma  dietro  aè  fa  In 
portone  dotte,  scorte,  ittrnite  del  cam- 
mino. 

70-72.  Seeoi  $i  rinnova.  Sono  i 
▼erti  ttetti  di  Virgilio  ncH'  Edoga  IV  : 
Jfogmw  ak  integro  tmelorum  im- 
teitwr  ordo'  Jam  redit  et  Virgo  m. 
Questa  profezia  tratta  dai  libri  Sibil- 
lini è  applicata  da  Virgilio  alla  na- 
tciCa  del  tiglio  di  PoHione^  ma  ▼aij 
aerittori  oninarono  che  Coaae  nn  eano 
al  Anno  Miparatore.  Immagma  Danto 
dM  ancha  Stoiie  la  intendcaaa  in  qneato 


75.  J  Mitrar  ev.Avcadodctlopr^ 


meciòeh'ioditegn»,  iaraeafidiraci* 
che  io  etprimo,  proeegne  ora  la  metafo- 
ra dicendo  A  colorar  ee.,  ìnweem  di  di- 
re: mi  stenderò  a  narrare  pie  laifa- 


r. 


mente.  Il  disegno  adombra  la  naia,  •  t 
colorì  l'avvivano. 

7S.  Per  ti  wusiuggi  et.  Il  farbn 
gr.  ùitovTg  >  >w ,  donde  la  roee  «pMte- 
M,  vale  mitto. 

79.  E  ia  parola  t.,laiopraddaHa 
profezia  della  Sibilla. 

80.  eoneonava,  combinava ,  ai  rv 
acontrava  con  qod  che 

i  Apoatoli. — 5i,  cos\, 
er  lo  più  IcfiRcsi  Si 
non  troppo  bene,  a  parer  mio. 

81.  «lafa.  usanza .  I  partiópj  pan- 
tati  tanto  al  mate,  die  al  fam.  ai  Ma- 
roso antic  per  nomi.  Cuak  Q  deiUmeh 
lo,  il  cogitato ,  la  gelata ,  la  MijMfte, 
per  deelino,  atgitoMiom»,  gelo^ 
ffistone.  M 

83.  AMNisIm,  imp.  «rem 
dì  Vespatieno,  moate  la  aatendt 
cazione  contro  i  Crittiani.  f^ 
Milla  ine  del  primo  teeolo. 

91$.  gmemtrackedi'là  09,^9 
tra  fui  in  vita 


CANTO  TB!fTB8Ill05EC01fDO. 

Io  gì!  sovrenni,  e  lor  dritti  costumi 
Fer  dispregiare  a  me  tott'  altre  sette; 

£  pria  eh'  io  condacessi  i  Greci  a*  fiami 
Di  Tebe  poetando,  ebb'  io  battesmo; 
Ma  per  paura  cbiaso  Cristian  fti*mi, 

Lungamente  mostrando  paganesmo: 
E  questa  tiepidetza  il  quarto  cerchio 
Cerchiar  mi  h  più  che  M  quarto  centeamo 

Tu  dunque,  che  levato  hai  '1  coperchio 
Che  m'ascondeva  quanto  bene  io  dico. 
Mentre  che  del  salire  avem  soverchio. 

Dimmi  dov*  è  Terenzio,  nostro  antico. 
Cecilie,  Plauto  e  Varrò,  se  lo  sai: 
Dimmi  se  son  dannati,  ed  in  qual  vico. 

Costoro,  e  Persio,  ed  io,  ed  altri  assai, 
Ri<«pose  il  Duca  odo,  siam  con  quel  Greco, 
Che  le  Muse  lattar  fùii  eh'  altro  mai, 

Nel  primo  cinghio  del  carcere  cieco. 
Spesse  fiate  ragioniam  del  monte, 
C*  ha  le  nutrici  nostre  sempre  seco. 

Euripide  v'è  nosco,  e  Anacreònle, 
Simonide,  Agatone,  ed  altri  pine 

88-89.  B  pria  ch'io  etmdue$$ti  te. 
Vasi  £re  :  primi  eh'  io  compoiein  il 
ftwàm  4oft  narro  la  tpediiioae  dai 
Gr«à  contro  Tebe.  Alcuni,  alando  alla 
lettera,  intendono  precieaoienta  del  IX 
li^.  doffo  narraai  qoe»to  fatto.  È  tr^ 
^Mte  ai  poeti  dire  che  fanno  munto 
DUTtan.  Virgilio  ad  etprimaro  die  Si- 
leno narrava  la  coDTeniooe  delle  EliadS 
in  enfani,  dice  con  timil  modo  :  Fum 
Phmtkomtiadat  muteo  eircumdat  amth 
rm  CarKdf  f  atquo  toto  proceroi  ori» 
§ii  minai.  Ed.  Vi. 

90.  dUmto,  oeenlto. — f^'mi,  fai- 
Bi,  au  Itti. 

91 .  iMngaminU  moitrando ,  ia- 
per  aMlto   tempo  d' 


105 


SO 


95 


iOO 


108 


99.  H  qu&rio  urtMo ,  ore  ai  pa- 
l' accidia.    ^ 

95.  CercMarrgirare.  —  ]P<«  dba  'I 
faarle  ccalMmo,  pia  di  qaattro  volto 
cenf  anni. 

94-95.  IcMlo  Jba<  'I  toptf^Uo 
Che  00,:  bai  levato  il  velo  che  io  aveva 
^Daaa  agli  ocdii  ddl'iotailetto,  e  che 


mi  tofTieva  di  aoer|ara  il  baae  A  ^Uk» 
de ,  «il  eh'  io  ti  ragioBo ,  cioè  la  verità 
delle  fede  crittiaua. 

98.  del  jai^re  aveai  MMrdkto, 
doè,  di  salire,  o  per  adire,  abhiaoM  più 
tempo  che  non  abbiaogna. 

97.  rcreasio  ee.  Tereniio,  Cedlia 
e  Plento,  poeti  latini  notiaaimi. —  Far- 
ro, >arrone,  scrittore  latino  famoao  per 
dottrina  e  per  emdiiiune. 

99.  in  qual  vico,  in  ^aal  eontra- 
da,  io  4|nal  oercbio. 

40i-40a.  eoa  quei  Greco,  Ch§  it 
Jfaec  «e.  Con  Omero  ,  coi  le  Mane  aa* 
triroBO,  pia  cb'dtro  poeta,  ddWra 
latto. 

404.  del  aMmie,  dd  Pamaeo,  — 
C  Jba  le  «alrùrt  aof  Ire  eempro  aeeo, 
ove  ebitanocuotionemente  le  Mane,  aa- 
triodi  noi  poeti. 

408-407.  i^ariiKdc.  atenieaa,  aa- 
tìsdmo  poeto  tragico.  Invoca  di  Amm> 
croonio  varj  testi  hanno  ÀnUfotUo, 
poeto  tragiro  lodato  da  Ariatoteto  o  da 
Platorco.  ^Siwttmido  ed  ÀgaUtm,  et 
tri  poeti  greci. 


106  ML  PIJIGATOHIO 

Gredt  che  gii  di  lauro  oniar  U  fnmte. 

Quivi  sì  veggìon  delle  genti  tue 
Antigone^  Deifie  ed  Argia, 
Ed  Ismene  si  trista  come  foe. 

Yedesì  cpnlla  che  roo.itrò  Laagia; 
Evvi  la  6glìa  di  Tiresia,  e  Teti, 
E  con  le  suore  sae  Deidamia. 

Taoevansi  ambedue  già  li  poeti, 

Di  nuovo  attenti  a  riguardare  inlorao. 
Liberi  dal  salire  e  da*  pareti;  (*) 

E  già  le  quattro  anoelle  eran  del  giorno 
Rimase  addietro,  e  la  quinta  era  al  temo. 
Drizzando  pur  In  so  1* ardente  corno. 

Quando*!  mio  Duca:  Io  credo  eh* allo  stremo 
Le  destre  spalle  volger  ci  eonvegna, 
Girando  il  monte  come  far  solerne. 

Cosi  r  UAnza  fu  lì  nostra  insegna, 

E  prendemmo  la  via  con  men  sospetto 
Per  1*  assentir  di  queir  anima  degna. 

Bili  givan  dinanzi,  ed  io  soletto 
Direlro,  ed  ascoltava  i  lor  sermoni 
Ch*  a  poetar  mi  davano  intelletto. 


110 


115: 


no 


i2b 


400.  dM9  gnUi  $me,  cM  è»'m«f 
•oaagtp  é»  to  caotati  oeUa  Ttèaiié  • 
néiVAehiUeide. 

440-141 .  iinfi^oiM, figlia  di  Edipo 
rediT«^.~An/lle.  fioliuoU  di  AÀf-> 
•lo  re  degli  Argivi  e  muglia  dì  Tideo, 
ano  d«'  latlr  che  aaardiauMe  Tebe.  — 
Argia,  altra  figlia  d'Adratlo,  moglie  di 
Polinice  •—  Untene,  figliuola  di  Èalipo. 

4  42.  auellm  eh»  moitrò  te.  iiible 
figliuola  di  Toante  re  di  Lenno.  Fu  dt' 
corsari  Tcmluta  a  Licurgo  di  Nemea  , 
ed  ebbe  a  nudrire  un  iiglinido  di  liii 
chiamalo  Ofelte.  Slava  o»  giurao  fuori 
della  città  a  diporto  col  fanciullo  ìd  eol- 
io. Adrasto  assetato  pri>i;clla  d'inscgoar- 
tli  una  fontana:  orni' ella,  depoalo  il 
bambino,  corse  a  mostrare  a  quel  ri  It 
fonte  Langia.  Tornata  «1  fanciulW ,  il 
trovò  morto  pei  morsi  di  una  aerpt. 

443.  Ui  fifiia  di  Tiresim:  non 
piCtBdo  qoeaU  esser  Manto,  prrrbès'è 
pk  fednU  Ira  gl'indovini  ndl'lniirM, 
ptrt  cbo  debba  aaaere  o  Dafm  o  IbIù- 
rWf,  Mainata  da  pMitaia.  —  T9tL 
U  madre  d'Acbille. 


V 


417.  Ls*eri<te/«alirt,  pOT 
finita  It  scala,  e  liberi  dalU  pàroU,  éù- 
le  spoBde,  frt  le  quali  ara  aeiTata  ama 
acaU. 

I*)  Sesto  girone. 

I48-H9  le  quattro muaUaae.  la 

E  altro  prime  Ore  del  giorae  avean  gib 
Ito  il  loro  senriiìo,  ed  era  al  tiAaoe 
del  carro  solare  la  quinta. 

4  20.  r  crdenle  comò,  la  wiata  1«- 
■ùttosa  del  detto  limone.  —  Mhintm 
do...,  im  $u,  per  talire  ferte  il  Meri- 
diano. 

421-425.  /o  rre^ ec.  Ini.  :  ie  cre- 
do che  dobbiamo  camminari  tencode 
il  lato  destro  %olta  alta  ealrenilb  del 
menta ,  cioè,  al  di  fuori,  cene  abbÌBBe 
fatto  kio  oia,  seguitando  gP  ìaacg;Ba> 
■aenli  degli  spirili ,  ai  q«ali  m1  K*^ 
denta  girone  domaiylamao  delia  tìa 
pii  corta. 

4M.  (a  n  noitra  ituagma,  fin  li  b 
BOilra  guida. 

Àie.  midatanoimUUetta^wkafri' 
viB  la  mante,  mi  daVAM  runpii 
•  poetare. 


CANTO  -vnrÉniiosBcoNDa  Wl 

Bfa  tosto  ruppe  le  dold  ngìoni  loO 

Uijf^  alber  che  trovamiio  in  mezia  lirada, 

Goò  pomi  ad  odorar  soavi  e  bvoaì. 
£  come  abete  ia  atto  «  digrada 

Di  ramo  ìd  ramo,  cofi  quello  ìd  paso; 

Cred'io  perelié  persona  ra  non  vada.  i% 

Dal  lato,  onde  il  cammin  nostro  era  chiosò, 

Cadea  dail*  alta  roccia  un  liquor  chiaro, 

£  ai  sipaodera  iper  ieiD|gUD  sBse. 
Li  duo  poeti  air  alber  s' appressare; 

Ed  una  voce  per  entro  le  fronda  .-:  |40 

Gridò:  Di  qveele  dbo  avrete  caro. 
Poi  disse:  Più  pensava  Maria,  onde 

Fodfier  le  oezze  oirevoii  ed  iatore, 

Ch'  alla  eoa  becca, ch'or  par  m  rìeponde. 
E  le  Romane  antìeha  per  lor  bere  i46 

Coutente  furon  4'«cqn,  e  Daniello 

DL'prepò  dbOf  ed  acquistò  eavere. 
Lo  sccol  primo  quani'oro  fo  bello; 

Fé  saporose  con  fame  le  gWande, 

E  nettare  con  seta  ogni  ruscello.  ihO 


ÀoO.  ragioni,  ragionameoti. 

-451.  in  mexsa  strada,  in  mesco 
«Ila  strada. 

433-155.  E  come  abettte.  E  modo 
Fibcte  molte  i  suoi  rami  tempre  più  sot- 
tili tir  alto  che  al  basso;  cos'i  quell'al- 
bero li  nicttcTa  più  sottili  pretto  il 
trooeo  e  li  veniva  iDgrossaotlo  «  mano 
a  BMOO  verso  la  cima  ,  accioocbè  per- 
sona Don  vi  potesse  salire.  —  in  alto 
ii  digrada  ,  va  scemando  per  V  insù , 
4al  paiif  alla  cima.  —  cofi  qmiUm  i»  . 
finio,  cooì  quello  digradama  im  eema 
«ffNNIto,  per  lo  ingiù. 

436.  Dal  Ulu  oc.,  cioè  del  eÌMetre 
Into .  ore  il  muote  faceva  sponde  ella 
strade. 

444.  anr^eearo,  evrrte  caretlie, 
ma  serale  priveti  in  pene  delle  gidoeìtk 
a  cbe  siete  penili  ie  questo  cerchio. 

442-444  Più  ftematm  Maria  te. 
Ecco  gli  eteaepj  della  virtù  cunlraria  elle 
foia,  llehe  elle  D<«ze  di  t^ena,  più  cbe  a 
mangiare,  pensava  a  far  si  cbe  l«  apaeo 
una  avesae  vergogna  per  U  manoenze 
del  vino,  e  cbe  il  convito  eoJeaee  b^ 
ce.  <—  tW  or  ptr  toi  risponde:  la 


qnel  eoa  boeca  ora  rìtpeade  per  toì  j 
opponendo  il  merito  delle  sne  virtè  ei 
▼ostri  eccessi,  e  implora ndoveoe  it  per- 
dono. Mene  è  rìgnerdeta  dalle  Chiese 
come  evvocela  dei  peecetorì  penitenti. 
Il  Biagiolì  costruisce  le  frase  coti  :  Jfo- 
Wa,  die  risponde  ora  per  w>i,  pensa- 
la piii  se.  Non  ai  per  che  vi  sia  biso- 
jgno  di  scompigliar  tanto  U  perìodo. 

4  15  E  ie  Romane  ee.  Le  donne 
romane  non  cottomavano  di  ber  vino  , 
secondo  che  ettctta  Valerio  Memimo. 

44C.  Dmniello,  eoi  tre  fencinlli  saoi 
cenpegni,  ottenne  di  peteerti  di  lega- 
mi, in\cce  della  squisita  vivande  offer- 
tegli de  Naburoedunneor,  e  per  eie  eb- 
be da  Dio  la  grezie  di  epprendere  ogni 
Bcience. 

4 18.  Lo  eeeoi  primo,  cioè  il  saeol 
d'oro. 

449-4 SO.  Fé  savorose  oo»  fame 
ae.:  in  quel  eccolo  la  feme  lece  perere 
saporite  te  ghiende,  e  le  sete  fece  parer 
Béitere  Tecque.  Hehesìgnifice  cbeoon 
si  mangiava  né  ti  beveve  eba  per  bieo» 
gno ,  non  per  gole,  ttodioss  sempre  di 
nuove  delicanze. 


DEL    POBGATOBIO 


Mèle  e  locuste  furoa  le  vivande. 

Che  nudrJi'o  il  Balista  nel  disertoi&^ 
Perdi' egli  è  glorioso,  e  tanto  granm. 

Quanto  por  1'  Evangelio  v'è  aporto. 


lur»  tr.  i  fieli"' 


d'Eli 


IS4.« 


CASTO   VEHTE§DIOTEn3EO. 


Mentre  che  gli  occhi  per  la  fronda  verde 
Fiorava  io  cosi,  conae  far  suole 
Chi  dietro  all'  uccellili  sua  vita  perde; 

Lo  più  che  padre  mi  dicea:  Figliuole, 

Vienne  oramai,  che  '1  lempo  che  c'è  imposto 
Più  ntilmenle  compartir  ai  vuole. 

r  volsi  '1  viso  e  il  passo  non  meo  tosto 
Appresso  a' savi,  che  parlaian  sie. 
Che  l'andar  mi  facén  di  nullo  costo. 

Ed  ecco  pianger  e  cantar  s'udie, 
Jjtbia  mea.  Domine,  per  modo 
Tal,  che  diletto  e  doglia  parlurìe. 

0  dolce  Padre,  che  é  quel  eh'  i'  odo? 

Comincia'  io^  ed  egli:  Ombre  che  vanno, 
Porse  di  lor  dover  solvendo  il  oodo. 

Si  come  i  peregria  pensosi  fanno, 

Giugnendo  per  cammin  gente  non  noia, 


5.  CMiltolro  aU-%tuUin:  il  n^ 

del  «Imo  SO.  CoiK-iene  «Ilo  IDima  A 

clalniv,   cha  trns'  coli' ixxhìn   In   le 

eolurD  ohe  tarDao  aoIi«Ì,slBaedinaB 

inadiatll'ilbero  Pt-ibbit  «sdulo  po- 

d.r>i  dei  p^ciln,  l'gpiìn^  .Ile  Indi  dot 
l'illìuim»  quelle  lil>br>  che  hm  w 

4.  Figliaoh.  Molli  nomi  prwio  gli 

tcrchiemouleiperto  por  ingordigì*  dei 

tiOÌM  ■•OB  doppi.  (.nDiniiÌDne  in  o 

.:.bi. 

n.  Tfil.  cfie  diUlte  t  degli»'  c>p- 

r  «litui*  per  fgtmoU  à  Itege  ...ch« 

riipoodc  al  canlara  e  al  plasgtn  Ai  •»- 

■:/proK. 

pri,  — parturic,  piilurì,  cngìiinb. 

B.  tht  '1  Umpo  tht  c'd  impB$lo. 

IB.  di  lor  deitrtelvtndo  illuda,- 

<li*  d  1  HHinllo  Ddr  tiiiliro  q>i«lì 
luonhi. 

ccdJ-   per  il  loro   pecuta  ilU  diiw» 

fi.  Pia  iiribMOtf  et.!  dteu  dir*  « 

giDiiiiia.                                         -^^ 

•OM  T>*  ««li. 

46.  p.»»ri,  «capali  dilf^H 

•;•*•■■■'■ 

dei  loro                                       l^M 

M.Labiomta,  H,  È  >n  t«rHll* 

n.  Cl<'3n«i<lti,  t(;g)Sul«^^H 

CANTO  TBlfTBSlllOTBHZa  409 

Che  si  volgcmo  ad  essa  e  non  ristanno; 
Cosi  d^jstro  a  noi,  più  tosto  mota, 

Yenendo  e  trapassando,  ci  ammirava  20 

D*  anime  torbfc  tacita  e  devota.  (*) 
Negli  occhi  era  ciascuna  oscura  e  cava. 

Pallida  nella  Accia,  e  tanto  scema. 

Che  dair  ossa  la  pelle  s*  informava. 
Non  credo  che  cosi  a  buccia  strema      *  S5 

Erisiton  si  fusse  fiitlo  secco, 

Per  digiunar,  quando  più  n'ebbe  tema. 
Io  dicea,  fra  me  stesso  pensando:  Ecco 

La  gente  che  perdo  Gerusalemme, 

Quando  Maria  nel  figlio  die  di  bepoo.  30 

Parean  l' occhiaie  affolla  senza  gemme: 

Chi  nel  viso  degli  uomini  legge  omo. 

Ben  avria  quivi  conosciuto  T  emme. 
Chi  crederebbe  che  1*  odor  d' un  pomo 

Sì  governasse,  generando  brama,  35 

E  quel  d*  un*  acqua,  uon  sappiendo  comò? 

49.  ptii  lotto  mola,  più  presto  moi-  Bltria  (ii«bilt  donna  di  G«mMlciiime) 

sa,  DÌà  celere  nel  pasfto,  ebe  noi.  toIm  la  iKMJca  a  farti  puto  del  proprio 

24 .  kurfMi  tacita.  Qui  lo  animo  por-  figlinolo.  Accenna  all'  aiaedio  di  nto^, 
ganti  andavano  tacitoinente  ;  poidiA  tu  eoi  è  da  federo  Gioseppo  Flavio.  — 
pini^fano  e  canUvano  solo  quando  noi-  dii  di  becco,,  è  metafora  tolta  da|di 
rnnirarn  pel  balio  giongevano  preaao  uceeUi,  ad  indicare  l'impeto  di  qaelln 
F  UMTo  miktorìoeo.  donna  divennta  deca   o  beatialo  per 

f*)  Si  porga  il  Visio  della  gola.  fama. 

32.  Ncgii  occhi..,,  otcwra  a  ewm ,  Z\ .  Paream  V occkioù,  la  dna  ea- 

eogli  ocdii  incavali  o  affoaeati ,  a  per-  vita  degli  occhi  paroano  dna  analli  dal 

ciò  non  splendenti.  coi  castone  fossero  stato  levato  lo  gem- 

25.  fctma.  Int.  di  coma ,  cioè ,  aa-  ma  ;  perchè  gli  occhi  arano  tanto  in  fondo 
sai  dimagrita.  che  non  «  vedeano. 

24.  Cho  dall'  otta  ce.,  che  la  paUa  32-35.  CJU  nel  vito  dsgli  ftomi- 

prendeva  la  forma  koIu  dalle  ossa.  ni  ec.  Trovano  alcuni  nel  volto  umano 

25-26.  iVoii  erado  cAeec.  Non  credo  la  lettera  Jf,  fra  la  gamba  di  eoi  an- 
che Erisitone  ridotto  per  digiuno  a  non  no  frapposti  due  0 ,  onde  l^goovi 
nvcr  più  ehe  la  prima  pelle,  fosae  diva-  omo.  I  oue  0  sono  gli  orchi  :  VM  toc 
nnto  saceo  cosi  (come  quelF  anime)  p«r  masi  dalle  ciglia  a  dal  naso.  Qaasto 
qnando,  vedutosi  privo  di  tutto,  ebbe  lettera  meglio  appariscono  noi  volti 
a  temer  maggiormeote  gli  orrori  del  di-  scarni  ;  e  perciò  il  Poeto  dica  cba  ia 
ginno.  —  frutto» ,  uomo  di  Teasaglia.  quali'  ombre  macilenti  ben  ai  Barabba 
Dicono  i  poeti  che  spregiasse  Cerare  a  coaoeciuto  l'esima, 
vietasse  che  le  si  facessero  sacrificj  ;  per  54-36.  Chi  crederebbe  ae.;  chi  ara- 
che  la  Dea  acdlò  in  lui  fame  tonto  rab-  darebbe  (ignuraodooe  la  cagione)  che 
bioaai  che  lo  spinse  a  consumare  ogni  1'  odor  di  uu  pomo  e  quel  di  ao'ac^na 
ano  avara,  a  poi  a  volgersi  co'  danti  in  Si  gotematte,  conciasse  cosk,  cioè,  an- 
se slcaso.  tonto  dimagrasse  quelle  anime  col  gaaa- 

2S-20.  Ecco  La  genie  ec:  GÌoè,eceo  rare  in  csae  il  desiderio?  —  conio  è  il 

qnal  dovea  essera  U  gento  ebrea, quando  ptomodo  de'  Latini,  oggi  coma. 


410  BEL  PVAGATORIO 

Già  era  in  ammirar  che  M  gli  afiEima, 

Per  la  cagione  aMor  «on  maniteta 

Dì  ler  mayeaya  e^li  lor  trìsU  aqwfloa; 
Ed  ecco  del  profendo  dalla  testa  40 

Volse  a  me  gli  occhi  mCom^,  e  guardò  fiso; 

Poi  gridò  forle:  Qual  graaia  m*  è  queata? 
Hai  non  V  avrai  rioonoecialo  al  viso; 

lA  nella  vece  ana  mi  ta  fnìesa 

Ciò  che  r  mpt/6io  b  sé  avesf  oanqojào.  a 

Questa  Cavilla  tutta!'  bh  raccese 

Mia  conoscenza  alla  cambiata  labbia, 

E  ravvisai  la  foorìa  éi  Forese. 
Deh  nao  contendere  «11*  asciatta  scabbia, 

Che  mi  scolora,  pregava,  ia  patte,  to 

M  a  diietto  di  cai*ne  cbe  io  abfiia; 
Ma  dimmi  il  ver  di  le,  «  chi  son  quelle 

Due  anime  che  là  ti  JaMio  scorta; 

Non  rimaner  che  tu  non  mi  foveHe. 
La  feccia  tua,  eh*  io  lagrìmai  già  morta,  ho 

,  Mi  dà  di  pianger  mo  non  minor  doglia, 

Risposi  lui,  leggendola  sì  torta. 
Però  mi  di,  per  Dio,  che  si  vi  sroglia; 

Non  mi  far  dir  mentr*  io  mi  maraviglio, 


57-99.  Già  ero  ec.  Gik,  per  ooo  e»-  cmì  miraviglrato,  •WmteùUim  i 

■ermi  noia  li  ca.'^inne  della  loro  mai^retn  alla  «ccchctya,  che  mi  iaiuma  le  ftlle. 

e  della  loro   trista  sqttama  (della  lor  Contendert  irate  Unitrt  tmm  tmU9  U 

pelle  cua'i  iaaridila)  io  mi  alava  pieoo  di  forze;  e  qui  esprime  U  alorfo  MI'  at 

■iaraTÌglia,eciiri«iiodiaaperecti«taDto  tenKiniie  per   ravvivare  U  peraoiia  ia 

affaiuatse  quagli  «pinti.  quello  sli-umt  iiiutiiiiinrto.  U  G»d.  Cl^. 

40.  dfl  profondo  te.,  dalla  prò-  ba   éfh   mm   intemdert.   Ckiaai   p*n 

fonda  cavità  ove  »Unno  le  pupille.  asriutta  ieabbia  le  arsirfit  vm^ko  ddla 

42.  Qual  grazia  ee  Queste  parole  pelle  aderriite  alW  easa,  •  eko  ptrcvan 

dnii<<«tranii  che  l'Iia  ffià  ravvitato.  tante  •i|uaiiie. 

4-1.  M/m  nella  futre  ee.  Mm  la  voee  54    Aun  rimaner  ce.,  Doa  a^r  di 

mi  fé  palese   U  pvi-^ima,  1'  individuo,  favellarini. 

che  io  non  avi>a  pniuiu  ricont«tere  al  5&.  rh'io  lagrimmi  già  morim,  e^ 

viso,  dove  erano  rom/n  ifi.  ramelUti,  morta   io  lia(>iiai  di  iacrioM.  È  Doto  il 

distrutti,  tutti  i  liiiemiiriiti  primitivi.  eaetunie  degli   antichi  di  piangere  aal 

46-47.  (Juesla  farilinee   11  tuono  f ullu  dei  i-ari  estinti, 

della  voce  dell  onilira  fu  una  farillm  cbe  SiS.  nui.  «uà.  — «oii  minor  dofli»t 

babtò  a  riarceuilere  lutili  la   ima  cuno>  che  allora  rhe  morì^ti. 

tceniaversuquel  volli» tfn^^in|«Wmato.  57    lorfe.  «formate. 

48.  Form,  liurentinv.  «Iella  fami-  5H  rfcr  «4  H «/oy/ia, qad ceee  lì  ri- 


glie de'llunnti  e  fratelli!  di  M    Cono  daceairi*Mi.«itpu{;lie,e^aairiyV«i- 

e  di  fSeeerda,  ed   aniieo  e  pareole  di  d«  «Iella  carne:  niclaf.lvlfcedall'elber». 

I>ealc,   erendo  quegli  in  meglio  «M  —  per  Dio  e  qui  preghiere ,  «ea  già- 

iìemma  dei  Donali.  rementu 

49.11011  cofilcuderv,   Dea  btdere  ÌM-QO.Noumifaréirm^moè,uin 


CANTO  inilTflSIMQaEBIO.  444 

Che  mal  pvò  dir  chi  è  piai  id*  alba  logOa.  60 

Ed  egli  a  me;  Dell' eteriK)  oonaiglio 

Cade  virtù  nell*  acqua,  e  afilla  pianta 

Rimasa  addietro,  ond*  io  ai  mi  settiglia 
Tutta  està  genta  che  ptaagendo  canta. 

Per  seguitar  la  gaia  olire  misura^.  65 

In  fame  e  io  aate  qai  «  rìia  aaata. 
Di  bere  e  di  mangiar  n-  accende  cura 

L*  odor  cb*  eara  del  pomo,  e  deilo;aprazzo 

Che  si  distenda  aar  par  la  verdara. 
E  non  por  «na  ToHa,  queato  apaxio  70 

Giranda,  ai  rinfróca  ^M«  pena;     ' 

Io  dico  pena,  e  favra  dir  sotlazsa; 
Che  quella  voglia  all'arbore  d  mena. 

Che  menò  Crislo  baio  a  dire  Eli 

Quando  ne  libeié  on  la  sua  vena.  75 

Ed  io  a  Ini:  Foraae,  da  qoel  di' 

Nel  qual  mutasti  mondo  a  miglior  vita, 

Cinqn*  anni  non  aon  vaiti  inaino  a  qni. 
Se  prìma  fu  la  possa  in  te  finita 

Di  peccar  più,  cbe  sorvenisse  V  ora  so 

Del  buon  dolor  cb*  a  Dio  ne  rimarita, 


f  olere  cbe  io  U  parli  di  quello  che  mi  hai  num  ad  aaaart  aaddiafatta  la 

d—andito  y  neatre  io  tana  pàaao  di  divina. 

marafiflia:   prrckà  omI  dqò  f9rì»n  79-74.  Che  ^mlimwogUm 

chi  ka  l'aoÌBo  accapato  d'  dir»  4aai-  alo  In  BMvato  alla  crvca  dal  émiàerìù 

àwù.  ardcate  di  add>iUre  gli  oomiai  caa  Diot 

ai-SS.  DelVeUmo  eona^Uo  «e.  a  boi  aimUiaeDU  coadaca  «ir  alkar«  il 

Dalla  divisa  gi«*tiia  che  si  diapasa ,  datidarìo  di  todiafara  ^1  oaatr»  pae- 

•aanda  ac. — ond' io  A  mi  toUigiiày  par  cala  alla  divina  (pwtisM.  •—  Eli ,  Eli 

tm  w  divento  ti  ararso.  lamma  subaehthami^  —a»  parola  die 

65.  Per  «eywifar,  a vmdoaefanlato.  Criaio  ditaa  ralla  croca  pocotvaati  di 

ae.  ii  rifa  fonia ,  ai  rìfii  Maoda  j  aùrara.  —  liH»     Gaai  Criato  qoanto 

Iona  a  giuktiua.  ali'  omanitè  aTdolae  di  auMtra,  aa  ro- 

€7.  »'  accende  curm,  mote  daaida-  leaCierì  e  lioUmaala  vi  ai  coadoMa  par 

fio,  appetenza.  redimere  il  genere  amano:  coaì  aai  ooo 

68.  dello  apmsso  ee.j  della  apmz-  ai  rattnttìamo  per  la  ieme  the  ia  aoi 

sa,  dello  tampillo  dell*  acqaa  dia  della  ti  rìnaava   alla   vista   dell' dkcvO|  ma 

racda  cadendo  ti  tpargeva  sopra  la  fo-  lietamente  moviamo  verto  <|Dello,  paa- 

fiia  del  verdeggiante  albero.  aando  cbe  la  aaatra  pana  a  randia  par> 

70.  E  non  pur  mma  colta,  a  non  gali. 

■aa  volta  aol«.  Acceaoa  cba  allrì  alberi  7$.  eo»  U  eum  verna ^  ad  aaagaa 

iaconlraoo  girando  aitonw  la  epmut ,  eoo. 

otsia  il  tnolo  del  eercbia.  79-81   Se  priwta  m.  Sa  frìma  die 

71.  ai  rinfreicay  ti  riaaava.  aopravvanitae  il  peotiaaeala,  aka  a  Dia 

72.  demre'  dir  eollaxxe.  lat.:  da-  me  rWoiigiange ,  ti  manrè  par  aagiaiia 
vrei  dir  piacere,  paicbé  d  goda  F  am-  ddla  malattia  il  potere  di  cooMnellara 
mo  pcoMndo  alia  par  la  at»tra  pena  alena  peccala  di  goloaitk^eoowee.te/ba 


in 


[.   FDA04T0BI0 


Come  se'  ta  quassù  venulo?  Ancora 
Io  ti  credea  trovar  laggiù  di  sollo. 
Dove  tempo  per  tempo  si  ristora. 

Ed  egli  e  me:  Si  tosto  m' ba  condotto 
A  ber  lo  dolce  assenzio  de'  martiri 
La  Nella  mia  col  suo  pianger  dtroUo. 

Con  suoi  prieglii  devoli  e  con  sospiri 
Tratto  m'  ha  della  costa  ove  s'  sspelta, 
E  liberalo  m'  ha  degli  altri  giri. 

Tanf  è  a  Dio  più  cara  e  più  diletta 
La  vedovella  mia,  cbe  tanto  amai, 
Quanto  in  bene  operare  é  più  soletti; 

Cile  la  Barbagia  di  Sardigna  assai 
Nelle  Temmine  sue  è  più  pudica 
Che  la  Barbagia  doV  io  la  lasciai. 
tir    '        0  dolce  frate,  die  vuoi  tu  ch'io  dica? 
Tempo  futuro  ta'  è  già  nel  cospetto, 

«  ignanta  din:  Seto  ti  pcotitti,  i 


.muli  ■  Di»  Hlmi 
poltri  pccctr  pia , 

liti, eoo»  «.—M 

B»  Ja  II 


Qu.»l.  (nfori. 


»U.  Il  11 


»rc»ò  u  ngDanli  e- 


i  li  diiidi  f 

'  82-85.  i<M 

<U  ■-■  pò»  il  lai 

di  FarMS  <■  amir 

goas  l'inlBirsgilii 


r  11  MdndgM  d 


I  i  più  dìf- 


coa'i    é   ancliB    plÉ  meri 
•  Dio. 

B4-93.  CU  la  Barias-a.  Darbifì* 
t  patH  dì  SirdfBiia,  il  qui1«  chi  ■ 
>pp«]|(  p<r  tutn  qnui  barbirin.  la 


^0  anrara.-  ai>n      ina 


il  PuUill.  CMt.  «  IB 

>t  moDlna  >IM  mm 
lia... ìm^bakiM 

(uni  indulB  «btili 


racaloM  diDiiirf  laori  d«l  I 
85.  Edfliù  mi.  Si  la 

ni  nantiglioM  toaiiUi  dì 
llilli. 
8».  la  iole*  ounuw  « 


91 .  ta  KMa  mia ,  titi.  I 
mia  cliiuMU  Ndla.  CtuMi  In  < 
pivbilt.  MkO  ForM,  III*  bi 
•  Ua  nrU  «Iti  Tfilot  ■«■ ,  *  I 


•  ipomtt),  ila  ^<k1  DIB 
■  diinl  rllB  dooiìuB  HoUa 


Ì 


CANTO  ▼BHTEsmanuo. 


«13 


iOO 


i05 


M 


M 


Cui  non  sarà  qnest*  ora  mollo  antica. 
Nel  qaal  sarà  in  pergamo  intardetto  • 

Alle  sfocdalB  donno  fiorentine 

L' andar  mostrando  con  le  poppe  il  petto. 
Quei  Barbare  ftir  mai,  qnai  Saracino, 

Cai  bisognasse,  per  fiu*le  ir  covarle, 

0  spiritali  0  altre  diecipKne  I 
Ma  se  le  svergognate  fosser  certe 

Di  qnel  che  il  del  veloce  loro  ammanna, 

Già  per  orlare  avrìan  le  bocche  aperte. 
Che,  se  T  antiveder  qui  non  m*  inganna. 

Prima  fim  triste,  che  le  gnance  impeli 

Colui  che  mo  ai  consola  con  nannfi- 
Deh,  frate,  or  fli  che  j^ù  non  mi  ti  celi; 

Vedi  che  non  por  io,  ma  questa  genie 

Tutta  rimira  là  dove  il  Sol  velL 
Perch'  io  a  lui:  Se  ti  riduci  a  mente 

Qual  fosti  meco  e  quale  io  teco  lui, 

Ancor  fìa  grave  il  memorar  presente. 
Di  quella  vita  mi  volse  costui 

Che  mi  va  innanzi,  1*  altr*  ier,  quando  t<mda 

Vi  8i  mostrò  la  suora  di  colui 
(E  il  Sol  mostrai).  Costui  per  la  profonda 

Notte  menato  m*ha  de*  veri  morti, 

4U.do9eUSoÌ9eK,iofùA  tao 
coqM>  r«  «abra,  togiicodo  il  |imh([|[mi 
•I  tolar  ragffio. 

446-447.  Qual  fatU meco  •qmmk 
io  teco  fui.  1  notiri  rapporti,*  It  ooatn 
conversaxitiDe  di  Ih .  che  tentiTi  ddla 
faDÌIà  e  dei  ditordini  del  leeolo;  o, 
•emplicrmeoCe  qnali  ci  Boalranmio 
Pano  all'altro.— Jiwor  fis  graoe  «e.; 
la  itnaa  memoria  dei  paiaati  errori  o 
pericnli  ne  dark  tormeolo. 

448.  IK  quella  vita  «e.  Da  qnena 
niaera  condizione  mi  traaee  eoéhti{y'v- 
gilio,  aimbolo  della  ragione  •  Mia  Sl»- 
aofia),  facendomi  coooecere  da  priaa 
la  infelicità  del  mio  stato ,  auindi  spo» 
veoiandorai  colla  vieta  dell' ioferao,  • 
facendomi  poi  pvrgare  de^TÌq  par  b 
peoilcnia  e  Hiaurriiio  della  cali  alia 
Tirtè. 

449.  fallr'icri  qaalcha  giona  ad. 
dietro. 

424-422.  per  luprofimdm  JVallf  ; 
int.  d'iafemo. 


i» 


99.  Cui  non  sarà  re.  Al  qnal  tempo 
BOD  aark  molto  aatcrìore  l'ora  prcaaota. 
Jatieut,  qui  est  ante. 

405.  0  spintali...  discipline wpì- 
rìtaali,  cioè  ordinamenti  ecclesiattici, 
o  etiire,  o  d'altra  maniera. 

4 OS.  fosser  eerte,  tapefaera. 

407.  ammanna,  ammanniaea,  pra- 
para. — ilciel  Telare,  int.  a  compire  i 
saoi  airi ,  a  vol(yer  gli  anni. 

4  40-4  4  4 .  Pnma  fien  triffccr.Iat.: 
^cite  femmine  si  dorranno,  aaraa  pa- 
aife,  della  sfacciataggine  loro,  prima  che 
il  faaciallino  che  orati  rallc|p^  con  Mm- 
uù  (eoo  «pelle  centilena ,  che  le  madri 
fanao  presao  la  culla  )  metta  alena  pvio 
al  meato;  che  è  qaento  dire:  ensichè 
piaàaa  aaindid  aani.  Accenna  alle  fa* 
Booi,  alle  speaae  cacciete  dei  attediai, 
alla  aMrCi,  alle  confische,  e  alle  divena 
gaerre  astorae  onde  fn  in  qaeato  Iretta 
i  tempo  travagliata  Pircnte. 

442.  fion  mi  li  celi,  intorao  alla 
cagioae  e  al  aiodo  onde  aci  venato  qni. 


444 


PUB«AT0R10 


Con  Questa  Tara  carne  che  il  seronda. 
Indi  m*  han  tratto  ao  gif  aooi  conforti , 

Salendo  e  rigiraado  la  montagna,  I2S 

Che  dràsa  voi  che  il  mondo  fece  torti. 
Tanto  dice  dì  htmì  saa  compagna, 

Ch*  io  sarò  li  dove  6a  Beatrice: 

Qnivi  convien  ebe  senza  lai  rìmagna. 
Virgilio  é  questi  che  cosi  mi  dica  izo 

(E  addita'lo),  a  ^&eeV  altro  è  qnell*  ombra , 

Par  cui  scosse  dianai  ogni  pendice 
Lo  vostro  regno  che  da  sé  la  sgombra. 

423.  eh9  il  MuemSm,  dn  fi  ap-  132.  pmiCet, rape, fianco  di  moola 

pnno  ■  Ini,  die  Io  tcfail*.  •  sponio. 

'1 26.  CA«irikM  «o<  ««  d(t  lifh  451.  £0  «Mlrw  rcgao  cA«  tfa  «4 /« 

giusti  e  retti  voi,  che  il  SModo  wunm  9gitmkra:  le  dipirie de  eè,  lasciandole 

eorrotti  e  trefiali.  salire  el  ciclo.  —  //  voelro  monU  3 

427.  ampagna,  eomptsiic  Codice  Chig. 


CAIVTO   VEMTESUEe^lJAii'VO. 

Fvttt  wtottrm  m  Dnmtt  90ri*  mmtm§  ti  fMoaf,  tn  t*i  «ftrf  U  poetm  Bammgktmtm  dm  futeem,  dl« 
fm/kinm  mt  Fior$'ittmo  ■■  momttle  «msm,  •  gli  ém  loé9  tM  éatf  mit  Hmm  fim  mdiféettt  tm*  («■> 
MomL  Porut,  frtdetm  memrmmtmtt  U  marta  àt  Cmif  m»  frmtettù^  tt  pmrtt,  t  ^«d  pntMtimtmém  H 
Ì0ra  tmmmumo  mnamw  pruf  «a  mtban  tUmn  uampj  m  urror  éti  ftott^  9  foca  éapa  imcomtfwaa 
PJmgHo  é  il  9*m. 

Né  il  dir  r  andar,  né  I*  andar  lai  più  lento 
Facea;  ma  ragionando  andavam  forte, 
Sì  come  nave  pinta  da  buon  vento. 

E  l'ombre,  che  parean  rose  rimorte, 

Per  le  fosse  degli  occhi  ammirazione  h 

Traén  di  me,  di  mio  vivere  accorte. 

Ed  io,  continuando  il  mio  sermone. 
Dissi:  Ella  sen  va  so  forse  più  l<irda 
Che  non  farebbe,  per  l*  altrui  cagione. 


f.mU  dir  ymndmr,  «e.  Cioè,  oè 
il  dire  fereva  lento  I'  smlere,  né  Fen- 
dere feceve  lento  (  lui  )  il  dire. 

2.  fòri»,  celemiH'iite. 

4.  HMorfe,  qneai  morte  dne  foitt. 
È  il  èli  wuHum  dHIs  Scriltore,  e  vele, 
eaedete,  convenir  airinitr«*mo. 

SS.hrU  foue  dwgU  utrhi  m.  In- 
tendi, come  se  dicesse:  accortesi  rèe 


M  en 


Mteene 
oesli  oo 


me,  vd.Teveno  delle 


resone  verso  di  me.  Le  Israe  pcr4 
con  che  Dente  esprime  questo  concàio  è 
tnlte  Doiiva  ,  e  propria  di  Ini. 

7.  il  mio  sermone,  cio^,  il  nùo  di- 
senrao  incouinaato  intorno  ell*eaWn 
di  Slesio. 

a-O.  ElU,  le  dette  ombre  di  Slndn, 
eemmiea  forse  pie  lente  eko  per  iA 
sti-sea  non  rerrbbe,  per  l'mOnd  ••• 


ctvitè  degli  occhi  le  pupille  cmi  aniini- 


pfone ,  e  rignardo  d' altri  :  e  fine,  doè, 
di  trallenersi  in  cumpegue  dì  Virnilin. 


CANTD  TBimSIMOQirARTO.  145 

Ma  dinni,  se  to  sai,  dov^<  Flccanla;  io 

Dimni  s*  m  ^fegffù  da  notar  persona 
Tra  qaesta  gente  che  al  mi  riguarda. 

La  mia  sorella^  che  tra  bella  e  boona 
Non  ao  qaal  Ibase  pib,  trionfa  lieta 
Neir  allo  Olimpo  gÙ  dft  eoa  corona.  i5 

Si  disse  prima;  e  poi:  Qn  non  ai  vieta 
Di  nominar  ciaacan,  da  cB' è  si  nuota 
Nostra  sembianaa  tii  per  la  dieta. 

Questi  (e  moaferò  col  dito)  è  Bnonagiunla; 

Boooaginnta  da  Lncca:  e  qnelht  hcdtà  20 

Di  li  da  Ini,  pii  cte  P  altra  trapunta, 

Ebbe  la  Santa  Chiesa  in  lesoe  braccia: 
Dal  Torso  fa,  e  porga  per  digiano 
L'anguille  di  Bolaena  e  la  ▼emaccia. 

Bfolti  altri  mi  mostre  ad  nno  ad  uno;  15 

E  nel  nomar  parean  (ulti  contenti , 
Si  cb*  io  però  non  vidi  mi  atto  brano. 

Tidi  per  fame  a  moto  usar  U  denti 
Ubaldin  dalla  Pila,  e  Bonifazio 
Che  pasturò  col  rocco  molte  genti.  30 

40-.  Pieemrén  Ooncii ,   sorrlla  il  t  rìre  nelhi  fi- ■■«€!■  U  ansiiill*  f eioilt 

Fwi  •  d»  C«inM>,  oIm  r^iUti  aiMMt  mI  |«g»  JA  Bi*h(«ia,  e  poi  inaoginwto 

ài  S.  Chiara  Huvr  p»i  u«cir«  di  nona-  a?Mlainrnt«  in  ni]nnitti  maokarclti.  Fa* 

ttera  lorsiiU  da  C«>rs<>f  rfa«  pvrciò  vanne  papa  lial  1281  al  1284.  >-  La  Nidnb«a- 

da  B<*loi;na ,  volenJ»  «farta  mb  mnglie  iìim  a  ti  Ctidice  Caaain.  hann*  In  ia 

•d  ao  della  T4»aa.  a  cui  ipà  raveva  pru-  9emaeria. 

Ha  «Ila  a'  lofirriuò  poco  dtipo,  e  27 .  atto  bruno,  alto  adefnoto,  o  dk 


niHTrsrtnii'nto. 

4h.  dm  iMicr,  degna  di  eaaar  no-  28    Vidii  int.  Ivi  moaCrante. -^  • 

Illa.  «nolo  uimr  ti  denti,  morendoli  qmri 

4 a.  NfWallo  OUmfto,  nel  aiolo,  avease  qualche  e.na  da  rodere:  è  allo 

OlympfW  ai];ii>fira  tutt»  spltnd^utt.  di  chi  ha  (pan  fame. 

16-48  Qmi  non  wi  viHa.  I»  i|netto  29    Ubaldin  dmlta  PUm.  Ubaldhi» 

••è  pcioii-a«o  a  cia<(i-oiio  di  aomi-  de(*li  Ubalilini  dallu  Pila,  che  è  an  ca- 

_^_  le  oaibra  cha  ri  f<>no,  dacché  "aoa  stello  nel  Muffello  «ni  dorao  di  Mnate 

h  poeaiailo  por  la  diafatta  ^uibÌ4nfo ,  Smari»,  dal  quale  ni  mimino  an  ramo 

cb' altri   le  rioiio«>aca.  —  mmntm  via,  di  qnenta  rNnii;;IÌN. —  Btmifatlo.  Boni- 

tolta  via.  amaiila,  per  digiuno.  fatio  ilei  KieM-hi  di  LavaQna,  paeae  dd 

18  iffionmgiunta  Fn  dt-gli  Orbi-  Gean^ekal»,  fu  arrive«ef*vn  di  KaTeoaa. 
«ai  o  Oibiciaat  da  Luera,  bui»*  rima-  50   Che  ftatturò  eoi  mera  ee.  Al* 

tara  pai  eaoi  tffBpi,4aa  di  alila  neglaHo.  eoni  eupMulon.  imnemlo  che  rocfa  wm 

21.  (rapwila,    goHcta^  afriiaeata,  denveUtderarriM.  voce  laliaade'baNi 

Ber  Biealffiia.  temM,  eb«  nf^nitìra  la  ditta  proprie  del 

22  Kbbé  taSmnta  China  te.,  cioè,  prelati  a  dei  vevii%i,  detta  altrìmeali 

fa  meriti»  delia  Santa  Cinema,  fa  potile-  rorcfc^fo.  hanm*  interpretato  come  te 

8ce.  Qaaati  è  Mattino  IV  ilei  Torai»  di  il  Pinta,    preiidemlo  ri(piralami>Rte  la 

Freocie  (di  Tuais),  il  qaala  fecere  ma-  colto  per  la  retidiU  dc\  ^««cv(%\««aaae 


r  Marchese,  eh'  ebbe  spazio 
Gii  di  bere  a  Forlì  con  meo  secchezza, 
E  si  ra  tal  che  non  sì  senti  saziO' 

Ma,  come  fa  chi  guarda,  e  poi  fa  prezza 

Più  d' uTi  che  d'  altro,  fé'  io  a  quel  da  Locca, 
Che  piii  parca  di  me  voler  contezza. 

Ei  mormorava;  e  non  so  che  Genlocca 
Seutiva  io  là  ov'  e1  senlia  la  piaga 
Cella  ginsttzia  die  si  gli  pilucca. 

0  anima,  diss'  io,  che  par  si  vaga 

Di  parlar  meco,  fa  sì  cb'  io  ('  intenda, 
E  tè  e  me  col  tuo  parlare  appaga. 

Femmina  è  naia,  e  non  porla  ancor  benda. 
Comincia  eì,  che  ti  Farà  piacere 
La  mia  città,  come  cli'uom  la  riprenda. 

Tu  te  n'  andrai  con  questo  antivedere: 


I 


M  d(Uo:  ielle  Mndih)  Jol   veKMido 

^\x  «ntL«  il  lorwMla   (<•  hmf\  ém 

Ma  Bcnt«Bii(a  di  Imoli  Ahq  rht'll  f»- 
.taril«<lrll'irci>«cD>(.<lin><cnn(,J^ 

*  Ini  diva  )•  gia>Uiii  di<iaa-  CnlWTO 

la  nvbila  t  oslDoiIa  lionn*  Inerbar, 

doII«  un.|g  Danio  nel  »a  .Illa  paiun- 
de   par  Latta  •' ianuiorl..   Qui   Bnp 

fannU  è,    quello  de|li  illrì  twi»i. 

tn  au  «rg.  dìrìll.  .  roWnd.  ,1  ™. 

tniace.   Sì  credi  cb.  aa>U  fiolM» 

w>,  ■  hnii  di  no  rwcp,  che»  il  bor- 
iti,  d.^ll>£rì»i.  0»  pr.<.d.ad.  1. 

pinli  r«ttf>  in  qHil»  .ÌBi.ie«le,  eti* 

ll,nl.  .'ìn,..«nr.w  qnuido»  MH.» 

ne  In  Imi  nel  43U. 

lu   »rtÌi(K8to  di  Ili>ei"i> ,  di  vai  t 

SV.rhe  li  trb'pOwAi.eki   A  U 

r»prì<>ilr«». 
'       81.  iMMir  JVarcV».   Slinl»» 

care  a  nnn  •  un»  ì  gran,  d'  «a  IripMl 
d'o..a«,»,ai.r1i..inA.>,a.Wl. 

ie'Bipdimi  di  P«rik ,  orta  havtlon. 
Nirniulo  t  lai  un  giorna  11  n»  ciali- 

il  puro  rupe.  Ognnn  tede  tba  B«a  p*- 

BMn  cbt  ftr  U  cilU  li  dl.TK*  Ch'  tgli 

M  e.prì.nl«i  l'Aida.  c«.  piò  f»^ 

«■Mnipr»  «  b»";  •  perche  OMi  iti   In 

l«..™p«.,rti'b«.«Bp.<«l.t 

JS.  e  iwii  paria  «■eor  tMda.  U 

e2.  CM(  mm  iKiArEKi,  «a  Dima 

benda  *r*nnd..fr<.cbe.».aeadod.l 

mmrt,  «oniniiui  Mia  cb*  <|al  nMi  bi. 

«ptooprita  gli  «thia  il  tolU.  fort» 

BS  «»!.•««■  imi" f'fc  Aliriil^H. 

lana  an  lai  oaln  le  ouritateo  la  nJ» 

B4.fruM.  ormi,  tiimi,  conin. 

Te,  icbbni.  di  dirarta  aolaia-   U  M- 

M.  di  «M  mW  cotanta,  tolw  •■- 

dn.e  ■.ynn  nera  il  .nlilo,  a  i  nB 
Manchi.  >l>JaMid«   dunque   4*   natlln 

B«r  di  B»,  0  mltr  di  me  iIeiuhi  ubiirì- 

BinU.  QmìI*  ti.  1  di!  I«lu  Vii.,  dai 

C«d.nor.  ada-rn».  GT,340;aBlì 

dir*  cb*  Dna  »*  aaen,  manUU. 

«MlRM.  V.di  .  toafara»   di  al  il 

ben,  .bb,.  f,l«.o  a..n.-7r7«"''W 

V.  4D, 

8T-S>.  MK  (0  rfcr  CmliH-ia  Sni- 

■ugna  nell'  tn^friu.  al  CenU  IIL 

UH  ag.  lo  uoliti  «arma»,.  1.  «.nU 
,  MM«  1»  IWl  Uà,.  tfX  t^«-S)  «• 

VMI.ni.fr.fadt.                 ,^^ 

.    ^ 

.    M 

CANTO  TEKTESIMOQUARTO. 

Se  nel  mio  mormorar  prendesti  errore, 
Dichiareranti  ancor  le  cose  vere. 

Bla  di  s*  io  veggio  qui  colui  che  fuore 
Trasse  le  nuove  rime,  cominciando: 
Dorme,  eh*  avete  trUdìetto  d*  amore. 

£d  io  a  lui:  F  mi  son  un  che,  quando 
Amore  spira,  noto,  ed  a  quel  modo 
Che  detta  dentro,  vo  significando. 

0  frate,  issa  vegg*  io,  diss'egli,  il  nodo 
Che  il  Notaio,  e  Guittone,  e  me  ritenne 
Di  qua  dal  dolce  stil  nuovo  eh*  i'  odo. 

Io  veggio  ben  come  le  vostre  penne 
Diretro  al  dittator  sen  vanno  strette, 
Che  delle  nostre  certo  non  avvenne. 

il  qual  più  a  guardare  oltre  si  mette, 
Non  vede  più  dall'uno  all'altro  stilo: 


447 


40 


55 


60 


À7-ÀS.  Se  nel  mio  mormorar  ee.  Se 
ti  fn  (Mcaro  e  m  fi  fu  cagione  d'errore 
quello  che  io  por  dianzi  mormorii  fra 
i  denti,  le  cose  che  cerlamenie  aocad»- 
ranno  lo  ti  faran  chiaro. — keoseven, 
i  fatti. 

49.  t*  io  veggio  qui  te.  Intendi  :  te 
io  Tef^io  <ini  quel  Dante  Alighieri  che 
predirne  nme  in  istilc  non  più  adito. 

54.  Donne,  eh'  avete  ee.  Cotti  eth 
omieia  noi  nobilissima  cantone  del 
neatro  Poeta  che  si  le(jge  nella  Vita 
^Htoca. 

52-54 .  Fmi  ton  un  che,  quando  ee. 
larere  di  rispondere  ch'e{;li  è  quel  dea- 
«e,  f  li  dice  cVei  deve  le  nuove  e  mare- 
\Ì0Hoae  rime  a  on  amore  altamente 
sentito  oeir anima.  In  queste  poche  pa- 
role si  comprende  tutta  la  poetica.  Pri- 
ma condizione  al  poeta,  il  cuore,  tenia 
il  qvalc  si  posson  far  versi,  ma  non  pe^ 
sia  :  r  mi  fon  un  che,  quando  Amore 
spira,  noto  (attendo ,  noto  colla  men- 
te) ;  lecooda  condizione  oeceMiria: 
<^prauionc  conveniente  e  pari  a(ili  af- 
fetti aentitì  ;  ed  a  quel  modo  Che  deità 
dentro,  vo  significando. 

55-57.  ista,  ora, adesso:  vegg*io, 
din*  egli ,  U  nodo.  Int.  :  ve|rgo  ora  la 
ragione  che  legò,  che  fu  impedimento  al 
Notaio  la  Iacopo  da  Leutino  rimatorel, 
a  Goittone ,  e  a  me,  che  non  ginngeiai- 
fno  a  poetare  si  dolcemente  Questa  ca- 
r^one  fn  il  non  essere  eglino  accesi  d'a- 


more siccome  fu  Dante  ;  che  è  quanto 
dire  la  mancanza  di  sentimento  e  d'in- 


apirazioae. 
tani. 


•—  di  qua,  addietro,  lon- 


58.  le  vottre penne,  di  voi  sommi. 
Accenna  probabilmeate.oltre  l'Alighieri 
medesimo.  Guido  Cavalcaoti  e  Gino  da 
Pwtoia. 

59.  al  dittator,  ad  Amore  che  i  Ter- 
si detta. 

60.  Che,  il  che. 

64  -62.  E  qual  ptè  a  gttordaire  ee. 
E  chiunque  si  pone  a  riguardare  pOi 
oltre,  più  a  dentro,  chi  approioo- 
disce  coir  intelletto  i  vostri  componi- 
menti ,  Non  vede  piU  dall'uno  alfé^ 
Irò  itilo,  cioè  :  vede  una  distania  im- 
mensa tra  lo  stile  vostro  e  il  ooatro.  Ho 
preferito  questa  lenone  sostenata  da 
autorevoli  OmIìcì  ,  tra  gli  altri  ffoello 
di  S.  Croce,  il  Fior,  e  il  Caet.,  e  l'edic. 
di  Fuligno,  alla  comune  E  qual  pOi  a 
gradire  ee.,  perchè  se  ne  tiae  on  sen- 
so multo  più  facile.  Il  concetto  però 
della  eom.  non  è  spregerole;  ed  è  one- 
sto !  E  chi  n  gradire,  per  venir  piò  in 
grado  alla  gente ,  scrivendo  d' amere  y 
ti  alette  oltre ,  passa  avanti ,  int.  ad 
Amore  dettatore  (in  «ppoaiziooe  a  tpni 
che  è  stato  accennato  sopra, diralro  «f 
dittator  ten  vanno  strette)  \  ceatni , 
questo  tale  scrittore  è  nn  cieco  che  non 
vede,  non  sente  la  differenza  die  è  tra 
ano  stile  copiatore  fedele  della  nafma. 

11 


E  quasi  coDteoIato  si  lacetie. 

Como  gli  aogei  die  vernati  ivauft  il  Nilo, 
Alcana  volta  di  lor  ranno  schiera, 
Poi  votan  più  in  fretta  e  vanno  in  Glo; 

Cosi  tutta  la  gente  che  li  era, 

Volgendo  ii  viso,  ralTrettò  SDO  passo, 
E  per  magrezza  e  per  voler  leggiera. 

E  come  1'  nom  che  di  trottare  è  lasso, 

Lascia  andar  li  compagni,  e  si  passeggia 
Fin  che  si  sfoghi  l'aObllar  del  casso; 

Si  lasciò  trapassar  Is  santa  greggia 
Forese,  e  dietro  meco  sen  veniva. 
Dicendo:  Qaando  Ca  eh'  i'ti  riveggiaf 

Kon  80,  risposi  lui,  quanl'  io  mi  viva; 
Ha  già  non  Ga  '1  tornar  mio  tanto  tosto, 
Cb'  io  non  sia  col  voler  prima  alla  riva. 

Perocché  il  inogo,  u'fui  a  viver  posto. 
Di  giorno  'n  giorno  più  dì  ben  si  spolpa, 
E  a  trielB  ruina  par  disposto. 

Or  va,  diss'  ei,  che  quei  che  più  n'  ha  colpa 
Vegg'  io  a  coda  d'  una  bestia  tratto 


fMitur. 

fi3.  £  «uri. 

lltltUWdclHIIIll 


Ta-  Fin  cht  tf  iftgU  w  ,  6aà* 
«ili  («gì,  l'in|Hlo  dfU'uiwnid 

TT-7g.  ira  gii  Mini  jl«w.  tUpi 


90  ti  ir»  li  II 


pirpm.  -livfiVra,  .gii»,  h-™"- 
70.  IreUari.  ftr  .iniilil   »lr«in- 

14.  llf»UtigÌM.  ■■  na  ••  Jl  pa- 

■f|ÌM|>  (mia  il  w.l.r  (  ■  rho  fraa 

Ml(|fHt>  H  piutii/flia ; a«*    tetti. 


:i>git.'ii.iiiilr>"i>X.Ut|g, 


'Z£Z 


proM 
rimii 


CANTO  TENTESIMOQUABTO.  449 

Verso  la  valle,  ove  mai  non  si  scolpa. 
La  bestia  ad  ogni  passo  va  più  ratto  85 

Crescendo  sempre,  infin  eh*  ella  il  percuote, 

E  lascia  il  corpo  vilmente  disfatto. 
Non  hanno  molto  a  volger  quelle  mote 

(E  drizzò  gli  occhi  al  ciel),  eh*  a  te  fia  chiaro 

Ciò  che  '1  mio  dir  più  dichiarar  non  pnote.  90 

Tu  ti  rimani  omai,  che  'l  tempo  é  caro 

In  questo  regno  si,  eh'  io  perdo  troppo 

Venendo  teco  si  a  paro  a  paro. 
Qual  esce  alcuna  volta  di  galoppo 

Lo  cavalier  dì  schiera  che  cavalchi,  96 

E  va  per  farsi  onor  del  primo  intoppo; 
Tal  si  parti  da  noi  con  maggior  valchi; 

Ed  io  rimasi  in  via  con  esso  i  due, 

Che  fur  del  mondo  si  gran  maliscalchi. 
E  quando  innanzi  a  noi  si  entrato  fue,  loo 

Che  gli  occhi  miei  si  fero  a  lui  seguaci, 

Come  la  mente  alle  parole  sue; 
Parvermi  i  rami  gravidi  e  vivaci 

D*un  altro  pomo,  e  non  molto  lontani. 

Per  esser  pur  allora  volto  in  laci.  106 

Vidi  gente  sott*esso  alzar  le  mani, 

no  Virgilio  e  Stailo^  e  qvali  tono  latti 
i  grandi  poeti  epici. 

400<t02.  B  quando  te.  E  qvando 
Forese  fu  §ntrato  iimanzi  a  noi  ^n  fii 
inoltrato  «  allootaoato  da  noi  io  nodo, 
ebe  i  miei  occhi  ti  fero  •  lui  ttgmmi, 
lo  aeguitavaoo,  lo  vedevano ,  eono  la 
mante  mia  trorgeva  poe'anxi  nello  pa- 
role profetiche  di  Ini  (che  è  qvanto  di- 
re, incertamente,  e  qnan  niente),  Par- 
vermi  ,  mi  apparterò f  vidi  ee. 

103.  gravidi,  carichi  di  irvtla.  — 
vivaci,  verdeggianti. 

104.  D'u«a/lro  pomo,  di  «a  altro 
alb«t>  pomi  fero. 

104-105.  f  non  mofto  ionttmt , 
Ptr  ttter  pur  alloru  volto  in  Imei.  Mi 
apparvero  i  rami ,  non  molto  lontaai , 
perchè  rimanevano  poco  dopo  il  ioai— 
deir  arco  del  monte,  al  di  là  del  fiu^ 
tolamente  allora,  per  aver  giralo  ,  €•• 
mmaavo  a  vedere.  Rende  ragiono  dal 
perchè  nnn  gli  aveii»e  vedati  da  iMif- 
gior  distania.  —  lati  per  là,  coOM  IÌ€Ì 
per  lì,  furme  oggi  dismeaaa. 


86.  infin  eh' ellail percuote.  U  Poe- 
ta aappone  che  il  cavallo  imbizzarrito 
■ccidame  Corso  Donati.  Ma  veramente 
fm  aeciao  da  alcuni  soldati  catalani 
S    Salvi  nn  miglio  distanla  da 


as.  Non  hanno  molto  te.  V  noci* 
aioBO  di  Corso  Donati  avvenne  il  15  aeU 
tembra  delF  anno  1308,  cioè  oUo  aasi 
dopo  la  supposta  visione  di  Denta. 

90.  Ctè  ehe'l  mie  dir  te.  Qatata 
oneata  circospezione  del  Poeta  di  non 
nominar  mai  Corso  Donati,  forso  ^era 
darai  al  vincolo  di  parentela  che  a  Im 
lo  stringeva. 

96.  del  primo  intoppo,  della  prì- 
ma  pugna  coli'  avversario  ,  del  primo 
aeaotro. 

97.  eon  maggior  tateht.Con  pomi 
maggiori  da'  nostri.  Vnleo  è  sincopa  di 
ralieOt  a  significa  qui  lo  spazio  iolaf^ 
medio  tra' due  piedi  nel  caiumiiiara. 

99.  m«/<«e«(cM.Mulsralcu  vaia  go- 
vernatore di  eserciti-  qnifìguiatNmrBle 
per  maestri  del  vivere  ci\  ile,  quali  «n- 


I 


DEL  PUaOATOBIO 

E  gridar  non  so  che  verso  le  Tronde, 
Quo-^i  bramosi  fanlolini  e  vani, 

Che  pregano,  e  il  pregalo  non  risponde; 
Ma  per  fare  esser  ben  lor  voglia  acata, 
Tien  alto  lor  disio,  e  noi  nasconde. 

Poi  si  parti  sì  come  ricreduta; 

E  noi  venimmo  al  grande  arbore  adesso. 
Che  lanli  prieglii  e  lagrime  ririuta. 

Trapassate  oltre  Eenza  farvi  presso; 

Legno  è  più  su  cbe  fii  morso  da  Eva, 
E  questa  pianta  si  Jei'ò  da  esso. 

Si  tra  le  frasche  non  so  chi  diceva; 

Perchè  Virgilio  e  Stazio  ed  io  ristretti, 
Oltre  andavam  dal  lalo  che  si  leva. 

Ricordivi,  dicea,  de'  maledetti 
Ne' nuvoli  formati,  che  gatolli 
Teseo  combatter  co'doppj  petti: 

E  degli  Ebrei  eh'  al  ber  si  mostrar  molli, 
Per  che  non  gli  ebbe  Gedeon  compagni. 
Quando  in  ver  Madian  discese  i  colli. 

Sì,  accoltati  all'un  de' duo  vivagni, 


iO»-Ht.Quinibritmi,Htc.:às,iì, 

120-  dal  late  ckn  ti  Imi,  d.  tini. 

con»  rindulli,  cb<  W.iu»!  di  ilcd<.i 

.I»,  d.  mi  iDrifl  il  diiwIb  g  fa  ipoadi, 

«.«lire  l>>ltr«  Ilio  cadt ,  boa  ireado 

csIdÌ  (Iw  *  prtgito  nno  ri.ponde,  ma 

limr  iu  )[»  (p^  dUio .  cio«  ».  co,. 

i2\-i22  d^maledeUÌK..ài>tU 

doidenti,  •  ti   mMlra   loro  per  •!« 

Ccal.nri  nmcreli   otì  tnasrcMO  i'U- 

■DilgiormtDUlIkIttrIi.  —tani.  Im- 

pOlMli- 

fi^ur.  di  Cinnoae,  1  .|ugl.  piiiii  di  *ÌiH 

liuOroDO  di  npire  1.  .p<».fpp«l.»i  . 

Pirit™  [r.  i  DD'Lli  murili  ;  ond'ibbfr 

c>»  •IcDdfl  d.;  Frulli  di  qii(ir.H«.ro. 

.'E.rTx-.ferp-e.u; 

US.  miuiD.id*!  1.1.  od  ip»n. 

tappi.  ltmp<u:  .Itor.,  inccnUnenK, 

adt     U    lunnrìl:     «occhi    adtiM 

llci»l.p7:S.<.ppr».». 

m». 

1t4.Ch<ldnl<pK.-;fiÌK.,cUc  . 

ISSw'dopR/ pedi.  «»*,  col  p.<to 

Dilli  prì«slii  i  ÌllllHHl.1i.. 

d'u»n.»eronni>i'llu<)i<Mtllii>. 

tIO.  UfnoèplU.,.Loi>ircmo 

I2I-I3G.  EdegtìBbTHm.Qttm- 

.dILcìki.  ddipii.piurì». 

doC'd^DC  .ndA  conlrit  i  Mvliuili  oh 

IIT.efNoMpiiMB  l(   Ittòda 

td1I«  per  cnmpagni  .tecouds  ilnoiuib 

nicnlo  dÌOÌi>,tnliirfi  che  per  In<p|il  (m- 

Emi  ■  101  H  1.  locuK.   Ponpraw  ani 

Arid.  n.  mi»  onrlli  che  ibodB  il 

gli  tt-^mpi  di  icrrim*  trcas  dei  gaio. 

d:  rumo  d>i  quii,  .  .,iifII<>  d'  t>i  che 

piedi  ..ertn»  .11.111.  l'.cqu  colle  int- 

p.r  lui.  d'  BO  pumo  fait  il  genere 

127   airundcd-c  t*«lff«.-..d 

119.   rlilrflli.   l'uno  tll'tliro, 

nalii. 

t.ned.(,l,erlidell.tUjealà«u«.t« 
dello  niiel  eri. 

CANTO  TEHTESmOQUAETO. 

Passammo,  udendo  cxdpe  ddla  gpla, 
Sfinite  già  da  miseri  guadagni. 

Poi,  rallargati  per  la  strada  sola. 

Ben  mille  passi  e  più  ci  portammo  oltre, 
Contemplando  ciascun  senza  parola. 

Che  andate  pensando  si  voi  sol  tre? 
Subita  voce  disse;  ond'  io  mi  scossi, 
Come  fon  bestie  spaventate  e  poltre. 

Drizzai  la  testa  per  veder  chi  fossi; 
E  giammai  non  ai  videro  in  fornace 
Tetri  o  metalli  si  lucenti  e  rossi, 

Com'  io  vidi  un  che  dicea:  S' a  voi  piace 
Montare  in  su,  qui  si  convien  dar  vdta; 
Qainci  si  va  chi  vuole  andar  per  pare. 

L*  aspetto  suo  m'avea  la  vista  tolta: 

Perch'  io  mi  volsi  indietro  a'  miei  dottori, 
Com'uom  che  va  secondo  ch'egli  ascolta. 

E  quale,  annunziatrice  degli  albori, 
L' aura  di  maggio  movesi  ed  olezza. 
Tutta  impregnata  dall'erba  e  da' fiori; 

Tal  mi  senti'  un  vento  dar  per  mezza 
La  fronte,  e  ben  senti*  mover  la  piuma. 
Che  fo  sentir  d'ambrosia  l'orezza; 


m 


450 


i36 


440 


Ì4S 


428-429.  eotp€  delta  gol:  Goè, 
fsempj  di  golotitij  antichi  peeeati  di  go- 
la ;  stguile  già,  a  cui  cik  taoMro  ma- 
tro  WHteri  guadagni,  doè,  ftstigitt 
tarribili ,  c«Hna  quegli  sopra  alati. 

480.  per  la  •Irada  iota.  Il  Costo 
dieo  A»  noo  potendosi  dir  solo,  sofito- 
ria ,  «uà  strada  che  è  frequentato  da 
tatto  la  anime  dei  golosi .  ai  quali  l'al- 
Wro  ricala  i  saoi  frutti,  la  parola  «ofo 
4er«  qni  falere  libera,  inqoaotocliè 
•OD  pia  occupata  dall'albero,  come  di- 
noatra  andio  la  voce  rallargali  dal 
poeto  adoprato.  Io  noo  dirò  che  quarta 
apcganone  non  possa  stare,  ma  Toglio 
a\Tcrtire  che  quella  torba  d' anime  eha 
aoaptraTano  ai  pomi,  s'era  gib  partito 
(vodì  T.  4 12);  e  che  può  benissimo  s«p- 
porn  che  per  quel  tratto  ove  si  trovavano 
I  Poati  noo  fosse  allora  alcun'animaisio- 
ckè  0  potavano  esai ,  oltrepassato  V  ai- 
boro  oe  impacciava  la  via,  dirsi  rallar- 
gati, o  poteva  la  strada  esser  io/«,  cioè 
aenxa  geoto  ;  che  è  il  proprio  e  vero  sto- 
to  della  parola. 


iSO 

452.  CmUampiando  etaaeisii  «f-* 
dascon  di  noi  ineditando  in  sileaiio 
Milo  cose  veduta. 

435.  Cka  mudate  ee.  Che  andato 
eoli  pensando  voi  tre  soli  ? 

455.  ipatentaU  §  poUrt ,  a  eoi  si 
fa  peara,  o  che  son  prese  da  pavento 
meni  re  poltriscono. 

444 .  QttiiiH  s<  co  ee.  Va  di  qai  ^ 
molo  andare  alla  paoe  de*  baaCL 

442.  tolta,  abbarbagliato. 

443.  mi  9olii  indietro  at.  f  ai  ri- 
tirai dietro  i  miei  maestri. 

444.  Com'iiom  che  va  moomIii 
th'egti  aseotta.  Coma  nomo  che  boa 
vedendo,  va  secondo  il  snono  dolto  al* 
tmi pardo,  o  passi. 

443-447.  S  gitala,  onmuaiaiHta 
degli  albori  ee.  E  come  l'anra  di  «ai* 
gio  sol  far  del  ffiomo  movesi  ea.  QiMfi 
versi  sono  belu  veramento  o  aoavi  a^ 
ma  la  Primavera. 

450.  d'am^roeim  Fortam,  A  af- 
fluvj  deirambrosia ,  lo  spirare  daU'am- 
brosìa. 


I 


E  seoli'  dir:  Beati  cai  attiima  ^^H 

Tanto  di  grazia,  che  r  amor  del  gnslo  ^H 

Nel  petto  lor  troppo  disir  non  fuma, 

Egorjpndo  sempre  quanto  è  ginsto. 

1SI-IS3,  Bfall  cui  altuma  k.  ,c*  tà  tumi  dxe  mandi  ti  «rcbrc 
Btill  coloro  (oi  iJluiDini  l*nU  groiìa,  151.  Eiuritiulate.:»fptU:odoiea- 
ch»  l  amor  Jtt  juiln ,  cint ,  il  min-  pra  tiocì  tenia  «iliBHnla  cfaa  i  eume- 
ni IrHparlD  il  bi'rt  (  il  mngitra,  PMUia.slie  biiU,  parKalaiiUr  In  tì(i 
JVel  |wùa  lor  Inppa  diftr  n«i  fa-  SiiiiD  li  pimU  Htn|i-1ic1i4  Broli  qui 
■u,  noo  moia  nil  lora  pula  trnp|Hi  utiWilniyiuHKam.-aenDDiirhtilPiHt) 
doridaria  ,  a   Don  ■'■cernda  in  Iropii»  bi  riMrcUa  qni  U  tate  jiuliliaKI  ■  li- 

qui  fama  apfodoad  alluma:  U  gra-  eiba,  dclEcniinila  dal  pura  bìufiia; dit 
■ia  dÌTÌDi  rìicliiin  dalli  loi  lace  l'io-  «Delia  ciò  rnira  netl'idt*  (uenla  dal- 
lallcUo,  1)  crapula  Io  InrU  a  t'onu-      la  (iiufiiit  a  dal  retto. 


CAIHTO   VEIKTESOIOQIJIIVTO. 


Ora  era  che'l  salir  non  volea  slorpii 

Cile  'I  Sole  avea  lo  cerchio  dì 

Lascialo  at  Tauro,  e  la  Nelle  allo  Scorpio. 
Per  che,  come  Ta  l' uom  che  non  3'  affigge. 

Ha  vasfi  alla  via  sua,  cherchè  gli  appaia, 

Se  di  bisogno  slimolo  il  iralìgge; 
Così  ealrammo  noi  per  la  callaia, 


I 


laron.f&i'lta- 


>  qn'lla  M  I 


Du,  a  OBI  \jm-  rfUMAUi,  a  conia  più 
Ifolara*  più  chiara  l'ho  pratcrila  alla 
HB.  cnult'lialir.  dia  pur  lU,  parelio 
'OTtn  incha  io  altri   antichi   urìlloii 

1-3.  il  SeU  «.  Il  lala  «I  Umf 
dliiidone  di  Dania  fra  nt*  primi  uraili 
[|1' Aneta  j  a  prrtii  il  P..ela  in  luiifn 
i  dira  cha  il  iifEo  dell'Ariele  iTcva ji^ 
Itrapauala  il  circal»  niFinliano,  di» 


dlli>  lunga  allo  Seorpiwn.  E  qoRla  »  lo 
MeoB  cha  dire'  iipir  an»>rrnodalPBr- 
galano  arano  dna  ore  dopo  maia  giar- 
PO,  •  aair  iiouferia  iftiipodD  «1  Parfi- 

OiMltlun  i  Fpotanelb  cW  li  Toet*  np- 

Fauia  MBiiKios  oppoaiumanlo  al  Sol*. 


del  Toro.  La  oolla  Dall'eimtlerìo  app^     cba  ueii 


CA>TO    VK\TF.SIM()Qi:i>T(».  i23 

Uno  innanzi  altro,  prendendo  la  scala 
Che  per  arlezza  i  salitor  dispaia. 

E  quale  il  cicognin  che  leva  1*  ala  io 

Per  voglia  di  volare,  e  non  8^  attenta 
D'abbandonar  lo  nido,  e  giù  la  cala; 

Tal  era  io,  con  voglia  accesa  e  spenta 
Di  dimandar,  venendo  inflno  all'  atto 
Che  fa  colai  eh*  a  dicer  s' argomenta.  16 

Non  lasciò,  per  V  andar  che  fosse  ratto. 
Lo  dolce  Padre  mio,  ma  disse:  Scocca 
L' arco  dei  dir,  che  inaino  al  ferro  hai  tratto. 

Allor  sicuramente  aprii  la  bocca, 

E  cominciai:  Come  ai  poò  far  magro  so 

Là  dove  l' uopo  di  nutrir  non  loccaT 

Se  t' ammentaasi  come  Mdeagro 
Si  consumò  al  consumar  d'un  tino, 
Non  fora,  disse,  questo  a  te  si  agro: 

E,  se  pensassi  come  al  vostro  guizxo  26 

9.  Ck§  per  arUxsa  te.,  ch«  fir  !•  Sl-S.  m  CmmmenUuit  —  ttvri  a 

SM  ilrtttcna  noo  penaelto  ai  aalitori  tmaÈ»^eowitMtUagr9  fc.Qaaaia  Dae^we 

aitadaraaMro,HMglioMifBaialira  «mito  Sglio  A  Bnaa  ri  £  CaKdMM,  la 

PsM  4ooe  V  altro.  hU  or^ÌMfMw  cIm  U  vhar  tm  òwmm 

4ù.Ueieognim,Utkopm^wMn.  ém  a  tadto  chaff—  ciuiiMala  m  rt» 

n,  §  $ié  ia  emlm.  ìnt.  F tUm  f  ét€  ■•  4'albcro  cIm  ctae  poaar*  ad  atdara. 

prìna  i*  era  provato  ad  altare  par  f»-  La  vadra  di  lai  Allea,  aonuperal  di 

lar  na.  de,  ipenee  il  lino.  Ma  jpeeeiacM  Ma- 

43-15   Tal  era  io  ee  Tale  era  ia,  leafro  ebbe  morti  dae  fralelH  di  lei. 

«M  Taglia  di  domandare,  arccaa  pel  de-  Teooe  ia  tanto  farore,  die  rìaiaa  ael 

■darìo,  e  Dello  sterno  tempo  •nenia  per  faeeo  i|vel  tino  ;  oaàe  il  gioTiae  «ad  di 

lo  tiflMre  di  noa  inrattidire  Vircilìe  ;  e  fita.  ciune  io  Meleagre  era  aaa  fatai 

■crdè  io  reniva  ali*  atto  ehe  la  colle  diepodiiooe  a  cooramard  aaitameate  a 

labbra  cbi  t'argomenta ,  chi  d  diapoae,  «ael  tino,  cos'i  io  oadl'arìa  cbe  ciiesa 

d  prepara  a  parlare.  da  l*aoime  è  attitadina  a  rieerera  e  pt»> 

4Ì^^S.  Pion  laseiA.per  ranimret.  sentare  sensìbil mente  le  pasdoni  ande 

lat.:  Le  dolce  Padre  mio  |Virgiliu),  pw  sooo  afTi'tte  le  anime  stesse.  È  rero  die 

^aolo  foste  ratto,  veloce  l' andar  sae,  avrebbe  Dante  potete  rispondere ,  Ae 

non  lasdè  di  parlare ,  roousdoto  il  mio  PfU agii exemplum^iittm  fwid  iUt  re- 

^eaiderio,  ma  disse:  Scoerà  torto  del  toMl;  ma  fi»rse  \irgilio  non  di  citò 

dir,  ehe  intino  al  ferro  hai  frafla.  Il  questa  favola  cbe  a  ricordargli  cm  anco 

feiTO  è  la  ponte  dello  strale:  qnando  ali  antichi, sema  esser  cristiam , avaaM» 

F  arco  è  per  essere  scortato ,  la  parte  inteso ,  cbe  1*  amane  regione  non  p«b 

ferrata  dello  strale  gis  toora  il  sommo  Tcdere  tatti  i  rapporti  delle  cose  tra  1^ 

^r  arco.  Fnor  di  mrtaf.:  landa  andar  ro,  e  cbe  IKo  pòi  operare  al  di  là  M- 

la  parola  che  bai  già  sn  le  labbra.  l'ordineconoscintodellanalnra,  aiMi- 

49.  finiranienle,  deposte  il  tìiBa.  fini  ddP  amano  inieiaUe,  cbe  aarta  aan 

ra,  francamente.  aane  qaellì  del  m»  potare. 

2e-2l .  Come  ti  può  far  forngra  ae.:  25-27  E,  m  pemtatti  ee,  I  w  per- 
come possono  divenir  magre  le  ombre  laisi  come  l' immafine  dd  carpa  tUMM 
de'  morti,  cbe  neo  baono  liisogna  di  dv-  gnina ,  d  maove  agile ,  «dio  tpeadua 
trìrd  ?  al  Boreni  di  esso  carpo,  de  cba  H  fia 


Giiixza  dentro  allo  speccliio  vostra  iioage. 

Ciò  che  par  duro  ti  parrebbe  vìmo. 
nia  perchè  dentro  a  tuo  voler  l' adage, 

Ecco  qui  Stazio,  ed  io  lui  chiamo  e  prego, 

Che  sia  or  sanalor  dello  Ine  piage. 
Se  la  veduta  elerna  gli  dispiego, 

Bispose  Stazio,  laddove  lu  sie. 

Discolpi  me  non  potert'  io  far  niego. 
Poi  cominciò^  Se  le  parole  mie, 

Figlio,  la  mente  tua  guarda  e  riceve. 

Lume  li  fieno  al  come  che  lu  die. 
Sangue  perfetto,  che  mai  non  si  beve 

Dall'  assetate  vene,  e  si  rimane 

Quasi  alimento  che  di  men-^  leve, 
Prende  nel  cuore  a  tutte  membra  umane 

Virlute  informativa,  come  quello 

Ch'  a  farsi  quelle  per  le  vene  vane. 
Aucor  digesto  scende  ov'  è  più  bello 

ila»  111  iolnilira  li  KnibiTrebbi  vii-     dì.  Li  Iuìods  di  ma  idotlill  t 

M,  «ini,  oHtllE  *  r*cila  (  pandrini  eoi-     lU  Vir.,  di  i  Cod.  Man.  «  dal  Pai.  VT. 


1,  come  mai,  quiQlo  I 


20-30.  f  vrrgn  te.  SutUat. 


'^-SQ.tfTtgete. 


<■»  •iiHp  aocl  chi  ita,  0  ài  4i 

ig  dowiiBdì.  AnUo.  U  •rtnad*   rttt 
ci  •Frbo  din  ari  aKlw  ii(.  rha  int- 


ra,tii>t,  la  pari*  |iià  pan  d<lMA|W(cli( 


I 


p«(  ck«  li  ik  il  bidIIo  Jurilarin. — 
riti*  a  pteglM  fbiiiua  i  dublij  a  la  ÌB- 

S 1 .  5*  l4  ttAulA  tUna  gli  di'ist*- 

Sta  oli  apra  innaiul  ifli  riFtlti  I  or- 
a  I  II  dxpvnnuiu  uintiglinu  lUI- 
l'iUma  FaUnrai  o,  m  gli  dUb.irg  U 
nuaTigliuis  kiwoiciw  dei  iHogUl  ciaf 


i»iDbn.S<iqB.alantii<a*- 


CANTO  YENTESIMOQUINTO.  i25 

Tacer  che  dire;  e  quindi  poscia  gemè 

Sovr*  altrui  sangue  in  naturai  vasello.  4& 

Ivi  s' accoglie  V  uno  e  1*  altro  insieme, 
L*  un  disposto  a  patire  e  l' altro  a  fare. 
Per  lo  perfetto  luogo  onde  si  preme; 

E  giunto  lui,  comincia  ad  operare, 

Coagulando  prima,  e  poi  avviva  60 

Ciò  che  per  sua  materia  fé  constare. 

Anima  fatta  la  virtute  attiva, 

Qual  d' una  pianta,  in  tanto  differente, 
Che  quest*  é  in  via,  e  quella  è  già  a  riva. 

Tanto  ovra  poi,  che  già  si  muove  e  sente,  65 

Come  fungo  marino;  ed  ivi  imprende 
Ad  organar  le  posse  ond'  ò  semente. 

Or  si  spiega,  figliuolo,  or  fa  distende 
La  virtù  eh*  è  dal  cuor  del  generante, 
Dove  natura  a  tutte  membra  intende.  60 

oc'  i  più  bello  ee.,  soende  negli  organi  ma  d'ana  pianta,  cbe  questa  è  già  a 

^ella  generazione,  che  il  pudore  non  riva, cioè,  giunta  alla  sua  ultima  perfe« 

consente  di  noinioare  pd  loro  nomi.  —  none  colla  rita  regetatiTa,  e  nell'  uman 

JuindL...  geme  Sowr' altrui  sangwt,  feto  questa  vita  vegeiatita  non  è  che  va 

ì  lì  stilla  sopra  il  sangue  della  fem-  semplice  avviamento ,  dovendo  poi  paa- 

asina.  —  in  naturai  vasello,  nel  vaso  sere  alla  sensiUva,  e  quindi  alla  raào- 

a  6ò  destinato.  naie;  la  suddetta  virtute  attiva  dhra- 

47-48.  L'um»  il  sangue  della  lem*  onta  anima,  Tanto  ovra  ee, 
màna^  disposto  a  patire,  atto  a  rìce-  55.  già  si  muove  e  sente:  il  passag- 
Tcre  impressiooe  ;  l'altro,  il  seme  uma-  gio  dell'anima  vegetativa  alla  sensitivn 
no,  dUsposto  •  fare,  cioè,  a  dar  forma  è,  come  dice  il  Varchi,  istantaneo, 
alle  amane  membra. —  Per  lo  perfetto  56-57.  Come  fungo  marino.  Qoeati 
ksogo,  per  la  perfetta  natura  del  cuore,  fanghi,  dice  il  Venturi,  e  spugne  ohe 
onde  si  preme,  da  cui  distilla,  o  disem*  stanno  attaccate  agli  scogli .  si  stimano 
de.  Ha  detto  sopra  che  nel  cuore  prende  animate  d'  un*  anima  più  che  regetati- 
virl/ute  informativa  la  parte  più  pura  va,  perchè  danno  diversi  segni  da  gin* 
del  sangue.  dicar  eh'  elle  sieno  più  che  piante ,  o 
49-51 .  E  giunto  lui  (e  aggiunto  a  perciò  si  chiamano  plantammalia ,  o 
lai), e  congiuDto  il  sangue  virile  al  fem-  xoofiti.  —  ed  ivi  imprende  ee.,  doè: 
mineo  comincia  prima  a  formare  l'em-  e  allora  imprende  a  formare  gli  organi 
brìoaa  coagulando;  e  pocciaavf>ie«,  vi-  del  corpo  umano,  gli  occhi,  le  oree- 
Tiica,  Ciò  che  per  sua  materia  fé  eon^  chie  ee. ,  corrispondenti  alle  potente  dal- 
stare,  stare  insieme,  cioè,  auel  che  l'anima,  cioè  al  vedere, all'udire,  ee. — 
coagulò  come  materia  necessaria  al  suo  ond*  è  semente  ee.,  delle  quali  potensa 
operare.  Cvagulatio  est  eonstantia  essa  virtude  attiva  è  produttrice. 
quadum  humidi;  et  coaguletre  est  fth  58-60.  Or  si  spiega,  f^g^iuolo,  «. 
cere  ut  liquida  eonslent.  La  virtù  attiva  che  parte  dal  cuora  dal 
52-54.  Anima  fatta  ee.  La  virtada  generante  (nel  quel  viscere  la  natura  la- 
attiva  ,  quella  che  è  nel  paterno  sema,  vora  tutte  le  membra ,  stando  là  la  pa- 
divenuta  essendo  anima ,  Qual  <f  urna  tema  alla  riproduiione  della  speeieì, 
ptoiiia, cioè, vegetativa,  e  in  Ionio  dif-  ora  si  allarga,  ora  si  allunga  seconda 
ferenlf,  a  in  ciò  solo  dilferente  dall'aoi-  il  bisogno. 


4t6  DBL  PCmCATOBIO 

Ma,  come  d*  animai  difegna  fonie, 
Non  vedi  ta  ancor:  qoest'è  tal  ponto 
Che  più  savio  di  te  già  fece  errante; 

Si  che,  per  sua  dottrina,  fé  disgiunto 

Dati*  anima  il  possibile  intelletto,  ss 

Perché  da  lui  non  vide  organo  assunto. 

Apri  alla  verità  che  viene  il  petto, 
E  sappi  che,  tà  tosto  com'  al  feto 
L*  articolar  del  oerebro  è  perfetto, 

Lo  Motor  primo  a  lui  si  volge  lieto,  70 

Sovra  tant*  arte  di  natnra ,  e  spira 
Spìrito  nuovo  di  virtù  repleto, 

Che  ciò  che  truova  attivo  quivi  tira 
In  sua  sustanzia,  e  fessi  un*  alma  sola, 
Che  vive  e  sente,  e  sé  in  sé  rigira.  75 

E  perchè  meno  ammiri  la  parola. 

Guarda  il  caler  del  Sol  che  si  h  vino, 
Gianto  alPumor  che  dalla  vite  cola. 

E  quando  Lachesis  non  ha  più  lino, 

Solvesi  dalla  carne,  ed  in  virtute  so 

Seco  ne  porta  e  1*  umano  e  il  divino. 


^i-GS.  Mia.  come  d'animai  9e.M^  tea   V  ìnttWt^  potiibiU  airii 

coma  raomo  di  •nimale,  cioè,  di  essere  mento.  AUrinienti:   rinlelleito  < 

paranieote  aensitivo  cht  gli  è  da  prima,  imprima  nel  potsibiU  le  apecie  il 

dÌYfnga  fante,  cioè,  parlante,  panai  ad  gibili  delle  coae  percepile  dal  a 

oiaere  raxionale (perchè parola  e  ragio-  Aritt.,  de  An. 

ne  tono,  sotto  certo  rapporto,  ana  stena  72.  Spirilo  nuo90,  la  ovovt  tmmm 

cosa),  ta  non  Tedi  ancora;   e    questo  raiionale. 

ponto  è  Ule,  e  si  difriHle  a  condorerai,'  73-75.   Che  eiò  che  CnioM  mj 

che  ano  più  sario  di  te  (cioè  ATerroe  il  quale  spirito  identifica  nella  propria 

commentatore  d'Aristotele)  prese  erro*  sostsnxa  nò  che  in  trova  dì  attÌTO  pni. 

re,  s^  che  foce  disgiunto  dall'anima  ii  l'anima  vegetatila  e  la  senùtiva),  afa 

pottibile  intelletto  (In  faroltè  di  inlen-  di  sé  e  di  f|iirllo  una  sola  anima  9Ì9eth 

dere,  così  denominata  damili  scolatUin),  te,  intzimte  e  rifleetita. 

perchè  non  vide  die  l' intrllettn  per  in>  76  la  parola^  il  mio  ragiooaro. 

tendere   facesse  um  d'alruno    organo  77-78  Guarda  il  calar  ee.  Le  wfi^ 

corporeo,  a  quel  mndu  che  fa  I'  anima  rito  di  \ho  uiiitn  alla  stistania  vafelaliTt 

aensitjva  quando  per  %e«l«Te  usa  dell'oc  e  aepsiti^a  diviene  anima  rarionale, 

chic  e  per  udire  dt>irurerrhio  me  il  ragnui  «ulare  unito  all'omori^ 


64.  /irraua<f»((riiia,  nei  suoi  prìn-  lite  si  fa  vino   Maravigliosa  idea! 
cipj  filosofici,  nel  suo  modo  di  pensare.  7tf    Larhrsit,  una  delle  tre  Putha 

Cu  antichi  filosofi  distinguevano  due  in-  the  fila  lo  stmne  ilella  vita. 
Cclletti:  intelletto  agfnie.  e  intetli-tle  80.  Svlreti  ec,  l'anima  ai  erfafKa 

peaaibile.  iV«//ii#  imtrllcctne  inteltigii,  dal  eor|»o.  —ed  in  tirtute,  io  potooia, 

diea  Scoto,  nisi  intrilertue  ptneikiiie,  TÌrlaalmente. 

«•!«  agene  non  intelligit.   Vagente  84.  T «mano,  le  potente  corpnrM« 

loraiava  aoltanto  le  specie  spiritaali ,  dm  casa  anima ,  onenduai  al  aorpt. 

traendole  dalle  materiali^  e  con  caae  ao-  qnaai  tirò  m  mm  enttomina,  teme  i 


CANTO  TEIfTESniOQinifTO. 

L*  altre  potenzie  tutte  qoante  mote; 
Memoria,  intelUgenzia,  e  Tolontade, 
In  atto,  molto  più  che  prima,  acute. 

Senza  ristarsi,  per  sé  stessa  cade 
Mirabilmente  all'una  delle  rive; 
Quivi  conosce  prìmtf*le  sue  strade. 

Tosto  che  luogo  11  la  circonscrive, 
La  virtù  formativa  raggia  intorno, 
Cosi  e  quanto  nelle  membra  vive. 

E  come  1*  aere,  quand'  è  ben  piomo, 
Per  r  altrui  raggio  che  in  sé  si  riflette. 
Di  diversi  color  si  mostra  adomo; 

Cosi  r  aer  vicin  quivi  si  mette 

In  quella  forma,  che  Jn  lui  suggella 
Virtualmente  Pahna  che  ristette: 

E  simìglianie  poi  alla  fiammella 

Che  segue  il  ftioco  là  'vunque  si  mula, 
Segue  allo  spirto  sua  forma  novella. 

Perocché  quindi  ha  poscia  sua  parata, 
È  chiamai*  ombra;  e  quindi  organa  poi 
Ciascun  sentire  insino  alla  veduta. 


m 


85 


90 


96 


iOO 


detto  àt  sopra,  e  sono  li  risiva .  l'mK» 
tmi  ee.:  «  ^csto  ti  wol  intendure  se- 
cood«  1  opinione  filosofica  aopraecao» 
nata.— il  divino,  la  potenza  spirìtMli, 
nanoria,  intelligenza  e  Tolontè. 

82-84 .  L'altre  porens<e,qnclla  cIm 
ai  aaarcitano  per  gli  organi  eorporei,  rt> 
iute,  iooperoae,  Jistmtti  m^ 
par  morte  essi  organi;  ma  la 
rie,  VinUUelto  e  la  voUmlà,  dBA 
▼cngoao  piò  acute,  pio  energiche ,  pe^ 
cbé  sbaratsate  dal  corpo  che  più  o  meno, 
aaewklo  la  natura  della  fihre,  le  inceppa. 

85-86.  Senta  rUtar$i  te.  Int.:  1' 
tDima  sciolta  dal  corpo,  senza  alcooadt- 
mara.  aceode  o  alla  riva  d'Acheronte  o 
di*  riva  del  mare,  uve  l' acqua  dal  Te- 
vara  s'insala,  eom  ai  disse  altrove. 

87.  Quivi  conosce  prima.  Ivi  ginn- 
ta,  da  sé  stessa,  per  lume  infuso,  eoo^ 
aea  quel  luogo  le  è  destioatOj  e  ave  ha 
éa  andare. 

88.  Tatto  eh§  luogo  li  ee.:  appena 
k  ivi  circoscrìtta  da  luogo:  appena  si  è 
posata  sopra  una  delle  rive. 

89<90.  La  ttirtii  formativa,  la 
virtàj  la  potenza ^  inerente  all'anima  di- 


acivnta,  d'organarsi  «n  eorpo  dalParia 
vieina ,  raggia  l' attività  sua  nait'  aria 
nedeaima  ,  e  forma  «n  eorpo ,  Coai  a 
fiNHilo,  pari  nelle  fattene  e  nella  eatao» 
aioBa  a  quello  che  animava  nel  mondo. 

94 .  piamo,  pregno  di  pioggia. 

92-93  Per  l' oilrtil  roggio  oe-* 
poi  raggio  del  aole  opposto,  riSettnlo 
in  osso,  si  forma  IMrìde. 

94-96.  Vaer  viein  quivi  ti  meUa 
ee..*  ivi  I'  «rìa  circostante  prende  qnella 
forma  che  euggella,  che  imprime,  in  lei 
per  propria  virtù  l'anima  che  ivi  ai  fer^ 
mò.  Questo  ricoprirsi  che  fa  l'anina  di 
no  soUil  velo  dell'aria  circoatanta  non 
è  immaginato  dal  Poeta  :  cos'i  la  panaa- 
rono  alcuni  Padn  addetti  alla  dottrino 
platoniche  d'Origene.  Sant'Agoatino  la* 
aci^  problematica  si  fatta  opiniono. 

98  ti  mula,  si  move. 

99.  Segue  allo  tpirto  te,,  Q  «MÌO 
eorpo  va  dietro  allo  spirito. 

1 00 .  Peroeehè  qiiindi  ae,  E  porche 
l'anima  Ka  gMÌiuH,ctoe,  da  qnaato  corpo 
aereo,  la  sua  apparenaa,  cioè,  per  aaao 
ai  fa  visibile,  è  chiamata  omAfW. 

401-102.  a  ^M{  orgoiui  f§i 


BEL    FCBCATaHIO 

Quindi  parliamo,  e  quindi  rìdiam  noi. 
Quindi  racciam  le  lagrime  e  i  soS|)iri 
Che  per  lo  monte  aver  iBeotili  puoi. 

Secondo  che  ci  aOìgon  li  disiri 

E  gli  altri  afTelli,  l'ombra  si  Ggura; 
E  questa  è  la  camion  dì  ctie  tu  miri. 

E  già  venuto  all' ultima  tortura  I*) 

S'era  per  noi,  e  volto  alla  man  destra. 
Ed  eravamo  attenti  ad  altra  cura. 

Quivi  la  ripa  Bamma  in  fuor  balestra, 
E  la  cornice  spira  Gaio  in  soao. 
Che  le  re  flette,  e  via  da  lei  sequestra. 

Ond'  ir  ne  convenìa  dal  lato  schiuso 
Ad  uno  ad  uno,  ed  io  temeva  il  fuoco 
Quinci,  e  quindi  temeva  il  cader  giuso. 

Lo  Duca  mio  dicea:  per  questo  loco 

Si  vuol  tenere  agli  occhi  stretto  il  freno, 
Perocch'  errar  polrebbesi  per  poco- 


I 
» 


CioMm  itutirt,  a  ad  dddto  corp» 

l'inima  l'orgiDim  loltì  i  tenti  cidi) 

lul  appressi.. 

112.  («Hpa,  la  parie  dal  nonlt 

■Ili  lUla. 

405.   QuimU.   in   Julà  dì  qnalo 

dia  fa  tponda  alla  .Irada.— Mutr*. 

carpa  icrdi. 

galla  con  impelo. 

106-407.    SHOndo   cJit   ci   afft- 

113-IM.  SI>cor«àM«e.:ciat. 

gm  U.:  l'ombri,  il  corpo  (grao,  li 

l'orlo  della  ilfhla  dalla  parla  oMiaU 

iatllra  puiiiHii  clw  ci  ■^«u,  ci  pun- 

manda  .enlo  In  n,  cto  n/MuVri- 

•piaga  la  liimm*,  Iti»  da  tri  «afw 

gnia   giIraltggsQO.  Da  d.'tlo  iiichc  at- 
tTWf.  Mi  «inu  il  dvior  tht  li  U 

.U.alnni,  la  di.c«»a,l>.UMHn 

da  ti.  U  Etnaa  coti  alWluaM  U- 

iMcia.  E  uo  ainil  ufliilùra  .1  Saloii- 

.eia  nna  .iuu.  ai  Foci!  pu-  naoM-bar 

ati  i  Confs)  Jfmori  li»  carwi  mtat. 

•co»  >ir.«.  Quola  fimi»»  M  mUo, 

Palraliba  p<r«  pnndeni  a^trt  ancbo 

..  HO.,  ili /«.ara.  f«-m<r>.  perla 

fona  «terollala  lull'auinia  dall' oliìallD 
dalla  pa-ioi». 

cerchio  luparinre  via  ti  pnrp  la  Iosa- 
ria,  lane  noi  tignifioa.a  ci»  pohwla 

m.  la  ctginn  di  th»  Cu  miri. 

rimclio  oobU-o  gV  impari  trJorì  »  il  di. 

U  r.|iui.  di  ci4   cha   mararigliaod. 

eiu-io,  -  la  lubrigla:  Sina  Ctrwrt  tt 

«Ji. 

Batcho  (riga  r«nil(:aiilieo  prdtaibiu. 

109.  all'ullfma  lorMra,  «o»,  .1- 

1 15-IIS.  Kb>iitD.cioe  aenuapinH 
da.— Jil  u»  I»!  ««.  on  J.p.  l'alUo. 

l'oUimi.  glroM,  OH  a  lorlanno,  « 

1  IT,  Ou>KÌ.  da  unt  parta,  da  ti- 

cba  (.roiJara  la  t«>  tortura  nul  tento 

niitra, 

110-120.  ajKwcMtlrrttoB /re- 

no: hko  biiogoa  *agar  con'i  "«Wl»» 

l'I  SolUinii  «1  ulliiDii  inrDiia. 

.lt.ui.l>.J.r.ll<.!!adan<ilaU>,..l 

Ih.  od  «Jlm  nm- tniHidi.  naa 

pri^piiio  d.ll'.llr.,-p«- ««,.  Ulà\- 
meni.- 1.1  .en»  allegorico.  (iidIiMimi  4 

Bit  ali*  curi  ili  iap»re  (omo  pouii» 
tarai  nia|ro  i«  ftiue  l'.inibri;  dui  aua- 
ti,niii|a«lltdl  ImioitdictiDiui- 

Il  ctdula  Oli  peccali  carnali,  M  Ma  ai 

cntLUitcooogUclu. 

CANTO  TENTESmOQUINTa  it9 

SummtB  Deus  clementÙB^  nel  seno 

Del  grand*  ardore  allora  odi'  cantando, 

Che  di  volger  mi  fé  caler  non  meno. 
£  vidi  spirti  per  la  fiamma  andando; 

Perch*  io  guardava  ai  loro  ed  a*  miei  passi,         42S 

Compartendo  la  vista  a  quando  a  quando. 
Appresso  il  fine  eh*  a  quell'  inno  (jb^sì, 

Gridavan  allo:  Yìrvm  non  cogrumo; 

Indi  ricominciavan  V  inno  bassi. 
Finitolo,  anche  gridavano:  Al  bosco  i30 

Si  tenne  Diana ,  ed  Elice  caccionne, 

Che  di  Venere  avea  sentito  il  tosco. 
Indi  al  cantar  tornavano;  indi  donne 

Gridavano,  e  mariti  che  fur  casti, 

Come  virtute  e  matrimonio  imponne.  I3& 

E  questo  modo  credo  che  lor  basti 

Per  tutto  il  tempo  che  'I  fuoco  gli  abbrucia: 

Con  tal  cura  conviene  e  con  tai  pasti 
Che  la  piaga  dassezzo  si  ricucia. 


421-422.  Summm  ee.  Principio 
^elV  inno  che  la  Chiesa  recita  nel  nualtn- 
tino  del  tahato^e  che  le  anime  parianti 
il  ?bio  della  lussuria  cantano,  perocché 
in  miello  si  domanda  a  Dìo  il  dono  delln 
ponte.  —  nel  seno  Del  grand' ardo- 
T9  9e.,  cioè,  nel  mezzo  di  quelle  cooenti 
fiaainie  udii  cantare. 

426.  Compartendo  la  9itta,  toI» 
^tndo  la  TÌsta  ora  ai  loro  passi ,  ora  ai 
nùni. — a  quando  a  quando,  di  tenpo 
in  tempo. 

42/.  Appresto  U  fine  ee.,  in  m- 
(*vito  nirolUma  strofe  dell'inno. 

428.  Gridar an  alto  ee. ,  grìdarano 
ad  dU  foce  le  parole  dette  da  ilarìn 
Vergine  all'Arcangelo  Gabriele.  Prose* 
f^  Dante  a  far  cantare  alle  anime 
csenpj  contrarj  al  vizio  di  che  it  pvr- 
;7aao.  Gli  esempj  sono  significati  ad  alta 
\oce,  poiché  con  quelli  le  anime  ripren- 
dono té  medesime .  l' inno  é  cantato  a 
Laasa  voce,  siccome  preghiera  che  fanno 
a  Dio. 

430.  J/  hoteo  Si  tenne  Diana. 
Diana  Sglia  dì  Latona  conserve  la  ver* 
0iaith ,  e  fé  tua  delizia  delle  selve ,  per- 
chè nella  solitudine  e  nei  faticoai  eter* 
rizj  della  caccia  è  meno  pencolo  a 
quella  virtà. 


4(IH.  ed  Blie$  eaceionne.  Diana, 
accendo  le  favole,  seppe  che  una  del 
auo  coro  nominata  Elice ,  o  sia  Calisto, 
che  divenne  poi  in  delo  l'Orsa  maf- 
siore ,  era  gravida  ;  onde  cacciolla  dal 
boeco,  ov'cssa  Dea  ti  femie»  cioè,  restò. 

432.  Che  di  Venere  aoea  tenUto  U 
toteo,  che  avrà  perduta  la  sua  vergi- 
nité.  —  Tosco,  o  veleno,  é  ben  detto 
quel  piacere  che  gustato  torba  la  sera- 
nité  dell'anima ,  e  diffonde  per  le  mU 
delle  un  fii<  co  inquieto  che  divora. 

455-434.  fn(ff  lionne  ee.:  indi  gri- 
dando rirordavano  esempj  dì  donna  a 
di  mariti  che  vissero  casti. 

435.  tmponnc,  ne  impone. 

4  30-4  37 .  B  questo  modo  credo  éke 
lor  batti  ee.  E  credo  che  questo  modo 
alternato  di  cantare  e  gridare ,  duri  in- 
variabile tutto  il  tempo  della  loro  pur- 
gazione. 

45S^39.  Con  tal  cura  ee.  Con  tali 
mezzi ,  cioè,  dì  cantar  l' inno  con  foca 
sommessa ,  e  di  gridare  ad  alta  voea  gli 
ctempj  di  cestite  ;  —  §  con  tai  poiH, 
col  pascolo  cioè  del  fuoco  purgante , 
avviene  che  ti  ricucia  la  pit^a  da»- 
tetto,  ctie  n  rimargini  Pnltima  piaga; 
os«ia  che  si  purghi  il  peccato  punito 
nell'ultimo  luogo. 


430 


DBL  PURGATORIO 


CAinrO  TEHTESm^SESTS. 


te  àm§  teUtn  cofllrwte.  PatU  Dmm  mm  GmU»  CmImctUI,  0  pm  aom  AmaUm  Ommàem  pmm 


Mentre  che  ^  per  F  orlo,  uno  innanzi  altro, 
Ce  n*  andavamo,  spesso  il  buon  Maestro 
Diceva:  Chiarda:  giovi  chMo  ti  scaltra 

Feriami  11  Sole  in  su  1*  omero  destro, 
Che  già,  raggiando,  tatto  1*  occidente 
Mutava  in  bianco  aspetto  di  cilestro: 

Ed  io  Iacea  con  T  ombra  più  rovente 
Parer  la  fiamma,  e  pur  a  tanto  indizio 
Vidi  molt*  ombre,  andando,  poner  mente. 

Questa  fìi  la  cagion  che  diede  inizio 
Loro  a  parlar  di  me;  e  cominciarsi 
A  dir:  Colui  non  par  corpo  fittizio. 

Poi  verso  me,  quanto  potevan  farsi. 
Certi  si  feron,  sempre  con  riguardo 
Di  non  uscir  dove  non  fosser  arsi. 

0  tu,  che  vai,  non  per  esser  più  tardo. 
Ma  forse  reverente,  agli  altri  do{)o. 
Rispondi  a  me,  che  in  sete  e  in  fuoco  ardo: 

Né  solo  a  me  la  tua  risposta  è  uo{X); 
Che  tutti  questi  n*  hanno  maggior  sete 

4.  •no  «nxìT «/Irò  legga  il  Codie*     qni  come  altroTe  fidi  moli* 

P«gg. 

5.  gioti  eh*  io  ti  saUtro ,  gio? ili 

ch'io  ti  rendo  avtertito.  —  Guarda, 
dorè  metti  i  piedi. 

4-6.  Fertami  il  Sole  ee.  Cottr.:  Il 
SoU  che  raggiando  mutava  già  tuUo 
r  oeeidentt  di  ciUitro  aspetto  in 
Hmtuo,  mi  ferita  in  tu  V  omero  do- 
giro.  Si  M  che  dove  il  t»Ae  t'avvieioa, 
qMila  parta  di  etelo ,  che  pnina  appa- 


io 


ii 


«M  oe.  Cmit.  • 


rira  azsorra,  diveata  bianca.  Dice  che 
lo  (eri? a  aull'ooieru  destro,  a  significort 
che  era  abbasMto  molto,  e  die  l'oai- 
hra  dalla  sua  persona  nnd.iva  a  cader* 
m  le  fiamme  che  gli  erano  a  «inislra. 
7.  con  Vomkra  ee    Intendi:  af> 


io  tra  il  sole  che  mi  splendeva  a 
àt^tn  o  la  fiamma  che  era  alla  sàoislra, 
finiva  coD' ombra  del  cnrpn  mio  parerò 
piA  mvaolo ,  piò  rossa ,  la  detu  ' 


■0.  n  fooco  allo  acoro  splende  più  vìvo. 
S-9.  •  pur  a  tornio  indiiio:  o  par 


aodaodo  por  mente  ,  fare  atl 
coaa  SI  insolita,  a  segno  ik 
corpo  vero. 

1 0-  n .  rfce  diede  iniiio  ee.,cU  |^ 
moase  ,  che  die  loro  argooMoto  a  pv> 
lare  di  me. 

12.  corpo  fiUixio,   corpo 
qua!  preiidon  le  anime  dopo 

43-15.  Poi  verso 
iot.:  Poi  certi,  alcuni,  fi  feron,  a'f 
lanino,  versu  me  tanto  quanto 
farsi ,  tempre  però  con  rigoardo  M 
non  uscir  dote  non  fo$$er  mnip  4i 
m>n  UMrir,  ci<»e,  dalle  Gamma. 

16  O  tu,  che  vai  ee.  Coalr.:  O  li 
che  vai  dopo,  dietro,  gli  altri,  aoa  pi^ 
che  tu  sii  più  lento,  ma  forao  par 
rensa  verso  quei  che  eoo  teco  eo. 

20-21  maggior  tele,  maggior  ( 
derìo,  rhe  nmi  hanno  dell'acqna  fraMl  1 
popoli  dell'India  e  dell' Etiopia,  r^ 
giani  arse  dal  sole. 


CANTO  YENmijpOSESTO. 

Che  d' acqua  fredda  loìlo  o  Etiopo. 

Dinne  com*  ò  che  fiati  di  te  parete 
Al  Sol,  come  se  tu  non  fossi  ancora 
Di  morte  entrato  dentro  dalla  rete. 

Sì  mi  parlava  un  d*  essi,  ed  io  mi  fora 
Già  manifesto,  s' i'  non  fossi  atteso 
Ad  altra  novità  ch'apparse  allora; 

Che  per  lo  mezzo  dei  cammino  acceso 
Venia  gente  col  viso  incontro  a  questa, 
La  qual  mi  fece  a  rimirar  sospeso. 

Li  veggio  d' ogni  parte  farsi  presta 

Ciascun*  ombra,  e  baciarsi  una  con  una, 
Senza  ristar,  contente  a  breve  festa. 

Così  per  entro  loro  schiera  bruna 

S' ammusa  1*  una  con  1*  altra  formica, 
Forse  a  spiar  ior  via  e  lor  fortuna. 

Tosto  che  parton  1*  accoglienza  amica. 
Prima  ctie  '1  primo  passo  li  trascorra, 
Sopraggridar  ciascuna  s'affatica: 

La  nuova  gente:  Soddoma  e  Gomorra; 
E  r  altra:  Nella  vacca  entra  Pasife, 


431 


26- 


30 


3& 


40 


22.  /M  di  te  fat^U,  fai  eoi  tao 
corpo  ftUcolo  alla  luce  dal  aola. 

23-24.  eom$  s§  tm  ac.  :  tona  sa  la 
■OD  foaai  già  fUto  colto  oalla  reto  di 
aorta,  coma  aa  to  foasi  teoiire  vivo. 

25.  mi  fora..,  manifeito,  où  aaroi 
oiaoifaatato. 

26.  f*  f'  non  fotti  olteto,  s'io  nao 
afaaM  airoto  l'animo  volto  ee. 

2S.  iti  cammino  aeeeto,  dalla 
alroda  ova  ardevano  lo  fiamma. 

29-30.  inamtro  a  fueita,  ipcootro 
alla  faota,  alla  moftitodine  cbe  eraai 
aocoatata  a  aia. — ìm  qual^  int.  la  gaota 
cha  Tcaiva.  La  daa  achiera  andafano  in 
dirasiooa  eootraria. 

51 .  fmni pretta,  affrettani. 

52.  Ciateun' ombra  a  baciarti, 
leggo  il  Chig. 

53.  •  brett  fetta,  di  oo  brafo  ab- 
brafciamanto.  Qaaato  badarti  acambio- 
▼ola,  dM  è  oai  a  dimoatraaioBe  di  asor 
difillo,  di  intoraa  caritè^  ricorda  la 
triatisia  a  aboninaxiooe  antica. 

55.  S'amtwtuta,  aeootraai  moto  a 
m 


36.  Font  a  tpiar  lor  via,  fona 


per  domandar»  dove  Taono  a  la  eondi> 
nona  delle  loro  coca.  Grati aaa  imoM- 
gine,  lolla  dal  dettato  cornano. 

87.  Tatto  che  parton  te.  Torna  a 
paHar  drlle  anime.  Fattaai  ramicbo*. 
volo  accoglienza ,  dato  e  ricevalo  il  bado. 

58.  Priata  che  il  primo  patto  te, 
Prìma  cbe  facciano  il  primo  paaao  per 
diaoMtard  gli  uni  dagli  altri. —  H,  di  H, 
dal  lut»go  deirincootro.  —  trateorra^ 
corra  oltre. 

39.  topraggridar ,  gridare  al  di- 
aopra,  gridar  piò  forte. 

40.  La  nuova  gtntt  te.  laleodi: 
la  gente  cha  vidi  venire  ioeontro  a 

Snella  cb*  io  atava  mirando ,  gridar» 
oddoma  e  Gomorra.  Si  ricordano 
3ocste  città  infami  panite  orribilmente 
a  Dio,  a  terrore  di  cbi  diaooora  U 
oatora. 

41.  E  faltra,  l'altra  gente  cbe 
prima  mi  t'era  accoatata^  gridava  Pa- 
tift.  Coatei  fa  moglie  di  Miooa  re  di 
Cr^ .  e  aeeoodo  la  favola ,  ioaamora- 
taai  d' an  toro ,  p«r  eoogiaogerH  eoo 
lai ,  entrò  in  ona  vacca  di  legno  cb'ella 
avea  fatto  fabbricare  molto  aimile  al 


432 


DEL  •ViJBGATORIO 


Perché  il  torello  a  sua  Inssnria  corra. 

Poi  come  gm,  eh' alle  montagne  Rife 
Yolasser  parte,  e  parte  in  ver  V  arene, 
Queste  del  giel,  quelle  del  Sole  schife; 

L'  una  gente  sen  va,  I*  altra  sen  viene, 
E  toman  lagrimando  a*  primi  canti, 
E  al  gridar  che  più  lor  si  conviene  : 

E  raccostarsi  a  me,  come  davanti, 
Essi  medesmi  che  m' avean  pregato, 
Attenti  ad  ascoltar  ne'  lor  sembianti. 

Io,  che  due  volte  avea  visto  lor  grato, 
Incominciai:  0  anime  sicure 
D' aver,  quando  che  sia,  di  pace  stato, 

Non  son  rimase  acerbe  né  mature 

Le  membra  mie  di  là ,  ma  son  qui  meco 
Col  sangue  suo  e  con  le  sue  giunture. 

Quinci  su  vo  per  non  esser  più  cieco: 
Donna  é  di  sopra  che  n'  acquista  grazia, 
Perché  '1  mortai  pel  vostro  mondo  reco. 

Ma  se  la  vostra  maggior  voglia  sazia 
Tosto  divcgna,  si  che  '1  ciel  v'  alberghi 
Ch*é  pien  d'amore  e  più  ampio  si  spazia. 


50 


bì 


€0 


vero.  È  simbolo  delle  diiordioate  e  mo- 
straose  libidini. 

43-45.  Poi  eonu  gru  ee.  Intendi  : 
poi  come  no  branco  di  gru ,  che  divi- 
dendoti  parte  tolaaaero  alle  montagne 
Rife  (nella  Moscovia  boreale),  trài- 
fe,  remote  dal  soie;  e  parte  in  Afrira 
alle  arene  della  Libia ,  ichife  del  gelo, 
per  caaere  infocate  dal  sole,  ec. 

40.  Vuna  gente  $en  va,  la  nnova, 
quella  venuta  da  destra.  —  l'altra, 
quella  che  andava  nella  stessa  dire> 
zinne  che  i  Poeti. 

47.  a' primi  tanti,  cioè,  a  cantare 
rinno  lumina  Drut  elementiw. 

48.  E  al  gridar  ee.  Intendi  al  gri- 
dar  alto  quegli  esempj  di  castità  eitati 
nel  Canto  precedente  ^v  420  e  srg  ), 
▼ali  secondo  la  varietà  delle  peimiue  e 
dalU  colpe  che  stanno  purgando. 

49.  B  raeeoiturtt  a  me.  Coatr.  a 
itti.:  E  quei  medesimi  che  m'avenu  pr^ 
Min,  ■  nMeuklartmo  •  me  cum«  avean 
Min  iiuMna,  inl«uU  nei  Iw  seinbinbt», 
cioè,  nompoatì  a  grande  ati«n<i«NM  per 
awoliarai. 


S2.  grato,  gradimento,  deaideria. 

5a-57 .  Aon  son  rimaee  ee.  Int.:  ìa 
non  sono  qui  nudo  spirito  che  abbia  1^ 
sciato  o  in  età  fresca  o  in  età  naatan  i 
proprio  corpo  nell'  emisfero  de*  nvì , 
ma  vo  pel  vostro  monte  in  nniat  o  M 
corpo. 

58.  Quinci  su,  quasaà  ,  al  dalt. 
—  per  non  esser  piii  eieeo,  ònè, 
per  illuminare  la  mente  mìa,  ù  Aem 
non  abbia  più  ad  errare,  aieeoOM  ^ 
feci. 

CO.  Perchè,  per  la  qnal  frtù.  — 
il  mortai,  il  corpo  mortale. 

CI .  tf,  COSI  ;  e  detto  eoo  afffcCU,  • 
con  desiderio  del  bene  di  quella  ni» 
me.  —  la  vostra  maggior  TogKm,  éba 
è  quella  di  pHr|;ariù,  di  che  Tidi  •! 
C.  XXI.  V.  64  • 

62-65. 1/  eiel  v'alberghi  Ck^kfUm 
éTanuire  ee  Int..  il  cielo  empire»,  dtt 
essendo  sopra  tutti  gli  a^tri  adi .  è  fUk 
apaKinst»  «-d  è  pieno  d*  antera ,  aiee""~" 
quello  che  è  la  sede  di  Dio ,  cm  è 
nito  amore,  e  dille  anime  aletta, 
anno  beate  nell'amore  di  Dia. 


CANTO  YENTESIMOSESTO. 

Ditemi  y  acciocché  ancor  carte  ne  vei^hi. 
Chi  siete  voi,  e  chi  è  quella  tarba 
Che  si  ne  va  diretro  a*  vostri  terghi? 

Non  altrimenti  stupido  si  torba 

Lo  montanaro,  e  rimirando  ammata, 
Quando  rozzo  e  salvatico  s*  inurba, 

Che  ciascun*  ombra  fece  in  sua  paruta: 
Ma  poiché  furou  di  stupore  scarche, 
Lo  qua!  negli  alti  cuor  tosto  s' attuta, 

Beato  te,  che  delle  nostre  marche, 
Ricominciò  colei  che  pria  ne  chiese. 
Per  viver  meglio  esperienza  imbarche  1 

La  gente,  che  non  vien  con  noi,  offese 
Di  ciò,  per  che  già  Cesar,  trionfando, 
Regina  eoDtra  sé  chiamar  s*  intense; 

Però  si  parton  Sòddoroa  gridando. 
Rimproverando  a  sé,  com*  hai  udito, 
£  aiutan  T  arsura  vergognando. 

Nostro  peccato  fu  ermafrodito; 

Ma  perché  non  servammo  umana  legge. 
Seguendo  come  bestie  V  appetito. 

In  obbrobrio  di  noi  per  noi  si  legge. 


433 


65 


7# 


n 


sa 


S6 


$4 .  muiocehè  ancor.  Aaclie  perrbè, 
fllCrt  U  mm  so<litftzioae ,  io  oe  poisa 
serirere  •  memoria  degli  aomiai. 

66.  Ck$ Bine  9a  dintro  te,:  l'al- 
tra fcbicra  eba  va  in  taÌBao  ooalrario,  a 
che  grida  Soddoma. 

6S.  — ibimIo,  ammutolisce. 

69.  ^itmrba,  entra  io  citte. 

70.  Che,  al  rìrerìace  a  non  aUri' 
men  ti»  —  ^  tua  paruta^  in  toa  saat- 
kia  nn. 

72.  t'aitula,  si  qniota,  cessa,  per  il 
pr  ooto  sopravvenire  della  ragiona  ,  a 
d  alla  intelligensa  delle  cose. 

75, 75.  Beato  tt  ac.  Costr.  a  iot.: 
Beato  t«  cèe  per  viver  meglio  nel  oh»- 
do,  JnAmrthe,  vieni  a  imbarcare,  a  far 
provvista  di  espcrìenf  a  in  questa  nostra 
flMnneA«,cootrade.  Il  Buii  a  alcuniGidd. 
bauBo  aial  V.  75:  Per  nutrir  wuglio, 
«a  prafcnaco  la  oom.  In  prova ,  vadK 
n  V.  5S 

74.  eotfi,  quell'ombra. 

76*77 .  La  gente,  che  non  vien  con 
fìoi  :  la  gente  cbe  va  in  direzione  contra- 
ri a. — offeeeDicià,  pfreheee.,  paacodi 


quel  peccato  par  cui  giàCesaraae.  ìdoit, 
wmUebria  finti. 

78.  Regina  ec.  Iot.:  Casara,  vìnta 
la  Oallia ,  odi  nel  suo  trionfo  cba  i  li- 
eentioai  soldati  lo  cbiamarono  eoi  nona 
di  Regina.  Dieesi  cba  il  re  Nicomada 
abusasse  dalla  gionoesza  di  Ceaara .  a 
cba  i  soldati  gridassero  nel  detto  triooU| 
dova  ara  tollerata  ogni  lieenxa  :  GalUoM 
Catar  suiiGir,  Nicomedtt  Catanm, 
'^cotUratè,  in  faccia,  a  io  nota  propria. 

79.  ti  parton,  si  psrtimo  da  oai. 

80.  Rimproverando  a  tè,  in  rim- 
provero di  sé  slessi. 

84 .  E  aiutan  te.,  e  la  vergogna , 
cba  tal  confessione  in  loro  produca, 
dentro  gli  sbbruria  si,cbe  accreaca  l'ar* 
sarà  cbe  sitfTrono  per  le  Bamroa. 

82  Nottro  peccalo  fn  ermatraii' 
to,  Ermsfrodiiu,  secondo  la  favola,  ab* 
be  due  sessi  ;  onde  diceodooi  cba  il  iota 
peccato  fu  tvwmfrodUo,  si  wola  •»> 
ceonara  a  turpissimi  aboai  fra  lomo  • 
donna. 

85.  por  noi  ti  legge,  ti  cita  da  mì 
staaai,  si  grida. 

38 


Quando  partìamci,  i!  nome  di  colei 
Glie  s' imbestiò  nell'  irabe^lialo  schegge. 

Or  sai  noslri  alU,  e  di  che  Intorno  rei; 
Se  forse  a  nome  vuoi  saper  chi  semo, 
Tempo  non  è  du  dire,  e  non  saprei. 

Furolli  ben  di  me  volere  scento; 

Son  Guido  Guinicelli,  e  gli  mi  purgo 
Per  ben  dolermi  prima  eh'  allo  strema. 

Quali  nella  tristizia  di  Licurgo 

Si  fer  duo  figli  a  riveder  la  madre. 
Tal  mi  (ec'io,  ma  non  a  tanto  iasurgo. 

Quando  i'  ndi'  nomar  aè  stesso  il  padre 
Mìo  e  degli  altri  miei  miglior,  che  imi 
Rime  d'  amore  usar  dolci  e  leggiadre: 

E  senza  udire  e  dir  pensoso  andai 
Lunga  Sata  rimirando  lui, 
NÉ  per  lo  fuoi-o  in  là  più  m'  appressai. 

Poiché  di  riguardar  pasciuto  Tui, 

Tutto  m'offersi  pronto  al  suo  ser\igio. 
Con  r  affermar  che  fa  credere  altrui. 

Loia  (dli  prr  poco  iMcùIa 


k 


so    TimponanéiBiinK:  »■ 

Moac  mi  i»! ,  t..ip.  BUI  riou»  .!• 
pMtrd^ra,  gì  «iv.i  dati  il  mima  di 

tmii,  |»rdlà  «t  €«.««.  pDcM.  Cnnfcm,- 

ta  «■  aDFilfparDlt  iiulli  diBnullo 

UlÌl»I»11iVJdl'il>f(fM. 

91.  Fonili  b»i  te  Cottr.-.Bilfa- 

nlH  w«u  <U  w/fr  m>.  Brn  l.™iii 

WMMUnflUdH  h»  di  »>■<««- PI'; 

«<.,».  r-Ml.  di.  mi.  -«..». 

gg.  S«Ua  CMtmiHÌU.  Funw  ri- 

"*  U,  »C»ni  éeltrmi.  ta  a»™i 

im  Mit>  iriau  cb.  io  «oiai  iJ. 

91-99.  (^«/.■  «tUm  trbliiia  «. 

<^dii^iy''bui«.<l   l:i>D(ii     di- 

•  iaprtiKiw  ■  mraKro  dUircb.  Linugi^ 

■nMfiri.iUl.».  tjnr|BP.d>Ata» 

tiM  4.1.  il  >u>  pccoLo  Eoii<.0[.ll*,p°i 

cb.  il  pajre  ari  dulm*  *■»■  pitr  mi- 
Jvla,  inlnd.cnillpWTUS  i  Mi  cka* 
I»  •nJ.tieu  m  cr»,  •  Mni  U  <t 

hr.cci.rii  la  i.l.itx». 


likTattM*. 


da  .  [ha,  iccond*  SU»'  Pari*!**» 
wifiie  )rruzriiBl,  wutrrm^m  acMii 
«nnpIuitKi  auto  Wrdpiaat  |tnM 
aliirnofUiT  f^iclvra  mh(«J.  Tkifc-, 
lib.  V'    721. 

S7-9a.  a  pwlr*  Mia,  ■««  wl« 
(<;ulJuCuini«ll>)awiurap.dkBakM 
puaiin;  pviih.  dal]*  M*  Mà'itai 
niulU  apprau.  —  «  diy»  «Uff  aW 
■v^lior.ckaaMÌiC.liil.^  daflìaUri» 
^linn  iuliani,  miti  nuioikilì,  «ha  fil 


fiadra,   il  primD  ^ula  «1  «■n*,J 

'■  <1.1  r.  ID9. 


CANTO  YEMTBSIMOSESTO. 


435 


Ed  egli  a  me:  Tu  lasci  tal  vestigio,  ^ 

Per  qael  eh*  i*  odo,  in  me,  e  tanto  chiaro, 
Che  Lete  noi  può  torre  né  far  bigio. 

Mj,  se  le  tue  parole  or  ver  giurare, 
Dimmi  che  é  cagion  perché  dimostri 
,  Nel  dire  e  nel  guardar  d*  avermi  caro? 

Ed  io  a  lui  :  Li  dolci  deUi  vostri 
Che,  quanto  durerà  1*  uso  moderno, 
Faranno  cari  ancora  1  loro  inchiostri. 

0  frate,  disse,  questi  eh'  io  li  scemo 
Col  dito  (e  addilo  un  spirto  innanzi] 
Fu  miglior  fabbro  del  parlar  materno. 

Versi  d*  amore  e  prose  di  romanzi 
Soverchiò  tutti,  e  lascia  dir  gli  stolti 
Che  quel  di  Lemo^  credon  eh*  avanzi. 

A  voce  più  eh'  al  ver  drizzan  li  volti, 
E  cosi  ferman  sua  opinione 
Prima  eh'  arte  o  ragion  per  lor  s' ascolti. 

Cosi  far  molti  anlicbi  di  Guittone, 

Di  grido  in  grido  por  lui  dando  pregio, 
Fin  che  l' ha  vinto  il  ver  con  più  persone. 


HO 


116 


4S0 


186 


406-407.   tal  litigio....  in 
«e. ,  tal  Mgno  dell'amor  tuo  Teno  di  me. 

40S.  Uts ,  r  obkliYiooa.  -^fturbi" 
§Ì0,  oaevare. 

Ilo.  ehé  è  eagion  pmrehè  élm»' 
^ri  ee.,  goal' è  la  cagiona  per  «wac. 

142-145.  Lidohi  detU  vosUii.  la 
TOtIra  dola  rime.  —  l'uso  mod§rmù, 
V  oao  dal  volgare  che  era  allora  moder- 
no, perchè  da  poco  tempo  ti  coltiverà. 

444.4  laro  tfKAtoifH.faran  pranoei 
i  attioacritti  che  contengono  gaa*  detti. 

445.  Memo,  dìsiìngiio  eal  dito, 
matto  a  parte  dagli  altri. 

447.  Fu  miglior  fabbro  éU  fmr^ 
ter  maUmo:  cioè,  armoainè  maglio 
d'ogni  altro  il  materno  lingoaggio,  il 
Tolgare  ;  fa  il  migliore  di  qoanti  ahinaa 
poetalo  nella  lingua  propria.  —  With 
larmo,  ata  ^ni  in  oppoaiaona  al  loMno 
in  eoi  molti  componevano  a  qnal  tam- 
po,  ma  dia  non  era  più  lingna  popaltra 
o  mataroa. 

44S-449.  Veni  d^ amore  te.  So* 
vaidiià,  raperò  lutii  f>oroi  d'amore, 
qoalnnqne  poetico  componimento  amo» 
roto,  •  qnalaivaglia   raeooalo  eaval- 


lereaco  in  prosa ,  ecrìtti  aTanli  £  fan. 

420.  quel  di  lemofi.  Garaslt  da 
Bamail  di  Limogca,  o  Lemaal ,  imaao 
poeta  proTeniale,  che  il  Tolgo  preferì 
ad  Arnaldo  Daniello. 

421^22.  À  9oeepik  ch'ai  vor. 
Ascoltano  più  la  fama,  che  il  ma  dalla 
volte  è  vena,  che  la  verità.  Or  inetti,  a 
son  molti ,  vuoti  di  discernimento,  aa 
gonfi  dt  superbia,  decidono  eoo  rìdieala 
prosopopea  del  merita  da  libri  taon  p«r 
avarli  letti,  o  se  letti,  certo  non  tntad; 
a  lodano  o  vituperano,  secondo  cha  «di- 
roDo  lodarli  o  ritoperarli,  da  ^  a  «► 
me  non  importa.  È  »tato  sempre  ood, 
ed  è  eoe).  —  dritzam  HyoM,  dipisfa 
l'alto  di  chi  porge  orecchio. 

423.  Prima  ch'altra  rcfim,  Il 
Butì. 

424.  GuiUom$t  antieo  riadort  di 
Arano. 

425.  Di  grido  intrido f  di  vwab 
vaco,  gridando  gli  «ni  appramo  aU  al* 
tri.  — pur  M  ee.,  solamanta  a  lai  dan- 
do lode. 

426.  Finche  rka  vinto  ee.:  flnebi 
la  verità,  con piiiptriOM  cioè, coi 


DtL    PUhGATOniO 

Or,  ee  tu  bai  si  ampio  privilegio. 

Che  licilo  ti  sia  l'undRre  al  chiostro. 
Nel  quale  è  CrìMo  abaie  del  collegio. 

Fagli  per  me  un  dir  di  paternostro. 

Quanto  bisogna  a  noi  di  questo  mondo, 
Ove  poter  [eccar  non  è  più  nostro. 

Poi,  forse  per  dar  luogo  altrui  .«ccondo, 
Che  presso  nvea,  dispane  per  lo  fiioco, 
Come  per  1'  acqua  ii  pesce  andando  al  fondo. 

lo  mi  feci  al  mostrato  itinanzi  un  poco, 
E  dissi  ch'ai  suo  nome  il  mio  desire 
Apparecchiava  grazioso  loco. 

Ei  cominciò  lilwramenle  a  dire: 

Tan  m'  abelhU  vostre  cortes  deman, 

Qu'  ieunom  puesc  ni  m  voiìl  a  t-os  cobrire. 

leu  sui  Amautz,  que  pìor  e  vai  cliantan: 
ConsxTos  vei  la  paxsada  folor, 
E  va  jauzen  lo  joi  qu'  esper  deiian. 

Ara  US  prec  per  aqueila  valor, 

Que  US  guia  al  som  sera  frdfh  e  sens  eatùia, 
SovenÌM  US  alemprar  ma  dolor. 

Poi  s' ascose  nel  fuoco  che  gli  aDiaa. 


nata,  oli  In  lello  |uilli  Imlr 
riUlI  che  il  lolgo  gli  di».  0/ 


•lo  Jicali.  —  abalt,  nei  prlncijij  dell) 
liDflna  Duiisi  In  Eenwiie  pcf  iioJre, 

Izi-ioi.FagUpermtuaiirdi 

paltrtioilro,  Ouanlo  iiiojrna  K-  Ite- 
[iln  •  lui  pur  nw  un  pater  noiltr,  GnD 
u  ifiiel  pDUtipdi  fjueli  orezinno  che  può 

Iropolcre,  ii  ftain.  Dovm  dunque 

433-131.  Poi,  fané  ptr  dar  te. 


4S7-I3B.  £  dùji  chal  tua  » 
«  «r.  E  gli  din»  che  Uul'er.  il  Joid,- 
>u  tli'ig  .vce  i}  eoDDuertD,  eh*  ivn 

:  moli»  giHifil  iimplincDta. 

139.  £ici1iiifncÌAlti«riilMIU«,e 

HO.  JaKitabtlhittc.  Landau  i 

orai  prtneiuili  Ktuode  !■  coimiHK 
.ol(i|!iinrH*^wiird,eTÌa|ipiMfi>liB 

.ucci  nella  lua  inalili  dei  vtrìi  ita 

g.20.-. Tinto  m'ibbcllue, 


•   l"'"»" 


e  (iKimHifrrvj.  ta  Hnn 
.,  pi-™,  vo  ««,«!,. 
in,„roMO.  «pitto)  «-- 
■  IMan  [follia),»  *ts!^« 


•   taivrelciridl.ibci 


437 


CANTO  inEMTEsmosKnniio. 

VJitpelo  dkt  guarda  U  péuio,  mtuerta  i  P««ff  tkt  per  smttrt  étMomo  trmmnmrt  I*  fiamme. 
JS  tiirèa  mU'aitiHimtio  r  Jtigkitri,  é  tUuf^,  éu  ckt  eomf»rUtlo  dal  Matstn  fa  a  patmtfio.  J»- 
wtalUl  per  la  seti*,  gli  amata  fmaai  tmèUo  la  ««Mf  tht  tepnnmeu*.  Dami*  $* addormenta,  ed  ha 
una  •liiùne.  Destatoii  «of  giorno  e  ripraao  ola,  giomgo  sol  ParmdUo  terrestro,  dooe  FirgUio  gii 
dliee  eh*  ommì  U  eoo  mffieio  e  compitOt  t  eko  d'allora  ei  to  latda  libero  sigmor  di  ti  slesso. 

Siccome  quando  i  primi  raggi  vibra 

Là  dove  il  suo  Fattore  il  sangue  sparse , 
Cadendo  Ibero  sotto  Talta  Libra , 

E  l' onde  in  Gange  da  nona  riarse, 

Sì  stava  il  Sole;  onde  'l  giorno  sen  giva,  5 

Quando  l'Angel  di  Dio  lieto  ci  apparse. 

Fuor  della  fiamma  stava  in  su  la  riva, 
£  cantava  Beati  mumdo  corde, 
In  voce  assai  più  che  la  nostra  viva. 

Poscia:  Più  non  si  va,  se  pria  non  morde,  io 

Anime  sante,  il  fìioco;  entrate  in  esso, 
Ed  al  cantar  di  là  non  siate  sorde. 

Si  disse,  come  noi  gli  fummo  presso; 
PerchMo  divenni  tal,  quando  lo  'ntesi. 
Quel  è  colui  che  nella  fossa  è  messo.  16 

In  :^u  le  man  commesse  mi  protesi, 

4  -5.  Siccome  quando  te.  Ordina  la  eoai,  poato  nel  primo  verto  ;  ma  tiecoaio 

frase  coti  :  Il  gole  «i  giata,  siccome  (in  di  qaesta  forma  di  parlare  ti  hanno  al- 

4|ael  punto  in  cui  si  trova)  quando  vi-  tri  esempj,  cos)  io  r  ho  ritennta,  paren- 

brm  i  primi  raggi  là  dove  il  iico  Pai-  domi  che  ci  gnadagoi  di  fona  la  frase. 

iore  sparse  il  sangue,  Ibero  eadendo.  Anche  nella  sacra  scrittura  leggiamo 

cioè  scorrendo  al  mare,  sotto  l' alta  li-  Starr  puUus  hirundinis  sic  elmiMÒo. 

bra,  colla  libra  alta,  cioè  al  suo  meri-  7.  insù  la  riva,  solPestremità  della 

«liaoo,  e  Tonde  cadendo,  scorrendo,  in  strada,  il  cui  largo  era  oceopato  daUc 

Gange  riarse  da  nona.  In  somma ,  fis-  fiamme. 

sato  che  a  Gerusalemme  il  sole  vibrava  9.  In  voce  assai  piik  che  la  nostra 

i  primi  rag(p,  ne  segue,  secondo  il  piano  viva:  in  voce  viva,  chiara,  armonica, 

geografico  più  volte  accennato  del  Poe-  più  che  la  nostra. 

ta,  che  tramontava  al  Purgatorio  (onde  iù-ii.  Poscia:  sottint.  diaae. —  Se 

il  giorno  sen  giva)j  che  era  meaa  fnria  non  morde.,.,  il /Woeo .- so  prima 

notte  soli'  Ibero,  fiume  della  Spagna,  e  il  fuoco  non  vi  fa  sentire  il  suo  morso, 

confine  occidentale  ;  mezzo  giorno,  o  il  non  vi  scotta  on  poeo. 

principio  di  nona  sul  Gange,  sopposto  <I2.  alcanlar  dita,  alla  voce  che 

confine   orientale ,   riguardo  al   noatro  di  Ih  udirete  cantare, 

emisfero,  e  il  qnal  fiume  scorre  sotto  il  45.  Qual  è  colui  ee.  Costernato  co- 

jneridiano  deir  opposta  Spagna  ;  mesi'  me  colni  che  è  eondannato  ad  eaiere  ae- 

diano  che  è  l'orizzonte  comono  a  Gero-  polto  vivo.  Vedi  Inf.,  Canto XIX,  T.40. 

salemme  e  al  monte  del  Purgatorio.  Ea-  46.  insuleman  ee.  Ili  protosi  verso 

sondo  il  sole  in  ariete,  la  notte  dovaa  le  mani  insieme  cnauneaie,  doè  inserio 

ciisere  nel  segno  opposto  che  è  la  libra.  V  una  nell'  altra  ,  o  collo  paloM  rivolto 

—  Sì  slava.  Potca  leggersi  anche  ti  allo  ingiù  in  atto  d*  «omo  cbe  sta  in 

slata ,  per  evitare  la  ripetizione  del  fi,  forse  e  pieno  di  meraviglia. 


Guardando  il  fuoco,  e  immai^ìnando  forte 
Umimì  corpi  già  veduti  accesi. 

Volgersi  verso  me  le  buone  scorie: 
E  Virgilio  mi  disse:  Figlinol  mio. 
Qui  puole  esser  lormenlo,  ma  non  ntorle 

Ricordali,  ricordali....  e,  se  io 

Sovr'  es$o  Gerion  ti  guidai  salvo. 
Che  farò  or  che  son  più  presso  a  Dio? 

Credi  per  eerto  che,  se  dentro  all'  alvo 

Di  questa  fiamma  stessi  Iwn  mill'  aniU,   ~ 
Non  ti  potrebbe  far  d'  un  capei  calvo, 

E  se  tu  credi  forse  eh'  io  t' inganni, 
Fatti  ver  lei,  e  Tatti  far  credenza 
Con  le  lue  mani  al  lembo  de' tuoi  panni. 

Pon  giù  ornai,  pon  giù  ogni  temenza; 
Volgili  in  qua,  e  vieni  oltre  sicuro. 
Ed  io  pur  fermo,  e  contra  coscienza. 

Quando  mi  vide  stai  pur  (ermo  e  duro. 
Turbato  un  poco,  disse:  Or  vedi,  figlio, 
Tra  Beatrice  e  te  è  questo  muro. 

Com'  al  Dome  di  Tisbe  aperse  il  ciglio 


4T-I8.  intmaji 
rappKHDtivdovpi  ulti  mi 


M  ^  BOB  B  |Mlnlik«  n  ini  pitturi. 
n.  le  iwmtmrl*.  Inlindi  Virgì- 


i: 


ino  luniiili  c<IU  nni»  un  dMd  pba, 
ti  glBiiu  nriina  Tube.  Uà  IumiÌiIIi 
c«Ki  •111  Tini  d'  ■■!■  lioxm,  «I  m 
•III  r*!^,  ro(li'inniliil(nddtilt«h 


U.  pa  fnuo  a  /Ho,  lint,  pit  n- 
di*  A  t^tl  nt\a  ore  Dio  ruiede. 

n  atr'al»M.,>lMiw,  Klmnio 

39-1»  hllf /brmJanjB»:hlli 
Btirttb'io  DM  t'mganiw,  iltrabs 


dnin  (  tvlUiIndolo,  lo  I 

del  nngie  dì  eh*  jitr  iTTrutan  mt 

t«,  t  nihilo  ■  pie  iti  g.L>  ;i  Ida  M- 

B*n,  pieno  di  disperilo  dolon  «M  « 


CANTO  'vmrrmmosBrriMo. 


439 


Piramo  ifl  ss  la  mofte,,  e  tignafddìfr, 
Mor  che  il  gelsà'diveoCò  vemiglio  ; 

Cosi,  la  mia  dnrefsza  fatta  solla, 

Mi  irdteì  al  sanoDaca,  udendoli  nome 
Che  nella  mente  «eaipre  mi  rampélla. 

Ond'ei  croHò^  la  testa,  e  olisse  :  Come! 
Tolemci  star  di  quat  radi 'sorrìse, 
Com'  al  ifoncnil  ah  cb'è  Vinto  al  pome. 

Poi  dentro  al  ftioco  innanzi  mi  si  mise, 
Pregando  Stazio  che  lenisse  rétro. 
Che  pria  per  hmga  strada  ci  divìse. 

Come  Ali  dentro,  in  vn  boglienle  vetro 
Gittato  mi  sarei  per  rinfresearrei  ; 
Tanto  ergivi  lo  ravandiò  senza  mètro. 

Lo  dolce  Padre  mio,  per  confortarmi, 
Por  di  Beatrìce  ragionando  andava. 
Dicendo:  Gli  xxstìA  snoi  già  veder  parmi. 

Guidavaci  ona  voee  the  cantava 
Di  là  ;  e  noi  attenti  poro  a  lei, 
Venimmo  ftior  là  ove  si  montava. 

Venite,  benedicH  patris  mei, 

Sonò  dentro  da  un  lame,  che  Fi  era 
Tal ,  che  mi  vinse,  e  guardar  noi  poteL 

Lo  Sol  sen  va,  soggiunse,  e  vien  la  sera  ; 
Non  v*  arrestate,  ma  studiate  il  passo, 
Mentre  che  1*  occidente  non  s*  annera. 


40 


45 


M> 


66 


IO 


ti  ira^^e.  In  qaelli  Mprag- 
giotg*  Tkhe ,  alla  coi  vuce  il  gioraiie 

Sfiitrilo  apre  ali  occhi,  e  un  momento 
fiffì  rìebiaoe  per  semjpre.  L»  donna 
allora  IPsKe  il  pn^ale  di  Ini  «  ti  acci- 
dc.  n  g«wo  bagnato  del  taamie  da'  dna 
iofdici  cambiò,  dice  la  farola,  io.roaae 
la  aaw  morf  bianche. 

40.  t0Ua,  arrenderole,  piegbaTole. 
42.  mi  rampolla.  Scorre  eootimio 


aaaae  «aa  pWla  d' acqua  pereoaa. 

44.  ituti  t9rrise:  Virgilio  ai  aecarM 
dal*  «fletto  magico  della  ana  parola; 
pciè  gfi  denaada  te  vaole  tncera  raatar 
di  tgmÈf  «arto  eh' ei  non  Toolipiè. 

Ah.  tinto  alpomi,  preao,  vinto  dal 
fimtrm  dol  noatratfgii  pomo.  — <poiiM 
a  pomio,  tome  vote  e  vtuo  ee.,  Jintie. 

47.  rHrOt  cioè  dopo  di  ma.  Coaì 
dìapooa  Tirgilio  per  ater  P  alunno  pia 
prcaao,  onda  poterlo  confortare  al  biso- 


gno ;  a  forte  perchè  intimorito  dal  fateo 
non  retroceda. 

48.  Che  j^riqperlungaàtroda  ee., 
il  quale  Stazio  ci  aTea  per  lango  tratto 
di  strada  dÌTisi  Vuno  dairaltro,  eaaando 
•tenuto  medio  tra  lui  e  me. 

51.  $om%a  metro,  smianrato. 

53.  Pur  di  Beatrice  te.  Sitott«- 
Muo  i  più  grandi  tormenti  aod  eaoforti 
r  idea  d' un  gran  bene  da  coBsafmnì 
par  quelli.  L' istoria  ce  n'offra  jnalti 
esempj  ;  ma  soprattutto  quella  ^1  Cii- 
stiaaesimo. 

57.  fuor  ee.,  fuori  della  fiamma  U 
dora  era  la  scala  per  montar  sopca. 

69-60.  Soma  deniro  ee.:  ti  tanfi  ri- 
tonare dentro  a  una  luce,  a  uno  wlao- 
dorè  tede,  ohe  mi  abbagUè-at.  E  vn 
ingelo. 

63.  Jle«<re  che  l'oceidouU  oe., 
mentre  che  al  tatto  non  annotti. 


f                   Dfitla  Balia  la  via  por 

entro  il  sasso. 

1                         Verso  tal  parte,  eh"  io  tORlieva  i  raggi                   o 

L                        DlDanxi  a  ine  del  Sol  rh'  era  ^è  lasso. 

1                   E  di  pochi  soaglion  levammo  i  saggi. 

1                        Che  11  Sol  corcar 

per  r  ombra  che  si  spen*, 

m                       Senlimmo  dietro  ed  io  e  gli  miei  Saggi. 

^^^V    E  pria  che  in  lutle  le 

sue  parli  immense                    7D     i 

^^^K         Fu'^oe  orizzonte  fatto  d' un  aspetto,                                j 

^^^^H         E  Nolte  avesse  tutte  sue  dispense,                                 | 

^^F  Cia^n  di  noi  d'  un 

rado  fece  lello; 

■                       Che  la  natura  del  moole  ci  affrjnse                               1 

W                       La  possa  del  ^alir 

più  che  il  diletto.                       » 

■  i                Quali  si  Canoo  ruminando  manse                                         | 

B^^^            Le  capre,  stalo  ra 

pide  e  proterve 

^^^^         Sopra  le  cime,  prima  che  sieu  prange, 

^^^^^^  Tacile  all'ombra,  mentre  che  '1  Sol  ferve. 

^^I^H         Guardale  dal  pastor  che  in  sa  la  verga                  V 

^^^              Poggiato  8'  è,  e  lor  di  posa  serve; 

E  quale  Ìl  mandrian. 

che  Tuori  alberga, 

Lungo  il  peculio  suo  quelo  pernotta,                             | 

6S.  r(rinl<lJp>>rl<«.Inl.:»>r»> 

;1  ulirvi  QmU  «ndiiiaB*  JaofM  ri 

l'orienti.   So   DinlB,  in[(-mnnii«iiJo  i 

aStmni,  «..d  G>«i.  ci  Ini»  il  |iaM 

ngp  i„ì  iole  e«l<nM,  fl  .«.!"•  Jinia- 
■i  1'  «nbrt  d.l  «rpo  •»«.  rK,n  *  obi 

èi  niin  viti  Ih*  a  dibllo,  ^i  eh*  h 

^y„.ir^.wim..^i,Ti^ 

en.  €k'tra  g.'d  loH»,  che  ..I.ÌVI  a 

70-TO.  0«flÌ(ri^.««o«M«^ 

iunF>ri-Alir*«Jii.   <h-era  già  bailo 

iToK  Ordini  iQuornccOfre (•(«1*1» 

eT.l«™»»  .■,*,,(,    pÌBli.n.™o 

pide  e  prolme  infra  U  eimt,  frìma 

ch(  >J»i  prniMr)  li  /anno  naut  nM*- 

'Ab  t  quanto  4ira:   irBumo  mmlib 
'  fochi  KBHlinni. 

«■.(n  UkìU  atfomhTO  «.  —  L'O» 

e>.  Cht  il  Sol  corcar,  a.  IbI.- 
'■  (Mlimmo,  ri  iworji-ninio  the  dirtro  i 

•utle    -prOBH,  JtlKJBtn,  òhi*.  - 

ropfib  ,  »l^  ,  cnrrmli  M  •  (li  pi 

'■»Ìl«>I..Ìc.>r««;.àeln„lrT>«. 

duna  de'monll  c«n  DdU  IMOM.  - 

ffiligauii  a<ll'«iDbn  eh*  dìaniì  fiHn 

81.  »  (or  d(  pon  «tw,  «  «m  f 

"      iV.PiuM  eHizonr»  «. ,  l'orii- 

MdJo  egli ,  h  II  chi  podlM  h  «H  «- 

n^i  litri.  Wli   Irnfi:  l><VfMo  f^. 

■SMTb  f=«c  {.ll«  d.1  F.rì  «<^  in  lutto 

rfl«.|ìn,i™,n.™„.' 

•      72.BJ¥««em.E1«n»ll«ùtM..Ji 

«•lo  hi  con  di  loro.  E  Ira  CadJ.  r~ 

*!»— ««I.,  nrrl.  j-alto  del  ,™ 

ÌM  dil  eh.  PanliinRnmi:  1 1^  4- 

Wftt. 

73.  iTm  traAo  fM  Ulte .  ti  pco 

ttrrt  1  lui  por  di  rìpom. 

82.  a  mandrim,  il  tmloit  datti 

«...Jr..                                          -J 

MiidinMM  d,l  a,MU,  f„  1.  quilo,  In 

S3  r.uii<7o  il  ptfuhV  MIO,  mi^H 

MrtllO  il    fi.,    DOD  1  d.tl>  .d  .1,00» 

i..<..t>.u>di..                   ^^^1 

^ 

J 

CANTO  ▼ENTESIMOSBTTIlfa 

Guardando  perché  fiera  non  lo  sparga  ; 

Tali  eravamo  tutti  e  tre  allotta, 
Io  come  capra,  ed  ei  come  pastori, 
Fasciati  quinci  e  quindi  dalla  grotta. 

Poco  polea  parer  li  del  di  fuori  ; 

Ma  per  quel  poco,  vedev*  io  le  stelle 
Di  lor  solere  e  più  chiare  e  maggiori 

Si  ruminando,  e  si  mirando  in  quelle. 
Mi  prese  '1  sonno  :  il  sonno  che  sovente, 
Anzi  che  *l  fatto  sia,  sa  le  novelle. 

NoU'ora  credo,  che  dell'oriente 
Prima  raggiò  nel  monte  Citerea, 
Che  di  fuoco  d' amor  par  sempre  ardente, 

Giovane  e  bella  in  sogno  mi  parea 
Donna  veder  andar  per  una  landa 
Cogliendo  fiori;  e  cantando  dicea: 

Sappia,  qualunque  il  mio  nome  dimanda, 
Ch*  io  mi  son  Lia,  e  vo  movendo  intorno 
Le  belle  mani  a  hrmì  una  ghirlanda. 

Per  piacermi  allo  specchio  qui  m*  adorno  ; 
Ma  mia  suora  Rachel  mai  non  si  smaga 
Dal  suo  miraglio,  e  siede  tutto  giorno. 

Eir  è  de'  suoi  begli  occhi  veder  Vaga, 


ii4 


S5 


90 


95 


fOO 


lOà 


S7.  quinci  e  quindi  te,,  ferrati  da 
ambo  i  lati  della  grotta,  cioè,  della 
fenditura  del  monte  nella  quale  era  la 
acaJa. 

88.  Poco  potea  parer  lì  ee.:  poco 
del  di  fuori,  cioè  del  cielo,  potea  eppa- 
rire  h  a  noi ,  atteso  la  strottezn  e  la 
profouditk  della  fenditura. 

90.  Di  Inr  solere,  del  loro  solito. 

94.  5i  ruminando  ee  ,  mentre  io 
cùt\  meditava  nrlle  rose  Teduta,  a  foar- 
«iara  Bsao  in  quelle  stollo. 

93.  M  le  novelle,  predice  ciò  che 
dete  accadere. 

94-95.  ^f(rora  credo  ee.  Neil' ora 
die  dal  balzo  d' oriente  la  stella  di  Ve- 
nere ra^iò  i  suoi  primi  ragfp  sul  monte 
del  Purgatorio.  Venere  nasecTa  eoi  P^ 
sei,  segno  che  stava  avanti  T  Ariete  in 
tmi  allora  era  il  sole. 

98.  landa,  pianare  ;  e  qui  per  prato. 

4  01  -4  02  Per  Lia,  la  prima  moglie 
di  Giacobbe,  si  deve  intendere  la  vita  at- 
tiva. Si  noti  che  Lia,  e  Barhele,  nella 
notte,  sono  la  vita  attiva  e  la  contempla- 


tira  neir  Antico  Teatamenlo  avtati  It  loca 
di  Cristo  :  Matelda  poi  e  Beairie$,  cha 
appresso  vedremo,  la  vita  attiva  e  la  ooo- 
templativa  nella  luca  e  nella  perfcnooe 
crisliana.  Forse  il  Poeta  alluda  al  sal- 
mo 33  :  Diverte  a  malo  et  fae  èoniMi. 

—  e  To  movendo  intomo  ee.  Si  o> 
canna  il  virtauso  operare ,  e  la  corona 
che  in  cielo  avranuo  coloro  che  qui  in 
terra  se  la  procacciano  operando  a  prò 
da' lor  simili. 

403.  Per  piacermi  allo  ipecehio, 
Int.  l'allegoi-ia  :  per  piacere  a  me  steaaa 
quaudo  mi  spocchietò  in  Dio  e  nella  sua 
legge,  che  è  appunto  lo  specchio  in  cba 
l'anima  deve  mirarsi  per  giudicar  di  sé 
stcasa. 

404.  Rachel,  seconda  moglie  di 
Giacobbe,  è  Bgora  della  vita  contem- 
plativa ,  come  dimostrano  i  verti  aa- 
guenii:  BlVè  de' tuoi  begU  oedd  «e. 

—  no»  ti  tmaga,  non  ai  aeoata,  non 
ai  rimuove. 

105.  miraglio,  apeeehio. 

106.  Eli'  è  d^tuoi  begli  occhi  ee. 


■     ,4tS                                                DEI.    PBR( 

JITOBTO 

^ 

1                         Cotd'  io  dell'  adornarmi  tolle  rami  ; 

V 

H^                       Lei  lo  vedere,  e  me 

il'ovrare  appaga. 

^h                  B  già,  per  gli  splendori  anielucani, 

^M                      Che  Unto  ai  peregr 

in  surgon  pni  grati, 

^M^                     Quanlo  tomando  albergati  men  lontani. 

^^^^^     Le  lenebre  fuggian  da 

tutti  i  lati, 

^^^^^V           E  il  sonno         con 

esse;  ond'io  Ima'mi, 

^^^^^H          Veggendo  i  gran  Maestri  già  levati. 

^^^^HP    Quel  dolce  pome,  che  per  tanti  rami 

tl.' 

^^^^M            Cercando  va  la  curi 

ì  de' mortali. 

^P                       Oggi  porre  io  pace 

le  tue  femi  : 

J 

H    ■               Virgilio  inverso  me  qoeste  colali 

■ 

^L                       Parole  osò,  e  mai  r 

lon  furo  Strenne 

V 

^^^^            Che  fosser  di  piacere  a  que<:te  ignali. 

«^ 

^^^^L    Tanto  voler  sovra  volei 

■  mi  venne 

^^^^H          Dell'esser  so,  ch'sd  ogni  posso  poi 

^^^^^F         Al  volo  mi  sentia  creder  le  penne. 

^^^^^      Come  la  scala  tolta  sotto  noi 

^r                      Fu  corra,  e  fummo 

in  sn  T  grado  snporDO. 

f)  Ili 

■                       In  me  (rcrò  Tirgilio 

gli  ocrlii  suoi, 

■                  E  disse  ;  11  lemporal  fuoco  e  1'  eterno 

■                        Veduto  hai,  figlio,  1 

e  se'  venuto  in  parte 

H                          Ov'  io  per  me  più  oltre  non  discemo. 

H      Ceib..Birtva-iarrd,nilt^\pnmraa 

por  UnW  T»;  drlli  aul  fè&oU  *  S- 

■      46>,i.tti]twÌh.Qli«Mhi:  doi,el. 

E>ri  il  tcrmlro  Panfuo  pM«>  nD< 

■      ruu  atUTt  i  noi  mhl  utili  prrie- 

cima  d»1  Purplorio. 

HT.porrd  ii>  pan  !>  i 

Impmì! 

■      *W<»<fK*nMu..  coatheudinbba 

r>rb  «muiiti  ì  la«  daìd.n- 

W    tfe«  Bacbck  ro«  •>:.  di  migH  •li» 

HS.    llTHIM.     D.11(    T. 

H»  IiUm 

■         mocUo  i  ■»]  propri  «ehi  bdli  d(i  ri- 

rima,  ci»  tilt  muuii,  ngaln. 

Ut.  ra>ilacD(<rM.,ci<.t,lmla  ti 

•emlibt  n  oi»  dnidoù.  di 

i  gùi(o«n 

lOS.  lei  tu  ttdfTt  tt-  Ui>Fn9e<, 

•111  i^mt  dtl  nonu. 

n  Piridi»  Urraln. 

Dn.«»l'«r«>brlt.  (d  D<l!i»li.<li 

m.  il  Imparat  fuoet 

F.  a  Un* 

Ddii  Tita,  io  «rdin,  .  lui.  Pufg,lo  dii 

del  Porgitori»  che  Jan  ■  1 

impo;  — 

fi)],  MS  ipiNlc  Ir  due  t\t  pn  ini  fui 

r*(«-M,i«riJdi'ii.r«B.. 

1*  ams  fioiigf r*  ti  prsmio  rtn-i». 

«29.  Of'wpfT  »  te.  1 

[OIB^M- 

»r>doilitiuoo.ori1e;  otiI' 

DT>  t  ■*■ 

dolnle,rilbo. 

elit»l» 

411.  Qaavta  larnmdo  et.,  ilei. 

gii,  eh*  pelli  riv.1.ii«>l  b< 
3iiD«ilii.GliiBl.cblG1«i»G 

ilHotoD- 

«■■la,(DTnind<]  mi  pcllccnoi  allipk- 

«Hulb^ro 

tgoUitKf, 

H       bw^s  *  tana  ImtiDo  di  qntTIi. 

•idon>lliit«HlUd'Bi>-rdii 

HBUtal*, 

^           lt»-IIS.  (h«ldpfc.  p™...p.r 

e  dtiItroD.  UlliiÙBo  t«* 

intarmi  al 

H     pow:  «isl.U  ttlLciU  thtcUDODiini 

Tiij  >  illt  >ind,  1  li  mnti  d 

i  tiiUr  (li 

BBt,.i(i«;.l„t(  tJirt.Fli 

.  qui  .U.- 

CANTO  ▼nmsmQBBrrnio. 


aa 


Trttto  t*bo<q!ii  con  ingogoo^e  eoii  arte; 
Lo  tao  iiiacere  omid  prandi  per  dnoa; 
Fuor  se*  dell*  erte  vie,  ftior  se*  dell'  arte. 
Vedi  là  il  Sol,  clie  in  froole  ti  riluce  ; 
Vedi  r  erìbetta,  i  fiori  -e  gli  arboaoeUi, 
Che^questa  terra  eoi  da  sé  predice.. 

Mentre  die  vegnon  lieti  gli  occhi  belU, 
Che  lagrimando  a  le  venir  mi  fbnno, 
Seder  ti  puoi,  e  pmi  andar  tra  ellL 

Non  aspettar  mio  dir  pia,  né  mio  eenno  : 
Libero,  dritto,  aano'è  tao  arbitrio, 
E  fallo  fora  non  firn  a  suo  senno  ; 

Perch'  io  te  sopra  le  corono  e  mitrio. 


130 


m 


i40 


amm  Im  pototo  Virgilio  amtr  éom  • 
Duto  citUclino;  ma  l«  «ptraion  4tlt 
grani,  la  rìrelanoa  ii  Dio  a  dalla  aoa 
gloria  agli  eletti ,  aooo  nialari  éì  fada, 
cha  lolo  par  Bea$rie§  piai  aio  aaaar  A- 
ehiarati  alcnn  poco  a  i>aiita  arialkad. 
4  SO.  con  ingegno  a  con  &tU:  ÌMutf 
g^gno  ritrova  a  combina^  r«rfa  aon- 
dnca  ad  affetto  conTaoiantamaDta  fl 
paoaiaro  della  meota. 

452.  erts,  rìpida. — «rto,  tÉrltta. 

453.  Vedi  là  il  Sol,  ee.  Sa  «piaado 
caminciè  a  salirà,  aveta  il  sola  tramoa* 
tanta  alla  spalla .  giunto  par  la  scala 
érUUi  in  cima  al  monta,  darà  trarla 
naacanla  in  faccia. — Il  aola  in  (ruota a 
Danto  parificato  ben  si  rada  dia  signi* 
fichi. 

486.  Jfanlra  dba  oagnoii  ae.  Int.: 
BMOtra  Baatriaa  dagli  acni  balli  lialan 
taMM. 

487.  CJba  (ogWiiMfMfe.  Sottint.,alM 
par  li  tranamaati  taci.  — 


a  la mtàrmifmmo, «rf  faaaro  Tanira 
in  tm  aoaaataa.  Vali  Canto  II  dall'M- 
/kn»,  ?.  418. 

488.  fra  «llt/Tra  qaalli  arbaaaalK 
•  9pm  Sari  chaia^ti  aaeannai. 

44e.i£ilàara.  értito,  temo  èUto&r- 
kUeio,  Barai  U  Alga  dcll'ignoranaa 
par  lo  aehiarìmento  dalla  ragiona,  a  la 
paigaiitMia  dai  pravi  apnafiti,cha  d'assai 
afmdoaalalHiarllidalVanima  al  bona. 

444 .  BfèUo  /bff«  §e.:  non  potando 
to ,  aoak  pargato  a  raddrìsato ,  ?olar 
dia  il  bene. 

442.  Parca' l9  totonra  fa  ae.Laan- 
da  io  ti  fo  sigaara  assolato  di  ta  mede- 
aimo:  affido  a  ta  il  piana  gorama  a  la 
diranona  di  ta  stesso.  La  corona  ri- 
gaarda  la  diraiiona  politica ,  la  ailfm 
u  gofarao  a|Hrìlaala.  fWla  rifa  di  an 
ramano  pontefice  si  legga:  EeektSmkk 
<4yaMBi  faaiporalfiaii  deèU  mtki  co- 
rsaaai,  rf  in  nfiMftM  apirtfiiaWMai 
coiifuKf  miM  milram. 


CABVO  JnBBFEWmCBUUTAVO. 


Pétméim  trrutn.  F»r  mw  $1  éi§mm 
M  mtdmr  tUn,  Uam  Vmmm  M 


Vago  già  di  cercar  dentro  e  dintorno 
La  divina  foresta  spessa  e  viva, 

4.Fayo,braaMao.  S*aaaarTÌdMwa      calori,  a  pia 
la  BBM  dcU'Alighiari  ai  mta  di  pi^  viri  2.  ^piiM  a 


s^i 

,  falU  d' 


Ch'a};li  occhi  temperava  il  nuovo  giorno, 

Senza  più  nspellar  lasciai  la  riva, 

Prendendo  la  campagna  lento  lenlo  i 

Su  per  lo  suol  che  d' ocnì  parl^  oliva. 

Un'aura  dolcn,  senta  mutamento 
Avere  in  fé,  mi  ferìa  per  la  fronie 
I  Non  di  più  colpo  che  soave  venlo  ; 

Per  cui  le  fronde,  tremolsodo  pronte,  IO 

Tulle  quante  pìet^avano  alla  parte 
\y  la  prim' ombra  gilta  il  snnto  monte; 

Non  però  dal  lor  esser  drillo  sparte 
Tonto  che  gli  augellelli  per  le  cime 
Lascias=er  d'operare  o!;ni  lor  arie;       '  U 

Ha  con  piena  letizia  l'ore  prime, 
Cantando,  rìcevieno  intra  le  foglie, 
Che  tenevan  bordone  alle  aie  rime, 

Tal,  qual  di  ramo  in  ramo  si  raccoglie 

Per  la  pineta,  in  sul  lilo  di  Chiassi,  90 

Quand'  Eolo  Scirocco  fuor  discioglie. 

Già  m'  avean  trasportalo  i  lenii  passi 
Dentro  all'  antica  selva  tanto,  eh'  io 
Non  polca  rivedere  ond'  i'  m' entrassi  : 

Ed  ecco  più  ondar  mi  tolse  un  rio,  :i 

Che  in  ver  sinistra  con  sue  picciol'  onde 
Piegava  l'erba  che  in  sua  ripa  uscio. 

Tutte  r  acque  die  son  di  qua  più  monde, 
Parriena  avere  in  sé  mistura  alcuna, 

pitM  ili  lintniiini  fiori,  — sica,  n-  ptrpendkalart,  eh  a  gli  HC«IU*>ubB 

gM»,  »ril*|i|pHta  a  igiiinnrii  ti  cbfUni>r>. 

S.  iMtptrat}*  U  ntiom  giorno:  col 
tiw  ttrit  capa  Innpcnti  Ja  ìnee  dal 


I 


i.  togl», 


ra  «IH  piata  '(Idia  t.: 
Brut*  ani  ■iigt«l>>ttt  ii<t- 
lann.iJn.ilFl  fiora*  k* 


S.  dics,  rcnilni  odor*. 
0.  Noi  di  pjt  colpo.  DOB  di  : 
gior  foni. 

"    "■ —    ~"     iqoflliparii 


9-21.  Tal,  qualte..  pai 


ti-t5.  i¥o«  però  dal  lor  hut      rotai,  *  inlB  umida  (he 

xolvii»  a  «11^  2T.  lUeia,  apsDlA  li 

radriHg,lall«      Din  tr«t  ^mI  laofa. 


'Si'snl 


CANTO  VENTESIMOTTAYO. 


AU 


Verso  di  quella  che  nulla  nascondo  ;  50 

Avvegna  che  si  muova  bruna  bruna 

Sotto  r  ombra  perpetua,  che  mai 

Raggiar  non  lascia  sole  ivi,  né  luna. 
Co*  pie  ristetti,  e  con  gli  occhi  passai 

Di  là  dal  fiumicello,  per  mirare  35 

La  gran  variazion  de*  freschi  mai: 
£  là  m*  apparve,  si  com*  egli  appare 

Subitamente  cosa  che  disvia 

Per  maraviglia  tutt*  altro  pensare, 
Una  Donna  eolatta,  che  si  già  40 

Cantando,  ed  isoeglìeodo  fior  da  fiore, 

Ond'  era  pinta  tutta  la  sua  via. 
Deh,  bella  Donna,  eh* a* raggi  d'amore 

Ti  scaldi ,  s*  i*  vo*  credere  a*  sembianti, 

Che  soglion  esser  testimon  del  cuore,  46 

Vegnati  voglia  di  trarreti  avanti, 

Diss*  io  a  lei,  verso  questa  riviera. 

Tanto  eh*  io  possa  intender  che  tu  canti. 
Tu  mi  fai  rimembrar  dove  e  qual  era 

Proserpina  nel  tempo  che  perdette  60 

La  madre  lei,  ed  ella  primavera. 
Come  si  volge,  con  le  piante  strette 

30.  che  nuUa  nateondt,  che  la-  fiorito  ed  ameno  prato  ove  era  Proterpì- 
aóa  Iraaparire  quel  che  »ta  nel  fondo  ne,  «  aual  era,  e  le  toe  qnalJti.  la  beU 
del  rio.  lezza,laingeouitàec.,8ecooiÌocDeeide- 

31.  Actegna  ehs,  sebbene.  tcrivono  i  poeti,  qnando  Cerere  la  per- 
36.  dt^fretehi  mai,  la  gran  Tarìetà     dè,ed  essa  perde  primavera.  Per  qMtta 

de'freachi  arbnsitelli  fioriti. — Maio  •  prtmovera  il  Costa  intende  i  fiori  ebe 
maffiù  diceasi  propriamente  un  bel  avea  rarcollu  pel  prato  e  che  le  caddero 
rano  froodoeo  d' albero  che  la  notte  di  grembo  al  topraggìonger  del  rapi- 
procedonte  al  primo  di  maggio  i  conta»  tore ,  c«>me  di  lei  dice  anche  Ovidio  : 
■  piantavano  davauii  la  csm  d«IU  toU*ei\  flarm*  tunùti»  ceeidére  remii-; 
0  belle.  Qui  mai  è  preso  in  fenarale     ii$   E  primatera  per  fiori  lo  um^  mC 

trova  Dante  mnU^ftimo ,  imitando  Mar- 
ziai*'  die  disse  :  Cmm  breva  Ceeropim 
va  pofnUatUur  apte.  Lo  Stn  echi  è 
d'opinione  che  in  auesta  primavera 
a'  abbia  a  intendere  la  «er^tnitd ,  eba 
alla  bella  giovane  fu  rapita  dal  Mmuo 


loro 

per  alberi  nel  loro  più  lieto  oi 

sa.  eo$aehe  duvia  ee.  Int.:  aoaa 

cb«  colla  aaa  maraviglia  emnie  A  la 

—ntf  nostra ,  cb«  da  ogni  altro  peo- 

mero  la  dietAglie. 

40.  Veta  Donna  ee.  Chi  aia  questa 


ai  farà  manifpslo  al  C.  XXXIII,     amante  ^e  a  coufoi  lo  della  sua  opinione 


449. 

43-45.  ékeef  raggi  d'amara  ae^ 
la  ani  vieta  è  di  donna  innamorata. 

40.  irarreli,  traiti. 

48.  che  kà  canti,  quel  che  to  canti. 

49-54 .  dove  e  qual  era  ec.  :  (n  mi  fai 
ricardare,  cosi  vedeudolij dote, cioè,  il 


cita  Antftinio  che  si  servi  della  parola 
ver  a  sigiiilicare  il  Gore  verginale.  Altri 
vogliono  che  la  prtnuicer*  perduta  da 
Proserpina  sia  1  ameno  soggiorno,  •  la 
perpetue  ventura  della  valle  Ennea,die 
ella  miitH^a  nei  iiisti  antri  infernali. 
52-53.  fCratU  A  l«rr«,  i&ràò»&i 


A  lerra  ed  intra  sé,  donna  ctie  balli, 
E  piede  innanzi  piede  appena  mctle; 

Vol^esi  in  su'  vermigli  ed  in  su'  gialli 
FjoreUi  verso  me,  non  alirimenll 
Ctie  vergine  che  gli  occhi  oiieati  avvalli; 

E  fece  i  prieghi  miei  esser  contenli, 
Si  appressando  sé,  che  'I  dolce  suono 
Veniva  a  me  co'  suoi  intendimenti. 

Tuslo  che  Tu  li  dove  1'  erbe  sono 

Bagnate  già  dall'  onde  del  bel  Gume, 
Di  lei'ar  gli  occhi  suoi  mi  Tece  dono. 

Non  credo  che  splendesse  tanto  lume 
Sollo  le  ciglia  a  Venere  trafitta 
Dal  figlio,  Tsor  di  tulio  suo  coslumc. 

Ella  ridea  dall'  allra  riva  dritta. 

Trattando  più  color  con  le  Bue  mani, 
Che  r  alta  terra  senza  seme  gitta. 

Tre  passi  ci  facea  '1  Burrte  lontani; 
Ma  Ellesponto,  li  've  passò  Serse, 
Ancora  Treno  a  tnlti  orgogli  ontani, 

Più  odio  da  Leandro  non  sofferse, 

0  taiinls  l(  Irrn,  —  Ml<nlra     (alti.    Li   nu|gÌH'  ptrle  i 


CANTO  TBKTiaillOraiàYO.  Mf 

Per  mareggiare  ìntoa  SaiCo  ed*  AMdo, 

Che  quel  d»  iDt,.peKlìò  attor  md  a^  aparee.        76 
Voi  siete  miov'u  mbm  pe»lL''io>iMo, 

Cominciò  eUai^.nuiDaatO'liiaeoeMo- 

All'  umana  natomi  per aiou^Jtar, 
Maravigliando'  tìeindittlain.aospatlos* 

MalttOBTindb'ilaaimDtJMaantf .  8o 

Che  poeta  diimahhìiruBrtroiBiteilim^ 
E  ta  che  ae'  dinanzi^  e  mi  peagaali. 

Di  s'altro  vuoi  «cUr,  cdif  iv^vmii  freata 

Ad  ogni  tua  qaaatfoDi.liDlo  <^  bMtL    ' 
L' acqua,  diaa*  ioy  e  ìLsmd  dell»  Ibreaia,  85 

Impagliali  daolro- ai  ma)  Dovellt  Me 

Di  Qoaa,  ch^ie  «di."cnlraHa  «  qiesta, 
Ond'  ella  :  V  dìceri  omo»  pmseder 

Per  ana  cagioa,  ciò  eh* ammirarii  fieioe; 

E  purgherò  la  n^ifaia  dia  ti  fiada  90 

Lo  sommo  Bene,,  che  sab  a  aè'  piaoa^ 

Fece  r  Qom  buono;  e  il  ben  di  qoealo  loco 

AbUo  trapMMTi  a  aoeto  per  Yeoin  t:  riai».«wtaipM>è  Jatt^yra  •  aaiiii 

S«ito  «f'era  U  donni  sai  ehitanl»  ptrebè  naoTt  da. Dici  «fi  a  Bìdì  - 
Er*}  P$r  wmnggiar*,  par.  VmÀt^  83.  praatatjaMta» 

fiat»  ÌDp«taoao  dalle  toa  *em  {dm  €4.  Imi!»  alt  6«aif.,]nt.ra  wd^ 

pai  la  aonuMneroJ,  naa  sofltna  pia  ffkn.  U  tea  qaaatUnMiiBliè  la  iMli- 


odia  da  emù  Leandro,  non  fa,  dai.  appagato, 
laala  adiato,  quanto  fa  da  bm  qaal  aS-a7.L'aefiM»iUa0'la,c4{i 

aaaM,  perchè  allora  non  li  aperM.  ao.  I/acaaa  cha  ia  Teff»  oai.  a  H 

77-7a.  In  questo  luogo  aletta  Jl*  Tento  cha  fa  tonare  le  froada  dal.aaMay 

TaaMMia  «afara  «e.  Ponendo  Daata  eoaihattone  la  aaai?a  w i  ilaaia  aha  io 


il  fbiadÌM  tarreetra eolia  ctaM  <fi ^aa>  atata  farmela aal  aàaaaoaa par^paHa 

alaaiaaia  alto  fino  air  Clara,  nel)' aiai-  cha  Slaiio  aù  dieae,  cìaè|  càa  dala 

afera  aradala  inahitato,  a  par  le  laa-  porta  del  Raraatoisa  ia  aataaa  aanaa. 

Casa  ac^aa  inacceeiihìla,  na^acfaltala  pìA  né  tcbIì  aè  piogaa  aè4rìaa. 
rapóàwa  di  Pietro  Lombardo,  aha  Imt-  90.  Jf  pmtlmfS.  mv:  mtà.  «  la» 

laMa  la  cariata  que»tioae,  dove  oaite  aliare  dà  U  V  ioaoraaza  aha.ff  Mai 

CamatraparadÌMisi  r«eM,Mrieea:  ««bm  cha  U  farieca,  f  lagnarfira  Pirtilliiii 
jNHiaiifaa»  laa^o  ìaier:/araala  ipaMa  94 .  Lo  tomaio  Bmm,  th»  mh-m^è 

ad  WÈurk  atf  lama,  a  regùmibu»  fyat  piace.  Iddio  acapnàataraalIfaeMalta 

iMafifal Aaaiiaaf  toerelwn,  oL inolio  adeguato  della  aaa  iatalligaaab a- dei 

tiliiai,  tuquo  od  lanarcm  cirralaai  tao  amore  che  tè  BMdeeiaM;  aada-ÉB 

fmriimgiuUtm.  dalPcIamith  ialaada  aoio  ni  tam  ria- 

a0.iljalatoDelectatti:iItaIaM9l,  finito  e  eoa  atioBa  iafiaila.  IWaià  ok 

cha  aal  lanetio  S  dice  :  DeloeUuii  mo^  dica  che  latte  la  taa-  aparaaiaai>  .ataa> 

Oaarfai,  te  fo/ckaro  laa .  eMa  ^pftif  tccondo  il  tuo  pitcare  :  operm  ihmiwk 

è««  mitirmT""  laanua  axa/iaèo.  ec^aicilo  ia  oaiaat  utiliairtit  .atet; 

ai.  éitmMior  oomìto  inUUoUo,  e  altrove:  oaiaia  profiot moutìfommt 

cioè,  rìachiarara  l'intrllrtto  Totiro,  ta-  operata*  aal  Oma. 
glicria  da  offà  dnbbio  cirea  la  cagiona  92.  il  kem.  di  facaio  laco«  k  ' 

cada  qai  m  rida  a  ti  gìoìtca.  Qnaato  di  fanto  fandiaa  UtitilKa» 


Diede  per  arra  a  lai  d' eterna  pace. 

Per  EUB  ditTalU  qoi  dimorò  \ìoca; 

Per  soa  dìITalla  io  pìaalo  e  in  arTannO  ^ 
Cambiò  oneatu  riso  e  duine  giuoro. 

Perché  il  turbar,  cbc  sotto  da  sé  Tanno 
V  esalazion  dell'  acqua  o  della  terra, 
Che,  quanto  po&son,  dietro  al'calor  vanno, 

Air  uomo  non  facesse  alcuna  guerra. 
Questo  monte  salìo  ver  lo  cìei  lauto, 
£  libero  è  da  indi,  ove  si  serra. 

Or,  perché  in  circuito  tutto  quanto 
L' aer  si  volge  con  la  prima  volta, 
Se  non  gli  è  rotto  il  cerchio  d'alcun  canto', 

In  questa  ailozza,  che  tutta  i  disciolta 
Neir  aer  vivo,  tal  moto  percoote, 
E  tu  sonar  la  selva  perch'  è  folla; 

E  la  percossa  pianta  tanto  puole. 

Che  della  saa  vìrtute  l' aura  impregna, 

lo,  che  inini«li*I*iil«l« 


9T-gg.  PtrcU,  ifGurlii.  — lolle 
ita  ti ,  «ìm  ,  «uUd  la  «M  molile.  —  { 
luriù',  clu,.  ■ .  famio.  \t  Imliiiigni  r* 
dilk  «IikudÌ  dell'  tcava  . 


Rrouid  di  IL 


1 1*  pioBB*. 

99.  Chi,  quotilo  ponon,  M.; 
'|BaU  culKmoi,  Gncbó  luro  >  perniai 
cioA,  ine  illi  porli  dal  Purgatorio,  < 
L'uUcfailà  iipiorando  tbt  l'irìi  ita 


lirt,il  giri™  in  drenilo  eoi  cieli .Jiqmil- 

he  Tali  di  nnli  ;  MI  mota,  <°la]  nulo 

lell'ic»,  irarrettiile  dil   pria»  mi~ 

lilt ,  psrtnel*  In  fuHM  ailtita ,  <Ai 

uHa  è  diinalla  flctriur  vtc«.  ao«, 

a  ifunta  ilio  molile  cbc  ilaiwiis  II- 

icro  ad  pure  lEie.  In  uni  firola,  l< 

rana  aton*     natone  dell' igiUni  dell*  piante  mII« 

eha  i  iiporì     cima  del   PorBilorìs ,   •ieue  dill'iria 

nr«  Dir  n-     clii  lira  ed  Brino  iiilo  e  con  taOl  ftl 

■ria ,   opinò     allri  inlorno'.IU  icra.  Fino  alla  pam 

■«Ma  IndoBno  tor»  il  ta-     del  fvrgatorio  e  r '  atmoitera,  ■  ci»  Mia 

-'  -'■■"-  ■'     eli"  «■'■'  l''"'"  ^"  "8"'  lo'b"!'™. 

109-114  Klafurroiiaplanlat. 

I  4*1  Pargilonu  ia  H.  pone  —u  urla    E  C  stira  i^rrm  te.. 


b*i  *«dala  par  i 


^  CANTO  VENTE^IMOTTAVa  449 

E  quella  poi  girando  intorno  scuote: 
E  r  altra  terra,  secondo  eh*  è  degna 

Per  sé  0  per  suo  ciel,  concepe  e  figlia 

Di  diverse  virtù  diverse  legna. 
Non  parrebbe  di  là  poi  maraviglia,  wh 

Udito  questo,  quando  alcuna  pianta 

Senza  seme  palese  vi  s*  appiglia. 
E  saper  dèi  che  la  campagna  santa, 

Ove  tu  se*,  d*ogni  semenza  ò  piena, 

E  frutto  ha  in  sé  che  di  là  non  si  schianta.        120 
L*  acqua  che  vedi  non  surge  di  vena 

Cb^  ristori  vapor-che  giel  converta, 

Come  fiume  ch'acquista  0  perde  lena; 
Ma  esce  di  fontana  salda  e  certa. 

Che  tanto  dal  voler  di  Dio  riprende,  i86 

Quant*  ella  versa  da  duo  parti  aperta. 
Da  questa  parte  con  virtù  discende. 

Che  toglie  altrui  memoria  del  peccato; 

Dair altra,  d'ogni  ben  fatto  la  rende. 
Quinci  Lete,  cosi  dall'altro  lato  IM 

Eunoè  si  chiama,  e  non  adopra. 

Se  quinci  e  quindi  pria  non  è  gustato. 
A  tutt*  altri  saporì  esto  ò  di  sopra. 

Ed  avvegna  eh*  assai  possa  esser  sazia 

La  sete  tua,  perchè  più  non  ti  scopra,  I3ft 

Darotli  un  corollario  ancor  per  grazia; 

Né  credo  che  il  mio  dir  ti  sia  men  caro. 


416.  VdiUi  quetto  :  doè,  m  qoctto  divìsa  in  due  rivi,  l'ano  ia'qvafi, 

udito  fotM.  diri  in  appresso,  è  il  Soma  Lata , 

449.  d'ogni  iemenxa,  d'ogni  gen^  toglie  la  memoria  del  peeeato;  l'alir* 

raiione  di  piante.  è  il  fiame  Eaooè,  che  la  menoria  del 

420.  di  là  no»  ft  tediatila.*  cioè,  bene  operato  raTrita  io  chi  ha  prima 

neirerobrerio  abitato  dagli  nomini  non  bevuto  in  Lete.   Lete,  in  greco  valn 

fti  colgon  fratti  della  soavità  di  questi  ;  oblivione  :  Bunoè ,  bnona  mente, 
e  ae  qualcbe  seme  n'è  trasportato  di  Ik,  451-452.  entmadoprm,  non  opera 

iotr  isiisce  e  degenera .  il  maraviglioao  ano  effetto  la  footaM  a^ 

421-423.  tum  turge  di  mmi  «e.  pra  mentovata,  Sé no»  è  fvftef». 

Non  sorge  di  sotterranea  vena,  cbe  dai  se  non  ti  gusta  in  ambedne  i  aaoi  rivi, 
vapori  convertiti  in  acqua  dal  freddo  »•  455.  ittà,  il  sapore  di  queste  acque. 

di  continuo  ristorata,  rinnovata,  eooM  454-436.  mciégnm  €h' untd  m. 

avviene  delle  fonti  nostre.  Int.:  sebbene  la  tua  brama  posaa  eMara 

424.  iolda  e  certo,  invariabile,  im-  assai  satisfatta,  ancorché  io  non  ti  seopr^ 

mancabile.  altra  cose  ;  DmroUi  «»  coniimriù,  cM, 

4  25.  Jol  voler  <Ì{lHo,  per  volealb,  una  verità  cbe  alle  coae  gik  dette  a^ 

per  disposizione  di  Dio.  giungerai. — fergrMMim^  doò,  per  mia 

420.  da  duo  parti  aperta,  cioè,  liberalità. 

:9 


1 


Se  oltre  promission  lece  si  spazia. 
Quelli  eh'  aniicamenle  poelaro 

L'elù  dell'oro  e  suo  stalo  yìl^c, 

Forse  in  Parnaso  oslo  loco  sognare. 
Qui  fu  innoccnle  l'umana  radice; 

Qui  primavera  sempre  od  ogni  rmMo; 

Nettare  è  questo  di  che  ciascun  dice. 
Io  mi  rivolsi  addietro  allora  (olio  m 

A'  mìci  Poeti,  e  vidi  che  con  riso 

Udito  avman  1'  ultimo  costrutto: 
Poi  alla  bella  Donna  tornai  'I  viso. 

pn'U.eidt  t*  f m  bnlitudii» ,  U  ma 
mal»  di^lCtr*.  Pier  LnnbirdD  ■  illrì 
Aqae-  T«iln|ii  dmcro  il  fuìiita  lerreXn 
■M  una  •imbolo  MU  CbitM:  puro  il  Pvrll  fio- 
-dU  dfti  Dc^  rome  vedremo,  cae  qui  ip|4rìu< 
I ,  dello      U  Cbie»  cui  lUoboU  di  ^oel  che  tndi 

>i.  AJg-  /Te.  con  riK  K..-  •orridendo  ■(■■ 

«1  F.VI.  •ano  odilo  le  ollimr  pirole  di  H.lelJi 

Hi.  Qui prtmntera te ■  Qui  li  b»      ialorno  ><  lof^nsre  do'pMll. 


la  ntgiu)  dei  pi 
Uto4lir*ilcn'u 


H.Ktllar 


U8  lurnai-lti 


CAATO    VPJVTI»nnOXOW0. 


Cantando  come  donna  innamorala,  m^^^ 

Continuò  col  Gn  dì  suo  paroler  ^^^H 

Baiti,  quorum  letta  sunt  pKcata.  ^^^| 

E  come  niufe  che  sì  givan  solo 

t-2.Ca»landBte.C<Mr.:Ceiitinnè     di  Tcder  le  ninfe  f»e)eg|patadat)i  ni- 
ni JfaxN  (Ut  parale  CanMnda.eme      tiiLi,  rhe  indgttni  di|><irlsada  po' le 

ÌBfa\tftrBÌeKltt»rtt^iu*to,  tenti-  l'nnbn,  piene  d'easalt  Iw^adiu,  e 

aub  :  Bfli  tt.  d'un  di.ioo   ntaito.   Quilcnn  a» 

3.  Beali,  fuorani  R.  Pnoir  drl  dendutedire  noe  •cDiKontiim  di  im- 

■,i  Htteldi  inteude  pe  io  >(Urll'.,pi™ÌDi.iIi  piiulegfcM. 

li  i  KlU  P,  per  11      tulli  i  Icli  edili  e  ìurdiii,  ■  tener  §i- 

*-*.  Bmwu  nntfl  ft    Nel  Tfdrr      li  C>qui  un  coofroDlocoa  gn  tatlaml* 
•  imrnagiaiDaal*      <  permintule,  ni  mIs  M  noi  niiii. 


CANTO  TBMTBSlMOlifONO. 

Per  le  sehratteli*  ombre,  dìsiaftdo 
Qual  di  foggir,  qoal  di  veder  lo  sole, 

Allor  si  mosse  centra  *1  fiume,  andando 
Su  per  la  riva,  ed  io  pari  di  Id, 
Picciol  passo  con  picciol  seguitando. 

Non  eran  cento  tra' suoi  passi  e  i  miei. 
Quando  le  ripe  igoalmente  dier  volta, 
Per  modo  eh'  a  levante  mi  rendei. 

Né  anche  fu  cosi  nostra  via  molta. 

Quando  la  Donna  tatta  a  me  si  torse. 
Dicendo:  Frate  mio,  guarda  ed  ascolta. 

Ed  ecco  un  lustro  sabito  trascorse 
Da  tutte  parti  per  la  gran  foresta. 
Tal  che  di  balenar  mi  mise  in  forse. 

Bfa  perché  'l  balenar,  come  vien,  resta, 
È  quel  durando  più  e  più  splendeva, 
Nel  mio  pensar  dicea:  Che  cosa  è  questa? 

Ed  una  melodia  dolce  correva 

Per  r  aer  luminoso;  onde  buon  zelo 
Mi  fé  riprender  l'ardimento  d'  Eva, 

Che,  là  dove  ubbidia  la  terra  e  il  cielo. 
Femmina  sola,  e  pur  testé  formata. 
Non  sofferse  di  star  sotto  alcun  velo;. 

Sotto  1  qual,  se  divota  foise  stata. 


i54 
§ 


IO 


4» 


so 


■i«r«  alla  mento  altnii  nna  CMttM 
d'aaiidù  poeti,  oailc  toma  beoittiaio 
che  fi  dica  giieùn. 

7.  eontrt  'l  /hume,  cantra  la  «ar- 
rente. 

S-9.  ad  io  fmri  di  lei  ec:9à  w  mi 
moan  pari  di  lei .  saf^aitaodu  i  laai  bf^ 
TI ,  pieeali ,  pasti  eo«  passi  egaalmrala 
piceali. 

4#.  Non  tram  etnU  ee.  lateodi:  i 


46.  «Il  lustro,  un  diiarora. 

48.  Tml  €ho  di  kmUmmr,  tal  cba 
m  mease  ia  dnlibio  cIm  balciiame. 

49  M§ap€rcki'lhmimmr,m,m 
pcrcbè  il  baleoo,  *P?*>>''  noftrataai, 


omdt  èMon  sala  Mi  fkf^ 
.  Per  b  che  «n  mmào  ida> 
•a  a  kiasimara  r  arlira  !•• 


S3-24 


mam  fatti  da  lei  affiaoti  a  qaeHi  falli 
oa  ma  boo  araa  eeoU»,  che  è  q«aato  di- 
re :  BOB  ò  araramo  iaaltrati 


4 1 .  Qmtmdo  lo  ripo  oc.  Qaaiia  la 
rma,  igualmomU,  cioè, 
di  amerà  parallela,  aqai 


mertrìo  di  Eva. 

25.  mkHdim:  aatlìMeiidi,  a  Dia. 

26.  salo,  aiccbè  aoo  polemio  araili 
atimuIaU  uè  amalan.«a  aè  dcaidatW 
di  soTcrchiare  le  sue  pari.  — pur  fftll^ 
allara  allora. 

27.  Non  ioffèrto  di  fior  oc,:  tum 
iallerae ,  aoo  volle  tutlaraia .  aha  l'oi- 
lallatta  soa  foma  da  alcao  vaia 


42.  m  laraiMe  mi  rendei,  mi  ri- 
vaiai a  IcvBBis,  ave  ia  era  ralto  prima 
aha  mi  ai  attravarsaasa  il  riva. 

44  ti  lerwt,  si  volta  tatta  cai 
vanadi  ma. 


lo,  che  alcaaa  venti  fasaa  a  lai  telili, 
oascetU     S'allade   all'albera  Àdkt 


■  .  .  dì  che  cHa  s' iavafb'a ,  a  «— - 
tra  il  divieto  di  Dio  gusle,  crcdwda 
poter  poi  saper  qaaola  Dia. 


Avrei  quelle  ineffabili  delizie 
Sentite  prima,  e  poi  lunga  fiata. 

Menlr'  io  m' andava  tra  tante  primizie 
Dell'  elerno  piacer,  tulio  sospeso, 
E  dif^ioso  ancora  a  più  letizie, 

Dìniinii  a  nei,  tal  quale  un  fuoco  acceso, 
Ci  si  fé  l'aer,  sotto  i  verdi  rami, 
E  il  dolce  suon  per  canto  era  già  inleso. 

0  sacrosante  Vergini,  se  fami, 

Freddi,  o  vigilie  mai  per  voi  soffersi, 
Cagion  mi  sprona  eh'  io  mercé  ne  chiami. 

Or  convien  eh'  Elicona  per  me  versi, 
E  Drania  m' aiuti  col  suo  coro, 
Forti  cose  a  pensar,  mettere  in  versi. 

Poco  più  oltre  sette  alberi  d' oro 
Falsava  nel  parere  il  lungo  tratto 
Del  mezzo,  ch'era  ancor  tra  noi  e  loro; 

Ma  quando  i'  fui  sì  presso  di  lor  fallo. 


i 


I 


29-30.  Avrii  f»[I<  iwlTiUlJ  di- 

41 .  Unuria  ry.>l  dir  ttUtU.  E  b» 

Itif»  «.;   cioi,  prioi.  d'ogii,  Bo  dal 

l'infoca  ([iiMfa   U<IM   ■  dncrinr  le 

Diartiinlie  dal  cielo. 

tit.—tpei  lUKf  a  fiala,  .  poi  lungo 

Ì2.  Parti  (Ma  •  peiuar.  milltrt 

Knip.,  <ìoi  ri.n..niaal.i  ft»\«Ai 

in  eerti.   MI  ulalL  «d  alta  e  ••.biin.. 

«dio  tUU.  dell' ìoDocaau  l'noma  noa 

Fintaaia,  a  ad  au  pari  eluciuiiMie  poc- 

larcbba  iKln  (ojgi^i»  alli  morte.  L* 

(ir.. 

N;<Io1>.  ba  :  e  più  lu«f  fiala;  nollial. 

*3-t5.  FaUaea  fui  par/ri.  Ordi- 

rAa  ora. 

naeint.:illu<.«>  traila  d'.rìa  (nadi. 

31-33.  IraianUprimaittc.  Fra 

cbt  arano  la  primluo,  l'arri ,  i  prloi! 

aeUa  rote  Don  ben  raniwK  «oar»,  la 

faterà  Etlianienla  parafa  agli  ocelli  Do- 

lici .elle  dibm  d'»ro. 

■ìon   latuia,   •   tarta   alla  latina   3i 

dS-t».  Na  TiMNda  «e.:  DI  iDndo 

fui  perteonlo  |irc<u  alla  della  eoac,  tt 

tadn-  Bealrìca  da  luì  linfa  daìJcr*. 

cha  r  oiMIo  M-wu ,  auia  la  iuu- 

U.  ~  Mfi»  nnpaio,  iHartd,  a  pi«ia 

gini  comuni  ai  tarpi  Unlaai  ci  ù  terpi 

a  alirpora. 

30.  E  ti  A>(n  aaios  te.  Inlendi  :  a 

lidni  (par  la  qoali  il  huo  Hai*  i*- 

eannaln]   non   perdnaiio   pia   alcau 

U. dl.linl. loro .,,.lill  «'-OWrtl. 

Jalce  auono,  ori  ai  maDileilti*  «iMre 

e«MUW  neeli  enli  di  dlllonpa  apocie, 
diesi  ciì  che  negli  ani  <  Drgii  alU-i  è 

un  eanle- 

S7.  O  latniiant»  Vargini.  I 
39.  Cagion  mi  iprona  eh'  in  merci 


.  CANTO  TEIfTBSIMONONO.  453 

Glie  r  obbletto  conran,  clie  1  senso  inganna, 

Non  perdea  per  distanza  alcun  suo  atto  ; 
La  virtù  eh' a  ragion  discorso  ammanna 

Siccom*egIi  eran  candelabri  apprese,  so 

E  nelle  voci  del  cantare.  Osanna. 
Di  sopra  Qammeggiava  il  bello  arnese 

Più  chiaro  assai,  che  Iona  per  sereno 

Di  mezza  notte  nel  suo  mezzo  mese. 
Io  mi  rivolsi  d'ammirazion  pieno  66 

AI  buon  Virgilio,  ed  esso  mi  rispose 

Con  vista  cerca  di  stapor  non  meno. 
Indi  rendei  l' aspetto  all'  alte  cose. 

Che  si  movieno  incontro  a  noi  si  tardi. 

Che  Ibran  vinte  da  novelle  spose.  60 

La  Donna  mi  sgridò:  Perchè  par  ardi 

Si  neir  affetto  delle  vive  loci, 

E  ciò  che  vien  diretro  a  lor  non  guardi? 
Genti  vid'  io  allor,  com'  a  lor  duci. 

Venire  appresso  vestite  di  bianco;  S6 

£  tal  candor  giammai  di  qua  non  foci. 
L' acqua  splendeva  dal  sinistro  flanco, 


sao  partieolar  dMtÌDtÌTO,allort  la  Baaato 
apprmde  la  cota  qnal  è^  né  •'  inganna. 
49.  Le  eirfi»  ch'a  ragion  te.:  eioi 
l'esftaMiltva.  o  Vmpprennva,  eba  mi- 
«tamia,  prepara,  il  dUeono  aUu  ro- 
§iow,  la  tnatoria  al  ragionamento, 
ceaendo  quella  facolU  che  pereapiaee  la 
cote  tnlle  quali  poi  la  ragione t'csardla. 

5 1 .  £  itf/fe  voci dol  eanlan  te.'  a 
nella  voei  del  canto  mpprtie,  diatinaa, 
Otonna,  o  inleaecbe  cantavati  OaofMMi. 

52.  Di  iopra,  nella  tua  parta  an- 
perìore.  ^  il  bello  amtt0,  cioè  il  bal- 
lo ordine  de'  candelabri. 

53-54.  Piti  chiaro  oMtai,  eh»  /u- 
na  ee  Ini.  :  piò  cbiaro  della  Inna  qnando 
maggiormente  rieplende.Qiieato  aTfiane 
allora  che  aaaa  è  nel  tao  meno  mcat 
e  di  mena  notte,  poiebè  in  qnal  pnnlo 
è  piena  a  nel  meno  del  cielo,  di  dorn 
i  anm  raggi  tengono  in  terra  perpoadi- 
colari,  afiraveraando  il  pie  breta  if^" 
rio  dell'  aere ,  che  eaaendo  aaraao  amt 
dimioniaca  punto  il  loro  aplendort. 

55.  lo  mi  rivolti  oc,  Volgaai  !>••• 
te  a  Virgilio  con  ammimiiooa;  ma 
Virgilio,  cbe  non  ba  pie  Toct  mUo 


cene  teologidin,  bob  gli  fa  altra  ri> 
apoata  eba  d'  ob  gvardo ,  cba  aaprima 
totto  lo  atopora  di  cai  è  aaca'aHa 
eompraao. 

5S.  rondei  tatpotto  oc.,  rìtonai, 
riportai,  gli  ocebi  agli  alti  MadalaWi. 

59-éo.  fi  tardi,  Cho  formnvimUm, 
Si  moraano  Terao  noi  con  tanta  kate*- 
n,  eba  noi  loro  andare  aarabbarn  alate 
viaUt  aorpaaaate ,  in  cdarìtb  da  apnea 
notalla,  cba  par  ranno  lanliaaina  BaHa 
BBxiala  caremonia,  o  par  Balani  fera» 
eoBdia,  o  par  appanre  pii  digailoia 
fra  la  torba  da'  ngnardanli. 

64 .  Perchè  pur  ardi  oc,  :  paKbè 
par  ti  moatrì  tanto  aeeeao  Bai  naaida- 
rio  di  mirare  nella  luca  di  qaa^aaaJa- 
kbri  ì  Ho  Kclto  onabta  lenona  aooM  b 
migliora.  Li  Nidob.  legge  con  altri  Iba.: 
5i«ali'af|»ftto. 

64-65.  cùm'a  lor  dati,  Vaainae^ 
cioè  fOBin  appraaao  alla  detta  vita  !■• 
ai,  aoma  a  lor  |BÌda. 

66.  faci,  a  fn. 

67.  L'acqua^  dal  nneaUa,ipliiMrf- 
«a.  lotaadi  :  pel  fiamMeggiara  4tft 
dalabri. 


DEL   PUBGATOaiO 

E  rendea  a  me  la  mia  sÌDislra  costa, 

S' io  riguardava  in  lei,  come  fpecebio  anco 

Quand'io  dalia  mia  riva  ebbi  tal  po>la, 
Che  solo  ii  fiume  mi  facea  distaole, 
Per  veder  meglio  a'  passi  diedi  so^la; 

E  vidi  le  lìammeile  andare  avantf. 
Lasciando  dietro  a  sé  1'  aer  dipìnto, 
E  di  tratti  pennelli  avean  sembiante  ; 

Si  che  di  sopra  rìmanea  distinto 
Di  sette  liste,  lotte  in  quei  colori, 
Onde  bi  i'  arco  il  Sole,  e  Delia  il  cinto. 

Questi  stendali  dietro  eran  maggiori 

Che  la  mia  vista;  e,  quanto  a  mio  a%viso, 
Dieci  passi  distavan  quei  di  Cuori. 

Sotto  cosi  bel  ciel,  com'  io  divi«>, 
Ventiquattro  seniori,  a  (loe  a  doe, 
Coronati  veoian  di  Rordaliso. 

Tulli  canlavan:  Benedetta  lue 


i 


a  nt  re.  C»U.  < 


lori  il  Sola  Jipin|t  l' init  bi!eiia ,  « 


d'I  rìit. 


D    Jolll 


ceHM  DBD  ipcHhie,  it  mio liniilro  Sto-      Igni,  oMBdii  l'iri»  mumn  e  prrgiu 
••  tb*  id  dui  is  Inwii  rìiulls.  di  Binidi  («pori. 

TO-II.  (iti  M  polla    QdibJ'ìd  79-80  QmeiU ilitdati  duln  H.. 


7S.  Sii  Irati 
sola  ttmiHtlU, 
eli,  culi,  lamiiu 

étrmilt  I 


la  dilla  I 


>.  Cbi  I 


*nJ.-I.I.H, 


tloalad 


81.  fWf  di  fuori.  |li  ealKinì  ;  « 

laftn  D^roBD,  «miatlB  il'inlnpnii,  i 
«Ita  doni  dellu  Spirilo  SaBUi;*lrf(HÌ 


Mi>n  drbki  prcodani  1i  lun  fr»nrl- 
H,  I*  dichiara  il  «aru  TU:  Ouifiilin- 

1^1  «I.  E  io  111  HO»  part  1'  BHr^uo 
FmBc*  Swcbelli,  ArÌMlo  a  ^ulch'alu* 
mlito  wrlUor*.  fmiiclld.  a  pMHwa- 
ttUe  n  (dianafi  ^oalla  bindariiula  dì 
"Ti 
: 


urriin»  dalli  Itfp  ù  aiipara 
■  li  rwlii  dDB  dd  SanU  Saltila. 

— ■-■- -■'-iu,B.m-HÌmaìn. 

rm»(ll<,t«c*  M»- 

figurali  |fi  aciiUarì 


K  i^n,  al  di  lopr*  dai  nadrlil 
TT.  iW  tlUtKita,  di  Mila  it 

78.  Órdt  fa  l'arto  re,  doyal 


CANTO  VESmSUàOnOKO* 


i65 


90 


95 


HO 


105 


Nelle  Bglìe  d*Àdaiiio,  e  besedette 

Siene  in  eterno  le  bellezze  tue. 
Poscia  che  i  fiorì  e  1*  altre  fresche  erbette, 

A  rìropetlo  di  me  dali*  altra  sponda, 

Libere  far  da  qoeUe  genti  elette» 
Si  come  loco  luce  in  eiel  seconda, 

Vennero  appresso  lor  quattro  animali. 

Coronato  ciascun  di  verde  fronda. 
Ognuno  era  pennato  di  pei  ali. 

Le  penne  piene  d'occhi;  e  gli  occM  d*Argo, 

Se  ibsser  vivi,  sarebber  coCalL 
A  descriver  lor  iòrma  più  noa  spargo 

Rime,  lettor;  cb*  altra  spesa  mi  strìgne 

Tanto,  che  in  questa  non  posso  esser  largo. 
Ma  leggi  Ezechiel,  che  li  dipigne 

Come  li  vide  dalla  fredda  parte 

Venir  con  vento»  con  nube  e  con  igne; 
E  quai  li  troverai  nelle  sue  carte, 

Tali  eran  quivi,  salvo  eh' alle  penne 

Giovanni  è  meco,  e  da  luì  si  diparte. 
Lo  spazio  dentro  a  lor  quattro  contenne    ~ 

Un  carro,  in  su  duo  rote,  trionfole, 

Che  al  collo  d' vn  grìfon  tirato  venne. 

98.  mtira  ip€$a  mi  itrigné.  Fu^  è 
À'io  spenda  paroU  in  altro  tcouL 

toc.  Uggì  Kx$ehM:  al  Gif.  I. 

401.  fredda  ptwU,  AqniloM. 

IOi-105.  salmo  eh' Me  pfnm9€i,» 
•alvo  cha  S.  Gioranni  meco  ■  aoMor» 
da,  descrÌTcndo  mU  i  quattro  aaùull 
ogonno  pennuto,  bruto,  di  aei  alo,  e  m 
diparto  da  Eiechiello,  cbo  U  daacrìvf 
peianoU  di  quattro. 

106-107  Io  ipozio  lUalro  «  <or  ar. 
Nello  t|>axio  comf  reto  tra'qaatlro  aai* 
nuli ,  era  un  carro  trioolala  m  d«a 
roto.  Queato  carro  è  figura  dalla  eatta» 
dra  papale,  a  lo  due  roto,  del  Vaechio 
e  Nuoto  Teatamcoto  onde  traa  la  laa 
dottrina. 

108.  d'un  grifon.  D  grifona  è  aa 
animale  biforme  immaginato  dai  paoli 
o  dai  pittori.  La  parto  anteriore  «ti  maé 
è  d' aquila  ,  la  posteriore  di  laaaa.  È 
figura  di  Cesi  truto  ,  in  cai  eoa  dm 
nature ,  la  divina  e  l'  umana.  L'ai|iflt 
•lenifica  la  divinità ,  il  laona  V 
nUà. 


da  ai  de  aar  l'ordinario  alla  gran  Vergioa 
Madre  aal  divia  Verbo;  ma  qui  fiaraa 
è  da  riCsrira  alla  mistica  Beairìca,  cba 
vedremo  nd  Cauto  seguente. 

90.  lÀbtrt  fkTp  non  furono  pii  in- 
a. 

91.  Sì  eomt  luce  te,  :  ù  coma  in 
cialo,  maotra  egli  li  volga ,  ana  stalla 
vino  dopo  l'altra. 

92.  mtmtlro  anima/i,  simbula  dei 

Znattro  EvaogelbU.  La  corona  di  verde 
roodavuol  significare  il  dorare  del- 
rciraofrlica  dt'tirina  sempre  io  «m  ma> 
dasimo  stalo,  scaltre  verde. 

94.  Ognuno  era  pennuto  ae.  Hia- 
hehmni  nUu  tettai;  et  in  eiremtu  ei 
iniut  piena  tunt  oeulit.  Apoc.,  IV,  8. 
Le  ali  sono  sìmbolo  della  velocita  ei>l- 
la  qnala  la  dottrina  evangelica  corvè 

5er  il  mondo.  Gli  occbi  simili  a  quelli 
'Argo  sono  simbolo  della  vigilania  aa- 
ceosaria  a  ountanere  para  la  dottrina 
dalla  Cbieaa  di  Cristo  coutro  i  sofismi 
di  cui  ai  armano  a  danno  di  lei  T  ava- 
rizia a  le  altre  pasaiooi  DAlnala. 


^r    456 

I  Ed  esso  tendea  bu  1'  nna  e  ]'  allr*  ale 
H  Tra  la  mezzana  e  le  tre  e  tra  liste, 
^^  Si  eh'  a  nulla,  fendendo,  Tacea  male- 
si Tanto  salìvnn,  cbe  non  eran  viste; 
^1  Le  membra  d' oro  avea  quanto  era  uccello, 
^M  E  bianche  l' altre  di  vermìglio  miste. 
^M  Non  che  Roma  di  carro  cosi  bello 
^M  Rallegras!«  Africano,  ovvero  Angusto; 
^ft  Bla  quel  del  Sol  saria  povcr  con  olio; 
^H  Quel  del  Sol  che  sviando  fu  combusto, 
^^^  Ter  r  orazion  della  Terra  devota, 
^^1  Quando  fu  Giove  arcanamente  giusto. 
^H  Tie  donne  in  giro  dalla  destra  mola, 
^H  Venian  danzando;  l'una  tanto  rossa, 
^H  Ch'  a  pena  fora  dentro  al  fuoco  nota: 


L'aitr'era,  comesele 

carni  e  1'  ossa 

Fossero  sialo  di  smeraldo  fatte:                             m 

La  terza  parca  nev 

e  testé  mossa; 

KKMII.ffdrifOlendMJiin   li 

(TÌtenB,  iDnifnili>  dietro  i  EanJc1>bri  • 

»n  qaealo,  aireblx  d«d«-n»  •  i>le- 

US-ib.  Quii  detStt  tt.  «Ilxle 

era  fti  tutatqarnU  in  agctla  litla  che 
Dt  (>eia  Ire  ìé  ciiHUa  lato:  s  Icndio- 

manta  folle  Raidi»  il  carro  del  Sei*,  Il 

do  egli  l'nu  e  l'ali»  Jdll'.le  all'  in», 

qealo  nfoodo,  «odeedD  taeH  d«U«  ao- 

■Ila ietta  liael   nenina,  di  maniera 

lila  ria, /^ MnhulD.  ano, d.l  (alaiM 
di  CioTf  ,  rer  J'oni.i«.  per  le  pr» 

nhiere,  dtUa  Ttrrmimf  .  fDpplicI» 

<M  ■ufa.doi  naa  intwaeiati  ntauna 

4etl<  MlBnle  l.^e.   Si  Doli  d»  afa  ò 

«•f.  em*  mia;  the  dal  primo  auc<,  il 

plv.<lU,ld.ÌK»,Hl,£(,. 

Ui.  Tamlo  laliH»,  leali  delRti- 

mìraTa  ad  inirgnirt  egli  DomiBi  qsnl> 

foH  «ni»  «•'<  eln.aM  «.  Gai  &i>l« 

iatllo  nidalera  dal  carro  noBaue,  ha 
relnlDil  Pe«U  aetara  la  Caria  reMU, 

4tBfw>ilorraNec(lla.  nella  par- 

■inrpalriet. <R«,de  lai     da   rtgp. 

rei  In  ■plaodon  dalla  inmitk. 

manie  lainpoc.le ,  e  allarririi  ealU  b^ 

4M.  »*.«.£**(■  .«Indite™,. 

»«ia  di  nn  .^ipal  gulige. 

att»  milU.  lìt«l«r  hittic»,  «Illa  ana 

131.  TW  draM.  La  Ir»  tìrti  |M> 

Biauilii.iigiiiGu  la  vargiiiiU  a  l' in- 

loflli. 

!»«««.,  il  wmijti.,  1*  carìU  ptr  gli 

123.  TuM,  la  carili. 

Baniai,  *  fsm  indie  il  ian[;iu)  apana 

123  a  ptna  fora.. .noia.  ìbm» 

li  urd>b.  d..liala,  p<T  a»r  di  iSZ, 

■MlMwflniKnMHliM. 

gialle  al  tae«. 

4IS-tn.A«iel»A.>ma(<r.Ni>i»- 

I2t.  L'altra,  la  iptnnia. 

iMMaUafrinMreiclieScipinncl'ArHn- 

426    La  ln^«,  la  trdr.  —  ImM 

«Mia,  dui  allora  alloro  meita.  •>- 

Jeorirvn  tltnia  tea  •>  bel  nrre,nia  dite 

L 

u.l>,itaa,  dalciflo. 

J 

CAirrO  TElTTESIMOlfONO. 


467 


130 


186 


440 


Ed  or  parevan  dalla  bianca  tratte, 

Or  dalla  rossa,  o  dal  canto  di  questa 

L*  altre  toglién  V  andare  e  tarde  e  ratte. 
Dalla  sinistra  quattro  facean  festa, 

In  porpora  vestite  dietro  al  modo 

D*  una  di  lor,  eh*  avea  tre  occhi  in  testa 
Appresso  tutto  il  pertrattato  nodo. 

Vidi  duo  vecchi  in  abito  disparì. 

Ma  pari  in  atto  ed  onestato  e  sodo. 
L*  un  si  mostrava  alcun  de'  fomigliarì 

Di  quel  sommo  I(^)ocrite,  cl^  natura 

Agli  animali  fe  eh'  eli*  ha  più  cari. 
Mostrava  l' altro  la  contraria  cura 

Con  una  spada  lucida  ed  acuta, 

Tal  che  di  qua  dal  rio  mi  fe  paura. 
Poi  vidi  quattro  in  umile  paruta, 

430.  Vun  H  uioiirmou  «0.  Int.:  al 
ffitimcnto  sì  nottrtTa  ditcapolo  dPIp* 

|»«eral«,  cbe  la  oatnra  produate  par  al* 
Bogara  la  tìU  degli  uomini ,  CM  alla 
aof  ra  ogni  anioiale  ha  cari.  Jjucm  im- 
dim:  qaì  è  posto  Luca  sieeoaM  aerit- 
tora  degli  Alti  Apostolici. 

459.  Jfoflroaa  VaUrolmeontrmrim 
eurm  ae.  Mostrava  la  contraria  cara, 
cioè  cura  contraria  a  quella  di  aaa- 
tener  gli  nouiini  in  tito ,  pMchè  iaip«> 
guarà  la  spada  ,  cb'è  istnuianto  da 
toglierla. 

440.  Con  Mia  tpada  huidm.  Qa^ 
sto  spada  in  mano  a  S.  Paolo  ind^  la 


427.  dol/a  hUmem  Inrfla,  nidato 
arila  donna  bianca.  La  donna  di  color 
ài  sBMraMo  non  guida  la  altra,  parcbè 
la  sparanaa  non  può  assar  madra  alla 
feda  o  alla  cariti. 

428.  tfaf  conto,  dal  eantara.AlCan« 
to  XXXI  si  dirb  cbiaramanto  di  questo 
cantora. 

129.  ioglUn  t andari  :  cioè,  mota- 
Taao  a  toinpo  la  danza  loro  seconda 
qud  canto,  ora  tarde,  ora  celeri. 

430.  ^^taUroee,  Quattro  altra  don* 
■e,  aimbolo  delle  virtù  cardinali  :  pru- 
dansa,  giustizia,  fortezza  e  teropersma. 
~^faeeam  fuia^  roenavan  lieto  danza. 

434-4  32.  ditiro  al  modo  i/mta  ce. 
loC.tal  modo  del  danzare  dflla  pruden* 
za,  la  qnale  fingono  i  poeti  cbe  abbia 
tra  occbi ,  a  denotare  ctie  essa  guarda 
la  rose  passate  per  trame  documento , 
la  presenti  per  non  prendere  inaanoo 
nel  determinarti  all'  azione ,  le  tulora 
per  evìtora  a  toropo  il  male  e  prepa- 
rarsi al  bene.  Arìttotole  (dice  Dantoaal 
Comoito)  dinamrra  la  prudenza  intra 
le  intellettuali  virlà  ;  avvennacbè  «sa 
»ia  conducilrìce  delle  morali. 

435.  Jppretio  tutto  UforlraUato 
nodo.  Dopo  tutto  il  groppo  da  ma  divi- 
sato, 0  discorso. 

434.  «Imo  raccAt.  Questi  sono  Saa 
Luca  e  San  Paolo. 

433.  oficftoto,  composto  ad  one- 
sti. —  a  iodoj  e  grave. 


potenza  delia  divina  parola  eba 
nno  alla  divisione  dell'aoiroa.  Con 
si  combstto  il  vizio  e  l'errore,  si  difenda 
la  verità,  ed  è  quella  F  unica  arma  eba 
il  Divin  Redentore  ba  posto  in  mano  a» 
sani  ministri,  arma  formidabile ,  fitlo- 
rioaa,  sa  diicrctomente  si  usi,  a  il  8i« 
gnor  la  diriga. 

444 .  di  aua  dal  rio ,  aabbaoa  io 
fessi  di  qua  dal  rio. 

442.  Poi  vidi  quaUro.  Dicooo  ai- 
coni  cbe  questi  sono  i  quattro  dottori 
d^a  Cbieaa ,  cioè  San  Gregorio  Bfagaa, 
San  Girolamo ,  Sant'  Ambrogio  e  iiao> 
t' Agostino:  ma  io  crederei  piattostoaal 
Landino  a  il  Vellutollo,  igurati  io  qi^ 
sti  quattro  d'amila  aspetto,  gli  Apo- 
stoli Giscoroo,Pietro.GioTanni  oGiada. 
autori  delle  brevi  epistole  csnonicbe.il 


B  diretro  da  (ulti  un  v^lio  solo 
Venir,  dormeodo,  ron  la  Taccia  attuta. 

E  qaestr  selle  col  primaio  stuolo 
Erano  abituali;  ma  di  gigli 
Dintorno  al  rapo  non  Tacevan  brolo  ; 

Ami  di  rose  e  d"  altri  fior  vermigli: 
Giurato  avria  poco  lo  al  ano  aspetto. 
Che  latti  ardess«r  di  sopra  da' cigli; 

E  quando  il  carro  a  me  fu  a  rimpetlo. 
Un  luon  s'udì;  e  quelle  genti  degne 
Parvero  aver  l'andar  più  interdi'Uo, 

Fermando»'  ivi  con  le  prime  insegne. 


rriTÌglii,  ptrdiè  «  pmen- 

'I  libro. — parafa,  ■•pilla. 
I  n^lu  lala.  Quuii  i  Sin 


(4T-I 


THDllgli    Ji    »    . 

atprtlo,  att*,  un 


HI  trolo.  Bro- 


n  BoaBOOdì.  rsl,  »■•  «vm*  ti.  Voli 
Utoim  iti  PuTgulariv  nilU  ddK 


™.(li,  pino» 


US-I  4».  Idi  prim^  dmto  Era- 


aKItull  ,      Il  teda. 


ì  w  IS3.   rm'ìa 


CANTO   TRENTESDIO. 


Quando  il  seUenlrioo  dei  primo  cielo, 

I .  il  iitlmlrìon  àtl  primo  rirle       libri ,  cba  runroiglli  ille  trita  Htlh 

il  (Hlo  J.I  l>>t*.lifs  Urair*,  chi  fa  il      n'IInlrì^nl  SS  Mo  dmIto.    C«lr.: 
prìio*  ^lo  lii'iiotiri  pregroUnri:  tuo      Quando  il  itarnlrieni  te,  ■■farwie^af' 


b. 


fi'H,  lo  Sfritti. 


CANTO  TBEIfTESUia 

Che  uè  occaso  mai  seppe  aè  orto^ 
Né  d' altra  nebbia,  cbe  di  colpa  relOy 

E  cbe  faceva  li  ciascuno  accorto 

Di  suo  dover,  come  il  più  basso  ftce 
Qua)  lìmon  gira  per  venire  a  parto, 

Fermo  si  ai&sse,  la  gmte  verace,. 
Venuta  prima  tra  il  griloDe  ed  easo, 
AI  carro  volse  sé,  come  a  sua  pace: 

E  un  di  loro^  quasi  dai  del  metto, 
Veni,  sponsa,  d$  Libano,  cantando. 
Gridò  tre  volte,  e  tutti  gli  altri  appresso. 

Quale  i  beati  al  novissimo  bando 

Surgeran  presti  ognun  di  sua  caverna. 
La  rivestita  voce  aUehiìando; 

Cotali,  in  su  la  divina  basterna, 


4a9 


iO 


1» 


2-3.  C^  né  oMofo  «t..*  cIm  mti  B«i 
S4pp€,  ooo  rida^  ocetuo  ee.,  eioè,  Wf&m 
m  naacone  per  girare  ch'ei  fecMM.  né 
per  cagioiie  di  Debbia,  fuor  quella  oelii 
colpa )  eh*  Io  tolte  agli  aguardi  di  Ada- 
mo e  di  Era,  cbe  per  Io  peeeale  fvon» 
caeciati  ètì  Paradiao  terrestre. 

4-6.  E  du  faceta  lì  eiainmo  où- 
cmtIo  «0^*  e  cbe  in  qarl  laogo  inaegnaTa 
il  caHMnÌBo,eome  il  pia  basao  aettenlrio* 
ne,  cioè  qvello  dell  orsa  maggiore  ,  le 
iasegaa  a  qaalaDqoe  nocchiero  tolge 
il  tJaoae  della  Dave  per  reiiire  ee. 

7.  la  gemU  9érae9  :  i  rentiqnatiro 
acaÌ4MÌ,  cbe  tono,  come  ai  è  detto,  o  i 
neri  icrittorì  dei  libri  dei  Vcccbie  Te* 
atamenlo,  ebe  aon  libri  di  verità^  e  ebe 
•Ila  TeriU  eoo  guida,  ovvero  i  pia  ilio- 
siri  tenti  ddl' antica  legge. 

9.  come  a  sua  pac§,  come  al  fioi 
dei  loro  deaiderj. 

1 1 .  reni ,  tponta,  ee.  Verso  delle 
teera  Cantica.  11  Libano ,  monte  altia- 
timo,  è  simbolo  della  calette  origiat 
delU  Cbieaa,  e  ancbe,  te  vnoi,  della  mi- 
ttiea  Beatrice. 

12.  Gridò  Ire  oo/to.  Qne^o  die», 
poiché  il  vertette  replica  tre  volte  le  pt- 
rolc  Veniee. 

13.  «i  notissimo  lamdo.  Intendi: 
air  nltima  intimaàone,  a  quelle  cioè  cbe 
Iddio  farb  ai  morti,  di  ripigliare  ci^ 
ftcuno  eoa  carne  e  tue  figura. 

14.  cenema,  tepoitnra. 

1 5.  La  riteslita  toce  allelisiamdo. 


Qactta  lenone,  acbbcn  derita  dal  Peeeo» 
le  e  dal  Biegieli ,  è  aoatenuta  e  difete 
M  Dietnai. lai  ]Ìontì,dal  Perenti  e  dal 
Ceterii  ed  ba  rappoggio  del  Codiee 
Vniani^,  deirEatenae,  di  tre  Patav.,  e 
£  altri  ancora.  È  modo  ardito,  è  vero, 
ma  bello,  e  del  eeoio  daateaco.  Vuol 
dire:  tfogando  in  allelnia,  e  tpiegando 
in  cantici  di  giubbilo  e  di  lede  a  Din 
la  voce  eolie  membra  rinceta  ;  il  che 
è  pnr  teeende  l*Apoe.,Ul.  La  voea  ri 
riveste,  rìveatcndo  gli  organi  di  lei ,  i 
polmoni ,  la  tncbea ,  il  eorpa  iaaom- 
ma.  ÀUeluia  »  voce  ebraica  ,  aigaiica 
Me  a  Dio.  Altri  teali  nortaao  Im  r<> 
veelilm  emme  aUevietndù,  fatta,  eiaè^ 
egile  e  leggiera  la  riveatite  carne  :  ata 
ba  del  freddo.  Pinltealo,  ee  aveaia  Pep- 


poggie  di  qaelcbe  b«ea  Codice ,  le»^ 


rri  :  La  rieestUm 

cioè  fetleggiande  il  cern*  npr( 

cantando  ^leluia  per  la 

tante:  eapreaaioae  ebe  eomm,»mmw^^ 

con  eìtra  cbe  ai  ba  al  Canto  XI¥  del 

Paradiso,  v.  43  :  Come  ta  come  ff»- 

riosa  e  sanla  Firn  riteslita  «e.   E 

V  cdis.  di  Bevenna  del  Ferranti,  altre 
velU  citate .  ba  di  fallo  la  rioeetilm 
carne;  ma  io  non  taprai  dira  deada 

V  abbia  levaU. 

16.  6a«lema,  carro,  dalla  vaco  la- 
tina haslema,  cbe  denota  ma  carro 
guarnito,  ùmile  all'antico  ptlaMlw»,  dal 
qaale  ai  tenrivaoo  lelamenla  la  grati 
e  catte  malroae. 


60  DEL    FUHGjITORIO 

Si  levar  cento,  ad  voeem  tanti  senis. 
Ministri  e  messa^gier  di  vita  etema. 

Tutti  dicean;  Bmalictus,  qui  renis; 
E,  fior  gittando  di  sopra  e  d'intorno, 
ifanibw  0  date  lilìa  phnii. 

lo  vidi  già  nel  cominciar  de!  giorno 
La  parte  or  leni  al  tutta  rosala, 
E  l'altro  del  di  bel  sereno  adomo, 

E  la  faccia  del  Sol  nascere  ombrala, 
SI  che  per  lemperania  di  vapori 
L'occhio  lo  soslenoa  lunga  Baia: 

Così  dentro  nna  nuvola  di  fiorì, 
Che  dalle  mani  angeliche  uliva, 
E  ricadeva  giù  dentro  e  di  foori, 

Sovra  candida  vcl  cinta  d'oliva 

Donna  m'apparve,  sello  verde  manto. 
Vestita  dì  color  di  Gamma  viva. 

E  lo  spirito  mio,  che  già  cotanto 

Tempo  era  stato,  cb'  alla  sua  presenza 
Non  era  di  slupor  tremando  aO'ranto, 

<S.  Minitlri  te.:  Angai.  il 

49,  BtnvUclui,  qui  mli.  Fami*      l'I 


21 .  JVanlMi  te.  SaHintmili  ;  die»- 
taxi.  È  nn  ni»  ili  Vìrgilw  nel  IV 
dell'  Eonde. 

23  lovidtiii.  Arrtrti  d>t  qmlo 
t  na  coofrnBlo  pir  diiDMlnn  ramo 
BnlrìrB  gli  *fp*t 


il  lir  del 


3l.ffra»P(.ef(t,cii>è,lsallriperli 

se.  ptr  lemperanxa  ee,:  per  ti- 

ipBri. 
ST.  hmga  fiala,  lungo  lirn. pò. 
W.  Ckt  dallt  Mnf  anjelicht  lali- 
it  di||li  ÌD|tli  ere  gcUiM  in  elio 

50.  rimiro  tdì/uarf.SoltìalcDJi: 


pon  idILdtjIiij  rn 

12B.  ptr  lem 
«[»ri. 
ST.  lunga  fin 
W.  Ckt  dallt 
M,  «Iw  J.l)li  ini 
50.  rimiro  t 
dell,  ditixe  UU 


_    __ Viri»  tcolppli,  di  Ae 

l'è  ilitlo  Bri  CiolD  pnctdtBla.  L'CMb- 
mopor  l'alÌToinleBdela  Mpi«in,f« 
il  verde  l'iirmllk,   per  il    nna^iG* 

S4-SS.  tnlanle  Ttmparrm  iW*. 
rio*,  pattala.  Ed  en  egre*  U  fùt  Ì< 
eniti  ID  •I»!  di  delle  ni'iri*  di  Utttria 
di' inno  1300,  in  eoi  DhIcBb|*w 

irica.la  Belle  di  Foics  Portiani.ete 

lui  e  Del  euo  iinore  p«r«eiilei  Utt»- 

0  il  bello  nonlD,  fu  poi  di  lai  arf^ 
Poemi  retle  liinbelo  di  qaelb  mMm» 


•  che  JlHlrfee  i  eul  (om,  f- 
loln  dilla  roneai  alledra  rada 
'mloiria  i  luoi  feraci  orwwli. 

ri«)   die 


eAKTO  TBENTESmO. 

SaDza  degli  occhi  aver  più  conoscenza, 
Per  occulta  virtù  che  da  lei  mosse, 
D*  antico  amor  senti  la  gran  potenza. 

Tosto  che  nella  vista  mi  percosse 
L*  alta  virtù,  che  già  m' avea  trafltto 
Prima  eh'  io  foor  di  puerizia  fosse, 

Volsimi  alla  sinistra  col  rispitto 

Col  quale  il  fontolin  corre  alla  mamma, 
Quando  ha  paura,  o  quando  egli  è  afflitto, 

Per  dicere  a  Virgilio:  Men  che  dramma 
Di  sangue  m*é  rimase,  che  non  tremi; 
Conosco  i  segni  dell'  antica  fiamma. 

Ma  Virgilio  n'  àvea  lasciati  scemi 
Di  sé,  Virgilio  dolcissimo  padre, 
Virgilio,  a  cui  per  mia  salute  die*mi: 

Né  quantunque  perdeo  1*  antica  madre. 
Valse  alle  guance  nette  di  rugiada, 
Che  lagrimando  non  tornassero  adre. 

Dante,  perché  Virgilio  se  ne  vada. 

Non  pianger  anco,  non  pianger  ancora; 
Che  pianger  ti  convien  per  altra  spada. 

Quasi  ammiraglio,  che  in  poppa  ed  in  prora 
Viene  a  veder  la  gente  che  ministra 
Per  gli  altri  legni,  ed  a  ben  for  la  incuora. 

In  su  la  sponda  del  carro  sinistra. 

Quando  mi  volsi  al  suon  del  nome  mio. 


464 


40 


46 


60 


66 


60 


apptmt  negli  meoonii  polti  orrìbU* 


87.  Smaa  degli  occhi  aver  pia  co- 
noteenia;  cioè,icnz«  averne  pia,  al- 
tra.  o  nuniore,  cooosceoza  par  parta 
«li^li  oc^i  ;  BOD  polendo  io  rioonoaccr* 
la  perchè  era  Telala. 

SS.  p$r  occulta  9irtii  ce.  I  noatrì 
moderni  fisici  lo  direbbero  efletlo  dal 
Uvnntnrgo  floido  magnetico. 

40.  neUmvitla,  per  la  fiala;  al 
aolo  Todere  la  incognita  donna. 

42.  Prima  ck*%o  fyor  di  jm§risia 
foitc.  Avea  nova  anni  quando  a*  inna- 
oMM-ò  di  Beatrice. 

45.  rifpt'Uo.  pnò  dedorai  dd  prò. 
vena,  refpteìl,  cbe  vale  fiducia;  e  an» 
cbe  dal  lai.  retpeeiue  ,  che  significa 
sguardo  tollccito,  Nell'un  modo  o 
iioiraltro  si  avrà  un  giusto  senso  di 
(jnesto  luogo. 


54 .  die'mi:  mi  dici.  Io  staaao  cbe 
mi  diedi:  cioè,  mi  affidai  per  il  gran 
▼ìaggio. 

52-54.  Né  pMntunque  perdeo  oc. 
Né  quanto  perde,  cioè,  né  tutte  le  deliiie 
del  Paradiso  terrestre  perdute  da  Efa 
poterono  impedire  alle  mie  gvanea  iMKt 
di  rugiada^àoèj  giè  asciutte, non  lacri- 
mose ,  cbe  non  tomasser  adre  ,  atre  ^ 
oscure  per  pianto. 

55.  perchè  VirgiUo  tenecatfa,  « 
cagione  delia  narteosa  di  Virgilio. 

57.  per  altra  epada^  per  altra  cn- 
gione  die  più  ti  pnngerà  l'anima^  e 

3nesta  cagione  sono  le  passate  follie  , 
i  die  Beatrice  or  ora  lo  riprenderà; 
e  Tabbandono  dd  pnriaaimo  amora  hs- 
tellettnale  per  gli  affetti  terreni. 

59.  la  gente  che  ministra,  gPim-' 
piegati  nel  servigio  delle  altre  navi  che 
sono  sotto  la  sua  dircciooe. 


i63                                                 DEI.    PPH 

.VTO«,0 

Che  di  necessità  qn 

si  reaistra, 

Vidi  la  Donna,  rhe  pria  m'  appario                                    1 

Velata  sotto  l' angolìi-a  fe^lu,                                  tj     | 

Driiiar  g'i  o-chÌ  v 

r  me  di  qua  dal  rio- 

Tuttoché  il  *el  che  le  scendea  di"  lesta, 

Cerchiato  dalla  fronde  di  Minerva, 

Non  la  lasciasse  parer  maniresta; 

ncor  proterva,                        »     1 

Continuò,  come  colui  che  dire,                                    ' 

E  il  più  caldo  pari 

r  dietro  risena- 

Guardami  ben:  ben  son,  ben  son  Beatrice. 

Come  degnasti  d'  ar-cedere  al  monte? 

Non  sapei  tu,  che  qui  è  1"  uom  feliceT                   Ti 

Gli  occhi  mi  cadder  gi 

j  nel  chiaro  fbntL>; 

Ma  veg(;endomi  in 

e^  io  li-as^i  all'  erba  : 

Tania  vergogna  mi 

grava  la  fronte. 

Cosi  la  madre  al  tìglio 

mr  superba. 

Com'  ella  pane  a  me;  pi'rcliè  d' amaro                  (C 

Sente  il  sapor  della 

pietà  le  acerba. 

Ella  EÌ  tacque,  e  gli  an 

geli  cantaro                          ^^ 

Di  Bubito:  In  te.  Domine,  iprrai-i;                      ^^| 

Ma  olire  pm/es  meo 

non  passare.                        ^^M 

ea  Ck  di  ncaiiili  fi  li  r«sii- 

.1  m«,Ul  ,a«  »kw  d.«:  i*]^| 

crsd..  >Tir  piò  l>  (TMit  di  rìnl«^ 

Cmw.,  Tr.il.  I     C.p   IH:  .  ^™  ù 

ttl«P«ri.^<|''*t'<<«>*-(^*'* 

t<m»<lc  per  gli  à.'[>«ki  .Ì»n..  Ì\  ^ 

lu  <M  cui.  inai*,  rlmprnanodofl. 

(isD*.  • 

6S.  r  tngrliea  f«l,  ,  ci .»,  U  ob- 

HrM.'WLr  ruiototc  h'i«v  t  Mi», 

Tult  di  G..ri  cht  dalli  mani  angrUrhi 

p«  l„„rBt»lriC,  t  1.™-™  fri. 

lolita  t  Tietiaia  te. ,  »inr  è  iaU 

mi  iiifiw  il  mnnW  A»  rflnnafa 

dilapr. 

76,CM«tM«.:ri^,it.l.««irf 
ocelli  BtHBdoli  Bcir  Itane  lUart  Jtl 

GS    rfaUa   ftMi,    di   Ki-rrta , 

idl'uii». 

liun..-. 

77.    fa   trotti  nWfrta,  j^^ii- 

•U  —  proitna  .  •Ilcii  inclig  nril'it- 

te    té  ondo  del   pirlirt    .Fj..  Gl«. 

«Ei.  ««  Mi  Cmotv,  pirti  •  np 

liptllo. 

ieri,  (k>  «DD  nirìdriiia  qiicnU  k 

RO-SI   •tfTdiframiTDM-.-pmU 

eia»,  eb'ie  san  dMcti  Ttden  li  tue 

,.  d...»  il  «porr  deli.  PÌ«t  .Mt^ 
hi,  ti»*  -itid.;  «.rr.,  p«i*f  man  U 

roooio  rìmproTtntii 

l<rtl.  .r.  d.l  w»  hi...  . 

«    /.  <f,  tKmi«.  «   P.™lt  M 

12  4Mn>HHTT<i.*r.biidur(>, 

Stimo  SU 

d<  •tli».,  p*.  lu  «.ggiof  »l|» 

M     etlrt   p«l«   i-nt  N.  Dm, 

CAUTO  TAENTESIMO. 

Sì  come  neve  tra  le  vive  travi 
Per  lo  dosso  d*  Italia  à  congela 
SoffiaU  e  stretta  dalK  venti  Schiavi, 

Poi  liquefatta  in  sé  slessa  trapela, 

Pin-  che  la  terra,  che  perde  ombra,  spiri. 
Si  che  par  fooco  fonder  la  candela; 

Cosi  fili  senza  lagrime  e  sospiri 

Ansi  il  cantar  di  qne^  che  notan  sempre 
Dietro  alle  note  degli  eterni  ghi. 

Ma  poiché  intesi  nelle  dolci  tempre 
Lor  compatire  a  ne,  più  che  se  detto 
Avesser:  Donna,  perchè  si  lo  stempre? 

Lo  giel  che  m*  era  intorno  al  cnor  ristretto, 
Spirito  ed  acqua  fessi,  e  con  angoscia 
Per  la  bocca  e  per  gli  occhi  nsci  del  petto 

Ella,  por  férma  in  so  la  detta  coscia 
Del  carro  stando,  alle  sostanzio  pie 
Volse  le  sue  parole  cosi  poscia: 

Voi  vigilate  nelF  etemo  die. 

Si  che  notte  né  sonno  a  voi  non  fora 
Passo,  che  foccia  il  secol  per  sue  vie  ; 


463 

86 


SO 


96 


iOO 


106 


e  fon*  Der  non  far  

dMra  in  luogo  di  «Cerna  pace,  si  ri- 
mangono dal  cantare  alle  parole  pedeM 


SS.  fra  /f  tire  travi,  tra  gli  abeti 
e  i  pini,  che  prima  che  sicn  recbi  po»- 
■M  ehiamarM  irati  vive,  doé,  dhe  ? •- 
gelano. 

se.  Per  lo  dotto  &  I tedia.  Per  i 
monti  dcir Appennino,  i  quali,  come 
la  iptnn  doraale  dell*  Italia ,  ti  stendono 
per  lo  suo  messo  dall'  Alpe  fino  a  B^ 
gioin  Calabria. 

87.  SoffieUa,  percoaea  dal  aoffio. 
—  vcnfi  Sehieni ,  i  venti  die  dalla 
ScbicTonia  tengono  tXi*  Italia  dal  late 
di  greco. 

8S-S0.  Poi  li^fatta  $e.  Int.: poi 
liqncfatta  penetra  in  tè  tleaia,  Pwr  dU 
nirif  cioè,  dia  tento,  la  terra  africana 
rfa  qnale  in  alcnn  tempo ,  avendo  aonra 
di  tè  perpendicolari  i  raggi  del  aoU , 
vede  i  corpi ,  che  aono  in  eata,  perdere 
Pombraj;  t\  che  (raM  neve)  presenta 
rimmagine  dclls  candela  che  al  fuoco 
fi  fiqndfb.  Vedi  la  natura  fir»  «  in 
■rione  1 


IN .  Coti  fkd  tenxa  lagrime,  rimati 
impietrito  per  lo  stnporo. 

92.  Àn%i  il  cantor,  finché  non  adii 
il  canto  di  curi  chenoteii  tempre,  doè, 
degli  Angeli  die  sempre  cantano  in 
Bota. 

93.  IH  tra  alle  note  ee. ,  dietro  tl- 
r armonia  delle  sfere.  Secondo  nn*  tn- 
tica  opinione  ,  le  sfere  giravano  dando 
tuono.  JloCe  il  Cod.  Caet. 

94.  nelle  dolci  tempre  y  io  ^mI 
delee  salmo  che  mi  animava  a  ntcrara . 

96.  itempre ,  stni(;gì,  mortifidu. 

95.  Spirito  et meg%afet$i,nil 
adolse  in  sospiri  ed  in  lacrime. 

toc.  in  ff«  la  detta  eoteia,  cioè, 
sulla  sponda  sinistra  dd  carro ,  enne 
al  verso  61  di  questo  Canto.  Le  allrt 
edisioni  leggono  In  tu  la  dattrm,  e  qio- 
tta  lenone  fa  oscurissimo  il  senno.  Il 
Tordli  pone  una  virgole  dopo  /proli , 
a  coi  sottint.  nef  tuo  rigare, 

103.  flMirelemo  tfit.neir 
giorno,  nelU  etema  Ince  «TmBa. 

lO^-^OS.  non  furaee.,  non  aa- 
tconde  cota  che  accada  nel  volger  do* 
tneoli. 


Onde  la  mia  risposta  è  con  più  cura. 
Che  m' intenda  colai  che  di  là  piagne, 
Perchè  sìa  colpa  e  duo!  d'  una  misura. 

Non  pur  per  ovra  delle  rote  magne, 

Che  drizzan  ciascun  seme  ad  alcun  fine. 
Secondo  ciie  te  stelle  soo  compagne; 

Ma  per  larghezza  di  grazie  divine, 

Che  si  alti  vapori  lianno  a  lor  piova, 
Che  nostre  viste  !à  non  van  v' 

Questi  Tu  tal  nella  e^ua  v 

Virtualmente,  ch'ogni  abito  destro 
Fatto  averebbe  in  lui  mirabii  pruova. 

Ma  laoto  più  maligno  e  più  silvestre 

Si  fa  il  terren  col  mal  seme,  e  non  colto, 
Quant'  egli  ha  più  di  buon  vigor  lerreetro. 

Alcun  tempo  il  sostenni  col  mio  volto; 
Mostrando  gli  occhi  giovinetti  a  lui, 
Sleco  il  menava  in  dritta  parte  volto. 

Si  tosto  come  in  su  la  soglia  fui 

Di  mia  Eoconda  etade  e  mutai  vita. 
Questi  si  tolse  a  me,  e  diessi  altini. 

Qtiando  di  carne  a  spirto  ora  salila, 
E  bellezza  e  \irtù  cresciuta  m'era, 
Fu' io  a  lui  men  cara  e  men  gradila; 


» 


Ira  direni  i  hrmi  inltnrli-re  i  cnlsi  ce. 

4<G.  VirtualmfnU.m  p«but*,p<i 

<M.  PtTcM  lia  colpa  <  duol  «..- 

.ir(odir«*v«ladJdrt.  .' J,K..- 

■ocioeclii  pfl  Dita  riniuruTcran  ai  Q''- 

ogni  alila  deliro,  ogoi  «bil»  Ihm*,  . 

urH  ia  lai  dolore  prundn'»»!*!»  «1  ■» 

.  b.De. 

tlllo. 

i\9.  1  mm  nlU>.  t  BM  ^HftU 

100-111.  n'cn  par  prron-s  te: 

{Ì\  Itrrcno). 

430.  vifer  (nretlro,  furu  Date- 

qall> etaum  lemt,  oggi  e>n»,  n  ù- 

rà  la  pmlo  iuta  di  terra. 

(2\.    Atnm   temp»   U    nmmiì: 

Z»«ct»d.««,ÌDdina.fl.  .q..lcl,. 

Cag  0  baona  o  Ir  >to,<«oadD  i,  «irli,  il, 

mtalti  *m,\,  col  mio  .le*B  Tali*  ^a- 

qtMlll  Iklll  cfca  gli  i  (I>ID|Hipi,  ci.-f', 

hU«  I*  OBilc  k  gi'iwratoj  ma  per  at>- 

ajiiraTa  alli  pioaim  a  TÌiii. 

m-123.  »Hla>OflÌa«(.  H«- 

bai>d.D^d1gi..i<dWi«e. 

tiForw.,  ani  limilindeili  >k«mUm, 

<I3.  Cht  li  Mi  vapori  te.  I  t.. 

cioè,  d.li'ela'w.  U  lanndfl  «lade. 

pori  aoB  principi»  •  cauiooB  (Ila  pii.3- 

»«^ndo  Dania,!  la  c'o>col«,  «U'ìp- 

RC  nii  a  naHunflaturiiv;  eHnnillca 

greno  dollt  .utie  IJc.Ui»  mmU  vii». 

dia  la  n^oa<  n>».<,..l.  Di»  a  inCadcr 

la  nra>ii  *   imu-uelraLita   all'  uiuaDo 

120   Q„uti.  O.Mt. 

iiiulltllo. 

127  Vo«<lod,«rne«.:,M.J. 

CANTO  TRElfTESmO. 


465 


E  volse  i  passi  suoi  per  via  non  vera,  i30 

Immagini  di  ben  seguendo  felae, 
Cbe  nulla  promission  rendono  intera. 

Né  r  impetrare  spirazion  mi  valse, 
Con  le  quali  e  in  sogno  ed  altrimenti 
Lo  rìvocai;  si  poco  a  M  ne  calse.  435 

Tanto  giù  cadde,  che  tutti  argomenti 
Alla  salate  soa  eran  già  corti, 
Fuor  cbe  mostrargli  le  perdute  genti. 

Per  questo  visitai  1*  oscio  de'  morti, 

E  a  colui  cbe  V  ba  quassù  condotto,  440 

Li  priegbi  miei,  piangendo,  furon  porti. 

L*  alto  fato  di  Dio  sarebbe  rotto, 
Se  Lete  si  passasse,  e  tal  vivanda 
Fosse  gustata  aenz*  alcuno  scotto 

Di  pentimento  cbe  lagrime  spanda.  Ub 

432.  Che  nvlla  promiition  «e.,  442.  L'atto  fftio  di  Dio  ee.:  Paltò 
che  Don  mantrngon  na!1a  di  qual  cbe  ^aerato,  l'alta  aiipcairiona  di  Dio  ta-> 
promettono:  tali  sono  le  riecbnsa,  ^i     rabba  violata. 

onori,  ì  piaceri,  che  oromatton  felidtè,  443.  e  to/  vivanda  ee.:  a  ae  si  gu- 

c  non  d«n  poi  cho  rimorso,  o  aela  pift     ataaaa,si  bevasse  qaeat* acqua  dell'obli» 
arata  dite.  viosa  dal  paoeato  aemea  alcana  eompen- 

433.  JVé  l'impetrare  ee.:  uè  mi 
valsa  l' avergli  impetrato  da  Dio  i^i- 
razioDÌ  ec. 

456.  giU  cadde.  Sottioteadì  :  nai 
vizioj  o  nella  mondanità. — argometUi, 
proTTcdimenti. 

459.  Per  queito  visitai  t^uieio 
dei' morii:  ciò  fece  quando  andò  a  tro-  445.  Di  pentimento  ee.:  cioè,  di 

var  Virgilio.  pentimento  tale,cba  rnvora  a  piangara. 


444.  ieotto,  diersi  la  quota  che 
ciaacuD  compagno  paga  dal  comnna  da- 
ainara.  Per  stroiliiudioa,  a  a  modo  prò* 
▼erbiale ,  pagar  io  teotto,  diccai  dello 
acootara  per  paoitenxa  il  fallo 


CANTO  TREMTESmOPRinO. 


Cmtimmm  Btmtrt't  I  suoi  rtmpiwmri  tt  PttU,  «  I»  strimgt  mttm  coh/cmImm  del  tmti 
mtmtL  Pnpmrmtu  cwi  p4t  tanta  mmUtmtttma  at  pm  g randa  dtt  kttiit  0  tallo  da  Malalilm  0  taffi 
m^tjlamta  deiraUia.  ÀUora  le  fmattro  Flfk  aaorah  gli  pa$$am  dantanda  tì  èratria  $al  «sp»  • 
portmit  daaamu  al  tana.  Pm  I*  tn  Ptrié  l0alae>elu  ta  pnaantaaa  a  Baatnm,  •  <M 
um  attua  ftdau,  il  atf  M  taglia,  a  U  Fatu  a  rmptia  dal  pmradtta  dUa  tptamda  aafU 


ima 


0  tu,  cbe  se*  di  là  dal  6ume  sacro 

(Volgendo  suo  parlare  a  me  per  punta , 
Che  pur  per  taglio  m*era  parut*acro), 

2.  p€r  punto,  direftNmente.  di  me  parlava  agli  Angeli  eoo  aoimo 

5.  Ch^  pur  per  laijtio  m'era  fMH      par  allui-a  di  pungermi,  m'era 
rut'acrOt  che  anco  indiretto,  qnaiidb      orato  acerbo. 

30 


466 


DEL  FUBOATOIIO 


Ricominciò,  seguendo  senza  nmta, 

Dì»  di,  «e  qoeei'è  vero:  a  tanta  accusa 
Tua  confesso  conviene  esser  congiunta. 

Era  la  mia  virtù  tanto  confusa. 

Che  la  voce  si  mosse,  e  pria  si  spense 
Che  dagli  organi  suoi  fosse  dischiusa. 

Poco  soflbnie;  poi  disse:  Che  penso? 
Rispondi  a  me;  che  le  memorie  triste 
In  te  non  sono  ancor  dall*  acqua  offlmse. 

Confusione  e  paura  insieme  miste 
Mi  pinsero  un  tal  «i  fuor  della  hocca, 
Al  quale  intender  fur  mestier  le  viste. 

Come  balestro  frange,  quando  scocca 
Da  troppa  t««  la  sua  corda  e  1*  arco, 
E  con  men  fo';;a  Tasta  il  segno  tocca: 

Sì  scoppia'  io  sott'  esso  grave  carco, 
Fuori  sgorgando  lagrime  e  sospiri, 
E  la  voce  allentò  per  lo  suo  varco. 

Ond'ella  a  me:  Per  entro  i  miei  disiri, 
Che  ti  menavano  ad  amar  lo  bene 
Di  là  dal  qual  non  è  a  che  s' aspiri, 

Quai  fosse  attraversate,  o  quai  catene 
Trovasti,  perchè  del  passare  innanzi 
Dovessiti  cosi  spogliar  la  spene? 

E  quali  agevolezze,  o  quali  avanzi 


10 


ib 


» 


u 


4.  itnxa  eunta,  seoza  dimori.  È 
lètto  ^1  Ut.  nuutari, 

5.  M  qu9tt^è  vero,  quello  elio  io 
ho  detto  di  te. 

7.  La  mia  «tVl4.  Int.  le  potenze 
teoeitive;  tento,  rioè,  io  era  sniiirrto. 

9.  Ck$  dagli  organi  tuoi  ec.  È 
oreato  a  poco  il  Virgiliano,  «oc  fewei- 

10.  Poco  tofferso,  un  poco  asp4*ttò. 
42.  In  (•  non  tono  anror  dalVae- 

pta  offmua,  scancellate  dall'  arque  di 
Lete. 

45.  fktr  mestier  U  viste,  biiut^a- 
roao  gli  occhi ,  per  comprenderlo  dal- 
l' oltoggiamento  delle  labbra ,  tanto  il 
tMBO  in  raile. 

46-48.Come  baiettrofrang»,€whf 
il  frange,  acoppia,  «|nandi>  la  sna  corda 
t  Fareo  aaoacaoo  da  troppa  teoaiooe, 
e  PhU  oIm  ne  parte  toera  il  argno  eoo 
mtao  font  per  l'am-nnta  rottura, 


eoa)  ee.  Alcani  pongono  ma  ìhgeh 
dopo  teta ,  e  allora  il  verbo  /iFMf*  ^ 
▼ente  di  moro  attivo.  Potrcobo  alwa, 
ma  io  prcferiwfl  il  primo  modo. 

49.  tott'e$to  grave  carco,  lolto  i 
grave  carico  della  confuaioat  a  Mia 
paura  sopraddette. 

21 .  ff  la  voce  attentò  ec.:  e  la  face 
▼enne  a  morire  tu  le  labbra,  cka  laao 
il  varrò  per  cui  etce  fuori. 

22.  Per  rntro  1  miei  iMrC.... 
Quai  fosie  attravertmte,  o  fiMrf  ea- 
tene.  Ini.  Nel  icguire  i  miei  daeMaTJ, 
quali  ottaroli  ti  si  attraversaraaa  a 
quali  impedimenti  ec. 

25-24  to  bene  Dita  dal  ^ueim. 
Iddio,  quel  bene  che  tutu  gli  altri  ha  aè 
eompreiide,  e  oltre  il  ijuala  BOtt  fok 
andare  l'nmano  desideno. 

27.  epogtiar  la  ipena, 
la  speranza,  disauiniarti. 

Sa.  agevolette,  factlith ,  o 


CANTO  TRBNTEUMOnilMa 

Nella  fronte  degli  altri  si  mestrait), 
Penile  doveen  ler  paoceggiare  anzi? 

Dopo  la  tratta  d'  im  eoepìro  amaro, 
A  pena  ebbi  la  voce  che  rispoee, 
E  le  labbra  a  Iktica  la  formaro. 

Piangendo  diasi:  Le  pneeoti  cose 
Col  ialso  Uff  piacer  velser  miei  passi, 
Tosto  che  1  vostro  viso  ai  naaooae. 

Ed  ella:  Se  tacessi,  o  se  negassi 
Ciò  che  confèssi,  non  ftn-a  men  nota 
La  colpa  tua:  da  tal  gioisce  saan. 

Ma  quando  scoppia  dalla  propria  gota 
L'accasa  del  peccato,  in  nostra  corte, 
Rivolge  sé  coatra  il  taglio  la  rota. 

Tuttavia,  perchè  me^  vergogna  porte 
Del  tuo  errore^  •  perchè  altra  volta 
Udendo  le  sirena  sie  più  forte, 

Pon  giù  il  seme  del  piangere,  ed  ascolta; 
Sì  udirai  come  in  contraria  parte 
Muover  doveati  mia  carne  sepolta. 

Mai  non  t*  appresentò  natara  ed  arte 

Piacer,  quanto  le  belle  membra  in  eh*  io 
Rinchiusa  fui,  e  che  son  terra  sparte: 


m 


30 


36 


40 


46 


60 


6f«.—- at#iizi*,  gvadagni,  o  Ttateffgi. 
29-50.  H9lla  fHmU  dtfH  altri, 
màV  Mpelto  losinghiero  degli  altri  beni 
li:  ^^ Perchè  do99t»i  ee,.  Ut- 
dia  dovaati  venir  loro  intorao  • 
i;  OTvero,  perakè  la  4^ 


oal  tao  ardore  eamniinar  lor»  in* 
j .  trapaaaarìi ,  mentra  a  aegoira  i 
dcairì  ari  stato  inppo. 

54.  Lt  pmenti  eoie,  ì  beni,  lai^ 
del  mondo,  di  eoi  6  detto  al 
I  ^oi  aopra. 

55.  voltar  miei  ptti,  lai.  dalk 
dritta. 

59.  da  tal  giudiee,  da  Dio,  c« 
ncaaaoa  eoaa  è  natrtwu. — »ani,  »  aa. 

40.  daUa  fropria  gola,  dalla  pro- 
pria boeea,  cioè,  dalla  bocca  dd  pae- 
catora. 

44.  In  moiéra  eorlé,  nana  aorte 
dal  cielo,  ore  ai  (a  raipooo  a  latti  a  di 
tatto  inpartiale  e  arvera 

42.  Jliao^f  iè  ee.  Ut.:  la  divina 

Siaatitia,  ^aaai  rota  die  aguxxa  il  taglia 
dia  propria  apada ,  rivalga  tè  eaatra 


aaao  taglio;  ebe  è  ^«aato  dita:  la  dn 
TÌoa  ginstif  ìa  si  diaamia. 

43.  aM*,  meglio.  Jfo  logaano  i 
Codid  Caaa.  e  Fior.,  che  vaU  mrm 
da  modo,  awaibio  lai.  — >|Mrlif  la 

45.  U  sèrwas,  gli  allattaaMirti  M 
piaeere. 

46.  Pam  giA  U  toma  at~  |Mal  gii 
la  cagione  del  p  angere ,  doè  «  il  S* 
carou,  cume  è  netto  di  aopra,  dalla  ( 
hiaiono  e  della  paara. 

47.  in  eimtraria  parta 
doveati:  doveati  allootaoai^ 
mondana. 

4S.  mia  earma  tepolta.  latesdii  la 
morte  mia.  l'esaer  io  aiorta. 

49.  nahtra  ed  arla^  iadama  Mite. 

50.  Piaeer,  e  piaeimtamta,  ooaaa  •§- 
trovc  fu  o«4oto,  dìnrro  gli  antiabi  far 
belletta  ;  ma  qai  pub  aadie  valaraaaM 
piaemle.  come  enotlo  di  talli  IM 

54 .  e  ebo  eom  terra  epaHa,  a  cba 
tparte,  diaaidto ,  diagregata ,  ar  aaa 
terra. 


^^^ 

^1 

4G8                                 BEI-  ri-n 

1 

E  se  il  sommo  piacer  si  ti  follie 

Per  l8  mia  morte,  qual  cosa  mortale 

Dovea  poi  trarre  le  nel  suo  disio? 

Bon  ti  dovevi,  por  io  primo  strale 

U 

Delle  cose  fallaci,  le%'ar  suso 

Diretr"  a  me  che  no 

n  era  più  tale. 

Non  ti  dovea  gravar  le 

penne  in  giuso. 

Ad  aspettar  più  colpi,  o  pargoletta, 

0  altra  vanità  con 

sì  brev'  oso. 

eo 

Nuovo  sugellello  due  o 

Ire  aspetta; 

Ma  dinanzi  dagli  oechi  de'  pennuti 

Relè  si  epiega  indarno,  o  si  saetta. 

Qnale  i  fanciulli  vergo^ 

nando  muti, 

Con  gli  occhi  a  terra,  slannoai  aacollaodo,            ti 

E  sé  riconoscendo. 

e  ripentoli; 

Tal  mi  sCav'  io.  Ed  ella  disse:  Quando 

Per  udir  se'  do'enle 

,  alza  la  barba. 

E  prenderai  piii  doglia  riguardando. 

Con  men  di  resaslenza 

si  dibarba 

™ 

Robusto  cerno,  ovvero  a  nostral  vento. 

Ovvero  a  quel  della  (erra  di  larba. 

Ch'  io  non  levai  al  suo 

comando  il  mento: 

S2.  il  (01IMH0  piarir.  SnUintMilit 

p«  d,>  =  >re  Toll.  ii«« 

-nil  rwU* 

rh.  „,rì  il  .»)«■  mo.  —  ti  faUiB.  li 

C2    tSt'pmiHiU,  di 

qad  eh*  bii 

Sii  f"rli  Ir  prua.,  do-»» 

cbi. 

U   fMlnKi<lùw,id.ni>r1i,iite. 

lidcnrli. 

m!  tralci  VaivMi 

V.'«ià,i. 

»,  pM-  (a  fiHmn  (frale  «.  lor  ; 

«UivMrf. 

pò  !■  pHiu  t,r>l>  dm  prnoll  dtll* 

ripmidr'inni  hlll  «. 

i»  ni  •«tati  marti. 

«ilpfvoli,  — ripiiMnlI,  r 

pfXlìti. 

H.  favar  iwD.  ictirti  «.1  ptniitro 

'^«-68.  oJUdo  p«- 

U-»..p>i. 

éIM*, 

Ai  »r   1.  cZa..-  I..Ì 

odiu  m!  C 

ST.  ekfwM'ri  p-ft  rdlce<4, 

(«.It.li  moilrì  ptnlii». 

_!«»««•. 

dM  ■»■   in   pia  Dclli   tchiir*   AtVt 

I«  (>rci>   birbuU.   Cit 

i«  ■   diw- 

•MUI.(>ì.a>.«hnnli,«.  .rit.>f 

•IricEli  (hi  ron  ora  «r>a 

.1  pit  !»«•■ 

ÌMa<>Hil.d>t>4in.d<.|d.la. 

o^K.   d.(   .lo*»»   luci 

98-H.  Hon  li  <Ut>^a  frarar  n.: 

•(■l'in j,<,ni  del  mooio.- 

<.(J..p-kà 

twe  H  'air*  illirrtre,  d  Icnrr  bauo 

•lati  pff  verm-fiiii  mi  «pò  iTumM. 

«Ila  Mrn ,  Ad  aipHlar  )iia  «fpf ,  «m 

70    ri4-rM.  «d 

ridin. 

71    a  «ntlral  twio 

*>Mte^ 

l.ttMI..».»<'w,<.p<nv«(''l<.  - 

•»ni   d.lli   n<«lr<   !«.• 

1'lq.dbM. 

^         ^mlrii^  (istinMla,  0  allm  canlfd. 

Jwlril  «nifo,  Ifiu*  l' rJ»-  O-liMB. 

■         «Mri  hn'im,  ..Itri  nn.  ««,11 

73.  0  erre  a  IMI 

N.d    .Wk 

d'AfrÌ<'*.n<e  rti;nt  lirb 

H              «.  Ì(w>MMgr».lb>,  MsdlDdi 

73.  Ch-U>  •«  !««< 

*QwM«r-*- 

■ 

■tMin  dJminlrt  .jihiiI'm 

bntfigH 

ci»  lo  Kn»  din»*». 

J 

CANTO  TRENTESDIOFEIMO. 

E  quando  per  la  barba  il  viso  chiese, 
Ben  conobbi  il  veien  deli*  argomenta 

E  come  la  mìa  feccia  si  distese. 
Posarsi  quelle  prime  creature 
Da  loro  aspersion  l'occhio  comprese: 

E  le  mie  luci,  ancor  poco  sicure, 
Tider  Beatrice  volta  in  su  la  fiera, 
Gh*  é  sola  una  persona  in  duo  nature. 

Sotto  suo  velo,  ed  oltre  la  riviera 
Verde,  pareami  più  sé  stessa  antica 
Vincer,  che  1*  altre  qui  quand*  eOa  e'  era. 

Di  penter  si  mi  punse  ivi  l'ortica. 
Che  di  tutt'  altre  cose,  qual  mi  torse 
Più  nel  suo  amor,  più  mi  si  fé  nimica. 

Tanta  riconoscenza  il  cuor  mi  morse, 
Gh'  io  caddi  vinto,  e  quale  allora  lemmi. 
Salsi  colei  che  la  cagion  mi  porse. 

Poi,  quando  il  cor  virtù  di  fuor  rendemmi, 
La  Donna  eh'  io  avea  trovata  sola, 
Sopra  me  vidi,  e  dicea:  Tiemmi,  tiemmi. 

Tratto  m*  avea  nel  fiume  infino  a  gola, 
E,  tirandosi  me  dietro,  sen  giva 


469 


75 


80 


S6 


90 


9$ 


74.  per  la  barba.  Quando  osò  ter- 
kmftrpiio.  Ve«ir  sopra  la  nota  67-68. 

75.  Ben  eomobH  te   Intendi  :  bea 
tii  il  veleno,  F amaro  della  ana  illa- 
jt:  0,  come  spiega  Alfieri,  la  mali- 
ite  delle  tue  parole. 

77-78.  Potar wi  quelle  prime  area- 
imtet  cioè ,  1'  occhio  mio  rompreaa  gK 
angtli,  vrime  ertalurt  (  percdè  erwti 

prìoM  dagli  uomini),  Potarti As 

ima  aepertUm ,  che,  en»e^  avean  tea- 
aato^  ^arger  fiori.  Altri  leggono  btUe 
enaHere  invece  di  prime, 

79.  aiacor  poco  tieure,  aneor  ti* 
wtièe. 

80.  i»  tu  la  fiera  ee.,  sopra  il  gri- 
fone. 

82-84.  SoUo  tuo  velo  ee.  Sebbeo 
eoparta  del  suo  velo,  e  scbbent?  alqnaoto 
da  me  lootana, perrbè  al  di  là  dai  fionia 
dalla  verdi  rive  ;  nonostante  mi  pana 
eh*  alla  pii  saperaaae  in  b^Uena  aè 
■twai  mortala ,  che  non  superava  InUa 
le  altra  donna  quand'era  sn  4|tteata 
terra. — aniwa,  anteriore,  di  prima. 

8^87.  DijfenUr  re.  Int.:  taoto 


allora  l'ortica  dal  pantirt ,  il  rimane 
dalla  coaciania,  mi  penne ,  che  di  tette 
la  coae  m»rtali  (diversa  da  Baalriae, 
dbe  ara  fatta  immortala)  anelli^  cbe 

SÌA  mi  volae  ad  amar  aè,  oaviaodoml 
a  Beatrice,  p  ù  in  odio  mi  vanne. 

88.  rieonoteemsa ,  pantimeote  dei 
miai  peccati.  Principio  al  pentimenlo  è 
le  coDoscenaa  di  sé  medaauno,  de'pro- 
prj  falli,  onde  il  rimorso. 

89.  lemmi,  per  fe'wd,  mi  fai,  di- 
venni. 

90  5e/i<eoMee.:«Mè,aeIe8a 
Beatrice ,  che  ec. 

91.  Poi,  quamào  il  cor  ee.:  pei 
^ando  il  catira,  navntoai  dal  Me  ab* 
battimento ,  mi  restimi  le  virtè  tolta 
agli  retemi  miei  arnsi ,  ee. 

92.  U  Donna  ee,  Matelda,  dellt 
qeale  al  Canto  XXVIII,  v.  S7, è  detto: 
S  là  m'apporre., .  Una  Donnaiokitm. 

95.  Tiemmi,  Kfgimt,  •fpifliaiif 
appigliati  a  me. 

94  TVoflo  m'««e«.  S'intende  dM 
gik  il  Porla  s'era  attaccato  a  lei. 

95-96.  $en  giva...  come  tpakt. 


DEL    PimOiTORlO 

0  V  afqua,  tìe\e  come  spola. 

Quando  fui  presso  alla  beata  riva. 
Asperges  me  eì  dolcemente  adissi, 
eh'  io  noi  so  rimembrar,  non  eh'  io  lo  scriva. 

La  bella  donna  nelle  braccia  aprissi, 

Abbraceiommi  la  lesi»,  e  mi  sominerM, 
0\e  convenne  cb'  io  l' acqua  inghiottissi 

Indi  mi  tolse,  e  bagnato  ra"  offerse 

Dentro  alla  àauti  delle  quallro  belio, 
£  ciascuna  col  braccio  mi  coperse. 

Noi  Sem  qui  ninre,  e  nei  cìei  sema  stelle; 
Pria  ciie  Beatrice  dii=cendes«  al  mondo. 
Fummo  ordinale  a  lei  per  sue  ancelle. 

Menrenli  agli  ocelli  saoi;  ma  nel  fiiocando 
Lume  cb'  è  dentro,  a^ozzeran  li  tuoi 
Le  tre  dì  là,  che  miran  più  jM^rondo- 

Cosi  cantando  cominciaro:  e  poi 
Al  peilo  del  grifon  seco  menarmi, 
Ove  Beatrice  velia  st^va  a  noi. 

Dìseeri  Fa  ctie  le  viste  non  risparmi: 
Posto  t'  avem  dinanzi  agli  smeraldi. 


100 

i 

KH 

I 


piiiti  di  (alM 


d.ll'.<..«li.M., 


m  ilcirra  tl'iPin 
D  50,  rbr 


.'crdolf  prvFerìi 


I  atraui  a  ^■l«^■ ,  p»  a 


vH.  allargi 


103.  ImK  mt  loln.  m  Ini  del- 
l'irani. 

<M.  (bik  fiMllm  kilt  Villi  uc- 

ilX.Kot  tMi|w  nin/a.-rioè,  noi 

Mi  rial  Mmo  Ittl'a.  Ir  .|u»l»  llrlli, 
a  (Im  fa  ili'Uo:  JVnii  viiti  m«i  /Wr 
dk'olla  prÙH  gnu  Vidi  /'urgalo- 
rio.  Calila  I,  »rw  21  Li  «rlu  mu- 
rili toBs  ainfi  atJia  iiU  «urtala ,  eba 


.ai.(l>»'>àl«>l<«iikadM 
>■  •w.l.^n.liiw  a  IH>)  M» 

aalmU  •  «ùan  adito- 
-'la  ifiiaiKlg  JcBW*  li  Mil 


CANTO  TAENTSitUiOPEIMO.- 

Ond'Amor  già  ti  trtsie  le  sue  ami. 

Mille  disiri  (mù  che  fiamma  caldi 

Stringermi  gli  occhi  agli  occhi  nluctnli, 
Che  por  sovra  il  grifone  stavae  saldi- 
Come  io  lo  specchio  il  Sd,  non  allrimenti 
La  doppia  fiera  deUro  vi  raggiava, 
Or  con  uni,  er  ooa  altri  raggimeati.. 

Pensa,  lettor,  s*  io  mi  maravigliava. 
Quando  vedea  la  coaa  in  sé  star  quota» 
E  neir  idolo  suo  si  trasmutava. 

Mentre  che,  piena*  di  stupore  e  lieta, 
V  anima  mia  gustava  di  quel  cibo, 
Che,  saziando  di  sé,  di  sé  asseta; 

Sé  dimostrando  del  più  alto  tribo 
Negli  atti,  1*  altre  tre  si  fero  avanti, 
Danzando  al  loro  angelico  caribo. 

Volgi,  Beatrice,  volgi  gli  occhi  santi, 
Era  la  sna  canzone,  al  tao  fedele, 
Che,  per  vederti,  ha  mossi  passi  tanti. 

Per  grazia  fa  noi  grana  che  disvele 
A  lui  la  bocca  tua*  si  che  discema 


471 


-120 


125 


lae 


i3i 


ta^  :  agli  occhi  di  Be«trie« ,  cIm  Ia- 
cono di  loco  giocooda ,  cono  qoolU  do- 
fli  smeraldi. 

447.  Ond' Amor  te.:  da' quii 
AiBore  nn  tempo  ti  saettò  i  tuoi  ttrali. 

449.  Sirintermi  gli  occhi  agli  oc- 
<ki  ee.  Mi  r«'cero  lisMr  ^\i  ocdii  oogtt 
oedii  splendenti  della  donna. 

420.  ioidi,  immokilmente  6m. 

422-423.  La  doppia  fiera,  la  fiera 
dalle  dne  nature,  il  grifone.  Qneal'è  la 
cagione  del  giocondo  lume  di  che  e  detto 
qai  sopra  al  verso  lOU.  —  dciilra  vi 
ragfiàta.  Il  grifone  raggiava  come 
fole  in  specchio  dentro  «gli  occhi  di 
Bealrica ,  ora  eoi  rtggimenli.  cogli  atti 
proBij  dell' araana    naiura,    ora  con 

JhmIì  della  divina.  La  Teologia  attiaga 
a  GaM  Cristo  i  dommi  che  lo  rigaar^ 
daoo  nella  sua  dapiico  natura.  la  al- 
tro fooso,  onesti  due  diversi  raggi- 
Menfi  Sfino  il  duuimatico  e  il  poiiiico, 
dai  qaali  nuoiti ,  mi*  non  conluai ,  do* 
tea  haaltara  la  br«u  terrena  ciflA  di 
CfiH». 

425-426.  Quando  tedta  imeota, 
V  obietto,  il  grifone,  in  si  ilar  qatUi, 


man  faro  alena  nintamanla^  B  mU- 
r  4dah  Ma,  a  nalP  ioima^na  ina^  ian 
preaaa  oogli  occhi  di  Baatnea,  hm  va- 
rie le  forme  di  lai. 

429.  Che,  taziundo  ec.:  che  fa- 
cendo contenta  Fannna.  sempre  più 
V  accende  nel  deudorio  di  sé. 

430-431  Sédimoifrofido  ee.,  mo- 
strandosi agli  atti  e  monmenti  tatti  co> 
lesti .  del  piii  alto  tribo,  del  più  alto 
ordine,  o  gerarchia. 

432.  i)anzando  al  loro  angelico 
emribo  Lasciando  da  parte  tutta  le 
vane  interpretai  oni  che  si  danno  a 
questo  verso,  e  alla  voce  caribo,  dieo 
che  caribo  tu  chiamata  anticamente 
fifia  specie  di  cansone  a  6«Zlp;  ande 
il  senso  più  sriupikre  ai  questo  looga  e 
il  più  roti  forine  al  contesto  è  il 
te  :  Danzando  alla  loro  angelioB 
zone;  cioè,  mentre  cantavano  con  Toaa 
angelica  qoel  che  sotto  ai  dica. 

434    fedele,  devoto. 

430-437.  che  ditteU  i  lai  la 
bocca  tua  :  cioè,  che  svali  a  lai  la  taa 
facaa.  Così  i  Latini  auvano  §§,  boaca , 
por  tutta  la  faccia. 


La  seconda  bellezza  che  lu  cele. 

0  ìspleodor  di  viva  luce  elercu, 
Cbi  pallido  si  fece  sotto  i'  ombra 
Si  di  Parnaso,  o  bevve  in  sua  cislerna, 

Cbe  Don  paresse  aver  la  mente  Ingombra, 
Tenlaodo  a  render  [e  qaal  tu  paresti 
Li  dove  Brmoniizando  il  cìei  t' adombra, 

Quando  nell'aure  apeilo  ti  solvesti? 

tu    Lautendó  Mkiia  ctu  la      bctdi  nd  («!•  JJPinuu 


qi»|Bwrai 


i 


139.  O  itplnJoT.  Inltnili  :  s  Bc*- 

Ìi6-US.  CM  pallide  «  Inlndi  : 
bi  i  uni  imptllidils  Unb>  ucllo  tludis 
pH  (cqnutus  l'aria  di  poalara,  a  ibi 


Inrli  qaal*  (ppariiii  QiÌbb 
ni  nttratrt  aprrlot  «« 

pai  i«  «n'irla  •perla,  i 
irlo  amumUianda,  Ira  U  > 
(V(JiC.XXI,T.93),l'*dw 


CAIWTO   TRENTESEHOSECOamiO. 


Tanto  ersD  gli  occhi  miei  G^i  ed  Mentì 
A  disbramarsi  la  decenne  sete, 

-ì  sensi  m'eran  lutti  speoti; 
quinci  e  quindi  avén  parete 
Di  non  caler,  co«  lo  santo  riSQ 
A  sé  Iraéli  con  1'  antica  relè; 
Quando  por  forza  mi  fo  volto  il  viso 
Ver  la  sinistra  mia  da  quelle  Dee, 

wHdiflin      i'  aoa  parla  i  d'altra  n 


di  ludi  parti  Inilaians  pa-  ( 

iU  al  laro  diii|inrBtii  ;  Di      (tea 
*M  dal  ■aaairnrtra  dallo 


CANTO  TlEimilMOaKOIfDO. 

Pereli'  io  odia  da  loro  m:  Troppo  fbo. 

E  la  disposizion  che  a  veder  ee 

Negli  occhi  par  testé  dal  Sol  percossi, 
Sanza  la  vista  alqoaDto  esser  mi  fé»; 

Ma  poiché  al  poco  il  viso  rifiimiossi 
(Io  dico  al  poco  per  rispetto  al  mdto 
Sensibile,  onde  a  hn^  mi  rimossi), 

Vidi  in  sol  braccio  destro  esser  rivolto 
Lo  glorioso  eserpto,  e  tornarsi 
Col  Sole  e  conjw^iette  fiamme  al  volto. 

Come  sotto  gli  scoÌH  per  salvarsi 
Tolgesi  schiera»  e  aé  gira  col  segno. 
Prima  che  possa  tutta  in  sé  mutarsi; 

Quella  milizia  del  celeste  regno, 
Che  precedeva,  tutta  trapassonne 
Pria  che  piegasse  il  carro  il  primo  legno. 

Indi  alle  rote  si  tornar  le  donne, 

E  il  grifon  mosse  il  benedetto  carco, 
Si  che  però  nulla  penna  crollonne. 

La  bella  donna  che  mi  trasse  al  varco, 
E  Stazio  ed  io  seguitavam  la  rota 


i73 


iO 


io 


so 


n 


fM  la  parolt  eh*  gli  Ci  Tolgcr*  il  viio 
gli  è  diretta  dalle  tra  doooa  cha  aoeo 
•Ba  daatra  paria  del  rarro,  tk%  ikù9 
adi  aiacr  la  •iniatra  di  Ini. 

9.  imi:  Troppo  fUo:  pcrebè  mmtìà 
éàrmà  :  troppo  fiso  la  guardi. 

40-42.  E  la  dUpotiiiom  §e.  Va 
«alla  diapoaizione.  cuofonnaiioiia.eha 
nipatto  aUa  loro  virtù  TÌsiTa  prandOM 
gli  aacfai  di  fresco  pard-tti  dal  tola,aù 
ttaa  «Mara  alquaDto  aeuia  la  viata,  ìa- 
aaMoa,  «ioè,  di  tederà. 

49-45.  Ma  poiché  tU  powoe.  Ma 
poiabè  Focefaio  rìforaioaai,  ai  riabW, 
tonò  aceoDcìa  a  loataoere  Firopramaoa 
Mia  laaa  della  altra  eoaa  ealaati,  b  q«a- 
!•  ara  poca,  rispetto  a  quella  oiolta  dM 
uà  YaniTa  da  Beatrice ,  ee.  —  WèoUa 
SttMiU,  tigoifica  qui  ti  utaito  lumi 
noto,  cesia  la  truppa  luca.  —  orni»  a 
fotta  wU  rimoiti,  da  cui  ataeaai  gli 
acciii  fonato. 

40.  m  nU  broecio  dailro,  a  bmao 


47--IS.  tornarti  Col  Solo  as..-  ai- 
il  glorioso  eaerciiu  prima  rirolte 
a  poofBte,  tidi  che  it  Yolse  a  laTaata, 


•faida  ia  laacia  i  raggi  dal  itla  a  fMK 
àtf  aetla  eaodelebri. 

40.  talio  f  li  aeiMK  por  takani, 
éak  riparata  sotto  gli  acndi.— >  jmt  aal- 
•ani  dairinioiico. 

10-24.  oèàfiratolMgno:  a  aal 
aagaa  (presao  In  baodiere)  gira  aè  ata^ 
aa,  camiaciaodo  a  dar  volta  eolia  ila 
d*avaoti  e  poi  eoli'  altra  a  asaaa  a  na- 
ao^  priana  che  essa  schiera  poan  bm- 
Tarn  ia  talte  le  aae  parti. 

23.  prteedtoa,  al  earra.  Molti  t^ 
ali  procedeva. 

24.  il  primo  legno,  il  liaMaa. 

25.  atte  rote  ti  tornar  te  iotmt, 
or'araa  prima  che  s'avaatasaaro  sia  al 

Cdai  grifoaa:  la  teologali  npraaor 
^  >  preseo  la  raota  destra,  alla  liai- 
atra  le  altre. 

26.  il  benedetto  coreo,  il  earra. 

27.  Si  che  però  ee.,  sicché  il  pi- 
Isaa  aaa  ebbe  uopo  di  lare  aleeaa  alar- 
10  a  tirarlo;  dal  che  aviabbara  dal» 
tagao  le  peone  crollaado. 

2S.  U  Mia  éomia,  Maéalda.— al 

oareo,  eieè,  al  Irapaaiara  il  Same  Leto. 

29*50.  f  «gailavaai  la  rala  fc. ,  < 


Che  fé  l'orbita  sua  con  mìoor  arco. 

Si  passeggiando  l'alta  selva  vota. 
Colpa  di  quella  eh'  a)  serpente  creaa, 
Temprava  i  passi  ita'  angelica  Dola. 

Forse  io  tra  voli  tanto  spazio  prese 
Disfrenala  saetta,  quanto  eràmo 
nimoasi,  quando  Beatrice  scesa. 

Io  senti'  (Qormorare  a  tutti:  Adamo! 
Poi  cercbiaro  una  pianta  dispagltala 
Dì  fiori  e  d'altra  fronda  in  ciascun  i 

La  cliioma  sua,  cbe  tanto  si  dilata 
Più,  quanto  più  è  su,  fora  dagl'Indi 
Ne'  boschi  lor  per  altezza  ammirala. 


é 


mi      iiennl  itluu  inuiulo.'C:  ridditi  tam 
■  di      tulli  Caiarit  Catari;  t  cbr  toa  bil- 

.  •  Il         OtraMltriRM,  w    H    hffì  t  li    U«H 


Il   di  UUi.  Dalla  •^*^ìt  im 


m^^yi 


»I.Ui 


ikt  il  fft  ni  prw<  il  (snr».  Vuli  nnade.  Sdd  aoHti  ì  pmiBcnii  M- 

.  I>  ni'li  !7-  l'Àliflliim. 

SS  Trm/mnat  palli  tm'angtllca  3X.   «rcUars  «M  pianta.  Qt- 

■ni 'dalU  nMiiU>i.  L' •Min  («io-  w  >uui.  Rou>*  «Uro  Jtll*  noon^ 

TMipraM  i  pani  fa  aitftUea  m-  dnie  CnMe  ptr  omo*  di'iiuù  Af—lai 


e.  Ini.! 


qlIllUrIti|Hil'a(ulr>Bdl«d  i>|uIiiim. 

La  lirlà,  cìsè,  osa  ■llwrgiiia  pie  wl- 

r  .u>.H   ■.•lan.  \eii  il   titr.tU  At 


CANTO  TBIiminiQaCO?fDO. 

Beato  se^,  grìto,  che  ma  dmcMi 
Col  bacco  d'esto  legM  dolee  al  gusto, 
Poscìachò  mal  ai  toree  il  ventre  <|iilBdi 

Cosi  d*  intorno  all'  arbore  robusto 

Grìdaron  gii  altri;  e  rammal  binato: 
Si  si  conserva  il  sohm  d*  ogni  ginstow 

E  volto  al  temo  cb*egti  avea  tirato, 
Trassek)  a  pie  deUa  vedova  fraaca; 
B  qnel  di  lei  a  1«  lasciò  legato. 

Come  le  nostre  pianta,  quando  casca 
Giù  la  gran  loco  oiischiata  con  qoaUa 
Che  raggia  dietro  alla  celeste  laaca, 

Turgide  fansi,  e  poi  si  rinnoveUa 

Di  suo  color  ciascuna,  pria  che  1  Sole 
Giunga  li  suoi  oorsier  solt'  altra  atella; 

Men  cbe  di  rose,  e  più  cbe  di  viole, 
Colore  aprendo,  a*  innovò  la  pianta, 
Che  prima  avea  le  remora  si  sole. 

43.  cfte  non  dUcindi,  cbe  «•!  tM 
Leeco  doo  ■piccbi,  dod  to^i  nulla  di 
^oaf  alWro ,  la  cui  dolccsa  fa  al  f«- 
acata  ai  ««atri  padri.  lutarpreta  aacoo- 
àoAè  aMnaa  detto  sopra  alla  nota  37. 


475 


M 


66 


60 


ara  di  lei  ^  cIm  a  lai  apptrtenaTa.  Cri- 
ato  fondò  la  aaa  Chicaa  nell'  impero  a 

r  l'impero;  a  aapiealameota  il  eh. 
Pooia  ael  aao  Diaeorao  aalKallafaria 
dd  Sacro  Poema  onenra,  eha  ia  yeita 


44-45.  doire  ai  gutUt  et.  Secondo     fiilto  dei  frifooe  di  la«iara  il  tii 


n  aanao  letterale  iot.:  ì  cai  fratti  aono 
dolci  al  gvato,  ma  rei  alla  talnle,  dap- 
poiché il  Teotre  de^primi  nualrì  padri 
gmtnéi  (cioè  per  qoeata  cagioae)  ma/ 
ii  torte,  ai  coalorae  per  fieri  dolori,  o, 
■apramente  fu  tormentato.  Nel  modo 
ateaao  i  Latini  diruno  mo/e  torqutri. 

47.  Mnalo,  di  due  nature,  di  do^ 
pia  origine. 

48.  5i  fi  conterrà  il  teme  d'egni 
gimtU»'  0011  si  serba  il  principili ,  il 
foodameotod'o^i  (fiastizia,  a  percfaè 
nella  distinzione  delle  due  poCeatè  a 
nel  rispetto  loro  rccipnic»  è  ripoato 
l'ordine  primo  delle  cose  qaaggià  ,  a 
perchè  il  disintf  resse  e  la  povertà  aono 
nei  aacerdiiti  principio  d*  ogni  rirla  ; 
d*  ogni  male  e  d' ugni  scandalo  il  poa- 
saaao  delle  riccliene  e  del  puiere. 

50.  della  veduta  f ratea-,  dell' al- 
bero spogliato  d'  ogni  Gore  e  frutto.  Il 
ariatianesimo  e  la  sede  pontificale  rin- 
aMvaroou  la  faccia  di  Koma,  gii  corrot- 
ta, e  portariin  V  ultima  perfetioae  alla 
civile  monaichia. 

51 .  £  quel  di  lei.  e  qnel  carro  the 


di 
legno  legato  al  legno  della  pianta ,  è 
nn  docomenta  che  il  papa  calla  ana  caU 
tadra,  Bf*iirata  nel  carro,  è  raoenaMnda- 
to,  «|«al  cittadino  tampitrala  a  memhro 
della  societh  ,  alia  tigtiansa  e  enra  dd- 
r  imperatore.  Vrtli  Canto  II  dairinf. 

58-34.  la  gran  luca:  la  Inea  del 
ade  viene  dal  delo  in  terra  miachialaaan 
la  laeo  del  segno  dell'ariete,  il  qaala 
riaplende  dtetm  alla  eeietU  laaea,  ciaè 
dietro  al  segno  de' pesci.  E  quaala  è  ca- 
rne se  ii  Fuela  dicesse:  qnanda  il  aola  è 
io  ariete  :  quando  e  primavera.  Nola  che 
prende  per  i  pesci  la  lasca  :  parche  vad»> 
ta  neir  acqua  contro  il  sole  pare,  coaae 
dice  il  L.<>mb4tdi,di  lacidimimo  argenta. 

55.  Turgide  fanti,  doè,  rigonftaio 
le  loro  nemiiie. 

56-57 .  Di  tuo  color,  di  quella  m- 
tnrale  «Ile  proprie  frandì  a  Sari.  — 
aoll'ollm  tiella,  aotto  an  diro  da*»- 
gni  dell»  xodiaeo. 

btf .  Colore  apresia,  aMUcnda  fearì 
an  colore  ec. 

GO.  ai  toU,  ai  diapogliatc  di  foglie 
a  di  fiori .  ^rwmorm ,  rami. 


lo  non  lo  intesi,  uè  quaggiù  si  canta 
L'inno  che  quella  gente  allor  cantaro. 
Né  la  nota  soflèrsi  luUaquanta. 

S' io  potessi  ritrsr  come  assonnara 

Gli  occhi  spieiati,  udendo  di  Siringa, 

Gli  occhi  a  cui  più  vegghitir  costò  si  caro: 

Come  pititor  che  eoa  esemplo  pinga, 
Disegnerei  com' io  m'addormentai; 
Ma  qual  vuol  sia  che  l' assonnar  ben  finga. 

Però  trascorro  a  quando  mi  svegliai, 

£  dico  eh'  aa  splendor  mi  squarciò  il  vela 
Del  sonno,  ed  un  chiamar:  Sm^i,  che  Tal? 

Quale  a  veder  de'  Coretti  del  melo, 

Che  del  suo  pomo  gii  angeli  fa  ghiotti, 
E  perpetue  nozze  fa  nel  cielo, 

Pietro  e  Giovanni  e  Iacopo  condotti, 
E  vìnti  rilornaro  alla  parola, 
Dalla  qual  furon  maggior  sonni  rotti, 

E  videro  scemata  loro  acuoia, 

Si  la  naia  (ofirii.  si  rasi     qnlla  cbt  *tt«idi  r|Uiii^  mi 
TS-8 


I  iim  iiiHD  ililiUo,  ialcw  d«i  pi  4t- 
pcr   Osi   Crictg.    Ci» 
i  jIoTHfTwil  wjtfj  pa- 
lata ,  ìM  iato  Ùa  tttcra  «Ma.  Cw  il 


L'TT" 


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liatfiBiiruHHit).Ch<  M  napoawfli 
éngcti  /!>  thiotli,  At  delli  «m  w 
Kui  più  ■ixrUiatiiM  i^bit*  IllBli 
gli  aagcli  e  gli  HMii  irta*  uBa&i  ■ 
triiili,  •  Japo  OHr  «dilli  *  Um  fH- 
cmi  ■  (laiKliiUi  dal  •litiao  talgmt  |i 
ornielli  diwcBoU),  Hlomora,  ■iriit' 
biro  illc  ixiole,  wrjiile,  d  ■alìltlt- 
•ur*.  ildUi  Inni  dd  Hc^num  |»Ni 


i  mUìI      «i'eIìi,  cU 

qwindQ      della  TnlimcD 
*  du«  di      ut*  UBirÌK 


I.  {«< 


CANTO  TRI 


4T7 


Cosi  di  Moisè  come  d*  Elia, 
E  al  maestro  suo  cangiata  stola; 

Tal  torna'  io,  e  vidi  quella  Pia 
Sovra  me  starsi,  cbe  condncitrìce 
Fa  de*  miei  passi  lungo  il  flnme  pria; 

E  tutto  in  dubbio  dissi:  (Ve  Beatrice? 
Ed  ella:  Vedi  lei  sotto  la  fronda 
Nuova  sedersi  in  su  la  sua  radice. 

Vedi  la  compagnia  che  la  circonda; 

Gli  altri  dopo  il  grifon  sen  vanno  suso, 
Con  più  dolce  canzone  e  piò  profonda. 

E  se  fìi  più  lo  suo  parlar  difliiso 

Non  so,  perocché  già  negli  occhi  m*era 
Quella  eh*  ad  altro  intender  m' avea  chiuso. 

Sola  sedeasi  in  su  la  terra  vera, 

Come  guardia  lasciata  li  del  plaustro, 
Che  legar  vidi  alla  biforme  fiera. 

In  cerchio  le  facevan  di  sé  claustro 
Le  sette  ninfe,  con  que*lumi  in  mano 
Che  son  sicuri  d'Aquilone  e  d'Austro. 

Qui  sarai  tu  poco  tempo  silvano, 
E  sarai  meco  senza  fine  cive 
Di  quella  Roma  onde  Cristo  é  Romano; 

Però,  in  prò  del  mondo  che  mal  vive. 

Al  carro  tieni  or  gli  occhi,  e,  quel  che  vedi, 
Ritornato  di  là,  h  che  tu  scrive. 

Così  Beatrice  ;  ed  io  che  tutto  a*  piedi 

82.  quella  Pia.  Matelda. 

88.  la  compagnia.  Int.  òtìia  Mite 

89.  ttn  vanno  tuio,  al  delo  onda 
son  Hiacfti. 

93.  Quella  eh' ad  altroiniender  §c. 
BMtrìce,  che  m'impediva  di  dare  ad 
altri  obbietti  rintendiroento,  l'tUca- 
fiooe,  eh«  tutto  era  Tolto  io  lai. 

94.  ferra  vera,  terra  pan,  ima 
contaminata  dal  peccalo  ;  e  in  altro  aeo- 
noivera  e  propria  capitale  dell'impero 
e  della  Chiesa,  ehe  è  terra  di  variti. 

95.  Come  guardia  ee.,  qaaai  la- 
«ritta  1)  gaardìana  del  mistico  carro  Lt 
Teologia  è  enstode  della  pontifiria  aad«. 
PUuutrum  chiamavati  dai  Bumaal  il 
cocchio  ove  andavano  le  matrona. 

96.  Che  legar  vidi,  ch'io  tidi  dal 
grifone  esser  l4>(;alo  all'albero. 


80 


85 


90 


9S 


400 


i06 


97.  elamttro,  qui  ata  per  eoroM, 
eootomo. 

98-99  con  que^lumi  m.,  eo'aiÉte 
eaodelabrì  che  mai  non  ai  apengono. 

400-^02  Qui  tarai  tu  poco  f wijn 
fiiiMMio  :  sarai  par  poro  tempo  tbitataM 
di  qaeata  aelva,  di  Italia,  di  ori  éVh 
figura  y  poiché  sarai  raeeo  par  aampra 
cittadino  Di  quolla  Roma  etaran, 
del  celeste  imparo ,  di  cai  Criato .  a^ 
eondo  T amanite,  è  il  primo  citlaoino. 


a,  come  IHo,  sommo  imperatora« 
nel  I  Canto  dell'  Inferno  :  Ck§ 
Fimperaéor  che  latte  regiM... 
vuoiehe  in  tua  eitté  per  ma  ti 

4Vll$.  in  prò  del  monda  eo.:  a  è^ 
cnmento  ed  ntilitè  di  chi  mal  thv,  in 
qnabiasi  rondizinna. 

40<M07.  che  tuUo  a' piedi  ee.  Co- 
•Ir.  e  iat.:  cha  tntto  amile  a' anni  piadi 


De'  suoi  comandamenli  era  devolo. 

La  melile  e  gli  occhi,  oV  olia  volle,  diedi. 

Non  scese  mai  eoa  si  veloce  molo 

Pqqco  di  spessa  oabe,  qnando  piove 
Da  qnel  contine  che  più  è  remoto, 

Com'io  vidi  calar  l'uccel  di  Giovo 

Per  l'arbor  giù,  rompendo  della  scoria, 
Non  cbe  de"  fiori  e  dello  Foglie  nuove; 

E  ferio  'I  carro  di  lutla  sua  Iona, 

Ond'ei  piegò,  come  nave  in  fortuna. 
Vinta  dall'  onde,  or  da  poggia  or  da  orza. 

Poscia  vidi  avvoDlarsi  nella  cima 
Del  [rionral  veicolo  una  volpe, 
Cbe  d' ogni  panlo  buon  parea  dìgiont.  ' 

Ha  riprendunilo  lei  di  laido  colpe. 
La  Donna  mia  la  volse  in  Unta  tuta, 
Quanto  sollérson  l'ossa  senza  polpe. 

Poscia,  per  indi  ond'era  pria  venuta, 
L' aquila  vidi  scender  giù  oell'  arca 
Dal  carro,  a  lasciar  lei  di  sé  pennuta. 

E,  qnal  esce  di  cuor  che  sì  rammarra, 
~  e  USCI  del  cielo,  e  colai  disse  : 


HO-I 


0  navicella  n 


.  {.-m 


«■*ls,  o  »•  i»  Buml*  amila  prow  nIli 
Af.  del  ko». 

i  17-1 1«.  I'mhI  d<«aM.I'*i|a1U. 

S'È; 


frsilti  col.' »«*>■! 

ril.ll.  *  f,à  Anaim 

d>l!m  jr...l>  itgV  rn> 

In   La  OnniM 


fOMTl    pi  ti^ 

£  Vàlt  bitalt 
»^  l"  T.bI*^, 


CANTO  TKEIfTESlHOOECOIVDO. 


41» 


Poi  pirve  a  ne  cbe  ia  terra  a*  aprisse 

Tr'  ambo  le  rote,  e  vidi  uscirne  an  drago , 
Cbe  per  lo  carro  su  la  coda  fisse: 

E,  come  vespa  che  ritraggo  P  ago, 
A  sé  traendo  la  coda  maligna, 
Trasse  del  fondo,  e  giasen  vago  vago. 

Qoel  cbe  rimase,  come  di  gramigna 
Vivace  terra,  della  pinma,  olferta 
Forse  oon  intenzion  casta  e 

Si  ricoperse,  e  ftinne  ricoperta 

E  r  nna  e  V  altra  rota  e  il  temo  in  tanto, 
Che  più  tiene  on  so<spir  la  bocca  aperta. 

Trasformato  cosi  il  dificio  santo 
Hise  fìior  teste  per  le  parti  sue, 
Tre  sovra  il  temo,  ed  «na  in  ciaacim  eanto. 

Le  prime  eran  cornute  come  bue; 

Ma  le  quattro  on  sol  corno  avean  per  fronte: 
Simile  mostro  visto  mai  non  fae. 

Sicura,  quasi  rocca  in  alto  monte, 

Seder  sovr'esf^o  ona  puttana  sciolta  * 

parvU  S  S.  Pieln»).  QiMnIo  ■•!   li      di  CotUntioo  e  d'illrì  illi  Chi 
ttaaiM  ^«cste  ricch«t>«,  questi  nfftìi 
poMMti;  rome  ti  deprimono  •  fondo  I 

431 .  Tr^ttmbo  le  rote:  tra  l' ani  e 
Filtri  roti. — «  tidi  uscirne  un  drago. 
Io  iatenderei  p«r  ^nnU»  éretgo  SiUm, 
cIm  fur  iovidii  spirando  nel  papi  la  p«t> 
riiBB  dilli  temporale  nnutleni,  iltin 
•  pcmrte  il  foodamenlu  delPedifiiio  di 
Cristo. 

433.  fogo,  il  pan;yif;lioni. 

135.  Tratte  del  fondo,  tirò  scio 
vai  pirte  del  fonilo  <lfl  carro  II  fondo 
rapito  dai  drago  è  lo  spiriti)  d*iiiiitllé  e 
dì  |KH>«r(é.  posto  da  Gt««u  Ciisto  a  foo> 
dimenio  e  principio  Holla  sua  Chicu.— 
^eigo  vago,  tortuoso,  e  nei  huiii  ivvotgi* 
■eoli  mostrando  Ifliiia  del  rtdpo  fitto. 

436.437  (^/e*irtin«se  <^wlrll• 
raitè  d«l  nrro  dfipii  toltiHif  il  fmMlii:  li 
cittedn  di  S.  Pielm.part  tane  l'mnillè 
per  il  pestifero  soflo  di  Sauna..— cmim 
di  ^««slfMi  «.,  come  feitile  tirrf  o 
IraMndati»  si  copre  di  |;rimigni,  si  i»> 
pirli  ec.  I  preti  cmninetMron d'allori  • 
carir  pia  li  terra  che  il  cielo,  pr«  il 
corpo  che  l'inimi,  onderhe  il  vifni  lei 
Sigoere  deserti  s'empì  «li  mal' erbe. 

4  3S . Forte  et»  inéeniùmoe.:  i  dosi 


130 


135 


140 


I4& 


wiM,  mirivam»  il  mif  gion  ipl— dora 
dil  mito  e  il  sovreaiiiicalo  4r  poviti. 

440-M4  in  tanto  ee.  Intendi  rio 
BÌnor  tempo  rhe  l'uomo  non  s«»spira. 

442.  TratfnrwuUo ,  mutilo  coti 
dilli  sua  primitiva  formi;  di  povera 
ed  amile  vcnnio  rirco  e  saperbo  —  U 
di/teio.  Il  iiiacrhìna,  il  cirro. 

143-446.  Mue  fuor  tette  ce.  È  di^ 
Scile  imlu^inai-i*  t|ui  il  conretto  del  ?!•- 
Il  Mi  e  probabile  che  per  queste  ImIi^ 
«pilli  a  due  corni,  quali  ad  un  solo  cor- 
so, abbia  vidulo  signiScire  i  diversi  vifj 
lopravvcnuti  nella  Cuna  Rumini  per 
Il  indebita  icresaiune  delli  riecbeiM  • 
del  temporale  dominio  Le  teiste  e  dai 
eorai  potrebbero  figurare  quelli  cbi 
ofteodono  i  piqitdi ,  e  quelle  e  ■■  ni 

w  i  rigj  pnvaii.  E  p«ilrcbbe  meh'w 
ebe  i%esar  vuluto  sigmfieira  11  ^ 
irti  aliene  dal  suo  institato  di  dM 


potiMB. 

lUtic»' 


premnniio  essi  Cai  il 
1  imti  wimento  delli  sua  miovi 

447.  riilo.  Gw  virj^icntliti  Ci»» 
dici.  La  eom.  in  vtfll«. 

449  uma  puttana.  Il  Pkpi  io  g«. 
aerali ,  come  principe  temporale  im» 
listo  j  itorìeiBMOIi  è  dnigMlo  print 


uEL  rtmcATOftio 

M'  apparve  con  le  ciglia  intorno  pronle. 

E,  come  perchè  non  gli  fosse  tolU, 
Vidi  dì  costa  a  lei  drilto  un  gigante, 
E  baciavansi  insieme  alcuna  volta: 

Ma  perchè  l' occhio  cupido  e  vagante 
A  me  rivolse,  qael  feroce  drudo 
La  Flagellò  dal  capo  insin  le  piaole. 

Poi,  di  sospetto  pieno  e  d' ira  crudo, 

Discìolse  il  mostro,  e  Irassel  per  la  selva 
Tanto,  che  sol  di  lei  mi  fece  scodo 


I 


Alla  puttana  ed  alla 

.iiaTltl,i>poiClRDeDta~ 
Kf.llCISll  Frinril,  e 

'"■<"  "'"'■'FP'  il  B<llo. 

■I  ritegno  di  pudore^ 


»  belva. 


comi  pirekt  lun  qU  firn 

Ufi  fmndo  fuirdii  perchè  ■]' 

Hi» 


niaj  il  GliilxllioI ,   ntinlc 
li  Fnixii. 
I,  In  /IngalM  n..  «»|>< 


BonUiiis  Vili  Jopa  ebt  >'<aim>ar>» 

Mi.  Diielolu  ti  mailTo.  k»^ 

il  ctrro  dall'ilbe»  or' eri  fUM  !({•■> 

ilil  gri/oM    È  nià  ou  protali  doltj 

-     ibùr>i«i  dell*   Sedt   Apndolio  it 

o>  ad  Aiiipiom,  rha  •TTinn*  <w 

I  anni  d"pa  11  iiiNBagiiuu  nn«t. 

ftr  la  niv»,  attnima  li  hIii. 

>rinind"t(  [uDri  i'  llalia. 

ISO-ieO  aoldfMK-'ioloJiiM 


CAIVTO   TRGKTEStnOTEKBV. 


Deus,  l'enerunt  gentes,  allernando. 
Or  tre  or  quBllro,  dolce  sulmodia 
Le  donne  incomtnci.iro,  lagrimando; 
E  Bealrice  sospirosa  e  pia 

Quelle  QKco.ldva  ei  falla,  che  j«ro 
t-i.  nnu.rmm«t3tittn....pat-  J>diH>ii>Ja»>nfiuiiira,  d 
Iwntnl  tuHplum  lantlam  Iwani  «e.  £  Mtt  «f mnriia  aUamaiu 
>iSalnii>LXXVlll.>.rh.nal>ilnl]a>id  ■llfnial..aiii.»(>|  or  I»  or' m«« 
rrtrtót  It  miiH  •  li  aliUniinaiii'Di  eh*  (un  Ir  in  Viri*  iwlonali,  «n  [■  ^h*- 
ÌIm««M  «icr*  nel  Tenijiio,  t  iiii««  Irò  «pdinilil  -  Ani.  vnMTWil  HaMr. 
il  br«M»  di  Din  ronim  gli  operaluri  di  4.   E  Bftrii»  tt,  ftrranda  il  hb> 

Bull  tb*  dunvaos  •rnir*  driulia  •      dell*  Srda  A|<iaUil<H. 

ull*  mIwom  par  »aHi>ir  dalla  iraala-  S    ai  falla  tr.,  ai  pallida  in  bada 

aiaaadaflaSulaSadaiarraMia.CMtr.:      par  l'aai      * 


'  Ji 

""'ara,  tafrfN^^^^I 

aKanao/to  (mÌ^ 


CANTO  TBENTESIIIOTEBZO.  Ì8I 

Più  alla  croce  si  cambiò  Maria. 
Ma  poiché  1*  altre  vergini  dier  loco 

A  lei  di  dir,  levala  dritta  in  pie, 

Rispose,  colorata  come  fooco: 
Modicwn,  et  non  vidMHs  me,  io 

Et  iterum,  sorelle  mie  dilette, 

Modieum,  et  vos  videbitìs  me. 
Poi  le  si  mise  innanzi  tutte  e  sette, 

E  dopo  sé,  solo  accennando,  mosse 

Me  e  la  Donna,  e  il  Savio  che  ristette.  15 

Così  sen  giva,  e  non  credo  che  fosse 

Lo  decimo  suo  passo  io  terra  posto, 

Quando  con  gli  occhi  gli  occhi  mi  percosse; 
E  con  tranquillo  aspetto:  Yien  più  tosto, 

Mi  disse,  tanto  che  s*  io  parlo  teco,  20 

Ad  ascoltarmi  tu  sie  ben  disposto. 
Si  com'  i*  ftii,  com*  io  doveva,  seco. 

Dissemi:  Frale,  perché  non  V  attenti 

A  dimandare  omai  venendo  meco? 
Come  a  color,  che  troppo  reverenti,  s6 

Dinanzi  a  suoi  maggior  parlando  sono, 

Che  non  traggon  la  voce  viva  a'  denti, 
Avvenne  a  me,  che  senza  intero  suono 

Incominciai:  Madonna,  mia  bisogna 

Voi  conoscete,  e  ciò  eh*  ad  essa  é  buono.  30 

£d  ella  a  me:  Da  tema  e  da  vergogna 

Voglio  che  tu  omai  ti  dis^'ilnppe. 

Si  che  non  parli  piò  com*  uom  che  sogna. 
Sappi  che  il  vaso,  che  il  serpente  ruppe. 


9.  colorato  come  fuoco,  dÌTini- 
paate  à\  zelo. 

i  0.  Modieum,  et  non  ridtbiUi  «M. 

•  Anc(n>a  un  poco,  e  nun  mi  vedrete,  e 
iioramente  un  poco,  e  voi  mi  veilrate.  • 
Parole  di  Grati  G'iato,  colle  qaali  pre- 
ilieae  a'  aooi  diacept'li  cbe  fra  pi>eo  pli 
avrebbe  laaciati  e  aarebbe  aalilo  al  ac- 
lo.  Qui  ai  adattano  alla  paitrnia  de'aa- 
cri  diittori  da  Roma,  dulia  Sanu  Sede, 

•  al  aollerito  Iure  rìtiiroo  iu  «|uetla. 

43-^5.Coatr.:  Poi  miae  inoanii  a aè 
le  etile  Virlià;  e  aolo  Tacendo  ceoiio.  die* 
ir»  eè  mone  Me  e  la  Uonna{UetAÌtk\^é 
il  Smelo  eherUtetle  (Siaaio),cbe.  parti- 
to \irgilio,  rimale  in  ouktra  compagnia. 

4$.  Qumndo  eom  gli  oeeki  oc.: 


quando  percosse  i  mici  occbi  eoi  fai- 
gore  dei  tuoi  :  quando  guardommi. 

19-20.  l'impiii  lofio  ce.  .'accelera 
il  ptsio  per  venire  meco  a  paro.  — 
tallio  che,  arCnchè,  eo. 

23.  non  l'attenti,  non  Ci  arriacU. 

24 .  À  dimandare,  a  far  delle  inter* 
rogazioni.  La  Nidob.  èà  altri  Maa.  À  d^^ 
wumndarmi. 

27 .  non  Iraggon  to  «oca  «fra,  oca 
la  Iragjjouo  intera,  proonoiiate  disUa- 
temenle,  ma  balbettano. 

50.  è  buono,  è  coBvemmte. 

53.  com' noi!  ek§  eognm,  il  qult 
parla  con  parole  troocbe. 

54.  il  rofo  ec.:  Parca  del  ctrro 
afoodata  dal  icrribil  drago. 

31 


i 


■  m 


nr.L  FURCATnttiu 
Dì  non  celar  qusl  hai  vÌHta  U  pisnla, 
Ch'é  or  due  volle  dicubata  quivi. 

Qualunque  raba  quella  o  queUa  srhianUl^ 
Con  bestemmia  di  fallo  offende  Dìo, . 
Che  solo  all'  ow  suo  la  creò  santa.    ■ 

Per  morder  quella,  in  pena  ed  in  disio 
Cinqnemir  anni  e  più,  l' anima  prima 
Bramò  rotui  che  il  morso  jii  sé  puniA. 

Dorme  lo  ÌDgegiio  tuo,  se  non  islima       .    , 
Per  sìn^alar  cagione  e. 
Lei  tanto,  e  si  travolta  nella  cima. 

E,  se  stali  non  foWTO  acqua  d'  Elu 

LI  pensler  vani  inlorno  alla  tua  mente. 


CANTO  TRENTESIMOTEEZO. 

Per  tante  circostanze  solamente 
La  giostizia  di  Dio  nello  interdétto 
Conosceresti  all'  aU)er  moralmente. 

Ma,  perch*  io  veggio  te  nello  intelletto 
Fatto  di  pietra  ed  in  petrato  tinto, 
Si  che  t' abbaglia  il  lame  del  mio  detto, 

Voglio  anche,  e  se  non  scritto,  alroen  dipinto, 
Che  *i  te  ne  porti  dentro  a  te  per  quello 
Che  si  reca  il  bordon  di  palma  cinto. 

Ed  io:  Si  come  cera  da  suggello, 

Che  la  figura  impressa  non  trasmuta. 
Segnato  è  or  da  voi  lo  mio  cervella 

Ma  perché  tanto  sovra  mia  veduta 
Vostra  parola  disiata  vola, 
Che  più  la  perde  quanto  più  s' aiuta? 

Perché  conoschi,  disse,  quella  scuola 
C*  hai  seguitata,  e  veggi  sua  dottrina 
Come  può  seguitar  la  mia  parola; 


485 


70 


76 


SO 


85 


70-72.  Per  tante  eireoMtanxt  te. 
G»tr.  •  int.:  solamonle  per  tali  e  ti  gra- 
vi «raoilaose  (ruol  dire  dell' «sMr  l'al- 
bero tliitiiilio  e  travolto  in  cima),  n» 
goardando  ad  esso  albero  tnoralmeota. 
•ppatlandoua  il  senso  morale,  avresti 
potato  conoscere  la  gìuslixia  di  Dio,  gli 
alti  esoi  fini  nel  divieto  intimatooo  al- 
Pvomo.  Tatti  i  dbordiiii  della  Cliieaa  e 
4dJ'Italia  SODO  nati,  secondo  il  Poeta, 
«la  BOD  essere  stata  rispettata  dal  papa 
Paatoritè  imperiale. 

74.  Patto  di  pietra,  pietrificato. 
—  ili  te  ptirato  tinto,  e  tinto  in  coler 
pattato,  cioè,  livido,  scoro,  qoal  è  il 
color  d'essa  pietra.  —  Fatto  di  pioira 
rigearda  l'iiiaarìniento,  e  rispondo  agli 
auelti  dell'acca  d'Elsa  sopra  indica* 
ta.  -»  in  potralo  tinto  rigaarda  ia  a^ 
aerala  l' a/ltras t'onc  della  prima  cbia- 
raBia,e  ricbiama  la  gelsa  fatta  di  biaaep 
rotai,  alterata  dal  pi  imo  candore  per 
il  sangae  di  Pìramo.  Dd  resto,  Piade- 
rameeto  e  P  offescamentu  ddP  ielalletto 
aoBo  affetti  in  noi  della  maieria  e  dalla 
colpa.  Molti  testi  leggono  erfiii|Mccele 
Nule.  Ma  io  son  d'opinione  cIm  Dante 
▼oleedo  dimostrare  la  coodiiioee  dal* 
Vìatellctto  si  debba  esser  servito  d'idea 
reett  e  aanailMli,  bob  di  altre  aitralla; 
e  aveade  cominciato  colla  daretta  della 
pietra.  Bea  debba  avar  fiBite  col  eohr 


del  pBceaio.  Ottimi  testi  portano  la  le- 
none die  io  adotto,  e  PAoonimo,  tra  gli 
altri,  cementa  così  :  •  Io  veggio  dò  che 
io  bo  detto  di  sopra  a  te,  che  t' ba  impe> 
trato  ;  e  la  pietra  è  tinta  di  braan.  A 
che  non  to'  atto  a  ricevere  la  loca  lol- 
gida  del  mio  mistico  parlare  :  •  doè,  tB 
se^Boo  solo  impietrato  ndPintdletle, 
ma  anebe  tinto  del  color  della  pietra. 

77-78.  Che  H  Une  porti  ee.,  cbe  ti 
porti  dentro  a  te,  eiroeno  adombrato, 
esso  mio  detto.  —  ver  quello  ae^t  a 
qnd  fine,  cioè,  per  dar  segno  di  ^dlo 
cbe  fasi  veduto,  come  fanno  ipdlegrìoi 
ritornati  dalla  viiiita  de'  sacri  laogbi 
della  Palestina,  che  portano  il  bordeaa 
ornato  di  foglie  di  palma  ìb  segno  di 
esaere  stati  in  quella  rcgiooe  abbia- 
dante di  tali  alberi. 

82.  iovra  miavedula,  sopra  Via» 
taBdimento  mio. 

84.  quamto  pt4  s' oMm,  fBaalB 
pie  si  adopera  per  intenderae  i  nàte 
eaocetti. 

8&-86.  Perchè  conoiehi,  àUtB, 
fvtlla  teuoU  C'hed  seynOate:  aHa* 
cbè  ta  conosca  qv>nt'  è  debde  li  lat 
iCBola,  doè,  qeella  SloaoAa  a  evi  è  aalt 
g«ida  P  amane  ragione. 

87.  Coaie  pmò  taguUmT,  fuaH» 
Taglia  a  aegaitare  e  teacr  dictre  ifH 
dti  Biid  concetti. 


E  vep^i  ^oslravÌB  dalla  divina 

Disiar  coUinlo,  qvacilo  si  discordn 
Da  (erra  il  ciel  che  più  alto  festinB. 

Ood'  io  risposi  loi:  Non  mi  rìrorda 
eli'  io  Klraniassi  ine  giaRimai  da  \o'. 
Né  lionne  ro'4cÌenzia  die  rimorda. 

E,  se  lu  rirordar  non  te  ne  puoi, 
Sorridendo  rJa|iD%,  or  ti  ramEW^nlB 
Si  come  di  Lelé  beesll  ancoì  ; 

E,  se  dal  fumo  fooca  s'argomenta, 
CutegUi  oblìvion  chiaro  (-onrhiode 
Colpa  nella  tua  coglia  allroie  atienta. 

Terameiite  oramai  saranno  nude 
Le  mie  parole,  quanto  convermvi 
Quelle  scovrire  alla  loa  visla  rode 

E  più  corrugco,  e  con  più  lunli  .passi. 
Teneva  il  Sole  Ìl  cerchio  di  merigge, 
Che  qua  e  là,  corno  gli  aspelli,  tam, 

Quando  s' afD-sser,  li  come  s'  alfi^^e 


tB.  sottra  via.  In  nicna  amiiw. 


J03  (I 


MiJintnIaK.lul.: 


■  B(M*«  •■•» 


intH   più   «pltnilBOM  i|(HB4a  ■*! 

ubiiigui  E  iw  pi6  W«B   k«lti 
>..Flcr*.  —  Csn  pm  ImU  ptmi: 

I,.  il  t.ìl«  i  Bt\  ccrihio  iB«U» 


1)1  mi  rltoTda,  non  mi  loru 


ì 


«aVncil«,y«nfa,M  (mim  Uni*  r 


«.mi.  Rii  ..tifali    II  B.b  Uggt  Om 
fin  I  là  4iimt  fa  tprrm  ttai,  tM, 

chi  niilB  H<n»lB  il  girtr*  il«llii  ifan 
wlBlr,  n  ilrl  aslr,  IlIurB"  Il  tHra. 
loA-IM   Quaml.ii-amuTtt.ti' 

cni'  l'Alp*  pvrb  ■Htr*  i  Him  IctiUt  ni 


MiMiDtai 
ari  adi'  Eh 


■  uà  U  tip-      d«>*  finiH  isHikn  liilla  fvmta-aba 


J 


CANTO  TRENT£SmOT£EZO. 

Chi  va  dinanzi  a  schiera  per  iscorta, 
Se  truova  novitatc  in  sue  vestlgge, 

Le  sette  donne  aJ  fin  d*  uo'  ombra  smorta, 
Qual  sotto  foglie  verdi  e  rami  nigrì 
So\ra  suoi  freddi  rivi  TAlpe  porta. 

Dinanzi  ad  esse  Eolrates  e  Tigri 

Veder  mi  pan'e  uscir  d' una  fontana, 
E  quasi  amici  dipartirsi  pigri. 

0  luce,  0  gloria  della  gente  umana, 

■Che  acqua  è  questa  che  qui  si  dispiega 
Da  un  principio,  e -se  da  sé  lontana? 

Per  colai  prego  delio  mi  fu:  Prega 
Matelda  che  il  li  dira.  Equi  rispose. 
Come  fa  chi  da  colpa  si  dislega, 

La  bella  Donna:  Questo,  ed  altre  cose 
Dette  li  son  per  me:  b  son  sicura 
Che  r  acqua  di  Lete  non  gliel  nascose. 

£  Beatrice:  Forse  maggior  cura. 

Che  spesse  volte  la  memoria  priva. 
Putto  ha  la  mente  sua  negli  occhi  oscura. 

Bla  vedi  Eunoè  che  là  deriva: 

Alenalo  ad  esso,  e,  come  to  se*  usa, 


M 


no 


l'5 


120 


li'é 


9mUgg€,  De'tooi  patsi,  su  U  •tnda 
«Im  Imim. 

412  EufrateM  e  Tigri  Sono  due 
de* ^natilo  Cunn  che  la  Bibbia  poor  ch« 
IDO  ut\  para(iift«i  Irrif^lre  da  un  m^ 
fuote,  ai  quHii  il  r«H>la  qui  Mh 
ngcNU  i  fiumi  Lt'lc  ed  Kiiiioè  già  da  lui 
dcacritti  ne' Canti  aiitfccdeuti. 

i  14.  pigri,  lenii. 

44%.  O  lurt,  o  gloria  et.  Nel  aeiiM 
morale:  o  Teolof;ia  ,  fin|iu*nza  c«>lei»le  • 
glorìa  dalle  geniì  iiniHiie  !  E  u<>l  LI  delf 
Ìmf.:0  donna  di  rir'ii,  *vla  per  cui  te, 

4 16- 117  ■  <i  diipirga,  ninnve ,  aea- 
terìtea.  —  Do  un  principio,  da  una 
fBcdaaima  fonte.  —  e  fi  <'a  »é  lonUMM, 
àWtàfmóan  m  due  rivi ,  alloBlaDa  Doa 
ptfle  di  té  dall'altra. 

449.  E  qui  ri$pote:  e  a  qneiia 
din  tiapoae  inrontunculo  la  birUa  do»- 
oa.  QvaalB  Mdklda  è  pt^u,  eome  l'è 
detto,  per  figvra  della  vita  attiva.  Cha 
nel  ienso  letterale  sia  la  conlttsa  Matilda 
di  Toscana  ,  non  par  nrobubilc,  perchè 
Dante  cantore  dell'  Impero  e  sosteni- 
tore da' diritti  imperiali,  dirficilmente 


avrebbe  mcaaa  in  ù  balla  luce  una 
donna  ,  che  ognun  sa  quauto  fu  ti*aera 
del  Papa  a  danno  dall' ioiparalora,  e 
eome  poi  las«iò  toit' i  tnot  Stati  jJla 
Chiesa.  Ma  se  questa  nuo  è,. mal  n  può 
indovinare  ebi  sia;  e  credo  biaogàarà 
ritenerla  come  pura  idea. 

120.  Come  fa  chi  da  eoipase.:  co- 
me fa  «Ili  si  liiffnde  da  colpa  apposta§li. 

121  La  bella  Donna,  Matelda. 

122  Delle  li  ion  per  me:  gli  aono 
state  «la  me  •lette.  \  cdi  il  Canto  XIWH. 

125.  Ckel acquo  te.:  che  Ftcque 
di  Li-te  non  gli  lolsaro  momoria  di 
quello  che  io  gli  dissi. 

Ì2I-12G.  maggior  rwro.  tForsa 
naggior  cura  (quella  di  veder  BeaUier), 
It  quale  allesso  toglie  la  mamoria  ri- 
spetto alle  altre  cose  che  moao  iatatti. 
taao,  ha  otfuscato  il  lume  dolb  aoa 
manie  iotorao  .a  ciò  che  gli  dicmti. 

.427.  £Mnoé.  Altro  £ama  dal  Fon, 
diso  terrestre.  L'Ennoi  rende  la  memo, 
ria  del  bene. 

42S.  eome  tu  ee'usa,  nceome  sei  usa 
di  fare  alle  anime  che  quassù  vengono. 


E  veggi  vomirà  via  dalla  divina 

Distar  cotanto,  quanto  si  disrordn 
Da  [erra  il  ciel  che  più  alio  festina. 

Ond'  io  riBpiMi  lei:  Non  mi  ricorda 
Cij'io  straniassi  me  giammai  da  ivi, 
Kè  honne  cosTÌenzii]  che  rimorda. 

E,  se  tu  ricordar  non  te  ne  puoi, 
Sorridendo  ris|io~e,  or  li  rammenta 
Si  come  di  Lete  beesli  ancoi  ; 

E,  se  diil  Turno  Tiioco  s'argomenta, 
CotesUi  oblivìon  chiaro  concljiade 
Colpa  nella  tot  voglia  attro\e  attenta. 

Veramente  oramai  saranno  nude 
Le  mie  parole,  quanto  converrn»! 
Quelle  MMvrire  alla  iva  vi»ia  rode 

E  più  corrusco,  e  con  più  lenti  passi. 
Teneva  il  Sole  il  cerchio  di  merigge, 
Ct«  qua  e  là,  come  gli  aspetti,  tatai, 

Quando  s'  aiB.>Mer,  si  come  s' affigge 


PARADISO. 


iSS 


DEL   PURGAI 


ESI  MOT  ERIO. 


La  tramortita  sua  virtù  raviiva. 

Come  ttiiima  gentil  cbe  non  fa  scusa, 
Ha  (a  f\ia  voglia  della  voglia  nltrui. 
Tosto  com'  ^  per  segno  liior  dischiusa; 

Cosi,  poi  che  da  essa  preso  Fui, 

La  bella  Donna  mossesi,  ed  a  Stazio 
Donneseamenle  disse:  Vien  eon  Ini. 

S'io  avessi,  lellor,  più  Inngo  spailo 
Da  scrivere,  io  pnr  cantere'  in  ))arto 
Lo  dolce  hcr  che  mai  non  m' uvrìa  sazW, 

Ha  perchè  piene'  son  lotte  le  carte 
Ordite  a  questa  Cnntica  seconda, 
Non  mi  lascia  fiiìi  ir  lo  fren  dell'  arte. 

Io  ritornai  dalls  santissim'onda 
Biratlo  si,  coinè  piante  novelle 
Itinnovellale  di  novella  fronda, 

Puro  e  digi)osto  a  salire  alle  gtelle. 

iìS.  Lo  Iramortila  te.:  cint,  Ini      in  qnnla  dna  prima  Cinlii 


I 


n  ìt  bu'ii 


virtù      «».)  « 


kbilo  clic  per  «LciiD  hti^o  o  di  voci 


i59  da  tua  priin  fui.  tui  di  Mi- 

per  r  umiill  r<ti<«°  Bw»»  •  «letali 

tdd.  p»w  p«  n,.«». 

1».  l'tm  cnn  lui.  Srmh,  tU  con 

d<l]t  divini  gruii,  che  richie»)  ià 

^atHt  pirok  MiL'litn  T.-fllii  «i..i<ire 

l'inlcrno  prcpinla  •!  pKcaUn  ^ 

SI»i..pBnliC8riÌBq«H'«.|«.,p« 

Hlu,  c  pn  and.  lem.™  I«  d..r««> 

r>m  <leni<>  di  uìna  il  d«lD  ,  tvcndo 

griJ»  )  graJn  ii  rimedi  dell*  cràda* 

coli  |ik  apì-l»  1'  •>'•  "'Ipe  nel  l'urrp- 

luti  e  cMli  .■■«nenie  «parili ,  rilonu  • 

KaViaalii  di  groili  di.DDt. 

quella  pur'ilii  c  ehieirai  d'injna,  cW 

iS7.  lo  pur  eanlm' in  pariti  f tv 

la  rcnJ.-  (.li.*  IO  >t  tlMM ,  ■  U  (•  df 

qaut,  (n»  p«.ibil.  ^  Inu^uau  .  U- 

sur  di  Dio. 

115  aIhtl«U<.ilP>r*d<».QiM- 

""m.  V'ioltf  ttr,  la  dolo™*  d.|. 

Ir"  |[i»iiii  111  iiupicgilo  il  P.wti  in  Pai^ 

1'ia|M  d<l  Dd>n«  Ecioe,  d«II,  ^udli 

Baliirin.  VeJaI  cncninciBra  il  priugtl 

m!>IItittÌMi>I.IJ>. 

Cii"  1!,  ..  1 ,  C«  era  •!  tnl.  aU-wft- 

141.  b /y-m  dall-arfr.  !■  <^H* 

icfflle  iÌu.ntB  :  il  ircmido  .1  Cote  «, 

a<ilP>r(e ,  chi  •nule  che  «  oucrvi  un* 

V.  13.  A>«-«-a  tki  romintim  i  iriiH 

lai  La   roBdinrHH.-   il   Uno  il   Cm- 

Hllo  1»  jxr». 

tc  Xl\,  y-  < ,  Atirnni  t»*  •»««*  il 
calor  diHmp  M..-  il  an.,10  „||.  Igi 

143.  «mw  pianti  natiti»  tt.  Là 

ee»  Mara  ■i>cbt  pn-  qn»l«  uUlii«  pt- 

d^ltiuiD  XKUl...  453,  r««UiJ 

Soictaiii/V«ito«r«i*cfc 

FINE  PEL  punoATonio.                            ^^H 

DEL  PARADISO 


•        • 


CAST»   «RIMO. 


JVrl  primo  e^nl»  dopo  tm  itnrcem%iùim  d^AptUto 
fttno  U  p'imo  €Ì*lo,  « 


éml-PmrmdUo  Itmstrt  i*mlu> 
mi  mUmmi  éuktémml  dm  tuL 


—  ,        ,  j    _    .-    _        -  -_   -  ^  —    ,    —      _    _.    ,^__v. 

tratporUto  dalla  fona  tteua  die  rota  i  Cieli,  e  dalla  Ina  iprapre  cresreote 
^egli  ocelli  di  Btairìce  che  l' arroaipagin ,  «':a)xa  dall' aao  all'altro  P Alighieri, 
e  io  ciascuno  dì  essi  gli  apparineoao  qna'  beati  spirili  che  furooo  impressi ,  tì- 
vendo,  della  viilù  propria  di  qaal  piaDeU. 

Mararifflioso  più  che  altrove  è  io  qaetta  parte  il  genio  inrentiTO  del  nostro 
Poeta,  e  qai  singolarnieule  grandeggiano  le  poetiche  immagini  e  lo  stile. 

La  gloria  di  Colui,  che  lutto  move, 

Per  r  universo  penetra,  e  risplende 

In  una  parte  più,  e  meno  altrove. 
Nel  ciel  che  più  della  sua  Iure  prende 

Fu'  io,  e  vidi  cose  che  ridire  6 

Né  sa,  né  può  qoal  di  lassù  discende; 
Perche,  appressando  sé  al  suo  disire. 

Nostro  tntel letto  fu  profonda  tanto, 

Che  retro  la  memoria  non  può  ire. 


*  li  Paradiso  e  iifi  p-  ii!tii*n>'(ii  iHinle 
il  contentameiit'i  doil'iiiioUt  ilo  io  Dio, 
a  eoi  SODA  scala  le  sritruxe  e  guida  le 
Teologia,  ae  le  %irlù  attive  e  cunlcm- 
plative  aobian  circoiiduU  l'aniOM  por» 
gala  dalla  coinuione  della  materia,  e 
rinnovale  per  il  sauio  lavacro  del- 
l' Eanoè. 

4  «5  La  ghtria  te.  La  glcria  del* 
l'Eterno  ftluti>rc,rii>è  la  div.iia  luce,  ri- 
tpleade  de  per  lotto,  e  peoeiro  tutto 
nell'universo;  m^i  non  da  per  tutto  «è 
in  ogoisva  «pera  ngealmeiite.fìeleielo 
empireo,  eke  più  d'  o{pii  altro  eiele  è 
illfattrato  della  luce  di  Di»,  è  il  :tri«'efn 
maggiora  delle  sea  magoiiir*'ns«^  ed  iti 
le  anime  sono  pieiiameote  felià. 


6.  qual   chi,  o  qualunque. 

7.  iu  tuo  disire ,  al  fine  di  latta  i 
fooi  decider], al  sommo  bcnc,cbcè  IKo. 

8-d.  fi  profonda  Ionio  éc.:  eatra 
tddantro  si  nroftmdaroeote,  che- le  m^ 
Borie  non  w  virtù  di  tauergli  dietro, 
■e  si  perde  in  quella  profondità.  Le 
ragione  di  ciò  è  espresae  Cf>t'i  nelle  let^ 
fera  a  Con  Grande  r  •  É  da  seperù  oIm 

V  inWlIctio  ameno  in  aoeala  vite  a  ce- 
none delle  sue  s«<migliaiiia  e  afCoitk 
tW  tiene  colle  soataoxa  intellettaale 
sepereta,  allorquando  s'eleva,  e'elet'a 
tanto,  che  la  memoria  appreaso  la  soa 
loroata  vieo  omoo  per  avor  traaeeao 

V  amano  modo.  •  Aorhe  S.  Paolo  qoelle 
cose  cbe  vide  io  ano  sleiìcio  miracoloao 


CANTO  PBUIOU 

Si  rade  volte,  Padre,  se  ne  coglie» 
Per  trionfare  o  Cesare  o  poeta 
(Colpa  e  vergogna  deli*  umane  voglie). 

Che  partorir  letizia  in  sn  la  lieta 
Delfica  Deità  dovria  la  fronda 
Peneia,  quando  alcun  di  sé  asseta. 

Poca  favilla  gran  fiamma  seconda: 
Forse  diretro  a  me  con  miglior  voci 
Si  pregherà  perché  Cirra  risponda. 

Surge  a*  mortali  per  diverse  foci 

La  lucerna  del  mondo  ;  ma  da  quellai 
Che  quattro  cerchi  giugne  con  tre  croci, 

Con  miglior  corso  e  con  migliore  stella 
Esce  congiunta,  e  la  mondana  cera 
Più  a  suo  modo  tempera  e  sug«iella. 

Fatto  avea  di  là  mane  e  di  qua  sera 
Tal  foce,  è  quasi  tutto  era  là  bianco 


493 


30 


35 


40 


29.  Per  trionfare  o  Cetmn  «e., 
perchè  triooG ,  prr  irìonrar  che  fiiccii, 
o  imperatore  o  poeta. 

50.  Colpa  e  vergogna  oe.:  degli 
oomìm  die  son  tatti  culi'  anima  in  ter- 
ra, né  di  gloria  curano. 

54  -33 .  Che  partorir  lelixia  §e .  :  che 
la  fronda />eiirta  (l'alloro,  in  che  fa 
trnaforraata  Dafne  figlinola  di  Penco) 
dk^vrìe  cagionar  Ictiiia  in  in  la  Uolm, 
aOft  lieta  Deità  dolfira,  ad  Apollo,  qaao- 
éa  alcono  di  esso  alloro  s*  inviiglia. 

53-56.  Forte  di  retro  a  wu  oe, 
Int.:  forte  dopo  me.  sulT  esempio  mio, 
altri  Terre  che  con  più  dolce  canto  inTO- 
cberk  Apollo,  onde  meriterà  d'  «aere 
eModito.  —  Cirro,  ritta  poeta  alle  ra- 
dici del  Parnaso,  sacra  a  quel  Dio,  e 
presa  per  lo  Dio  stesso. 

57.  per  dir  erte  foci,  da  diverte 
aboceatare ,  da  diverti  punti  dell'  orif* 
toole,  secondo  le  diverse  stagioni. 

38-59.  La  lucerna  del  mondo,  il 
sole,  che  porta  luce  al  mondo.  A  chi  da 

toesta  liicerfio  venisae  il  tristo  odore 
i-ll'olio  e  del  lucignolo,  si  ricordi  che 
anche  la  belleua  e  l'onore  delle  porele 
sooo  soggetti  al  tempo  e  agli  aai.  — flic 
da  queUa  oe.:  me  da  «inella  foee ,  da 
qod  punto  dell'  orizzonte  nel  qaele  ai 
congiongono  insieme  quattro  cerrhj, 
cioè,  caso  orizzonte,  l»  zodiaco,  l'equa- 
tore e  il  colare  cQnÌAOsiale,  i  9wli  i»- 


tertecendosi  formano  tre  croci,  Etce  ee. 
Gò  avviene  nel  principio  dell'  ariete,  e 
in  quello  di  libra  ;  ma  qui  si  vaol  parlare 
più  particolarmente  del  sole  m  erieto. 

40.  Con  miglior  corto  ee.  Dice  ohe 
il  aole  esce  allora  congiunto eo»  miglior 
cono,  perchè  gioito  in  ariete  cooiiocia  ■ 
portare,  e  per  lango  tempo,  giorni  aen- 
ore  più  lieti  e%elli. — con  miglioro  sM' 
lo,  perchè  quelle  costellazioni  d'ariete  e 
di  lubra,  ma  «pecialmente  la  pf  ima.  eraii 
credute  di  più  benigno  inOuaso.  Àodie 
ael  Conoito  dice  che  le  itelle  inini- 
acooo  con  miglior  virtù  quanto  sooo  piò 
presso  all'  et|ualore. 

44-42  e  la  tnondana  cera:  e  la 
materia  m«>ndana,  piit  a  fuo  modo 
tempora,  dispone  e  riduce  meglio  a 
aaa  aomiglianza,  e  per  la  luce  e  pel  co- 
lore :  e  la  tnggella,  e  meglio  t'  impri- 
me la  sua  virtù,  o  la  saa  virtoflia  ia- 
floenza.  Alieguricemente ,  nella  prima- 
fera  e  nell'ora  del  mattino  le  anÌMO 
amane  sono  meglio  dispocte  a  ricctore 
il  lume  celeste  e  ad  elevarsi  a  Dio.  Ve- 
di Inf.,  Cauto  I,  V.  43.  Il  P.  Ginliaoi 
ha  eoo  molta  en&diziune  ««d  ecume  ills- 
itrato  questo  primo  Canto  del  Pmmdii». 

43.  di  là ,  rispetto  al  loogo  io  où 
Dante  aenve. 

4 1-45.  Tal  foce  oe.  Int.:  Toi  foco, 
V  indicato  punto  del  cielo  (donde  sballa 
il  sole  oelreqaineiio)  enea  fatto  •'^^^^ 


492  ^^^  PAIiADISO 

Verampole  quant*  io  del  regoo  santo 
Nella  m'.a  meete  potei  far  tesoro, 
Sarà  ora  materia  del  mio  canto. 

0  baono  Apollo,  airaitimo  lavoro 
Fammi  del  tuo  valor  si  fatto  vaso, 
Come  dimandi  a  dar  1*  amato  alloro. 

Insino  a  qui  Y  un  giogo  di  Parnaso 
Assai  mi  fa,  ma  or  eoo  ambedue 
M'é-Qopo  entrar  nell* aringo  rimase. 

Entra  nel  petto  mio,  e  spira  tue 
Si  come  quando  Marsia  traesti 
Della  vagina  delle  membra  sue. 

0  divina  virtù,  se  mi  ti  presti 

Tanto,  che  1*  ombra  del  beato  regno 
Segnala  nel  mio  capo  io  manifesti, 

Venir  vedra*mi  al  tuo  diletto  legno, 
E  coronarmi  allor  di  quelle  foglie, 
Cbè  la  materia  e  tu  mi  farai  degno. 


IO 


15 


90 


tt 


dell'  •nimi,  toraito  allo  stato  naturile, 
le  vedea  nolo  in  conato,  né  era  capace 
di  percepirle,  e  molto  meno  d'espri- 
merle. 

40>H.  Veramentt  quant'io  ee. 
Costr.:  veramente  <|uanto  tesoro  io  po- 
tei fare  ec.  Veratnente  bo  qui  il  va- 
lore di  ciò  nonoitante,  contuUociò.^ 
Nella  mia  mente  potei  far  tetoro, 
nella  mia  memoria  potei  raccogliere, 
•donare. 

43.  O  bwìno  Apollo  ee,  Qai  il 
Poeta  invoca  Apollo  deità  pagana,  e  il 
Poggiali  gliene  dà  biasimo  ;  ma  egli  do- 
veva prima  rìcordursi  che  Dante  nel 
Comtito  dice  ,  che  il  senso  allegorico  si 
nasconde  setto  belle  meniogne.  anali 
sono  le  favole  greche.  Apollo  qui  Mgoi- 
ica .  nel  aenso  allegorico ,  la  virtà ,  la 
facoltà  poetica;  e  a  meglio  compren- 
dere Fitlea  significata  in  Apollo,  è  da 
notare  cbe  egli  era  riguardato  ancbe 
come  pad  te  della  luce. 

ii^iH.  Fammi  del  tuo  valor  «e. 
Infondimi  tanto  del  Ino  valore,  quanto 
at  richiedi  in  chi  stimi  degno  di  essern 
coronato  dell* alloro  a  ta  caro.— «sm- 
io,  per  cagioae  di  D^fne. 

46-18.  Intino  aquiee.  Prende  U 
PotU  Bfnratirocote  i  due  gioghi  di  Pai^ 
nato  per  le  divinità  cba  abitano  in 


quelli:  neIPnno  albergano  le  Mnit, 
nell'altro  Apollo.  Intendi  dunque  :  Int 
a  qui  mi  fu  ««sai  il  févoro  delle  Maae, 
ma  ora  mi  è  d'  uopo  aocba  quelle  di 
Apollo,  che  n'ò  il  Dio;  cbe  è  quante 
dire:  finqn)  mi  bastò  l' aiuto  dala 
acìenze  umane;  ma  ora  mi  è  biaona 
della  sapienza  divina  e  del  pie  alle 
grado  dclTartc. 

20-21 .  JVama  Irarsli  DeUm  f«* 
gina  ee.  :  cioè ,  traesti  fuori  della  §•• 
pelle,  scorticasti  il  satiro  Marsia  che 
osò  sfidarti  a  chi  meulio  sonaaee.  La 
pelle  è  qui  considerata  come  il  iadira 
delle  membra.  Neil'  invoceaooe  aHi 
Muse ,  nel  principio  del  Pnrfn iarii, 
rìcordfa  il  castigo  delle  Piebe;  in  qnarta 
ad  Apollo  accenna  quello  di  Mania, a 
terrore ,  io  credo ,  degli  emuli  pcuBifr 
tuosi  e  maligni. 

23-24.  l'owibra  del  òeato  fwtm 
ee.:  cioè,  quella  debile  imagine  cbe  dal 
bealo  r^no  è  rimasta  nella  nùa  ae- 
moria. 

25.  al  tuo  diUllo  Ugno,  alP^ 
loro. 

27.  Che  la  mmloria  «e.,  piiéfci  It 
wiateria,  il  nuovo  ed  eltiaaisM  sibilila 
del  mio  caute;  •  In,  e  il  tao  f«MV| 
inapirandomi  conveniente  poaM|  Vi 
farete  degno  di  eti$  foglio. 


CAKTO  PBUIOU 

Sì  rade  volte,  Padre,  se  ne  coglie. 
Per  trionfare  o  Cesare  o  poeta 
(Colpa  e  vergogna  dell*  umane  voglie). 

Che  partorir  letizia  in  sn  la  lieta 
DelGra  Deità  dovria  la  fronda 
Peneia,  quando  alcun  di  sé  asseta. 

Poca  favilla  gran  fiamma  seconda  : 
Forse  diretro  a  me  con  miglior  voci 
Si  preglicrà  perché  Cirra  risponda. 

Surge  a'  mortali  per  diverse  foci 

La  lucerna  del  mondo  ;  ma  da  quella, 
Che  quattro  cerchi  giogne  con  tre  croci, 

Con  miglior  corso  e  con  migliore  stella 
Esce  congmnta,  e  la  mondana  cera 
Più  a  suo  modo  tempera  e  sugj^ella. 

Fatto  avea  di  là  mane  e  di  qua  sera 
Tal  foce,  e  quasi  tutto  era  là  bianco 


493 


30 


36 


40 


29.  Per  trionfare  o  Cetmre  §e., 
perchè  trìooB  ,  prr  trìoniar  che  faceia, 
o  irop«raU>re  o  poeta. 

50-  Colpa  e  vergogna  «e.:  Jcgli 
oonioi  che  son  tatti  coiraBÌma  io  ter- 
ra ^  oè  di  gloria  curano. 

ZiSi.Cke  partorir  letixia  te.rcha 
la  frondii  peneia  (l'alloro,  io  che  fo 
traefonoaU  Dafne  6|;liuola  di  Peoeo) 
dovrìa  cagionar  Ictiiia  in  $u  Im  UHm, 
alla  lieta  Deità  dolfira,  ad  Apollo,  qoao- 
éo  alcoou  di  esso  alloro  a'  inToglia. 

5«^86.  Forte  di  retro  a  me  oc. 
Ini.:  forte  dopo  me,  suir  esempio  mie, 
altri  Terre  die  con  più  dolce  canto  ioTO- 
cberk  Apollo,  onde  meriterà  d'  eaaara 
esaudito. — Cirro,  città  poeta  elle  ra- 
dici del  Parnaso,  sacra  a  quel  Dio,  a 
presa  per  lo  Dio  stesso. 

57.  por  direne  foci,  da  divaria 
ftboecatare ,  da  diversi  ponti  dell'  orif* 
xoote,  seeoodo  le  diverse  stegiooi. 

58-59.  La  lucerna  del  mondo,  il 
aoloi  che  porta  loce  ai  mondo.  A  chi  de 

3aesta  lneeriM  venisae  il  tristo  odore 
i-11'olio  a  del  lucignolo,  si  ricordi  cha 
anche  la  bellesia  e  l'onore  delle  parole 
sono  soggetti  al  tempo  e  egli  osi.  —-ami 
da  queUa  oe.:  ma  da  quella  foca ,  da 
qoel  pooto  dall'  oriixoote  oel  qoalo  ai 
cuoginngone  ioaieme  quattro  cerrlj, 
cioè,  caso  orinonte.  In  iinIìsco,  l'eqaa- 
tt^re  e  il  coloro  eooioosiale,  i  ««ali  ìa- 


tersocandoai  formano  Ire  croci,  Esce  ec. 
Gò  avviene  nel  principio  dell'  ariete,  a 
in  quello  di  libra;  ma  qui  si  vaol  parlare 
pia  particulameote  del  aolo  io  arieta. 

40.  Con  miglior  eorto  ec.  Dka  che 
il  sole  esce  alloracongiuntoco»  miglior 
cono,  perchè  gioolo  io  ariete  cooiioaia  a 
porterete  par  longo  tempo,  giorni  aaaa- 
ore  più  lieti  errili . — con  miglioro  tUlf 
Im,  perchè  quelle  oostellaiiuoi  d'arieta  a 
di  libra,  ma  »peeialmente  la  pfima.  arali 
credute  di  più  benigno  in0uaso.  Àoche 
nel  Comoito  dice  che  le  stella  ioioi- 
arooo  con  miglior  virtù  quanto  aooo  piò 
presao  all'  equatore. 

41-42  e  la  mondana  eora:  e  la 
materia  m«>ndana,  più  a  fuo  Modo 
lemjMra,  dispone  e  riduce  meglio  a 
sva  somiglianza,  e  per  la  loce  a  pel  ca- 
lerò: e  la  tuggella,  e  meglio  t'  mprì- 
mo  la  eoa  virtù,  o  le  sua  TÌrtoflia  ia- 
flocou.  Allegtirieamente ,  nella  prima* 
▼ara  e  nell'ora  del  mattino  le  anima 
aroane  sono  meglio  disp4<ote  a  ricevara 
il  lome  celeste  e  ad  elevarsi  a  Dio.  Vo- 
di  In/..  Cauto  I,  y.  43.  Il  P.  Gioliam 
ha  eoo  molta  eródiiiuna  «d  acome  ìIIb- 
strato  queato  pi  imoCanlo  del  PmnMm. 

43.  di  là ,  rispetto  al  laogo  io  où 
Dante  acrìve. 

44-43.  Tal  foce  §e.  Int.:  Tal  foco, 
F indicato  pento  del  delo  (donde  s'alia 
il  sole  oelreqaioociol  enea  fallo  ^--"^ 


494 


DEL  PARADISO 

Quello  emÌRperio,  e  l'altra  parte  nera, 

Quando  Beatrice  in  sul  sinistro  fianco 
Vidi  rivolfa,  e  riguardar  nel  Sole: 
Aquila  si  non  gli  s'affisse  unquanco. 

E  si  come  secondo  raggio  suole 
Usvir  del  primo  e  risalire  insuso, 
Pur  come  [«regrìn  che  tornar  vuole; 

Cosi  dell*  atto  suo,  per  gli  occhi  inruso 
Neil'  immagine  mia»  il  mio  si  fece, 
E  fissi  gli  occhi  al  Sole  oltre  a  nostr'uso. 

Molto  è  lirilDlA,  che  qui  non  loro 
Alle  nostre  virtù,  mercé  del  loco 
Fatto  per  proprio  dell'umana  speco. 

Io  noi  sofl^ersi  mollo  né  si  poco, 

Ch'io  noi  vedessi  isfaviltar  d'intorno 
Qual  ferro  che  bollente  esce  del  fuoco. 

E  di  subilo  parve  giorno  a  giorno 

Essere  aggiunto,  come  Quei  che  puole 


«^ 


50 


5d 


60 


éilét  cioè,  tTea  dato  prìnripìo  •!  mat- 
tino n«U'  enii»rero  del  PurgaUnrio  \0  di 
fmm  sera;  e  nriremmfrro  iippu-Uo  (ove 
troviTtsi  il  Poeta  trriirrntr)  l'oppohlt 
foM  ■¥««  fttto  «era.  È  oi>tii  thm  i|Uiindo 
a  nn  lain  dalla  taira  apanla  il  mattino, 
al  lato  aiitipodo  drve  ^^rgfre  la  wen 
Dier  piietiramrat^  Tol  fttct  «vea  [mito 
mmn^t  io  vere  dì  dire  io  idìnIu  più  e<^ 
wnmtf  :  da  tal  fura  rra  spoiitaln  il  aat- 
tiMo.  Dica  poi  :  §  quatti  tutto  era  Id 
Mauro,  perrhè  l'eiiii«feru  •'illanrina 
e  si  ottenebra  a  gradi  La  ina|if;ior 
parte  dei  tetti  e  «lanipe  ha  Tai  foc§ 
flMffi  ;  e  tutti»  tr.;  ma  il  Ciid  Bartidin., 
uno  dei  Vaticani,  e  uno  dt>IU  r.asanat. 
hanno  la  lei  che  diamo,  arioita  pare 
da  Benvenuto  da  Imola,  ^  e  ee'la- 
Bcote  più  chiara  e  iiiigli«tre  dall'altra. 

46  ÌN  $ut  tinùtro  fltinro.  Riror- 
ditmitct  che  il  Pur|*Hli>no  t*4M*ndu  putto 
da  tlante  anttpudn  al  iiii<nte  Sion  ,  e  vr- 
■eiido  ad  etkore  al  fli  là  del  tiopiru  del 
eaprienroii,  chi  là  a  volto  a  tevanta 
deva  avere  il  «ole  na<«eiiie  •  aini^tra. 

49-53  Etieome  er.  Komie  il  rag- 
fio  di  riflratitme  ti  genera  da  «|uello 
d'iocidenia,  d  i|uale  ra|*;:H»  di  nfletaiiioa 
toma  addiHro,  rome  il  pellegrinu  die , 

Santo  al  luco  ttabilito,  %uid  lumare  II 
»Bda  li  paiU  ;  Coti  dtlVatio  fuo  fé. 


Cottr.  a  iot. .  CofI  fatto  mio  fi  riTal- 
germt  al  sole  ti  feee ,  fa  groerato.  di 
qaello  di  Beatrice,  il  qnale  per  gn  ac* 
chi  ro*entiò  nella  immaf;inatiTa. 

56.  Alle  mnttre  virlù,  alla  ooilrt 
poterne,  ai  iinttrì  trnsi. 

57  Fatto  por  proprio  drlt% 
iprro:  cioè,  creata  da  Dio  perdiè 


stanza  propria  della   genti   aaiaM,'~e 
quindi  più  conveniente  alla  natim  loia. 
Qui,  «eeuiido  harite,  l'umana  »inaririi 
ne  è  quasi  pianta  fnordel  «no  cielo,eftr> 
ciò  più  (iacea.  —  tptet  invece  di         '' 
levato  r  i,  rome  io  miUerm, 

58  h  ntil  soffrrti.  \oSo  il 
aftfvillare  il  tnle  di  m:ig;tiiir  lDra,jp4a* 
che  e^li  Unfje  di  essere  rapilo  h  cicla. 
—  mti  toffersi  m»f  In,  nuu  touai 
gli  (ntIii  iisv  Ori  <ule  pnma  di  v 
mutato  Questo  dice  per  iignificara  b 
velocità  rulla  quale  egli  taliva  verta  il 
cielo  dic-e  n^  H  poco,  per  Mgaifcan 
che  |>er  quanta  fosbe  la  vetorità  dd 


lalire,  rrn  iieretMrio  alcun  Icinpa  afl» 
che  r(,Hi  poteste  awic.nanù  al  hÌì  i^ 
iiiotii!»inii>  da  la  terra. 

61 -t^  S  di  Mòilo  parrò  oc.  E 
■ubitauienle  parve  <-be  raddiippiaHO  h 
Iwv  drl  glorilo ,  come  te  QaegK  chi 
pna  ^r  onnipotente  Iddio)  avi 
otto  il  ciclo  di  un  allrv  «ole. 


CARTO   PRIMO. 

Avesse  il  ciel  d' no  altro  Sole  adorno. 
Beatrice- tutta  nell'eterne  rote 

Fissa  con  gli  occhi' stava;  ed  io >  in  lei 

Le  luci  fisse  di  lanu  rimote, 
Nel  suo  aspetto  (al  dentro  mi  fei, 

Qual  si  fe  Glauco  nel  gustar  dell'orba, 

Che  il  fé  consorto  in  mar  degli  altri  Dei. 
Trasumanar  significar  per  verba 

Non  si  porla;  però  V  esemplo  basti 

A  cui  esperienze  grazia  serba. 
S*  io  era  sol  di  me  quel  che  creasti 

Novellanien^r  Amor  che  11  ciel  governi, 

Tu  1  sai,  che  col  tuo*  lume  mi  levasti. 
Quando  la- rota,  ch^  to: sempiterni 

Desiderato,  a  s^  mi*  fece  atteso, 

Con  r  armonia  che  temperi  e  discemi, 
Parvemi  tanto  allor  del  cielo-  acceeo 

Dalla  fiamma  del  Sol-,  ehe  pio<;rgia  o  fiume 


495 


66 


70 


TV 


80 


64  tuW  eterne  rete.  Da' deli  ro- 
tADti  ed  eterni. 

•5-46.  erf  io,  <n  lej  ee.  CoeCr.:  ed  So 
Untoéo  Sete  io  lei  le  luci  niie.iN  Imeaé 
riwwit  t  tTendule  rìmiiue  dal  mU,  ni 
ima  .  direDoi  tele  ioternenieDU ,  gatr* 
4toido  hi  M,  ^nsle  ee. 

67-66.  ilM  Mo  mtpHto  «e.  lot.r 
■ll'sepeCto  di  lei  mi  sentii  fallo  divino, 
•■■0  Haooo  al  -gmOar  MV  erba  Glau- 
co, aecoodo  le  favole,  fu  pearatitro;  U' 
rtU  f affando  an  giorno  aleuni  Beaci 
lai  paaali  ani  Kdo  rarvivani  ao  mi 


trailo  0  attivo  in  mare,  guRtd  dell'orèo 
!■  lo foolo anno  aiai  giacinti, adi! 
■a  vio  iianBO. 

66.  aowaurte,  partaripe,  dolio 
daoioM  natura. 

76-73.  T%'m$mmMtmr  ee.:  ntm  m  po- 
trìo  eoa  porolo  {per  ooròo^  eapi  intero 
il  il  aiMonaiwi  a ,  cioè,  il  paesane  dallo 
tUto  ornano  a  condìiiono,  a  natnro,  fik 
alUk  fiè  aobilo. —  werbm  e  oerM  (aing . 
ooroo,  popolo^,  dtaaero  egvaliuenl*  fH 
antichi,  enma  tuttora  proli  e  prmlm, 
mnmUiemmeUmee. — prrAi'Memploee.: 
parò  boati  por  ora  V  ailduito  ea«*mpio  di- 
Otaoeo  ooolaifOl  anale  la  graria- divina 
«erbori  un  giorno  il  rononrore  per  aapo 
^oailu  Iruiumanmre, 

TV75.   ^  <o  ero  ac.    0  dÌTtao 


Amore,  o  IKo,  tu  ehe  col-  (no  lume  mi 
lavaNti  al  rielo,  beo  sai  se  io  era  solo 
qnello,  solamente  quella  parte  di  me, 
la  quale  creasti  PhtAtlamfnte ^  cioè, 
im  ùitìmo  lu0§o.  La  parte  dell'  nomo 
creata  ultima  è  1*  anima  razionala,  cbo 
do  l>io  è  infnao  nella  materia  prrdiapo- 
sto.  Vedi  PMTf, Canto  XW.  bel  reato 
è  imitato  quel  di  S  Paolo:  aire  in  coT- 
pare  neicio,  iive  extra  corpma  mmeio, 
ihuM  eeit. 

76.  Quando  la  rota  ee.:  qoaodo 
il  roforo  de'  eieK,  che  In  fai  eaaero  aon« 
tino»  e  aempitei-no  prr  il  desiderio  cbo 
io  k»ro  hm  impresso  di  la.  Dteo  llooto 
ool  Conriio  rbe  Iddio  risiedo  oeH'iin- 
miibile  cielo  empireo ,  a  che  antto  di 
qnello  ata-  il  cielo  chiamalo  il  primo 
mobile,  il  quale ,  par  lo  /'orvaiiliaaima 
apprtito  clic  ha  riaarona  sua  parta  di 
anirsi  a  quella  del  cielo  empireo ,  fin 
eoot  nnantet:te. 

77  mi  fece  atlmo,  ncbiaoiè  lo  mio 
Ottentione. 

76    dm  temperi  e  ditrend:  i  lo 
ni,  cioè,  della  quale  armonio  lempari  o 
sonmparti. 

79-61  Porramlteiiloofloror.La 
sfero  a  rui  é  giniil»  il  Poeta  è  quella 
del  fuoco*,  e  pe  ciò  dire  rbe  |rli  e|*par^ 
ai  gran  parte  di  cielo  ooceso  dalla  Gam- 


496 


a 


90 


M 


DEL  PARADISO 

Lago  non  fece  mai  tanto  disteso. 
La  novità  del  soouo  e  il  grande  lame 

Di  lor  cagion  m*  accesero  nn  disio 

Mai  non  sentito  di  cotanto  acume. 
Ond'  ella,  che  vedea  me,  sì  com*  io, 

Ad  acquetarmi  V  animo  commosso^ 

Pria  eh'  io  a  dimandar,  la  bocca  aprio, 
E  cominciò:  Tu  stesso  ti  fai  grosso 

Col  falso  immaginar,  si  che  non  vedi 

Ciò  che  vedresti,  se  V  avessi  scosso. 
Tu  non  se'  in  terra,  sì  come  tu  credi; 

Bla  folgore,  fuggendo  il  proprio  sito, 

Non  corse  come  tu  eh'  ad  esso  riedi. 
S'i'fui  del  primo  dubbio  disvestito 

Per  le  sorrìse  parolelte  bre\1. 

Dentro  ad  un  nuovo  più  fui  irretito; 
E  dissi:  Già  contento  requievi 

Di  grande  ammirazion;  ma  ora  ammiro 

Com*  io  (rasrcnda  questi  corpi  lievi. 
Ond*  ella,  appresso  d' un  pio  sospiro. 

Gli  occhi  drizzò  ver  me  con  quel  sembiante, 

Che  madre  fa  sopra  figliuol  deliro; 
E  cominciò:  Le  cose  tutte  quante 

05.  Per  le  sorrise  pmroUtU,  fSK 
le  dolci  parole  «ccoinpagMU  4a  iw- 
rito. 

96.  irretito,  come  da  reto  iavBiif* 
pato. 

ffJ.Già  eontento  re^ietii  m^ifk 
ebbi  (|uicle ,  cu9ui  dallo  stupore  etpi^ 
Datomi  dalle  prcd«Ue  DOviÀà.  ^  Bh 
fmi£ti  du  requiescert»  voce  Ul.  Qb^ 
atf  t«rniinazioni  adatto  laltM  «aamii 
di  frequenti'  nei  principj  dalla  liagM. 
L'iò  altrove  audiri. 

08-99.  ma  vra  ammiro  9t.  Ha  an 
ammiro  r«iuc  io  rurpo  grave  mi  taUfri 
aopra  la  itera  doiraria  a  del  faac«,^ 
aoou  C'Tpi  It'Od^orì. 


400 


ma  del  tole,  die  pinfr^ji»  caduta  o  fiume 
nou  focer  mai  lago  ai  disleso ,  sìampiu. 

83.  Di  lor  eagion  ee.:  di  aapair  la 
toro  cagione. 

84.  di  cotanto  acume,  s\  acato,  di 
SI  forte  slimuio. 

85.  vedea  me,  sì  com'  io:  ella  vedea 
nel  mio  interno,  al  pari  di  me  medeaimo. 

88-89.  Tu  stesso  tifai  grosso  ee.  : 
ti  fai  inetto  ad  iiitenden^  coli' immagi- 
nare d'  etaerc  a<>ni|ira  in  terra. 

90.  sel'aressi  scosso,  ae  quel  falao 
immaginare  atesci  rimi^to  da  te. 

92-95  Ma  folgore  ee.  Ma  fulmine. 
fag{»endo  la  propria  sede  (U  kfera  del 
fuoco  da  coi  ni  ttarca)  nou  coree  al  velo* 
ce,  come  to  che  ad  esso,  ad  esso  lito  tuo 

t)ruprio,  ritorni,  cioè,  (|u««hù  in' ciclo, 
uogo  proprio  delle  menti  amane;  e 
anco  alla  aapieua,  a  Dio,  da  cai  Dante 
s'era  dipartito  per  il  peccato,  e  a  cai 
ora  por;>atorilonMi.  Del  resto  anche  al 
C.  XXX  Tar.  ▼.  1 14  ti  dire:  Quanto  di 
noi  lassk  fati' ha  ritorno. 

91.  disvestiio,  acioito,  liberalo. 


400.  un  pio  sospiro:  un  ommc 
di  pietà  per  la  corta  iatelligeBU  M* 
r  alunno. 

401 .  con  quel  sembiante  di  «mr 
e  di  ctim|)aaMi»ne. 

402.  drlirtt,  cbe  Ta  faori  dd  m*: 
cba  è  nell'errore. 

403-405.  Le  eose  tmtU  puMk  «r. 
Tutte  le  COM  create  bann»  «a  ordÌM  k 


ca:«to  trimo. 

Avesse  il  del  d*  no  altro  Sole  adorno. 
Beatrice  tolta  nell'eterne  rote 

Fissa  con  gli  occhi- stava;  ed  io,  in  lei 

Le  luci  fisse  di  lanù  rimote, 
Nel  suo  aspetto  (al  dentro  noi  feì, 

Qual  si  fe  Glauco  nel  gustar  dell'erba, 

Che  il  fé  consorto  in  mar  degli  altri  Dei. 
Trasumanar  significar  per  verba 

Non  si  porla;  però  V  esemplo  basti 

A  eui  a'tperienn  grazia  serba. 
S*  io  era  sol  di  me  quel  che  creasti 

NovellameDte,.  Amor  che  il  ciel  gQf\'emi, 

Tu  1  sai,  che  col  tuo  lume  mi  levasti. 
Quando  la  rota,  ch^  tu  sempiterni 

Desiderato,  a  sé  mi  fece  atteso. 

Con  r  armonia  che  temperi  e  digcemi, 
Panemi  tanto  altor  del  cielo  accceo 

Dalla  fiamma  del  Sol,  che  piemia  o  fiume 


495 


66 


70 


7b 


80 


64  nell'eterne  rote.  Da' cieli  ro- 
taoU  ed  eterni. 

65-6$.  ed  io,  inleiee.  Coetr.:  ed  io 
teneBdii  %me  io  lei  le  luri  mie,  di  Imeté 
riwwte ,  aTenclule  rìmueee  del  tale,  m 
feci .  divenni  Ule  internamenle ,  gair* 
dtaoo  io  li'i,  quale  ec. 

67-66.  Nel  evo  mtpfÈto  «e.  fot.:- 
■Il*  tipetto  di  lei  mi  senili  ftlto  dÌTÌao, 
OHM  IHaaeo  al  -gnirfar  Jf^l'erba  Glau- 
co, secondo  le  favole,  fu  |M^ratiir«;  il' 
Joale  «uggendo  un  giorno  aiconi  Beaci 
•  lai  poaati  mI  lido  raTrivaraiao  no 
trotto  e  ioltore  in  mare,  girnlò  deirorèo 
i«  loquele  erano  Mai  giociati,edÌYMlè 
■■  dio  marino. 

66.  eoneorto,  partecipe,  dolio  mo* 
«Ina ina  natura. 

70-79.  TVonnnonor  ee.:  noo  ai  po- 
trio  con  parole  (per  oeròo^  eapiiroero 
il  treuummnmr* ,  cioè,  il  peasere  dallo 
•tato  ornano  a  condisiono,  a  naioro,  pii 
alte,  fià  nobile. —  vero*  e  9erlfi  |eing. 
f  rèo ,  porolo^,  diaaem  eguelraent^  gli 
antidiì ,  come  tnltora  prati  e  prmlM, 
mnoUie  aneUaee. — prrAi'eeempUtee.: 
però  basti  per  ora  l' adduilo  eacninio  di 
Olooroo colui, ol  quole  lo  graria-ilivioa 
«erbora  no  giom»  il  ronoarere  per  aapo 
qoortb  trmmmanmre. 

TV75.   ^  <o  ero  ec.    0  divìoo 


Amore,  o  Dio,  to  che  col  (no  lume  mi 
levasti  al  rielo,  ben  sai  se  io  era  solo 
quello,  solamente  quella  parte  di  me, 
la  qnsle  creasti  PfàtAllamrnte ,  cioè, 
in  ùttìmo  luogo.  La  paiie  dell'  nomo 
creata  ultima  è  1*  anima  raiionale,  che 
da  IHo  è  iiifoM  nrlla  materia  ptrdìspo- 
ato.  Vodi  |»Mry.. Canto  XW.  IVI  rvsto 
è  imitato  quel  di  S  Paolo:  tire  in  eor- 
pare  neieio^sive  extra  eorpme  meeeio, 
Dews  ifit. 

76.  Quando  la  ruta  eo.:  quando 
il  rolaro  de'  cieli,  che  In  fai  «aaere  enn- 
tinoo  e  sempilpi-no  per  il  desiderio  che 
io  loro  hai  impresso  di  te.  Dice  Dente 
oel  Conrito  rbe  Idilio  risiede  nell*  im- 
mobile cielo  empireo ,  e  ehe  Slitto  di 
qnello  sta  il  cielo  chiamata  il  primo 
mobile,  il  quale ,  per  lo  ferrentieeimo 
appetito  elie  ha  rìasruna  sua  parte  di 
unirsi  a  quella  del  cielo  empireo  ,  giro 
eoot  nnamet-te. 

77  mi  fece  aitmo,  richiamò  lo  mia 
ottenxioiie. 

76    eòo  temperi  e  ditrerfd:  t  to 
ni,  ciiiè,  delle  quale  armonio  temperi  e 
seomfiarti . 

79-81  PcrromOoMfo  efior  ee.  La 
sfera  a  rui  è  giuiilu  il  PtM'ta  è  quelle 
del  fuoco  ;  e  pe  rio  ilice  che  (rii  a|-pari 
SI  gran  parte  di  cielo  aiec««%  d%VV%^%^GW'- 


I 


quesl'arcoeafila, 
Uà  quelle  e'  banno  i[it«]leUo  ed  amore. 

La  prOTÌdenzia,  che  cotanto  asselta, 
DbI  suo  lume  h  il  ciel  sempre  quitto. 
Nel  quul  sì  volge  quel  e'  ha  maggior  frellfl 

E  ora  li,  coni'  a  siui  docrelo, 

Cen  porla  la  virtù  di  quella  corda, 
Cbe  cìit  che  scocca  drizza  in  segno  lieto. 

Vero  è  che,  come  forma  non  s' accorda 
Molle  fuite  alla  iatenzìoa  deil'  arte, 
Perch'  a  risponder  la  materia  è  »)rda.; 

Cosi  da  questo  corso  sì  diparle 
Talor  la  creatura,  e'  tia  podere 
Di  piegar,  roà  pinta,  in  altra  parie. 

B  siccome  veder  si  può  cadere 

Fuoco  di  nube,  si  l'impelo  primo 
A  terra  è  torto  da  falso  piacere. 

Non  d^i  più  ammirar,  se  bene  stituo. 
Lo  tuo  salir,  se  non  come  d'  un  rivo 
Se  d'  allo  monte  scende  giuso  ad  imo. 

Maraviglia  sarebbe  in  le,  se  privo 


D  julta.  nii«io  impiiD  •pipgi. 
(31 .  Chttataito  aumu,  chr, 

432-<2S   fa  u'eUtt<.:  [>h 

qnitt,  o  a,:ii(rti  il  limi*.  ìl  iiniii 


i.  [ali 


Itti»  dMnIa,  \n..Bt  iIhuyUIu,  ti 
I25-I3b  laiirUiUtiuIlar 
FbI-bU,  ckc  liM|«.(l.  .  r» >. 


I  p>U'iri;   ie  qurlli  guitt  Ab 
,r,U<  nyb>  evie»  il  (y,«.  k 


\mp4la  frii 


,    P«nMÌl»no..uir<t 


GAKTO  PAIMO. 


i99 


D' impedimento  giù  ti  fosBi  assist,  140 

Com*  a  terra  quieto  fuoco  vivo. 
Quinci  rivolse  in  ver  lo  cielo  il  viso. 

»^  di  quella  ^•▼itk  che  ti  dtftno  i     U  r«oeo  mo,  el«  par  im  natnra  («ode 
ib  di  cai  sei  oargito ,  giù  ti  fotti      ali'  iosa ,  si  posasse  ^lieto  in  terra. 
•  :  come  sarebbe  da  maratif  liare  te  4  42.  QfUncif  dopo  ciò  detto. 


e jjixo  SEcaniMi. 


Cimagt  DaiOt  $tél  «M«  éMm 
dk«  IH  fU4Um 


tmapUOmééi  lai  iMiùm»  tilt 
tUm$  H^lma  U  9trm  aamm,  t  tmtm  ff^m  gii  dtserhrt  étUt 


0  voi  che  siete  io  pkcioletta  barca, 

Desiderosi  d*  ascoltar,  seguiti 

Dietro  al  mio  legno  che  cantando  varca, 
Tornate  a  riveder  li  vostri  liti, 

Non  vi  mettete  in  pelago;  che  forse,  s 

Perdendo  me,  rimarreste  smarrìtL 
L*  acqua  eh*  io  prendo  giammai  non  si  corse: 

Minerva  spira,  e  conducemi  ApoUo, 

E  nove  Muse  mi  dimostran  TOrse. 
Voi  altri  pochi,  che  drizzaste  il  collo  40 

Per  tempo  al  pan  degli  angeli,  dei  quale 

Vivesì  qui,  ma  non  sen  vien  satollo, 

"2.0901  che.., in pieeioldlmhQr»     le  Muse  mi  dimoikwk  VOr—,  xAm' 


^àoè,  con  piortol  corredo  di 

ìca  e  te«>lot;ica.  d«*tidero«  di  «dir* 

liete  tegtttit,  ciete  venuti  dietr»al 

legno,  che  ctntando  toirt  altissime 

ee.  E  fuor  di  allegoris  :  voi  dia 

ido  mi  OTete  toguilo   6d  qoi  nel 

tieo  mio  visngio.  >edi  uo'alleapria 

ile  Del  principio  del  Vurgaìofiùm 

éhs  tea^Lando  ee.  Qualcuno,  ona 

lo  troppe  conveniensa  nelt*attri- 

il  canto  al  legno,  eke  romlmmào 

I,  preferisce  la  l*'t.  del  G>d.  Aog. 

eoUmto  tareay  cioè,  corre  m  vasto 

Ma  io  al  contrario  sento  V  idea 

CMiterf  in  perfetta  armooia  eoi 

feroci  d'atcitUar,  che  è  t«pra; 

Itrechè  di  tali  misture  dì  proprio  e  d'al- 

_  >rico  s^hsnno  esempj  e  in  Hanteme- 

jaiao,  a  in  molti  sllri  insigni  senltori. 

7.  L'mequa  che  io  prendo  ee.  Fro> 

^iriancate  :  le  mstcris  che  iu  prendo  « 

Irattara  non  fn  tratlsta  da  altro  poeta. 

a.  M  mote  Mtute  ee.  E  latte  e  oore 


cmnano  il  polo,  où  seorgooo  nella 
poetica  navigazione.  AÌmoì 
no9e  in  senso  di  natove»  cioè  aaw»^ 
verse  dalle  mitologieha  ;  ma  is  tal  caa», 
dovrebbe  anche  essere  una  «HMM  JB- 
fierra,  e  un  nuovo  ÀpoUo.  le  cnde 
che  nove  dekbe  ritenersi  par  agfsUivt 
di  numero  \  ron  che  forse  il  Poet^ka  ?•- 
luto  edombrare  le  nove  acàooMji  •  i 
nove  cieli.  —  VOree  som»  refolairiri 
della  navigazione  ne' mari  di  ^a  dal- 
Tequetore. 

40.  drissoite  il  celile  ee.  :  vi  vai* 
gesto,  vi  dÀrigesle  e  bnon'  ora  aoUa  aM- 
te  ee. 

ii.  al  pan  degli  amgeiL  II  paaa 
degli  engeli  è  il  pane  di  verità ,  è  la 
schisi  imenio  dell'iuuUetto  par  la  acil 
te,  nel  che  solo  è  U  vara  vita  d'aa 
ente  razionale. 

42.  livetiqmi,  ee.  H  aaiiavìfadi 
qnestii  pane,  ma  non  poè  Bocbè  ala  aa 
questa  terra  saziarsene  a  voglia  < 


D'inlelligeniia,  quesl'arco  saelU. 
Ha  quelle  c'hanoo  inielletto  ed  amore. 

La  priTvidenzia,  che  cotanto  assetta, 

Del  suo  lume  fa  il  elei  sempre  quieto, 
Nel  quai  sì  volge  quel  e'  ba  maggior  fretta. 

E  ora  li,  com'a  sito  decreto, 

On  porla  la  virili  dì  quella  corda, 
Che  ci6  die  scocca  drizza  io  segno  lieto. 

Vero  è  che,  come  forma  non  s' accorda 
Molle  lìiite  alla  inleozion  dell'  arte, 
Perch'  a  risponder  la  materia  è  sordai 

Così  da  qoesto  coreo  sì  diparte 
Talor  la  creatura,  e'  lia  podere 
Di  piegar,  c09Ì  pinta,  iti  altra  parie. 

E  siccome  teder  si  può  cadere 

Fuoco  di  nube,  sì  l' impelo  primo 
A  terra  è  torto  da  Talso  piacere. 

Non  dèi  più  ammirar,  se  bcòe  stimo, 
Lo  luo  salir,  se  non  come  d'  un  rivo 
Se  d' alto  monte  scende  gìuiv  ad  ìnm. 

Maraviglia  sarebbe  in  le,  se  pn^o 


I» 

I 


M  «Mita,  lOtlo  .mplll.  .pioge. 

<I..I>U  di  lltorlt.put  •avXat.t  laiMi 

431 .  CJm  euMMu  tàtilta,  Ac  t)  m- 

di  l.iU,.M■tmpt^^>  pHi»-  ■!■•  »«*»■ 

m-tì»   fa  UtU*c.:  tiKiBfrt 

pi4,....ni;rt..l.r«..l.li;(™« 

il  -Hill,  ■>  d.iur>  il  UII.I..  i>  pni»  Ho- 
bil*  ■  (in  Ma  BiiigiK  Imu  Icgl.  .lui 

•III*»^  ifjlk  Ba'bi  Jlere  il  fii^M  b 

già,  n*nln   fi  un,  Mluf»  *  pwato 

iM.H.,\4t>Uc.^l..ml,p^.•«.~ 

ff-tìM—SirimptU-ptittaK  Qni^ 

tXi-lZUUtirlAdifitltUajrdA. 

Ul«  4>U  ino.  -  CJh  »i  cJw  •>««■ 

diiira,  1  piò  rrg>ilin  il  ptrind«,  ala 

dhXMt.  Ch.  dncu  .1  .u»  .lr.k.  cu 

dilli  c.«  itttmpttB  Stana  rtiiw 

Ir.  ocll>  cn.n.  »  1..  y»  «rr-UiUaM 

del  .CI,.  1 3:! .  in  <,««•■•  d»  idMlMa 

m-<35  >'tn>dck<(B<f»«.  R.D. 

.i„.,dn,«.»,Jp..U.(-«,. 

ir  ngumi  ftttUt,  non  wioiiu  a..r>ia 

ai  u»  .ull.  id.«„,  1.  n».  <b.i  plÉ, 

*««r«' -■'"••'■■'>■" l'I--'"  E 

die*  dM  va«m.  ty-mo  f,,  1.  lulcn. 

l;r.,(li<.i..l(l»lu  limunisUJdb 

rc:r*-'r„;:En:'.™r. 

bl-v*,cki  U  (Hiiuti  nri  pinla.  od*, 

•,  mtaia  i*  ^i>  dì  fMU'ìi 


CANTO  PAlBia 


i99 


D*  impedimento  giù  ti  fossi  assiat,  140 

Com'  a  terra  quieto  fuoco  vivo. 
Quinci  rivolse  in  ver  lo  cielo  il  viso. 

>.  di  quella  gravità  che  ti  dartoo  ì     U  f«oeo  vivo,  el«  par  aia  natura  t«ode 
paaeati  di  coi  sei  purgato ,  gin  ti  fotti     alP  iosa ,  ai  posataa  qiieto  in  terra. 
mano  ;  come  sarebbe  da  maratigliare  se  4  42.  QfUnci,  dopo  ciò  detto. 


e jjixo  SEcaniMi. 


Cmag»  DoHtt  $ul  tUlù  étUm 
tké  im  fméUa 
sfw. 


tmtflmiomééllai  imtonio  atU 
gUtmt  §^»9ta  Im  mrm  aamtm,  §  tmm  riftttu  gli  dtserhrt  étUt 


0  voi  che  siete  in  plccioletta  barca. 

Desiderosi  d*  ascoltar,  seguiti 

Dietro  al  mio  legno  che  cantando  varca, 
Tornate  a  riveder  li  vostri  liti, 

Non  vi  mettete  in  pelago;  che  forse,  s 

Perdendo  me,  rimarreste  smarritL 
L' acqua  eh*  io  prendo  giammai  non  si  corse: 

Minerva  spira,  e  conducemi  ApoUo, 

E  nove  Muse  mi  dimostran  1*  Orse. 
Voi  altri  pochi,  che  drizzaste  il  collo  40 

Per  tempo  al  pan  degli  angeli,  del  quale 

Vivesi  qui,  ma  non  sen  vien  satollo, 

4-2. 0 «01  cke. . .  in  fneeioUUm  bar»     le  Muse  mi  éitnoatinm  l'Orté,  m  .m- 

emnano  il  polo,  mi  seorgooo  nella  mia 
poetica  oavigasione.  Aienni  pwndapa 
no9€  in  senso  di  natova»  cioè  asnaa^ 
Terse  dalle  milologieba  ;  ma  in.  tal  caaa, 
dovrebbe  anche  essere  una  iMiaMl  JB- 
fierra,  e  un  imoto  ApoUo.  la  arada 
che  nove  dekbs  ritenersi  par  aggaltifa 
di  numero  \  roo  che  fona  il  Poeta  Im  va- 
luto adombrare  le  nove  acianaa^  •  i 
nove  cieli.  —  VOrt»  sano  refolairici 
della  navigasiooa  ne' nari  di  ^va  dal- 
l'equatore. 

40.  dHtsatte  il  eoUa  ae.  :  vi  val- 
gaste,  vi  dirigeste  a  buon'  ora  aaUa  aM- 
ta  ae. 

ii.  al  pan  degli  omgdL  II  pana 
degli  angeli  è  il  pane  di  verità ,  è  la 
scbiaiimenio  deiriuulletto  parlaaril 
te,  nel  che  solo  è  U  vera  vita  à'wm 
ente  rationale. 

42.  l'ives^  qui,  «e.  H  savia  viva  di 
qoest»  pane,  ma  non  pnè  Bncbè  ala  tm 
questa  terra  aaziarsene  a  voglia 


€M,  cioè,  con  piociol  corredo  di 
Slaaofiea  e  teolo|*ica.  d<-6Ìder()si  di  udifw 
bì,  tieU  tegtttit,  siete  venuti  dietro  al 
■ùa  legno,  che  coniando  solca  altìaaime 
acque  ee.  E  fuor  dì  allegoria  :  vai  dia 
leggendo  mi  avete  seguii»  60  ani  nel 
poetico  mio  viangio.  \edi  un'allegoria 
sinile  nel  principio  del  rurgalorto, 

B.  ^cantando  ee.  Qualcuno,  ooa 
vedendo  truppe  conveniensa  nell'ettri- 
bvire  il  canto  al  legno,  che  ranlamdo 
««rea,  preferiMe  la  ìvt.  del  Cud.  Ang. 
d^  eotamlo  torca,  cioè,  corre  si  vasta 
aara.  Ma  io  el  contrario  sento  V  idaa 
dd  eaiilare  in  perfetta  armonia  col 
detideroH  d^oieoltar,  che  è  eopra; 
oltreché  di  tali  mikture  di  proprio  e  d'al- 
legorico a'hanno  eaempj  e  in  Dante  ma- 
dcaimo,  a  io  molti  altri  insigni  scrillorì. 

7.  L'acqua  che  io  prendo  ae.  Fro- 
prìamcaie  :  le  msleris  che  ii*  prendo  a 
Irattara  non  fu  trstlata  Ha  altro  poeta. 

e.  M  mote  Mtute  ee.  E  tutte  e  nave 


Muller  polele  ben  per  l' allo  sole 

Vostro  navigio,  ser\*aodo  mio  solco 
Dinanzi  all'acqua  che  rirorna  eguale. 

Que'  gloriosi  clie  passaro  a  Coleo, 
Non  s*  ammira ron.  come  voi  Tai-ele, 
Quando  Jason  vider  fallo  bifolco. 

La  concreata  e  perpetua  sete 

Del  deiforme  regno  cen  portava 
Veloci  quasi  come  il  ciel  cedete. 

Beatrice  in  suso,  ed  io  io  lei  guardava; 

E  forse  in  tanto,  in  quanto  uji  quadrai  po^a, 
E  vola,  e  dalia  noce  si  dìschiava. 

Giunto  mi  vidi  ove  mìrabil  cosa 

Mi  torse  il  viso  a  sé;  e  però  quella, 
Cui  non  polca  mia  cura  essere  ascosa. 

Tolta  ver  me  si  lieta  come  bella  : 

Drizia  la  metile  in  Dio  graia,  mi  disse, 
Che  n'  ha  congionli  con  la  prima  stella. 

Pareva  a  me  che  nube  ne  coprisse 
Lucida,  spessa,  solida,  e  palila, 


IS.  per  f  allo  t»li,ftr  l'tìlo  nure. 

ti.  tmaiuta  mia  (Dico:   punì». 
p»ds  Iptilu  Inninli  •  mi,  culli  pror* 

tMaMll'Hiqn,  libali  tondi  pn-  ■•- 
tara  ■  rìmiirii  tti  ■ppliiuw.  Par  I* 


4t^a.  Ovi'ttoruff  M  gun'Cnti 

cb«  «Dm  aianaa  «iitirviia  ■  Culco  pel      Iti 

-     ■■     ■ ro,|,liArg™.«.i        • 


23-2t .  E  (arte  in  ianlo  «.  E  tow 

in  l>nlii  li'mp>  ia  ijMnto  un  qnadrcUti 
ti  HiMava,  ù  iuXne»  »  nJi,  •  Ih. 

JmM'ima  ilclll  iMlnlrt  o»  H  fw- 
nlln.  e  Irrrcii,  ti  sona. 

2S.  m  l«TU  il  H»  a  «1.  **Im  * 


27.  • 


CANTO  SECONDO. 

Quasi  adamante  che  lo  Sol  ferisse. 

Per  entro  sé  V  eterna  margherita 
Ne  ricevette,  com*  acqua  recepe 
Raggio  di  luce  permanendo  unita. 

S*  io  era  corpo,  e  qui  non  si  concepe 
Com*  una  dimensione  altra  patio, 
Ch'esser  convien  se  corpo  in  corpo  repe, 

Accender  ne  dovria  più  il  disio 

Di  veder  quella  essenzia,  in  che  si  vede 
Come  nostra  natura  e  Dio  s' unio. 

Li  si  vedrà  ciò  che  tenem  per  iéde, 
Non  dimostrato;  ma  fia  per  sé  noto, 
A  guisa  del  ver  primo  che  T  uom  crede. 

Io  risposi:  Madonna,  si  devoto, 

Quant*  esser  posso  più,  ringrazio  Lui 
Lo  qual  dal  mortai  mondo  m*  ha  rimoto. 

Ma  ditemi,  che  son  li  segni  bui 

Di  questo  corpo  che  laggiuso  in  terra 
Fan  di  Cain  fovoleggiare  altrui? 

Ella  sorrìse  alquanto,  e  poi:  Scegli  erra 
L'opinion,  mi  disse,  de' mortali. 
Dove  chiave  di  senso  non  disserra. 

Certo  non  ti  dovrien  punger  li  strali 


IM)I 


35 


40 


45 


50 


55 


te  Tcno  Pusomiglit  td  ao  diimaoCe 
ferito  dal  sole. 

34-56.  Per  entro  ti  l'eterna  tnar- 
gkerUa.  Int.:  per  entro  tè  It  InnaeCer- 
oameoto  dorevole ,  lucidi  e  bella  come 
noi  margherita  ,  cioè  una  perla,  rìcerè 
noi ,  coma  l'acqua  permanendo  wniUa, 
cioè,  aenia  aprirsi,  o  disffreg«re  alenna 
delle  tue  parti ,  riceve  io  sé  raggio  di 
Ince. — reeepe,  dal  Ut.  reeipere. 

37-42.  S'io  era  corpo  ee.  Se  io  ara 
cdaaai  col  corpo  (il  che  non  saprei  af- 
fermare), ae  qui  in  terra  non  ai  può  enm- 
prendere,  non  si  eonerpe,  come  acca- 
clcsae  che  una  dimentùme^  un'esten- 
MODc  materiale,  soffrisse  di  easere  com- 
penetrata da  un'alti  a  [eh'enereowrìen: 
il  che  necessariamente  8cca«le  se  corpo 
in  corpo  repe,  ee  curpo  penetra  io  al- 
tro corpo),  dovremmo  essere  più  di 
<]ael  che  aiamo  accesi  del  desiderio  di 
pertenire  colè  dove  le  anima  beale 
«ootemplaoo  Dio  nella  sua  easenu,  do- 
^e  si  vede  svelato  il  mistero  ineffabile 
(U-ir  anione  dello  dae  oaiurc  divina  e 


umana  in  Cristo.  II  testo  Vir.  porla  : 
Come  nattra  natura  m  Dto  a*  mdo; 
•  qualchUItro  teato  a  ìHo  f'iMiio.-— 
repe^  dal  lai.  repere,  iosinoarai. 

45-45.  li  ee.  Int.:  nella esaana difi- 
na si  vedrà  poi  un  giorno  quello  die  ani 
teniamo  per  fede,  non  dimoelrata  ee., 
doè,  conosceremo  quel  che  è  era  nialare 
di  fede,  non  per  vie  di  ragionftiiiente,Be 
intuitivamente,  a  quel  modo  che  d  faaao 
noti  a  noi  i  primi  veri  o  aadomi,  i  qvali, 
aecondo  i  migliori  filosofi. aooo «  pHeri» 
oaaia  anteriori  airespenenie;  e  donde 
poi  si  deducono  i  no&tri  ragiooimaati. 

47   Lui ,  Iddio. 

48.  m'ha  rimoto,  mi  ha  diliiii|ato, 
ellontanal». 

51 .  Fan  di  Cain  ee.  :  doè ,  denso 
occawone  al  volgo  di  favol^giare  ehe 
ndla  luna  sia  Caino  con  nne  forcale  di 
spine.  Vedi  Inf.,  Canto  IX,  ▼.  A2$. 

54 .  Dove  chiave  di  eema  ee.  Gei , 
quando  giudican  di  caae,doTe  ooo  giao- 
gono  i  sensi. 

55,  non  li  dovrien  punger,  ooo 


D'  ammirazione  ornai,  poi  dietro  a'  sensi 
Vedi  die  la  ragione  ha  corte  Vali. 

Ha  dimmi  qnet  che  hi  da  le  ne  pensi. 
Ed  io:  Ciò  che  n'appar  quassù  diverso, 
Credo  rbe  il  fanno  i  corpi  rari  e  densi. 

Ed  ella:  Cerio  assai  vedrai  sommerso 
Nel  fclso  il  creder  Ino,  se  bene  ascolti 
L' argomentar  eh"  io  gii  farò  avrerso. 

La  spera  ottava  vi  dimostra  molti 

Lumi,  li  quali  net  quale  e  nel  quanto 
Notar  ci  posson  di  diversi  volti. 

Se  raro  e  denso  ciò  facesfer  tanto. 
Una  sola  virtù  sarebbe  in  tutti, 
Più  e  men  distribuia,  ed  altrettanto. 

Virtù  diverse  e9s«r  convegnon  frutti 

Di  princìpj  formali,  e  quei,  fuor  eh'  uno, 
Seguiterieno  a  Ina  ragion  distrutti. 


ienatì  3i  qattlo  lori 


56-37 .  poi  dtiira  ■'imi  a 


laugicinidit-  SS. 


■nirto».  «lidite-Mt 

ibsadli»!  Inceli  m.xt 
ta  Crrdeehtilfm 


i,r:;i. 


JKj^.-V 


Ìur'lanii  1  Bi  mant,  ptr  *•■- 
jlrtblx  di<g.Hin>Bla  itOmt 
Il  MarcBrin:  ■  n»»»  '"H,  "»  • 
tlwmi,Hrrlik*,Hna<lo  il  pi*  mn 

u.  —  (d  altrtiimta  ufuBti  1 1> 


iti  n»i  M 

•Mttr  fi  tsM 
Qmli  «BÌnii'iM  in  MiU  primi  itTrr- 
nil*  Ji  Dant*  ul  CnntUo.  Tntl.  II; 
Ba  ani  prMila  oHiiiuni  ili  riirallaria. 
el-S2.  SommiTto  ntl  faitt  «.: 
Tadni  la  Isa  oriaiime  tutta  lalia,  a  in- 

63.  «wn-io,  «ntrario. 

t*    £•  inira  alloca,  il  arto  drlla 

6ft  MlfMtK  Fioè  Sfili  qDalltl  ibi. 
Miti  iMiipDn  •  mlonr*  liin<ii''>ia.  — 


ini  ditan*  Deca  cdaltì  H  Ann* 
ima  aoilaaiUlt.  Gli  ariilalalid  iaaa- 
B«aiui  tvet  ati  »rpi  daa  prioàf); 
oo  Dalfnalg,  B|iii1cui  iBHiiMrpi 

■l( ,  c»IÌlacBt(  la  (ari*  apuit  •  aliti 

TI    (fH*f.-  fallii  pruicipi  Hran- 
,  fVBT  eh' HHo.   IriDoa   floallo   aals 

ella  nrilì  i  iciM.  re. 

13.  Siiaiitritao  a  IM  r^flam  «- 
IrulK:  HcnBds  il  tu»  f^amtmlM» 

uolu  «reiiiuanlo  :  Lt  alali*  JkII'  Mi- 
•  •hca  ...nu  Jixru,  «>nt.Ì  T«lt,  mi 
uo/«  I  n.l  quanta:  tt  ijucsM  ilifwJ» 


OARTO  sEcamo. 


W3 


Ancor,  se  raro  fésse  di  qari  brano 

Cagion  che  In  ^imaiidi,  od  oltre  in  parte 

Fora  di  soa  materia  si  digiuno  75 

Esto  piasela,  o  si  come-oomparte 

Lo  grasso  e  ih  magro  un  corpo,  così  questo 

Nel  suo  Tohime  cangerebbe  carte. 
Se  il  primo  (osse,  fora  maaiféslo 

Neir  edissi  dei-^Sol,  per  trasparere  80 

Lo  kirae,  «ome  in  Ékro  raro  ingesto. 
Questo  non  è;  però^  da  vedere 

Dell'altro:  e,  s'^i  «vrien  ch'io  l'altro  cassi, 

Falsificfio  iia  io  Ino  parere. 
S'egli  è  che  questo  raro  non  trapassi,  ss 

Esser  conviene  ui  lemme,  da  onde 

Lo  800  contrario  più  passar  non  lassi; 
E  indi  r  altrui  raggio  si  rifonde 

Cosi,  come  color  toma  per  vetro, 

Lo  qnal  dìretro  a  sé  piombo  nasconde.  90 

Or  dirai  ta  ch'el  si  diinoi4ra  tetro 

Quivi  lo  raggio  più  che  in  altre  parti, 

BisceiM  dal  raro  e  dal  denso,  une  gola  83.  IklT  mitro,  noi  dal  iceoad* 

virtè  aarebbe  in  lotte,  t  le  loro  inSoaiita     tv» «amalo, MFallra'pana4«ll«  pr«- 
^ffarnabbera  di  grado,  non  di  aalara:      aaaaa  Jiagiviitiva.^'Cfc'iD  Fmikv  tm 
«a  «aaa  kaaoo  Tìrlà  diverae;  e  virtà  di-     «i,  aha  P  altra  parta  della  piiawi  h 
potendo  naacere  eKe  da  ditar*     aamilli. 

84.  FtMfinio  /to,aarfc  iliaiaaliata 
falso. — io  hu>  pmriro,  la  t«a  aaiaiaaa. 

85.  iMii  frafNuai,  aoa  paaai  la  lana 
da  banda  a  banda. 

86-88.  After  eanvlfiia  mi  <iiii 
«aea.  Biaogna  cbe  ri  aia  m  terarina,«i 
pBBlo,»ltra  il  anale ,dal  qaala  ia  Ib,  Ua«o 
contrario,  il  «wnto,  non  laaci  paaara  il 
raggio  loninoao.  —  B  imii,  a  cba  la 
mìei  paato  il  raglio  del  «ola  H  rifmio 
torco,  eong.  da  fifoniif)^  ti  inaniitt» 
oiatro,  ai  riaella,  cemeae. 

89-90.  rome  co/aree.reoiaa  i  raggi 
aolorati  cbe  formano  Immagine  di  alca- 
na  ogi^tio,  dopo  «ver  pewetiata  la  giaa- 
aaaia  del  erialalto  dello  ap«Tclno,fiao  al 
piaabo  cbe  gli  8oltoeib,lomaaoindiaCr». 

04-95.  Or  dhrmi  lu  oe.:  or  dirai  ta 
«b»f«ir<,  nelle  maccbie  della  lanay  U 
raggio  ai  moetra  (efro,  «carato,  par- 
che iri  è  rifrmtto  pii  m  rwtro,  dob 
riflellulo  da  piò  indentro,  bob  dalla  nh 
perficie  della  luna,  ma  dal  dritto  cbf  è 
interno  al  di  Ib  del  raro. 


•a  DrÌBeipio  formale  e  aoalanmla,  aa  aa- 
fvrtadba  la  toa  soppoaitioDe  è  aaaarda. 

75.  Jutoor,  fé  raro  ee.  Di  pie ,  aa 
la  rarìtb  daHa  materia  foaae  cagiona 
Mia  BMcebie  Innari,  qnetto  piaaola  od 
offra,  o  da  banda  a  banda,  fa  farti, 
in  alcaaa  parte  della  sua  eBtenaione,aa- 
rcbbc  digfiiiio,  cioè  mancante  di  bnI^ 
ria,  fi, appunto  come  In  credi  :  o,  a  qnd 
aMdaaba  oa  corpo  aoTrappone  il  graa> 
aa  al  aiagre.  amgtrebhe  earto  noi  omo 
rokNUé,  aioé  ammocchiercbba  strati 
^aiM  a  firati  rari ,  come  ani  libri  ti  m^ 
frappongono  carte  a  carte. 

74.  Cm§Ìon  cbe  tu  dimandi:  aa  il 
raro  dei  corpi  foaae  la  cagione,  cba  ta 
dioiaadi,  di  quelle  maccliie. 

80.  Moiteeiisti  dei  Sol:  aiaè, 
^aaodo  la  lana  sta  fra  la  terra  a  il  aale, 
apparirabba  Baanifesto  il  raro  tappoalo 
in  alenila  parte;  perciocché  da  qaaNa 
Iraaparircbba  il  raggio  ^  coma  eada 
atranira  ecniqnalvoTta  sia  inyeffo,  in- 
tromesfo ,  io  altro  corpo  raro. 


504 


DEL  PA&.ÌD1SO 


Per  esser  li  rìfratto  più  a  retro. 

Da  questa  instanzia  può  diliberarti 
Esperienza,  se  giammai  la  pruovi, 
Ch'esser  suol  fonte  a' rivi  di  voslr* arti. 

Tre  specchi  prenderai,  e  due  rimuovi 
Da  te  d*  un  modo,  e  1*  altro  più  rimosso 
Tr*  ambo  li  primi  gli  occhi  tuoi  ritmovi. 

Rivolto  ad  essi  fa  che  dopo  il  dosso 

Ti  stea  un  lume  che  i  tre  specchi  accenda, 
E  torni  a  te  da  tutti  ripercosso. 

Benché  nel  quanto  tanto  non  si  stenda 
La  vista  più  lontana,  li  vedrai 
Come  convicn  ch'egualmente  risplenda. 

Or,  come  ai  colpi  degli  caldi  rai 
Della  neve  riman  nudo  il  suggetto 
E  dal  colore  e  dal  freddo  prima!  ; 

Cosi  rimase  te  nello  intelletto 

Voglio  informar  di  luce  si  vivace, 
Che  ti  tremolerà  ftel  suo  aspetto. 

Dentro  dal  ciel  della  divina  pace 
Si  gira  un  corpo  nella  cui  virtute 

94.  inilanxiOt  cbiamMÌ  n«lleac«o-      oa  quelle  mtcclùe  che  ti  ri 


•S 


<00 


iOi 


ilO 


le  il  replicare  che  ti  fa  contro  alla  rìspo- 
ata  data  alPohiezìone.  Int.:  dal  duoto 
tao  duhhio  polri  liherarli  rcfipcrìenza, 
la  qaale  è  il  f»ndamenlo  di  latte  le 
acìeaze  e  di  tutte  le  arti  umane. 

97-99.  e  due  rimuoti  Da  U  d'un 
modo:  e  due  menili  ad  ugual  distanu  da 
te.^  e  r  altro  più  ritnotto  :  e  il  terxo 
apecchio  colliicato  più  distante  da  te^Tao- 
ga  ai  tuoi  occhi  medio  tra  i  primi  due. 

i  00-  4  02  rivolto  ad  essi  ee. :  teoen- 
do«  Tolto  ad  eaii  tpecchi,  fa  che  dopo  il 
dosio,  dietro  le  spalle,  ma  più  alto  di  te. 
ti  atia  un  lume  che  accenda,  illumini,  i 
tre  specchi ,  e  torni  a  te  ripercoiio,  ri- 
fleUuto,  de  tutti  e  tre. 

403-405.  Benché  nel  quanto  tmn- 
tooc.  Benché  nella  grandezze  il  lume  che 
fiene  dallo  spe<-chio  più  lontano  dagli 
occhi  tuoi  non  si  estenda  tanto,  qaauto 
negli  altri  specchi  più  vicini,  pare  io  co- 
tala  eajperiroento  vedrai  come  lo  aplao- 
dore  aia  na*  tre  specchi  uguale  :  quindi 
concloderai  che,  sebbene  la  (ore  del 
•ola  ai  rìbctlesae  da  alcune  parti  pia  ra- 
mole  dalla  avperficie  della  luna,  óò 
non  basterebbe  a  produrre  io  eiM  !•- 


407-108.  Della  Mare  riwum  mudo 
il  iuggetlo  ee.  Oistr.:  il  suggetto  della 
neoe  riman  nudo  e  dal  colore  ce.,ciaè, 
il  suggetto  della  neve,  che  è  qaantndin 
la  miieria,  la  sostanza  steasa  della  aciv, 
riman  nuda  dal,  o  del ,  colore,  parla 
il  candore  e  il  freddo  primai,  the  nai 
innanzi,  squagliandosi:  cessa  ÌMoaaoM 
d'esser  neve.  —  La  Nidob.  legga:  M 
dal  candore  e  da' freddi  primai.  Ed 
è  buona  lezione. 

4  09-4  IO.  Coti  rimato  ee.  Int.  :  can 
te,restato  nudo,  spoglio  dal  primiar*  tao 
errore ,  voglio  rivestire ,  iilunÙMrt  «e. 

444 .  C^  li  tremolerà  ee,:  cha  ti 
acintillerà  agli  occhi  nel  suo  fera  aplii 
dorè. 

442.  Dentro  dal  del  ee„  deatro  il 
delo  empireo  ;  antto  a  quello. 

4  1 3-4 1 4 .  tfn  corpo  :  il  cielo,  detto 
prilli^)  mobile. — nc</a  cui  virimle  ee.: 
nella  \irtù  del  quel  primo  mobila  rawa 
nicatagli  dal  cielo  empìreo,  giace,  ha 
fondamento.  —  L'esur  di  tuli»  mo 
contento,  cioè,  Tesbere  o  l' furata  di 
tatto  le  cose  che  dentro  Tanipìo  ano  (*iro 
•000  contenute. 


CANTO  SECONDO. 


605 


L*  esser  dì  tutto  suo  contento  giace. 
Lo  cìel  seguente,  e'  ha  tante  vedute,  uò 

Queir  esser  parte  par  diverse  essenze 

Da  lui  distinte  e  da  Ini  contenute. 
Gli  altri  giron  per  varie  differenze 

Le  distinzion,  cbe  dentro  da  sé  hanno, 

Dispongono  a'  lor  fini,  e  lor  semenze.  120 

Questi  organi  de!  mondo  così  vanno, 

Come  tu  vedi  ornai,  di  grado  in  grado, 

Che  di  su  prendono,  e  di  sotto  fanno. 
Riguarda  bene  a  me  si  com*  io  vado 

Per  questo  loco  al  ver  che  tu  desirì,  125 

Si  cbe  poi  sappi  sol  tener  lo  guado. 
Lo  moto  e  la  virtù  de*  santi  giri, 

Come  dal  fabbro  1*  arte  del  martello, 

Da'  beati  motor  convien  che  spiri. 
E  il  ciel,  cui  tanti  lumi  fknno  bello,  i30 

Dalla  mente  profonda  che  lui  volve 

Prende  l*  image,  e  fassene  suggello. 
£  come  V  alma  dentro  a  vostra  polve 

425.  Per  quitto  loco,  per  questa 
▼ìt .  oer  qaetto  regionameoto  ftoo&ào 


445.  Lo  ciel  teguenU,  V  ottavo 
lo ,  e*  ha  tante  vedute ,  cioè,  tanti  oe- 
thi;  coaì   chiamando   le  alelle  fiiae 
•pane  per  questo  cielo. 

416-447.  QueWesser,  quella  TÌr- 
tè,  queir  ioflueoza  che  riceve  dal  nono 
odo ,  parte  per  diverte  ec.,  la  eem- 

I»«riiace,  la  distribuisce  nelle  delle  stel- 
e ,  ciascuna  delle  quali  è  di  esaensa  di- 
Teràa  e  distinta  da  quel  cielo,  sebbene 
in  esso  contenala. 

4  I8-420.G/Ì  a/<r<9<rofi  ee.Coatr. 
•  int  :  gli  altri  deli  ioreriori,  cioè,  di  Sa- 
turno, di  Giove,  di  Marte,  del  S<»le,di  Ve- 
nere, di  Mercurio  e  della  Luna , diijMMl' 
gono  per  varie  differenze ,  cioè ,  iro- 
pifgano .  dispongono  differeiitementa 
secondo  i  differenti  sofTfjetti.  a' l"r  fini, 
ai  fini  da  Dio  voluti,  Le  distimion  ckt 
dentro  da  tè  hanno,  le  diverse  virtù 
che  hanno  in  sé,  e  (or  setneiue,  e  i  loro 
influssi. 

421.  Questi  organi  del  mondo, 
questi  cieli,  che  sono  gli  organi  prmci> 
pali  del  mondo. 

423.  Che  di  tu  prendono,  ch« 
prendono  virtù  dal  cielo  superiore.  -^ 
e  di  tolto  fanno,  e  la  virtù  ricevuta  in- 
fluiscono ed  operano  nel  cielo  inferiore. 


«  dbehiarara  il  fero  che  ta  hrani 


426.  Si  che  poi  tmppi  fol  te.  Co- 
riechè  tu  possa  poi  per  te  stesso  ,  toi, 
senta  biaoffuo  <li  acorta ,  fener  io  gym- 
do,  tener  fa  vìa  per  cui  ai  guada  dritto 
il  fiume  alla  riva.  Fuor  di  allegoria:  ai 
che  tu  possa  dietro  il  mio  ragionamento 
intendere  e  filosofar  da  te  ateaso  in  qn*- 
ata  materia. 

427-429.  Lo  moto  #  la  virtàm.: 
il  movimento  e  la  respettivs  virtù  d'ogni 
cielo ,  emana ,  è  spirata  Da'  beaU  mth 
tor,  dagli  angeli ,  come  l'arte  e  l'ope- 
ra del  martello  move  dil  fabbro. 

430.  B  il  del  ec.:  e  il  cielo,  che  le 
atelle  fisse  fanno  bello. 

431.  Dalla  mente  profonim  m.z 
dalla  eoa  intelligenaa  motrice,  cioè,  dal- 
l'angelo che  a  Itti  de  moto. 

452.  Prende  F  image,  riceve  P  im- 
magine, la  virtù  in  lui  improntata,  # 
fattene  tuggello,  e  fa  sé  stesso  sigillo 
d' essa  immagine  e  virtù ,  che  poi  im- 
pronta nei  cieli  sottoposti. 

433.  dentro  m  tottra  polve,  dentro 
•1  vostro  corpo  fatto  di  polvere. 


DEL   PABADISO 

Per  differonti  membra,  e  caafomisrte 
A  diverse  poienEie,  si  risolve; 

Così  r  intelligenti 3  »ua  bonlade 
Multi|dìcUa  per  to  stelle  «piega, 
Girando  sé  Bovra  sua  orniate. 

Virtù  diversa  fa  diiersa  lega 

Co!  prezioso  corpo  ch'eli' avviva, 
Nel  qval,  si  come  vita  in  voi,  ai  lega. 

Per  la  natora  lieta  onde  deriva, 
La  virtù  mista  per  lo  corpo  itice, 
Come  letiiia  per  pupilla  viva. 

Da  essa  \ien  ciò  che  da  luce  a  Ince 
Par  differente,  non  da  denso  e  raro: 
Essa  è  formai  prinripio  che  produce. 

Conforme  a  sua  bonii,  lo  torbo  e  il  chiaro. 

431-ISS.  (  «m/bnuK  A  dmrn      clU  U  muto  e  riti ,  •  n« 
pateiaii.t 
TlcolU  «I  e 


n .  cDint  1  tfdtrt,  ■  mli- 

tpilfl.  E  fird 

|wr1ar«  di  Bon 

tona  mmira  r«nlr{i . 

43A-I38  CarìrtHtraigiiala 
■  ■■■  ce  ite)  HI  lo. 


I  il.  Ptr  la  Mhira  Urla,  A 

H3-M4.  ùtirtUmiila  i 

lrli>   ■nnrlir.   g.i>li,   0   Ì»(iiu 

MS-liS  Dan 


iitLaim 


tB8-HI.FTri«<HFrTM«'.  Inizia 
«alon  prodnn  Aitrru  >F(.'iii  in  ni- 


la  honlA-  SffvooJa  ri  npart*- 


CAIVTO   TERSO. 


Quel  Sol.  the  pria  d'amor  mi  scaldò  il  petto, 
PI  beila  verilé  ni'avea  scoveilo, 

1-3.  Qmt  Sol  *c.  Brilrìu,  ula       prUn.  ■mu*.  b'iim  w.prrt<  a  i>W 
•caUinl*  •   illDni>ii*iiI>  («•  «•■n.lo      aiiBliudi  gn*  Mli  loilli, /V.  roa^, 
1     ITIlIlIAiiina(mnnln,S(b|[uilnU(i       d  nualiaiido.nvi 


^mtO  TEBBO.  Wì 

PrtiHtDdo «  rìprovando,  Il  dolce  aspetto; 

Ed  iOy  per  confessar  eorratlo  e  celio 

Me  stesso,  tanto,  qoaalo  si  comrenne,  & 

Levai  lo>  capo  a  ))rólRsrer  più  «rto. 

Ma  vinone  apparve,  ehe  riteaio 
A  sé  me  tanto  atretio  per  veéerei, 
Cbe  di  101»  coofesiioQ  non  mi  aevveiine. 

Qoali:per  vetri  trasparenti' e  tersi,  10 

0  ver  per  aci|iie  nilide  e  tranquille, 
Non^prefoDdeche  ì  feadi  sien  persi, 

Toman  de*  nostri  visi  4e:  peetille 

Debili  si,  ohe  perla  in  i»anca  finente 

Non  vien  men  forte  alle  nostre  popifle;  15 

Tali  vid*  io  più  iMoe  a  parlar  pronte: 
Perch'  io  deotiotill'  error  contrapìo  corsi 
A  quel  ch'accese  amor  tra  l'uomo  e  il  fonte. 

Sq1»Io,  si  com'  io  di  lor  m'Sccorsi, 

Il  ctgione  Teni  delle  maccbie  Iwuri,  • 
r*ffro9Q»dOt  e  contradtliccBdo  ntn 
me  falsa  la  mia  opioiooa. 

4-6.  Ed  io,  p9r  conféMwr,  tà  io 

ET  prolastarmi  corretto  ee.,  awilto 
11'  «rrora  mio ,  e  certo  della  «anta 
■MoifeelaUmi  da  Beetrìoe,  levai  il  capo 
pia  alto ,  qoaoto  si  coovenoef  •  proffè' 
nr ,  par  laTellara.  —  profferir*,  prof- 
fbrmro,  a  proffermrt,  otarooo  agMJ- 


ilodiantielii. 
7-5. 


Ma  9Ì*iom»  opporrò  «e.  Ma 
tale  aepetto ,  ooa  %\  laggiora 
dì  «aaa,  «if  ione,  che  por  oòétt' 
H ,  jmt  aaaara^ialintajiieola  vedoto,  où 
obiufaraao  a  al  etreUa  appiicaiioM, 
oho  aoB  m  aofveooe  più  di  qoel  Ao 
▼olova  cooCeiMre«  Beatrìee. 

40-44.  QmoH  por  ootri  trmpa- 
rMiK«apr«i,oe.KonciMo  Ifitnini  aha 
fcaatiia  a  lodar  la  belleata  e  la  efidooia 
di  ^paaCa  coatoaranona.  Ella  èoaao  pro> 
piiawta  di  Paradiao,  c^  poò  gnalani 
ma  Doo  ridirei. 

42.  iVm  ai  profondo  oo.s  aoa  tanto 
profoodo,  che  il  fondo  di  eaaa  ai  pardi 
di  vodota. 

45.  IbfMM:  int.,  riflettnte.— da 
pootiOo,  i  segni,  i  lioeenieoti. 

4ft.flM»  forU,  Coeì  la  Nid.,  il  ta- 
ato  Ti?.,  il  Boli,  ed  altri  ;  dallo  qval 
\r%.  il  larto  Tiene  piò  chiaro  chawilla 
loilo,  O  il  paragono  età  pia 


od  termini  ;  die  mail  forfa  equivale  a 
tanto  doMo,  e  kon  mponde  al  dehili  H 
dal  vano  innanà.  NoUa  prima  edinooo 
oTendo  adotta  la  lenona  me»  lofto^ 
apiegova oort  :— tM»  Iritlo,  mono  pro> 
atamita ,  rimnrda  la  leotena  eoo  cui 
l'immagine  della  parla  in  bianca  froolo 
▼iene  dl'oeefaio  ;  ma  poi<  kè  Unto  U  fo> 
air  lento  d*  no  oggetto  dFotrhio,  eW 
il  venir  ddMilo  e  longoido,'nnsoaao  da 
poca  forca  del  ragnio  reSeiao,  panie  jl 
Poeta  ka  eoofrootato  il  iomor  dakdo 
drlle  postille  airocchio,  col  venir  lento 
ddla  perla.  Il  Biogioii  evtdgo  booimimo 
la  frase  eoak:  •  Le  poefilto  éoimootri 
toiU  tommo  dotili  d.  oiommio  ti 
^oco  toeto,  eho  perim  posta  in  Mane* 
fromio  mom  toma  meao  doòoto,#flaMM 
toalo.  • 

46.  rofi,  oos)  temn  o  lingoida  nd- 
Foipreesiono  dd  lineamenti.  <—apaf^ 
tar  pronto,  eho  moetriTano  gran  Te- 
glia di  parlare. 

47-48.  Poreh'io  donerò  ee.  bt: 
per  la  qnal  cose  io  cord  ncU'orror  eoo* 
toarìonfue/  eà*aee«M  «nor,  a  qnd- 
V  errore  o  ingenoo  per  coi  a*  oaaaao 
amore  ira  twmo  o  U  foo^;  atta- 


dando  all'orrore  di  Nardso,  dto,  mi- 

eàePiiHM- 


randed  al  fonte ,  credeva 
gine  eoa  fosse  peraona:  mentre  io  al 
contrario  credrva  cbe  le  peraone  di'am 
ivi  fosaaio  imnia(pni. 


r  *■ 


«jnefle 

Pwwkrdl 
E  loLa  vili,  e 

Dritti  Bri  lane  deOa  doice  goda. 


20 


>oa  ti  flunrìgiar  perca'» 

K  cfiaKy  ap|acm  fl  tao  panrfl  cnta, 
Kh  acpn  i  vcreaaeor  lo 

Xa  te  molfe,  eoa»  laole, 

Tcre  «asiane  aoa  eie  che  la  Tedi, 
Qui  rilegale  per  ■eaco  di  volo. 

Pero  parla  eoa  cae,  e  odi,  e  credi  : 
Che  b  laraoe  lace  che  le  appaga. 
Da  aè  aoa  lascia  lorlorcer  Li  piedi 

Ed  io  aD'oaihra,  che  pareo  pia  vaga 
Di  ragiooar,  drioaHai,  e  coaiiociai, 
Qoasi  oom'  aoai  cai  troppa  Toglia  soiaga: 

0  beo  creato  spìrito^  cfa*  ai  rai 
Di  vita  eterna  la  dolcezza  senti, 
Che  non  gastata  non  s' intende  mai, 

Grazioso  mi  fia,  se  mi  contenti 
Del  nome  too  e  della  vostra  sorte. 
Ond*elIa  pronta  e  con  occhi  rìdenti: 

La  nostra  carità  non  serra  porte 


t* 


40 


20.  QuiiU 
UwMsmti,  ftÙBiBdo  ^elle  tacer  ni- 
oMfiDi  di  thì  rappmeoUli  ia  ìmài» 
corpo. 

24 ,  gli  oeehi  Ioni,  mi  tolsi 
tro  por  ^«àtr  le  penooe  ebo  capii 
fUM,  t  parer  mìo,  quella  hfioatoao. 

26.  appresf  il  IM  pmeril  fio, 
io  tedilo ,  a  cagÌADe ,  dd  tao  ■■arilo 
peo^iero.  Solla  voce  eoto,  vedi  la  Bota 
al  V.  77  del  Canto  XXXI  deirin/kriio. 

2ì'2!è.  Poi  topra  il  tero  oc.  Roi, 
poicbè^il  tao  gindirare  noa  ai  fooda  au- 
rora sopra  la  Tfr>tb,  ma,  aiocome  è8«>> 
lito ,  ti  volge  a  vane  cote ,  ti  indora  in 
inganno,  basancln«i  sempre  sa  i  senn. 

50.  Qtài  rilegaU  «e.  Si  Doti ,  aha 
sebbene  il  Poeta  dica  che  le  aoima  aoa 
qui  rilegatt,  cioè,  confinata ,  para  aaia 
non  banna  l<vo  slama  io  qoasto  pU- 
arta,  casaodu  abitatrici  dal  prima  ^ro. 
Nt4  pianala  della  Iona  la  delta  aaiaie  ti 
iiiotirano  lemporaneamenta ,  no»  por* 
cM  $orlUa  ala  quttla  tfra  hr, 


per  far  fegiio  Deilm  ccictlMl  t^li 
•i€ii  talitm;  per  moOrar,  dei,  il  graia 
di  gloria  cbc  poasoffooo.  (Vofi  Caa> 
Co  IV,  verso  39  •  pree.)  Lo  aloraad»* 
vrk  dirsi  delle  altra  anime  cha  a  mtm 
a  mano  il  Poeta  iocoolrerè  ocfK  dfei 
piao^ti.  —per  aumeo  di  «ofo^  par  f«la 
OMDcato,  per  aoa  aver  pieaoaaMla» 
aervato  il  voto.         • 

51-33.  e  eredi:  qael  cha,  ciei,  di 
loro  adirai  (Vedi  aocba  il  ▼.  414,  0»» 
lo  VI ), cM,  perciocché .  fa  aaroia  Ami 
la  somma  verità ,  che  le  fa  eoolaBla  • 
felid,  noa  lascia  cbe  eaaa  dalla 
ai  dipartano  mai. 

56  imoga ,  eonfande ,  fa 
l'aoiroo. 

57.  O  ben  ereato  tptritos  daè,  • 
spirito  eletto ,  creato  per  l'alcraa  fai- 
aik. 

40.  Gratioio^  9<'*to,  frtdtvale. 

41.  e  della  rotini  torfc,  a  ddk 
eoDdisione  di  voi  lutti. 

45-  4  5 .  La  notlra  coriM  «e.:  It  m» 


CAKTO  TERZO. 


509 


A  giusta  Yoglia,  se  noo  come  quella 
Che  vuol  simile  a  sé  tutta  sua  corte. 

Io  fui  nel  mondo  vergine  sorella: 
E  se  la  mente  tua  ben  mi  rìguar(}a. 
Non  mi  ti  celerà  l*  esser  più  bella; 

Ma  riconoscerai  eh*  io  son  Piccarda, 
Che,  posta  qui  con  questi  altri  beati. 
Beata  son  nella  spera  più  tarda. 

Li  nostri  affetti ,  che  solo  infiammati 
Son  nel  piacer  dello  Spirito  Santo, 
Letìzian  del  suo  ordine  formati. 

E  questa  sorte,  che  par  giù  cotanto, 
Però  n*  é  data,  perchè  fur  negletti 
Li  nostri  voti,  e  vóti  in  alcun  canto. 

Ond*  io  a  lei:  Ne*  mirabili  aspetti 
Vostri  risplende  non  so  che  divino, 
Che  vi  trasmuta  da*  primi  concetti. 

Però  non  fui  a  rimembrar  festino; 
Ma  or  m*  aiuta  ciò  che  tu  mi  dici. 
Si  che  raffigurar  m*  é  più  latino. 


45 


60 


65 


60 


ttra  carità  non  ti  oppone  t  giosla  voglia, 
non  altrimenti  che  ti  faccia  la  carità  di 
Dio ,  die  oon  ai  riensando  ad  alcauio , 
TQola  aimile  a  sé  tutta  la  ina  eorla. 

46.  vffyiiM  tortila  t  rioè,  aaora, 
monaca. 

47.  B  99  la  mtnU  tua  §e,,  •  aa  oh 
riguardi  eoo  alteniione. 

48.  iVofi  mi  ti  celerà  teatr  più 
heUa.  La  bellexia  che  mi  ù  è  in  «ielo 
aggiunta  non  farà  ai  che  ta  non  ni  ri- 
conosca. 

49.  Pieearda.  Fa  drlla  famiglia 
Donati.  Vedi  la  onta  al  vene  106. 

54 .  nella  eptrm  pia  tardm.  Nella 
afera  Innare ,  che ,  eiseudo  piò  piccola 
ddP altre,  e  (secondo  la  falsa  opinione 
di  Tclomco)  girante  con  qaelle  intorno 
la  terra,  ti  move  più  tarda. 

52-53.  infiammati  Son  nel  jpiaetr 
dello  Spirilo  Santo ,  cine ,  altro  non 
nonno  nò  bramano  animitcniente ,  che 
«A  che  è  piacere  ddlu  Spirito  Santo. 

54.  Leti*ian  «LI  tuo  ordine  (br^ 
nMli.  Intendi:  godono,  ai  rall«*grano 
(i  noatri  affetti)  per  esaere  noi  poeta  a 
godere  Die  io  queir  ordine  che  a  ini  è 
piaciuto.  E  letteralmente  :  gioiaaano  i 


noetrì  affetti,  tono  eontenti,  io  quella 
disposiiìone.  in  qnella  forma,  che  è  se- 
condo l'ordine  ai  Ini.  La  celeste  gloria 
dalle  anime,  come  dirà  pia  sotto,  è  mag- 
giore o  minore,  secondo  F amore;  ma 
3aal  siasi  il  grado  di  qnella  dal  Santo 
pirìto  ordinata,  fa  pienamente  con- 
tenta r  anima. 

55-  57 .  £  «/netta  torte,  che  par  gik 
cotanto^  ee.:  e  qotvta  condiiione,  que- 
sto Ittttgo,  che  par  già  cotanto,  aoè, 
tanto  in  basso ,  et  è  dato  in  sorte,  per- 
chè i  nostri  voti  furono  negletti  da  noi, 
e  tu  parte  vóti,  cioè,  e  in  parte  non 
adempiti,  non  oaRenrati. 

60.  da' primi  eoncetli,  da  quelle 
prime  inimagini  che  concepì  l'animo  di 
chi  guanto  voi  nel  tempo  che  eravate 
tra  i  mortali. 

61.  a  rimembrar,  a  ricordarmi 
della  vostra  immagine,  a  ravvisarvi. 
—  fetiino,  presto,  pronto. 

62.  rM  che  in  mi  dici,  il  manife- 
ttarmi  il  nome  tao  e  far  mangione  <U 
alcuni  casi  della  tna  vita. 

65.  m'è  piit  latino,  doè,  mi  è  pia 
fadle.  più  agevole.  E  nel  Conpilo  disse: 
A  jnA  inlittamenla  veder  la  tentenza. 


Ma  dimmi:  Voi,  che  siete  qtii  btici, 
Deiiiderale  *oÌ  più  alto  loco 
Per  più  vedere,  o  per  più  farvi  amici? 

Con  queir  olir'  ombre  pria  sorrise  un  poco; 
Da  indi  mi  rispose  tanto  lieta 
Gli'  arder  parea  d' amor  nel  primo  foco: 

Frate,  la  nostra  volontà  quieta 
Virtù  di  carità,  che  Ta  volerne 
Sol  quel  cb'  avemo,  e  d' allro  non  d  a«Mla. 

Se  disiassimo  esser  più  Bupeme, 
Foran  discM'di  gli  nostri  di  siri 
Dal  voler  di  colui  che  qui  ne  cerne; 

Che  vedrai  non  capere  io  questi  giri, 
S'  eewre  io  cariLade  è  qui  neceese, 
E  se  ta  sua  natura  ben  rimiri; 

Anzi  è  Tormale  ad  esto  bealo  eas» 
Tenersi  dentro  alla  divina  voglia, 
Perch'una  Tjnsi  nostre  voglia  stesse. 

Sì  che,  come  noi  sem  di  soglia  in  soglia 
Per  questo  regno,  a  tutto  il  regno  puux, 
Com'  allo  re  che  'n  suo  voler  no  invoglia. 

In  la  sua  volonlade  è  nostra  pace: 


d 

#1 


I 


I 


04.  Per  pìi  nttìirt .  prr  gwltr 


OS    luta,  diiphimi  II  T*rl 
d'Ìlh«,i,..rn>i. 

eu.  Cd'  ar̀T  parta  d'amo, 
priau  fica:  tk*  piomiu  Jtinn*  ■ 

il  fi»  «ktmanw  Hiilils.  li  pn>pn*  ••il<>i>l>  *  ^u 

Tft-T>.  UrlinUeoTiUie.  Culr.:  I..  <■■>!  «m  »>•*£<■'>■ 

VvlàiU»rìU,ctwbcli<>.^l»u.H-  d.  t.ill(  U  ■■■«•b.it* 

lBK.,fiif<la,icqiiMa.cu»ln>u<la>>-  SZ-HS.  £1  elu.  K. 

«lM»l(n d'aiirv  un  einutln,  mJ  m,  rM.liiuMri 

TI.  UMT  pUttapm»,  tatt  più      gli*.»»,  riinrlviB  «• 


76-18   Clirttdraiit   Lochi,  U  HI    rIU '■  no  vakr  w  faccf  Ik. 

<]UlJ<i«nl»ud>l>»lri.l.lliu,trdrii  QunU   Itmi»  •  d.  (■•  ^.d»bHt.  ,   M 

l'rì  itì  ndo ,  hI  ,|iia1.  dl^ntn»  le  2,  B,  UT   l*  om.»:  tk  a  *m  mI» 

■wn»M«*(^.t,>.aÌfrf.Varrrii*lii-  83   In  fa  (va.  £  delia   Md.,U 

ftùten. e^r«Hill.i n Li ifn,.3U),  ini.i  t  iy,  e da>  l>ii.  2,  t>,  SI.  La no.^ 


CAUTO  TBEIO. 

Ella  è  quel  mare  al  qnal  toUo  si  muove 
Ciò  ch'ella  crìa  e  che  natura:  face. 

Chiaro  mi  fu  allor  com*  ogni  dove 
la  cielo  é  paradise,  e  sì  la  grazia 
Del  sommo  bea  d' nn  modo  non  vi  piove. 

Ma  si  com*  egli  awien,  se  nn  cibo  sazia, 
E  d*  un  altro  rimane  ancor  la  gola. 
Che  quel  si  cbiere,  e  di  quel  si  ringrazia; 

Cosi  fec*  io  con  atto  e  co»  parola, 
Per  apprender  da  lei  qual  lu  la  tela 
Onde  non  trasse  inaino  al  co  la  spola. 

Perfetta  vita  ed  alto  morto  inciela 

Donna  più  sa,  mi  disse,  alla  coi  norma 
Nel  vostro  mondo  giù  si  veste  e  vela; 

Perchè  in  fino  al  morir  si  vegghi  e  dorma 
Con  quello  sposo  oh*  ogni  voto  accetta, 
Che  caritate  a  suo  piacer  conforma. 

Dal  mondo,  per  aegnirla,  giovinetta 
Fuggi'mi,  e  nei  eoo  abito  mi  chiosi, 
E  promisi  la  via  della  sua  setta. 

Uomini  poi,  a  mal  più  eh' a  ben  usi, 


544 


90 


95 


400 


405 


se.  EUa  è  91M/  mare  :  U  volootà 
^  Dm  è  il  centro  t  cui  leodoDo ,  coom 
i  finali  al  mare,  tolte  le  cote  ch'ella  ha 
creato  •  da  tè  ttcMa  o  pel  miniitara 
della  nalara. 

SS.  ogni  dore^  ogni  laogo,  ogni  ctr* 
cUo  celeste,  o  alto  o  basse  cbue  aia. 

§9-00.  §  tila  gratia  ee.t  $  pure 
dd  godioMoto  di  Dio  sommo  bene  non 
aooo  eg^lniente  partecipi  tutti  i  cercbj 
celeeti.Qacsta  lezione  e  <i,Tale  e  p«ire,e 
f  o  trovata  dal  Lombardi  in  nn  Ma.  della 
CorsÌDÌana  di  Roma.  La  maggior  oarta 
della  odia,  hanno  invece  etti  («ebMoa) 
TOC*  pretta  latina,  né  bella  qoi. 

VI.  la  foia,  la  brama. 

99.  Chi  quel  ti  ekiere  oc.  :  che  ti 
chiede  ^aello  che  appetisce,  e  si  ringra» 
aia  di  qoallo  di  che  gii  siero  picai. 

95-96.  Quel  fu  U  Mm  m.  Int. 
metaforic.:  quel  fu  la  cagione,  omIì, 
Piccarda  lum  froMf  aia« 


97-99.  imeUlm  §c.,  ìncielaiio,allier- 
gano  in  piò  alto  dolo  ona  donna.  Qaeata 
è  S.  Chiara,  mila  evi  nonm^aaaoBdo  la 
coi  regole ,  oel  aaoodo  ti  vetU  §  «afo-^ 
si  porta  abito  e  valooMnecala.  S.  Ghia* 
ra  d'Aasiai,  naU  nel  4 195,  fondò  eolio 
la  direttone  d«l  ano  coocittadiiio  San 
Freneneo  nn  mooaatero  per  le  Torgini, 
e  una  regola  rhe  ai  difTuae  eitasaaiaaie. 
Muri  nel  1225,  e  poco  dopo  per  deera 
to  di  Alcasandro  iV  ebbe  gli  onori  0^ 
lesti. 

400-101.  Pereki,  affinchè. —ti 
tegghi  e  dorma  ee. ,  ti  viva  a  netta  a 
di  Con  quello  ipota  «e.,  eoo  Gate  Cri- 
sto, a  cui  e  grato  ogni  voto  che  dalla 
canta  è  falUi  coofomie  al  piacere  di  Im. 
Il  volo,  aCinche  aia  accetto  a  Dio,  deva 
rigvardare  00  bene  migliorei  aecondo  U 
Vangelo. 

403.  per  ÈoguMa,  cioè,  per  sagwr 
per  COI ,  ema  f  iccarda  lum  irotaa  ano     Santa  Chiara, 
eleo  te  jpola,  non  tirala  apola  fino  al  405.  E  premiti  lawiaee,:  a  fati 

rapOj  alla  fine,  di  esaa  tela  ;  che  è  qna»»     voto  di  srguitere  la  tua  tetia,  la  taa 
io  dira:  peroiè  abbandonò  priaa  di     conitiva,  il  ano  ordine, 
morirò  la  iacomiociata  vile  danalrala.  405.  Downmipoi,e9.  ConoDoaati, 

La  fpolm,  tettando,  ti  tira  attravano      adirato  contro  Piccarda  eoa  tortila, 
r  ordito.  venne  al  convento  dì  S.  Chiara  iti 


512  DEL  PAEADISO 

Fuor  mi  rapiron  della  dolce  chiostra  ; 
Dio  lo  d  sa  qoal  poi  mia  vita  fusi  I 

£  quest*  altro  splendor ,  che  ti  si  mostra 
Dalla  mia  destra  parte,  e  che  s*  accende 
Di  tutto  il  lume  della  sfera  nostra, 

Ciò  eh*  io  dico  di  me  di  sé  intende: 
Sorella  lu,  e  cosi  le  fu  tolta 
Di  capo  r  ombra  delle  sacre  bende. 

Ma  poi  che  pur  al  mondo  fu  rivolta, 

Centra  suo  grado  e  centra  buona  usanza, 
Non  fu  dal  vel  del  cuor  giammai  disciolta. 

Questue  la  luce  della  gran  Gof^tanza, 
Che  del  secondo  vento  di  Soave 


110 


itj 


pagnia  di  ao  certo  FtrìoBtt ,  ticario ,  • 
eoo  «llri  dodici  aonioi  di  perdala  fita, 
e,  scalate  le  mora  del  mouaatero,  npi 
la  Tergine  ed  obbligolla  a  preodere  ma- 
rito. Vedi  la  nota  al  verso  40  del  XXIV 
del  Purg.  Con  quella  generale  iodica- 
sione  di  Uomini,  a  malpiit  eh*  a  btn 
uft,  Tuol  notare  particolarmente  i  Do- 
nati, i  quali  ebbero  il  soprannome  di 
Malefammt.  Vedi  Villani,  libro  Vili. 

408.  fuiij  si  fo,  cioè  Dio  solo  sa 
qnanto  inquieta  ed  afflitta  coodassi  la 
vita,  corobattnta  dalla  religione  e  dai 
rtgoardi  sociali  :  ^uantanque,  se  atessi 
arnto  più  coraggio  e  più  forte  e  tena- 
ce volere,  sarei  potata  tornare  a  dispet- 
to di  tutti  al  mìo  chiostro.  Questa  spie- 
gazione combinerà  con  ciò  che  leggerasai 
al  verso  84  e  seg.  del  Canto  che  verrà 
dopo. 

4 1 2.  di  iè  intende ,  intende  dello 
anche  di  sé. 

143.  Sorella,  suora,  monaca,  —  a 
eofi  ee.  Int.  :  e  cosi  a  lei ,  come  a  me, 
furono  tolti  a  forza  dal  capo  i  veli  mo- 
nacali. 

4 1 5- Il 6.  Jfa  poi eke  ee.  Ma  dac- 
ché ,  Contra  tuo  grado ,  contro  il  suo 
piscerò,  e  contro  il  buon  uso,  fa  par 
rivolta  dal  rliioslro  al  mondo  ee. 

417.  Non  fu  dai  vei  del  cuor  ee.: 
il  suo  cuore  fu  sempre  quale  si  ennvi»> 
ne  essere  a  monaca  osservatrice  de'aooi 
voti. 

418.  Costanza.  Fn  figlinola  di  Hag- 
gierì  re  di  Puglia  e  di  Sicilia.  Varj  alo* 
liei  narrano  che ,  morto  senza  igli  Go- 
glielmo  II ,  nipote  di  Costanza ,  oceopò 


il  regno  Tsncredì  ;  ma  poiché  non  ob- 
bediva alla  Chiesa,  rareiveacovo  dì  Pa- 
iamo, capo  del  partito  a  lai  cootrarìe, 
levò  nel  I486  Costanza  dal  mooaatero 
doveerasi  fatta  monaca,  e  la  maritò  d 
figlio  del  Barbarosaa  Arrigo  V  detto  al- 
tnmeott  VI  come  re  di  Germaiùa  ;  onda 
il  regno  di  Sicilia  e  dì  Puglia  passò  alla 
casa  di  Svevia.  Ma  una  più  sagace  cri- 
tica, e  nn  migliore  stadio  della  storiaci 
ha  fatto  conoscere  che  la  sappoaìóaia 
della  professione  monastica  di  Costaosa, 
come  anche  della  soa  etk  dccGoota  a 
vecchiezza  quando  si  maritò  eoa  Arrift, 
sono  invenzioni  degli  storici  di  porta 
guelfa,  che  vollero  con  ciò  far  erodere 
che  Fedmco  11,  che  nsscevo  di  Cmt»a 
za ,  fosse  r  sotirristo ,  di  cni  oppaote  li 
fsvoleggiavs  che  nascer  doveo  da  noa 
monaca  vecchia.  Costanza  nacque  vero> 
mente  nel  4451,  si  sposò  od  Arrigo 
nel  4  486,  cioè  in  età  di  32  onoì;  uè 
visse  mai  iu  un  monantero ,  ma  seainrt 
nel  regio  palazzo  :  Erat  ipti  regi,  <nce 
Kich.  de  S.  G«rm.,  amila  quigdamim 
Palatio  Panormitano,  qumm  idem  rex 
Guittietmus  tieni ico  it^amaimoniii 
rr^i  in  eonjugrm  tradidil.  E  il  Fal- 
candu  palla  di  Costmza  come  di  ona 
principetnn  educata  in  tutte  le  delìzie 
regali. — Ma  Dante  anche  qui  ho  a^oito 
l'opinione  c«<miinedei  soni  tempi. 

410.  Che  del  serof»do  renio  ài 
Soaté.  La  purola  vento  putrebbe  cwcre 
il  partii-ipio  arrorcìato  di  «oniro»  • 
meglio  dai*  antiquato  reumi;  tome 
si  è  veduto  u«ala  contento  per  coateMt' 
lo,  «irto  per  ur(a(o  ce.  L  in  tot  coso 


CANTO  TERZO. 


SU 


Generò  il  terzo,  e  l*  uUima  possanza. 

Così  parlommi,  e  poi  cominciò:  Ave, 
Maria,  cantando;  e  cantando  vanio 
Come  per  acqua  cupa  cosa  grave. 

La  vista  mia  che  tanto  la  seguio, 
Quanto  possibil  fu ,  poi  che  la  perse, 
Volsesi  al  segno  di  maggior  disio: 

E  a  Beatrice  tutta  si  converse; 

Ma  quella  folgorò  nello  mio  sguardo 
Sì  che  da  prima  il  viso  noi  sofferse; 

E  ciò  mi  fece  a  dimandar  più  tardo. 


120 


Ki 


no 


Arrigo  V  sarebbe  detto  il  ieeondo  vtmto, 
o  reouto,  di  Sowoe,  io  qaaotocbè 


ne  tu  ttàlia  «lupo  il  BNrbarosst ,  veou- 
toTÌ  il  primo .  e  fa  il  padre  di  Federi- 
(vo  II ,  che  fu  raltimo  di  quella  ctia  ad 
«▼er  signoria  io  Italia;  e  questa  sa- 
rebbe la  spiegazione  più  sempliee.  Ma 
io  inclioerei  a  credere  che  tento  fossa 
qai  nome^  e  cbecosì  abbia  Dante  toIq- 
lo  chiamare  quo'  tre  imperatoli  Svcvi , 
perchè  poleotissiroì  sconvolsero  coma 
venti  tnrbinosi  singolarmente  l' Italia. 
Oltreché)  nella  metafora  del  velilo  è 
anche  compresa  V  idea  della  instabilità  a 
fu(;acitè  della  potenza  dì  quella  Casa. 
Mi  si  dirhcbe  nell'  insieme  taf  metafora 
4;  ardita ,  strana  :  ne  convengo,  ma  oi 
fi4mto  pia  poesia.  E  anche  il  Profeta  Esa> 
chicle,  da  coi  Dante  tante  immagini  tol- 
se, dcaigoò  col  nome  di  ventui  turbi- 


mii,  il  ra  Nabueeodonasor.  In  sonuua^ 
qoi  è  tutta  questiona  di  gusto^  e  ad 
ognuno  è  permesso  seguire  il  suo. 
Quanto  poi  a  Soave  per  Soavia,  o 
SuacUi,  dal  latino  Suevia,  fu  usato 
anche  in  prosa  da  Dsnte  medesimo  nel 
Contilo:  Federigo  di  SOAVE  ultimo 
imperatore  ee. 

422.  ««mio,  8Tan\:  0  con  quc&to 
svanire  par  che  il  Poeta  voglia  far  no> 
tare  che  V  apparizione  di  questa  anime 
era  qui  istantanea  ;  che  la  loro  dimora 
era  nel  cielo  empireo ,  coma  dirà  net 
Canto  IV. 

423.  cupa ,  profonda. 

426.  al  cagno  di  maggior  ditio, 
all'  obbietto  più  desiderabile ,  cioè ,  a 
Beatrice. 

429.  noi  tofferee:  int.  il  folgorara 
di  lei. 


CJJVTO   OtJARTQ. 


Dm»  émUj  mgUMo  tgnatmtmi»  rrnmlmm  tfM  J^M:  il  prima  i  l$mrm  Mm  doMmm  éi  PUkme, 
«ht  mfftrmm  tutt*  It  mmlmt  torman  «Ito  0ltU*  «aito  tono  partito;  l'atro,  tomo  ilo  gimsté  tho,  40* 
tiolOMMM  loflio  Uèonà  É  ootpa,  étatUo  mmmo  fonmto  m  romport  ii  ooto  abbtsno  scemumomio  di  gt^ 
ris.  Boatrtoo  toggt  in  Domto  putiti  dtMJ,  o  pnwemtoéoio  gUetl  éUkiarmt  dot  ^puUi  oppmtot»  lo 
li f  mando  so  pottooo  l  voti  por  ottr»  bmmto  aptn  eómpomtoni. 


Intra  duo  cibi,  distanti  e  moventi 

D*  un  modo,  prima  si  morria  di  fame, 
Che  liber  uom  l' un  si  recasse  a'  denti. 


4-5.  Intra  duo  cibi  ee.  Cn 
libero  e  poeto  tri^  due  cibi  egnalmaota 
«listanti  da  lui  ed  egualmente  eccitanti 
in  lui  F appetito,  ai  morrebbe  di  fama 
prima  die  n  recasse  a'  denti ,  si  met- 


teaae  in  bocca,  Puno  dì  essi.  PropoMio- 
ne  verissima  :  che  la  nostra  volontà,  per 
risolversi  tra  più  cose  alla  scelta  di  wm, 
ha  bisogno  d'un  motivo  preponderaste 
qual  che  siasi  :  diversamente  ella  si  ri- 


ÙO 


DEI.    P*B»01St> 

Sì  si  starebbe  un  a^o  intra  duo  brame 
Di  fieri  lupi,  igualmente  temendo: 
Sì  si  starebt)e  un  cane  intra  duo  dame. 

Perchè,  s' io  mi  tacca,  me  non  riprendo. 
Dagli  miei  dnbbj  d' un  modo  sospinto. 
Poich'era  nocessarìo,  nà  commendo. 

r  mi  iacea,  ma  il  mio  disìr  dipinto 

M' ero  Dei  vi.'^o,  e  il  dimandar  con  elio 
Più  caldo  assai ,  che  per  parlar  distinto. 

Fé  si  Beatrice,  qua!  fé  Daniello, 
Nabuccodono  or  levando  d'ira, 
Cbe  l' avea  fatto  io giusla mente  (elio. 

E  disse:  Io  veggio  beo  come  ti  lira 
Uno  ed  altro  disio,  sì  che  tua  cura 
Sé  stessa  lega  si,  che  Tuor  non  spira. 

Tu  argomenti:  Se  il  buon  voler  dura. 
La  violenza  altrui  per  qua!  ragione 
Dì  meritar  mi  scema  ta  miBuraf 

ÀDcor  di  dubitar  ti  de  cagione. 


Parer  torna  rei  I' 


e  alle  .«Ielle, 


I 


^orcHBKJjiàpolrDbLadeUiri 
*-Ì.SltltHirfbbcunc 


e.dame.ittnmt,  Jim!. 

7-9.  PtrcM.  l'iotnitatta, 

\r.  ■  ini.:  Pere**,  liondu,»  io, 


foiH  •l(li>  iliilialD,  aproiD 
ti  B\i6,  BD  Cod.  TriiuLi.  ■ 
biBnii  pM  chiar»  aliai. 


•Hiialla;  eoA 
i/ÌJIiDl>,alÌM 


efilìt,bm*t- 
gi'mdoii/^bl- 


J»,Ì 

Z'IìZ^ 

iDB  iivr  «a«n 

.«1  r. 

di  tHor*.  h» 

dilli. 

«inKali  di 

.  li  (ira,  lii 

>ripMidon>»d<i 

n- 

-i».Sflltt, 

ia(«!-ri.»>.ld. 

mcdffii 

1.— (iianir«,l»l 

Ìnq,.i.> 

.,0Sli..-« 

A*^i»r™..I* 

ri..» 

.  u  ««ihtl. 

.  »a  p.rt.U. 

19- 20.  Se  ili» 

«Mtolerdirim 

Hilbl 

ioD>oh»d; 

conlinni  in 

m»,p»y,ù, 

'.llrKi  .iol« 

.»  K.  Q»W  1 

primo. 

ià  dghb.  di 

D.nt<. 

23 

Parerti-, 

IflfHM.  OUtttìt 

»  «r 

™.   di  dubbi,    «p««^._ 

in  cenobi»!  dubbi 
(,  (Kg  Utnwnt.U- 


Secondo  la  sentenzi  di  Platone. 

Queste  son  le  quistion  che  nel  toc  velie 
Fontano  ìguàlemente;  e  però  pria 
Tratterò  quella  che  più  ha  di  felle. 

De'  Serafìn  colui  che  più  8'  india , 
Moisé,  Samuello,  e  quel  Giovanni, 
Qual  prender  vuogli,  io  dico,  non  Maria , 

Non  hanno  in  altro  cielo  i  loro  scanni, 
Che  quegli  spirti  che  mo  t*  apparirò, 
Né  hanno  all'  esser  lor  più  o  meno  anni. 

Ma  tutti  fanno  bello  il  primo  giro, 
E  differentemente  han  dolce  vita. 
Per  sentir  più  e  men  V  eterno  spiro. 

Qui  si  mostraron,  non  perchè  sortita 
Sia  questa  spera  lor,  ma  perfleur  segno 
Della  celestial  e*  ha  men  ràlita. 

Così  parlar  cpnviensi  al  vostro  ingegno. 
Perocché  solo  da  sensato  apprende 


iH5 


25 


30 


36 


40 


25.  nel  tuo  velie,  nella  tavroloo- 
U,  o  nella  (aa  anima.  È  uo  infioìto  an- 
tiq.  traUo  schietto  schietto  dal  Ut.,  eo- 
■le  sopra  fise. 

26.  Fontano  igualemgmU,  pigiano, 
frntitano  egualmente. 

27.  che  ptù  Ka  di  fette»  che  ht  piò 
é»  fide ,  di  Teleao  :  intendi  releno  di 
falsa  dottrina ,  e  più  contraria  alla  cri- 
atìaoa  Teologia. 

28.  più  t^ india,  mh  m  «msee  a 
Dìo,  pia  s'interna  in  lui. 

90.  Qual  prender  tuogli:  cioè, 
^«■le  Ca  togli  prendere  dei  dna  Oio- 
ranni ,  o  il  Èfaltrsta  o  PETangelista. — 
non  Maria,  e  né  meno  Maria.  TNittala 
frase  dipende  dal  Non  hanno  in  altro  oc, 

54-82.  Non  hanno  in  altro  eÌ$lo 
oe.:  tutti  gli  spiriti  beati  sopraddetti  non 
hanno  i  sm^  loro  in  altro  cielo  direrso 
da  qaello  ra  cni  stan  veramente  ali  spi- 
riti che  ora  qui  ti  apparirono  :  aoitane 
tatti  in  nn  cielo  medesimo,  non  per  di- 
verse  stalle,  come  Platone  sognò. 

83.  Né  hrnnno  àll'etter  loroe,:  né, 
siaeoaBe  segnò  lo  stesso  Platone,  hanno 
on  naggìore  o  minor  nnmero  d'amii 
deatìsato  al  loro  eaaer  beati  qaassè*, 
oa^:  nò  rimarranno  nel  loro  state 
beato  piò  e  meno  anni  ;  ma  saranno  in 
cielo  ctaraamcnte. 


84*86.  Ma  tutti  ftnmo  Mio,  tatti 
abballano,  adornano,  il  primo  QelO| 

V  Empireo  :  e  tì  hanno  dolce  vita,  bea- 
titudine ,  aifferentemenle,  maggiora  o 
minore,  per  eentir,  secondo  che  niè  a 
meno  (in  ragione  dei  meriti  lorm  sen- 
tono r  etemo  spiro,  lo  spirare  di  Ilio,  o 
r  emanazione  della  sua  gloria. 

57-59.  QuiiimottraronM.  .Qd  si 
mostrarono  (Piocarda  e  Costanza),  non 
perchè  sia  toccata  loro  in  sorte  qaasta 
tpera  o  sfera  lunare ,  ma  per  sigaifi- 
care  che  come  questa  tiera  ha  men  !•- 
Kto.  è  meno  elerata  d'ogni  altra,  casi  la 
esiliale,  la  spera  celestiale  {qui  f^ 
ra  è  preso  nel  senso  di  grado  o  eaBcU- 
xiooe),  toccata  loro,  èia  meno  alta,  a  è 

V  mfima. 

40.  Cosi  parlar  concienti.  Non 
e*  ara  altro  meuo  che  questo,  materiale 
e  aensibile,  per  dsre  ad  nn  nomo  come 
sei  un'idea  di  queste  cose  spiritoafi  e 
divine. 

41  -42.  iolo  da  sentalo  apprmie  : 
impara  aolamente  per  ria  degli  éUetti 
teiiialt  Isensibili)  le  oose  che  noi  £?afi> 
tane  degna  materia  dall' inleAaltoé  dal 
ragionamento  umano:  cioè, tatto le'idee 
tengono  all'anima  per  meuodd  sasm. 
Questa  era  la  dottrina  di  Aristetele  a  di 
6.  Tommaso. 


I 


Ciò  che  là  potala  d' intelletto  degno- 
Per  questo  la  Scrittura  condescende 

A  vostra  facdlale,  e  piedi  e  muno 

Atlribuisce  a  Dio,  ed  altra  intonde; 
£  Santa  Chic^  eoo  aspetto  umano 

Gabrielle  e  Hicbel  vi  rappresala, 

E  r  altro  che  Tobia  rifece  sano. 
Quel  che  Timeo  dell'anime  alimenta 

Non  è  simile  a  ciò  che  qui  si  vede, 

Perocché,  come  dice,  par  che  senta. 
Dice  che  l' alma  alla  sua  stella  riodo. 

Credendo  quella  quindi  esser  decisa, 

Quando  natura  per  forma  la  diede. 
E  forse  sua  sentenzia  È  d' altra  guisa 

Che  la  voce  non  suona ,  ed  esser  punte 

Con  intenzion  da  non  eiiser  derisa. 
S'  ogl'  intende  tornare  a  queste  ruoie 

L'onor  dell'  Influenzia  e  il  biasmo,  forse 

In  alcun  vero  sno  arco  percuote. 
Questo  priticipio  male  inteso  torse 

Giù  lutto  il  mondo  quasi,  si  che  Giove, 

*S-ii.Per  furila hSeriUara  re.  K-SI,B  font  ma  tri 

Pernala  la  Sacra  Scrìllun  romfemn-  Int.;  pnt  fuora  •««!  che 

da,rM«iiH>ili  dilli  Mia  npronuni, nel  Ji  Piilonf  aia  iHimo  Ji  iji 

na  KngHOiyin,  alla  linln  capaciU.  i  prewalalu  dalla  wa  paro' 

45.  arf  lifrcr  iiifflufff,  d«  irdal  clia  BmUiua  Ai  ma  lÌAliIada  d 

n«aas  la  parala.  d' asur  drii.o. 

411.  B  I- altro ^TaHaie.:  ['ar-  AS-GO  S'a^rmlamtaac 

cunprtiO  Is  ipirilD   dell*   Cbiaaa   ntl      a  «iriù,  ora  4  liiìo ,  lorai  ii 
allo  Jdla  immagini  ;  nt  l«  dk  biaaiino      binimi  di  ma  ili-llg,  fona 

«  frawalaia  a  fulTa  Igoaraan  lua  na 

49-SI.  (furi  eV  nauM  *e.  QBdIo 

rh<  dica  flalaM  nai  Timr»  (g»>  aa'iusi  Dalli  luna,  a  dinoUn  l>  iiulaMliU  4a 

dialoglli)  Don  t  on'immiEine,  Doa  llgu-  <|iinl  pianala  in  lora  inDaila.  —  TLUu 

rt  di  Ulto  di'af  li  laglia  tara  per  quntn  però  ddb  inlEnde  1*  esca  in  ^1H*U  f*- 

nima  inWndare,  come  ti  tadc  «arra  ilniiano. 
■qanMncidolnnira;  ma  parccliaeBli  ei-fiS-  Quello  prltielplo.  tìat  fi 


na  T  JntiBa  ai l  imen  Dcoritir 


re|«l*aJall  ipinxtl  a  rtfulilì  4 


CAUTO  qaAMLTO.  547 

e  Marte  a  nominar  trasoorse. 
L'altra  dobìtazion  che  ti  cooomoove 

Ha  meo  velen,  peroocbè  sua  malizia  65 

Non  ti  potria  menar  da  me  altrove. 
Parere  ingiusta  la  nostra  ginstizia 

Negli  ocelli  de'  mortali,  è  argomento 

Di  fede,  e  non  d'eretica  nequizia. 
Ma  percliè  poote  Teatro  accorgimento  70 

Ben  peiu9trare  a  questa  Tentale, 

Come  disiri,  ti  forò  contento. 
Se  violenza  è  quando  quel  che  paté 

Niente  conferisce  a  quel  die  sforza; 

Non  for  questa  alme  per  essa  scusate;  7S 

Gbè  volontà,  se  non  vuol,  non  s'ammorza. 

Ma  fo  come  natura  foce  in  ftioco. 

Se  mille  volte  viotaia  il  terza; 

fi 

minart  ù  l«egetM  «iMiMMNrf,  far  ■••     ncioM  b? ctm  «Ulla  eredikililk,  t  cW 
"!*.  '^.  ^^^^^i^  ^^*  questo  irarbo  d«-     mIU  mm  '  dimoatrtbUi  •  iiitallifi^ili 

■••  d  ha  loogo  la  /Ma  tona  tirti  !••• 
lama.  Sa  dno^aa  la  fiastoia  di  Di* 
(eoa è aaeha  gìwtiiia  «auffi^  parelièQ 
Metro  nadÌMra  è  aaifonDa  al  |aidi 
etra  i»  Dio)  atmbra  alesM  valla  a|^ 
aechì  da'aortali  on'iapÌMtìiia,  cièdOT* 
eeaara  aifaiDtiitoysabwtto  di  leda,  Mila 
iafeUìbiliià  di  Dio  ri? alanta,  a  Balla  aa- 
■oadola  boc^mu  dal  voilro  inlallaltoz 
non  ragioM  a  eaparbo  fifittamaifa  a 

W    HM^M#0  ^P^V^VWOi^B^ 

75-75.  Sé  vMmaa  ae.:  sa  vara  vSa- 
laosa  è  mando  qu^li  afta  fM<e^  eW  la 
soffra,  Ni§tU9  €omf$rite$,  bob  aaea»- 
asato ,  Doo  sderìsea  io  aiado  alcoBO  d 
f  oWra  di  chi  sfona,  Pioearda  a  Csitaata 
aao  forooo  al  laUo  seosato;  psrciaaahè 
avaodo  slcoo  poco  adariCo  a  aolosa  cho 
la  trasaaro  dal  mooistero^iioB  si  pBè  af- 
fsmara  che  foese  sseolutaiBaBla  fatta 
laro  videota. 

76.  Ckè  voUmtà,  99  BOB  vmol, 
BOB  s'oaiBiorsa:  perocché  la  voloBth 
aon  paò  anoieoUna,  perchè  Faniia  k 
aai  nsiado  non  è  ca|>ace  di  Tiolaaaa. 

77-7S.  JCa/SseoMCBalMni  aa.:  bm 
fi  eoBiasaola  aalarabocnia  la  iaBUBa , 
cha ,  sa  fiolent^manto  è  torta  alla  iagia 
mille  tolta ,  si  ritorca  allo  iasA»  •»  U 
tona,  lo  torca. 


-Dai,ofacendoaaa1trattaBeDei.  11     ressa  ami  cantrariarla.  ta  dati 
'«ramni  torrchha  cha  in  teca  di  «»•     darti  eha  il  aserito  dalU  fedo 


rehho  ballissiino  senso  e  sarebbe  dello 
atcsso  conio  che  l'taealara,  l'iBiKari, 
l'iBMsarfi  ce.;  ma  l'iodorra  aaa 
naoTO  lenona  senza  nn  assolato  biao- 
^  ^scchè  sncbe  i^BomlMrf  paò 
Bell'  inaienia  della  frase  roadara  il 
««•catto  stasso  del  BWBÌB«iniA,  a  eon- 
tra  Pantorith  di  tatti  i  Codici  a  stan- 
f  Am  si  conoscano ,  mi  è  parato  an 
arfira  aorerchio,  a  mi  sono  attaaoto 
all'antica.--  Dice  quoti  iuUo  U  moB- 
do,  perchè  il  solo  popolo  ebreo  bob 
parteopara  a  qncslo  falsa  opiaioni, 
arando  farà  idea  di  Dio  e  daUa 


aoaa. 

64.  l'olfra  dttWtoxioB ,  cha  è  co- 
BM  peeaa  scemarsi  il  merito  in  chi,  par> 
scf  arando  nel  bnon  t olerò,  è  tratto  par 
▼iolenxa  a  mancare  al  voto.  —  «ha  ti 
eommuote,  cha  ti  agita,  cha  ti  tiaoa  ia- 
^aieto. 

66.  JYoB  H  jMtria  «e. ,  non  ti  po- 
trebbe allontanare  da  me  ;  die  è  ^nto 
dira,  secondo  il  senso  morale,  dalla 
doUrina  teologica,  a  dogmatica:  par> 
ciocché  potrò  convincerti  anche  calla 
sola  forss  dall' umano  ragionamaata. 

67-69.  Pm-tn  lagiBsta  at.  Gih. 
fsaad'aaco  si  trattasse  qni  di  cosa,  a  cai 
raaMaa  ragione  non  arritasaa,  a  pa- 


Perchè,  s' ella  si  piega  assai  o  poco. 
Segue  la  forza  ;  e  cosi  queste  fere, 
Polendo  ritornare  al  i^nlo  loco. 

Se  fosse  stalo  il  lor  volere  intero. 

Come  tenne  Lorenzo  io  su  la  grada, 
E  (ete  Muzio  alla  sua  man  se\6ro, 

Cosi  l'avria  rjpiaie  per  la  strada 
Ond'eran  tratte,  coma  turo  sciolte; 
Ha  cosi  salda  voglia  è  troppo  rada. 

E  per  quesle  parole,  se  ricolle 

L'  hai  come  dèi,  è  l' argomento  cassi. 
Che  t' avria  hlto  aoia  ancor  più  voIICl 

Ha  or  li  s' attraversa  uo  altro  passo 

Dinanzi  agli  ocelli  lai,  die  per  ts  stesso 
Non  n'  usciresti,  pria  sai'esti  lasso. 

lo  l' ho  per  certo  nella  mente  messo, 
Ch'alma  beata  non  porla  mentire. 
Perocché  sempre  al  primo  vero  è  presM: 

E  poi  potesti  da  Picearda  udire, 

Che  l'atfeiion  del  vel  Goalanza  (enne. 
Si  ch'ella  par  qui  itieco  cootradire. 

Molte  Gate  già,  frale,  addivenne 

Che,  per  fuggir  periglio,  contro  a  grato 

0.  ^»re«.  l'ilio  «.  Per  luti  il      Li!  iaU»  cime  lontien». - 


•file  Inibita  1* 


■BBanlD  tiani  Ptnirili  <  CnUn». 

■plcilD. 

81.  Ptltnda  ritornare  te.  ««,• 

9i.unailri,paae.,B-ùtnm- 

«m.                             m 

Mai.  Il  Cod.  Buhilioi  ea  .Ilei  buooi 

Codici  l»iii>»   P„ltnda    TifugglT  mI 

f"i-                          M 

04    10  1-Aapereerto.c.  Vdfl 

82  tiiléro,  piifdlii,  in  nicole  iikd- 
■S.  Come  (emù:  «m.  quel  r»Un 

Cenoni,  <'niiSI><»g.               J 

IT.  BpolpoMUtt,  Vedi  U  Ca» 

i.rn,.r™iis.i.jg. 

eh.  Icuts  trrme  f»  ih  I>  grada,  ia 

39.£l<r»'(lta  K.:  •'■cbePieMri* 

(■III  intltnli  «. 

gf.ir«.e8«.»l.  B™,De,ch., 

per  die  me»  contrldìei,  iiudn  1» 

dcue  (il  tene  80)  che  ititele  duM 

Itllilg  il  ealpo  tooln  PorMime,  fan  li 

m  d.tr.  uù  crboni  erdeoli  ,<>HÌ  . 

piten. 

pni.!.. 

*00-t02,  «lille /t«(»SW,rr<«».at 

89.  ratria  rt/rfn(e;  li  tBrm»  tb- 

dlceHniee.  Iiileiidi:>pauv.>ilc,  Bfn- 

bo»  PtmblHi  mpinle,  riin«e,  «e. 

tello,  iivenai  che,  por  itilti*  uo  pvi- 

M:  «me  /br»  •ct«»e,  ■ppent  la. 
pw.  tiUr.  delti  «-leti  f.lN  ter.. 

enla ,  ei  tece  miMro  a  griMa.  auDln  le 

S»-M.  ee  rl»ll(  V  hai  «.:  » 

Il  U  rionatt  uUt  sMte,  n  I* 

di  te-., 

GAIilTO  QOAaXD. 

Si  fé  di  quel  che  far  non  si  convenne; 

Come  Almeone  che,  di  ciò  pregato 

Dal  padre  suo,  la  propria  madre  spense: 
Per  non  perder  pietà  si  fe  spietato. 

A  questo  punto  voglio  cbe  tu  penso 

Che  la  forza  al  voler  si  mischia,  e  fanno 
Si  che  scusar  non  si  posson  le  offense. 

Voglia  assoluta  non  consoite  al  danno, 
Ma  consentevi  in  tanto,  in  quanto  teme, 
Se  si  ritrae,  cadere  in  più  afiknno. 

Però,  quando  Piccarda  quello  spreme, 
Della  voglia  assoluta  intende,  ed  io 
Deir  altra,  si  che  ver  diciamo  insieme. 

Coiai  fu  r  ondeggiar  del  santo  rio, 

Cb'  usci  del  fonte  ond'  ogni  ver  deriva: 
Tal  pose  in  pace  uno  ed  altro  disio. 

0  amanza  del  prima  amante,  o  diva, 

Diss*  io  appresso,  il  cui  parlar  m*  inonda 
E  scalda  sì,  che  più  e  più  m*  avviva. 

Non  è  r  affezion  mia  tanto  proibnda, 

Che  basti  a  render  voi  grazia  per  grazia; 
Ma  Quei  che  vede  e  puote  a  ciò  risponda. 


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^03.  Àlmeone.  Costai,  pregato  dal 
■lorìlionclo  Aofiarao  suo  padre,  e  Tinte 
dalle  preghiere,  occiie  la  propria  ma- 
dre Enfile.  Vedi  la  outa  al  Terso  50  del 
Canto  XII  del  Purgatorio. 

405.  Per  non  perder  pietà  ee.  Per 
non  niancare  alPamor  Blìale,  alla  pietà 
Terso  U  padre,  dÌTenoe  crudele,  mance 
alla  pietà  doTuta  alla  madre. 

407.  Che  la  forza  ee.  Vuol  dire,ebe 
la  violenza  non  esclude  assolutamente 
il  Toluntario,  cbe  più  o  meno  vi  ai 
nniace. 

408.  U  offenu,  le  offese  a  Dio,  i 
peccati. 

400-444.  Voglia  attoluta  te.  Nel 
caso  che  la  Tolonlà  si  coogiuoga  eolia 
TÌolenza  altmi,  essa  volontà  non  accon- 
senta al  damno  della  cosdeoaa,  al  pec- 
cato, assolatamente,  ma  t' acconsenta 
io  tanto,  in  qusnto  teme,  ritraendo- 
sene.  di  cadere  io  msggiore  affanno. 

442.  quello  ipreme,  esprìma,  dica 
di  G>staaza  quel  cho  ha  detto  sopra. 

445-414.  Della  voglia  tutoluta  te. 
Piccarda  inteode  dcl'a   volontà 


Inta^  eba  rìtenna  l'affetto  al  vota  — 
naatioo*,  ed  io  intendo  della  volaatà 
condizionata,  cbe  è  aaella  cba  è  pie  da» 
tideroaa  di  schivare  la  pena  minacciata, 
abe  di  oaservare  il  voto;  sioekà  en- 
trambe diciam  vero. 

445.  Colai  fa  Vondeg^iarte,  Mo- 
do figurato  cbe  vale  :  cotal  fo  il  ragi^ 
narc  di  Beatrìce ,  cioè,  l' insegnanMnto 
della  Teologia,  la  quale  è  coma  fiuM 
cbe  da  Dio ,  fonte  di  verità ,  a  Aoi  di* 
scende. 

447.  Tal  potè  i»  pace  te.:  tale 
ondeggiare,  tal  parlare,  aoqoatè  tatti  i 
miei  desideri . 

418.0  awuuua  (voca  ant.  cba  vak 
donna  amata),  o  amore  del  prima 
amuite,  cioè ,  di  Dio.  —  o  dima,  o  di* 
vina  donna. 

424-4  22.  JVonil'a|resMm  mio.- par 
affezione  s' intenda  qw  ditpotiaiom , 
capacità  d'animo.  —  •  rtùider  fiai,  a 
rendervi.  Il  Barldioi  ha  Ifon  è  la  •«« 
«sta.  —  grazia  per  graxia,  ringraiia» 
mento  |>ari  al  favore. 

423.  Ma  Quei  che  vede,  Iddio. 


Io  veggo  ben  die  giamioai  non  si  sazia 
Nostro  iiitellello,  se  il  Ver  non  Io  illuslrj , 
Di  Inor  dal  qaal  nessun  vero  sì  spazia. 

Posai!!  in  e<tso,  come  fera  in  lustra. 

Tosto  che  giunta  l' ha:  e  giu°;ner  pnollo; 
Se  non,  ciascun  disio  5arefot>e  frustra. 

Kasce  per  quello,  a  guisa  di  rampollo, 
Appiè  del  vero  il  dubbio:  ed  è  natura, 
Ch'  al  sommo  pinge  noi  di  collo  in  collo. 

Qiieslo  m' invita,  questo  m' assicura. 
Con  riverenza,  Donna,  a  dimandarvi 
D'un' altra  verità  che  m'è  oscura. 

Io  vo' saper  se  l'nom  pud  soddisfarvi 
A  voti  manchi  si  con  altri  beni, 
Ch'  alla  vostra  stadera  non  sìen  parvi. 

Beatrice  mi  guardò  con  gli  occhi  pieni 
Di  faville  d'amor,  cosi  divini, 


4  25.  I>  il  fn-ium  lot'lluilrn  :  ciot. 

piiir<iaipolli;rin;iDfÌmDnn,«Mi 

M  DDB  t.  ittamii»  il  primo  V«i>,  Iddio. 

Ì26.  Di  tuar  dal  ai»l  u.  Fuori 

du  coli' sculo  doìdirio  <*«  ti  ««■»■ 

«A  10.1.  non  ti  ipa-.ia.  aon  «  difloa- 

M,  U  coaducon.  .d.BÌo  .dipo  1  nm 

TcriU,  itiapn  progredendo,  ÌmU  M 

iZJ.  «i«u  fir»  in  iHiInt,  ton» 

giao|;i  il  primo  t«fo,  e  l'  k<ibiIì. 

Gtri   ad  »o  covile.  UdJiuim.  pon- 

431-132.  •rfJMluraio.iadtw. 

feaeì  cbt  ognuo  ■>  con  uvaai,  imi- 

rilt  l'irai»  .d>*  •  dircnd'  il  xro,  u» 

di  grido  ia  eridc  «idi  l'nmi»  M 

*o)M  (U  lo  «bbl.  troolo  .  iTtdi  aTtrlo 

1(11»  .11.  cognirione  di  Dio  dilli  «• 

Irnala:  ■  aa  lono  «teninia  i  mirtiri  ■ 
•  Glout.  Luflra  *  loce  l.lin.,  «1  i 

■Bartill.  che  IMI  Mala  al  fotlM-,  MW 

JliHi  il  Pelnrei.  —  colto ,  >ili  mM 

fitti  di  in  neiilro  pluiilt,  nun  gii  ro- 

dtl  «axfi.'  oai  i  iuta  figont.,  •  wb 

di  gc.do  io  grxdo,  di  ilK»*  ia  iltam. 

i«(r«r 

Si  leeenni  iIIe  kiIi  Fliloniebf ,  mah 

m.i,(«p.5rp«Ha.Ia<.:rp„4 

p<r.i.d'.n.>ni|p<>ÌFlà<piàFwflll»i 

iMMdt  .1  Hoimo  beai. 

133   Oo"»  m'itila.  Qual'tc 

Jiaediaaiflri. 

429.  eUlcIfiUio,  H  deuo  d.  cii- 

)30.)S8.  h  toUaprr  «.   Ili, 

•«no  4i  Bti.  —  ia.Titti  fnàrtrt.  m- 

io  Toglio  HMre  K  ■  «oi  iblUlan'  dd 

rAU  intiM,  Toa  l.i.  Iddio  iimdo 

nolo,  .b>  aaitormllo  i  t«l<i  daUcrl  ■ 

««Ili  di  Dio,  pu6  l'anma  .«ddiiliri. 

itftn  il  Ttro,  ri  la  «icriiio  rbe  lo  po- 

ifimna  «111  aoiln  dilijtnn  ng^nn- 

>o,e-,  chi  »  ciò  DQii  IviH,  liei  dni- 

il<ra.rbi>pc^l'o'lli  •min  ginliiii. 

■,ontì..o«„«:ÌB.,„  pinti, »d 

•  Dio  ano  i  OHnIen  di  *iaiU. 

ptBuiìoai  di  iM.  rnioiUia  »  ^S^L 

JM.pwjwJlo.rio*,  pwrii,  pff 

M  «Mi..;  n,„o  di  quel  ^uio  .  Va. 

ito.  enti  A'Hof,  Ifini  ti  «H 

«(mM  4i  «por..  -  .  fHlM  di  re- 

«J (Mi»  Uà.  ed  II  GlnWiU^I 

pella  M.  Pi«u  o»  libero,  dite  .1  &!• 

lei-KHii  p.à  ehiui  dilli  naiM^H 

nidi,  •  gli  radi  «rpm  il  p«Ui  fìd  • 

m 

CANTO  QUARTO. 

Che,  vinta  mìa  virtù,  diedi  le  reni, 
E  quasi  mi  perdei  con  gli  occhi  chini. 

U^'^2.Ck9,9imlmmiatirtU,ec,:  Toltai  pOTrìparanni  da  qvello,  fi  fuoii 
•ha  oppressa  per  soperchio  lane  la  mia  mi  perdei,  e  ooasi  raitai  •marrito  por 
▼irta  o  facoltà  vitifa,  diedi  Ureni,  mi     eoo  gli  oechi  baiai. 


MUfométmdù  BtàtrUt  mttm  fuétUmu  pnpuUU  im  D»mU,  raglom  étttm  mmimm  étl  fM^  • 
r  UgkM  ptr  futtt»  U  promUut»,  •  mmg  fvtsm  nmmmtmnL  Foiimtt  qmmdt  Mnw  Im  pmiU  pA 

Jmom  tf«f  dtto,  irmamUm  cof  segmact  «fiiiM*  mallm  ff*m  smptrtart  di  MtrtmHo,  é09$  grmm  mal- 

mtméùu  di  *mK  tplrU  M'mfftUm  Informa  mi  PaHm,  té  mm  di  ^mettt  m  gli  ùffn  pnmm  md  mppatmr* 
0gm  tm  dutdaHa,  l»  dammtdm  ejU^darl  OM  A«M/  •  !•  Sfirif  mtl  fmttm  di  rUpmdwgtt 
«*c»viM  di  tamtm  Imcf,  cft'«<  bm  m  tmiUm»  Im  akim. 


S' io  ti  fiammeggio  nel  caldo  d' amore 

Di  là  dal  modo  che  in  terra  si  vede, 

Si  che  degli  occhi  tuoi  vinco  il  valore, 
Non  ti  maravigliar,  che  ciò  procede 

Da  perfetto  veder,  che  come  apprende, 

Cosi  nel  bene  appreso  muove  il  piede, 
lo  veggio  ben  si  come  già  risplende 

Nello  intelletto  tuo  1*  eterna  luce. 

Che  vista  sola  sempre  amore  accende  ; 
E  s' altra  cosa  vostro  amor  seduce. 

Non  è,  se  non  di  quella  alcun  vestigio 

Mal  conosciuto,  che  quivi  traluce. 
Tu  vuoi  saper  se  con  altro  servigio, 

•  tae  dimoitraiioni,  colle  qoali  ai  Tede 

•  la  Tcritè  certissimamente,  a  il  avo 

•  tito  sono  le  sue  pcrsnesioni  oe.  a 
5.  Da  perfeUo  veder.  Dal  mio  per- 
fetto vedere  io  Dio. 

9.  Che  viita  $ola  ee.  Coatr.:  efte 
ioìa,  tittUf  tempre  ec.  Che  iolm  (per- 
rhè  ooo  w'è  altra  cosa  cbe  abbia  qoe- 


IO 


4-4.  S'io  ti  fiammeggio  ee.:  te  nel 
foeoodel  mio  amore  fiammeggio  ai  (noi 
orchi,  afavillo  di  luce,  si  di  Ik  di  quel  che 
vedevi  in  terra,  talché  la  Ina  vists  noa 
pnò  sostenerne  lo  splendore,  non  ti  ms- 
ravigliare,  che  ciò  procede  ee.  E  ae- 
eoooo  l'idea  rappresentata  da  Beatrice, 
vaol  dire:  non  ti  msra%igliare  se  la  Teo 


logia  qoi  in  cielo  è  più  illaminata  cbe  sta  virtù)  redats  cbe  sia  accende  in  per- 
iti terra;  perciocché  esse  in  cielo  com-  petao  dell'amore  di  sé.  Ma  vitlm  foto 
prende  piò  perfettamente  il  bene,  e  a     potrebbe  anche  intendersi,  veduta  seom« 


miaora  che  lo  comprende,  si  muova 
verso  di  Ini,  e  del  suo  amore  s'accende. 
E  nel  Conato  si  Ic^ge:  e  Bestrice  fign- 

•  ra  la  divina  scienza  risplendenta  di 

•  fotta  la  luce  del  suo  saggetto,  il 

•  qasla  é  Dio....  nella  faccia  di  costei 

•  appaiono  cose  cbe  mostrsno  de'pìa* 


psgoata  d'ogn' altra  cosa  materiale  cbe 
possa  ofl'nscsria  ,  il  che  non  ooò  avvo- 
nire  cbe  in  paradiso.  Dante  ha  già  eo- 
minciato  a  gustare  il  sovrumano  piacerà 
deUa  verità  nella  sol  azioni  di  Beatrìca. 

40.  seduce.  Intinga,  attrae. 

4M2  se  non  di  fuel/a,  cioè,  di 


•  ceri  di  Paradiso,  cioè  negli  occhi  •     quella  eterna  loca.  —  alcun  tetUgio 

•  nel  viso.  E  qui  li  conviene  sspera     ee.,  alcun  raggio  di  essa  luce,  eha  nella 

•  che  gli  occhi  della  sspieozs  sono  lo     create  cosa  si  mostra. 


Per  manco  vola,  si  può  render  tanta, 

Glie  r  anima  sicuri  di  litigio. 
Si  cominciò  Beatrice  questo  canto; 

E  stcom'  uom  che  suo  parlar  non  spezza, 

Continuò  cosi  '1  procosso  santo: 
Lo  maggior  don,  che  Dio  per  sua  largheiza 

Fesse  creando,  e  alla  sua  bonlale  n 

Più  conformalo,  e  quel  ch'ei  più  apprezza. 
Fa  della  volontà  la  libeitate. 

Di  che  le  creaUire  intolli genti, 

E  tulle  e  sole  furo  e  fon  doUlc. 
Or  ti  parrà,  se  tu  quinci  argomenti,  n 

L'alto  valor  del  voto,  s'è  si  Tatto, 

Che  Dio  consenta  quando  tu  consenti; 
Che,  nel  fermar  tra  Dìo  e  ruomo  il  patto. 

Vittima  (àssì  di  questo  tesoro. 

Tal  qual  io  dico,  e  Tassi  col  suo  olio.  IO 

Dunque  che  render  puossi  per  ristoro? 

Se  credi  bene  usar  quel  e'  hai  offerto, 

Di  mal  tolletlo  vuoi  far  buon  lavoro. 
Tu  se" ornai  del  maggior  pualo  certo; 

Kla  perchè  Santa  Chie;;a  in  ciò  dispensa,  s 

29.  raiinta  faM  te.  Si  ti  —in- 
>  ■  1^0  di  ijKOla  gran  taat»  ii  ii 
pirla,  ci»  dilla  proprìi  liberti. 

"!■"  1"''  ™  "  f"*  '  .' 
per  raion,  m  compeouiiMa  4» 


32-33.  St  rrcditt.  S.  credi  «  t» 
Icr  [ir.  bUDQ  ino  di  .oclli  likA  A» 
hù  .([«ria  .  Di» ,  rivolgnidoli  ad  riw 

pulan. 

20.F.H,,[™..,d.II'.Miq.^,r.. 

p«t«e. 

Gne,  <|u»la  Ei  l.  il^MB  eh.  «dm* 

2l.nw/-ormfllo,«™f<.rai.. 

p.I.r  (in  (Hon  lacero,  opera  baM*. 

U.  fino,  fgroni..  Fura  è  ditto  ri- 

Di  mal  lolletle,  noi  di  uaa  aai  telti, 

■|><lloaUiieri»tiiroDiigclirbe;iD>>,  ri- 

rubata. 

tpellD  ilio  idinia  dagli  uniuixi,  chi  Dio 

M-  dil  tnGs3ior  ptuito,  JaD'ì* 

cni  1  man.  1  mi»  eh.  ai  («oiaD.  i 

55-3T  ira  prriAi  u.  Hi  yiàà 
circi  rc»ertiiuad.->olil.SuU  CUOI 

25.  firinei,  da  qanlo  priDcìfis. — 

Hporrd.  liti  lui  miiii[alo. 

20-27,.-Ìil/'aUoM.-i.1lT.loé 

co»  p.t  m.  aclla  Unonj  p.ni»  o» 

di  cu.  iilc.elu  Dio  u»D»nL.  Ji  riu- 

ii.p.  che  In  li  prepari  iriaTircQók 

cl>e  ti  porgerò,  cioè,  1  udir*  !■  dgllnM 

28,  Chi,  tale  q.i  impti-eioechi. 

eh.  li  tattt  maulTcaU. 

CAUTO  qujiria 

Che  par  coltra  lo  ver  eh*  kx  t*  lui  leovert», 

CoDvienti  ancor  sedera  an  pooo  a  menaa. 
Perocché  iL  cibo  rigido  e*  hai  presa 
Richiede  ancora  aiuto  a  Ina  dispensa. 

Apri  la  mente  a  quel  oh' io  ti  peleso».^ 
E  férmahri  entro,  chò  non  4  scieoM, 
Senza  lo  ritenere,  aveva  inteso. 

Due  cose  si  convengono  ali*  esseon. 
Di  questo  sacrificio:  V  una  ò  qpella 
Di  che  si  ia;  V  aitr*ò  la  convenensa; 

Quest*  ultima  giammai  non  si  cancella,. 
Se  non  servata,  ed  Intorno  di  lei 
Si  preciso  di  sopra  si  favellai: 

Però  necessitato  fu.  agli  Ebrei 

Pur  r  oSérere,  ancor  che  alcuna  oflénla 
Si  permutasse,  come  saper  dói. 

L' altra,  che  per  materia  t*  ò  aperta,    «. 
Puote  bene  esser  tal,  che  non  si  folla, 
Se  con  altra  materia  si  converta. 

Ma  non  trasmuti  carco  alla  sua  spalla 
Per  suo  arbitrio  alcun,  senza  la  voHa 
E  della  chiave  bianca  e  della  gialla  ; 


Sta 


40 


60 


63 


sa.  lidio  rigido,  sono  Io  dotiniit 

incili. 

89.  MkkUde  te.:  «bbisogoa  £  nwàù 
per  U  Isa  diipetMa ,  cioè ,  por  lo  dì- 
MMMf«,  Bar  lo  dislriboire  cka  di  «ho 
aW  4m  un  lo  ttomaco  per  la  parti 
dal  cana  tao;  eba  è  quanto  dira,  par 
la  taa  dSfialiaaa.  E  spiegando  la  metafo- 
ra :  luì  Uà^fM  aacora  di  altri  scbìarir 


,  far  pasatrare  beo  addantro  la 
f  ariti  della  aia  parola. 

4I-41.CU  fto»  fm  fetenza  ae  ^  aa  U 
rìtmiaasa  qael  cbe  l'io- 
tallatto  «aa  folta  ba  inteso,  oca  sa- 
li islla,  daccbè  tt^pmrt  6  ri- 


44-41k  IHmtetUnacri/Uio:éé9%' 
«rìScio  dtf  fia  Dia  dalla  propria  libertà 
colai  cba  ai  vola. — l' una  i  quettm  Di 
cAa  si  /Sa»  cioè,  la  eaaa  della  ^oala  si  fa 
vaia,  caaia  aarcbba  la  rerginità ,  il  di- 
ciaaa,  •  aìaùla,  dia  i  teologi  cbiaoMoo 
la  aMteia  dal  Tato. — roilr*  d  to  aoM* 
vaaawta,  àaè ,  la  cooTaniioae,  il  patto 
steiao  cIm  si  fa  con  Dio ,  il  qaal  patto 
dai  taalog^  6  detto  la  forma. 


46.  non  ii  eciwaUs.  iDlaadi:  di 

Saaata  commuciiui T mhbo  aansi  ada- 
tta sa  noa  osaarrando  la  praMiMA. 
fatta  a  Dio:  perd6  fa  coBaadata  agp 
Ebr«  di  offerire,  sebbaaa  fa  paroinaa 
loro  cba  bvaea  di  oua  easa  pntaiaara 
offerìma  uo' altra. 

47-48.  ed  imiorno  di  IH  ae.,  ad  in- 
torno a  questa  promessa  ti  banarlala 
eoa  ooelu  preciiiona  cba  bai  ocna  aa* 
pra  fai  Terso  31  as^.). 

49.  fiaeeff alalo,  naecsailk.  È  ■• 
participio  sostaDtirata;  seppora  Ai  n^ 
eettitato  noo  piaceasa  spiegarlo:  w  latta 
aeccssitb,  fn  camandata  aaaoIntaoMBta. 

52.  L'aUra,  dU  ce.,  la  aaaa  daUa 
mula  si  fa  roto.  —  c6a  par  mntmrim. 
r  è  optTla,  cba  ti  è  cogioita  sotta  il 
nome  di  materia  del  roto. 

55.  e^  non  H  falla,  oba  oao  si 
arri.  — falla,  modoooog.  dall' aatiq. 
falUn, 

55-57.  ila  «Oli  IromiiM  oe.  Ma 
ncasumi  di  proprio  arbitrio  mali  h 
miUrìa  del  voto ,  saiua  la  volta  e«.». 
s  aia  la  girata  della  cbiara,  sansa  eba 


Ed  ogni  permvlanza  credi  stella, 
Se  la  cosa  dimessa  in  la  sorpresa, 
Come  il  quallro  nel  sei,  DOn  è  raccolta. 

Però  qualunque  cosa  tao  lo  pesa 

Per  suo  valor,  cbe  tragga  ogni  bilancin, 
Soddisrar  non  si  può  con  altra  spe^. 

Non  prendano  i  mortali  il  volo  a 

Siate  fedeli,  ed  a  dò  far  non  Dieci, 
Come  fu  lepte  alla  soa  prima  manciù  ; 

Cui  più  sì  convenia  dicer  ;  Mal  feci, 

Che,  servando,  far  peggio;  e  cosi  stollo 
Ritrovar  puoi  lo  gran  duca  de*  Greci, 

Onde  pianse  IGgénia  il  sno  bel  volto, 
E  Ib  pianger  di  sé  e  i  folli  e  i  savi. 
Gii'  adir  parlar  dì  cosi  fatto  colto. 

Siate,  Cristiani,  a  muovervi  più  gravi, 
Non  siale  come  penna  ad  ogni  velilo, 
E  non  crediate  eh'  ogni  acqua  vi  lavi. 


S.  FìclnijCÌoi,  StDlaOiitu 
U  chìiv*  i-  oro  0  quelli  A' 
HO  copeedi  U  dispcDU.  Vedi 
CuloIX,  T.  KB. 

S9'tiO.Se  iacoiadinciii 


^b.p™ 


«fni  qilahollB  t'opera  pn 
tinto  può ,  the  tragga  tu 
Ji  linlD  prCQio  che  bDji  p 


61,  atianeia.  a  leda,  ■  Lur! 
65-60.  £ial<  fiMi  uri  minlei 


TÒ.  Ondi  n.!  prr  la 

l>Ì*a«  di  «unGcarle  il  pìg  .  _ 

ClilinDalri  «.  Ha  leijnitilD 

dilli  «Uri  miioiop 
Il .  1  fbtti  1 1 


Iti 


72.  di  eoli  faiu,  eolla,  £  td  ^ 
T5.  più  ir«(,  fià  rìlvaiU,  |ii 


CANTO  QUINTO. 


5t5 


SO 


Si 


90 


Avete  il  vecchio  e  il  nuovo  Testamento, 
E  il  pastor  della  Chiesa  che  vi  guida: 
Questo  vi  basti  a  vostro  salvamento. 

Se  mala  cupidigia  altro  vi  grida. 
Uomini  siate,  e  non  pecore  matte, 
Si  che  il  Giudeo  tra  voi  di  voi  non  rida. 

Non  feto  come  agnel  che  lascia  il  latte 
Della  sua  madre,  e  semplice  e  lascivo 
Seco  medesmo  a  suo  piacer  combatte. 

Così  Beatrice  a  me,  come  io  scrivo; 
Poi  si  rivolse  tutta  disiante 
A  quella  parte  ove  *1  mondo  è  più  vivo. 

Lo  suo  tacere  e  il  tramutar  sembiante 
Poser  silenzio  al  mio  cupido  ingegno, 
Che  già  nuove  quistioni  avea  davanle. 

E  si  come  saetta,  che  nel  segno 

Percuote  pria  che  sia  la  corda  quota, 
Cosi  corremmo  nel  secondo  regno.  (*) 

Quivi  la  Donna  mia  vid'  io  si  lieta, 
Come  nel  lume  di  quel  ciel  si  mise. 
Che  più  lucente  se  ne  fe'I  pianeta. 

E  se  la  stella  si  cambiò  e  rise, 

Qual  mi  fec*  io  che  pur  di  mia  natura 

ore  il  mondo  è  pia  tìvo,  cioè  ^i  pieoo 
di  loco  •  di  Tifa,  è  quella  dora  trotaH 
il  aole,  che  allora  era  tali' equatore. 
Anche  al  verso  47  del  Canto  I  dì  que- 
sta Cantica  si  dice  che  Beatrice  fisse  gli 
occhi  nel  sole. 

89.  Poter  tilenxio:  per  FatieB- 
zioiTe  a  cai  lo  richiamavano  e  il  tacer 
di  Beatrice ,  e  il  suo  cambiarsi.  —  td 
mio  cupido  ingegno ,  alla  mia  meste 
desiderosa  di  nuove  verità. 

94-93.  E  fi  come  taetta  ee.  E  sic* 
come  saetta  che  giunge  allo  scopo  prima 
che  la  corda  delParco  dal  quale  si  parfi 
cessi  da  ogni  sua  oscillazione  ;  così  noi, 
prima  che  si  acquietasse  in  me  il  dub- 
dìo,  arrivammo  al  tecondo  regno. 


95 


79^90.  Se  mala  ee.:  se  sacerdoti 
pervcfii  eJ  avari,  o  se  le  vostre  stesse 
pasmani  altro  vi  sougerisconu  da  quel 
clizia  CbicM  ordina ,  usate  ragione  ec. 
Mi  Bara  cba  questo  luogo  consuoni  con 
quel  Ae  peufetava  San  Paolo:  Brìi 
iempfu  emm  gonam  doetrinam  non 
suelimHimi,  ted  ad  eua  detideria 
comeerveAmU  tibi  magistrot,   pru- 

(f  a  verilale  qui- 
aterlent,  ad  fabulat 
'tentur. 

U.SìekeU  Giudeo,  si  che  il  Giù- 
deo  naa  abbia  a  rìdere  di  voi ,  veden- 
«favi  lacerti  a  vani,  e  smentire  coi  fatti  le 
maivaM  Mia  religione  che  professate. 

83.  Icfcfvo.  Qai  lascivo  è  nella  si* 
giiiearioaa  cba  ba  la  parola  latina  fa- 
eeiwut,  doè  di  esultante,  gaio,  vivace. 
Cuak  saurra  nella  Propotia  il  Monti. 

SS.  Coti  Beatrice:  sottintendi: 
pmHà.-^La  Nidob.:  eom'io  lo  tcri90, 
con  vaataggio  del  verso  ;  il  Cod.  Pugg.: 
com' iù  nleerioo. 

S7.  A  quella  parie  ee.  La  parte 


J*)  Cielo  di  Mercurìo. 


Quivi  la  donna  mia  ee.  Vaol 
fare  intendere  che  la  Teologia  diviene 
tanto  più  chiara  quanto  più  s*  inaalia 
a  Dio,  e  che  accresce  spleodore  alla 
vita  attiva ,  che  nel  secondo  delo  è  ri» 
munerata. 

98-99.  Qual  mi  fee'io  ee.  Int.:  se 


Trasmulabile  son  per  lutle  gui^e  ! 

Come  in  pefichiera,  ch'È  tranquilla  e  pnrs. 
Traggono  i  pesci  a  ciò  che  lien  dì  Taori, 
Per  modo  che  lo  Blimin  lor  parure; 

Sì  vìd'ìo  ben  più  di  mille  splendori 
Trarsi  ver  noi ,  ed  in  ciascnn  s"  udia: 
Ecco  chi  crescerà  li  nostri  amorì. 

E  si  come  e 

Vedessi  l' ombra  piena  dì  lelìxia 
Nel  folgòr  chiaro  che  di  lei  uscia. 

Pensa,  ietlor,  se  quel  che  qai  g'  iniiia 
Non  procedesse,  come  !□  avre^i 
Dì  più  savere  angosciosa  carim; 

E  p«r  le  cederai,  come  da  questi 

N'era  in  desio  d'udir  lor  condiiioni. 
Sì  come  agli  occhi  mi  Tur  meniresU. 

0  bene  nato,  a  cui  veder  li  troni 
Del  trionfo  eternai  concede  grazia, 
che  la  milizia  s'abbandoni; 
lume  che  per  tutto  il  ciel  si  spazia 
però,  se  disi! 
chiarirti,  a  luo  piacer  ti  sazia. 

409-)  13    Fatta. 


II^MT.  O  6tni  I 


I 


•  ChicM  IruafnH 


f  aUttidett:  pria»  >t*lli  aia 
t  Cns  ali)  gacm  culla  potia 

ni  Dtllumt  «..- Jd  h 
)•»«  J»ino,  <!(lli  cuna  •« 
ckt  il  ip»ti». 

«20.  Ih  « 


iiii«^ì4H<éi 


■CiSITD  QUINTO. 


•5«7 


Cosi  da  QD  di  quelli  spirti  pii 

DeUo  mi  fa;  6  da  Beatrice:  Di  di 

Sicuramente,  e  credi  come  a  Dii. 
Io  greggio  ben  si  come  ta  V  amidi 

Mèi  proprio  lume,  e  che  dagli  ocebi  il  traggi,     tib 

Fsrch*ei  cormsean  si  come  to  rìdi; 
Ma  non  so  cbi  tu  se*,  né  perché  aggi, 

Anima  degna,  il  gr^b4ella  spera, 

Che  si  vela  a*  mortai  con  gli  altmi  raggi. 
Qoesto  diss'  io  diritto  alla  lumiera  iso 

Che  pria  m*  avea  parlato,  ond'ella  Jéasi 

Lucente  più  assai  di  quel  ch'eli'  ora. 
Si  come  il  Sol,  che  si  cela  egli  stessi 

Per  troppa  luce,  quando  il  caldo  ha  rose 

Le  temperanze  de^  vapori  spessi;  is^ 

Per  più  letizia  si  mi  si  nascose 

Dentro  al  suo  raggio  la  figura  santa, 

E  cosi  chiusa  chiusa  mi  rispose 
Nel  modo  che  il  seguente  canto  canta. 

la  NU.,  ad  tetto  Vi?.,  M  Odi.  Pm.  •  490.  mUm  hmtkrm ,  ■IPunmt  ri> 

di  firj  Pai. ,  foncorda  con  qael  dia  k     ipleodeiita.  —  DiriUo  dirctUmaolt. 
al  «ano  448.  La  altra  adìa.  :  Ai  494-452.  feni  Iwmff  ffè.  U 

nima  dd  «alo,  accondo  PinuMgioa- 
419.  aaaaslM.caBaaddkrat-     nona  dd  Paola ,  palanao  la  lara  alla- 

gmn  a  gfi  altri  nleUi  aol  raTmara  la 
laea  loro.  Qn  lo  amrito  interr^thi  d 
H  pie  lieto ,  par  l' oeeadoaa  aba  |^  è 
porta  di  far  eantefllo  il  daddaria  di 
basta ,  a  di  aacrdtara  eod  la  Tifa  asa 
aarltt.  • 

459*485.  fli  caift*...  r€fr  wnfp^ 
Iwa,  ai  Doetfi  oeebi.  che  noo.paeaaM 
pie  amrfid»—  ifw  titai,  aita  itM* 
aa,  da  aè  aNdadmo.  —  fmamiù  H  cal- 
do €0.  .*  Mando  U  caldo  ba  rato,  fia- 
dpala,  i deod  vapori  aba Umfmimt» 
a-falltora  de'rani  del  lala. 

459-457.  Par  pia  UUmìm  ai  m.: 
idanaoMota,  al,  aodla  aaatefgwrayaa* 
aaadon  fotUpiè  mpieadanta  par  la  aw 
■agfiore  allegraBa ,  d  aaaeaaa  daBlra 
ai  aao  folgora. 


•  IMiCaBMaddkrat- 

li  diTÌaiU. 

I S4-4  SS. /o  cangio  ftaii  ae.Parda  di 
Oaalanlalifa  a  cibaba  lo  spirito  avara 
dalla,  la  aaniobaMeMMH  iwauBti 
dd  diviDo  boia  cbe  ti  ad  oMnlalo ,  a 
aaiw  IB  9HQ  ^HH  IO  propno  aido  tipo- 
**)  *  vaipacba  lo  tramandi  dadi  oadii, 
paaciaaMa  aHi  camMaaia  ricpiaoooBOi 
aia— MÉipidUiuMete  Uiriaa, oyw 
to  ffidbd»  AUri  prendali  rM<  d  «ada 
ia^aatira;  a  spiegano  :  igceado  dm  fa 
§MmL  La  ka  eamifcaii  è  dd  Cod. 
Staard., ad èaoatamita  dd  DianU,  dd 
TstdC •  dd  Niaiiini.  Laaan.  è«ar- 
rwea,  ad  è  riferito  a  luwm, 

497.  «Mi,  abbi. 

4M,  ci^H  «afa  «e.  .•  aba  asaialo 
(h  ipaia  diUarario)  pie  ddPalIra  d- 
aiai  •!  aala,  niè  tavolala  da^iaffidi 
aaa  dba  daai'aUni  spara. 


Poscìachè  Costanlin  l' aquila  volse 

Centra  il  corso  del  ciel,  eh'  ella  seguio 
Dietro  all'  antico  che  Lavina  tolse. 

Cento  e  cent'  anni  e  piti  l' uccel  di  Dio 
Hello  estremo  d'  Europa  si  ritenne. 
Vicino  a' monti  de"  qtiai  prima  uscio; 

E  sotto  r  ombra  delle  sacre  penne 

Governò  il  mondo  li  di  mano  in  mano, 
E,  si  cangiando,  in  sn  la  mia  pervenne. 

Cesare  toi,  e  son  Giustiniano, 

Che,  per  voler  dal  primo  Amor  eh'  io  sento, 
D' entro  alle  leggi  trassi  il  troppo  e  il  vano. 

E  prima  ch'io  all'opra  Tossi  attento, 

è  lUbiUlD  d(  Dia  ptr  b  F*M 

5.  JVeJJo  ilmM  fEanp».  ■ 


*-S  Pettltchi  Coilantii 
PmcÌiiU  l'ÌDip«r>l<H-C"iliiilia< 
l'itili,  iDBFgDi  drl  Tontn{v  m 


TDenln  Q  ntD[*ri  tona 
M  pinti  i  d'orìmlt  in  t 

lo,  tUa.  tm'tnal;  ivir 

s™ 


I ,  di  Trnii  ia  111 
Em  ,  che  lolfB 


l'Enropa  d.,ll'A<la. 


9.  £.  ri 
■  Fila  il'allri 


I 


tra  lai  ;  CnUniinD  tmpsrttixlo  la  teda 
iaHriila  initi  cMlro  ti  tiilù.  a  il 
riala  ntladiMa  l'aura  tenniigljili,  a 
;HU»  a*lli  mil'dl>ii>M  fa  la  rat'aa 
d'ItiH  t  il  di,rinii'nli>  rial!'  Ii)i|<<)n>. 
i  Cntlt  t  (nil'aRiii  i  pii.  lai. 
aaai  203,  diH'iunu  J.II'hi  iritka. 
MS2.I  al  S2T,  ciat  dilli  piuiti  di  Co- 

CiiHliaiiaa.  — rwcrldiDiaM.riqai- 


SpiHta'w.,  (Im  a. 


42.  Otntnitt  .-dif 


li  pirutt.  Di  JM 
fvlla  lani  '"■ 

i(i  affnto  «..  *Ìk 


CANTO  SEsra 

Una  natura  in  Crìsto  esaer,  non  pine. 
Credeva,  e  di  tal  fede  era  contenfo; 

Ma  il  benedetto  Agabito,  che  foe 
Sommo  pastore,  alla  fedeiincera 
Mi  dirizzò  con  le  parole  sne. 

Io  gli  credetti ,  e  ciò  che  sno  dir  era 
Veggio  ora  chiaro,  si  come  tn  vedi 
Ogni  contraddizione  e  falsa  e  vera. 

Tosto  che  con  la  Chiesa  mossi  i  piedi , 
A  Dio  per  grazia  piacque  di  spirarmi 
L*  alto  lavoro,  e  lotto  in  lai  mi  diedi. 

E  al  mio  Bellisar  commendai  i'  armi, 
Cni  la  destra  del  del  fa  si  congiunta, 
Che  segno  fu  eh*  io  dovessi  posarmi. 

Or  qui  alla  quistion  prima  s*  appunta 
La  mia  risposta,  ma  sua  condizione 
Bfi  stringe  a  seguitare  alcuna  giunta; 

Perchè  tu  ve^i  con  quanta  ragione 
Si  muove  centra  il  sacrosanto  segno, 
E  chi  *1  s*  appropria,  e  chi  a  lui  ^  oppone. 


&%0 


a 


2;> 


2& 


50 


44.  Una  natura  te.  Credei  eogU 
eretici  cnticlijaoi  che  in  Crbto  fotte  tol- 
Caolo  b  oatora  aoiaoa. 

45.  $raaontenlo,  mi  rìpottTa  triA- 
«{nlle  in  aoellt  fede.  ..  «• 

4$,  il  ben$deUo  AgahUo,  il  pepa 
Stal^Agipito,  che  di  fatti  sappiem  ettarti 
recato  a  Coetaotinopoli  per  trattare  di 
aloiBe  eoae  di  religione  coli'  inperatore 
(iÌMtiniaflo. 

49,  $  ciò  che  iuo  dir  era,  e  dèche 
rglj  afrermava ,  o  la  Tcrìtà  del  imo  at- 
terto.  n  Ced.  Ceet.  ed  altri  legg.:  iofif 
erféeiH  §  ciò  che  in  t%M  fede  era;  lei. 
che  i  chiceatorì  trovano  meglio  corri- 
«pMidere ai  ▼.  44  e  47  di  qae^  Canta. 

20-24.  Come  Im  tedi  Ogni  cofih 
Irmid^iane  ec.:  come  ta  conprciidi 
che  di  dse  propodzioni  conlradittoria , 
deva  Mettaariamente  nna  eaaer  fera , 
falaa  Feltra  :  ciò  vnol  dire,  ch'efli  ?•• 
deta  eoa  e\-iaenta. 

22.  ce»  la  Chieea  «ofH  i  plM<< 
«  ioè,  preai  il  diritto  cammina  che  tiene  fa 
Chieaa  ;  credei  qnello  che  crede  la  Chiete. 

24.  l'olio  lovofv,  la  predetta  ri- 
forma. 

25.  Beliiior,  Belìtario  fu  geaerala 
d^i  tterdli  dì  Ginttiniano  rao  rie,  ed 


ano  do*  pia  srandi  capitani  del  tao  ae- 
colo.  Sono  fa  mote  le  aae  impreca  wtà 
Goti  in  Italie,  e  le  eoa  rittorie  aai  Farti 
a  eoi  Mori. 

26.  C«f  la  detira  dei  dei  ee.tU 
m\ì  ebhero  tal  favore  dal  ritto,  eha  io 
rekhi  per  tegao  eho  foeae  veramaoto 
f oler  di  Dio  che  io  mi  ateati  ia  ripeto 
per  dar  opera  aolo  al  grao  lataro  dalla 
leggi ,  mentre  alla  gnerra  hattaToao  i 
oùci  generali. 

28.  alla  quetHan  prima,  alla  «ri- 
ma domanda  cha  mi  faoeati,  dki  toir^ 
i^ appunta,  fa  ponto,  ha  il  eoo  larmioa 
la  mia  rispoata,  aTcndoti  par  ^aetAa 
parte  aodiai  atto. 

29-50.  ma  ioa  cemdiiioaa  ec.  Ma 
la  eoodizioae,  la  natnra  della  riepaela, 
in  eoi  ho  dovuto  toccar  dell'impara^ 
Mi  iiringe,  mi  afona  ee. 

51 .  con  quanta  ragione,  dee,  cee 
^oanto  poca  ragione ,  eoo  qoanto  torto. 

52.  41  focroMinlo  scgiia,  la  taers 
tamia,  integra  imperitle. 

55.  E  cM  'I  t'approprim,  I  dO- 
bellini ,  che  dicendosi  tetteottari  dal- 
l'impero  facevano  in  effetto  per  aft|  ad 
erano  atarpatori  al  pari  dm  gnelfl  dM  ti 
oppooerano  dichiaratamente  all'imparo» 

34 


Vedi  quanta  viitù  1'  ha  Fatto  degno 
Di  reverenza,  e  romindò  dall'  ora 
Cile  Pallanlp  morì  per  dargli  regno. 

Tu  sai  eh' e'  feffi  in  Alba  sua  dimora 

Por  Irerent'anni  ed  o'Ire,  in-~ino  al  line 
Clio  i  [re  a  Ire  pugnar  per  lui  ancora. 

Sai  quel  che  fé  dal  mal  delle  Sabine 
Al  dolor  di  Lucrezia  in  selle  regi, 
Vincendo  inlornu  le  genli  vicine. 

Sai  quel  cbe  fé,  porlnlo  da^li  egmgi 

Romani  incontro  a  Brcnno,  incontro  a  Pirro, 
Incontro  agli  altri  priocipi  e  collegi: 

Onde  Torquato  e  Quinzio,  clie  dal  cirro 
Negletto  fu  nomalo,  e  Deci  e  Fabt 
Ebber  la  fama  the  v o lo ntier mirro. 

Esso  atterrò  l' orgoglio  degli  Arabi, 


ilii  Jr'  11-      lo  «1  prnprìu  figlinidiidi  (UkcvU 
l>rlliu>n>i      l'in  col  Lalini.  fucili  noD  l' nbi^A 
(bbe  iilluria  :  Tr>r<|aila,  Hr  « 


s  NigtiUa  f»  •»■ 

.IlD.nbbulT^.- 
Cirro,    è  rou  lil.,  chi  Tata  opiilt 

47   Acci  Tr* {snida  i  Dh],  idilli 

Fabi-  UtiUi  furooo  Ji  unaU  tnDifliA 
io  Kaiiii  (Iorio»  ;  u»  d.'più  diiiti  In 
a    KiIjio  HiHinie.il'iaalecnlUait- 
upMital^ab- 
a.  solDHlitr  mirr*.  IMUmÌm*, 

dell'i»  i 
I.BII  MIU  aoMls  Boa' 
I  allrs  iiopoluiiioi  itali) 
e  pereti  ti  H   '       -■ 


CANTO  sBsra 

Che  diretro  ad  Annibale  paasaro 
L*  alpestre  rocce,  Po,  dì  che  ta  labi. 

Sott*  esso  giovanetti  Irionfaro 

Scipion  e  Pompeo,  ed  a  qnel  colle, 
Sotto  '1  qtiel  ta  nascesti,  parve  amaro. 

Poi,  presso  al  tempo  che  tatto  il  ciel  volle 
Ridur  lo  mondo  a  soo  modo  sereno, 
Cesare  per  voler  di  Roma  il  tolte: 

E  quel  che  fé  da  Taro  inaino  al  Reno, 
Isara  vide  ed  Ek«,  e  vide  Senna, 
Ed  ogni  valle  onde  il  Rodano  è  pieno. 

Quei  che  fé  poi  eh* egli  usci  di  Ravenna, 
E  saltò  il  Rubicon,  fo  di  tal  volo. 
Glie  noi  seguiteria  lingaa  nò  penna. 

In  ver  la  Spagna  rivolse  lo  stuolo. 

Poi  ver  Durazzo,  e  Farsaglia-  percosse 


68f 


50 


65 


80 


63 


tf'  «irìgiiM  araba ,  o  perchè  àraki  ti 
tkmmmun  io  geaarale  tutti  i  pofoli 


I. 

54 .  L'alpetlre  rocce.  Le  Alpi,  dal- 
le ^aali  to ,  o  Cunie  Po,  labi,  cioè  ca- 
schi, aecM,  dal  lat.  labor,  Imèuit, 
Mi. 

52. 5*lf'f sto,  sotto  eaio  segno. 

5S-54 .  ed  a  quel  co/<f,  follo  il  qnai 
«e.  Intendi  il  colle  Hi  Kietnle,  alle  radici 
dal  qnala  è  Firenze  patria  di  Dnnla. 
P&nt  mmaro.  Molti  lo  rìreràieona  al 
jggna  trionfante  io  mano  di  Pompeo: 
io  crado  che  ai  poeta  riferire  anra  allo 
triomfare  di  Pompeo,  che  dovè 
amaro  ai  Pii-solani,  caaendo  alati 
da  Ini  aapramentc  ponili  come  nemici 
dalla  repnbhiica ,  ilisralta  parla  dalla 
loro  òtti,  come  narra  il  Villani,  a  dato 
prìDcipio  alPedificanone  di  Firensa. 

55-56.  Poi,  pretto  al  tempo  in  cha 
Dio,  ccon  caso  lui  tutti  i  Irati  rhe  hanno 
nn  volereaoluio  LKo,vollerDch^la  terra 
ai  lidncamt  a  monarchia,  governo  pacif- 
co,e  a  aomigUanxa  dì  i|nello  del  cst-looe. 
Il  Betti  dice  che  ai  de«'  intendere  coak. 
Vedi  Giom.  ilrrod.,  N.59.I0  intendo; 
Poi,  poco  atanti  al  tempo. in  cni  il 
TolU  ridnr  fiilfo  il  mondo 


procvrata  all'imparo:  Tbfo  orho  in 
pmeo  eompv^*o.  Ciò  potè  non  toglie 
cha  Dio  non  prepararne  par  Giulio  Cc- 
sara  la  Monarchia  coma  meno  a  qvalla 
pace  ch'egli  volerà. 

57.  Cetmrt  ee.  Gìolio  Ceaara,  par 
ortfine  drl  aenato  e  del  popolo  romano 
{f  lo/la,  prea<io  in  mano  «aio  ugno, 
PAqoila. 

58.  foro.  Finma  cha  in  anticn  di- 
vidava  ta  Gallia  ciaalpina  dalla  tranaal- 
pina.  Sn  qnaate  impresa  di  Gcaara  qui 
tecennate,  non  mi  trattengo,  anppn- 
nendo  che  oirni  co*ta  peraona  si  rieara 
di  qnel  cha  fu  sua  prima  lettura. 

59.  Itara,  o  Isero;  Srm,  anfie»« 
mante  Arar,  og;;i  Saèna  :  due  fimù  ahn 
mettono  nel  Rtìdano. 

60.  onde  il  Hodmno  è piemo:  da  ani 
il  Rodano  riceve  le  acque  par  eoi  a*!*- 
grossa. 

61 .  Quel  che  fé  ee.  Intendi  P  impresa 
che  il  detto  segno  fere  poi  che  Giulio  Co- 

^aara  uart  di  lUvrnna ,  prasao  la  qnala 
'è  il  fiume  Rubicona ,  cha  ai  paaaa  tn- 


in 

paca,  coma  caso  medesimo  è,  ee.  Que- 
ato  Umpo  è  la  naaciu  di  Geaè  Criato 
cha  %cnne  a  dar  la  para  dal  ciein  alla 
terra ,  e  di  cni  fu  nn  picciol  aegno  la 
quieta  cha  Aagnsto  avea  poco  innanzi 


dando  verno  Rimini ,  ec. 

64  in  ter  Im  Spagnm:  rìvaba  ali 
aaerci ti  di  Cesare  contro  i  pompaiaai  (et 
arano  in  Ispagna. 

65.  Dmrmo,  citte  d'Alhmiia,  doft 
Giulio  Ccaare  fu  assediala  dalla  ganti  di 
Pompeo.  —  Fmrte^lim,  è  un  luogo  la 
TeasagKa,  dova  Pompeo  fu  aconf  tto  da 
Ceaara. 


H  SI,  eh'  al  Nil  caldo  si  senti  del  doolo. 

H  Antandro  e  Sìmocnla,  onde  »i  mosse, 

^B  Rivide,  e  là  dov'  Eitore  si  cuba, 

^B  E  mal  per  Tolommco  poi  f:i  riscosse: 

^M  Da  onde  venne  folgorando  a  Giuba; 

^K  Poi  si  rivolse  nel  vostro  orcidenle, 

^B  Dove  senlia  la  Pomiieiana  tuba. 

^È  Di  quel  cbe  Te  col  baiuto  seguenle, 

^H  Bruto  con  Cassio  nello  InFerno  latra, 

H  E  Modona  e  Perugia  Tu  dolente. 

^B  Piangene  ancor  la  trista  Cleopatra, 

^M  Che,  fuggendogli  innanzi,  dal  colubro 

^^  La  morie  prese  subiUna  ed  atra. 

se.  51,  ch'ai  MI  caldn  li  imll  id  TI  -73.  wlvottrataUi 

dHdlo.  a  chi  «ino  al  uldo  Nilo,  linci  in      cMidIi  rifpdU  ill'IUl'*  va 
Kgillo,  li  lenii  del  ilulort  Ipirte  0  dh      Cn*»   niliii   li   Irooibi  J( 

nginlochi  II  lu  m 
iridiUrc  Tolmnw 


73.   Di  qutttSt  ftf 


'  '  <1iil(i  iTM  ncr  fine  di  (ani  he-  1'  aqaìli  (e«  atl  taìNfo  irgiml 
rÌDPÌIore,rn«ilB"TeniDd'Cffi(-  raa  Ollitìjinv  Aiigiiiti>,rti«fltmQ 
L  irilo  nmlro  h,  percliè  ■•«■      uri  II  p<iKò  M.  L*  Tm*  (■(■!». 


idf>nu  ileliilii  itm  ncr  fine  di  (ani  hr-      1'  aqaìla  (e«  atl  taìNfo  irgtwntc.  cìh 

■—  -  ~       ■  ■     ■    wG.  C«- 

Il  iHiKò  M.  L*  TM*  talato.  ■•rU- 
,nli((liÌM,d>irU>dlnaiiapW  Balli- 
il  medio  np.qnindii  In  Inlla  •  litii'fi- 
imilanuBammideAnlinflfo,  nllk  car>c«rliar>(ial>dicitrtcclieHniitMÌI 
Iti  Frì|il  Minora,  e  i>  SoiDepl. ,  Ru-  rt.a  i».<>r1a.>ai>  <  p«Ì  o  gl'imbanan. 
I  cba  nmn  |ir»a  Troia,  dnnda  11.  taira.  BraWa  Caala  pi  «d. 

■  asaila  ai  idoim  ^indo  con  Enea  |>  Intimo  pirUna.raano  (tJa  col  la» 
■Dt  in  Italia.  Narri  Lucino  che  Ca-  nbbimidliiiMalanlia  boHadìLub- 
rt  peraagnitando  Pompeo  (n^to  in      ro.Con  dòiitaM  dir>chiOllan*a*,i>- 


iiarMDdol'Ellaiion 
li  lidi  dfili  Friii*  Minor*  a      «  ridoliiqaeiJaawroutdarai 
par  icdara  il  loogo  ola  h 


a  polaa  amai  niA  regfem  llv* 

DS    •■  niuii,iir>giuH,Kiiu<i>cpi>.>u.  noro  laillD,  0  aUbiU  1*  (nriIB  BBDir- 

BilnitaldaiLilliri.  «h-ca. 

6S-T0.  i!><alprrTafDSiiii«i(c.:e  TI,  S  ITodona  te.  Gna  pianivaa, 

em  danno  di  Tolomeo  ra  H'  Egiiio  indi  Hodrna,  pei  daoni  eh'  ebbe  a  aortrir* 

|i«  H  Ini  impelDou.  Tolomeo  iiniJii  nella  bmajglia  die  ìli   In  JoU  coat» 

0,  gii  total  ri  regno  sin  donò'*  Cleo-  ,„ìi  (riM  (  Pana*;  t  Pancia,  don  ial 


taira  —  Ila  and»  te.  iti  unale  r 
>l|an  lanne  a  Oiobi  n  della  «i 
tasw .  il  Insala  r< 

Iflm  parli 


niiBq  OUiviaaa  ai  combaUè  s 
I.  Anto-io  rraltlla  del  dello  M. 
■(■alaraiorifaPaniKa,  a  in-  76-78.  Pioiiffiu.dellaimprfwfU' 


aioriiaPanpeo, 
la  diifill.  di  Fi 


•D  raanu  d'ingoilo,  Cie*- 

,  ...  a.  Chi.  ftttsnitosli  ìhimhiì,  tag- 

SajiioM,  Catone,  ad  allrieipi  dall'in-      f)cmlolati>tadi«iai*i|Uilife.Cs/ii6rs. 


CANTO  SESTO. 


533 


Con  costui  corse  ìnsino  al  lito  nibro; 
Con  costai  pose  il  mondo  in  tanta  pace, 
Che  fb  serrato  a  Giano  il  suo  delubro. 

Ma  ciò  che  il  segno  che  parlar  mi  face 
Fatto  avea  prima,  e  poi  era  fotturo. 
Per  lo  regno  mortai,  eh*  a  Ini  soggiace. 

Diventa  in  apparenza  poco  e  scaro, 
Se  in  mano  al  terzo  Cesare  si  mira 
Con  occhio  chiaro  e  con  affetto  puro  ; 

Che  la  viva  giustizia  che  mi  spira 

Gli  concedette,  in  mano  a  qoel  eh'  io  dico, 
Gloria  di  far  vendetta  alla  saa  ira. 

Or  qui  t*  ammira  in  ciò  eh'  io  ti  replico: 
Poscia  con  Tito  a  far  vendetta  corse 
Della  vendetta  del  peccato  antico. 

E  quando  il  dente  longobardo  morse 
La  Santa  Chiesa,  sotto  alle  sue  ali 
Carlo  Magno,  vincendo,  la  soccorse. 

Ornai  puoi  giudicar  di  que*  cotali, 


80 


%b 


90 


96 


79-ai .  Con  eottui,  con  Aognsto.— 
corif  hkiino  al  Uto  rubro  ^  «rcodo 
•oiiqoitUto  l'Egitto  sino  al  MarRoaio. — 
Che  fa  iirralo...  il  delubro,  il  tcm- 

Ino,  ai  Giano;  doè,  potto  in  paet  tetto 
'  impero. 

82.  Ma  ciò  che  ee.  Ma  ciò  the 
l'aquila ,  di  eni  parlo  ec. 

83-84.  era  fatturo,  era  per  lare  (è 
participio  futuro  olla  latina).  Per  lo 
regno  mortai,  ch'a  lui  toggiaee,  pel  re- 
{f  no  temporale  che  esso  secoo  ba  aopra 
tutta  la  terra  a  lui  sottoposta.  Ciò  ò 
detto  secondo  lo  dottrine  del  libre  de 
Honarehia  tante  volte  citato. 

85.  Diventa  in  apparenza ,  appa- 
re, teurOf  di  poca  gloria.  Vuol  dira 
adunque  cbe  sotto  Tiberio  P  aquila  fa 
più  giorìoaa  che  prima  o  poi. 

86.  al  terzo  Citare,  a  riberio. 

87.  Con  occhio  chiaro  ce.:  eoo  oe- 
rhio  iUuminato.  non  offuscato  da  igno- 
ranra  o  da  pasnone. 

88.  Che,  imperocehò.— to  «ìm 
giuttisia»  Int.  :  la  gioilina  tteM,  doè 
Dio ,  vÌYo  a  giusto  per  amena ,  afca  al 
spira  a  morerti  quatto  parola. 

te.  Gli  coneedeiie  «e.  lai.  i  •  q«^ 
ato  segno ,  posto  io  mano  a  fuel,  a  eo- 
laij  di  cui  faTcllo,  a  Tiberio,  concadetto 


la  aloria  di  far  ? endetta .  doò,  di  sod- 
disfarà a]  giusto  adagno  oif  ina.  PMsb 
Pilato,  goveraatora  della  Giudea  par 
Tiberio  Cesare,  condisccaa  ai  (Sudai  di 
ucciderà  Gasò  Cnato,  a  i  aoldati  roBM- 
■i  prolessero  queir  iniqua  aaaeaaaoajaì 
die  sto  bene  che  l'aquila  romana  ia  mano 
a  Tiberio  soddisfece  alla  Tendetta  di  Dio 
nelaanguedel  ano  di?in  6glio  iBOocanto. 

04  -93 .  Or  qui  t'ammira  ee.  Or  qui 
maravigliati  in  questo  che  con  parole 
più  chiare  voglio  replicarti.  —  Poeeiti, 
dopo  dò  V  aquila  corse  con  Tito  a  iir 
Teodetto  del  delitto  commesaa  dd  Già* 
dd  contro  Gesù  Cristo  ;  il  qaal  delitto 
per  parto  di  Dio  era  slato  uoa  f  aodat- 
ta .  una  espiaxione  dd  pceaato  aatiaa 
dr  ooatri  progenitori. 

94-96.  E  quando  ildenteee.Efiàih 
do  i  Longobardi  lacerarono ,  atratiara- 
00  Santo  Chiesa,  Carlo  Magno  sotto  le 
ali  dall'aquila  romana  essa  Chiesa  soa> 
corte.  È  nuto  che  Carlo  Magno  ratttbii 
colla  soa  conqubto  l' imparo  raosaoo  ; 
onda  ò  chiamato  autore  del  aaaoado  tai- 
paro  d' ocdilento. 

97-98.  Oai«<ac.:amddalbaMclia 
ha  operato  l'insegna  romana  dom  gia- 
dicara  quaola  da  la  colpa  di  eoloro,  die 
io  accusd  di  sopra  ec. 


di'  io  accasai  di  sopra,  e  de'lor  faUi, 
Cbe  son  ragion  di  lutU  i  vostri  mali. 

V  uno  al  pubblio)  s^no  i  gigli  gialli 

Oppone,  e  r  altro  appropria  quello  a  parie, 
Si  eh' è  Torle  a  veder  qual  più  si  Èllì. 

Faccian  gli  Gliibclliu,  Taccian  lor  arte 
Soli' altro  eegiio;  che  mal  segue  quello 
Sempre  clii  la  giusliiia  e  lui  diparte: 

E  non  r  abbatta  esto  Carlo  novello 

Co'  Guelfi  suoi,  ma  tema  dogli  arligll 
eli'  a  più  allo  leoo  trasser  lo  vello. 

Molle  Gate  già  pianser  li  figli 

Per  la  colpa  dol  padre,  e  non  ai  creda 
Che  Dio  trasmuti  l' armi  per  raoi  gigli. 

Questa  picciola  stella  sì  correda 

De' buoni  spirti,  che  son  stati  attivi 
Perchè  onore  e  fama  gli  succeda; 

E  quatido  li  desiri  poggian  quivi 


di  Pugili  dalli  ciH  di  PriDcii.cbi  In 
p«r  inu*  ■  gigli  d'oro ,  al  pubblùe  it- 
no,  cut  ilì'iaHsgDi  rsiniDi,  ch«  i 
V'mitgat  dell' impera  noiitnele  del 
■ondo. — «rollra  te- 1  il  Ghibellioo 
,llipprapri*,iiiHrpi  pei  inai  pirliulari 
talHMii,  1 1  prò  d*1  HUi  earlilo,  aitcl 
"-■-bli»  «p.0 

<03    forlf,  dilScilt.  —  •(  falli, 

irnoUa  crroic.  Tulli  ■  due  fanno  in- 

riirìi  tll-t<|0ilai  I'bu  parìa  |K!rd>ì 

PanlBda,  l'allra  portili  n'ibuH 

tùS-ioi.  SoUalIn  ugno,  aotlu 
ra  tlcadirdo ,  —  faetlait  lor  aria , 


IDO.  it-iltf  lltte  fié  pitiutT  H. 
Multo  »ilM  i  fiuliuali  piRirana  il  U  pa 
la  cnlp*  de'pidri  Ioni;  e  qnaaln  m- 
Irebbo  iulonfliire  nth*  a   Cvla  tt-, 

['■quii*,  il  Teuenada  (ctoa  da  lui  >U- 
bililo  do)  DiDada,  0  pn-cii  sDa ,  ni  |f 
nli  di  >i»  Cirio;  dot,  bob  treda  cL 
Dio  H*  ptr  dira  l' inipero  del  mmi», 
cba  i  l  R,.«.a,  alla  fraMt,  Ulmi» 
alla  luorpui  ime  di  Carlo  il  Wfcliii  a«ila 
Puglia,  cha  ipcUiii  di  dìrilla  alt'l» 


Qutila  pltciola   ilMa,  Li 


lalla  , 
in.  ehi  taiiutthU  e  trilli  fùrie: 
dii  divida  giuMìiia  da  i|iielln;  dii  lo  (> 
kiraatala  d' ìaìigailk. 

I(H-I08.  Stia  Carla MMlIa.^i^- 

Carlo  11  r*  di  Fuglii— «m  Itma  dt- 

|W««.l«laitilÌ;iBilemid«Bli»'- 

dclleFBRoJelniiiiBOD 

■n ,  ma  ina*  il  t*tl« ,  U  fella ,  a 

fM*  leooo ,  rio*  abbtUt  principi 

Carlo.  Aceeoni  al  .o- 

ilDaiGorlediCarlolI, 


CANTO  SESTO. 

Si  disviando,  pur  convien  che  i  raggi 
Del  vero  amore  in  su  poggin  men  vivi. 

Ma,  nel  commensurar  de*  nostri  gaggi 
Col  merlo,  è  parta  di  nostra  letizia, 
Perché  non  li  vedem. minor  tiò  maggi.' 

Quinci  addolcisce  la  viva  giustizia 
In  noi  r  affetto  si,  che  non  si  puole 
Torcer  giammai  ad  alcuna  nequizia. 

Diverse  voci  fanno  dolci  note; 

Cosi  diversi  scanni  in  nostra  vita, 
Rendon  dolce  armonia  tra  queste  ruote. 

E  dentro  alla  presente  margherita 
Luce  la  luce  di  Romeo,  di  cui 
Fu  Topra  grande  e  bella  mal  gradila. 

Ma  i  Provenzali  che  fer  centra  lui 

Non  hanno  rìso,  e  però  mal  cammina 


535 


120 


125 


t30 


1 18*420  Maneleommtnturùree,: 
ma  nel  ninarare  i  notlri  goggi,  i  nostri 
pr«nij,  eoi  noatro  merito,  noi  trotiamo 
parte  della  nostra  beatitudine  :  perùoo- 
chè  non  lì  Teggiamo  né  maggiori,  mog^, 
né  minori  di  qacllo. 

424-423.  Quinci,  dal  vedere  il  me- 
rito pari  al  premio. — addoUUeeee.  Id- 
dio, la  rira  giustizia,  addolcisce,  rende 
il  nostro  affetto  paro,  sema  aknna  mi- 
atara  d'altro  affetto  maligno, si  che  non 
ti  pnò  mai  torcere  ad  ioridia,  a  pro- 
niaaona  o  simile.  II  Buti ,  il  Landino 
e  il  Cod.  Trhrnls.  leggono  Quindi  adth 
leies  ee.:  rìoè,  la  divina  gìnstiria  tanto 
accrcaea  in  noi  V  affetto  di  voler  qnel 
che  mole  essa  divina  giustizia ,  che  ac. 

\  24- 1 25.  Diverte  voci  ee.:  come  di- 
verse vod  fanno  dolce  armonia  di  note, 
eoA  diverti  tcanni,  ossia  diverti  gradi 
di  gloria  fanno  una  dolce  armonia,  for- 
mano nna  perfetta  convenienza  colla 
giostiria  divina. 

426.  Ira  quetlé  ruote,  in  qnasia 
tfera  oeleaii. 

427.  denaro  alla  pretento  nuirgkO' 
riia,  dentro  a  qne^to  pianeta,  che  è  co* 
ma  nna  perla  al  aecondo  cielo. 

428.  ijuee  la  luce,  splende  l'anima 
Itainoaa,  di  Rotneo.  Dicono  che  qne- 
al«  nanii  dì  rotneo,  che  davasi  ad  ogni 
pcUcfrino  che  andava  a  Roma,  difisne 
li  noHM  appellativo  di  un  nomo  di  pie- 
cola  nazione ,   il  quale  tornando  da 


S.  Giacomo  di  Galizia  capita  in  Pro- 
venia  ed  acconciosai  in  casa  del  conta 
Ramondo  Berlinghieri.  E  governando  i 
beni  del  conte  li  accrebbe  sì.  che  anello 
che  era  dieci  divenne  dodici  ;  s)  cne  fa 
cagione  che  quattro  Bgliuole  dì  Ini  si 
maritasaero  a  auattro  re.  Romeo,  mesto 
dagl'  inridiosi  baroni  in  odio  a  Raman- 
do ,  si  parti  da  lui  ed  andò  mendicando 
sna  rita.  Ma  V  istoria  non  fa  mensiona 
di  qneato  Romeo  avventuriere  ;  dica 
benaì  che  Raimondo  conte  di  Provenza 
ebbe  per  suo  gran  siniscalco  e  ministro 
nn  Romeo  di  Villanova,  barone  di  Ves- 
ce ,  nna  delle  più  illustri  famiglie  dì 
Provenza  ;  e  questo  Romeo,  nel  testa- 
mento di  Raimondo  morto  nel  4245, 
leggcsi  lasciato  tutore  e  amminiatra- 
tore  dello  Stato.  È  probabile  pertanto 
che  Dante  abbia  qui  seguitato  qualche 
leggenda  o  tradizione  popolare.  —  I  re 
nei  quali  maritaronsi  le  quattro  figlie 
del  conte  furono:  Luigi  IX  di  Franrìa, 
Enrico  III  d'Inghilterra,  Riccardo  fra- 
tello di  esso  Enrico ,  eletto  re  di  Gcr^ 
mania,  e  Carlo  d'Angiò.' 

4  30 -4  32 .  Jfa  •  ProvensnlJ. ...  JVon 
hanno  rito.  Venuti  alle  mani  di  Carlo 
d'Angiò,  fiero  e  prepotente  aìgnora, 
duverono  rammentarsi  del  dolca  go- 
verno di  Raimondo,  e  della  ledala  aoh 
ministraziona  del  hnan  Ronaco:  e  ciò  fn 
giusto  giudirio  di  Dio.  —  a  però  wud 
camminate.: éoèff È  per  naia  atrada. 


Qual  si  fa  danno  del  ben  Tare  altrui.  ■ 

Quattro  figlie  ebbe,  e  ciascuna  reìna, 
Ba mondo  Berlìnghieri,  e  ciò  gli  fece 
Romeo,  persona  umile  e  peregrina.  Ij 

E  poi  il  moiser  le  parole  biece 

A  dimandar  ragione  a  questo  gioslo. 
Che  gli  assegnò  selte  e  cinque  per  diece. 

lodi  partissi  povero  e  vetusto; 

E  §e  il  mondo  sapesse  il  cuor  eh'  ^li  ebbe         ii 
Uendicando  sua  vita  a  Truslo  a  frusto, 

Assai  lo  loda,  e  piò  lo  loderebbe. 

leimin*.  »<1ui  il  tiatìe  ii  fa      kf  HiinnHid»  atLìider  conta  d.Il't. 


l 


■Mi,  d'.llri.  U  NÌ<l"b.  leos">il 
m  Ur  d-allmi.  «n«  un  cqiii> 
in.  •  eia  gH  feci  ri 


Clu  «  li  «. 

diri  fn  di 

dil  axinhi. 

459.  t 


«if^ 


■  eli  fio- 


CASTO  sETrimn. 


;    tist ,    Il    foitan 


I 


Osanna,  sanctxi»  Deus  Sabaoth,  ^^^È 

Stipenllustrans  claritatc  tua  ^^^| 

Feikei  ignea  Iiorum  raalahothì  ^^^| 

Cosi,  volgendosi  ulla  nula  sua. 

Fu  vifo  a  mo  cantare  essa  sustania.  I 

1-S.  Odinoa,  M,  Sii  giurìa  •  II',  o      dd  tstgenldal  b«ilitplr>li  niiBlrtnii- 

■Icll*  tbiirmi  lui  «pr.  <  Icl^ei  tii«hi,  tri  Ungbi  il  C  SVlIt .  t.  7»;  i  XXI.  tO 

liB^KoprD  L'inim0bi*lD,diitti'»Lirr|*]bi.  Alcvoilr^UliBnaoÌBTtrevofpfiidlM'*!/* 

4-5.  Cmi,  MlDmlaii  alfa  nota  rolaitia,ch«>'iBlradiriil>b(«lMa«rb 

nia«.C«lfU(>n>an',cisi,|iiirvi'nii,  roMnl*.  oppartilla  wmai^lKflrib 

«[■dimiT*duie(AiadoliliiH<)eii>l.>re  cbtlociicoodiTi  UiiiibDnl»toM(ain 

MM  MUlaoio,  l'atiriii*  ilnM  Ji  lilu-li-  l«  liiiBBf  dri  mitliori  Codìd  L— lìa., 

iglgandiv  *  qu<l  mg  canta,  b  muilra      »ra,pinbi  «intrimalt  dai  «sfin  M»i 


-CANTO  SETTniO. 

Sopra  la  qual  doppio  lume  s' addaa  : 

Ed  essa  e  V  altre  mossero  a  sua  danza, 
E,  qiiasi  vekxùssime  liiville, 
Mi  si  velar  di  sobita  distanza. 

Io  dubitava,  e  dicea:  dille  dille. 

Fra  me,  dille,  diceva:  alla  mia  Donna, 
,   Che  noi  disseta  con  le  dolci  stillo; 

Ma  quella  reverenza  che  s' indonna 
Di  tatto  me,  pur  per  B  e  per  ICE, 
Mi  rìcbinava  come  l'uom  cb'  assonna. 

Poco  sofferse  me  cotal  Beatrice, 

E  cominciò,  raggiandomi  d'un  riso 
Tal,  cbe  nel  fboco  ftria  Tuom  felice: 

Secondo  mio  infallibile  avviso. 
Come  giusta  vendetta  giustamente 
Punita  fosse,  i'  bai  in  pensier  mise; 

Ma  io  ti  solverò  tosto  la  mente: 
E  tu  ascolta,  cbè  le  mie  parole 
Di  gran  sentenzia  U  feran  presente. 

Per  non  soffrire  alla  virtù  che  vuole 


637 


40 


a 


so 


e.  doopio  fuma  i'addua,  ù  ae- 
cappia,  aoè,  fi  anÌMe  la  dona  della 
lafgì  a  della  anni ,  come  spiega  il  Boe- 
cacdo  ;  OTrero ,  come  an  antico  poatil- 
latora  dica:  il  merito  della  eonpoai* 
noaa  dalla  laggi,  a  il  narito  dall'  im- 
parìala  «flieia. 

7.  Ed  $ua,  la  enstansa  di  OtwU- 
iiiaM>,«  faflrf  mouero  a  tum  d&msa, 
mosaero  tè,  fi  rànisaro  al  loro  primiero 
(prara  eoi  piaaata  Mercnrìo. 

8.  E,  fMM<  velodtHm»  fmrìtte. 
Jìuii  iwmfinm  aeintilla  in  arumdi- 
neto  ditefintnt.  Sep. 

9.  Mi  H  velar:  mi  •' occaltarono 
per  le  distanza  che  in  un  subito  fo  in- 
tarpotta  Ira  me  e  loro. 

40*42.  lo  dubitava,  •  ditta:  diitt 
ditit.  Fra  mt.  Coetr.  e  int.  :  io  flara 
io  dubbio,  e  direra  fra  me  a  ma  atcHo: 
diltt,  dillt,  d'i,  cioè,  a  Beatrice,  alla 
(loooa  ee.  Molti  dei  comentatorì  tratol- 
scTO  il  significato  di  queste  parola,  dw 
esprimono  eoo  molta  naluralcna  il 
gran  desiderio  che  Dante  aveva  ^  inter- 
rogar Beatrice  arca  un  suo  dubbio;  a 
fecero  difficoltk  e  irobsrsno  d'una  coaa 
rbisrisaima.  —  ol/a  mia  Donna,  te.  : 
cioè,  a  colei  ebe  colle  sue  dolci  ra« 


25 

gioni ,  U  dotti  tlilìt,  disaela ,  appaga , 
gli  ardenti  miei  defeiderj  di  sapere. 

43-44.  ekt  t'indonna  tt.:  cha  aNo- 
signoriaca  di  tutto  me ,  solamaata  al- 
l' udire  accennato  anche  con  la  sola 
finale  il  nome  di  Beatrice. 

43.  Mi  riekinava:  mi  facava  riab- 
bassare il  capo  gib  levato  per  interro- 
Sirla.  —  th'attonna,  cha  ste  par  ad- 
ormentarsi. 

45.  Poco  tofftrtt  mt  tolai  tt,: 
poco  sofferse  cbe  io  restassi  eoUdt,  in 
tele  stato ,  nel  dubbio ,  doè ,  in  cha  io 
mi  era  pW  cagiona  dd  mio  rararaote 
ailenzio. 

20-24 .  Conto  giutia  vtndtila  te. 
Coiitr.:  t' bai  mìso  in  pensiero  coma  pu- 
nite fosae  giustemente  giuste  vandalte. 
Parla  delU  vendette  del  peccato  aniieo, 
d'Adamo,  di  che  vedi  sopra  al  Can- 
te  VI ,  V.  92. 

24.  ti  faran  prettntt,  ti  fanm 
dono. 

25-27.  Per  non  toffrirt...  furai 
tht  non  naequt.  Adamo,  per  nao  soffa- 
rii-aFrenoa  tuo  prode,  par  oan  aaffrir 
freno,  per  sua  utilitb  (il  qual  frano  ara 
per  suo  bene),  alla  virtU  ckt  vuoh, 
cioè  alla  volontà ,  Dannando  $è,  dannò 


538 

Frena  a  suo  prode,  quell'  uom  che  non  nao 
Dannando  eè,  danoò  tulta  aan  prole; 

Onde  l'umana  gpezie  inferma  giacquo 
Giù  per  secoli  molti  in  glande  errore. 
Fin  ch'ai  Verbo  di  Dio  discender  pian]ne, 

U'  la  Datura,  che  dal  suo  Fattore 

S'era  allungata,  unìo  a  sé  in  persona 
Con  1'  allo  sol  del  suo  eterno  amore. 

Or  drizza  il  viso  a  quel  che  ai  ragiona^ 
Questa  uà  tura  al  suo  Fattore  unita, 
Qual  Tu  creala,  tu  sincera  e  boonai 

Ma  per  sè  Stessa  pur  Tu  ìeibandita 
Di  Paradiso,  perocché  si  torse 
Da  via  di  verità  e  da  sua  vita. 

La  pena  dunque  che  la  croce  porse. 
S'alia  natura  assuntasi  misura, 
Nulla  giammai  si  giustamente  morse: 

K  cosi  nulla  fu  di  tanta  ingiura. 

Guardando  alla  persona  che  sofferse. 
In  che  era  contralta  lai  natura. 

Però  d' un  atto  u?cir  cose  diverso  ; 

Ch'  a  Dio  ed  a'  Giudei  piacque  una  morte' 
Per  lei  trema  la  lorra,  e  il  ciel  s'  aperse. 

Non  li  dee  oramai  parer  piò  forte, 

Julia  IM  prali,-  cbt  è  aunlo  din:      eia,  ErrìMi  tt  «ita.  S.  din,  ti? 

«  d*l  (raltu  ikula,  Dannando 
ae.CM.  nel  mondi.. 
60.  dìttnuhr  Cw  l*gip  ce 


panila  MT  pie  I 


ttttttndit  d*  ralii 


BT.  Jfa  prr  li  lima  pur,  ni  tnli 

Srri^iliHS,  pitula  mi  cal.a.  —  fa 
^mdOa.QaaUla.iJi.Ur&ol.Ciin 
«lilCMt,Ui!.mi./b  fUa  tlandila 
K.DatU4i  (rrUé  K.  Hja  «»• 


iKritoH  :  Da  via,  daj^rtìi  »  da  ina 

il)-il  tu  prM  dOM""*  La  poa 
mnxni  aiiunia.  pnM^Ooi*  CilDa, 

Jivìna  (111  pali,  •ella  ^uala  tn  ean- 


^ 


CANTO  SETTOia 

Quando  si  dice  che  giusta  vendetta 
Poscia  vengiata  fo  da  giosta  corie. 

Ma  io  veggi*  or  la  ina  mente  riaUneUa 

Di  pensiero  in  pensier  dentro  ad  un  nodo, 
Del  qua]  con  gran  disio  solver  s' aspetta. 

Tu  dici:  Ben  discemo  dò  eh*  i*  odo; 
Ma  perché  Dìo  volesse  m' è  occulto 
A  nostra  redenzion  pur  questo  moda 

Questo  decreto,  frate,  sta  sepolto 

Agli  occhi  di  ciascuno,  il  cui  ingegno 
Nella  fiamma  d*  amor  non  ò  adulto. 

Veramente,  però  eh*  a  questo  segno 
Molto  si  mira  e  poco  si  disoirne^ 
Dirò  perché  tal  modo  fu  più  degna 

La  divina  bonté,  che  da  sé  speme 
Ogni  livore,  ardendo  in  sé  sfavilla 
Si,  che  dispiega  le  bellezze  eterne. 

Ciò  che  da  lei  senza  mezzo  distilla 
Non  ha  poi  fine,  perché  non  si  muove 
La  sua  impronta,  quand*  ella  sigilla. 

Ciò  che  da  essa  senza  mezzo  piove 


539 
60 


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70 


54 .  rengiala,  TendicaU. — 4a  fiu- 
slm  corU,  dtl  giatto  trìbanale  di  Dio. 

52-54.  Ma  io  veggf  or  ee.  Ma 
io  Tasgio  che  la  (aa  menta,  pataaodo 
da  «o  pensiero  in  an  altro,  n  trova 
riflreltepÌDTÌIoppata  o  angusUala  den- 
tro osa  difficolta  dalla  anale  upatta  di 

aCMClMfM. 

55.  IW  Het,  fra  te  atcaso ,  dentro 
dite. 

57.  pur,  solamente. 

58-59.  Quetto  decreto.  Quetio  M- 
grflo  leggali  Cnd.Pogg.—tfatepuifp,  è 
naacoao.  —  Agli  occhi  diciateuno.  H 
Cod.Caet.  legge  Àgli  occhi  d^TmorMi. 

60.  Ntlla  fiamma  oc.:  non  è  «ImI' 
lo,  nodrìlo  e  cresciuto  nella  carità, si  che 
no  WMat  tatta  la  poasann.  IKo  sco- 
glìendo  «Msto  meno  alla  Bedonàone. 
ci  ha  fWBto  mostrare  qoanto  egli  a 
amasaa.  parche  i  grandi  sacrifizj  sono 
"proTa  ai  grande  amora.  Sic  Domi  di- 
ìexit  mmndum  «ti  filium  mum  mi^a- 
niium  darti. 

61-62.  Vcramentt,  ma,  jieró  tk'a 
rmeiio  tegno,  perdoecbè  a  questo  pnn- 
lujcioèj  intorno  al  perchè  Dio  scegliena 


questo  modo  di  rìparaaioiie ,  Mollo  H 
mira,  molto  ai  issa  V  ornano  intallat- 
to,  ee. 

64.  ij»0nie,  sescda,  rioMfo  eoo  dì- 
apregio. 

65.  Ogni  Utero,  tolti  gfi  affetti 
contrari  al'a  carità.  lAvoro  cmmu, 
dime  della  diTina  oatnra  Boaóo. — «r- 
dendo  in  f4  ifamilla  §e.:  nalP  ardore 
della  sua  carità  sfavilla  ù ,  che  apiaga 
davanti  alle  sue  creatura  la  sai  Mi- 
lena bentificante. 

£7-69.  Ciò  che  da  M  t€.  Gh  éko 
immediatamente ,  taiua  messo,  éMO- 
la,  proviene  da  lei  (dalla  divina  Woll), 
(ssia,  aenxa  cooperaàooc  dalla  eaoaa 
seconde,  è  sempiterno  :  peroodii  qnas- 
d*  ella  iigilla,  doè,  fornisca  l'opara, 
la  soa  imprenta  o  impronta  non  ai  ri- 
mnove.cioè,  la  soa  fattura  non  pariita. 
Didiel  quod  omnia  opera  gum  fkeU 
Dern  peneterml  in  perptUmm;  Eo- 
clasiaste,  eap.  III. 

70-72  Ciòchedaitmoo.Glk^ 
dal  divino  potere  (santa  il  mano  daDa 
eansa  aeconda,  delle  forte  cl«  aoaa  ia  m* 
tura)  proviene,  è  affatto  libero  ;  pcreioo- 


DEL   PARADISO 


^B  Lìbero  è  lullo,  perchè  non  so^aco 

^L  Alla  virlude  dello  cose  nuove. 

^B  Più  l'è  confonne,  e  però  più  le  piace; 

^V  Cl)è  l'ardor  santo  ,  che  ogni  cosa  ragj 

^H  Nella  più  simiglìanle  è  più  vivace. 

^1  Di  tutte  queste  cose  s' avvanla^ia 

^M  V  umana  creatura,  e,  s'  una  manca, 

^^  Di  soa  nobilita  convìen  che  caggia. 

^H  Solo  il  peccalo  ò  quel  che  la  disfrance, 

^H  E  falla  dissìmile  al  sommo  bone, 

^H  Perchè  dei  Inme  suo  poco  ^  imbianca. 

^H  Ed  in  sua  dignità  mai  non  rìvieiio, 

^H  Se  non  riempie  dove  colpa  vota, 

^H  Centra  mal  ditotlar  con  giasle  pene. 

^V  Vostra  natura,  quando  peccò  Iota 

^H  Nel  seme  $uo,  da  queste  digniladi, 

^B  Come  di  Paradiso  fu  remola: 

^B  Né  ricovrar  poteasi,  se  tu  badi 

^^  Ben  soililmenie,  per  alcuna  via, 

^P  Senza  pas^r  per  un  di  questi  guadi: 
0  che  Dio  solo  per  sua  cortesia 

liè  ata  Kf  alci  alla  tirlaét ,  ili»  fo-     dijnìU  dall' 


» 


;S.  Pi*  e  i  romfomu.  CiA  eh*  ìm- 

74-TS  CÙrardiiriaiitaa.P»reU 
l'amor  ilmno,  cbc  lopri  tulle  U  «•• 
diffiiiid«  i  ng^  taoi ,  m  noelU  die  più 

7S-7B.  m  MI*  qtutl»  coHet.Di 
ImHa  noi»  candaimi,  d«i  datl'ioinii- 
«■U  trM>ÌH»,d>ll'ÌDamillibÌ1IU  ,drl- 
IiMRwrtnii;gl»>»*D»,gd(llii» 
pr«dl[««if,  «' MiaflfOff ù,  i  prifilis 

CÒi.CdClArupt  Di  laUi  auiiU  doli.— 


vut  (Il  ptccati;  E  dia  Ctiato 
mcUart  jb  rrppi  la  MfvllA;  Ci 
itaxìt  (wplinlaWn. 

B(  P<rcU,taDDdB,'ilp«nU 

8S-S4 .  JbMfi  rinipia  ac. 

Canln  ntt  iitttUr,  do 
lUiIrtodilMIo,  Ikdott 
i  dotta  «tipa  ;  d 


n  propornonal*  penlom  la  fo- 
ddli  grati*  t*i;iMMla  dal  jw  i  ili 


in  qBaiK  ce 


d.lli  I 


79.  la  iiifranca,  la  luf'i*  d>|niU , 

Hisdi  ^iw>la(crb»,d<»nilisiiwlt  S2: 
Ed  In  iva  dignflé  mai  WHt  mrfnw. 
Pfwìannito  éUfrnean  t  il  orn- 
iranedi  fVaiinirf,  «  iil«  la; lùr  (a  li- 
ttrU,  tli'  è  il  prima  frigia,  a  la  prima 


80-87  AWHmanw.  Mi  M»r«V- 
nilora  Adam».  -  dsfWiK^MMi 
ditls  pnJcll*  prtrsplÌT*  mA  ■  Blr 
ruviaiilig ,  fu  mulo,  tu  «lliiliiM  . 
«onta  In  «IImi  tana  U  dal  PaiaA.. 

88.  m  rJwcrar  w..-  ai  pMnv 

VO.S«uafuun»'p«r  iH»4tfBB*> 
guaili:   troia  iiiw  dal    da*    iimKÌ 


CANTO  SETTIIIO. 

Dimeflso  avesse,  o  che  l' oom  per  sé  Iseo 
Avesse  soddisfatto  a  saa  follia. 

Ficca  mo  1*  occhio  per  entro  V  abisso 
Dell*  etemo  consiglio,  quanto  pool 
Al  mio  parlar  distrettamente  fisso. 

Non  potea  1*  uomo  ne*  termini  suoi 
Mai  soddisfar,  per  non  poter  ir  ginso 
Con  nmiitdte,  obediendo  poi, 

Qaanto  disubbidendo  intese  ir  suso; 
E  questa  è  la  ragion  perché  i*  uom  fue 
Da  poter  soddisér  per  sé  dischiuso. 

Dunque  a  Dio  convenia  con  le  vìe  sue 
Riparar  1*  uomo  a  sua  intera  vita, 
Dico  con  r  una,  o  ver  con  ambedue. 

Ma  perchè  1*  ovra  è  tanto  più  gradita 
Dell*  operante,  quanto  più  appresenta 
Della  bontà  del  cuore  ond*  è  uscita; 

La  divina  bontà,  che  il  mondo  imprenta, 
Di  proceder  per  tutte  le  sue  vie 
A  rilevarvi  sa<o  fu  contenta; 

Né  tra  1*  ultima  notte  e  il  primo  die 
Sì  alto  e  SI  magnifico  processo, 
0  per  1*  una  o  per  l' altro  fue  o  fie. 


511 


95 


100 


105 


410 


92.  IKm^cto,  perdontto. — per  $è 
ino,  per  tè  itetso  :  dal  lai.  ipie, 

96.  dUtreiUimenU,  fisso  alla  mie 
parai*  ^aato  più  strettamente  pooi,  o, 
a0f«ìtaBdo  il  mio  ragionamento  piò  dap- 
prMM  che  paci. 

07.  m^Urmimi  »wti,  nel  soo  aaaera 
imperfatto  e  finito.  Il  Torelli  spiega: 
qMOlo  eonvanita,  condc^inamente. 

98-400.  per  non  poter  ir  giuto  ec, 
f  ateodì:  peraon  potere  amiliarsi  poi  tan- 
to coli' ubbidire  y  quanto  avvisò  di  po- 
terai innalzare  allorché  dbubbidì  al  di- 
rìeCo  del  suo  Creatore. 

402.  Ha  pofer.  .  ditehimo:  eaclo- 
wò,  mcaao  fuori  della  possibilità- di  so- 
disfare per  sé  steaao. 

409.  ro»  le  vie  tue,  colla  mi- 
sericordia e  eolla  giostitia.  ('nlverNi 
rùi  Dofliiiit  mitericordia  et  ^erilme, 
Ps.24. 

401.  Bipcrmr  fuomo,  ristorar 
r  oomo,  restitoirlo  a  $ua  interm  tita, 
alla  rita  di  giustizia  e  di  aaiOitb  in  evi 
To  crealo. 


405.  Dkoeim  rtmo,  delle  due  ria 
aopraceeanate,  la  mìaerieordia  e  la  giu- 
alizia. 

4  07  .ifmamta  pie  appretentm,^^um' 
lo  più  dimo«tia. 

409  che  U  mondo  ifnprenia :  éoèf 
cbo  della  pn>pna  immagina  impresta 
l' aniversn. 

440-444.  IMproMcferae.  Fu  aoa- 
lanla  di  proee<lere  per  ambedue  lo  ria  • 
rialzarvi  dalla  vostra  caduta. 

442.  JVé  fra  VuUimmnoUe  ec.  Io- 
tendi  :  oè  per  tutto  il  comi  da'  aaeali , 
dal  Minio  che  il  sole  ebbe  luco  Ano  a 
quello  in  eni  sarà  fatto  oscuro. 

443.  Si  allo  e  ti  mognifieo  prò- 
eueo:  si  sublime  a  gloriosa  mauara 
di  operare. 

444.  O  per  tnnm  o  per  VaUroT 
cioè,  o  per  la  divina  booti  o  per  l'uoma. 
—  /te,  sarh.  O  per  fmma  o  per  VeUrm 
IcRgerebbe  il  Torelli  '.  a  con  senoo  ;  por- 
doccbè  allora  queste  parole*  rifcrirab- 
baro  alle  kuddclte  via  di  Dio ,  doé  alla 
misaricordia  e  alia  gioilìzia. 


Che  più  largo  Tu  IMo  a  dar  ^  sI«<sso 
In  far  1'  uotn  suflicienle  a  rileiatsi, 
avesse  sol  da  sé  diniesfo. 

E  tutti  gli  altri  modi  e 

Alla  giuslixia,  se  il  Pigliool  di  Dio 
Non  To^se  amiliato  ad  ìncariursL 

Or,  per  eni|iierti  bene  ogoi  disio, 
Bilorno  a  dichiarare  in  alcun  loco 
Perrhè  tu  veggi  li  cosi  com"  io. 

Tu  dici:  Io  <'egt;Ìo  1'  aere,  io  veggio  il  Taoco, 
L'acqua  e  la  terra  e  tulle  lor  misture 
Venire  a  corruzione  e  durar  poco; 

E  queste  cose  pur  Tur  creature; 

Perchè,  se  ciò  che  ho  detto  è  stalo  vero. 
Esser  dovrian  da  corruzion  sicure. 

Gli  angeli,  frale,  e  il  paese  sincero 
Nel  qual  tu  se',  dir  si  posson  creati, 
Si  come  sono,  in  loro  esaere  inleroi 

Ha  gli  elementi  che  tu  bai  nomati, 
E  quelle  rose  che  di  lor  si  fanno. 
Da  creala  virtù  sono  inrorinali. 

Creata  fu  la  materia  eh'  egli  hanno, 
Creala  fa  la  virtù  informante 
In  queste  stelle  che  inlornn  a  lor  vanno. 


IIS-IIT.  CMpiìi  laTgefuOfB  tr. 
Ptrriaecht  IHs  Tu  piò  libtntc  ■  darit 

B)B  pir  Iirìo  «piar  di  rìilnni,  di  qncl- 

■■  pmloDuii,.  —  (a  far  l' ito» .  il  tnU 
•  ilCsd    Poi.  Ptrfartt- 

w>  irarti.  dilatiti ,  tamh 


128.  rertht  r»  lo  d 
thtKndHlait.  \td.,\f 

to'.    lnU>.ai   i    cicli  ,   irli*   MMok  ilt 


120    n'Oli  , 


\2Ì    ftrtmjAtTti..,.  of^duie. 

ptr  «ppjirt  «0"'  ""'  ■!"' J'ri". 

1».  Jlilorao  ■  ilthiartntt:  \,.,- 

pmilodel  ni.i  rieionimeDlu. 

tS3  II,  in  imi.  ^Hllt  iBticrìi. 
125.  <  <hU>  lor  mitlMn,  t  (nlli 

I2T.  B  ifunteiiiu  ptir,  e  nudi- 


CANTO  SETTIMO. 


Sia 


L*  anima  d*  ogni  bnito  e  delle  [nante 

Di  complession  potenziata  tira  no 

Lo  raggio  e  il  moto  delle  loci  sante. 
Ma  nostra  vita  senza  mezzo  spira 

La  somma  beninanza,  e  la  innamora 

Dì  sé,  si  che  poi  sempre  la  disira. 
E  quinci  puoi  argomentare  ancora  Ub 

Vostra  resurrerion,  se  to  ripensi 

Come  1*  umana  carne  fessi  allora. 
Che  li  primi  parenti  intrambo  fensi. 

di  IKo  y  tensa  intBo  di  altra  eoaa  crea- 
ta^ Mota  eoAMrso  delle  cause  seconde . 
m4rm  mMéra  «<f«»  crea  l'snima  per  eo> 
Vmnà»  ha  tìU.  Vari  Codici  vottra  vita 


459-M4 .  L'ani$imirogmi  ftmfoee. 
Coatr.  e  iol.:  •  Lo  raggio  e  il  molo  della 
iwi  santo  (delle  stelle)  tira  (tiraDo)  di 
conpleaaion  potenziata  FaiiioM  d'ofii 
bnito  e  delle  piante.  •  Il  die  raol  dira, 
eba  la  stelle  col  loro  splendore  a  tn 
laro  moto  traggono  da  cotwplaniaiMp» 
témsimta,  doè  dalla  materia  elemsnlTa| 
atta  e  disposta  per  sua  e»senia  •  tala 
ganerazione,  traggono,  dico,  l'anima 
sansitÌTa  delle  bestie ,  e  la  Tsgatativa 
dalla  pianto.  Quest'anime  donano,  tas 
saenda  craanone  immediato,  soaa  mar* 
tali. 

442-445.  Ma  nostra  xUa  te.  Ma 
la  iommm  òemdumxii .    la  Itaoignilà 


444.  i$mpr9  la  ditira.  L'anima 


Dio.  Vedi  per  tutto  ciò  il  Geo- 
tolXV  del  Purgatorio. 

44^>44S.yi<wei;dalprinapio  stobi» 
fito,  ebe  le  opere  di  IKo  immediate  non 
san  corruttibili,  puoi  dedurre  la  resnr- 
miona  daH' umana  carne ,  che  essendo 
alala  creato  da  Dia  immediatomenle , 

2uaado  fmui,  fuma  fstti,  Adamo  ad 
l?a,  dare  racquistara  la  sua  incorrutti- 
bHitti,  che  ora  pei  giusti  fini  dì  Dio  po^ 
dirti  saapata. 


Mite  MUm  éi  rmtn  dM  «SMM  ff 


CM9,t  ffwJr  tefSwte  di 

Cu  ti  mmjfutM  CmiU  MmrUtU,  tkt  mtMmuttm  r  to- 
4*lmmJimM9  JM«t«weMÌ  ^ppiOa  m  fMfte  éM  p^i%  tH^tm,  mklmU  dml  Pmtta, 
éggnufmfw  ém  Jl§tt  émUm  9irtm  pmttmm,  t  fmmmtm  prmiéa  sim  mM  smti  féi^ 
thtum,  0 tmmmt»  muh  gU  mamtmtkf  te  «««  ImékmMmm  mt»  Mgmmw. 

Solea  creder  lo  mondo  in  suo  periclo, 
Cbe  la  bella  Ciprigna  il  folle  amore 
Raggiasse,  volta  nel  terzo  epiciclo; 

4.  Ir  ««0  pmielo:  prima  da  fo- 
ia Oaaè  Crista  ad  illuminarla  a  rad»-  « 

ia,  nai  tempo  cba  viTcn  oal- 
Parrafa  dal  pacaoetimo  aao  paricala 
MFclcraa  evo  danno. 

5.  Bigiano,  volta  ac:  lasalratn 
aai  aiai  inlussi  U  scnsnsla  a  latcSfo 
aaara.  —  volta,  Toltato,  Tatfantasi 
nel  ■afiwwnto  di  quel  óelo.  —  fpl- 
rleK.  mI  sistema  tolemaico  sono  qnai 
piacaR  cwchj  nei  quali  particolarmaato 


awscon  pianeto,  toltone  il  aola,  s'a^- 
^ra  dì  proprio  moto  da  ocddento  io 
oriento,  mentre  vien  portato  dal  pfinio 
mobile  d'oriente  in  occidento»  Questo 
parola  del  Compilò  illustrano  il  passo  * 
•  In  sul  diisso  di  questo  cerchio  (r  equa- 
tore) nel  cielo  di  Venera, è  ona  spe- 
retto  cbe  per  sé  medesima  ra  asso 
dclo  si  volge,  lo  certhio  della  mala 
gli  astrologi  chiamsno  epieieto;  a 
siccome  la  grande  spera  due  poti 


I 


DtU  TAKIDISO 

Perchè  DOn  pure  a  lei  faceano  onort 
Dì  sacrìGcj  e  di  votivo  grido 
Le  gemi  antiche  nell'  antico  errore: 

Ma  Dione  onoravano  e  Cupido, 

Quella  por  madre  sua,  qneslo  per  figlio,  ^ 
E  dicean  eh' ci  sedette  in  grenibo  a  Dido: 

E  da  costei,  ond'  io  principio  piglio. 
Pigliavano  il  vocabol  della  stella 
Che  r  Sol  vagheggia  or  da  coppa  or  da  ciglio. 

Io  non  m' accorsi  del  salire  in  ella  ; 
Ma  d*  esservi  entro  mi  fece  assai  fede 
La  Donna  mia,  cb'  io  vidi  far  più  bella.  (*] 

E  come  in  fiamma  favilla  ai  vede, 
E  come  in  voce  voce  si  discerné, 
Quand'  una  è  ferma  e  1'  altra  va  e  riede; 

Vid'  io  in  es.^  luce  altre  lucerne 

lluoiersi  in  giro  più  e  meo  correnU, 
Al  modo,  credo,  di  lor  viste  eterne. 

Di  fredda  nube  non  disceser  venti. 
0  visibili  0  no,  tanto  festini, 
Che  non  paressero  impediti  e  lonU 

A  chi  avesse  quei  lum: 


a.  L'<|iÌtklD adagila  tiualt 

,ng|lsclHilrarUM.> 
5.  et  «Wm  grida,  di  prtghiirs. 

t.tk'HiréilUte  Nrl  primo  drl- 
VtBÙit  liin  Vì'gilixbr  An>'HT.|>reM 

tsianblii»a(hl(ii>c>iilli.i>uniafif  lino- 
Io  ri'EoHHJsH  in  frnnbfi  (111  rrtim 

Cile,  *  (mulo  p«r  J 
Trtdulitll  il'oii  Htl 

•«DiMi^ina  iTiiUrir  ".r»i».v" 

10.  en^io  principio  piglio,  di 

41.  PltìitTano  H. .  uglÌH«n«  f 
pini.))  n. »n..  .Irli.. t<1l.,.rHI.<>. 
dvT»  Unn.  Vrdi  Cinla  IV,  ,.  «3. 

12.Ckt'l Sali.  Cvppa  a ntcu,i 


divin 
t  pirli  di  i\ttn6Attf»  :  «ffUrF» 


"-^.«Vm^pT! 


cw,  aMtMMi 


CANTO  OTTAVO. 

Veduto  a  no!  venir,  lasciando  il  giro 
Pria  cominciato  in  gli  alti  Serafini. 

E  dentro  a  qnei  che  più  innanzi  apparirò. 
Sonava  Osanna  sì,  che  unque  poi 
Di  riudir  non  fui  senza  disiro. 

Indi  si  fece  1*  un  più  presso  a  noi, 
E  solo  incominciò:  Tutti  sem  presti 
Al  tuo  piacer,  perchè  di  noi  ti  gioì. 

Noi  ci  volgiam  co*  principi  celesti 

D'  un  giro,  d'  un  girare,  e  d' una  sete, 
A*  quali  tu  nel  mondo  già  dicesti: 

Voi  che  intendendo  U  terzo  del  movete; 
E  sem  si  pien  d*  amor,  che,  per  piacerti, 
Non  fia  men  6p\ce  un  poro  di  quiete. 

Poscia  che  gli  occhi  miei  si  furo  offerti 
Alla  mia  Donna  reverenti,  ed  essa 
Fatti  gli  avea  di  sé  contenti  e  certi, 

Rivolgersi  alta  luce,  che  promessa 
Tanto  s*avea,  e:  Deb,  chi  sete?  fue 


545 


so 


35 


40 


26-27.  loieiafuio  ilgiroee.:  latcias- 
èo  il  giro  eba  fa  Vanere,  o.  d'aggtrani 
col  pianeta  di  Venere,  che  na  il  auo  ini» 
palao  dall' aitnairao  cielo  detto  il  primo 
ambile,  al  qoale  perciocché  praaiedooo 
i  Serafini,  dice  che  quel  movimento  fu 
prte  cowUntialo  in  gli  alti  Seruàmi, 

28.  E  dentro:  questa  lea.  di  mooì 
Codd .  come  migliore  prefcrìaco  alla  eoa* 
E  diètro. 

20.  fi.  SI  dolcemente. 

83.  ÀI  tuo  fnaceTt  a'Iooi  desideri. 
—  perdiè  di  noi  li  yiot,  afCnckè  Ui 
gioisca,  prenda  gioia  di  noi.  Dall' aiitiq. 

54.  Noi  ci  9otgiam  ee.  Saaando 
l' opinione  di  Tolomeo  i  cieli  sono  bo- 
to: BOVO  similmente  secondo  Danto 
aoBo  i  cori  celestiali  che  ai  cieli  praaie- 
dooo Beirordina  segoenta.  Al  i>nmo 
mobile  presiedono  i  Serafini  :  al  cielo 
delle  slclle  fisse  i  Cbcrukini  :  a  SalBmo 
i  Troni:  a  Giova  le  Dominazioni:  a 
Mortela  Virtè:  al  Sole  la  Fotcatè:  a 
Venera  i  Principati  •  a  Mercurio  gli  Ar^ 
caageli:  alla  Luna  gli  Angeli. 

55.  §/ un  giro,  dentro  la  madtai- 
BM  oiUta,  d'un  girnre,  eon  un  meda- 
aimo  moto  circolare,  e  col  medesimo 
desiderio  di  tendere  «1  cielo  empireo. 


86.  À'  guidi  ec.:  ai  quali  eorì  ce- 
lesti, detti  Frincipatì,  tu,  o  Dante,  Bai 
principio  d'una  tua  canxooo  dicaati: 
—  Fot  eke  intendendo.  È  la  prima  dai 
CimoitO' 

57.  Voi  eke  ee.  Gli  scolastici  tmox 
guano  a  ciascun  cielo  una  intelligaota 
cba  no  governa  le  rivoluzioni. 

59.  Non  /la  men  dolce  ee.  Nob  ai 
fia  men  dolce  del  girare  il  fermarci  al- 
quanto per  compiacerti. 

40-42.  Poscia  che  gli  occhi  mieiee, 
PosciacUò,  senza  far  motto,  con  bbb 
sguardo  pieno  di  reverenza  ebbi  do- 
Biandato  alla  mia  dnona  sa  eli' ara  eon- 
tenta  di' io  parlassi,  ed  ella  Petti  gli 
atea  di  sé  contenti  e  certi.  Inteudi  : 
contenti  del  suo  sorriso,  o  corti  daUa 
sua  approvaiiooe  ee. 

43-4 S».  alta  luce,  cAa  promeoé 
Tanto  f'area,  alla  riaplcudente  aaiam 
cbo  f'area  prometta,  oasia,  s'ara  pr*> 
BMsaa,  tanto,  si  largamente ,  s*era  eaa 
tanta  cortesia  offerta  pronta  al  mia 
piacerà.  —  e:  Deh,  chi  tele?  ee.:  a 
U  Toca  mia  improma  di  grande  affat- 
to, fu  questa  :  Deh,  dì  grazia,  cbi  siato  ì 
La  Ica.  che  seguito  è  del  Cod.  del 


i)ii>nisif  ed  è  migliore  delle  altra,  oof^ 
che  piena  veraiuenta  di  quell'wctta 

35 


Ci6 


DEL  PARADISO 


La  voce  mia  dì  grande  aflcUo  impressa. 

0  quanta'  e  qaale  vid*  io  lei  far  pine 
Per  allegrezza  nuova  che  s*  accrebbe , 
Quand*  io  parlai,  alP  allegrezze  sue! 

Così  fatta,  mi  disse,  il  mondo  m*  ebbe 
Giù  poco  tempo;  e  se  più  fosse  stato, 
Molto  sarà  di  mal ,  che  non  sarebbe. 

La  mia  letizia  mi  ti  tìen  celato, 

Che  mi  raggia  d*  intorno,  e  mi  nasconde 
Quasi  animai  di  sua  seta  fascialo. 

Assai  m'amasti,  ed  avesti  ben  onde; 
Che,  s' io  fossi  giù  stato,  io  ti  mostrava 
Di  mio  amor  più  oltre  che  le  fronde. 


4& 


u> 


5J 


che  mito  li  dice.  Ia  com.  è  :  di  (vrrbn), 
ehi  fiele?  allrì  Inti  hanno:  di.  ehi  ir 
fu?  altri  finalmente:  di  chi  tei  tuf 

46-48.  0quanf€quai99e.lìkkà\ 
quanta  più  luce  e  di  quale  TÌdi  io  lei 
far  (per  farsi\  piue,  cioè  fani  mag- 
giore, aecrcsrersi  piT  la  nnctra  lelitia, 
che  per  le  mie  parole  s'arerebbe  alle  al- 
legrenetue!  Il  quanti»  riguarda  r««ti*n- 
■ose,  il  quote,  la  qualità,  la  natura.  La 
Ira.  0  quanta  è  della  Nidob.  Gli  altri 
testi:  E  quanta. 

4'J.  Cosi  fatta,  divenuta  ena\  pia 
loainuaa.  —  il  mondo  m'ebbe  §e.: 
breve  fu  il  mio  a«igginrno  mila  terra. 
Ad  intelliceaza  di  auel  cbe  tt^e  ttriii- 
gerò  in  poche  panile  la  sturia  di  eoatui 
eh«  paria.  Egli  è  Cirlit  Martello,  il 
maggiore  dentigli  di  Carlo  II  detto  il 
Ciotto  *»  lo  Zoppo,  e  di  Maiia  d'On- 
fvberia  finlia  di  Sl.-fano  V  e  •»rella  di 
Ladislao  IV  re  d'Uii(;herìa.  M  rio  La- 
dislao nel  1200,  Carlo  Miirtello  por  di- 
ritto  materno  ti  tni\ò  le|;iitimo  eredo 
della  corona  d*Un(theria;  sebbi'ne  que- 
lUli  cbe  veramente  regnò  fu  il  mio  emulo 
Andrea  111  che  mori  nel  ioOl.  Carlo 
Martello  nion  nel  1293  d'anni  venti- 
tré, vivente  tuttora  il  patire  di  lui  ;  ma 
0eÌ  Ì20l  avea  sposata  Clemenaa  figlia 
ék  Rodiilfo  di  Il.tbsbiirgo  imperatnr 
d*Alenagna,  da  cui  ebbe  un  figlio  cbia- 
mato  Carlo  Roberto,  e  per  cnntraxiona 
Caroberlo,  ebe  fu  rìennoMÌuto  ed  eletto 
r«4'Uaghona  nel  I50M.  Carlo  II  di 
Napoli  mori  od  I300«  o  avendo  era* 
dulo  Caroberto  figlio  del  suo  primoge- 
nito abbastaoia  pro^ vinto,  feca  areda 


de*  iooi  f>ti  ti  il  suo  tarvogeoito  Roberto 
duca  di  &.labria,  poicbè  il  secoodo^ 
aito  Laigif  ebe  poi  la  santo,  era  vcaeavc 
diToloaa.  Caroberto  aoo  s'acquetò  à 
questo  arbitrio  dal  aoono  soo,  e  prelaw 
la  soccessiona  negli  Staiti  di  Napoli  e 
Prnvenxa,  come  fi(jIìo  del  prìmogeaile 
di  Carlo  11.  Ma  limessa  la  cosa  al  già- 
disio  del  papa  elemento  V,  qaaatì  •(•• 
tonile  in  ia\ore  dì  Roberto.  Danto  avea 
conofdnto  di  peratina  Carlo  MarteIJa, 
ad  avealo  a>ato  par  mm  ba* 
molto  caro. 

50-54  i€  ftiit  fotte  itmto  m, 
di:  sa  il  tempo  del  viver  mia  lasH  alato 
più  lungo,  non  sarehba  par  mteuàtn 
nel  mondo  quel  male  cbe  acraJrè  par 
Colpa  di  Roberto.  Dante  fa  avi  piali 
ti/rare  i  mali  delle  guerre  cagiiiaalB  di 
Roberto  per  opporsi  ali*  ìagraiadiaaito 
di  Arrtgo  VII. 

52-5Ì.  U  mU  letizim.Cmtr.amL: 
il  lume  dcll.i  mia  bealitudina,  Ck§  wà 
raggia  d' intorno ,  e  mi  noMeóméa  ae., 
mitiem  relato  a  te. —  Quaei  mmimmlm^ 
come  baro  d a  seta  ehi u«»  nel  aoa  boanla. 

55-57  Atfai  m'ammiti  et.  (Ma 
Martello  venne  giovinetto  a  Pirana,  ad 
ivi  strinse  amici/ia  con  llanto.— «1  flai^ 
iti  ben  nniie:  e  ne  avesti  motiva,  par» 
che  te  pure  amai,  e  le  aa  «letti 
piccola  pro«a;  ma  *e  loaai  pi«  vìi 
le  ra«reì  dmioslial»  bea  altrsa 
(Ihisma  eoa  Im'IU  metafura  f^nmétde^ 
l'amirixia  i  (lice»,  lì  a  «aaalì  fcvarì; 
frutU  i  doni  genaroai  a  i  aalliasi  aki 
opportunamente  si  pofgaoa  «Uà  fttbt 
che  è  in  bisogno. 


Quella  sinisira  riva  che  à  lava 

Di  nodimo,  pnirh'é  mi^lo  fOD  Forga, 
Per  suo  si^ore  3'  tempo  m'  ai()M'riHTa ,~ 

E  quel  corno  dì  Aasonia,  ctio  s' imborsa 
Di  Bari,  di  Gueta  e  di  Crolona, 
Da  ove  Tronto  e  Verde  in  mare  i<gor^, 

Fu1(:esmi  già  in  ironte  la  corona 
Di  quella  terra  che  il  Danubio  riga 
Poi  die  le  ripe  tedesche  abbandona: 

E  la  bdU  Trinacria,  cbe  caliga 

Tra  Pachino  e  Peloro,  sopra  il  golfo 
Che  rireve  da  Euro  maggior  briga, 

NoD  per  Tifeo,  ma  per  naacente  swiro, 
Allesi  avrebbe  li  suoi  rrgi  ancora, 
Nati  per  me  di  Carlo  e  di  Ridolfo^ 

Se  mala  signoria,  che  sempre  accora 

8-aU   QHflIa  ilniiln  rfr*  le  :  M-C6   Ftilfiimi gli  in  fronlt  i 


r.  ^«ì\„  pHH  a  U 


a'tlnflUri 


OT-M.  TWMcrìatb 


rf'll.H.  {,h 


■IÌBÌi>,  ili  (nnin,  lapn  il 


>,  dr  Mr  Em  'pii  «lì*  •!•  éIÌ*  I 

•  di  CrHtMa  tnrnlit*  il  YiiM  TD    JVb<i  p«r  TV'Aoi  nM  pcnkNriJ 

■  TM  «Inni  (Miti  r<«  lui  »,l««l  n  Hp-'lln,  mih  d<cc  !•  titsl*,  il  |b  J 

ium  bnr^  •Mhb  >  IU(tt<a  (•<■>•  l'ifri- eh,' iiiiii  ■■Bima«  [nns,*^  ■ 

;  <lir  ti^nrriU*,  Se*  fgli,  ft  i>  nlBÌira  Ji  Klf*  cfa*  llMarBlMB'^ 


Li  poi»lÌ  suggelli,  non  avesse 
ìiosfo  Palermo  a  gridar:  Mora,  mora. 

E  se  mio  frate  questo  anlivedesse, 
L'  a^a^a  poverU  di  Catalogna 
Già  ruggirla,  perei»  non  sii  olTendesse; 

Che  veramcnle  provveder  bisogna 

Per  lui,  o  per  allrui,  si  cb'a  sua  barca 
Carica  più  di  carco  non  ai  pogna. 

La  sua  natura,  che  di  larga  parca 

Discese,  Bvria  meslìer  di  tal  milizia 
Cbe  non  curasse  di  mettere  la  arca- 

Perocch'  io  credo  cbe  l' alta  \elhia 

Che  il  Ino  parlar  m' infonde,  signor  mio. 


PcrlÉ 


aggia,  I 


G^ala  ro'  è  più:  e  anche  questo  bo  caro. 
Perchè  il  diseerni  rimirando  in  Dio. 
Fatto  m'  hai  lieto,  e  cosi  mi  fa  chiai'O, 


I 

I 


mnnt»  .11'  ir»,  .r.  —  DbIot.,  ir.,  rm- 

Jcll.,ii>ilnril>u«^iodc. 

n.  a  fridar:  «ora.  mora.  0>ì 

•■rio  ilie  0  per  lai  ttn»  t  p«r  «lui 

ta (,riil.ln Briosa, 50  mino, »«■  lulM 
1.  Bicilii  In  quella  iiwU;..<><  •!<'  Fron- 

gii.   in^pe   «(ic,   OOd   B    nP'V 

Mi   rfa*   h  ck..i>iiti  il  V«p»  Sicl- 

pii  difilli  per  «iÌi»rrà«li«,  vi. 

>' •liliutisi   «ncb«   r*»risi>   <«'•« 

7G-T8.  £  M  HM>  frattrt.  Qun- 

ia  Ruktrti)  [ii  «Ugni»  in  Clilogo.  poi 

ninulrì. 

nuspi<lr«,ri[«cct*milMrÌ  nxili  di 
■Mi  >W  (ii«n!  di  r-U  ■  di  F.n., 
2»  t'i  «"")«Ui  •*»  io  »>>i>.  «'^  •' 

H:k8d.  to  ma  MUiira  w.  Um 

fi,  do»  di  lib<r.1e  (d.  Cirio  II,  tb 

,ri«S.mq,»dq»li,C<«..p«pui 

eri  ■i«Biiiptei>did<i|,ilÌKeHyirM,r<- 

mil»r«,  ftttrn  hi>>  ptimt  pmuno  di 

.Irciii  t  nilHn,   Kribl»  lUMlitri  « 

laJBuHiiB.  di  Ufi  uinittri,  ckaHxi 

dnlci  «>  gmiidii  Dui  U  pid*  d«  P"- 

nmi  t.mtn: 

«n  kà-  Ioli*  l'>pprlilii  ■  chi  li  diioriT 
k«  inimjiit  lo  .«rlu.  (h.  »  Ri,lH-rl<> 

gS-90  P<n>«:k'<ocr«di>n'.Èl>jiU 

ch«  di  i|<ii  ecmlBcii  ■  p.rl<r«iU'*>iìM 

di  Citi»  Uarisliu.  Q»lr.  ■  ini.:  hcU, 

a  ■iinor  nix,  i*  credo  die  nt    4n* 

t  >t  dei  niiùlH  Illa  >  iniLiercli,  diii 

»r,rbe..  «  lami»  .  .'iniii^ldWlil 

prii«ipio.ilI«d'.|,nil.™t  -««. 

■  ti  ipewhimt  «111  rivi.lt»  tic  liiea. 

S»  •!>  le,  «m.  U  t.8SÌo  «  .«M  ^ 

sii  fii>d'or.,prÌB.  pBr  di|,l*ng.r,.l 
Ttri  e  ■•ivi,  L'ocarn  porirti  diCm- 

l'.l>.  l.li.1^   .he  il  UD  p.rl,r«  *'•*. 

foade,   q.iHU  leOii^  mi  *  pii  |bM; 

e  qnntB  laciir^  mi  U  piware,  dt 
m  Tedi   in  Ole  11  verìU  dì  «i»  À*  il 

ialoftu   CU  fuaglrìa.    «flin.'bi  ■do 

|1i  ..«M  .  nB«,rc,  p<Td.i  «™  «<• 

di». 

91-93.  FMt  m-Sai  te.,  A*,Ȏ 

dHu  «li  ptricnuUiiD,  u  lo  rifrroiono 
tifopcli  tufgMi.  Non  mi  ffi-^: 

mudo  lU'uo  che  m'iiai  lilln  lieto,  ti«v 

.Dtke  iliuile  IpoieL»  «.Ile  liu«Hti« 

CARTO  OTTATO.  SU 

IVnché,  parlando,  a  dubitar  m' ha!  mosso 

Come  uscir  può  di  dolce  seme  amaro. 
Questo  fo  a  lui:  ed  egli  a  me:  S' io  posso 

Mostrarti  un  vero,  a  quel  che  tu  dimandi  si 

Terrai  il  viso  come  tieni  il  dosso. 
Lo  Ben  che  tutto  il  regno  che  tu  scandi 

Tolge  e  contenta,  fo  esser  virtute 

Sua  provedenxa  in  questi  corpi  grandi; 
E  non  por  lo  nature  provvedute  ice 

Son  nella  mente  eh'  è  da  sé  perfetta, 

Ma  esse  insieme  con  la  lor  salute. 
Perché  quantunque  questo  arco  saetta, 

Disposto  cade  a  provveduto  fine. 

Sì  come  cocca  in  suo  segno  diretta.  los 

Se  ciò  non  fosse,  il.  del  che  tu  cammine 

Producerebbe  si  li  suoi  eflbtti. 

Che  non  sarebber  arti,  ma  ruine; 
E  ciò  esser  non  può,  se  gì'  intelletti 
,    Che  muovon  queste  stelle  non  son  manchi,        iis 

E  manco  il  primo  che  non  gli  ha  perfetti. 
Tuo*  tu  che  questo  ver  più  ti  s*  imbianchi  ? 

Ed  io:  Non  gié,  perchè  impossibil  veggio 


iadoUo  a  dobiUre),  Com$  ntetr 
pmè  di  éoiet  ttwM  tnmmro:  coow  pttia 
d»  baoQ  padre  vidr  cattiro  fiflio,  •  nel 
caso  Ma(r»,  da  no  libarale  on  avaro. 

t4.9e.  S'iopoao  MoitrmU  tM 
Mino,  fo  flU  riesca  di  Tarli  covaro  di 
ana  Tarile  fondsmentalaf  rarrot  lloiso 
•  qmHtk$im  dimandi,  coma  ero Hairf 
41  datm,  òaè,  la  domandata  eoaa  cha  ti 
rìoBaoa  alHaacoro,  cbe  non  eoapffsodi| 
Ci  si  fare  dùara  a  maaifesla. 

S7-ee.  Io  Ae»  ce.  Iddio  cW  follo 
il  cieh  cba  te  icmndi,  cioè,  sali,  fofaf 
o  eooleiifo  ^ica  eoolcólo,  perchè  raodo 
coQlcole  il  desiderio  delle  iotaUifeoio 
soolriei.  dM  è  di  airvicinarsi  al  cielo  cs- 
l»reo) ,  fa  cbo  U  tirlmlt,  V  attÌTÌIk  d'asio 
cielo,  tonfa  lo  voei  della  taa  prowidtn* 
sa  io  poesia  afera  celesti,  cho 
i  loro  loiaasi  eolio  eoaa  torreoo. 

400-401.  B  non  pwr  1$ 
r»  oc.  E  per  la  predetta  attÌTÌIk  oallo 
ascoto  cho  è  da  sé  parfaia  (cioè,  Ballo 
oBcola  dima)  ooo  aolo  aooo  pnor^ 
dote  lo  ooloro  dello  coae  terrestri:  mi 
iBsicao  cao  essa  oatora  la  Mifofi  Uro, 


cioè,  la  loro  alabilìlè  o  dorevolem. 

A  03-f  05.  Fnrkikqvmnimnqne  f*^ 
ito  «reoMcfte  ce.:  perlodiè  tette  foidlo 
eoaa  che  f «esto  orco  foefte,  cioè,aopra 
le  ^ali  ^este  altivilè  inSoisee,  tcoi»» 
oo  dol  cielo  diapoato  a  certo  provrodote 
Ida ,  sìccooM  Is  freeeia  è  dirette  al  eoo 
aoaoo.—  OMCo;  è  proprìaoianto  la  tao* 
ea  oella  Iracda  oella  anale  entra  la  cm^ 
da  dell'arco:  ma  qni  è  preaa  ■elafor»- 
caBcnte  per  la  freccia  stessa. 

'lOe.  5ec<dN00  fou§,  cba  ogoi  eo- 
lesto  ininsBO  seeodcaaa  a  proTfcdote 


108.  Ch$  «on  «orcèèer  orli»  dio 
000  sarebbero  ediScaiioni ,  (ortf ,  pra> 
dalU  d'arte). 

440.  non  fO»  «umcM,  ooo  aooo  di 
■aoconto  attÌTitè. 

4  4  4 .  ff  oMiieo  ilpHoio  ce.  .*  a  OMO* 
aaote  dalla  conireoieote  attiTÌU  Iddio, 
cba  000  abbia  pototo  perfariooaro  Pa^ 
lifitt  dette  soo  craitoro;  ilcbo  oao  poi 


UT  H  i'imkimtelU,  ti  si  tcbia» 
risto. 


Che  la  natura,  in  qoel  cb'è  Dopo,  slanrbi. 
OnO'  egli  encora:  Or  dì,  sarebbe  il  \ìe^po 

Per  l'  nomo  in  Iwra  se  non  fosse  cive  ? 

Si,  rispos"  io,  e  qui  ragion  non  cbeggio 
E  può  egli  esser,  se  giù  non  9i  vive 

Diversamenle  per  diversi  uffici? 

No,  se  il  maestra  vostro  ben  vi  scrive. 
Si  venne  deducendo  insìno  a  quici; 

Poscia  conchìuje:  dunque  esser  diverse 

Coovien  de'  vcKlri  effetti  le  redici  : 
Perchè  nn  nasce  So!one  ed  altro  Serse, 

Allro  Melcliisedech,  ed  allro  qjiello 

Che,  volando  per  i"  aere,  il  figlio  porse. 
La  circulur  natura,  cb'É  su^elto 

Alla  cera  mortai.  &  ben  su'  arie. 

Ma  non  distingue  1*  on  dall'altro  ostalo. 
Quinci  additiea  cb'  £<aù  si  diparte 


^ 


Per  seme  da  lacob 

e  vien  Quirino 

H4,iBflt«I(ft'i<«p<.,ila««. 

ncd;.»Hrìtàu11.  lert.prrBhi 

«o4,  vengi  meno  ntlle  ^^.^  nccn...,io. 

«ure   di    qoell..    Ateodo   «di  M> 

Ile-IIT.HWH^Miieic^.HnaB 

l'Bon...  WC1.U,  e  1.  HHtk  d«  H* 

.ucgniecitllogaB— Si.  rùpojiiotc: 

p™t™Ìooi  .di  afB«i,  t.].»g««  (.m«. 

-ì,  ».  ràpMi  ;  «rehfc.  prge^o  •'«bIÌ  ucd 

der*  che  |ii  -aomii;;   awwer  «*4i. 

EolKdilU»>;e<li<.n  «  c<».«»  1. 

d'  »d^,  di  u»l«».  di  «pMìa.  D» 

de  JuB^M  elUelelh  rirlà  d'ielui 

I(8-I20.  £p*i  tstiutiTH.e 

(,«»  p4fale  d;  Oii'H  ,  «  cuc.»  dA- 

*  P"""  "1  ««'•■ 

l24-ta6.  i>*nM«..-p»tif»l 

lindu  di«n>  optri  ed  irli  aKourii 

con  un  MM  SetMU.  dM ,  H.  w« 

.Il'ordio.  iioiicnilr  •  •!  privil..  e  ptib- 
Ulc»  IxiiHHrtr  N»,  K  il  BDoIr»  VIK 

•l™,  IÌi>*,ie*ririol»lt,  te. 

olirò  .«fm.  ed  iltre  ■«««»,  ». 

Senr.i  «jH«re  eo  ,mp,ro:  — Jftn 

Ì(«IrA(i«fMh,  <M,  ■li'ocWBeMf'tfcu. 

derb.(lb)(dnerntereilM»tdfl>e:- 

fd  oli»  fwll*  n. .  td  .Uri  («Hai 

^Zl-t&llMttreularmatmnit  U 

Tirhi  itlin  de*  eitti  einuleoti,  |.  mIt. 

dt-CMlrt  tgtUi.  ice,  to  »d«ti  t-lr., 

»ni.  (.  ilMtfril*  mU.  mh,  {.pH- 

■Mi  «prei  noniU  I*  iedulì   i,^,  h 

•M1Ì  «netti  •)  IHWii»  pHrere.   Ed 

i'u«.«,  i'.ii<»..e.  •.  M  dìnm> 

dt  J'M dallcUrt aiMU.  ■■.«a* dit- 

«•riella  in  ri,p..l.  .1  dubbio  d<J  Po^ 
1*.   •«»  D3.   Iddìo  eclli   «H   prov 
•'.JcDii  hi  ditpo.l«  cbe  ì  dtli  infliuMt- 

iyl..Jidei,e,einrT'-.T-S«E'» 

^.  «Mdj  aTtCM  <4«.G»t  «■ 

CANTO  OTTA  va 


551 


Da  si  vii,  padre,  che  si  rende  a  Marte. 

Natura  generata  il  soo  cammino 
Simil  farebbe  sempre  a*  generanti, 
Se  non  vincesse  il  provv^er  divino. 

Or  iqnel  cb*  Ven  dietro  V  è  davanti  ; 
Ma  perchè  sappi  che  di  le  mi  giova, 
Un  corollario  vo;!lio  die  t*  ammanti. 

Sempre  natura,  se  forlona  trova 

Discorde  a  sé,  com*  ogni  altra  semente 
Fuor  dì  sua  region,  fo  mala  prova. 

E  se  il  mondo  laggiù  ponesse  mente 
Al  fondamento  che  natura  pone, 
Seguendo  Ini,  avria  buona  la  gente. 

Ma  voi  torcete  alla  religione 

Tal  che  fu  nato  a  cingersi  la  spada, 
£  fate  re  di  tal  eh*  è  da  sermone  ; 

Onde  la  traccia  vostra  è  fuor  di  strada. 


135 


140 


145 


à'  Indole  tanto  dì?crta  da  quella  di  Gk- 
cobbe:  e  Romolo  guerriero  uatce  da 
OD  nomo  ai  vile,  che  ai  rende,  si  dii  a 
Harta  ,  rome  dio  drlla  guerra,  e  aiit*r 
dell'  influaaoy  la  gloria  di  eMcrgli  ataU 
padre. 

433-135.  Piatura  generata  et.  I 
agli  aegttik'n  bber  sonijirr  la  natura  dei 
atoilori,  ae  l'influaso  celeate  non  pre- 


436.  Or  fur/  che  l'era  dUiro,  ttj 
cioè ,  ora  ta  vedi  rliiaro ,  quel  che  pr». 
flM  non  Tcdcvi.  Kd  è  moilo  a«nii|«lian(e 
a  qocl  che  abbiamo  veduto  io  qoralo 
flaédcaimo  Canto,  t .  76  :  Terrai  il  tÌM 
tome  tieni  il  dotto. 

437.  i)i  te  mi  giora,  mi  compia»' 
«iodi  lo,  del  vederli 'todikfatto 

438.  Un  eoroUario  ec.  \oglio  cbe 
«aa  gioBla  ti  Bnisca  di  vestir  la  merf- 
4c;  oaaia,  voglio  che  il  tuo  intelletto 
coati  pienamenle  acbiarilo  per  quel  cba 
ti  tggiongerè. 

439-140.  Sempra  oa torà.  te/br> 
émmm  trota  et.  Se  V  indole  ai  irmi  in 
una  condixiooe  di  coae  che  non  la  ooo» 
venga;  §•  Paflìcio  o  la  profcaaioM  aia 


di-oordo  dalla  Datura  dtlF animo,  ec. 

441.  Fuor  di  tua  region,  fuora 
del  cKma  conveniente.  —  prova ,  rio- 
•cita. 

443.  ÀI  fondamento  che  natura 
pone.  CÀoèy  aJJ'indvló  apirata  dalla  vir- 
tù dei  cieli 

4  t4  Seguendo  iui,  avria  buona 
Im  gente.  So  nella  pubblica  amoiinì- 
atrazione,  ai  civile  cbe  ecclaaiaatica ,  ai 
atudiaaar  bene  l' indole  a  la  naturalo  a^ 
litudine  dt'gli  uomini,  per  coUooara 
ognuno  al  suo  putto,  aareubc  molto  on- 
nore  il  nunioru  dei  ridicoli  e  dei  balor- 
di ,  e  non  aarebbe  ai  mal  acrvita  la  io- 
aeta. 

447.  E  fate  re  di  tal  «e.  È  f|aeato 
tto  morto  al  re  Hoberto,  che  meglio  cLo 
re  aarrbbc  stuto  un  (rate  da  prodica. 
Petrarca  giudii-è  diversameate  di  lui  ;  il 
cbe  non  mIo  prova  la  divercità  aomnia 
deir  indole  a  del  caratlora  dei  due  poe- 
ti, ma  è  pur  anco  arg«imeoto  cbo  io  oo- 
obi  anni  eran  variali  d'aaaai  i  tanpi  • 
i  panaieh  degli  nomini. 

448.  la  traccia  tottra,  il  TUilra 
commino,  i  voatrì  paaai. 


CMXTO   NOXO. 


Da  poi  che  Carlo  tuo,  bolla  Clemenza, 
H'  ebbe  chiurito,  mi  aartò  gì'  inganni 
Che  ricever  dovca  la  sua  semenza; 

Uii  disse:  Taci,  e  lascia  volger  gli  anni: 

Sì  eli'  io  non  posso  dir,  so  non  che  pianto 
Giusta  verrà  dirìetro  a'  vostri  donni. 

E  già  la  vita  di  quel  lume  santo 

Itii'olta  3'  era  al  Sol  che  la  riempie, 
Corna  a  quel  ben  cb'  ad  ogni  cosa  è  taolo. 

Ahi,  anime  ingannale,  fatue  ed  empie. 
Che  da  si  Tatlo  ben  torcete  ì  cuori. 
Drizzando  in  vanità  lo  vostre  tempie! 

Bd  ecco  un  altro  di  quelli  splendori 

Ver  me  u  fece,  e  il  suo  voler  piacermi 
Significava  nel  chiarir  di  fuori. 

Gli  o.cchi  di  Beatrice,  cli'eran  fermi 
Sovra  me,  come  pria,  di  caro  assenso 
Al  mìo  disio  cerliriralo  fermi. 


9.  Comt  ù  qurl  ftn  n.s  t^H 

anu,  figliaiili  .li  Cirio   Marinilo  « 

rgli  quel  bene  eho  id  ogu  COM  i  Mto 

q..uu>  b»it;  (io*,  cUo  .gni  .»M  «- 

Di»t>>  di  L«J»ilc«  X  ri  di  FriBci.,  1. 
quia  a*  (ueon  lìii  naaudii  il  Poila 

MrìVM  qiiniì  x»;. 

fd  rmptt   C«ì  lr|;K«  U  NiJ.  LfCoB. 

2-3.  Il-tib,  (hiarilo.lat.  ilei  Jyb- 

Wo,  tMae  p«M  a.bu>.n  ,cm«  «■■»■  fraU 

rmpit,  eiu*  irulare  (m|<ie    nns  '1 

le  ■>»».  —  gì-  tnvM<H  «. .  le  IroJi 

TWlro  trctum.  —  faltH,  rue.  ibJu. 

per  U  quii  li  tnwun.  li  <)lK(ni<i«i»i 
^  Ctr\o  UirUllo  |Vcdi  li  ù.li  49  d<l 

13.  b  voiln-  IcinjirA,  i  tmItì  m> 

•ion. 

dillo  pr«  1,  dovitt  «sor*  prìiiU  dd 

H-t5-i.li«fo(«rpf««r»i,b 

■HI»  di  Ktpoli  0  Sicilii. 

S-«.  SI  <A'I«  ce.:  ond'is,  doTcnJo 

Vhkiiitt  II  emudo,  Mlomi  di  iKCrc, 

BOB  pcMa  dir»  H  aon  (ha ,  io  feQDiUi 
diri  dioni  ■  i«  rmlì,  xrrl  giuUo  ci- 

nel  luiggiDr  Hiiiroie  dii  Iripia^dit*. 

iti|0«  [ir  fiiugira  i  vattri  orispinri. 

Di»  ,o,tri.    por<l,t  .uch.  Clemoia 

Cerio  Mirldlo    e  in  .Uri  muùli  md. 

Moij»  Otlni  di  qUtil*  BlUipoliBBO. 

Vgdi  il  C>»ig  Vili ,  ver»  iO  •  un- 

7.  la  «itd  H.,   l'inimi  di  Corto. 

(8.  cM-H^Bitó  f«-»i:   Bì  tSr, 

f  irj  CmIìcì  iuT»  di  Tila  hioDo  i>i((a. 

eerlo  di  caro,  di  mollo  a  nw  gnfilo, 

a.  Qt  Sol  te.  :  ■  Diu,  tht  la  riim- 

.»ee»i  eioi,  oi.-«ir»coD.ealÌTi  al  ^ 

CARTO  NONO.  553 

Deh  metti  al  mio  voler  tosto  compenso, 

Beato  spirto,  dissi,  e  fammi  pruova  so 

Cb'  io  possa  in  te  rifletter  qnei  eh'  io  penso. 
Onde  la  luce  che  m'era  ancor  nuova, 

Del  suo  profondo,  ond'ella  pria  cantava, 

Segoette,  come  a  cui  di  ben  far  giova: 
In  quella  parte  delia  terra  prava  2S 

Italica,  che  siede  intra  Rialto 

E  le  fontane  di  Brenta  e  di  Piava, 
Si  leva  un  colle,  e  non  sarge  moli'  alto , 

lÀ  onde  scese  già  una  fecella, 

Che  léce  alla  contrada  grande  assalto.  so 

D'una  radice  nacqui  e  lo  ei  ella; 

Cuninea  fui  chiamala,  e  qui  refulgo. 

Perché  mi  vinse  il  hnne  d'està  stella. 
Ma  lietamente  a  me  medesma  indulgo 


40.wuUiaimio9oler...ani^fim»o, 
ék  lo^wfnìoM  al  mio  iImm. 

20»2I .  f  fiunmi  pruota  ce.:  «car- 
lificanii  edi'fliferìonia  Ch'io  potm,  io- 
lewii  p«r  meno  di  Dio,  im  U  rijll€il§r, 
qmm»  nppo  per  itpccchio,  qw€Ì  A*  io 
pcMM.'CMk,  protaini  che  il  mio  datidt» 
rio,  M  Dìo  dipioto,  si  rifletto  in  to. 

22-24 .  Oiufe  te  /net  te.:  ernie  Hani- 
mm  cfce  ie  omi  conoeceva  ancora  per  no- 
nM,  Ari  «no  profimdo,  dal  cenlre 
Mm  alella  di  Venere,  in  coi  prima  eefli 
nitrì  spirili  eantova.  Segmttte,  cioè,  ag- 
gionao,  continnè,  al  mio  parlare  il  eoo, 
€tm»  persona  a  cai  giova  beo  faro,  o 
Ao  M  cempiace  di  essere  alimi  cortctt. 

25*27.  M  quella  part$  ce.  Si  do- 
scrif  e  il  territorio  che  è  tra  i  confini  det- 
to Marca  Trivigiana,  ore  scorre  la  Piavo, 
del  Pndorano.  ove  scorre  la  Brente ,  o 
del  l>ocato  di  Venesia,  significato  cel  no- 
■o  della  nrincipale  isola  di  Riulto,  alln 
male  antKamente  si  rìstrìngera  to  cillà 
di  VcMfto.  Il  Poeta  chiama  pr«t«  rito- 
fica  terrò,  o  sia  l' Italia,  perchè  aro  di« 
•ordinato  o  piena  di  tiranni. 

2S.  «m  eolie:  il  colle  ofo  aergo  il 
cnstelto  di  Bomano. 

29.  Là  ernie  ee.  Dal  ^oato  acoao  a 
stmoMnio  di  ^oelto  regione  ona  Inncnh 
dovantalrico .  cioè  il  tiranno  Eoalioo  UI 
doito  iMBglia  di  Onora .  con  b  di  Bmi- 
no.  Fietro  di  Dento  dico  che  il  Poeto 
chiama  &Mlino  faetUti  perchè  ìm  ■•• 


dro,e8sendoTÌdna  al  parto,  sognò  di 
partorire  ona  flaeeola  acresa.  Ma  anche 
àò ,  ben  ri  conTÌcne  il  nome  di 


/teef/oa  Enelino,  per  la  soa  natarn 
crodde.  e  le  stragi  e  gì'  incendj  con  che 
apamtè  ed  afflisse  la  eqnlrméfa,  il  ter- 
ritorio di  Padof  a.  Il  dinìinotiTo  téctUa 
aecenna  forao  alla  piceoleoa  dei  doari- 
oio  di  ^esto  tiranno. 

50.  ^reutde  ostollo,  Om  §rmid§  «f- 
Mrflo  ìegee  il  Cod.  Caet.  e  U  Gtonh.,  o 
cen  pie  efficacia. 

Bl .  ly  unm  rmdice  ee,  :  dal  modeai- 
mopadra.chefu  Eadino  li,  appeUato 
U  Monoeo.  Cottoi  che  qoi  favella  è  Go- 
nioa,  sorella  di  Endino  III.—  ed  èOm, 
doè,  la  detto  fèeella, 

82-53.  e  qui  refkdgo  ee.:  e  qoi  ri- 
dondo, non  sono  salito  piò  io  alto;  no- 
roeehè  1*  influsso  di  questa  stolta  di  Vo- 
nera  mi  vinae^  lacendoni  dedito  agli 
affloroM  piaceri. 

54-56.  Ma  tiektmente  ee.  Ma  Itote 
ai  perdono  la  passato  %ito  amorean,Oi- 
gieoo  di  qocrta  mia  mioer  glorto,  oè 
ponto  aù  affliapo^  né  per  rimorao,  oè 
per  dwiderio  di  pie  alto  grado  di  hanli- 
toXno;  il  che  forse  jpnrrto,  potrehho 
parare,  fèrie,  doro,  diffieito  o  intaodero 
al  volgo  dai  mertoli,  tra'qoafi  to  aaat 
foooo  altrioMOti.  Da  qoesto  parato  ata- 
an  to  hocco  a  ConiBa  ri  ritovo.  cfco  II 
Piata  dohitova  ferto  di  ooo  oneodero 
to  pohhiica  opinione  ponendo  tra'hiatt 


La  cagioo  di  mia  eotte,  e  non  mi  noia, 
Ctie  Torse  parria  forle  al  voslio  vulgo. 

Di  questa  lurulenta  e  cara  gioia 

Del  nostro  cielo,  che  più  m'  6  propinqua. 
Grande  fame  rìmai^,  e,  pria  che  muoia, 

Questo  ceuIcsim'aniiD  anror  e'  inrìnqua. 
Vedi  se  Ur  sì  de'  I'  uomo  eccellente. 
Si  eli'  altra  vita  la  prima  rolinqoa  I 

E  ciò  non  pensa  la  turba  preiienle, 
Che  Tagliarne  nlo  ed  A  dice  richiude. 
Ne,  per  e^ser  ballula,  ancor  si  prate. 

.Mu  tosto  5a  ctie  Padcn'a  al  palude 

Cangerà  1'  acqua  die  Vicenza  bagna. 
Per  essere  .al  dover  le  genti  crude. 

E  dove  Sile  e  Ca^nan  s' accompagna. 
Tal  signoreggia  e  va  con  la  teet'alla. 
Che  già  per  lui  carpir  si  fa  la  ragna. 

Il  il  cui  Irnppa  più  rhe  1> 


J 


|i.>iluna  ■  pieJln  i  dEnai  dn  CdiIìì 
une  lisKgli  tcmbrita  I)  xinllt  il'Ci- 


43-IS.   la  iitrim  fr^tnU,  (li 
roplùnmla  M.  La  snacaM 
■ì..»  clx  ,hn.  Ira  il  T.(lin 

l'id-gc,  Bymiditnl  ISOOhm 


I 


uivuliD Hra ;  pcniHrkò  cbiara i iltbo-      de  cinta  il  Btcclniili 

ItlflBiuiiU.  Ja|H.  hiCultMa.  "^ '■-  ' ■  " 

Kt'iO.t.priathi Buuiia . K  : *, p 


erudi  ti  der*rt ,  eia*  ■ 

It  iriuHill*,  ruigeraBna  ìb  i 


•i  Gliibcllini  :  U  prtoinll 


fu  [.U 


42.  SI  eh' stiro  «Cta  fa  prima  ra- 
liaflM.  Cn\  (Ih  li  prini  liu  ai  bnia 
duiila,  ■>  r«fiBfii«.  H  liH3,  0  per 
fp^rw  4'tn|Fgmi  o  par  cgragi  talU,  a'ira 


p]l«in  drlla  IrgI  ll>lbf lliiu  Canfirwéa 
49-SI.  EiaitSilett.  BaTN'i' 

ni  S;i<  I  CiinlDo,  TU  (ciaa  B* 
di  Cuninn]  u(nwr|)|ii  •  n  wi 
ncBtre  pi  ni  CMnp<ina  la  r<lr  ] 

Bic«»nl"  tu  di  bui  ■ _„. 

itolrt  di  nolla  wapttlaadi  lirir 


'.V^tsi 


CARIO  nOlfOi 

Piangeri  Fe!tro  ancora  la  dHbha 

Dell*  empio  svo  pastor,  die  sarà  seoncia 
Si,  che  per  aimll  noa  s* antro  in  Malta. 

Troppo  ttmbba  larga  la  bigoncia 
Che  rfoevaaw  il  aangae  ferrareie, 
E  stanco  chi  *1  pesaase  ad  oncia  ad  oacia, 

Che  donerà  questo  prete  cortese, 
Per  mostrarsi  di  partala  cotai  doni 
Conformi  Geno  al  viver  del  paese. 

Su  sono  specchi,  voi  dicete  troni. 
Onde  rìfalge  a  boì  Dia  giadicante 
Si  che  questi  parlar  aa  paion  hnoai. 

Qui  si  tacette,  e  fetaaii  aeaibiaale 
Che  fosse  ad  altro  volta,  per  la  rota 
In  che  ài  mise  oom*  era  luivaate. 

L*  altra  letizia,  che  m'ara  già  anta. 
Preclara  cosa  mi  si  tee  in  vista. 


u 


60 


65 


^.Piangerà  Feltro  te.  Egteodo 
ffiftupiii  ìm  Feltr«  molli  Ferraresi,  trt 
di  Siri  ewti  gMlìlnomioi  della  Fui^ 
Imm,  per  Mlvarti  dallo  wdtpm  ial 
pift,  col  ^oale  «rane  io  gserra ,  faro» 
am  wl  Teacuvo  Corea  di  L«!iaia ,  alUra 
iMBpenl  aignere  della  detta  cittìi,  eoa 
IMMcartaaie  rieevati,  »dì  fatti  frifi*- 
■I  •  aeaaefati  al  fovaraatore  di  Fer- 
rara prr  il  re  Rubertu,  o  per  la  CUeaa, 
Kaa  della Toea,  che  li  feee  craddaiea- 
la  BMrira.  Dice  che  Fe'.tre  pianftrè  la 
éifmUm^  ciaè  la  tleallk ,  di  qatiftU  ▼•• 
scafo,  pcidiè  nolli  malie  gravi  tarka- 
leasi  laroaa  ia  qaclla  città  par  la  cae- 
léala  che  poi  avveoae  di  eaao ,  e  l'arto 
àailelaauai. 

S3-5I.  tk§  gara  seoneia  51,  aa.  : 
Ai§  aarè  «ituperevole  si,  cke  per  pie 
ananDc  delitto  ooa  eotrò  atei  veraa  al- 
ita prela  aeir  ergastolo  delle  MaUa,  a 
Maria.  Era  quest'ergastolo  ia  rìta  al 
lag*  ài  B.'lseoa,  e  vi  si  riosairafaaa  i 
filari  ri  rei  di  capitali  delitti. 

83^59.rino^fo  saraMe  ee.  s  Uaaga^ 
rakba  troppa  ampio  redpieate  a  aeata- 
■ara  latta  U  aaogae  ferraraae  cIm  aarh 
f  vaiaaCo  >  da  mmsIo  prela  aae^ 
^aamra  iraon.  cartata,  H» 
dì  sangae  criatiaao)  per  a^ 
•Irara  di  pmrU,  doè  baaa  partifiaaa 
dfi  parla  gaalla  j  dal  papa  a  del  ra  di 


iMi  (ial.  I' 


berab 


aaiega,  e  forse  BMf  Uo,  l'adit 
r  empireo  i  giudin  di  Dia  dà 
1^  imphmoao  adrardiae  dei 


Napali.  —  f  f  faneo:  a  sarabbe  ttaaca , 
ii  atanciiarebbe  da  voleaae  oe. 

60  (Conformi  fiefur,  aaraono  caa- 
faraa  ai  cartami  da'  FaUrìai.  a  qaali  ■ 
aaataagoao  ai  Faltrìai,  gaatt,  a  gaala 
laliifa  e  aaagaiaarìa. 

61-aa.  Su  aoaa  «paaeM  ae.  Sa  Mi 
dala  di  Sataraa  aoeo  qaegli  aagali  «ha 
laì  aristiaai  chiamala  Troai  ;  o  coaM 

»,  l'adii,  pad.:  ali. 
dintiaaicala 
impnmoao  adl'araiae  dei  Tram  (che 
è  l'a^liak»  della  priaaa  gerarchia)  e  da 
eaao  riaeaai  ven„'«iao  ia  aoi  beati. — «al 
ikttt,  dall'  antico  dieef. 

n  ^imUi  parimr  n§  fmhm  èna- 
l|l.*  qaaste  prcdiiiaai  am  trggif  a 
carta,  vi'iiaicaa. 

ai-ea.  aCccaaiiaewMwia<c.Caatr.; 
a  par  la  rota,  ia  rbe  ai  miae  cam'  ara 
daVaaCi,  lareaM  sambianla  che  laaaa  ad 
altra  valu  ;  émè  :  aaircaaer  toraala  a 
girare  col  saa  cida  come  prima,  wà 
laca  BBBoacara  che  pie  aaa  atlaadat a 

air.  Vitrm  leOste  «e.:  ciaè,  PaMra 
aaiaaa  beate,  «ha  an  ara  già  aala  per 
^U  che  fa  &mè  da  Gaaioa,  aaa 
Mrehè  ia  aaaapeari  il  aaaM^QBMla  4 

FaMa  aa  Hanigpia,  aaaM  m  aaaaa* 


rìi;»leadeate. 


a  cbe  lo  Sol  percola. 
_  ir  s'  acquista. 
Si  come  riso  qui;  ma  giù  s'  abbuia 
L'  ombra  di  fuor,  come  la  menle  è  trista. 

Dio  vede  lullo,  e  tuo  veder  s'inluìa, 
Diss'  io,  bealo  spirto,  si  che  nulla 
Voglia  di  sé  a  le  puole  es^er  fuia. 

Dunque  la  voce  tua,  che  il  ciel  trastulla 
Sempre  col  canto  di  quoTuoclii  piL 
Che  di  sei  ale  fdnno.^i  cuculia, 

Perché  non  soddisface  a'roiei  disiiT 
Già  non  attendere'  io  tua  dimanda, 
S  io  m'  ìntua.isi,  come  lu  l' immii, 

La  maggior  valle  in  die  I'  acqua  si  spanda, 
IncomlDciaro  allor  le  f^iio  parole, 
Fuor  dì  qoel  m^r  che  la  terra  inghirlanda, 

Tra  discordanti  liti,  conlra  il  sola 
Tanto  sen  va,  che  fa  meiidijiio 


C9.  talaicio.  •orli  3ì  pielr.  fo- 

7T.diqM-r>t<":hipiÌ.  di«Bt-Sfr 

riflni  er'K-nli  Jamora.  Seropli  »:»■ 

70-7B./'»rl((iiiiir«.ConitoBÌIn 

Gca  ardmle.   il  canto  a  il  pnn  d« 

b<iLÌ  .!cl  tenncìalo,  «ma  d^li  tltii. 

«n-  Itlbitrt.  in  foni  à-o„t  iuitni* 

t-iaimadSn-tlÌDi. 

ill^Htu  i  cflA  l*nù  in  «iti»  por  Icli- 

T8.  Che  di  Iti  tic  fann»ii  tutti- 

>iu*BUqiihU,»  iiiDi«ila.iiplWc>rD: 

ai  gii  ndl'inruno  la  cmhn  d«'d<D- 

i,'<^t}ì"u^Ì»  ^^i'dlcri>a'^pr*^ 

Htì  li  r«i»  più  ncniti  ■  iDÌiuri  cbe 

U,  haii. 

mhb  tm(«  •  d»1ti>li. 

TS.  l' Muco.*' inlemalg  Ini, 

dliaptrtchi  Isaia. 

U-K.  Si  du  nulla   Jofliio  di 

SI .  5-  io  IH-  inluaiil  re.:  it  it  » 

li  K.  Tallì  i  comcalaLori  the  hx  le- 

traui  ì»  le  eana  In  entri  in  a». 

82.   La    maagiur  rolla .   a\t,t, 
l'impìt  tglla  o  bacino  del  Hadlltna- 

rn  nao  ararlo  upnin  Itgnwa.Clii  «or- 
nbba  aambiira  togllt  di  ài  la  <i»tjii 

HM  credulo  tnlieanirnla  il   mtglitH 

dei  mari  derìiali  dall' Ocatna. 

<  Jillu  fUmni;  dil  tu«1  rlhriH  ì]  pro- 

M./«rdif«I«or«.Ci.t,pr 

noma  Ji  11  a  Dìo:  chi  £a.linca(t  i„. 

cui  li  ipattda   l'icnua  rlia  rin  (avi 

(«preti  mjlio  di  li  per  taglia  ckt 

dall'Oceano,  o  flran  ma»,  dal  «alt 

«no  tUia:  «te  lolle  •lìtMael  bapii 

irilcrìa  t  «lllli  traaioeliu.  lo  lUc- 

«•DrloMjJia  J.l  pronnma  di  té,  t  eo- 

dell' RorT>pa  e  qnelli  dall'Areica,  dì- 

■eurdeiili  di  (rollami ,  di  Irijn  a  di  rib. 

tsterfHtt  di  li  a  le,  Dllengo  un  cblaro 

—  conlrs  H  jolc,  conlrg  il  un.,  del 

ilirt:  aeatBDi  tDijlìa  a  dcEidirìo  pai» 

OBabi  il  Medilarraoto,  dallo  (litUa  di 

involtili,  o  Kllrtni  («iter  fura,  a  Ac 

(^ibìllarrt,  doit  ka  prìntràia  ,  n  ■  Icr- 

M,  rio*  ladra,  di, <..p.r«lg«ijM 

min>re  «no  l'.lolln.. 

dì.)|nìIe.I«aUri>l>l(oe«cl>Ìa. 

86-87.   Tanto  «»««. Tania» 

re.  trailutla,  <lilciti. 

lltudt^iUelloHcditerrautol^cbe  (od 

Là  dove  I'  orìz£Oiile  prìa  Tar  suole. 

f)\  qiiolla  valle  fu'  io  lilorano, 

Tra  Ebro  e  Macra,  che  per  cammia  corto 
Lo  Genovese  parlo  dal  Toscuno. 

Ad  nn  occaso  quasi  e  ad  uo  orlo 

Buggea  sJcdti  e  la  lerra,  ond'  io  fui. 
Che  re  del  sati°uesuo  già  caldo  il  porto. 

Folro  mi  disse  quella  gente,  a  cui 
Fa  noto  il  nome  mio,  e  que-lo  cielo 
Di  me  s'imprenta,  com'io  fé' di  lui; 

Ole  più  non  arse'  la  Gglia  di  Bolo, 
Koiando  ed  a  Slcheo  ed  a  Creala. 
Di  me,  infin  che  si  convenne  al  pelo; 

Nò  quella  Rodopea,  che  delusa 

ifdiprlDdpiiielilarnioRli 


I<u>p>  M    P..tt,.    1!   tttiiirrt 
tridi  SO  di  «Isnnuoc  ■  ddb  0 
■ni  P<i«l*  inpiMne:  mi  qntl  cito  (•■ 
riliba  Tcro  ìUe  ti   hrcblit  lunrliliiDa 
<J>>Ts  primi  (1  tircTt  oriniiiiM  ,  ptnhi 


89-BO.  TVa  ffftrt 


.,  0  qi.ai 


il  (le- 


ttili T««H. 
0 1  -92  Ad  KH  OMWO  (e.  Buon* , 
n  B>i|li,dnl  MlluSl.lBdMlG'n,  t 
ijUiii  lotls  il  Hi(riilì«a«  ii  H*ni|lii, 
nnift  lin  nnMHrluatRU  «il  ittrt, 
crtat  ogiiBD  u,  qnHt  la  ilcuu  nrigulf. 


Tuia..— il  VrlluLoI). 

■    latli    i    ICHBCDltK»!  . . 

larri.lra  Etra  e  Macra  dbb  (  Muri. 

£• ,  mi  GcouTi  :  dm  l' Ekn  BccBButf 
I)ibU  nafl  t 'l  iume  Mli  S|>«^t^ 
eh»  «anbbg  tavÙn*  IropiiB  dhaimaU 
ailU  Hurii  BiB  A  ■!>  HBDiinlI*  i 
quel  Buine  cbe  bhH*  i>  nin  In  1U  ' 
Dtw  (Mua-,(  (iMiiwBdw  cbequllf 
lem  BICI  M  rida  nido  di  liafM  9 
parla,  li  «v*.  luIMd'ra  itiìt  ilnft 
(ha  i  SirBMiu  (gci-rx  d«  Qis«tai  M^ 


nEbro 


93    dtl  tangut  iiu  «e.  Kr-ttm 

la  •ITM»  dei  UinislicEl  faUo  ila  llrula 
qain>l«  pfr  orilrne  di  Cmr*  iHiilIft 
ed  (ipB|;i>h  11 


i«  i,  ■  tiiHiBo  'Iw  !■  tenà 
[.■ir.rtBi«iiMllBi>;|rw,     ( 

/i3(r.JiBrfB«..-ri-*,Dfc.i 


n-M. 

lariUdiEu», 

IMS  bII' 

, ìM 

Cr«»H  fil  «U'éit  di 

»i  di  iiuell.  (Ili   io 
,  tu  nMia  di      coavrni>i.iln<ii-ii;<niilTlpcl< 
utllaB    '-  -■■• 


EllM.HMIÉtf  I 


Fu  da  Demofoonle,  nb  Alride 
Quando  Iole  nel  cuore  ebbe  richiusa. 

Non  pero  qui  si  penle,  ma  si  ride, 

Nou  delld  colpa,  eh'  a  menle  non  toma. 
Ma  del  Valore  ch'ordinò  e  provide. 

Qui  si  rimira  neli'  arte  che  adorna 
Cotutilu  cfTelto,  e  discernft^i  il  bene 
Perchè  il  mondo  di  sa  quel  dì  giù  torna. 

Ma  perchè  le  Ine  voglie  (ulte  piene 

Ten  porli,  che  soo  naie  in  qu(<»ts  spera. 
Procedere  ancor  oltre  mi  conriene 

Tu  vuoi  saper  chi  è'n  questa  lumiera, 
Che  qui  appresso  me  posi  sciitlilla, 
Come  raggio  di  °o'o  m  acqua  mera. 

Or  i^appi  che  là  entro  si  tranquilla 
Raati,  ed  a  no^tr'  ordine  cougioiiU 
Di  lei  nel  sommo  grado  si  tùgilla. 


i 


KilH  .Wl»lriM  4-  OD  l«v  P"™  il 

prc-M™...  p«*b(  awAXft 

amate  Rwlniv  uclb  Trirn.  Cuilri,  M> 

...B.  «'..d  iillllWi   ^  S  ffft.- i 

reKlIi  in  inKiidurin. 

moiidod. Munsi  min.i; iolBr^-. Te 

tOI-102  ■*^Wrfr«,:o»Br«)«, 

dÌI'«r„Ci,ii.«lrt,.  21  -TttrMif 

M»!»  ai  Alct»,  aixnJ»  >i  (■  m«=- 

«.*»«>  a  l»le  lig^o»!!  i'  liurltB  »  di 

•  nlg^rr.  «n».  11  Cotto,  a»*!*  iMb 
PnrUflJiwmib.  .pirn.  il  WrWM< 

Balia, Rbo  il  ddhId  di  ncUini  ■  Gian 

lnli(iiHll>.llltÌ. 

tinu  J.i   «usti»»!»   r*iÌM>,  f*»» 

lOS-IOS.ffMpirtM.QaiprtBoo 

Imrli.  Mi  li  Ini.-u  'b'i»  b>  •>rl^ 

pmtt,  nulo  (<•»•  n«tr.   pi»  ).  n>l 

nidi;  toMiCxJiii  '  di  ■Dlickibt» 

n  TintP  Idiiìi:  ii»n  «  Ih  «nlimmlD 

d<ttlMV.p«itl.«  <»■....«>».  «..II. 

ni«t<  in  ehi  ki  btrati,  U.  Lete:  a»  « 

mr  .li  „(«*!»  «f,M,,   b.a.MI. 

bl  Ittmtdfll'clcnla  >il«r>,  ilclli  po- 

Girello 

tei»  >  ufitnt,  di  ti.„,  eh- ordinò* 

rrMU,.  »nlin6  ^»l  ó.h.  pii.n.ia'.mo- 

Sl.|i..rrl,«  lu  |H.rlÌ  lulU  ,ù*M«l>bU- 

n,>pr«.id..b,p,ri,l-n.ll...ian<>i 

1.  f-  ..ti-  '-  rf»  •"»  "to  ia  ,««1 

Hi  HiKiKMf  il  Goti  :  U  i»  Ciilpt  lana 

rtbbeT  Qui  •  mtnU  no»  («ìM,  mal 

IM-IM.Oirfff  riniran.QuI  n 

•iflMiu.  si»  ■bbdii  d'imuii  Colatila 


tiMwi,  in  auMla  Cirio  di   Vcon*, 

U  •pirili.  b*  |>1   Iella  ndl'  uoa  « 

Diiiii'  il  BDv  dniJiria  ,  e  lo  pmim, 

1 1 1    narra,  pura.  limpiJt. 

1 1 3  ri  intnf  Hida,  aU  i>  Inaoit 
IIU  t  iure. 

liS-IIT.  «Mt.  Qocll*  wnlrw 
di  flirica,  U  i)ii>>l>,  ■••■Jn  nlnÉlii 
tu.  c<u  «Ifuoì  «plurilori  dÌCi*M*,h 

di  J>Ui  «Ili;  «/«.'."Irf   okrt  ) 
"rn  itio,  —  fJ  d  iw.lr'  orritw  •»»■ 


Da  questo  rieto,  rn  rni  f  ombra  s*  appunta 
Che  il  vostro  mondo  tace,  pria  eh'  allr'  jUn; 
nel  IrionFo  dì  Crìsio  fa  assunln. 

Cen  si  convenne  lei  lasciar  («r  palma 
Iti  alcan  cielo  dell'alia  vitiotia 
die  s"  acquietò  con  Puna  e  l'altra  palma; 

Perdi' ella  fB\orù  la  prima  gloria 
Di  lousé  io  sa  la  Terra  Sanls, 
Che  poco  tocca  al  papa  !a  memona. 

La  Ina  cìllà,  che  di  colui  è  pianta 

Che  pria  vol%  le  spalle  al  suo  Fattore, 
E  di  cai  è  la  invidia  tanfo  pianta. 

Produce  e  spande  il  m<i!edetlo  Fiore 
C'ha  disviate  le  pecore  e  gli  agni, 
Perocché  fallo  ha  Iii|)o  del  pastore. 

Per  questo  1'  Evangelio  e  i  Dottor  magm' 
Son  derelitti,  e  solo  ai  Decretali 
Sì  stadia  si,  che  paro  n'  lor  vivagni. 


priwU  dillt      Jd  IH 


il  DH*  MTl*  Uioiinoai*  J<l  i»lt.  wmi- 

Hf  Ma  aaiuc  lulrla»  Maria  1  atallatf 

ai  »l1*fi»  |)ii<.l>  n»l  p>>i>'li  ai  V*Bc». 
120.  [u  amami   C«lr   (  ini.:  tn 

a.ir  .i   ^w„„  ..l„r:r.^lì^l'  iddi. 

tra  *t.,  Bri™.  a-.U"  in.».  -*((  ("«■. 

13U-ISa    .(  .uledroo  /Ia«  ac.r 

.rionrò  d,ii'i.ih..o. 

l'a>if<n  ■•'■ani  d'|li  ««Mir,  fa  In. 

m     prt  palm:  pvHiH.p* 

,i.™.«..-a'-«leiljÌB,«i.«.»dlj, 

tr.1.0 

:..m,...  p«i..ra 'VhIÌ  la/- ,  C»uTH- 

Ila  li  icqniiW  mi   Irgno  deli*   trttt 

rriKC  rt.b*  HiDiirc  lana  di  nera ,  *  fm 

cimi  Hu  (  r  olirà  palma.  nnt.fM 

cM  «di,  p..i«i.  tf«r>  all'avura  cw 

■.nb>  1*   nini  i>  t—  «•mi*.  t'l>'«l 

l'i   ^•rn.>«h.l(«.t•r;•Mllnl.^d«•. 

IMiptUli.   H..1»  ci.»  li  Irsfa  il  T» 

da  Carlo  d.  \ai«  .  Fir«.«  dli  dica*- 

».  I« lì  ••ia..d<>.IUr..i.l.  dell'in:  M 

iw.   ^«-«M,   [.v..rl    V,di«OÌM- 

■oa  Itile  .liurli,  Ina  danno. 

pr«biiM..Hul.,*m.llfi 

13»   elu  tMvhr  tiratiti  rAt 

lU    rtf  yuu  K.1  i.  q»l  Trm 

ap«a>w>  it  ni*,  «ariian  (ha  ti  fk' 
»ila  U«r*uhilalt*«acrl>iic^lad:ii 

Stiri*  pH<  >■■  Bill*  m«U  dal  (xpi, 

'  liariaiH  na'  aiaiiai  lu»   Grrf-ria  H 

H»d-|i'.^^MÌ. 

127-12!)  LalunUd.ac  Finn», 

S    ll.iii.cad,.  di  Paan.fn^,aRanib. 

la  aula  fa  nlilieau  •"ila  gU  (■•uicìi  di 

Mtii  <ba  d  nballt  a  t>..  «oa  Ja  J- 

U.aW  tht  i  ^»,  *«Ì.««Y^N*  »a. 

860 


DEL  PARADISO 


A  questo  intende  il  papa  e  i  cardinali: 
Non  vanno  i  lor  pensieri  a  Nazzarette, 
Là  dove  Gabriello  aperse  V  ali. 

Ma  Vaticano,  e  1*  altre  parti  elette 
Di  Roma,  che  son  state  cimitero 
Alla  milizia  che  Pietro  seguette, 

Tosto  libere  fien  dell'adultero. 

crotali  che  il  Vangelo  e  i  Ptdri ,  perchè 
solo  per  la  profonda  cognizione  fi 
quelle  giungevuno  agli  onori  e  alla  rie* 
chezze,  che  unicaiuente  carafioo.  ìùà 
ecco  corno  a'  esprime  su  riè  nelle  let- 
tera ai  cardinali:  Jacet  Gregoriut  im 
lelis  aranearum  ;  jacel  Ambroihu  in 
neglcclis  elericorum  laiihvAii  ;  J9eU 
Auguttinus  te.  ;  ti  nescio  quod  wpé- 
culuin,  innoetnUum  et  Osliemem  de- 
ctamatU.  Cwr  enimfilli  Deum  qum' 
rebant  ul  /Inem  et  optimum;  i$U 
centus  et  beneficia  contequuntur. 

437.  IS'on  tanno  i  lor  pensieri  a 
Kaxsarelle.  Di»pu  che  ha  delto  che  il 
papa  e  i  cardinali  sono  nnirantente  oc- 
cupati del  fionno;  dice  ciie  essi  non 
pensano  alla  po\eilà  in  cui  visse  il 
sommo  ed  etcruo  pnntefire  Gesù  Cristo 
che  dovrebbe  essere  il  loru  modello. 
Di'lla  qual  povertà  fa  testimonianza 
r  umile  e  misera  casa  da  lui  abilttt  in 


140 


Nezzarette ,  quelle  elceee  dove  l' angelo 
«  recò  ad  annnasiere  le  Sante  Vei^oe. 
Il  qaal  esempio  fa  le  più  solenne  con- 
danne dei  sacerdoU  nielli  ed  e  vidi  dà 
beni  di  queste  terre. 

4S9.  Vaiieano,  or' è  il  sepolcro  di 
S.  Pietro.  —  f  l'aUré  parti  etetU,  e 
gli  eltri  luoghi  piò  eenti  e  venerabili. 

440-444.  eimii€ro  AUa  milixia 
ee.:  tombe  ei  gloriósi  nartiri  (U  chiesa 
■lililente),  e  ei  pealori  ebe  aegoiterooe 
S.  Pietro ,  dendo  el  mondo  esempj  di 
nmiltk,  di  povertà  e  di  eerìtk ,  cou  che 
fn  si  rara  ai  tempi  cbo  vennern  di»po. 

442.  deU'aduttéro.  Int.  del  bratto 
eeenppiaroentn  che  il  pestur  somme  ha 
fatto  di  sé  culle  ricchezze ,  tmscnreada 
per  quelle  In  Chiesa,  tne  prime  e  vera 
sposa.  È  ripetuto  in  queste  pero!e  il 
vaticìnio  del  Veltro  venturo,  che,  ceae 
s' è  dello  altrove^  doTea  ridurre  il  papa 
ei  suoi  priocipj. 


Dnpo  héatm  rarte  marmvifUotm  «  la  prmfvUemtm  éi  Dio  metta  ereatìon*  étU'miàftrm, 
il  Poeta  tome  stHta  accorger  st  li  ovatti  atttm  mei  Solo,  io  cai  ttmnmo  |«  antn*a  dot  émett  tm  tfM- 
milà,  Dodtci  Spiriti  lucenti  pia  del  piaaeta  gli  oomgome  a  far  eoroma  tatomo,  ed  amo  dà  eoH,  A 
aiaai/ettati  per  San  T.  mtmato  d'Aqaiao,  tvHa  d  mom»  doi  taoi  eoatpagiii. 


Guardando  nel  suo  Figlio  con  T  Amore 
Che  r  uno  e  V  altro  eternalmente  spira, 
Lo  primo  ed  inefiubile  Valore, 

Quanto  per  mente  o  per  occhio  si  gira 


4-5.  Ctiar  Jnndo  nel  twt  Figlio  ee. 
Coatr.  e  int.:  lo  primo  ed  ineffabile  Va- 
lore (  Dio  Padre  Onnipotente  )  guar- 
dando nel  suo  tiglio  (  il  divin  Verbo) , 
quasi  prendendo  dti  lui.  Somma  Sa- 
pienza, le  norme  della  creezioiie,  unite- 
mente  all'Amore  che  spira  esso  Padre 
e  Figlio  (  il  S«ioto  Spirito ,  che  procede 
eoa  eteroo  apiro  dai  Padre  e  Aa\  VW 


glioolo),  fece  con  tant' ordine  tutte  dà 
che  di  ereato  s'intende  e  n  vede, 
che  ec.  È  insegnamento  delle  teolegia 
che  ella  creazione  concorsero  tulle  etra 
le  divine  pei-sone:  Optra  ad  evlrs 
funi  totiut  Trinìlatii  ;  e  che  Demi  ftr 
l'er^um  fedi  nmnia. 

4.  i^uanlo  per  mente  ee.  Ireparc^ 
^«ih\V«  «n^re^ono  a  siguificare  lulla 


CAUTO  DECIMO. 

Con  tanto  ordine  fé,  eh'  esser  non  paote 
Senza  gustar  dì  Ini  chi  ciò  rimira. 

Leva  danqoe,  lettore,  ali*  alte  rote 
Meco  la  vista  dritto  a  quella  parte 
Dove  r  un  moto  all'  altro  si  percote; 

E  lì  comincia  a  vagheggiar  nell'arte 
Di  quel  Maestro,  che  dentro  a  sé  l' ama 
Tanto,  che  mai  da  lei  l' occhio  non  parte. 

Vedi  come  da  indi  si  dirama 

L' obliquo  cerchio  che  i  pianeti  porta. 
Per  soddisfore  al  mondo  che  gli  chiama. 

E  se  fa  strada  lor  non  fosse  torta. 
Molta  virtù  nel  del  sarebbe  invano, 
E  quasi  ogni  potenzia  quaggiù  morta. 

E  se  dal  dritto  più  o  men  lontano 

Fosse  il  partire,  assai  sarebbe  manco 
E  giù  e  su  dell'ordine  mondano. 

Or  ti  riman,  lettor,  sovra  il  tuo  banco. 


561 

5 


10 


16 


20 


l'ofOTi  A  Dio ,  e  qadU  che  li  ùoomee 
per  U  Imw  AÀV  intelletto ,  p9r  wmU$ 
ti  §irm,  •  quella  che  i  senti  dimoilnao 
JMT  McMo. 

5-6.  éh'uur  non  jMiof«5eiiM^«i- 
$imr  a  kti  §e,t  che  ekìonqae  lo  eomad^ 
ra  (q«eil'ordinc|  non  può  non  MBtine  il 
booao  e  il  bello:  ovrero,  li  rtferiiee 
il  prooooM  kd  e  Dio  creator*,  •l'io- 
teade,  che  non  pnò  non  gnttere  la  im 
boati,  la  ma  lapicoxa,  chi  rignar^ 
qoM^  ordine  maraTÌclineo. 

7-9.  Lna  te.  Alzt  dnoqve, eletto» 
re,  nceo  di  occhi  della  tna  mente  al  cio> 
lo  Jel  Sole ,  e  particolarmente  dote  il 
girar  delle  itelle  fitte  ti  pereolt^  i*  lo- 
ci otri ,  tf  incrocicchia  col  girare  del 


detto  téle  e  degli  altri  pianeti,  «••«, 
da  Te  F  equatore  t' incrocia  collo  tedia* 
ca  ;  che  aTrieoe  anpnnto  quando  il  Sala 
è  in  Ariete  o  in  Libra. 

40.  a  vagheggimr,  a  mirare  caa  di- 
letto, mtU'arte,  nel  magittero  di  Dia. 
41-12.  che  diiUro  a  $è  famam.i  il 
q[uala  OMgittero  Iddio  ama  tanto  aeUa 
tua  idea ,  che  tempre  lo  mira  eoa  eoM- 
piaoHia,  e  mai  non  leva  lo  aguarda  da 
atea.  1/ occhio  di  Dio  è  timbolo  dalla 
pi  Off  ideala  eooterTatrice. 

45-15.  Vedi  tome  da  indi  tc.'Sei^ 
come  dalF  equatore  ti  dirwmm,  ai  di* 


parte  L'a6Kf«a  emtkiù  dbe  i  pitmeU 
porta,  cioè  lo  lodiaco. — eh§  gU  eMa- 
aia,  che  gli  detidera,  onde  partedpare 
della  inflneaia  loro. 

46-47.  te  io  tlrodo  Ìor  •».;  aa  il 
^ro  dei  pianeti  non  foiee  oUiqaa.  aa» 
li  a??icioerehbe  or  all'  una  ora  alraltra 
parte  delle  terra  :  ed  in  tal  fuiaa, 
a'  influire  al  tempo  itahilito 
Beute  topra  datcuoa  di  aite  perti,  in- 
fluirebbe to^ra  una  tela  ;  e  pardo  neita 
firtè  del  ado  tarebbe  euperflua.  È 
dottrina  d*Arittotele  che  teewMiiiot  «e- 
crgitiai  fi  recetfiMii  tolit  in  €ireml& 
okiiqmo  /funi  gtmroUomtt  la  rakit 
inforioriku. 

4  8.  £  fuaii  ogni  poknstia  te..*  per 
la  prìTaiiune  de'celetti  inflotd  laraibe 
■torta  ogni  attività  tulle  terra. 

46-21.  £  M  del  tfrilfoee.  Baatf 
Itarlfre,  lo  tcoeiani  dello  lodìaea  ael 
•aa  giro  dal  cammin  ériiio,  cioè  d^ 
I* equatore,  foete  pie  o  atcao  di  aael 
che  è,  Terrebbe  a  mancar  d'aiHi  Per» 
diae  BMindano  e  ta  nd  deli  a  aie  aalla 
terra.  Tutto  da   Dio  lapieatilaia  è 


latto  ia  mitara  etatta,  aè  aleaa  ohe  po- 
trebbe aggiungerd  a  larafd  all'epura 
aua  tenta  ditordine. 

22-24.  Or  ii  rimm  oe.  Iat.t  a 
lettore,  rimaati  quieto  tul  baaea  a?» 

SS 


DEL    rAKilDISO 


■       S6Ì 

B  Dietro  praundo  a  ciA  che  si  preliba, 

^k  S' esser  vaoi  lieto  assai  prima  che  stanco. 

^H  Messo  t'  ho  innanzi:  ornai  per  te  li  ciba;  ìi 

^H  Che  a  sé  ritorce  tutta  la  mia  cara 

^H  Quella  materia  ond'  io  ^on  Fatto  scriba. 

^H  Lo  miDÌstro  maggior  della  natara, 

^V  Che  del  valor  dei  cielo  il  moaiio  imprenta. 

^P  E  coi  suo  lume  il  tempo  ne  mi.-nra,  n 

^B  Con  quella  parte  che  so  si  rammenta 

^1  Congìonto,  si  girava  per  le  spire 

^M  In  cbe  più  tosto  ognora  s' apprei^nta; 

^V  Ed  io  era  con  Ini;  ma  del  salire  [*) 

■Ili   leKt»><lo  laale   mia   rime,  an-      che  Dio  li  Hrf*  mIIs  h*  pnnrUM» 

dinilu  dietro  col  ppniicro  a  eli  eh*  li      per  dar  iiU  al  mnado. 
prvli&a.aoi,  aqucll(c»e<<«lk^iiili  39.  Cht  iti  vaiar  M.   Chi  n- 

«nno.  —  S-  «in-  cuoi  iìtUi  te.  So      tMUfaHi  éel  rtlora,  MU  nrtkté- 

(niicht  tediarli  e  iiantarli.  Nuti  rbe  LegoMi  r«l  Cimrfla;  •  [1  mU,  tei»- 

Dinla  Bon  è  an  libro  di  ptrcliio:  n  diodo  lo  ra^o  M*  ^BlfliA,  hJhìIì 

tuoi  lag|er«  ■  tana,  (ioi  «n  MIU  cmb  a  •«)  omililiidiM  aIvm.  • 

l'incDiimia  dalla  niiwla  rircalli.   Il  SO  £CfllnMilnw«C.P«tf«raAn 

ab.  Padr*  Poni)  tig««i»nli  ba  ng-  n  Buie,  ft  Pia«ladli  AliafWlW*. 

Santa,  i  parer  mia,  l' inlendimrnlo  SI.   Con  qtult»  jMTl*  M.'  oa 

:1  PhU  in  qaolo  lungo:  rer|iiil.>rr  agalli  parlo  di  liela  a  Mia  ■•<■>. 

àil  papa,  ala  point»  ipirilaale;  luin.  Jrtla  Wa  •>  >  della  dì  npn.  TmI 

Scala  cambio  é  per  dmni  diipoa.tion*      CMinila  wpra  il  t.  9. 
•antodi  i(aBlIa  Ì3  i^dì,  «  non  ('in-  32.  pn-  (e  apiVa.  di 


<l«  iuloHU  iì  conFoodcwra,  o  >>  «i>- 

pceunU,  Barn,  all' lidia  >a«k*,ir» 

"•.•;x£i'r„.,.-v* 

nanando  naacnnm  il  polla  da  Dia  Off 

Mirklol*,  U  otilik  aarekba   nclU  ina 

coni  del  xlire,  te  i»ii  cosa*  BMAmr- 

partMMM*.  •  lalU  >1  moDdo  (plica.  Il 

delpripaipiardclpaoaìered'aaaaaa) 

san  É  alia»,  dalla  laolaua  a  dallo  ilil. 

di  Dania. 

l' abbi.  prauBlilo   II  eba  »bJ  fw*  At 

ai.  Ufo  r*o  iimatiif  r  bo  »- 

Il  tal  ulila  net  tuia  (a  nio»  «aai  d 

bMdila  la  mena  del  pan*  della  tiU  * 
dall'  ixloUotb.. 

pernierò,  a  in>pro<ii.a.   tt  Cauri  le- 

20-27. CU  a  li  rilont  te.:  Ak 

ti  peniiaro,  onda  a'arrrbba  q«f«(«  ••>■ 
few  ;  ebc  ba.K  nao  aanAa  U  -a 

■mIU  Malaria  della  qaaleioMrìT..,  (. 

talira,  Mae  Boa  l'tarorfa  a  *«• 

del  «.0  .enir,  in  an  Inogo  priw  A. 

•'  abk'a  rì.aUo  it  prim»  paaJarn. 

..Ats;-.""-"^'-' 

^^^^^^^^^lj  ^^^i 

^^^^^^^^^^^^^^^^1^1  ^^^^^H 

»„ 

peoiMO.                                   SSS     ^M 

Non  m' acrors'  io,  so  non  com"  nom  s"  accorge,      U     ^^M 

Anzi  il  primo  pensier,  del  edo  venire.                          ^^H 

&  Beatrice  quella  che  ai  scorge                                          ^^| 

Di  bene  in  meglio 

si  SDbiumente,                             ^^M 

Che  r  alto  9no  per  tempo  non  si  sporge.                       ^H 

Quant' esser  concento 

Ì3  SE-  larente                         W    ^H 

Qnel  cb-  era  dentro 

al  Sol  dov'io  entra'mi,                   ^^H 

Non  per  color,  ma 

per  lume  parvente,                          ^H 

Perch'io  lo  ingegno  e 

'arte  e  I'um  chiami,                       ^M 

Si  noi  direi  che  m 

{s'immaginasse;                             ^^M 

Ha  creder  pnossi, 

e  di  veder  si  tirami,                  M     ^H 

E  se  le  Tanlasie  nostre 

eon  ba-^                                         ^M 

A  tanta  altezza,  no 

n  è  meraviglia,                                ^H 

Che  sovra  il  Sol  no 

n  fu  occhio  ch'andaffie.                            1 

Tal  era  quivi  la  qnarla  farniglia 

Deir  allo  Padre  eh 

sempre  la  sazia ,                     SO 

ST-40.  B  IttBlTiet  M,  ti  l'rinne 

m  V,  ,<»«  9*1,  10.1  d»tM  «»n  )l 
•BD  giunger  nel  Solai  Fcr  qnEiiIo  tdg. 

che  liatUi  ìa  quHIo  luxfia,  troidi  .Ul 

Uubirdl  od  MS-  007  .!•!!■  Cetrin., 

clicccbi  M  Dt  òkM  ili  coulriri»,  mi  Mm- 

Don  pr.t.»  dir.,  in  mad..  di  dirne  al- 

brs 11  più  iFinpIici  r  li  pio  «Hiii^nicii- 

imi  Bn'id<i,qn*lehafradeiiln>  ilSoU 

or'io  nini,  *  dia  n'ippine,  pw 

tntt.  niMipfrtoLor«,iinpffli(nia,— 
Ha  il  din  «he  nwl  c)ie  gif  appura  di- 

ptT*  cri  BnlriH ,  dr  ni  »  prnprÌD  Fir 

Minto  per  In»  *r«>n  anm,  ara  kaa 
(«Ila;  Il  d.rBfiiltl  era  di  dm  •n'ite 

taatimr,fu\.mat,  •.M'iMtìMIo  t 

■dapri»!  InjWDo  ni  irlE  .  ano  jrriw- 

lp.rìH(  H  twri.«  paolo  dapa  «1  «ar- 

fV  QnJck  «.Inedia,  b.  «  f^rf. 

rh<<.r.J,„>r«ilUll*<'>>»),J«- 

Mi  un»  eh*  III  iiliol»  d  tal.  fOTrt 

ti    «(ra--..-,n,ie,,lr.i-,,B.I«iè 

gasili  Jtlln  Ila»  pi«iM>.  -S.>|[ir<»- 

Ib.  «■  rrrdar  «.  Ha  at  a.n  •! 

Ijn  11  Idiiiot  cBiiinm  t  la  lu  inlcrpr*. 

luioni,  ptnhi  «goaao  p«u  Kf.ini 

lidanr  di  ledrrls  un  (ior»  in  Pirp- 

■  ani-  no. 

ditn. 

*  t'i^  ,r2',.»^i*'.."i';^i. 

t8   CM  •«-»•!  Sol  R.  Cini,  ne*- 
ann  <nlii>i  trJe  nwi  Iota,  cb«  ■«•cr- 

"^^j^rV"»""  ■""""■" 

tbiaa»  inaile  -lei  Snit;  >«  >ab  dlD- 

E  Btiirio,  .).iellt  cb>  c-hì  i»  gnlj*  di 

™.  *  d,-u..  d.  «ra.  -  fwrl*  > 
■ripKa  M'Kirrm.t'adrt  •«»  «i  ehi» 

r.llo  inn  non  II  .pi.rv»po-  in>pe. 

•»a  li  dhtn.(<  in  l>frp.>,  r,M  é  IniliB- 

>Ht.  1*  an.n.e  baie  rW  ang^MaM 

t»»,  .p.*M  d«(t  Hm-ff  lMt«n>.  pv 

■ali.  >r>ra  .lei  uU;  pwi«t>«  U  tal*, 

tè  «dnìn.!  Il  ri»  .li  B«*lri«,  (b« 

wcaMl..  lal^nea,  a  d  aMiU  |»Hl( 

datUlarnlHM. 

^                 

_^| 

Mostrando  come  spira  e  corno  figlia. 

E  Beatrice  romìnciò:  Ringrazia, 

Ringrazia  il  Sol  degli  angeli,  eh'  a  qwslo 
Sensibil  V  tia  levalo  per  gua  grazia. 

Cuor  di  mortai  non  fu  mai  si  digesto 
A  divozion  ed  a  rendersi  a  Dio 
Con  tutto  il  svo  gradir  colatilo  presto, 

Com'a  quelle  parole  mi  fec'io; 

E  sì  tulio  il  mio  amore  in  lui  si  mise, 
Che  Beatrice  eccliasò  nell'  obblio. 

Non  le  dispiacque;  ma  sì  se  ne  rise. 

Che  lo  aiilendor  degli  occhi  suoi  ridenti 
Mia  menle  unita  in  pìii  cose  divise. 

lo  vidi  più  fulgor  vivi  e  vincenti 

Far  di  noi  centro  e  di  sé  far  corona, 
Più  dolci  in  voce,  che  in  vista  lucenli. 

Cosi  cinger  la  Ggtia  di  Lalona 

Vedem  tal  volta,  quando  l'aere  è  pregno 
Si,  che  riteni^a  il  lil  che  fa  la  zona. 

Nella  corte  del  elei  dond'io  rivogno. 
Si  trovan  molle  gioie  care  e  belle 
Tanto,  che  non  si  possoo  trar  del  regno; 


Ot .  eineenti,  che  tìocum  h  In 

dll  lok-. 

6S.  FardimitctmiTvMiifr 
corona,  tir  ili  >è  db  cìtcsId,  fi  <■  ■■ 


B3,  digaio,  <ltiip>t9;  nel  ligaìG- 
calo  deili  \vet  lai.  digtilui. 

M-5T.  td  a  rmlerti  s  Dio  «e..-  • 


S9.{i 


il  ino  gradirt  gridimiiito 


It  iiuFDlou  -nd'cr*  tì 
0.  Cui  cinger  «i ,  Coil  ti 


lE^ 


60.  Cke  Bealrict  «n»i>d  «elfeb-  l'ilene,  cinser  li  Idi 

(Ilo:  cbe  Bulrìce  mi  il  eicurA  nella  ili  Ulani  d  prindo  pi 

iMii[*iotiM'(i,ÌDiCDW  ■lUro,  l'emnra  l'erre  ^  DÌenn  di  TiDoi 

dimMliiinu. 

€1.  Aon  le  dbptucf  ih  ;  ei«è,  die 

—  nati»  iMTÙg.  mi  ceii  u  oe  ri»  72.  hm  li  poitoK  trar**.  W-. 

tini,  par  compiicenu  del  Trderln  cor-  rU  Tour  del  Piridiu.  am  M  «■■• 

Ximù  beoe  «Ifinnlo  (illivti  dì  (ir  conipremlfra  elmi;  tclti  b  n» 


chi  riUnfo  a  /iì.  ani,  che  litaft  n 

ti  i  celeri  die  Ir>[m<inr>  i)  dette  sleM- 

70.  doMd'  <g  rÌKtgno ,  iaai'  »  >>■ 


E  il  canto  di  que'Iumi  era  di  quelle: 

Chi  non  s' impenna  si,  che  lassù  voli. 
Dal  mulo  aspetti  quindi  le  novelle. 

Poi,  si  cantando,  qoegli  ardenti  Soli 
Si  far  girati  intorno  a  noi  Ire  volte. 
Come  stelle  vicine  a' fermi  poli; 

Donne  mi  parver  non  da  ballo  sciolte, 
Ma  che  s'  arrestin  tacita,  ascoltando 
Fin  elle  le  nuove  note  hanno  ricolle; 

E  dentro  all'un  sentii  cominciar:  Quando 
Lo  raggio  della  grazia,  onde  s'  accende 
Verace  amore,  e  che  poi  cresce  amando. 

Moltiplicalo  in  te  tanto  rispleade. 
Che  ti  conduce  su  per  quella  scala, 
IT  senza  risalir  nessun  discende  ; 

Qual  ti  negasse  il  vìn  della  sua  Gala 
Per  la  tua  sele,  in  libertà  non  fora. 
Se  Don  com'  acqua  eh'  al  mar  non  si 

Tu  vuoi  saper  di  quai  piante  s'infiora 
Questa  ghirlanda,  che  intorno  vagheggia 


DI»do. 

82   E  denlm  olCoH.  E  dealrg  U 

TS.  £  iltmlo  di  «M'Iuni,  ili 

nii»  di  WmU.  —  Qini»,  *wdiè. 

IDtIl*  »i>a«  rìtplmdiPti,  «ri  BM  di 

giacché.^ 

uuctl«  cara  pàt ,  di  dorile  cote,  di  dia 

SI.  (  tht  fw<  cmct  MHwb,  eiei-. 

»•■  »  fti  dva  idu  ach;  PBD  »*  ia  f a- 

a  miHra  ebe  ,i  ama  ;  a  dinereua  M 

«dUo: 

falle  anele,  cU  è  il  Icrrew,  il  qwl. 

T4-TS.  CM  »n  i-impaM  a.  Cbì 

■H»  ai  [o.BÌ>c«  d'ali  ptr  idar  luaó, 

85.  jrMl(i>Ilcali>ta  (e:  *eer*HÌ>le 

non  aiBclli  ani  in  Urrà  da  goorn  aleBDS 

»pra  il  Hlnril  valere,  lanla  >plMd> 

novella  dalle  e«4  del  »cl»i  pvlcli*  •>- 

ieteee. 

rebbe  il  medeiiaiil  tbe  «»ller  l>»tiii» 
lUanmille.  — auindt,  di  iiDrl  Iiwhd. 

86-87.  per  quiOa  itala,  Int.  f^ 

la  tcala  del  l'eredi»,  (/',  deoda ,  dell» 

76.  Poi.rtinidndotc.  PoMiatU 

quale  neuapo  diarande  .nut  poKle  r>< 
■elirla.  ClHlata  oae  ielle  le  Jaliiie  dei 

c«t  cinleodo  i^uilli  apiriti  araiillanli 

78.  Cerni  ilci/e  HrìM  a' firmi 

ciato,  BOB  a>  puA  pia  leendore  *l  raB|o 

.Iella  terra,  e  rimanerli  dltcoo. 

poli.  Come  li  Igpi'aDO  le  alclli  ialurno 

88-90.  (hMl(ÌHja(U«.-qB(IW 

■i  poli  Giti    a  iBDpri  da  uk  eijuIJÌ- 

qne  ennn.  I»a1a  B^g.!—  alle  taa  «M  . 

alanli. 

al  lHd«idcrio,il  viniftfla  MMJUk 

79-H.DonniinlparvtTic.knaAi 

{Aula.  <er>l[i .  del  r'  ■'■)  •  >■  "V^ 

.llab.ll.L,.,ì.cau.„.b..Ì»»U,. 

iiDoeclie  J.'Hdm  dii.*r)  tch'elUpat 

darU ,  (■>  litfrli  non  fora.  aintUo  la 

•cinblanta   di  d«a.,  mm  KÌdKi   da 

balh,  UM,,;,  ia  balle  ;  ma  perA  [uroe 

•d  »B  impedita  di  Korrer*  il  mtn. 

e  aacolURti  Ìd  lileaiio  una  .lì  lanche 

m-as  n>nk>i'i«f«-«(.'u*i«i 

coeu ,  GKbi  n'abbilo  ••ccotle  di  ming 

iipen  da  quali  anima  •>  prodnniBa  dì 
.,.{<nderì  ^  rìoin»  ^uMWM 

in  mino  ìt  DUOie  pirul*  t  Ìl  («nln,  per 

La  bella  Dunna  eh'  al  riel  t'avvalora.' 

lu  fui  degli  a^ni  della  sanla  greggia, 
Cbe  Domenico  mena  per  rammìno, 
trben  a" impingua,  se  non  si  vaneggia. 

Questi,  die  ni'è  a  destra  pili  vicino, 

Frate  e  macsbo  rummi,  ed  esm  Alberta 
£  di  CologBQ,  ed  io  Tomas  d'A<]tiina. 

Se  tu  di  tulli  gli  altri  esser  vuoi  cerio. 
Direlro  a!  mio  parlar  len  vien  col  viso 
Girando  su  per  lo  bealo  =«rlo. 

Quell'  altro  fiammeggiare  esce  del  rìso 
Di  Graziai),  die  1'  uno  e  P  altro  fòro 
Aiutò  SI,  die  piace  in  Paradisa 

L'  altro  eh'  appresMi  adoma  il  nostro  coro. 
Qiic!  Pietra  lii  die  con  la  poverella, 
OETcrse  a  Santa  Cliiesa  il  suo  tesoro. 

La  quiala  luce  eh' è  tra  noi  più  bella. 
Spira  di  tale  amor,  die  lutto  il  niondo 
Laggiù  ne  gola  di  saper  novella. 


I 


l 


che  TiEbriK!*.  ni"  «"•  i'MI«  B«lrÌH 

«,!«  in  Chiusi,  eillì  delti  Tarn;  Il 

the  1*  ..Kl.rBBi.li  t  fl«iri«. 

96.  r  i«  i-impit^ua  k.  tnted- 

ìòDttreto.—thiluiioirattnfin 

di:  p»  lo  1U.1.  c.n.ii.m«  Irioi  prr  1. 
r»o1>  di   S.  Dunicnic»)   l'uomo,  tm 

■HUtpr.  Bjnrlli),  cioi,  b«  ù  riMipi. 

K-.dir  tmtÒ  il  [6ro  dYÌl*«d  il  Etn» 

™  ,«11.  deir.llr«j   1.  .,ulw» 
pi.»  1  IKo  e  1  tvHi  II  Con,  G>U 

dilla  dillo,  enoi. ,  bim  >■  inolin  nrll. 

(ciillgn.  pHf«io»,  fA  du  dill'  .mbi- 

due  pnteitt.  Tori  nel  Kfdd  Xtl 

>lM.  >  dilli  twiU  DHl  >i  1*»  prwlo- 

luT-IUS  Q%tl  PMro.fitttMljm- 

birdi,  ri  miBlre  JHIe  «•nlnn.eUni 

SS-eg.  Frale:  frilH'o  d'Ordii», 

pe'.,,oiliMdlle=l..-i.._rt.,«l. 

pcnht  .Mh'i'uo  doir,'mc.iH..   Padri 

i.m.iic«i.c.rt.,«Jèi«iB«i«i.. 

l'operi  die»  P'K^r.  .  Jl  «k  l» 

1. ,  JB  <,u..lo  die  ài  v.»1.  rlic  r«K  no 

dhM  per  «odeell.,  ebe  t.ee.  «tTf-i 

lEmaa  primnci.lc  dell'Oidn».  —  ed 
<UW  Merlo  fi:  «1  «w  t  Albi^rl»  H.. 

ni.mpiR.olidonuiUaìM,.»!' 

tao,  di  CohgM.   1..-XO»  n»«lr»  rfi 

.Ie.p.   2l:C><p|-eMe.  <.'/f,iM*lr 

Et»  DHS<»  in  Liwln  jei,  ne  .i™  l«n. 

«•lille  inilra  eum  paupeml»  m  C 

EiniHli<aCn^Dnii,evi»nr'iiKll2a2. 

lophglariun  l)iini«i  m'Kir». —t* 

En  UM  d.  lìrbino  IV  bila  *<wo.o 

d<  i.llU>oM  pel  I2el  i  m.  per  ['.«or 

d.1  AìMn  «  d.ll.  DoitHvU  (tei  n- 

P.nii,  emoriiHl  I4M. 

Ilo.  Spfra  tf  tal.  oawp.  t  » 

lOMlO,   ™l  eiw  Glnmdo  te.: 

niili,t>e<,  d.  .u.«>lile,diaBM» 

nondo  >li  «cbi  ■■>  gim  ti  per  i|iic>l> 
(WOii  di  una  HI  un  illn.  .pitndo». 

°™"m  .'  w  VX  SfT-p"-  •»•.*■ 

CANTO  DECIMA 

Entro  V*  è  1*  alta  meate  u'  si  profondo 
Saver  fu  messo,  che,  se  il  vero  è  vero, 
A  veder  tanto  non  sorse  il  secondo. 

Appresso  vedi  il  lame  di  quel  cero 

Che,  giuso  in  camt,  più  addentro  vide 
L' angelica  natura  e  il  oaiiiistero. 

Neir  altra  picciolelta  luce  ride 

Queir  Avvocato  de*  tempi  cristiani. 
Del  cui  latino  Agoetin  m  provide. 

Or  se  tu  r  occhio»  della  mente  traai 
Di  luce  in  luce  dietro  alle  mie  lode. 
Già  dell*  ottava  con  sete  rimani. 

Per  vedere  ogni  ben  dentro  vi  gode 
L*  anima  santa,  che  il  mondo  fallaee 
Fa  manifesto  a  chi  di  lei  ben  ode. 

Lo  corpo  ood*  ella  fii  caedata  giace 


M7 


il6 


i20 


m 


gola,  brama  ardenteineiite,  di  $mtmm§ 


iella ,  ò'  aver  notizia  intorno  i 
oa  salnle  di  lei  ;  circa  la  quale  fa  anti- 
camcnle  gran  questione  tt^  i  Teologi. 

442.  Entro  v'è  l'alta  Maiife  m. 
Intende  dell'anima  sublime  di  Seloaio» 
■• ,  di'  ebbe  da  Dio  infusa  la  scieaia. 

443.  tiilveroi  vero:  se  è  ferah 
vantk,  doè,  la  Santa  Scrittara,  die  è  la 
varila  stessa. 

4 14 .  a  téder  tanto  :  a  tanto  Tedara| 
%.  A  Y8sta  cognizione  di  cose ,  a  tanta 
pradeozs;  preso  vedere  per  noma  a 
Icmio  per  agget.  Se  si  voglia  tcrba  infi- 
nita, d  ifHegberk:  che  nessun  altri  jpei^ 
▼enaa  a  federe  s^  estesamente  colP  in- 
taUallo. 

445-447.  di  qwl  cero  ee.  Int.:  di 
^fMfl' ap portator  di  luce,  di  sapiaut, 
eiaè  di  S.  Dionigi  sreopagits^che  lerìiia 
«a  libro  De  calesti  hierarchia, 

448.  ride,  gioisce  della  eterna  baa- 
tjtedina. 

4  4  9-120.  Quell'Artocato  deTtempi 
erittiani.  Questi  probabilmente  è  Paolo 
Oroa:o.  che  contro  i  Gentili  ralnnoialon 
del  Cnstianesimo  scrisse  seUe  libri  di 
Storia  delle  calamiti  e  sceleratena  dd 
iiMMido  ;  dalla  anal  opera  molti  fatti  ri- 
Ieri  Sont'Anostmo  per  il  suo  gran  lavo- 
ro DaCktitate  Dei.—  Del  cui  laUna,  è 
detto  invece  deila  eui  di  Urina,  frmÈ 
la  Hm§ua  par  le  malcrìe  in  essa  tratta- 
te. Quakiba  moderno  ha  opinalo  cba 


FiMooala  dei  tempi  erittiani  intego 
da  Dante  sia  Lattemxio.  Ma  per  quanto 
possano  contenire  in  parte  anche  a  Lal- 
tamio  le  qualità  qui  accennate ,  io  ri- 
tengo cba  meglio  e  più  pienamente  nano 
investita  ad  Oroaio. 

42J.  te  tm  toeekio  dalla  mania 
tratU,  sa  fd  scorrere  rocchio  doUa  tna 
mente  —  troni  è  lo  stesso  ebe 
da  trainare^  trarre,  straseiaara. 

425.  Gi'd  </e/r oliava  ae. .*  db rìi 
ni  eon  desiderio  di  sapere  ddl'  ad 
beata  cba  d  naaconda  ndl' oliavo  i 
dora. 

424.  Per  xedere  ogni  bm.  Per  la 
data  che  ha  d'ogni  bene,  di  Dio. 

428.  aehi  diteiee.  :  a  chi  ben  a^ 
ddle  cose,  delle  dottrine  di  Id.  Q|i^ 
sta  è  1'  amma  di  Seterino  Boado ,  àlN 
scrisse  il  famoso  libro  Da  conaoInlìfM 
pkUotophim.  Boedo  fu  in  grande  ili- 
ma  per  la  sua  dottrina,  e  pia  volta abba 
V  onora  dal  consolato.  Venuto  in  aoiyrt 
lo  di  tener  pratiche  segrete  ed  Grad 
par  liberar  Roma  da'  Goti ,  fa  da  Tao- 
dorico  fatto  arrestare  insieme  al  di  kd 
sooearo  Simmaco  :  a  condotto  in  Savia, 
dopo  sd  med  di  prigionia,  ad  fni 
tempo  scrisse  i  Ubn  De  eontolalimm, 
fu  fatto  morire,  ai  23  ottobre  dd  5ft4. 

427-428.  fiaeaGiutoiaCéiUaU' 
ro,  giaea  in  terra ,  sepolto  nella  dMaa 
di  San  Fiatro,  detta  in  Cid  d' oro ,  in 
Paria. 


Gìuso  in  Cìeldauro,  ed  essa  da  marlirn 

E  da  esilio  venne  a  questa  pace. 
Vodi  oltre  Rammeggiar  1'  ardente  spiro 

D' Isidoro,  di  Beda  e  di  Biccardo 

Cbe  a  considerar  la  più  che  viro. 
QoEsti,  onde  a  me  riloroa  il  tuo  riguardo, 

È  il  lume  d"  uno  spirto,  che  in  pensieri 

Gravi,  a  morire  gli  parve  esser  Urdo. 
Essa  è  la  luce  eterna  di  Sigìeri; 

Che  leggendo  nel  vico  d^li  strami, 

SillogiiKÒ  invidiosi  veri. 
Indi,  come  orologio,  che  ne  chiami 

Neil'  ora  che  la  sposa  di  Dio  surge 

A  mallinar  Io  sposo  perchè  l'ami, 
Che  r  ana  parte  e  l' altra  tira  ed  orge, 

Tin  tìn  sonando  con  si  dolce  nota. 

Che  il  ben  disposto  spirto  d' amor  turge 
Così  vìd'  io  la  gloriosa  rota  Hi 

muoversi,  e  render  voce  a  voce  in  tempra 

E  in  dolcezza,  eh'  esser  non  può  nota, 
Se  no*  colà  dove  il  gioir  s' insenipra, 

da  riilio.  Cui  ebliniui  qn«-      aualli  tj*  prai  il  hihih  dia  /buort^cb 
■  diDoUic  fbe  noD  è  notln      ugdlGca  pafit».  penU  bm  wiijwj  t 

Sgci  lciupiD*Kdl(Mbutdùa*tl*iB»- 
I,  agni  gioiiDi.H  ifdJT»  n  Jw,  <i 
porlaia  un  rniEilrUa  H  piglia. 

438.  invilitili  v*ri,  nrilléh*^ 


I 

u 


inirmpra,  >  «Itt— ■ 


CAIKTO  DECiinorRimo. 


0  insemata  cara  de'  mortali, 
Quanto  goa  difeltivi  sillogismi 
Quei  cbe  ti  Taono  in  basso  batter  1'  ali! 

Chi  dietro  a  iura,  e  eli)  ad  afDrismi 
Sen  giva,  e  chi  seguendo  sacerdozio, 
E  chi  regnar  per  Forza  o  per  sofismi, 

E  chi  rubare,  e  ctii  civil  negozio. 
Chi,  nel  diletto  della  carne  involto, 
S'  affaticava ,  e  cbl  gì  dava  all'  ozio  ; 

Qnand'  io,  da  tutte  queste  cose  sciolto, 
Con  Beatrice  m'  era  suso  in  cielo 
Cotanto  gloriosamente  accolta. 

Poi  che  ciascuno  fii  tornalo  no  lo 

Punto  del  cerchio,  io  che  avanti  s'  era, 
Fermossi,  come  a  candelior  candelo. 

Ed  io  sentì'  dentro  a  quella  lumiera, 
Che  pria  m'avea  parlato,  sorridendo 
Incominciar,  facendosi  più  mera: 

Cosi  com"  io  del  sno  raggio  m' accendo. 
Si,  riguardando  nella  luce  eterna, 

S^.QHOnUitmdifeUhtu.Qan-     iiunimuli 
1  diboli  urna  It  rigioni  per  la  anali  g-t. , 


iot.  procoriTi 


i  ;i  plnr.  •Ilil.li»  à.jul.  |ji«. — 

IS-19.Po<eAii(«uc«MH.:pwliè 

pd  aforUmi .  €Ì<.i^  igll  .t-r,Mi,i  il'li- 

dauuDo  de' prillili  ipmli  tu  UmalD 

poereu,  ■ll>  iMdkii.i.   Vùfarim,  i 

Mi  pam»  dai  ctrcbig  ori  qiala  Mtasi 

ilclÌDila  di  Galton:  Gratuiii  itnltntia 

phi,  «  tarmi.  HlÌB4,«i,.i  fi.,  1. 

imi  nrailont  «rniprcAnHa. 

^..^a-'-d"  """'«*".  i™-"™ 

hi  ftrmo  li,   a  ud  punta  wn  lìrgnla 

P»U  «*r  ..lci.l»,«lla  .(dula  i.  tuUv- 

doporaid^lo. 

iiuit  wlli  Cbio». 

tH-il.  Ed.<f.nd-ttoo.—<l«anm 

a.Echi  rtgiuirptr  fona.  SoliloÉ. 

4hU«  I»«.,«™,  CAa,^  .-•».  pfl,. 

tobM .  o  il  •'  affdKVdca .  cbe  *  autlii  : 

blo:  io  anello  luca  dasda  ai  ttara 

ftrfen:  uA\th'tMM\tuui,  —  o 

ptr  wfiimi,  o  piT  ■naobll  ditiUi.  o  la- 

t8>i.~<>r*.piàp.ra,ap«ipià 

■  LiluH  ragioni.  So fimia  irati  un  IrfiK 

nulo  lalK  !a  H  ««H  w»  fi«i>  di 

t»-3l .  Cori  enn-u  m.:  a  i|n*l  ma- 

«rili- 

d»  cbc  io  m'icrcDdoaH  r.gcia  dalla 

7..cW(itÌlnf(cifo,  Bcbicl.iI. 

luca  divini,  era.,  tiijawduiiB  »««, 

i 


Li  [uoi  pensieri  onde  cagioni,  appreodo. 
Tu  dubbii,  ed  hai  voler  che  si  rirerna 

In  si  aperta  e  si  dislesa  lingua 

Lo  dìcer  mio,  eh'  al  [no  sentir  si  starna. 
Ove  dinanzi  dissi:  Vbea»'  impingua, 

E  là  u'  di-isi  :  Non  surse  il  secondo; 

E  qui  è  uopo  che  ben  si  distingua. 
La  provvidenza  che  governa  il  mondo 

Con  quel  consiglio,  nel  quale  ogni  a^Klto 

Creato  è  vinto  pria  che  vada  al  Ibndo, 
Perocché  andasse  ver  lo  suo  dilello 

La  spo^  di  Colui,  eh'  ad  alte  grida 

D^posò  lei  col  sangue  benedetto. 
In  sé  sicura  e  ancbe  a  lui  più  fida. 

Duo  Principi  ordinò  in  suo  ra\ore. 

Che  quinci  e  quindi  le  fosser  per  guida. 
L'  un  fu  lutto  serafico  in  ardore, 

L' altro  per  sapienza  in  terra  tua 

Di  clierubicu  luce  uno  splendore. 
Dell'  un  dirò,  perocché  d'  ambedue 

Si  dico  r  un  pregiando,  qual  cb'uom  prende, 

Perché  ad  un  fine  Tur  1'  opere  sue. 


iffnaioenit  cagioni,  rio*,  il  «nbirKo 
dei  toni  pcDu melili,  q  liiinJ*  irai  d^bìd- 
pe  %ì  tatti  duLbj;  e  eiò  prrrbA  i  buti 


mfl   If  profonda 
31-56.  l'tr 


I  mdatu  ec  Ini 


fhis,  dove  luUi  i  GmitìnQibiU  ti  dipia-  Gnu  CAsto  che  lei  di  , 

g«iM.  DtMBdai  di*  D*iil*  i  ctgiuK  *  crac*  ad  alu  erida  |rMiiMM  «n  mt- 

bcMk   dall'  altgaiÌM*.    Atiifilntda,  ia  tdiM  ad  am  an*  •pus  iIìIcUb  «■  ■■ 

luogadifia'aMtBdulirggoilMS.SUiard.  cnrcua,  ed  anohaa  lui  pia  fida,  ifdi- 

22-24.  Il  TÌterna.  Kinmrrr  din-  ot  da*  prìncipi ,  liai  da*  E*f  i,  «no- 


ia larì 


.a:q>li: 

■  iparla  ST.  l'w 


uo.lWta 
Is  della  cn 


HraHc»,  cidi,  ptrkcipiDle  i 

UaÌBleadiaiMl*,Li>(licerM{a,  ilnin  de'Sarafini. 
JlaMiM,  UdoTfpw'aiitiilifai  ».  SS-Sl.  rolfr*,  S,  DnmMiae ,  di 

S-SS.   ricR   a-ìnpinifiia.    nel  cJMntMco  Itux,  della  tace  dc-Cben- 

CaDls  prec,  Kiw  9G.  —  Kett  tiirM  ii  bini ,  che  ligniBca  «cr/lnlf  ta  laftm- 

(«MulB,  idem,  •ano  iM.  la.   ì:ccd   le  Yirlà   lr>iid«nfD(aJ>  daUt 

27.  S^l  te.  V,  t[malB  ai  a^ar-  Chiea* ,  te  carila,  t  la  dsUrioi. 
Licoa  a  (picalu  «conda  ilubbio,  Intngna  40-41     Odi' «a  dirà,  di  S.  Fn» 

tb*  ben  ai  diilinga  in  qoat  genero  di  ttum  :  ptroeeSi  d'ambtdM*  tei  per*» 

&-SI}.  ogni  aiptUa  Creale  te.;  *2.  PercM  adunfnt  ta.iftAi 
«uni  frcala  villa  (upellol  »'il.b*g1ij  t  anibcdue  i-pcraiono  al  line  ili  Uà  fu- 
ti confcnda  pria»  tbe  giun|[t  «  fow-  date  I*  Oiieu. 


CANTO  BEfilMOTRIMO. 


691 


Intra  Tapino,  e  i*  acqua  cbe  àEtsamàt 

Del  colle  eleUo  dal  beata  Ubaldo, 

Fertile  eosta  d*  alto  monte  pende,  46 

Onde  Perugia  sento  freddo  o  caldo 

Da  Porta  Sole,  •  dirietro  le  pimigo 

Per  grave  giogo  Kocera  con  Gualdo. 
Di  quella  costa,  là  dov'Alia  frange 

Più  sua  rattezza,  nacque  al  mondo  un  Sole,         50 

Come  fa  questo  tal  volta  di  Gaoge; 
Però  chi  d' esso  loc»  &  parole 

Non  dica  Ascesi,,  chà  direbbe  corto, 

Ma  Oriente,  se  proprio  dir  vuole. 
Non  era  ancor  molto  lontan  dall'  orto,  66 

Ch*  ei  coBiindò  a  Us  sentir  la  terra 

Della  SML  ^^aft.Ylrtnde  alcun  conforta; 
Che  per  tal  donna  giovinetto  in  guerra 

DbI  padn  cene,  a  evi,  con*  alla  morte^ 

M  mm  S9kp  8.  Fraocetco ,  graa 
lune  dì  crìstUoi  penfeiiooe. 

M.  Com9  fa  questo  ee.  Come  fa 
ymto  iole  nel  quale  ora  siamo ,  qaan* 
ie  k  alato  aai^  pii  riapleodeiile  •  pie 
eald*  agU  abitaoti  cB  quella  rapieaa  !»• 
reatre,  il  cai  erÌBMile  eoBBb«M<«al  m^ 

»  Atmti,  Aaaisì.— 4tr«Mf  aofla^ 
dtrakbe  poeo ,  par  aignifioara  il  pref» 
di  quel  luogo. 

54  Jftf  Orianla  ae.  MaaavvalMr- 
lar  propriamente,  chiami  'À  laogo  dalla 
oaaeita  di  Fraoeeece  OriemU^  8.  Soaa- 
vanlara  sella  9iu  ViU  di  S.  Praaaaaao 
applica  a  lai  quelle  parole  dall'Apaaal.: 
VkU  attentai  Àmgelum  mtemimltm 
«6  arili  toUs. 

55.  dalPorU,  daironanéa,  M  a» 
eoto.  Continua  la  metal.  mI Saia. 


43-44.  Tupino^  È  pieaala  naaia  ri- 
dao  ad  Assiii .  Sì  descrive  qai  la  poaiBaaa 
della  dttà  d'Assisi ,  dopo  di  die  segala 
un  magnifico  inno  epico  di  S.  Franaa 
aao.— «  Tac^iMi  che  discende  ee.:  eà 
il  fiaiMcello  Chiaiai,  die  diaoende  da  ma 
calla  dbe  8.  CJbaldo  desse  per  sua  m- 
altangio  nel  territ«irio  d'Agobbia. 

45.  Fertile  eosta  d'alto  monte 
femée:  vaded  una  pendice,  aa  fiaaao 
aoltiTato  a  fertile  d' un  alto  monta.  Tale 
A  In  aaala  ove  è  posto  Assisi. 

.  40.  Ontfa  ee.  :  dalla  quel  eaata  la 
ailtà  di  Perugia ,  dalla  parte  ove  è  aoa 
aaUa  aaa  porte,  detta  Porta  Sole ,  santa 
il  fredda,  prodotto  dalle  nevi  dei  monti, 
a  fl  calda  da'  raggi  solari  riflessi  V  ealala 
ita  datti  monti. 

47'48.  a  dirietro  le  piange  ee.:  e 
aiairo  da  essa  eosta  ^oppresse  da  tiraaoia, 
ammano  i  loro  danni  Nocera  e  Goaldo. 
O  caBM  dtri  vogliono  :  e  dietro  ad  aaaa 
aaata,  ambrata  ed  oppressa  dal  giona 
ad  aMnia.  sono  posti,  quasi  piaaoanda 
il  laro  mai  sito  sterile  e  fi^ddo,  Noeara 
a  Isnaldo.  Ma  questa  seconda  tnterpra' 
taaioaa  ba  meno  spirilo.  Noeera  e  GÙml- 
da  arano  opprea&ste  dall' ataro  governo 
dal  ra  Boberto. 

49.  IK  qmella  costa,  da  qnd  anm- 
la,  a,  aaqndla  costa:  là  dov' ella  firem' 
gè  ee.,  là  dorè  ella  più  die  altrova  pia* 
ga,  sminuisce  la  sua  ripidezza. 


56-57.  Ch'ei  eomineiò  ee.  Ch'agli 
eamiadè  a  far  sentir  la  terra,  ciaè.  a 
far  aeatire  alla  terra  dconeoaforto  dalla 
virtù  aaa  :  a  più  lettaraluMOta,  a  f araba 
la  terra  scatissa. 

5a--60.  per  tal  donna,  per  la  pavar> 
tb,  fofiierra  Del  padre  corsa,  iaearaa 
nella  guerra  del  proprio  padra ,  ioaa» 
tri  r  ira  di  lui.  Leg^  aalla  «ita  di 
S.  Fraaeeeea,  che  egli  fu  battuto  a  aai^ 
earate  da  ano  padra  per  arar  aattato  tt 
danaro,  ^^acmiee,  ;  alla  qaal  peaartb 


La  porta  del  piai^er  nessun  disserra; 

E  dinaoii  alla  sua  spiritai  corte. 
Et  coram  patre  le  si  fece  unito; 
Poscia  di  di'  in  dì'  l' amò  più  forte. 

Qnesla,  privata  del  primo  marito, 

Mille  e  cent'  anni  e  più  dispelta  e  scura. 
Fino  a  costui  si  stette  senxa  invito; 

Né  valse  udir  die  la  trovò  sicura 

Con  Atnielate,  al  suoa  della  sua  voce. 
Colui  eh'  a  lutto  il  mondo  fé  paura; 

Ut  valse  esser  costante  né  feroce, 
Si  che  dove  Maria  rimase  giuso, 
Glia  con  Cristo  salse  in  sniia  croce. 

Ma  perch'  io  non  proceda  troppo  chiuso, 
Francesco  e  Povertà  per  questj  amanti 
Prendi  oramai  nel  mio  parlar  diffuso. 

La  lor  concordia  e  i  lor  lieti  sembianti, 
Amore  e  maraviglia  e  dolco  sguardo 
Facean  esser  cagion  de'pensier  santi; 

Tanto  che  il  venerabile  Bernardo 

BCUUDD  ipn  l(  parte  d<l  pi Bcnre,  cune      turi,  ctulinli,  ImpcrtarrìlI  ocifari^ 
aan  la  aprealli  piorle;  cbe  Tgol  diro  ,      duprcgUlurì  dilli  marlt  te. ,  atan 


(UetwiiDii  l'i«OEliecon  placre. 

•ora ,  Di  tagllooo ,  a  roaderla  anibil.. 

61-62.  E  diiwflii  olla  fi»  «.:  t 

73.  Mmo,  caperlo,  dwit». 

dioUUi  >ll>  •■>■  turll,  Il  U-ibuDll.  del 

15.  prmdi  te.:   iDHndi    incosiU 

tua  ToeDTD,  qofl  d'Aaiil  :  a  al  cHpelIu 

76-78.  U  lor  toncardìa,  li  «■ 

na,.HBi.-.  illipovarlà. 

tordi!  di  nuoli  dui  ananti,  il  loro  IMa 

tu.  del  primo  Biarilo.  di  Gai  Cri- 

e  «reo.  »pclU.,  l'.nor,  lar^  Kanh» 

ito,  che  <iue  con  IP  Itala  ali*  |HiTertt. 

65-06.  diipiUa  •  •eun,  ipKeioti 

Ulo  iamlila  ainura  ecriuTaao  io  dri  di 

•  oKon.— inua  intilo,  teou  dia  tl- 

rodet.1,  e  dol»  i^itardo.  o  la  dolri» 

tnna  la  r«reai*o.  San  Ftinoico  niicqaa 
aeMIS2,n<art  >'4  alicbr«  dd  tZaè. 

u,  a  11  eonlenlcni,  con  ebc  lì  («arda- 
Tina,  Faetami  tuercasicn,  caEmut*. 

67-69.  JV*  r«i»«  udirle.!  x.i  ralw 

■nr  odila  MccoDUrc  die  Giulie  Coire, 

flonM(jlÌ  iie|;li  uouiioi  ceni  da  PnonM* 

chi  f<  pour*  a  imu  il  mondo,  Iroiiai! 

odiGcili.  Il  CoiU,  nao  tipendo,  «.'à 

la  poTtrU  lieora  eoo  Anilclile  pc«>(^ 

dico»,  trinci»  dalli  Io.  cho  por*  « 

n,  allori  ci»,  bitleiida  alla  parli  della 
capanna  dì  lui,  chiiDollo  aJ  ilu  «oro. 

di  Inllf  i  Codd.  •  il>a<pi  Jmort  «  p» 

r<w.-(l<o   «,,    prantncta    di    lag,» 

Ttdi  Ldouo  nel  lib.  V,  t.  510  >  ug. 

70-72.  JV*  vattf  oc.  ;  dì  Tabe  ali. 

PDTcrIk,  per  noileni  acttlU  islì  nami- 

ni ,  l'cmn  Mia  cMlanti  a  coriggioii 

Ul  leiione  lareLbi'  »ù  racìlo  :  ni  oBM 

fino  I  Hliro  iuIIg  crac«  con  Ceiù  Crì- 

ala,  tfao.Ìmor.i|.Dodo.niiui.doMirì. 

Dran  repunninii  ali  arbilrìo. 

rìaiiMipit  dieaoll>.ln»Riin.  Calli  ì 

7».  Bernardo.  DcrDardcdi  Qtn- 

p™pehana,e«r«p«.™aJ,lla^po. 

liralie,  il  primo  ir|;uice  di  SaB  Fna- 

CAKIO  DECIMOPBiaiO 

Sì  scalzò  prima,  e  dietro  a  tanta  pace 
Corse,  e  correndo  gli  parv*  esser  tardo. 

0  ignota  ricchezza,  o  ben  verace  I 
Scalzasi  Egidio  e  scalzasi  Silvestro 
IHetro  allo  sposo;  sì  la  spo»i  piace. 

Indi  sen  va  qoel  padre  e  quel  maestro 
Con  la  sua  donna,  e  con  quella  famiglia 
Che  già  legava  ?  umile  capestro; 

Né  gli  gravò  viltà  di  cuor  le  ciglia. 
Per  esser  fi*  di  Pietro  Bemardone, 
Né  per  parer  dispetto  a  maraviglia. 

Ma  regalmente  sua  dora  intenzione 
Ad  Innocenzio  aperse,  e  da  lui  ebbe 
Primo  sigillo  a  sua  religione. 

Poi  che  la  gente  poverella  crebbe 
Dietro  a  costui,  la  cui  mirabil  vita 
Meglio  in  gloria  del  ciel  si  canterebbe. 

Di  seconda  corona  redimita 

Fu  per  Onorio  dall*  eterno  spiro 

La  santa  voglia  d' osto  archimandrita. 

E  poi  che,  per  la  sete  del  martire, 
Nella  presenza  del  Soldan  superba 
Predicò  Cristo  e  gli  altri  che  il  seguirò; 


973 
SO 


86 


90 


9i 


iOO 


83.  Egiiio  ee.  Egidio  0  SilTcttro 
faroDo  doe  altri  de'prìiDÌ  Mgaaci  ili 
Su  PranciMo. 

84.  IKcIro  «i/o  «poto  ce..*  dietro  a 
San  Pranccaco,  spoto  della  povertà. 

88-87.  Che  già  legava  Vumilt  em- 
»«  a  evi  giè  cingeva  il  Ganro  romile 
ae:  ea*  primi  suoi  tqpiaci. 
88-86.  m  gli  gravò  te.:  né  ? H  ti- 
A  feaa  bassa  la  fronte  per  eaMr 
^  .  di  Pietro  Bemardooe,  aomo  £ 
igaobile  engiae.  né  per  essere  d'an 
aftariew  maravigliosamente,  a  nara- 
^|Ìfa,  aprcgerole.  —  /f ,  è  «b  antico 
accorCMBeito  di  /(ylto,  come  c«  per 
eaat,  co  per  capo,  osato  dallo  steaao 
Dante.  Avverte  però  il  ck.  Pfereiiti,cbe 
•a  Cod. Estense  e  il  Florio  hanno:  fer 
nmràgUo  di  Pier  Bemardcne. 

9Ì.  rtgalmente,  con  nobii  fran- 
ekeBa.—  fiM  dura  intetiiiome,  ilri> 
fido  tso  proponimento. 

03.  Ad  innoeeniio,  a  papa  Inno- 
cento  III. 


95.  Prtmo  tigillo,  cioè,  la  prinw 
approfaaione.  E  ciò  fu  nel  4214! 

96.  UegKo  in  gloria  deleiHH 
esalerebbe.  Sarebbe  piò  degna  d'eaaer 
cantata  nella  gloria  cdrste  dagli  Anfafi 
•  da* Santi,  che  giù  dai  frati. 

97-99.  Fuptr  Onorio  ee,  Int: 
fu  per  meno  di  papa  Onorio  dallo  Spi» 
rito  Santo  redimila,  cioè  aorenatay  la 
brama  di  questo  arckimandrilm, 
capo  del  gregge,  o  dell'ordine  dei 
minori.  Con  die  si  aectnna  alla  san 
e  pie  solenne  appro?aiione  dell'ordina 
franeascano  per  Onorio  III  nel  itU* 
Dice  che  fo  coronata  dall'eterno  apira 
par  il  ministero  d'Onorio,  perebè  qn^ 
sto  papa  vide  in  sogno  p«r  divina  !■• 
spiranone  i  destini  del  nuovo  ordÌM|  • 
perciò  s'indusse  a  dai^  la  lairiiina 
canonica. 

401 .  Nella  preeem%m  ed  SaUam. 
Ini.  il  Soldsno  d' Egitto. 

402.  e  gli  allri  che  U  tegmiro,  gii 
Apostoli. 


E  per  tiware  a  conversione  acerba 

Troppo  la  gente,  e  per  non  fatare  indarno, 
Redditi  al  Tmlto  dell'italica  erba; 

Noi  erodo  sasso,  intra  Tevere  ed  Amo, 
Da  Crislo  prese  T  ullimo  sigillo, 
Cile  le  ine  membra  due  anni  portanio. 

Quando  a  colai  eli' a  lanlo  ben  sortìllo, 
Piacque  dì  trarlo  suso  alla  mercede, 
eli'  egli  acqui^ló  nel  sno  far!'!  pusillo; 

Ai  frati  suoi,  si  coni"  a  ein,-le  erede, 
Raccomandò  la  sua  donna  più  cara, 
E  coniandj)  che  l' amassero  a  fede; 

H  del  suo  grembo  1'  anima  preclara 

Maover  si  volle,  (ornando  al  suo  regno, 
Ed  al  suo  corpo  non  toIIc  altra  bara. 

Pensa  oramai  qoal  Fu  colui,  cbe  degno 
Collega  (a  a  mantener  la  barra 
Di  Pietro  in  alto  mar  per  drillo  s^nol 

E  questi  fa  il  nostro  patrisrcai 

Perchè  qual  segue  lui,  com'  ci  comanda, 
Discemer  |]noi  che  buona  merce  carca. 

Dia  il  ^Qo  peculio  di  nuova  vivanda 


I 


103.  attrba,  non  itispnìli  ■  con  il  cui  Tmgano  le  »!«(,  •  «  cai  itk 

ttllivnfl,  iDimatura.  boa  rilurDiia  per  nfiur  »■  lai  '• 

405    Bfi<dini   <e.,    rilnniMal    •  elfi», 
collion  t   ■  liar  finlm  di]l«  ^li  117-  non  etllt  altra  tn;  <M. 

d'ItiKi.  nno  illro  che  lo  tUuu  gmato  irlli 

464  Sei  crude  lOito  » .,  nrll'iiiiro  |>cittril  •«cnniu  mpra;  iht  *  ^aaii 

noiM  ildl'Ah ernia,  tiluito  In  il  Td-  diie  :  idIIc  rbf  il  »o  tarf-  t^mt  pw 

(«tino.  p..nei,   s  Biìtrnt  ptiiglio  in  <«i  n 

(07.  riiIHiiu  ligfflo,  dot  li  •!■-  uiorlD.  Sin  Frtnmi»  nrapiioda  ta  ■ 

«te,  ibefiiromi  l'allumi  lonrenua  ili  ili-uà  il  aitine  »lDn  J<lli  iiiJÉlMI 

•M  rrlinaiw.  rdliiKoa,  e  Ìnu>run[sn<la  JelftMmi 

(09.  wrlilln,   Io  rl«u    srilBllo-  rliol..».  >ia»titr|ol.,d:4diioM*Uh 

IH.  CWigli  arguiilè.  La  ?jid»  preti. 
\H»l.Ch'tlmtTÌIà.-'P<uxlbi,fntn,  (<R-I?I.  fMl  fu  nW  «..•  < 

■■•ilo.  <)Dil  vliU  dori  Cflrre  colsi  lU  h  ^ 

4(S.  giiutt  «rnti,  Irgìtlimi  «ndi.  iliail»  culicga  ■  Fnntr.cB  pir  imIf 

Shf.  (r«fa  t  rr^B.  «niaai.  per  II  Oiieu  re.  —  ilnoiIrOf^Mlt- 

ItS   lana  ilimiui.  il  iHnerlk.  ra.  Sia  I>«orDÌFo,  del  cui  gnfig*  r* 

IM.  •  fede,  fidelmi-nte  :  dil  Ul.  San  Tommii^i  ehr  piili. 
et  fittm,  t',.è  iiemdo  fede.  123  eA»  iw>iM  n«m  ean«.  A*, 

US.  ff  rfil  ma  ^mhi  M-,  ini.  Ti  Innradi  bnnne  utni,  di  waMaf*- 

Jd  (renkii  di  ma  pnvFill:  aiendsio-  re,  per  patigara  al  parta  ^IP«lvM 

tato  iBorirm  ■<.  tilt  ranaTia,  *ili. 

1 16.  al  fHo  regno,   oot  «  Dn,  42t-<2e   Va  it  n 


CAKT»  secmaFRiMO. 

È  fatto  ghiotto  si,  eh*  esser  non  puote 
Gfae  per •dmcsi  faltt  JMi  siipaiidà: 

E  quanto  le  sue  pecore  rimote 
E  vagabonde  pio  da  esso  vanno. 
Più  tornano  aH'  ovil  d!  latte  vote. 

Ben  son  di  quelle  che  temono  il  danno, 
E  stringonsi  al  paslor.;  ma  aon  si  poche, 
Che  le  cappe  fornisce  .pooo  panno. 

Or,  se  le  mie  parole  non  mm  fioche. 
Se  la  tua  udienza  ò  stala  attenta. 
Se  ciò  che  ho  detto  alia  mente  rìvoche, 

In  parte  fia  la  tua  voglia  contenta. 

Perché  vedrai  la  pianta  onde  si  scheggia, 
E  vedrà  il  correggier  che  argomenta 

IPben  s'impingìta,  «e  non  ri  vaneggia. 


875 


m 


130 


i35 


Int..  ma  I«  sue  pecore, cioè  i  wm  frtfi, 
tono  ditenati  si  ghiotti  ée*  beni  oimi» 
daoi  e  delle  moDdane  vànilàf  cbe  mm 
paò  non  accadere  che  per  diterH  col- 
ti  ee.:  die  ood  si  spanda  il  Oitmenicaao 
peculio  per  iolli  (dal  lat.  mKim,  Waa* 
da  pascolo),  per  pascoli  difcrsi,  caatrt- 

?%  da  ^elii  indicati  nella  sua  regola  dal 
atrìarea,  per  trovarci  quella  nmofm 
ti9tmdm  di  cba  è  Tatto  ghiotto,  cioè 
ffì  affi,  fU  ooorì,  le  maggioraoM. 

129.  di  laiU  9qU,  vota  di  kMi 
■Innanto  spirituale. 

4S2.  CkM  U  cappe  fomi$ee  poco 
pMMO.  Cba  con  poche  braccia  di  i 
ai  faalon  talli,  essendo  pochiswnii. 

43S.  /locba,  di  poco  saoao,  oscwìl 

4M.  Ja  perle  fia  ee.:  quanto  tà 
tea  priaat  dubbio. 

1S7.  JNrekà  tedrai  la  pianla  «t.? 
te  jtriiaafai  la  pianta  su  cui  percaaCa 
la  acwra  del  mio  dire.  Abbiam  fwt 
nalU  Boslra  lingua  un  modo  aimila  del* 
l'aao  Caoiiliara:  levare  i  petti  d^aif 
cmm;  cba  Tale  appunto  dime  «urfa,  e, 
nmamrmaittitj.  Ma  forte  verfrall* 
piamta  onde  si  echeggia  potrebbe  m^ 


Ae  Toler  aìgoificare  :  tu  ravriaerai  la 
piaata  a  cui  ai  ?u  tanto  togliendo,  o 
eba  ai  ra  così  aaattttigliando  ;  accen- 
Baodo  air  Ordine  Dtimenicano,  a  cui 
molto  a' era  tolto  della  sua  originala 
iulagritb,  pei  trasandati  eoatumi  dai 
fraU. 

i38-43a.  B  vedrà  U  correggier. 
E  Tedrl  il  correggier^  cioè  il  (rate  do- 
nauicano  (coaì  detto  perebè  ai  cinga  il 
Banco  di  una  cintura  di  cnoio  detla 
aarraggia  dal  latino  eorrigia,  coma 
emrdiglifro  fu  chiamato  il  Prancaaen- 
no),  dba  nrgomento,  cioè,  cba  foglia 
aoBcludare,  o  quel  argomento  rae- 
ebinda  contro  di  Ini  quel  ehe  diaai 
parlando  del  suo  Ordine  :  IT  ben  f*  f »> 
pingma,  ee  non  ei  vaneggia.  La  Icf. 
eorreggier  nome,  in  luogo  della  aota. 
corregger  verbo,  è  della  ffid.,  di  frt 
Mas.  della  Corain.  e  del  Cod.  Yillani, 
e  di  più  altri.' La  eonrana:  E  ve- 
drai ii  corregger  cAa  argommUa; 
eba  vorrebbe  (Ure  :  E  vedrai ,  iolendn- 
rai,  b  corraaiona ,  l' arrartiroanio  cbt 
aoMudoQo  quella  parnle:  iTèen  l'In* 
pimgìmy  ee  non  ti  maneggia. 


^^^   ^^^^^^^Hf 

eie                                              BEL   PARADISO                                                       1 

CASTO    DECnnOSECOND*.                       \ 

PUU.  1.  ,-«U  M  ,.^  -««.  .  -»«« 

H-f^l.  «.  M  ^M/  d<a-4l>aL^.  «ri 

fa  OwalB;  ««>  "  f-W  ■!«  •""  'H  •"• 

«^•(^ 

Sì  tosto  come  l' nUittia 

parola 

U  benedetta  fiamma  per  dir  tobe,                            M 

A  rotar  cominciò  la  santa  mola;                                   1 

£  nel  suo  giro  tutta  n 

n  si  volse 

Prima  eh'  on'  altra  d' un  cerchio  la  chiose,            i      1 

E  molo  a  molo,  e 

canto  a  canto  colse; 

Canio,  elle  lanlo  vinc 

nostre  Muse, 

Nostre  sirene,  in  quelle  dolci  labe. 

Quanto  primo  splendor  quel  eh'  e'  rifuse. 

Come  si  volgon  per  re 

nera  nube                                  IO 

Due  archi  para  Ilei 

e  concolori,                           ^^h 

Quando  Giunone  a 

sua  ancella  jube,                 ^^^| 

Nascendo  di  quel  d'i'nlro  quel  di  Tuori,                 ^^^| 

A  goija  dei  parlar 

di  quella  vaga,                    ^^^H 

Ch'amor  eonsunse 

come  Sol  vapori;                "i^^ 

E  fanno  qui  la  genie  esser  presaga. 

2.  ptr  dir  IoIh.  noè,  priK  <.  di», 

primo  iplondon  TiBcttalo.  Qsratafn 

».   Il  riBBio  dal  «do  r«<  ci  tiM  «M- 

'"jT.  la'ntta  mola.  Il  Anfpt\le  .li 
glie  niiilcDiliMilJ  ipirlli  iIiiiubl  in  gi. 

UmMils,  Hipera  quello  rh'  *gli  d  Irf 

■mnd.  p.r  lo  Iona. 

».— nnh.  dii^iiH  U  niiri»:  ■»  In 

ID-H.  Imitrs, Itgi^ro ptrnri n- 

DM  malt  e  \,  corsoi  d»  b»li  tplnli 

LVNid   h.  ,,  vi^lo.  io  ne.  A  rf«.t 

dtnunli  p«a  i  ati»  nluIoDt  die  >l 

goH,-  mi  nualo  KFando  *  piMr*,  • 

i-S.  B  Mi  MIO  sire  «..■  n«n  ttU 

rbpood.  il  col9H>u<  dol  nw  ». 

conni*  UD  ioltro  gi»,  che  na'dlri 

<2.  ama  Mttlla.  ad  Irida»» 

,«li.«o'.llr.«™..dil™ti.l.dr. 

cella.  —  j-^a.  coioiodi  ;  cha  .qdnli 

.«dt i«.i.  :  prini.  A,  l.tt.  À  toIjm- 

a  din:  ooiodo  ippirHc*  in  cial*  futa 

M,>»^U»mola«. 

k.l™ 

0.  E  «iole  s  molo  te.  E  calit,  fiat 

I5-I&   JtaitmdB  di  qntt  dTmln 

«llKnxiile,  Il  dioUcodFu,..,.  ,|  „,m.., 

u.  Pr^lonodofi  per  riaw..iia«  nwf 

«  il  (MIO  «1  (inlo  di  qicll.;  io  .»ii,n>., 

l'a.»  di  laorì  d!llf.llro  or»  mJ^ 

MMHdt  il  ■«■*>  «  il  "Blo  tuo  ■!  niBto. 

con«n.rie..,  «Koe  per  riBnaio»  <  w 

il  onta  dell!  primi  eornia,  —  Cb- 

{amili  II  pirlin  dell'eco,  t.a  rinb 
DO  Umpo,  the  per  aaor<  di  Naroe*  ■ 

SUtn.  .•!(  pr«d.r  ori  palilo  niirtto. 

J-B.faB(o.r»f  Mulo».  Cini.,  di., 

tTtÌt.Uto.-«<^.H.*iW  (ii*«,tio*Ì« 

rirgi  del  iole 

^             fiH'dold  argini  di  qurlli  brtU  iniinr 

IS-U  £/'M«ee.QM<tian*iU- 

■             mm  1.010  q.«llo  ^'i.«ln  p.-li  i 

leni  (inao  1.  geole  praigi  <M  mail. 

Cini,  cirea  il  BDoda,  iht  nfft  an  i"*!- 
(oj* .  die  noa  lark  pio  illaiato  «il  ti- 

■          .piMtfor.  il  >,»i<.  dir^i,.  „p».  ^ 

H^        d7riH/kM,ar.Bp.,dMr'<**Hi 

CAIfTO  DEGIMOSECOMM). 


577 


Per  lo  patto  che  Dio  con  Noè  pose. 

Del  mondo,  che  giammai  più  non  s'allaga: 
Cosi  di  quelle  sempileroe  rose 

Volgeansi  circa  noi  le  duo  ghirlande,  co 

E  si  r  estrema  air  intima  rispose. 
Poiché  *\  tripudio  e  1*  altra  festa  grande, 

Sì  del  cantare  e  si  del  Gammeggiarsi 

Luce  con  luce  gaudiose  e  blande, 
Insieme  a  punto  ed  a  voler  quetàrsi,  25 

Pur  come  gli  occhi,  eh'  al  piacer  che  i  muove 

Conviene  insieme  chiudere  e  levarsi; 
Del  cuor  dell'una  delle  luci  nuove 

Si  mosse  voce,  che  V  ago  alla  stella 

Parer  mi  fece  in  volgermi  al  suo  dove;  30 

E  cominciò:  L'amor  che  mi  fa  bella 

Mi  traggo  a  ragionar  dell'  altro  duca, 

Per  cui  del  mio  si  ben  ci  si  favella. 
Degno  è  che  dov*  ò  1'  un  T  altro  s' induca, 

Si  che  com'elli  ad  una  militare,  '^^ 


fece  a  Noi  quando  gli  diate  :  farò  appa- 
rire il  mio  arco  a  ricordarini  il  patto 
dì  oon  pi&  mandare  il  diluvio. 

4  9-20.  Coli  di  quelU  ee.Coa)  qaegli 
•temi  aplendori,  che  a  aomigliama  di 
due  gbirlaode  di  rose  erano  ordinati,  ai 
volgevano  inti>rno  a  noi. 

21 .  E  si  l'estrema  ee.  E  come  i  co- 
lorì dell'esteriore  arco  baleno  corriapon* 
dono  all'arco  interno,  coat  il  moto  o  il 
canto  della  ghirlanda  ettremm,  ealerio- 
ro,dei  beali  spiriti  corrispfMO al  motoeal 
canto  della  gliirìaoda  inlimm,  intorna. 
Si  noli  ««(remo  osalo  nel  senso  di  ciicbe 
ù  fuori,  essendo  formato  dal  lat.  estrm^ 

pposto  ad  intimo,  cheè  da  inttn, 

22.  il  tripudio,  la  lieU  danaa. 

23.  del  fiammeggiarti,  delriaplen- 
dare  a  gara  l'uoa  luce  in  viata  dall'al- 
tra in  aegno  di  carila. 

24.  gaudiote  t  blande,  piene,  eaao 
luci,  di  gandio  e  di  dolceaia. 

25.  liu<(ifie«pMiitoec..*tnttiadna 
iftieaao  panto  e  per  loro  unanime  f  oloa- 
tk,  non  ad  altrui  cenno,  sì  ferraarona. 

26-27.  Pur€otMgliocehiic.:pf-' 
ciaaaianta  come  gli  occbi,  a'qnali  eoa» 
vicaa  cUadarti  aimnlianeamente,  •  U- 
tarti,  aprirai,  aaeoodo  il  piacara  càa  i 
muott,  cha  gli  muova. 


o\ 


28.  Del  cuor  ee.,  cioè,  dall'inUmo, 
dal  meno  di  una  di  quella  luci  apparile 
■ovellaniente. 

29-30. cJke  rogo  allaitella  ae.Co6lr. 
a  int.  :  che  nel  volaermi  al  ano  dove , 
cioè,  al  luogo  ov*  ella  alava,  fece  che  io 
parami  l'ago  della  calamita,  che  ai  volgo 
aabito  alla  stella  polare. 

51 .  L'amor  che  mi  fa  MU.  H  dì- 
vino  amora  dia  mi  fa  splendente  di 
bella  luce.  In  altro  senoo  :  il  deaiderio 
di  onorare  quel  vero ,  la  cui  eof  niiione 
è  la  mia  felidtk. 

52.  dell'altro  duca,  dell'  altro  capo 
a  guida  di  religioaa  famiglia;  cioè  di 
S.  Domenico. 

55.  Per  cui  del  mio  ae.  Del  ana) 
patriarca  S.  Domenico  per  eoncludcrc 
l' aeeallcnia ,  ai  parla  qui  si  bape  del 


patriarca  mia  S.  Franceaco.  Ha  detto 
S.  Tommaso  bai  Canto  prcccdenla  ver- 
aa4l8-4IO: 

Taota  «noMÌ  qasl  fa  obIuI  ,  cIm  iagm» 
CMtgu  ta  a  aiaalcocr  la  kaiaa  «e. 

Questi  che  favella  è  S.  BonaTcntura 
francroeauo. 

^ .  Degno  i  ckt  ec.  È  caaTanìenta, 
è  giusto ,  che  dove  ai  fa  mennona  del- 
l'uno, facciasi  mcnsiooe  anco  dell'altro. 

65.  elli,  evi.  —  ad  uv^a ,  ^ax^vv^r 


DEL    I'liIl*DI»0 

Cosi  la  gloria  loro  insieme  laca. 
L' esercìlo  di  Crif^lo,  che  si  cato 

-Costò  a  rinrroar,  dietro  all'  imej[iia 

Si  more»  tardo,  sospocciofo  e  raro; 
Quando  lo  'mperador  che  sempre  r^na, 

ProsTide  alia  milizia  ch'era  in  forse, 

Per  sola  grazia,  non  per  o^er  de^na; 
E,  com'  è  detw,  a  sua  sposa  soccorse 

Con  duo  campioni,  al  cui  (are,  al  cnt  dire 
■         Lo  popol  dii\iato  si  raccorse. 
In  quella  parie,  ote  surge  ad  aprire 

Zefliro  dolce  le  nocelle  fronde, 

'  Di  che  si  vede  Europa  rivestir», 

Non  mollo  lungi  al  percuoter  dell'onde, 

Dietro  alle  quali,  per  la  lunga  foga, 

Lo  Sol  lai  volta  ad  ogni  uom  si  nasconde, 
Siede  la  fòrlnnata  Callaroga, 

Sotto  la  proiezion  del  grande  scudo, 

■a  un  mrJnims  Gtie.  Qunl»      <t>1l«  parie  ocddrnUl*  «11*  lui 


I 


„rii,.. 

rìitn  naliiM*  pei  Jrpr<v»ii  cMiumi 

.  I»r  g. 

mi^Mm  1*  pì»t.. 

1   (kro  .  del   pnnolo.   Nel  chioMr« 
S.Bbr  Cr«  in  tire.»  .«<..»  in 

19- 

SI.  A'oii  nello  iwu4«t.K~ 

melMl 

•  tiiMWe  S.  FtucKO  e  S.   ti-ai- 

oudtd 

1'  ««.u.  boL,  oei  \M  MI. 

»  dU  ttggn.,  >»  «liGi'D  «ileale^  il 

Mrre  • 

!».  .!  fr(ngJ«^™l,Tml.  i2. 

.  1  KMado  !■  wone  ippin*  io  .•- 

d>'.  lidi 

o.InnDHDulll. 

dietro  la  qt.iUioo.l.'.odA» 

S7^   L-tttTcHo  tì  Crlite.  il  po- 

delle  .,' 

.li«nde,il«Ul,lToto.,p*^li 

P"1«cnitiaas.efc«i4tarsrail<)«..  dw      Iuii{;ii  foga,  ani,  fun^  1>  i 
|rnii  iMrduU  per  il  peerilo,  nWi  ■)      v»),  nt  oyiri  imn  ■{  nomni^,  n 


popola '»ir« 


d>llldet|1ianlirhiL 

S3^l  Aittalapndr] 
UprolwDHdi'IradiruI 


CANTO  SBciMoneofTDo.  879 

In  che  soggiace  fi  Imme  esoggioga. 
«     Dentro  vi  nacque  1*  amoraw  drudo  65 

DeUe  fede  crislìana,  fi  tanto  atlett, 

Benigno  a'MoI  eda'  nimìci  erodo; 
E  come  fu  creata,  Ita  rapleCa 

Si  la  soa  niente  di. viva  Tirtiito, 

Che  neiJa  madre  lei  fece  profeti.  eo 

Poiché  le  sponsaHzie  far  oaanpìnte 

Al  sacro  fente  intrahn  e  la  Fede, 

IT  si  dotar  di  onta»  salMe; 
La  donna,  che  pò*  hii  t'aasens»  diede, 

Vide  nel  sonno  il  atrabile'  Ihitto  s« 

Ch*  oscir  dovea  di  lai  a  deMe  redo: 
~    E  perchè  fòsse,  qoaio'eias  ^  costrotto, 

Quìdcì  si  mossa  spfailaa  aomario 

Del  posssssiio,  di  jCuì  era  tntio; 
Domenico  fo.  detto;  sA  io'  ne  park)  70 

Si  come  dell'agricola,  ohe  Caisro 

BMt  té  «a  caslello,  e  neir«llrt  ma  aofiè^i.MftiHirt  an  ohm  bianco  0  mi« 

MMt  wfrasla  ad  on  altro  cattoUo,  fo  ooa  «sa  taccola  aceau  in  koeet.  Al  §•• 

O^pyiopia*  S^'  owTMMaFro  gii  otODH» 

»a. r—iropfl  drwJo, il  Ciapliai  fi.  ^rMoiueUsfo,  looiao,aio«, 

wm  Mora,  •  a  Podalo  laoaoiiiaaii  Pwtoot  della  fede  colP«aM7«artte 

Srwd»  è  twiioo  d^oriyo»  gii^oaiM  la  tirtè  del  Uitoaioio. 
ékt  filo /Moltv  aaiiae  dovaiot  ««ia  Sf.  if  dolar  oe.  laleadl  :  8. 


lil.  MHO  Faaareao  i  oaalii  aaliilfr|     *ieo  Maiae ilio  Fèdo'di  dllbàdwUi,  • 
■•  la  tiatrawo  di  taaipo  aofaiilè  aa     A  oalvoria.  0  la  Pedo  proama  a  lai  la 

tili  o  la  aoivenn  eterna. 


jmB  wmoi,  pieao  Aoa-  aar-a.  Piiaaiei  fece  la  praaiaMa  tBa 

rilà.aanaai*MMr  della  I0.I0,  «««!■»>  Me .  eido  ia  aegno  che  al  laacionÉa 

flidrl  mmm,  •  oo'aaniici  di  lewÉÉMplia  aplaadaia  aaa  atelia  ia  froalo  od'  ani 

ooaM  aa-  aaiBnie  a  aai  s'uhragfrnSola  aollo  «aca ,  cna  cIm  n  pioiagifa  dw 

aaa.  Ailado  alla  oBcaienaa  eoo  cìm  aw*  dalFofdioodillDiaeaicodefooaaomie 

aagailà  afi  «olici  AlUtfeà ,  e  al  TnW  Mlaariaatf  P orìoaU  e  l'oeddealo. 

nolo  daIPlaaaiMioae  che  egli  praaai»  SS.  étth  rwde,  dai  aaei  aKli..aMf 


Umm  alaMilo  ia  latta  regela  a  froao  dai  hiari  dooMoicani 
dei  aovalori  0  dai  aeopoliii  e  ohe  pai,  07-09.  B portM /bwo ia.;a 

r«naollrobialoDBÌoaedel8anlaydih  cbè  ruaMambeoella  0Qalraiia90,abÌI* 

il  ANdatoo  tieaiaada-  di^aia  oeiapoaieioao  dèi  aoaw  <|«el  eaa  art 


rttor  Padia-o  Peaoomioao  dei  Moada  raolnunti  ia  aèataBeo,H  waiai  aalaal, 

ineivililo.  Pa  DmaoaiM  dello  aeUia  pv»dol  Ptmdiao,flalHlo,  aa'inM 

ÌBaHfliodaiOaaaMai,aoMaoaolll7a|  riaao|  a  aoariaoHo  ool  peaaeiaÌTO  «  oa> 

0  aort  ia  Bolofaa  aol  4»! .  I  lai  di  eai  era  tatto.  DmminieMt  è  Pi» 

SS.  M  mmm:  0  opoooo.  oaL  aoaaaaav»  £  l^wlam.  B  cori  n 


ia.  Cào  «oNa  mmiré  or.  ÌMàmKn  ^bmmtm  ^aerio  faadaHo,  aarciè  on 

loopol  oirli.aMalroeolioraaelPalHa  aaMoalo  ea  eaarr  ceca  taUa  aoiSMaani. 
della  aMdaal  b  aMdro  aMdeaiaM  fcaa  71    étir agrie^lm ,  dMPr~^^^ 

proTateew.  La  attdri  di  8.  ì>j«ibIii  N,dol 


Elesse  all'orlo  suo  per  aiutarlo. 

Ben  parve  messo  e  famigliar  di  CnisTo,  • 

Che  il  primo  amor  die  in  lui  fu  manireeto, 
Fu  al  primo  consiglio  clie  die  Cni^To. 

Spesse  fiate  Tu  tacito  e  desio 

Trovato  in  terra  dalla  sua  nutrice. 
Come  dicesse:  Io  son  venula  a  questo. 

0  padre  suo  \eramente  Felice  1 

0  madre  sua  verameole  Giovanna, 
Se  interpretala  vai  come  si  dice! 

Non  per  lo  mondo,  per  cui  mo  s'  affanna 
Direlro  ad  Ostiense  ed  a  Taddeo, 
Ma  per  amor  della  verace  manna. 

In  picciol  tempo  gran  dottor  si  Teo, 
Tal  che  si  mise  a  circuir  la  vigna, 
Che  toslo  imbianca,  se  'I  vigoaio  è  reo; 

Ed  alla  sedia,  che  lu  ffà  benigna 
Più  a' poveri  giusti,  non  per  lei. 
Ma  per  colui  che  siede  e  che  traligna, 

Non  dispensare  o  due  o  tre  per  sei. 


72.  EleiK  all-erla 


a  dirilio  anooico.   >  —  roàuh».  '• 


HI  couiglÌD  diM  di  Cri- 


Dcl  mS  :  B  ta  MppellilD  ia  dk  Wl  ar- 
ilo. Qoatg  priiDD  cDDtìBJis  t  l'ibbiM-      mtaga  ili  numia  anli'itrìo  iafliwHv 
dono  óeìlt  ticclicae  «  o^ì  «iLri  httai      Borì.  Altri  ialaidupo  qui  ^ManalB»      i 
tnD|ianli  i  •  Domniin  sioiltA  mnllD      Taddvo  Pepali  Bslognm-  ginmanllr,      | 


sIId;  ftnbi  •■  ntocond  eh*  woodD 

B»ll, 

tl>«n>iBi>qBaiìi,<i»BldM, 

■n  noi  ftìm  inni  ■  iLudio,  Tiodi  in 

cb<8. 

UBI  ITU  «ruLit  di  cha  li  Ironn 

più  p.r 

U ,  per  fu  lorUm* ,  ■■  mt  w 

78. /at<»>i»iu(o<ifu«la:i«»:n« 

»i 

<Mto  virate  «awM,  ddU  f 

luMa  par  dire  i«m|>ÌD  d' omilLà  i  di 

ria» 

p«.llà. 

la  Tigna,  \ma,.ia. 

K7 

imbianca,  cioi.  p.rd*  U  nrli, 

S.  Demnico  à  cliiiniO  KuJice,  t  li  nia- 

HÌI>ìpti<.aotBB«wMm. 

dn  di  lai  Ci»»i>at,  il  quol  dod»  io 

un  li> 

i>». 

(^liriiica  tiiDiliiii  gTùiiBia,  oppurlalrio 

88 

Edeltattdta,at.tMc«ÌitM 

"";r.,..„.,._^.  ...„. 

(11*  Ic 

«youUfiti*.  ^.>  |)t  Ib  ktatg» 

iBy«r  Jo  mondo,   bob  per      ■'pavrrìei'Klii  P>à  di  qucllochaan  <> 


83.   Oiiittiu.  Oiiwius  cKlncli 


•  triHgB*,  Kan.-.  aJàimandt 
dìipemanic.  (■■  >cr»  <U\. 

91 -US.  Jiiprmarwo  liuto  Mfrr 


CANTO  DECIMOSECOIVDO. 

Non  la  fortODa  di  primo  vacante, 
iVbfi  decimaSf  qtug  suni  pauperwn  Dei, 

Addimandò;  ma  contra  il  mondo  errante 
Licenzia  di  combatter  per  lo  seme, 
Del  qual  ti  foscian  ventiquattro  piante. 

Poi  con  dottrina  e  con  volere  insieme 
Con  r  ufìcio  apostolico  si  mosse, 
Quasi  torrente  eh*  alta  vena  preme; 

E  negli  sterpi. eretici  percosse 

L' impeto  suo,  più  vivamente  quivi. 
Dove  le  resistenze  eran  più  grosse. 

Di  lui  si  fiscer  poi  diversi  rivi, 
Onde  r  orto  cattolico  si  riga. 
Si  che  i  suoi  arbuscelli  stan  più  vivi. 

Se  tal  fu  r  una  rota  della  biga. 
In  che  la  Santa  Chiesa  si  difese, 
E  vinse  in  campo  la  sua  civil  briga, 

Ben  ti  dovrebbe  assai  esser  palese 

L'eccellenza  dell'altra,  di  cui  Tomma 
Dinanzi  al  mìo  venir  fb  si  cortese. 


581 


95 


1U0 


405 


-110 


tii  te*  Noo  domande  S.  DMnmÌM  di 
poUr  laipn  in  iso  pio  lolamoato  dna 
o  tra  per  eompeniare  l' asarpaiioaa  di 
ad:  non  dimandò  di  «aaere  eollocato 
Dalla  prima  sedia ,  nal  primo  baiM6do 
▼acanta;  non  dimandò  le  dreima.  cha 
tono  dei  poverelli  del  Signore.  Altn  tel- 
ano di  prima  vacante,  idett  eetUtim  : 
formula  cariale. 

95-96.  Licentia  dieombait^r.  Int. 
coli' arme  della  parola;  cbè  la  colla  •  il 
rogo  sono  armi  da  Cristo  proibita,  né 
S.  Domenico  poterà  cfaietlerne  né  ottener- 
ne la  licenia. — per  lo  teme.  Del  quMl  ti 
fateian,  perla  fede, del  quale  aon  fnitCo 
la  Tentiquattro  piante,  i  ventiquattro 
beati  spiriti  delle  dne  corono,  dba  ti 
circondano. 

98.  Con  fufieio  apostolieo,  aol- 
V  antoritk  delegatagli  dal  sommo  pota- 
tefice. 

99.  dk' aito  vena  prmne,  cbr  è 
tpremmto,  cba  sgorga  da  cofioaa  Yaaa. 
•  in  conaegnenia  scende  impetuoso,  dal 

Sroprio  peso  sospinto.  Anche  VirgiUa: 
iapidnt  iiMmtono  flumine  torrem. 
400.  ff  neglktterpi  eretici.  I  mal- 
vaji  cristiani  e  gli  eretici  aoa  datti  dn 


Cristo  «lòarj  infmUuotit  trmlei  recisi 
deUia  vite,  buoni  aolo  al  fuooo. 

4 01 -4 02.  quivi,  in  qnal  Inogo,  là 
Ihve  le  reeiitenxe  ee.  Nel  distretto  di 
Toloaa,  oy'  eran  più  forti  •  aÌMeeioai 
gli  Albigesi. 

405.  diverti  rivi:  dìtersi  religiosi 
segnaci  di  S.  Domenico ,  diana  assomi- 
gliato  ad  on  torrente. 

405.  {  SM0<  mrbutceUif  in  corriapon- 
dama  alla  metaf.  dell'orto,  sono  i  cat- 
tolici. 

406.  Se  tal  fk  Vuna  rotm  della 
biga  ee.  Intendi  :  se  tale  fu  nno  dei 
campioni  della  Chiesa,  assomigliata  altra 
▼alta  ad  nna  biga,  o  a  un  carro  su  duo 
rata. 

407.  ei  difese,  dagli  assalti  da' suoi 


408.  to  SSI4B  eivil  briga,  la  saa 
goarra  civile,  perchè  moaaale  da'anoi 
panrwrsi  6gli. 

UO'Uì.^WaUra,  dell'altra  ra». 
ta;intendi  di  S.Francesco. — ditmiTom- 
mst,  di  cai  S.  Tommaso  Dinattaiaimio 
venir,  prima  eh'  io  t'apparieai ,  /te  fi 
cortese,  facandotolaconoacart;  «TTcro, 
fa  ak  buon  lodatara. 


K  ^^^ 

bui 

riL    PARADISO 

Ma  1'  orbita,  che  fé  la  parW  somma 
Iti  sua  circonfererraB,  è  derelirta, 
Si  eli' è  la  muffa  dov'era  la  gromma. 

La  sua  (amielia  che  si  m<»se  dritta 

Co'  piedi  alle  sue  orme,  è  lanlo  volta. 
Che  quel  dinanet  a  quel  Piretro  gllla; 

b  10:^10  à  av^'ed^à  della  rico:ta 

Della  mala  collnra,  quando  II  logKo 
Si  lagnerà  che  i'  arca  3IÌ  sia  rolla. 

Ben  dico,  chi  cercasse  a  foglio  a  fo-lio 
Nostro  To'ome,  anror  troveria  carta 
U'  letamerebbe:  1'  mi  son  quel  ch'io  »gt 

Ma  non  fia  da  Casal,  né  d' Acqna'^parta; 
Là  onde  vegnon  tali  alla  scriltora, 
Ch'nno  la  fuage  e  l'allro  la  coarta. 

Io  son  la  viU  dì  Bonaventnra 

Da  Bagnoregio,  che  no'  grandi  uBci 
Sempre  posposi  la  sinistra  cura. 

1 

M2-I 

lame  >  ttili  «• 

c.rreB[|i.t 

■  .<b.[a»B»<'><'>ll><'"''>'>-      >'   r-l['''°>   "-""rcU*. 

lailchc  tarla, 

r<r.ni.dc 

Iti  pirw  iDinin.  di  «u  ra"ti      (iDiltbe  rriU.  in  vai  li  »t 

^rrbbilcnue 

(rioi  di  E.  PrinmrD),  è  dtnlilta.  t,  ■)>-      /'  mi  inn  dikI  (4'(a  (ogU" ,-  e»*,  1*  pc 

boDdoiim 

xW  dir.:  .«flìdi  i  frib  tran-      ct.H.  ;  «•  »t.l  Lsm  r<l 

d»*^. 

li'EÌo»>aaMrf 

»«»<>»< 

iiHipmi«FÌà  Icnrtrpi  M      di  Cnile,  DtirAeiuu 

>ni ,  du  ii.k 

l«l-d> 

t*H.                                             1i>r«<ilUIÌttiirD««lllr 

eg«1«  milt.  il 

tu.  51  <■*■*  la  iMirk  «.  H-J»     S.  K,.«««.."A.  OD. 

"."fii: 

rranrbM 

M:hc>»l.«»:il<l»llÌdmi!        RWt,  <  l'Ili»  b  MCTM 

Prin««i 

1  (Irti,  .tude 

11,  At  .TU. 

■nnat  ci 

bn  l>  »i>wr>i,  e  iruindiili      m\  ilXl ,  >  <i>l  »^ft 

(•>»»  1.  . 

iiin>.                                            Niccoli  IV  rmo  ardiq, 

•le.  C<-1«Ì  i" 
orUMnlrìU. 

dftwIiK  «.   InOudl:   Il  quii  fniirc-      iinimlu  «!)■  rt|>n1l.— 

FnteChrtiM 

«•«  he. 

ì(lii  è  (.nio  ilrtii^lu,  At      dtC«tl«>iela,^t»!iideI»»<irJ'ia<l» 

■                 pOMJIdl' 

nuli  d.l  piede  i.,»  S.  Fn».      .«M  .  Cc.^.i  nel   ISIO  .i   fM,  „f.       | 

K       ««..VX 

■  il  (iTcìniK.;  ibe  *  qnnlo      degli  wlanfi  0  ligorìiti , 
ro.«ciJiS.  F.in^o.           «fnìwH .  .  di*  ìn^m 

,  eh*  li  diun 

H 

■  un.ip«W£ 

V                 »i-ita    dtUtrintltrc:\t,Ua      uiiKK 

^             per  Alila) 

dilli  ln.(i  ricchi  •irvelrl             VU-Mt.    fti  rfla. 

■  ■uimn. - 

S.I1.H.Ì 

«l.™HBr.,-^nd.«I-,.      B<m.vf»luTu    Da   Bofnnrtyta.  tt 

l,Ho«.-< 

laiidii  llnniDii  ai  lignrrì      Biunir»  nel  (urritono  . 

il  OrTicla,irt- 

.'h*  le  .il 

neflito  l'ini  a  il  griBiln,      l.iga  t  ilmafi  iinì{np. 

fq  nr^innli  . 

,..r<l«.. 

nirr  bruni»-, cii^.q Bendi,  ri      dotb.r*  di  SiiiU  OiitH, 

•  Bininn  » 

U..I    fri. 

■i  lisnert  ebc   gì.  lii  li.llo      nerile  dell  Ordine  miaor^M  per  tM 

irrne"  "' 

ù  p*r   oucr'iiporlo  Ddlt  IB-      dici-'U^- 

IH.pDipDrì  Ialini 

titra  enn.  !■>- 

1»-126   rU  cfrruH  n.  a;  •»-      li.'i..)i^  ilii  con  dntrt. 

Li 

>ilrDC(ilKm(\MMV«>4«     >«HAw\4nMt*  «m 

CANTO  DE01M06EC0ND0. 


583 


1S6 


140 


nò 


niamìoato  ed  Agostìn  son  quìcì,  iso 

Che  fur  de'  primi  scalzi  povereUi, 

Che  nel  ca{«stro  a  Dio  si  fero  amici. 
Ugo  da  Sanvittore  ò-qni  con  elH, 

E  Pietro  Maogiadore,  e  Pietro  Ispanoi, 

Lo  qaal  giù  iaoe  ìb  dodici  libelli; 
Natan  profeta,  e  il  metropolitaDO 

Crisostomo,  ed  Anselmo,  e  quel  DorbIo 

Ch*  alla  prim*  arte  degnò  poner  mano. 
Rabano  è  qui,  e  Incerai  da  lato 

n  CalavTese  abate  Gioacchino, 

Di  spirito  profetico  dotato. 
Ad  inveggiar  cotanto  paladino 

Mi  moFse  la  infiammata  cortesia 

Di  fra  Tommaso,  e  il  discreto  latino, 
E  mosse  meco  questa  compagnia. 

to,  fon*  ptrcbè  è  U  prima  ad  ciaera 
inMgoata  ai  fanciulli,  o  meglio,  per- 
chè k  l'art*  edaeatrica  della  ragiune. 

459.  AcftMM.  Babano  Mauro ,  ri- 
nomato  icrìttore  del  teeolo  nono.  Fece 
tra  le  altre  coae  molti  comeoti  alla  So* 
an  ocf iUnrÉ. 

440.  Gi90edikiù.  Calabrese,  abate 
ddl'Ordioe  cietereiense ,  fa  di  molto 
sapere  ed  ebbe  fama  di  profeta.  Visse 
aol  III  secolo. 

142.  imceggimr,  A  dal  provooule 
muct^,  ioTÌdiere ,  e  socsso  aoUra,  do* 
«dorare.  L'iovidia  è  destala  dalla  «► 
mùiiooe  del  maggior  valore  allrw ,  o 
dalle  lodi  cbe  ai  valoroai  ai  daaao:  spo- 

Sliando  il  vocabolo,  comò  q«i  ai  dèa, 
'  c^ni  drraeotu  oialigiio,  inwtggimr  eo» 
lauto  palm/tino  verrà  a  aigoificaro:  prò- 
itgmme  le  lodieom  «mi  hoMIì  «  muim 
intidU.  —  eokuUo  flmiim,  S.  E>o- 


goifica  primaria ,  migliore)  pcspov  la 
iinittra,  la  cura  sceondana,  qa^a 
delle  cose  temporali. 

430.  Illuminato  $d  Agoitim.  Duo 
d«  primi  seguaci  di  San  Fraocaseo.  -^ 
^M,  qui. 

1 32.  Che  nel  eaptttro  oc.  :  cka  ci»* 
ti  del  cordone  francescano  divenaorooo» 
catti  a  Dio 

133.  Ugo  da  Santillore.  Fa  illo- 
sÉro  teologo,  e  canoniro  r^olara  di 
Saai'AgostMio.  Viue  nel  XII  secolo. 

134-135.  PUlro  Miangiadora,  Pio- 
troComostore,  autore  d'una  storia  ecclo- 
sàastjca.  —  Pietro  Itpano ,  filosofo  ri- 
nomato per  dodici  libri  di  logiflo  cbs 
•scrisse. 

136.  Jfo/cn.  n  profeta  cbe  magna- 
nimamente  rimproverò  il  re  David  dal 
sno  fallo. 

437-188.  Criiottomo.  S.  Gìorann 
Criaostitmo  arcivescovo  di  Costantiiftpo- 
li ,  nato  in  Antiochia  d ;  ca  il  3 17 ,  e  Csmoso 
per  la  SOS  aurea  el<H)nenxa,  ond^ebba  il 
cognome  di  Critostt-WM,  o  bocca  d*oro. 
—  ^nfclmo,  fu  arcivescovo  di  Contai^ 
bis  o  Cantorberì  io  Inghillorra,  a  mari 
nel  4 109.  —  Donato  t  antico  sorittats 
di  granuDalica,  cbe  qui  è  dotta  prini'ar- 


143.  in/Uammmim,  accesa  d'amore 

144.  a  diserto Imtina,  d  gindisi*. 
iO,  a  ben  pensato  parlare. 

445.  quetta  compagnia,  gli  altri 
mdici  spiriti  scoi  compagni  a  Im  per- 
Isttsiponte  concordi,  ano  lormaranu  la 
seconda  ghirlanda  ialomo  alla  piima. 


684 


DEL  PABAOUO 


Si  éMtrht  la  dsmm  étU*  ém  jhMtmét  et 
fulgide  attUé.  Po*  M  amrrm  mmm  S.  Tmnmm$%  «ri 
dk«  atmm  tgU  mtjm  ésm  éi Sminmmt,  Chs  a  twémimUm i 
CM  iti  dtnft»  mi  «I prim»  pmàf  Jémmt,  ahmCmm  CiiiH,  c*i 
pgrftttiMSimi,  p4ftàii  aptrm  tmmoàimm  éi  Dim,  •  €mmtmtmttmtm$a  §m  a^mmU  éà. 
tkimét  U  Smmf  mimtWtém  dH  p€hm»é  tf^tf  dffmmM  iimdui,  m  fw««i  aim 
msni  tèi  siimm  It 


Immagini  chi  bene  intender  cupe 

Quel  eh'  io  or  vidi  (é  ritegna  T  image. 
Mentre  eh'  io  dico,  come  ferma  rupe) 

Qaindici  stelle,  che  in  diverse  plage 
Lo  cielo  awìvan  di  tanto  sereno, 
Che  soverchia  dell'aere  ogni  compage: 

Immagini  quel  carro  a  coi  il  seno 

Basta  del  nostro  cielo  e  notte  e  giorno. 
Si  eh'  al  volger  del  temo  non  vien  meno: 

Immagini  la  bocca  di  quel  corno, 

Che  si  comincia  in  punta  dello  stelo 
A  cui  la  prima  rota  va  dintorno, 

Aver  fatto  di  sé  duo  segni  in  cielo, 
Qual  fece  la  figliuola  di  Minoi 
Allora  che  senti  di  morte  il  gelo; 


» 


«^ 


4-0.  Immagini ee.  Coslr.:  éhintpé 
inlendtr  bine  quel  ch'io  or  vidi,  «m- 
fnagini  (e  mentre  eh'  io  dieo,  ritenga 
V  imoge  ferma  come  ferma  rupe)^ 
immagini  quindici  tlelte  ee.  —  eupe 
dall'antiq.  eupere,  deȓilerare.  ^or, 
a  ^eato  panto,  scgnenteroente  a  ciò  che 
ho  descnlto.  — e  ritegno  t' imoge  te. 
lot.  ìmpreaia  neHn  nieole  eata  imma- 
fine.  —  come  fermo  rupe,  in  modo  eh* 
da  asta  mente  nno  li  rimuova  ee. 

4.  Quindici  ttelle.  Qaimliei  alella 
delle  più  belle ,  o  ctima  diceaì ,  di  pri- 
ma grandezza  ;  che  inditene plogeee., 
dir  lucenti  in  direne  regioni  <M  àe- 
lo  ec. 

5-6.  di  tanto  iereno,  di  tanta  la- 
re, di  tanta  cbiarcf  la ,  Che  torerchim 
dtlVoere  ee.,  che  ▼inoa  ogni  eompoge, 
ogni  danailh  dell'aria. 

7-9.  immagini  ee.  Immagini , dopo 
4|iiaate  qnindieì  »ii-lle,  quel  carro,  il  car- 
ro di  Boule,  le  sctlc  tirile  «leH'  Crea  Bag- 
liori ,  al  qaal  carro  batta  giorno  a  Dot- 


ta, per  fare  il  tao  giro,  !• 
BOitro  cielo,  tantoché  al  voltar '«M I 
ne  non  vien  meno  ai  ooatrì  occhi.  Mi 
li  ateonde.  Quatta  cottellozioBcci  èna- 
pra  TÌtibile. 

40-42.  immagini  U  èoeem  m. 
Immagini  poi  le  due  ttella  dcH'  Ofeti 
minof  e ,  le  pia  Tidne  al  poi* ,  h  ^pA 
potta  una  di  qua  ed  «na  di  Ih  éa  omo 
polo ,  formano  quasi  un'  a| 
ioeca  dì  quel  corno,  dì  aneli* 
figura  dì  corno,  die  ha  il  ano 
punta  dell' atte  mondiale,  in 


fa  primo  mnla  ,  cioè  il  nrimn  cialn  i^ 
tante,  detto  il  primo  mubile. 

AZ'h^ÀrerfaUodieiémupà^ 
eieiOf  ec.  lroma{;ini,dìetì,chayieaUf 
tiquallro  brllittime  ttelle  fonBianiacir- 
!•  duecottdlaiioni,  ciaicvna  di  4 Saldi- 
la ditpoate  a  cerchio ,  coom  ascila  c^ 

rona  io  cui  Arianna  figlinola  di  Hi 

morendo  fu  cagicHM  che  foaaa  et 
da  Bareo  la  ghirlanda  di  fieri  oha 
Tale  il  capo. 


CANTO  DECIMOTERZO.  685 

E  l'an  neU*  altro  aver  gli  raggi  suoi, 

E  amenduo  girarsi  per  maniera, 

Che  Tuno  andasse  al  prima  e  l'altro  al  poi; 
E  avrà  quasi  V  ombra  della  vera 

Costellazione,  e  della  doppia  danza,  20 

Che  circolava  il  punto  dov'io  era; 
Poi  eh*  è  tanto  di  li  da  nostra  usanza. 

Quanto  di  là  dal  muover  della  Chiana 

Si  muove  il  del  che  tutti  gli  altri  avanza. 
Li  si  cantò  non  Bacco,  non  Peana,  25 

Ma  tre  Persone  in  divina  natura, 

E  in  una  persona  essa  e  V  umana. 
Compiè  il  cantare  e  il  volger  sua  misura, 

E  attesersi  a  noi  quei  santi  lumi, 

Felicitando  sé  di  cura  in  cura.  30 

Ruppe  il  silenzio  ne'  concordi  numi    ^ 

Poscia  la  luce,  in  che  mirabil  vita 

Del  poverel  di  Dio  narrata  fumi, 
E  disse:  Quando  V  una  paglia  è  trita. 


iO-iS.EVun  nell'altro  ee.  Int.:  t 
H«ii  M0IIO  (l'ana  ghirlanda  di  ttallt ) 
rìtplendere  dentro  delF altro,  ed  am- 
MiM  Tolgeni,  girarti,  per  marnerà, 
ehe  Fano  andasse  al  prima,  innanzi,  e 
l'altro  al  poi,  dietro  di  qnello.  Leggeri 
■ri  Cotwito:  •  Il  tempo  è  nomerò  di 
BOfimeato  secondo  prima  e  poi,  » 

4  9-24 .  Eanré  q%ia»i  Vomirà  ee.  E 
q«ette  ecae  telano  immaginando  tewrk 
qaari  I'  ombra  dri  vero  splendore  dì 
quella  eeeirilarione  dì  spiriti  beati,  Ch§ 
eireulma,  ehe  damando  girava  intor* 
Bo  ri  pento  in  eoi  mi  stava. 

2Ì-24.  Poi  ek'è  tanto  di  là  da  mo- 
stra uiomam.  Dieo  l'ombra,  perciocché 
il  fulgore  di  qorili  spirili .  e  il  modo 
«Iella  loro  danu  è  tanto  al  oi  là  di  qori 
cho  siamo  ori  a  vedere  qai  in  terra, 

3oanto  il  Cirio  che  si  maove  al  di  iopra 
egli  eltri,  e  perciò  degli  altri  pia  cele> 
re.  evana  m  vriociiii  il  moto  della 
Chiana,  ftome  di  lento  corso  in  Toeeana. 
25.  MMi  Barco:  non  io  Baecko, 
come  solevasi  cantare  dagli  antichi  orilo 
feste  di  Bacon.  —  non  Peana,  oon 
io  Pmam,  conia  cenUvari  orile  ferie 
«l'ApriUoo. 

21.  Ed  in  una  penona.  Akoni 
IcjijoDo  iuUamia  nel  senso  d' tfoitari^ 


ma  è  preferibile  U  prima.  — otta,  iot. 
divina  natura  onlU  coli'  omaoa  in 


«oa  sola  perenna  in  Gesù  Cristo. 

28.  Compiè  il  eantaro  e  a  vol- 
ger ee.  Int.  :  tento  il  cantare .  quanto 
il  girare,  Compiè,  compirono  il  giosto 
loro  tempo. 

29.  attetoni,  s'afGaearono  0  rirol- 
sero  la  loro  attenzione  a  noi:  a  me  o 
a  Beetrìce. 

50.  FeHeitando  tè  ee.  :  traendo  fo- 
lìcite  del  passare  dell'  una  all'altra  eora  j 
rioè  del  cantare  e  dal  danxare  alla  con 
di  soéìsrere  al  desiderio  eltroì. 

51 .  concordi,  di  on  mederimo  vole- 
re. — fiumi,  divi ,  santi. 

52-53.  la  luco,  in  che  mirakU  vi- 
ta oc.  La  Iure,  dentro  drila  quale,  dal- 
l'anima  di  S.  Tommaso  che  n'era  cir- 
condata, mi  fu  narrota  la  vita  maravi- 
glioea  dri  poverel  dì  Dìo  S.  Francesco. 

54-36.  Qwtndo  Vuna  paglia  et. 
Int.:  qnefl4Ìo{cìoè.  deppoìclièj  drile  ceao 
eho  io  aveva  a  dichiararti  runa  è  rih 
dichiarata  compintamente.  1*  amore  dm 
ioti  porto  m'invita  a  dìcliiararii  Tri- 
tra.  La  prima  coca  dichiarata  è  il  dttlo  : 
ir  hon  r  impingua,  tonontioaneggim. 
E  l'altra  da  dichiararsi,  è:  À  Veder 
tanto  non  turto  il  fecondo. 


4>86 


DEL  PARAAISe 


Quando  la  sua  semenza  ò  già  riposta,  s 

A  batter  P  altra  dolce  amor  m*  invita» 
Tu  credi  che  nel  petto,  onde  la  costa 

Si  trasse  per  formar  la  bella  gMncia, 
'  Il  cui  palalo  a  tutto  il  mondo  eosla» 
E  in  quel  che,  foralo  dalla  lancia,  4fl 

E  poscia  e  prima  tanto  sodisféoe. 

Che  d*  ogni  colpa  vince  la  bilancia^ 
Quantunque  alla  natura  «nana  lece 

Aver  di  lume,  tnlto  fosae  infuso 

Da  quel  Valor  che  l*  uno  e  1*  altro  foce  ;  i^ 

E  però  ammiri  ciò  eh*  io  diaai  soae. 

Quando  narrai  che  non  ebbe  fecondo 

Lo  ben  che  nella  quinta  Ince  è  chiuso- 
Ora  apri  gli  occhi  a  quel  eh*  io  ti  rispondo, 

E  vedrai  il  tuo  credere  e  il  mio  dire  ao 

Nel  vero  farsi  come  centro  in  tondo. 
Ciò  che  non  muore  e  ciò  che  può  nx)rìre 

Non  è  se  non  splendor  di  quella  idea 

Che  partorisce,  amando,  il  nostro  sire; 

87.  Tu  creai.  Tu  tieoi  per  fermo,      lar,  dall' eterno  podro  cbo  fooe  l'uti 

l'altro  p«*Uo. 

48  Lo  òmefto  «olla  ftiiatataoi* 


'-nel  peUù  ee.  Int.  nel  petto  di  Adamo. 

58.  la  bella  guancia.  Eva  dalle 
(belle  guance,  o,  presa  la  parte  pel  lut- 
to, la  bellitsima  D.mna. 

59.  •/  Oli  palato  ee.:  allade  al  gii> 
•tere  chVlIa  fcwe  del  viftato  pomo,  eoo 
rovina  di  tutta  la  aua  diaceodeoza. 

40.  E  in  quel  ee.:  e  od  petto  di 
Oetn  Criklo. 

4 1 .  e  poscia  e  prima:  potcia,  iot. 
poateriormcote  al  colpo  della  lancia; 
cioè,  culla  tua  sopnUura,e  eoo  quel  di'ei 
fece  dopo  ritorto  fino  alla  sua  aacen- 
•ione;  prima,  nrl  tempo  della  -uà 
vita  mortale.  Ovvero ,  potrebbe  inten- 
dersi potcia  per  le  colpe  future  dopo 
la  passi*  ne  di  luì,  e  prima  per  le  colpe 
tutte  anteiiorì. 

42.  Che  d'ogni  colpa  ee.:  cioè, 
che  i  >-uoi  ineriti ,  pokti  in  bilancia  con 
tutte  le  eol|>c  umane  possibili ,  sono  ili 
mai|;i;ior  peso.  Al  Costa  piac«|ue  Ipggcr 
eolia  Nid.  vinte,  per  accordarb  eoo 
toditfeee;  ma  non  s'avvide  che  perdo- 
Tt  ma  senso  bellisaimo. 

43-45.  Quantunque  ec.  Ossuto  di 
lame  di  scienza  è  conreiluto  alla  natura 
umana,  tutto  fosse  infuso  Da  quel  Td- 


L'aniuu  buona  che  %.ì  cola  ■ulte  spi» 


dorè,  che  è  qoiute  dopo  di  OM.  E I 
ma  di  Salomone. 

49.  apri  glioedU  oc.:  apri  di  e» 
chi  dell'intelletto  a  ^aellt  eam  At  h 
riapnndo  al  crcdor  tu*.  Ynàk  Mpt  Ì 
verso  37  e  seg. 

50-51.  E  vedrai  «e.  B  vud»  I 
Imo  credere,  che  in  Adamo  c«l  in  Caia 
Crìato  fitsse  tutte  la  srieiisa  ehm  l'asmi 
può  rirrvere  in  kè  ;  e  il  «sia  dira^^aafla 
che  io  d.saì  di  Salomone,  cioè,  cha  a  !■ 
non  sorse  il  secuodo,  JVel  c«ff»  farti 
come  centro  in  tondo:  cudero,cio>,ra 
tramhi  nel  osezzo  del  vero,  comm  il  M^ 
tra  Gjde  nel  meazo  del  oarcUa ,  a  asa 
aaaer  per  eoost'guenaa  eha  urna  aola  a 
medesima  veiità.  L'eapremioaa furisi 
te  da  Doezio,  lib.  lU,  pr.  Il  :  ipeam 
medim  reritatit  nolam  wtenéa  /ImietL 

52-51.  Ciò  che  mm  mmarv  «.« 
cioè,  ogni  creatura  iocorruUihiWaJ  ^gm 
craatnra  corniilihiU  aoa  è  aa  •■■  ai 
raggio  di  quttla  idea  che  il  anatra  ain. 
cioè  Iddio,  genera,  amaa<la  cht  ulto 
partecipi  dell' infinite  tua  haalA. 


Che  quelU  vi^B  Itice  cbe  si  mea 

Dal  euo  lucente,  che  non  si  dìsuiia 

Da  lui,  né  dall'Amor  cbe  in  lor  s'iiilrca. 

Per  sua  boutAle  il  sue  ruggiare  aduna, 
Qu«si  epacL'hialo,  io  noie  sussi-steicrp, 
Klernalmeole  rimanendosi  Dna. 

Quindi  disceode  all'  ultime  poleoie 
Giù  d'  atto  io  alio,  iBiilo  divellendo, 
CLe  più  non  fa  cbe  bfevì  conUngeoze; 

E  queste  conliugenzo  essere  inlendo 
Le  cofe  geuerate,  cbe-  produce 
Con  seme  e  senza  seme  il  t^el  movendo. 

Le  cera  di  coiìtoro,  e  clii  la  duce. 

Non  sta  d'  un  modo,  e  [lerò  solla  il  segno 
Ideale  poi  pitj  e  maa  (raloce: 

Ond'  egli  awìeo  che  un  mwJeaimo  legno, 
Secondo  .spezie,  meglio  e  peggio  frutta, 
E  voi  nascete  con  diierso  ingegno. 

Se  fosse  a  punto  la  ceca  deduita, 

D  Chà  quriia  vira  te  linp->      teendtal 


coucoa  lai,  nomi  (Ilni>al(ga  ti  pa- 
ttr  UKwn  iiMiul  ;  a*  datTÀwuir  eh* 
la  (or  l'Mm,  ai  dui  Siala  Spirila 

■lo  ditÌR  Tuba,  in  dica,  prr  fiHiit 
(Mia  nini  imnia,  Ptr  tua  toNloU, 
per  mcn  rtTllla  di  tu  Imnlk.  luii  nc- 
ctMÌt*la,ilmtiirBff{ar(  «fono.  Qua- 
li iftcMato .  ricvsglii  i  tasi  ngni , 
DUO  ■llrinienli  cLc  in  Itali  iiiKtU  ,  i» 


la  I 


inlalllsi 


l(Mi  diiini  lari)  >Fin|ir'  aiu  a  iaditiit 
in  itilcui.  Srtttkiaio  il  rthritra  i 
rog^fisr*.  a  ttle  ^ai  riiaUttle  ptr 

tpttehio.  Naila  laltEii  i  Cau  Grtuda  ti 
■rggf  :  •  hlit  oBud  oiiiBU  ctianli*  ri 


raddant  iidiat  HipatiHa  ad  idbb  in- 
àltmii  [Il  rt(|liit  ddli  taci  Iute)  di- 


di  gira  iagiro,  MdlB.diiì  poca  illliitl, 
diimeada,  cka  lUiB  produo  plA  ika 

B^'wi  t  r^r^rc,  '"rrà'tìbifiTfi 
hrara  ittuvla* 

G7-0B.  Lawa  UtmUm-  la  mì^ 
rìi  vndc  ai  ruiii|»<utuu<i  la  cut*  «ntnM|     j 
alaaiUD  ctwlajiira.alia  la<U  (arali    J 

pia  pruduuiBo  gli  tlbili  MataiBnia  J 
pucit  la  cut»  g<ncr*le.  olia  tana  KBBil|t''1 
dalli,  tplf fl.li>r(  dalla  dlt.na  idea,  pÌ4  «J 
■>aB.  IraloauBB.  pia  a  «ras  par'Mla  WM 
panacsua.  ti.  prr  iasirmra  il  •onaaMr^fl 
calle  parUt  dal  Biar-I'.  a*  I*  a  ' 
HiRiB  t  d'uà  vntaiiBia  Kmpi 

M    laalD  pìn'U  tm  (auwiila  ba  Ìa-A   \ 
dalla  Uh  a  bella>H  d.U'cMt**  Uift    j 

TO-TI.  uà  Wciina  fep»,  %  j 

malli i;iui<.«.  laitudi. MB  hfWM^  \ 

iudiiiduilaii'iiKil  iuad*tÌyw,MÌI  M  1 

JtBÌBia  ipariGiaairBla ,  ssoa  potila  4'  1 

dBen"li.Ji.Wpfh,.dai.P./h>ltB«ti 
73-7:>.5(faiMa(««t«t*       ~" 


E  fosse  il  cielo  in  sua  viitii  guprema. 
La  luce  M  suggel  parrebbe  tutta. 

Ma  la  natura  la  dà  sempre  scema, 
Similemenle  operando  all'  arlisla, 
C  ba  r  abito  dell'  arte  e  man  che  trema. 

Però  SA  il  caldo  amor  le  cbiara  visla 
Della  prima  virlù  dispone  e  segna, 
Tulla  la  perfezioo  quivi  s' acquista. 

Cosi  fu  ratta  già  la  l«rra  degna 
Di  tulla  r  animai  perfezione; 
Cosi  (u  fella  la  Vergine  pregna. 

Si  ch'io  commendo  tua  opinione; 
Che  r  umana  natura  mai  non  fne, 
Né  fia,  qual  fa  in  quelle  due  persone. 

Or,  s' lo  non  procedessi  avanti  pine, 
Dunque  come  costui  fu  senza  pare? 
Comincorebbor  le  parole  lue. 

Ma  perchè  paia  ben  qnel  che  non  pare. 
Pensa  chi  era,  e  la  cagion  che  '1  mo^e, 
Quando  fu  detto.  Chiedi,  a  dimamlure. 

Non  ho  parlalo  si,  che  tu  non  posse 

Ben  vedor  eh'  ei  fu  re  che  chiese  senno. 


V      I 


duil  d'ds  DHnnIa  loa«  in  ma  lUÀ  82-SS  Ciilfufatta'te.CvA.frU 

■irli  ,  t  tea  diutodaH  d'ilio  in  ■Ilo      iIìtìoi  tìiId.  I*  Ifrrt  di  «tw  b  mÙdIi 


» 


sii  che,  BpBrmadB  diretllr 
MWHniidiWIo.    « 

aerudflcviiw  qull'irikla,  eh*  hi 
rnucl'lbil»  dell'irte  HI,  ni  li  n 


SI.  paia  tm  n,;  iiitai  dfart 
BlIiilieDiiBi  lile. 


i 


Quaml»  Al  drtto ,  ' 

|>n*di  I  diaparr*  Il  «ri  di  (Bi  praprìg  IolUiMi  inrote  <(Flla  Seririitn:  ftUm- 
munti  MViTti  li  thian  Ibi-b  (per-  lajaedtit.  —  a  dtmaniart.  Carti..- 
iMiMe  ddli  una»  iilealo  lini  ,  o  tu-      c  la  tigìm  rha  il  flUMt  ■  JkMMli^ 

[•lilm  din  drlli  Mrriig  ititi  ililairliia-  91    pgiir,  {MiMa.'^^^^HlfiH 


CAUTO  DEGUfOTE&ZO. 


589 


Acciòcchò  re  gufiicìeiite  ham; 

Non  per  saper  k>  nimiero  in  che  eono 
Li  motor  di  qnaasà,  o  ee  naostM 
Con  contingente  mai  neoenf  fanno; 

Non,  fi  est  dare  primum  mohim  e$9e, 
0  se  del  mezzo  cerchio  fer  ri  poote 
Triangol  ri,  eh' un  retto  non  avesse. 

Onde,  se  ciò  eh'  io  disri  e  questo  note, 
Regal  prudenza  è  quel  ▼edere  impari. 
In  che  lo  stra)  di  mia  Intenzion  peroote. 

E  se  a)  Siine  drizzi  gli  occhi  chiari, 
Vedrai  aver  solanòente  rispetto 
Ai  regi,  che  son  molti»  e  i  boon  son  rari. 

Con  questa  distinzioa  ivendi  il  mii^deUo; 
E  cori  poote  star  con  quel  che  credi 
Del  primo  padre  e  del  nostro  Diletio. 

E  questo  ti  fla  sempre  pkwibo  a'  piedi» 
Per  larti  muover  lento»  com'  uom  lasso» 
E  ri  si  e  al  no»  che  tu  non  vedi; 

Che  quegli  è  tra  g^i  stolti  bene  abbasso» 


<oo 


105 


ilo 


96.  iuffieienie,  tdooM ,  eoaqpiafo. 

97.  Ifonper  ioper:  non  Jimiadò 
MBBO  p«r  np«r«  qoaoti  dtiid  i  moCnri 
S  qmttU  ifere  eelesti.  —  «mio,  mb*. 
(2«ì  il  PotU  ioTecedidire  che  SiImbom 
aoa  cUtM  a  Dio  di  Mpero  tatto  de  dbo 
•Ibneeiaao  lo  Mteoie  o  lo  trlì,  la  aoo- 

di  alcool  partìcoUrì  qoasitl  doUo 


t8-9f .  o  M  m€U$$  «e.  8o  do  doo 

i|On  dello  qoali  sia  nicanario» 
I  faro,!' altro  ooo  DeeenaiiaoMBla 
toro,  aa  iob  oaotìogente,  po6  dodoni 
«00  oooaanooia  ooecieariameoto  von. 
Io  aomu BaloMMM  Boo  cliìeaa<fioaM* 
oowoloUololliea. 

460.  Iloo,  dmtiwnjpriwmm  «0- 
fiioi  itfo. Cmkr.  0  ut.:  ooo,  <<  oli;  ao 
ifieoo,  80  ai  dare,  ian,  coooodoro, 
ro,  iffo,  cM  eiitta ,  prioMiai 
f,  m  omIo  pruno,  eoo  bob  aio 
r  offoHo  d'ao  olirò  bioIo. 

401-101.0  io4tl  «ifSM  o«.  (htf  i 
tfioBfoli  ioaefiiti  oel  seoiiecnUoi  oraott 
par  boaa  il  diaoMlro,  haooo  otciowirio 
■Malo  ratio  raofolo  oppoalo  od  omo 
^oBwCro).  M  flwiso  etrcftio,  Mppl* 
dairiro  «»  cioè  noCrorw  dal 
cerchio. 


Uh 

498-404.  OèU,  m  dò  dk'io  àie. 
Hée.  lot:  oado,  te  ta  ootì  ciò  ehio  diial 
ìb  priflio  (doè  che  À  t$d§r  telilo  «o» 
fvrwilfloeoiido),  e  focato  eho  dieo  ore 
(doè  dk' ei /b  r«  dbo  dUaio  MMW,  io* 
chcM  f  $uf/kUmie  /iMfa), 
che  qoel  «adire  «nparC,  cioè  BOB  ( 
ft  firi,  è  la  rcgal  pmdooia. 

4  05.  Ib  c&e  lo  $irmi  oe.  :  di  dbo  lo 
valli  diro,  o  ioteodo  pariore. 

409. 00  ul  Smru:  cioè,  al  loofo  ofo 
lo  dico  À  vwdtr  UaUo  bob  aiirao  U  «o- 
oaBdo.  n  fBrta  porta  ecco  f  ideo  d'vBo 
dorata  eoadaDOoo,  qnal  è  appooto  qM^ 

444 .' AfI  fiHéioyMbr«,  di  AdoiBO. 
—  0  del BoUro  DaaMo,  doè, dl<;oaè 
edito. 

442-444.  E  q^éttù  K  /•  oc.  E 
«Beato  alio  rogioooflMoto  U  faeaio  il- 
leaato  od'  oltre  volta  ad  albraaro  • 
0  neaore  nello  eoeo  ia  cai  bob  &eaiai 
dBw^ 

449-449.  lr#fllalolll  taio  «Ito- 
m,  ad  fiMido  ddlo  atdtcao.it  pi*  atollo 
di  talli  oli  atoW.Coalr.  ;  dta  fMill  «lo 
OCMM  dialiBSiOBO  e^OTBMI  •  fMfe  è 

leu  oèèBMO  Im  §H  $MU  «pei  md" 

fim  et. 


die  Eunra  disUtniione  afibrma  o  niegn. 
Cosi  neir  un  come  nell'acro  pasìo; 

Piich'  egl'  inronlra  che  più  l'olle  piega 
L' opinion  correnfe  In  felw  parte, 
E  poi  r  aRì'Ito  lo  inlellello  toga. 

Vie  più  che  indamo  da  riva  si  porte, 
Perchè  non  torna  lai  qiial  ei  si  move. 
Chi  posca  per  !o  vero  e  non  ha  1'  arie 

E  (li  ciò  sono  al  mondo  aperte  provo 
Parmenide,  Melisso,  Brisso,  e  molli, 
Li  quali  aridavan,  e  non  iiapean  deve. 

Si  Te  Sabcllio  ed  Arrio,  e  quegli  Molli 
Che  ^ron  come  ?pade  alle  scrilture 
la  Moder  lorti  li  dirilti  volti. 

Non  sien  le  genli  ancor  Iroppo  sicore 
A  giudicar,  si  come  qiKi  che  stima 
La  biade  in  campo  pria  che  sien  nutnrflj 

eh'  io  ho  veduto  tutlo  il  verno  prima 
r  prun  mo  trarsi  rìgido  e  feroce. 
Poscia  portar  la  rosa  in  su  la  chna; 

E  legno  vidi  pia  drillo  e  veloce 

Correr  lo  mar  per  tutto  suo  canunino. 
Perir  ai  fine  all'entrar  della  ftwe. 


»n   Ce 

ptim:  tanlo  noi  two  di  at{iin, 
il  (fffnnara. 

US.  incanirà.  «Kid«, 

419.  L'DninfDnFBrrmd,  eoi 
prccipiluia,  i(||iiii<iin(i  ■llidlilo. 

iSO.BpaiftUrlUie  EfoiV 
U  prnprn  opnioac  l«tia  In 


urli'  oHro 


1!T   SatilttoidA 
Ilei.  SéttlKo,  et«r*r, 


Mia,  il'iniKdiB 


ÈitnioiliT  ifisgiiir- 


■rìa,  DiiJt  fn-      TriBiU:   Arr 


mi  in  pfBijiiJr  t"ndiiionr,  nni  pieno  di 
frriHi.  Gaiitr-  :  Chi  pica  ptr  la  «fa 
p*r  Irotare  il  jtrt,  i  lun  Iks  farlt.  lì 
ptrleda  riva  tir  più.  p^BIpi',  thrfit- 
d«nto,  ptrrlii  non  lonu  (ai,  ■  rìjé, 
ftial  li  parli. 

ina.  /'«nMMdt.UoMU&'BM, 


<3S  ChefuToa  fm*  Mwb  N 
hr  rnrru  VutiéH,  dì  ipidc,  J\  ^M^ 
tn«  lo  Sicre  SeiiUur*  ilfraoilibj 
uirindule,  per  rmdrHr  f**srn|lt  « 


(31   r«BW0  *  ftrott.  upn  « 


CANTO  DECIMOTERZO. 


Non  creda  monna  Berta  e  ser  Martino, 
Per  vedere  un  furare,  altro  offerei^, 
Vederli  dentro  al  consiglio  divino; 

Che  quel  può  surgere,  e  quel  può-  cadere. 


B9\ 


i¥> 


foce  Del  tento  di  aMlmH|ae  iaikotetts- 
ra  0  di  porto ,  o  di  Game. 

439.  Non  creda  mvwna  Berta  te. 
Intendi:  non  creda  ogni  piniochera; 
qualunque  donnaoco'a  del  toI^. 

440.  un  furare,  altro  offwrere: 
vedere  ano  a  rubare,  e  P  altro  ad  offe- 
rire ,  a  fare  offerte  a  Dio  o  alla  Chiesa. 


141-142.  VééerH  dentro  ee.:  doè, 
vedarli  neU«  meola  di  Dio  ooali  tono  io 
vista  agli  oomiai  ;  percioccbè  C(>lai  che 
ruba  può  od  giorno  peotiiti  e  aDdare  a 
salTanone  ;  ed  all'  oppotto  colui  che 
oggi  è  pio ,  poè  cadere  oella  colpa ,  e 
aodare  tra  coWro  ebo  tooo  eteroamente 
perduti. 


CAUTO   DB€«lf09VABT0. 


rolg*  B*mtric*  U  pmnim  al  ètmti  i|rfrH 
mmomt  uhianmtHU  dommméa.  thpm  tm  naptttt . 

4*mM  *ttèit0  Irmslaf  m  Marta.  Ptr  due  Uut 
myo  tUt  pi^ttta  *<m  uorrtmé»  trm  mai 
ftr  tm  ftét,  «  a-ico  mmòtUttWH»  fvT 


«M  thmHa  tnmmti  im  mttto,  *  fr  V.4lumm» 

ifUnkdti  ^mtgùuitomo  ai  primi,  tonto  dbr  Im 

MtM  éi  Wtmtfie»  rtpft$»É9  f  affiv.fi  jii«,  «  wt^'tti 

ÉB  ftmm  <U  Cfwm  gttmdamUMt  anr^wtrao  il 

to  miOm»  éi  mion  akt  dtuv  U  smtfuf 

CMtt»  •  dMm  €hm»m. 


Dal  centro  al  cerchio, e  si  dal  cerchio  al  centro, 
Movesi  r  acqua  in  un  ritondo  vaso, 
Secondo  eh'  è  percc^sa  fuori  o  dentra 

Nella  mia  mente  fe  subito  caso 


4 .  Dal  centro  al  cerchio  ee.  Costr.: 
L'atqmm  in  un  tato  rotondo  mooati 
dal  centro  al  cerchio,  e  «i,  UteasaoMO- 
t«,  dmleerckioal  centro,  ioeondaek'è 
pireotaa  fuori  o  dentro, 

5.  pareoMO.  Riporto  tutta  ioten  a 
qoe»to  looM  la  nota  del  G>sta,  perchè 
spiega  pertellBiMate  il  concetio.  a  II 
C4m1.  Barlolio.  (dica  egli)  legge  pereoff- 
wo,  od  il  Viviani  onaerva  ohe  il  vaso  paò 
esMra  ptraoasa  e  fuori  e  dentro,  e  ooo 
fi't  r  acqua  «ha  è  deotro  al  vaso  ;  a  tàooe 
che  pareaua  ma  la  vera  leiiiinau  Ma  io 
coaaÌ4Ìero  cha.  a  fare  che  l'aeqoa  ti 
nuova  0  oarelMO,  couvirne  o  percuotere 
r»o  aeqoa  donlro  al  vaso,  o  p.-reootere 
il  TOSO  aaterìormrnte,  a  che  in  qoeato 
oJtiora  eoso  ti  poò  dire  che  l'aeqoa  è 
percosoo  deptro.  cioè  nel  too  iolerao, 
dallo  pareli  del  vaso.  Otti  ti  spiefa 
qoealo  poaao  accoodo  la  leiiooo  cooio- 
ne.  Ho  aoeoodo  il  Vi 


'iviani,  cooio  potrh 
tpiegorai  il  dentro,  parlando  di  voto? 
Fcr  mover  l'acqua  nel  va»o  tara  forse 


bisogno  di  percuoterlo  oella  sua  int^ 
tiare  cavità?  Mai  no.  L* aequa  sì  eho  ti 
puè  percni4ero  deatro  toccandola  ìohb^ 
diatameota  ;  e  ai  può  porcuotero  feovi, 
percnotfodo  la  parati  eateroe  del  vaso, 
che  ven'vono  poi  a  dar  naoto  all' aeqoa 
intemamente.  Si  ootì  ancora  che  la  ti- 
mililudine  al  oiodo  da  me  stabilito  A 
aflh  o  ciò  che  vool  significare  il  Poota. 
Se  tu  percuoterai  V  acqua  nel  eeaCro 
della  sna  auperficie,  i  drcoli  andoranoo 
da  esso  contro  verso  la  peri  far  n  del 
vaso;  te  percuoterai  le  pareti  ealarao 
di  esso  vaao,  i  cerchj  anderanoo  dalla 
perìforia  al  ceotro.  Similmente  la  voeo 
di  San  TomoMao  andò  dalla  pariferU 
al  ceotro  di  qoel  luogo  dove  araoo 
Dante  e  Beatrice:  e  poacia,  porloodo 
Beatrice,  la  voea  ai  lei  andò  dal  ooolvo 
alla  pe.  ircrìa  suddella.  • 

4-8.  Kella  mia  mente  ee.  Questo 
oCf«^ttu  nai orale  dell'  aequa  oel  vaso  f$ 
iubil  '  caio  (cadou)  Nella  mia  utente, 
mi  cadde  subito  in  pensiero,  lostochè 


592  DEI'  PABADISO 

Questo  eh'  io  dico,  ù  come  si  tacque 
La  gloriosa  vita  di  Tommaso, 

Per  la  similitudine  che  nacque 

Del  suo  parlare  e  di  quel  di  Beatrice, 
A  cui  si  cominciar  dopo  lui  piacque: 

A  costui  fa  mestieri,  e  noi  vi  dice 
Né  con  la  voce  né  pensando  ancora, 
D*  un  altro  vero  andare  alla  radice. 

Ditegli  se  la  luce,  onde  s*  infiora  ' 
Vostra  sustanzia,  rimarrà  con  voi 
Eternalmente  si  com'ella  è  ora: 

E,  se  rimane,  dite  come,  poi 
Che  sarete  visibili  rifatti. 
Esser  potrà  eh*  al  veder  non  vi  nói. 

Come  da  più  letizia  pinti  e  tratti 
Alcuna  fiata  quei  che  vanno  a  rota, 
Levan  la  voce,  e  rallegrano  gli  atti; 

Cosi  air  orazion  pronta  e  devota 

Li  santi  cerchi  mostrar  nuova  gioia 
Nel  1001631*0  e  nella  mira  nota. 

Qual  si  lamenta  perchè  qui  si  moia 
Per  viver  colassù,  non  vide  quive 
Lo  refrigerio  dell'  etema  ploia. 

Queir  uno  e  due  e  tre  che  sempre  vive, 


IO 


15 


:o 


:5 


•i  tacque  la  vita,  V  aoima,  di  Tomma- 
•o,  per  la  somiglianza  che  col  dello  ef- 
fetto dell'  acqua  avea  il  parlare  di  lai  e 
quel  di  Beati  ice,  come  nella  Dota  sopra 
è  detto. 

40-12.  À  costui  (accenna  Dante)  fa 
meilieri,  costui  ha  biso(pio  d'andare 
alla  radice,  al  fondo,  d'un  allro  raro, 
per  conoscerne  la  rafpone. 

43.  M'infiora,  s'adorna. 

\7.  tiMibiU  rifatli,  rìfatU  nsibili 
dopo  la  resurrezione  dei  corpi. 

\%.  eh' al  veder  non  vi  nói:  cioè, 
che  questa  vostra  luce  non  rechi  noia, 
fastidio  al  vedere,  cioè,  a^lì  occhi  To&tri. 

20.  Alcuna  fiala  è  della  Nid.  e  dei 
Cod.  Vat.  e  Cbig.  Tulli  gli  altri  Alla 
fiala.  —  ehé  vanno  a  rota,  che  can- 
tando  danzano  in  giro. 

21.  Letan  te  voce,  rìnforiano  il 
«Dio,  9  raUegrano  gli  alti,  e  aTTÌraao 
^  pi«  allegretza  i  movimenti  loro. 


22.   alforrnsion,  alla  doaanda,      l'imo 


pronta,  franca,  libera  ;  ée!99lm,  rtvt- 
reale. 

24.  JVef  torneare,  d«1  morcni  k|- 
giadramenle  in  giro.  —  imUs  wàra 
nolo,  nel  mirabile  canto. 

25-27.  Qual  ti  law%enim  ce.:  óà 
si  lamenta  perchè  ^mì,  in  fonato  Bio- 
do, n  debba  morire,  por  pame  a 
TÌverc  in  cielo,  corto  si  lamento  nmAk 
non  videfvtre.  qui\i^  in  delo,  ilgM* 
dio  che  la  ploia,  la  pioggia  eterna  id 
beatiflco  lume,  produce  no*  beati;  oor* 
che  se  tanto  bene  sì  potcaso  ir 
re,  la  morte  si  aspetti>rebbe 
desiderio,  e  si  riguarderebbe 
benedizione  di  Dio. 

2S-29.  Quell'urna  ee.  Qndrcola 
cbe  vive  e  regna  etemo,  trino  ianntaals 
aoataoza. — due.  Gesù  Criato  sello  èm 
nalore  divina  e  amano.  Noto  U 
spoodenza  delle  parole  nò  Joo 
I'mio  in  tre,  il  due  in  éu»,  il  Irvi 
I» 


CANTO  DECIMOQUA&TO. 

E  regna  sempre  ìd  tre  e  due  e  uno, 
Non  circonscritto,  e  tutto  circonscrive, 

Tre  volte  era  cantato  da  ciascuno 
Di  quegli  spirti  con  tal  melodia, 
Ch'  ad  ogni  merto  saria  giusto  muno. 

Ed  io  udii  nella  luce  più  dia 

Del  minor  cerchio  una  voce  modesta, 
Forse  qual  fu  dell'  Angelo  a  Maria, 

Risponder:  Quanto  ila  lunga  la  festa 
Di  Paradiso,  tanto  il  nostro  amore 
Si  raggerà  dintorno  cotal  vesta. 

La  sua  chiarezza  seguita  V  ardore, 
L' arder  la  visione,  e  quella  è  tanta, 
Quant'  ha  di  grazia  sovra  suo  valore. 

Come  la  carne  glonosa  e  santa 
Fia  rivestita,  la  nostra  persona 
Più  grata  fia,  per  esser  tutta  quanta. 

Perchè  s' accre-^érà  ciò  che  ne  dona 
Di  gratuito  lume  il  sommo  Bene; 
Lume  eh*  a  lui  veder  ne  condiziona  : 

Onde  la  vision  crescer  conviene, 

Crescer  l'arder  che  di  quella  s' accende^ 


693 


30 


S5 


40 


45 


60 


50.  Non  eirconicritlo  te.  È  dot- 
trina teologica  che  Dio  non  è  oè  conlt- 
oalo,  né  limitato,  «Mencio  inrinito,  e  che 
tolto  contiene  in  tè:  conlinei  onmia; 
0  in  quo  inni  omnia. 

51 .  Tn  votle  era  cantato.  Inten- 
di: l'inno  Gloria  Patri,  o  oaalche  al- 
tra ftrofa  in  onore  della  Trimth. 

53.  Ch'md  ogni  therto  iaria  gin- 
ito  wmno:  la  oual  melodia  aarebbe 
ginata  rimaaeraiiune  a  quaUivoglia  me- 
rito.—  minio,  premio,  dal  lat.  ffiwna. 

54.  pie  dia,  più  risplendente. 

55.  Del  minor  cerchio,  del  cer* 
cliio  interno  e  più  vicino  a  lui.  —  wnm 
tace.  Intendi  la  voce  di  Salomone. 
—  modettm:  dov'è  vera  aapieosa,  ivi 
e  modestia. 

56.  guai  fu  dell'Angelo  a  Maria. 
Quando,  cioè,  le  disse  Av»,  e  le  an- 
nnnsiò  il  concepimento  dell' nomo  Dio. 
Cerio  V  Angelo  anche  nel  tono  della 
voce  dovè  moatrare  gran  reverenza  • 
sommiaaiooe  a  colei ,  che  era  destiMta 
regina  degli  Angeli. 


57-58.  Quanto  fia  lunga  te.:  che 
Tool  dire:  per  tutta  l'eternità. 

59.  Si  raggerà  dintorno  ee.: 
apergerh  d'intorno  questo  lume  di  che 
r anima  nostra  s'ammanta. 

40-42.  La  tua  chiaratxa  te.  La 
chiarezza  di  questa  fulgida  veste  è  a 
misara  della  nostra  caritè  verso  Dìoj 
e  questa  è  a  misura  della  visione  onde 
siamo  da  Dio  fatti  beati  ;  e  la  vistoiie  è 
tanto  più  chiara  e  vira,  quanto  è  mag- 
giore la  grazia  che  ci  avvalora  la  vieta. 
—  fovra  tuo  valore,  int.  aggiunta  al 
proprio  valore  intellettuale. 

45.  Piò  grata  fia,  piò  bella,  più 
splendente,  e  perciò  aFTetta  di  ma^^iar 

E  lacere,  e,  se  vuoi,  anche  più  grata  a 
lio.  —  per  e$ter  tutta  quanta,  ptr 
eaaer  nella  sua  integrità,  cioè  io  anima 
e  corpo,  e  conseguentemente  pie  par^ 
feUa. 

47.  il  tommo  Bene,  Iddio. 

48.  Lume  eh'  a  lui  rader  «e.  Lame 
che  ne  condiziona^  ne  dispone,  d  fa  ca- 
paci a  vedere  esso  Dio. 

38 


Crescer  lo  raggio  cbé  dar>e«o  vìéoèk 

Ma  sì  come  oarbov  dto  fiamma  rende, 
E  per  vivo  candòr  (fnlMrfwereMa 
Si,  che  la  sim  pervema  ai  dUéndè; 

Cosi  questo  fo)^»  che  gii  ne-  cerchia, 
Fia  vinto  in  apfmrenadiMa' carne' 
Che  tnttodi  la  terra  riooperchià; 

Kè  potrà  tante  Ivoe  alRiticanie; 

Che  gli  organi  del  corpo  nran  Jorti- 
A  tutto  ciò  cbe  potrè  diteltame.- 

Tanto  mi  parver  snlrfli  9&  acrorti' 
£  r  uno  e  1*  altro  coro  a  dieer  amiiM, 
Che  ben-  mostrardiirio  de'corpi-  morti  ; 

Forse  non  por  por  hr,  ma  per  le  marame^ 
Per  li  padri,  a  par  gK  altri  che  fbr  cari-. 
Anzi  che  fioW  aempfiterne  fiamme. 

Ed  ecco  intomo  di  chiarezxa'parì 

Nascere  un  lusitro  sopra  qnel  che  ▼'  era, 
A  guisa  d*  orizzonte  che  rischiari. 

E  si  come  al  salir  di  prima  sera 

Comincian  («r  lo  cìét  nuove  parvenze. 
Si  che  la  vista  piaree  non  par  vera; 

Panemi  li  novelle  sussistenze 

Cominciare  a  vedere,  e  fiire  un  giro 
Di  fuor  da  ir  altre  due  circonferenze. 


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6) 


6ò 


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7S 


81 .  ehf  éà  Cito  tiene  :  che  <!•  ette 
tfdore  si  difTontle. 

52-56  Jfo  si  rome  ee.  Ma  necooM 
il  carbone  che  produce  la  fiamma,  \ìnet 

3 nella  colla  vivacità  del  pmprio  apleB» 
ore,  di  modu  che  la  sna  parventm 
{àr\  carbone),  il  fm*  apparire,  fa  sua 
vbta  .  lelinente  ai  diffnde ,  cbe  non  re- 
ità vinta  dallo  sp!eadiire  della  fiamma 
ttesM  ;  enei  la  carne  de*  beati,  dopo  la 
resiirreiione ,  in  apparenza,  in  visibi- 
lità ,  vineeri  il  lume  onde  sarà  cireoii- 
daCa. 

57.  iuttodi.  tattavia^hittnit.  — ri- 
COperrMtt,  rrcopre ,  tiene  sepolta. 

02.  l'uno  e  l'altro  coro.  le  dna  eo- 
rone  de* beati  spiriti.  —  amme,  amen, 
coaì  sìa  :  es«iaroaiione  di  desiderio,  t  di 
approvarione. 

63.  moeirar  dMo  ee.  .'.mostrarono 
desiderio  d^csaer  riaoitt  ai  loro  corpi 
ÌM$€ÌÉti  io  terra. 


eS.  che  /ktr  cari,  int.  a  loro,  cfa 
amarono  prima  d'esser  beati.  E  riè  d^ 
siderano ,  perchè  dopo  la  rwiiiuiiiiaa 
sarà  lìnifo  il  Purgatorio. 

67-68.  «n  lutiro,  no  lame,  aopra 
quei  che  v'era ,  al  di  U  delle  d«e  e»> 
rone  di  sfavillanti  spiriti ,  coma  dka 
ioUo  al  ve:  so  75.  —  ekimregim  paHf 
d' an  modo  medesimo,  agaalo  in  UiMi  ì 
paoli. 

69.  che*  rischiari,  dia  diiran 
chiaro. 

70.  ai  taHr  di  priwm  arra  *  la 
notte  s' immagina  saltra  il  grand' aita 
edeste  opposta  al  soie. 

71 -7Ì  niiot)a|>areaiUM,nttnTaaf- 
parìiioni ,  nuove  stelle,  sicché  im  cCifa 
di  esse  tanto  è  scarsa  (per  cagiona  ^'la 
luce  solare  che  ancora  ai  moatra).  dM 
pare  e  non  pare  che  sia  vera. 

74.  fare  un  giro,  descrivwv  «a 
ecTclvio. 


,  CANTO  DECIMOQUABTO. 

0  vero  sfavillar  del  santo  spiro, 
Come  si  fece  subito  e  candente 
Agli  occhi  miei,  che  vinti  noi  soffrirò  ! 

Ma  Beatrice  si  bella  e  ridente 

Mi  si  mostrò»  che  tra  1*  altre  vedute 
Si  vuol  Ia.<ciar  che  non  seguir  la  mente. 

Q'iindi  ripreser  gli  occhi  mìei  virtute 
A  rilevarsi,  e  vidimi  traslato  (*) 
Sol  C4)n  mia  Donna  a  più  alta  salute. 

Ben  m'accors'io  eh*  i^era  più  levalo, 
Per  r  affocato  riso  deHa  stella, 
Che  mi  parea  più  roggio  che  1*  usato. 

Con  tutto  il  cuore,  e  con  quella  favella 
Ciré  una  in  tutti,  a  Dio  feci  olocausto, 
Qual  conveniasi  alla  grazia  novella; 

E  non  er*  anco  del  mio  petto  esausto 
L' arder  del  sacrificio,  eh*  io  conobbi 
Esso  litare  stato  accetto  e  fausto; 

Che  con  tanto  lucore  e  tanto  rebbi 

M*  appanero  splendor  dentro  a  duo  raggi, 
Clf  io  dissi:  0  Eliòs,  che  si  gli  addobbi! 

Come  distinta  da  minori  e  maggi 

•    Lumi  biancheggia  tra  i  poli  del  mondo 


595 


SO 


S6 


90 


95 


76.  O  vero  sfatiUar  te.  Dice  eotk 
perchè  ogni  luce  che  in  cielo  rUplende, 
è  mo«M,  tpii'itU  da  Dio,  «Itillo  Spiiito 
Santo,  i  cui  raggi  ti  rifleltooo  nelle 
•nime  beate. 

77.  e^ndtnU,  infocato,  aeces«>. 
80-81 .  ira  l'altre  vedute  Si  vuol 

loéciar  ce.:  che  io  ttm  coslrrlloa  lasciar- 
la ,  a  iocluilerla  tra  gli  ullri  oggetti  ve- 
duti, càe  non  ieguir  la  menta^  cke 
non  restarono  impreasi  nrlU  memoria  j 
fra  quelle  ccmc,  a  cui  la. mente,  enme 
tlisae  nel  Canto  1,  dietro  non  può  ire. 
{*)  Qni  Dante  Irapaasa  dal  Snin  al 
quinto  cielo  dì  Mitrle. 

84.  a  piii  alta  ialuts.  a  pii  die 
grado  di  gloria ,  o  di  beatitudine. 

85.  eh'  i'  era  più  levato,  eh'  ie  en 
asceso  più  in  alto 

86.  l'affocalo  rito,  l'intense  ri- 
splcadere ,  il  rosseggiare  della  stella. 

87.  più  roggio,  più  rosso. 

88.  con  guella  favella  ee.  lì  li», 
goaggio  che  è  uno  in  tutti  gli  nomini , 
perqnante  diiern  di  clima,  di  costami, 


di  modi  vocali  I  è  il  linguaggio  dal» 
TsDiroa.  mossa  in  tntti  dagli  affetti 
stessi,  e  istessamente  manifeslantisì. 

89.  oloeautto.  sacrifii io:  e  qoi  vale 
ringraziaiue.ilo  rer^entisaimo. 

90.  alla  grazia  ntivelta,  d*  tmtn 
stato  poi  tatù  in  quest'altro  cielo. 

93  Etio  litare,  il  mio  saerìficnre. 
Intendi  luicrificto  di  lode  a  Dio  e  di  rÌA- 
graai'imento. 

94 .  lucore,  splendore.-— ro6M,  roe> 
li.  Robbo  è  voce  dal  lat.  rubent,  o  nh 
beut,  come  si  legge  in  una  antica  iaeri 
filine,  riferita  dal  Viisaio  neiretimole- 
gia  della  voce  ruber ,  e  presso  lo  ScaK* 
gero  nelle  note  a  Vsrrone. 

93.  o  duo  raggi:  a  due  liste  InoiS- 
noae  formanti ,  come  dire  in  legnile , 
una  croce. 

9('>.  O  E/Jds.o  eccelso  Lidie,  e  Inaa- 
noao  Idiiio.  Elioe  è  voce  cke  in  rbraice 
vale  eeeeUo ,  in  greco  iole,  —  gli  md- 
dobbi,  gli  adorni,  f*li  abballi. 

97-99.CoinedM<inlaec.:  cene  G«- 
lattia  b  ancheggia  <it<linla,cioc  sparsa, 


596 


DEL  PARADISO 


Galassia  si,  che  la  dubbiar  ben  saggi, 

Si  costellati  focean  nel  profondo 

Marte  quei  raggi  il  venerabil  segno. 
Che  fan  giuntare  di  quadranti  in  tondo. 

Qui  vince  la  memoria  mia  lo  ingegno; 

Che  in  quella  croce  lampeggiava  Cristo, 
Sì  eh*  io  non  so  trovare  esemplo  degno. 

Bla  chi  prende  sua  croce  e  segue  Cristo, 
Ancor  mi  scaserà  di  quel  eh*  io  lasso, 
Vcggendo  in  queir  albór  balenar  Cristo. 

Di  corno  in  corpo,  e  tra  la  cima  e  il  basso, 
Si  movean  lumi,  scintillando  forte 
Nel  congiungersi  insieme  e  nel  trapasso. 

Così  si  veggion  qui  diritte  e  torte. 
Veloci  e  tarde,  rinnovando  vista, 
Le  minuzie  de*  corpi,  lunghe  e  corte. 

Moversi  per  Io  raggio,  onde  si  liista 


100 


i05 


no 


115 


panlcggiala  di  lumi  mÌDori,  e  maggi, 
maggiori.  Galassia  ,  la  via  lattea ,  dal 
gr.  yi\v.y  latte.  —  fa  dubìnar  ec.:  fa 
dubitare  òffi  saggi,  cioè  omnini  molto 
aag(TÌ ,  valenti  filosofi  ,  cìrra  la  vera  ca- 
gione tiel  tuo  1  isplcndere.  Ognuno  st 
che  diverse  furono  le  opinioni  degli  an- 
tichi filosofi  intorno  alla  cagione  di 
Suell»  fascia  di  chiarore  biaiirastro. 
^ggi  n  crede  por  gli  astronomi  che  al- 
tro non  aia  cue  un  seguito  di  grandi 
strati  di  nelmlose ,  cioè  stelle  cinte 
d' un'atmosfera  ;  del  qual  genere  fona 
è  il  nmtro  sole. 

400-402.  Si  eosUUati  €€.:  cioè, 
eoe)  distinti  a  guisa  dì  grandi  e  piccole 
ftellc,  (quei  ra(;gi)  facevano  dentro  il 
corpo  di  esso  (di  Ma:  te)  quel  venerabil 
sogno  (la  crocei  che  in  un  tondo .  del 
circ«do ,  fanno  due  dianit'tri  che  si  ia- 
tenecano  ad  angolo  retto,  e  cungiun- 
goDO  per  conscgiionza  i  quadranti  del 
circolo.  —  Sì  costellali,  seminali  di 
atelle  a  guisa  della  G.-ilassia. 

405-105.  Qui  vince ee.  Qui  il  mio 
ingegno  rimanr  vinto  dalla  memoria  :  qui 
non  ho  ingegno  che  La!»ti  a  descrìverà 
conveoientcmente  con  esempio ,  con  si- 
militudine condegna,  ciò  chi>  mi  ri- 
cordo di  aver  «eduto  in  qncUa  croce; 
che  la  memoria  delle  coke  vedute  è  pia 
forta  in  ma  dello  ing^no  per  rappre- 
aantarla. 


406-408.  Ma  chi  prende  tua  ente 
(in  questa  %ita)  e  segue  Cri»!*,  Ancor 
mi  scuserà  ec.  :  mi  scnki>rà  fin  d'ora, 
l'io  non  so  ridire  il  mard%igli«so  io* 
canto  di  quella  croce  che  m'apparve, 

Juando  a  lui  pure  la  croce  presenti 
elle  tribtdazioni  apparisae  st  bt-lla , 
poirhc  nell'albóre  di  essa  \ede  balenar 
Gekù  Cnslo.  —  K  San  Paolo  :  mihi 
abiii  glitriari  nisi  in  CrueeJetu  Chri- 
iti.  lo  mtcndo  cosi.  I  comentatori  cha 
ho  rìscoiitralo  spiegano  :  mi  scnacrè 
quando  egli  ancora,  giunto  in  ciria, 
vedrà  lampeggiar  Cristo  in  quell'ai- 
bdre. 

409.  Di  corno  incorno,  da  on'eatr^ 
mith  air  alt  a  delle  brarria  ,  e  da  capa 
a  piedi  di'lla  croce  ;  ossia  per  il  diama» 
tro  orizzonUle  e  per  (|urllo  verticala. 
4  10.  lumt,  animr  Insite. 
411.  JS'el  congiungersi  intiemoet^ 
al  punto  d'iiitcnif7iuiie  dflle  dite  TiBea 
facenti  la  croco,  do>e  gli  spiriti  a*HH 
contravano,  e  trap-i«i<ta^auo. 

1 13.  rinnitrando  ruta:  cangiasda 
d'apparenza  ad  o|;iii  nioinriilo. 

114.  L  minuzie  de'roiyi,  cioè, 
quelle  niinolis&ime  parlicclle,  o  atoaù, 
elia  ai  veggono  in  vane  forme  mavani, 
nuotare  per  entro  quella  atriaca  di  ìmea 
che  entrano  nella  casa  per  la  porte  • 
per  le  finestre  o  per  altrì  fori. 

4lb-l  17.  onde  si  UsU  cc.:aadt  è 


CANTO  DECIMOQUAETO. 

Tal  volta  l'ombra,  che  per  sua  dlfe.<;a 
La  gente  con  ingegno  ed  arte  acquista. 

E  come  giga  ed  arpa  in  tempra  tesa 
Di  molte  corde  fan  dolce  tintinno 
A  tal  da  cui  la  nota  non  è  intesa  ; 

Cosi  daMumi  che  lì  m'apparinno 

S*accogliea  per  la  croce  una  melode, 
Che  mi  rapiva  senza  intender  l' inno. 

Ben  m' accors'  io  eh'  eli*  era  d'  alte  lode, 
Perocché  a  me  venia  Risurgi  e'vinci, 
Com*  a  colui  che  non  intende,  e  ode. 

Io  m*  innamorava  tanto  quinci. 

Che  ìnPino  a  li  non  fu  alcuna  cosa 
Che  mi  legasse  con  si  dolci  vinci. 

For^e  la  mia  parola  par  tropp*  osa, 

Posponendo  il  piacer  degli  occhi  belli, 
Ne'  quei  mirando  mio  disio  ha  posa.   . 

^la  chi  s'avvede  che  i  vivi  suggelli 
D' ogni  bellezza  più  fanno  più  suso. 


697 


i20 


m 


130 


tagliata ,  listata,  l'ombra  ebasi  genera 
per  cagione  de  ripari ,  come  sono  le 
imposte,  le  ttoie  o  simili  altri  infe- 
rni, che  i'uumo  con  arte  oppone  al  sdle. 

4  48.  giga,  strumento  mosicale.  — 
in  tempra  lesa  Di  molte  corde:  eoa 
più  corde  insieme  armonizzale. 

419-420  fan  dolce  tintinno  ee.' 
(oceano  piacevolmente  gli  orecchi ,  pnr^ 
gon  dilellu  anche  a  chi  non  ne  ìnlenae  la 
nota,  il  tenore  del  suono*,  ovvero  l'arte 
musicale  che  in  quel  suono  «'accoglie. 

421.  apparinniì,  temiinaz.  regol.: 
ina  o)*gi  meglio  apparirono, 

422.  «ina  melinie,  una  melodia. 
421-425.  eh'  eli  era  d' alte  lode: 

che  quella  melodia  esprimeva  alte  lodi  ; 
pender  he  intesi  chiaramcnle  queste  paro* 
le:  Riswrgie  vtnrt.  Vfuc&te  parole  di 
trionfo  sono  dell'inno  in  lode  di  Gesù 
Cristo  trionfatore  della  morte,  il  ^oale 
laDi|)efrgìa>a  in  quella  croce. 

427.  quinci^  di  questa  melndit. 

429.  einct,  o  vinchi,  legami.  Vimco 
è  spezie  di  salcio. 

4 30'  4  52.  Forte  la  mia  paroìmpar 
iropp'ota.  Forse  l'espressione  del  ter- 
nario precedente  sembra  troppo  aniita. 
venendo  io  a  poii|.'orrc  ad  altra  enea  il 
giacere  degli  occhi   dì    Beatrice,  nei 


quali  se  miro,  s'acquieta  ogni  mio  de- 
siderio. 

4  53-4  36 .  Ma  chi  t*  atte^  che  i  9i» 
vi  iuggeUi  ee.  Avendo  detto  il  Poeta  ebe 
il  piacere  avuto  nel  cielo  di  Marte  era 
stato  maggior  d'ogni  altro  precedente , 
poteva  rimproverarglisi  che  avesse  pot- 
posto  a  quello  il  piacere  degli  occhi  di 
Beatrice.  Egli  pi  eviene  un  tale  rimpro- 
vero ,  e,  come  si  esprime  egli  stesso ,  sì 
accnsa  per  iscusarsi ,  dicendo  che  ante- 
ponendo a  quelle  vedute  sin  ora ,  le 
nellezze  di  Marte ,  non  deve  far  mert> 
viglia  a  chi  consideri  che  i  cicli  tanto 
più  son  perfetti  quanto  più  s'avvicinano 
all'empireo,  e. die  non  essendosi  ancor 
volto  a  Beatrice ,  ni  essendosegli  ancor 
dischiuso  il  divino  piacer  de'  suoi  oedii^ 
non  l'avee  compresa  nel  suo  paragone; 
che  certo  anche  in  Marte  dfoveva  ella 
farsi  più  bella  del  pianeta  roedetinM| 
come  era  avvenuto  in  lutti  i  cieli  pre* 
cedenti.  Uifatti  vedremo  che  il  Poeta  ti 
volte  a  Beatrice  al  verso  32  del  Gante 
•eg.  Quelli  che  per  •  vivi  $ugg§Ui  in- 
tendono gli  oocbi  di  Beetrice ,  a  p«fr 
mio  t'ingannano,  che  il  tmggelUtn  • 
il  fare  tono  esprauioni  ripctote  cento 
volte  a  dimostrare  le  operazioni  dei 
òdi  j  e  U  difGcoltà  che  ti  oppone  dal 


598 


DEL   PÀBADISO 


E  eh'  k)  non  m*  era  11  rivolto  a  quelli , 
Escnsar  paommi  di  quel  eh*  io  m' accaso 
Per  iscDsarmi,  e  vedermi  dir  vero  : 
Che  il  piacer  santo  non  è  qoi  dischìa  o, 
Perché  si  fa,  montando,  più  sincero. 

Jorenì  riferìi  e  l' ag^ttWo  qu$Hi  del 
fcrso  435,  non  a  iuggtlU  cbe  gK  è 
prossimo ,  ma  agli  occhi  belli  del  vei^ 
so  431 ,  è  una  Tera  meschinilà  ;  eh* 
anzi  il  quelli  è  sempre  ben  riferito  al- 
V  idea  più  remeta.  —  pia  ftmmo,  ope- 
rano con  più  a(ti%ith. 

457.  e  vedermi  dir  vero:  t  Tedtft 
eh'  io  dico  il  vero. 


4» 


458.  film  i  qni  digchiuto:  nea  mi 
ri  è  in  i|ae«Co  eirlo  per  anche  aperto  il 
piacer  eanlo  degli  occhi  di  Beatrieo. 

439.  Perché  ti  fa,  oc.  Perchè 


jnaeere ,  a  mano  a  mano  che  si  moata 


▼erao  V  empireo  cielo  ,  si  fa  pio  poro, 
aeeondo  che  Beatrice  si  fa  splendeata 
di  luce  pi&  viva  al  suo  passare  n  pie 
alta  sfera. 


CAUTO   DECHHOQUKVTO. 

1)0  tt«  brmeeh  detta  Itammatm  troct  mamrM  «no  iptmuton,  e  vM«f»  mt  pù  d*estm  troet 
con  pMtemo  «f fitto  CJhghitrij  it  qttmle,  nmtrmttmtoto  d*tU  eorteait  firn  tot  eumn  eft«  <*f/« 
lo  riefiiede  t/tl  nome  suo.  E  que$U  mtamtfuiatou  pel  »»»  intavolo  CttteMgmvtm,  ilrtarvo  eom  «jm  m» 
mtà  impareggiabile  dt  poetta  gl'tamotemti  mtlmmi  dt  Pi-wate  m'$mot  trmipi,  m  ramfr^gma  deOm  «mw 
ruUela  presente;  e  nana  eomt  latciò  la  mlm  camèaitamito  ptr  it  sepoten  di  Cruio  Heitm  marne» 
Crocùua, 

Benigna  volontarie,  in  che  si  Hqna 

Sempre  T  amor  che  {(riltamenle  spira. 
Come  cupidità  fa  neli*  iniqua, 

Silenzio  \)0<e  a  quella  dolce  lira, 

E  fece  quietar  le  sante  corde,  ( 

Che  la  destra  del  cielo  allenta  e  tira. 

Come  saranno  a'giusli  prieghi  sorde 
Quelle  sustanzio  che,  per  darmi  voglia 
Ch'io  le  pregassi,  a  tacer  fur  concordo? 

Ben  è  che  senza  termine  si  doglia  iO 

Chi,  per  amor  di  cosa  che  non  duri 
Eternai  mente,  quelfamor  si  S[)Oj;  la. 

4-6.  Benigna  rohmtade  ee.   La      in  Marte,  e  eorde  di  essa  le  •nisM  che 

seorrevan  cai  taiido  p4>r  qaelli.  —  CAe 
la  dettra  del  cielo  allenlm  e  fini,  le 
quali  corde  la  dt^tra  di  Dio  cobleMpra 
a  una  divina  ariii<  aia ,  questa  allcB- 
tando,  quella  tirando^  a  g«u«  d'aaicrtn 
•onature. 

8.  Quelle  iutlanzie,  rncvU  «viti 
heati.  1     •    -r- 

9.  concorde ,  piar,  per 
secondo  la  trrm.  lai. 

40.  Bene,  è  giosto,  sta 
4  2.  quelt'  amor  ti  tpogiim  : 


benigna  Tolonlà  nella  quale  si  fa  cono- 
Kere,  it  tiqua\t\ti\  l.d.  liquel)  l'amore 
che  tpira  drillamenle,  rioe  la  perfetta 
cariti',  in  quella  gtii»a  rhe  in  una  vo- 
lontà maligna  si  pa  ena  la  mpiditàt 
cioè  il  torlo  amore;  qne»to  buon  fo- 
leia,  io  dico,  di  eoi  è  prora  la  carila, 
SUentio  potè  a  quella  dolce  lira ,  fé 
iMsre  il  eanto  di  qnelle  sante  anìaae , 
Mdtroao  di  aacoltare  i  miei  preghi. 
Cantinaando  nella  metafoea,  chiama 
lire  qati  dae  raggi  di  laee  iocrocianlisi 


CANTO   BEGIMU^UINTO. 

Quale  per  li  seren  tranqoiUi  e  puri 
Disrorre  ad  ora  «d  or  subito  foc^o, 
Movendo  gii  occhi  che  stavan  sicuri, 

E  pare  stella  che  tramuti  loco, 

Se  non  che  dalla  parte  onde  s' accendd 
Nulla  sen  perée,  ed  e?90  dura  poco  ; 

Tale,  dal  corno  che  m  destro  si  stende, 
Al  pie  di  quella  croce  corse  un  astro 
Della  costellazion  che  lì  risplende; 

Né  si  parti  la  gemma  dal  suo  nastro, 
Ma  per  la  lista  radiai  trascorse, 
Che  parve. fuoco  dietro  .ad  alabastro. 

Si  pia  i' ombra  d*Anchise  si  porse, 
Se  fede  merta  nostra  maggior  Musa, 
Quando  in  Elisio  del  figiiuol  s'accorse. 

0  sanguis  meus,  o  tuptr  ùifuta 
Gratta  Dell  tietU  Ubi,  citi 
Bis  unquam  cali  janua  reclusa? 

Cosi  quel  lume;  ond'io  m' attesi  a  lui  ; 
Poscia  rivolBi  alla  mia  Donna  il  vifo, 
£  quinci  e  quindi  stupefatto  fui; 


609 


i6 


20 


30 


tica  la  carità  per  le  fugad 
mondo. 


jel 


15.  li  teren,  %oiÌinlenòi.  lutUunU, 

45.  che  ttavanticuri:  tacendo  al- 
imi stringere  gii  occhi  che  ù  stafaao 
tranquilli  ;  ovvero  Motendo  gli  oeoki, 
facendo  muovere  per  tubiti  scossa  rIì 
occhi  che  in  niuna  cosa  eran  fissi ,  che 
stavansone  a  loro  agio,  tieuri,  nel  ato- 
so proprio  e  primitivo  del  termine,  che 
vale  nne  cura. 

17-48.  Se  non  che  dalla  parU 
ee.:  se  non  che  ci  fa  accorti  non  ea- 
<ere  quel  fuoco  una  stella,  il  vedere  cài 
dalla  parie  oiufe  s' accende,  d'onda  ac- 
ceso SI  moelra ,  o  donde  si  scorge  quel 
fuoco  partirsi,  nessuna  stella  viene  a 
maneare  in  cielo ,  e  che  compito  qntl 
sno  cono,  si  spegne. 

19.  dal  corno  che  in  detbro  «e.: 
dal  braccio  destro  dt>lla  croce. 

20  Mii  astro.  (Joo  spirito,  ebnnoi 
vrdremo  esaer  quello  di  Cacdagiiida , 
trisavolo  del  Poeta. 

21.  bella  eotUllatUm  che  U  ri- 
tplende:  dì  quell'  ammasso  di  apirili 
lucenti  come  stelle. 


22.  NisiparUee.  E  «piallo spleo- 
dora,  quello  spirito  risplendente  non  si 
dipartì,  nel  suo  trascorrere, dal  mm  no- 
Uro,  dalia  sua  Inoento  striacia  poeto  in 
forma  di  croce  ;  ma  tenendoai  dentro  ad 
casa  trascorse,  che  parve  ec. 

24.  fuoco  dietro  ad  atakoMiro, 
L'alabastro  è  traaparente,  siediè  un 
lame  posto  dietro  a  qneUo  lo  Ulumiaa } 
a  il  lume ,  ae  hi  muova ,  vadasi  diiara- 
mente  trascorrere. 

25  Si  pia,  con  pari  affetto.  Vedi 
l' Eneide,  libro  VI,  verso  680  a  seg. 

26.  vostra  maggior  Huta,  il  mag- 
gior poeta  epico  d'iulia,  Virgilio. 

28-30.  Oianguii  muut,  ee:  Qne- 
ato  parole  tiadtitte  vagiiono:  O  sangna 
mio,  0  di > ina  gmiia  in  to  aoprabkoMO- 
▼olol  A  ehi  fu  mai.  come  atre  a  to,  4i- 
achittsa  due  volle  la  porto  del  ciaUf 
Forse  il  Poeto  fa  ^ni  parlare  caai  te- 
lino a  Cacciagnida  per  denoterà  to  Ci* 
velia  nobile  dei  tempi  di  yeato  jma 
lrìaav«»lo. 

83.  K  quinei  e  ptMiim.t  ciaè 
dalla  natte  della  mia  Doima,  adalU 
parto  di  quei  lume. 


Cile-  ilentro  a?li  occhi  suoi  ardeva  un  riso 

Tal,  eh"  io  pcn'iai  co'  miei  laccar  lo  Tondo 

Della  mia  grazia  e  del  mio  parudìso. 
Indi,  ad  udire  ed  a  veder  gioi'ondo. 

Giunse  lo  spirto  al  suo  principio  cose 

Cli'  io  non  intesi,  si  parlò  proroodo. 
Né  per  elezìon  mi  Bi  nascose, 

Ma  per  necessità,  cbè  il  sno  concetto 

Al  segno  de'  mortai  si  soprappow. 
E  quando  l'arco  ilell'  ardente  affetto 

Fu  si  sTogoto,  che  il  parlar  discesa 

Invor  lo  segno  del  ou^ilro  ìnlellelto; 
La  prima  rosa  che  \ier  me  s' intese, 

Denedettu  .>'ìe  tu,  fu,  trino  ed  uno, 

Che  nel  mio  seme  se'  tanto  cortese. 
E  seguitò:  Grato  e  lontan  digiono, 

Tratto  leggendo  nel  magi.o  volume 

IT  non  si  muta  mai  bianco  nò  brano, 
Soluto  hai,  (iglio,  dentro  a  quésto  luma 

In  eh'  io  ti  parlo,  mercé  di  colei 

Cb'  all'alto  volo  li  vesti  le  piume, 

SS-Sd.  co'mM  Iticear  la  fondo.      e«iKelIa  ilrlla  tfitìU  buio.  VmT  Dr 

fondo  MlnuBii,  l'ultim.'  Irrmin»,  llella  dfou  ddl'itlvltu,  aiienra  il  pati»  n* 

mia jruìa, (lift oHDParailùo.'iJstli  lì  tice  incut  fialonào  m  ti'dih  t  ptr 

Suii  diiiiM  ■  daitii  britiiudine  ■  mg  poniamnj  culle  txu    dell'  mliUiUi 

■lindi.  Siuchcti  gl..n*e  la  bnulilu-  anunn. 


di»  i  Kinprt  in  r«(f>ono  d.ll.  er^.. 

44  Furi  tfcsala.  Fu  ri  uwntu 

57-58-  Mi.  od  udire  te.  C«lr,  : 

We  il  V>viani  »1  Cod.  Uar«.  u.  30; 
J  i  ..«;  ball.  lai»». 

/udì  lo  ipirtlo.  giDConda,  grilo,  |iii- 

47- 1 8 .  fi(ntri*l(a  rù  la.  «e..- »  Il 

■CeWiDH,  «,  — oJ  (ua  printipìo.  il 

bonnlcilo,uDi(.lnaa«liuio,  dittoK 

pi>nri|>iodcl  tua  puliM  |(  indi' 0 

Il  mia  p'-Miiiii  tn  italo  corto*. 

laoguU  iwm). 

sa.  <1  parlàpnfùndoi  loo  ,\  oro- 

Figli»,  mcit  di  DoiUÌ» ,  cW  i  .^ 

r™.li  w„«UJ  p.rl*. 

i  1-43-  M  il  (wicOR  tlte  k.  I.it.: 

qoa-ii  U  diada  tilon,  la  Kai  uhiM, 

bai  tiUh.  rcauiT  il  tuo,  ,br  t«o  J«Bo 

Gli  il  lUD  cbdmUi)  ti  •ni.rafi'm  il  tt- 

•  qliMii  tgilcndoir,  au  graia  «  nu'ln 

gno  d«i  Binwtli  morlili,  u  ffcn  Bidg- 

Eiiirt  dall' ial«idgrii»iru.  Nnn  uciThè 

ho],  Tmta.  atlinlo  <t«  alt  la  »•,  i 

t«t\  gli  r«w  >grid<>,ird  poriuetiiM, 

.nulo  11  «.<,,  IqjmdD.  dil  l«jB,«,  t 

alti  •ll'illuu  dalt'irfMW.  Viri  l«U  : 

pw  ..or  Ifiu.  .1  M..  tDDin  Pd  im  ?>- 
lama  ditTi»,  li  cai  U  paglni^i;»^ 

M  moiiot. 

*Z.  Bmanio  l'arco  te.  Cotlian 
Dtlli  mcd^  cdcuinihaM  dr-l  inno,  « 

pr««htl.:c.i*,  ,«l,hlri4M„fl. 
un  li  notai  .|««r  cb*  dub  è  m»IU. 

d<>ll.ic<|fH.,M«,a«llin«.i.li..ldi 

MOfrt  ia  judi  Igritt  •  h  ìudiIuh  U 

lìSiiulTt'inMle'aiDV   ""'•"•' 

CANTO  DECIMOQUINTO. 

Tu  credi  che  a  me  tao  pensìer  mei 
Da  quel  eh*  è  primo,  così  come  raia 
Pali* un,  se  si  conosce,  il  cinque  e  il  sei 

E  però  chi  io  mi  sia,  e  perch*  io  paia 
Più  gaudioso  a  te,  non  mi  dimandi, 
Che  alcun  altro  in  questa  turba  gaia. 

Tu  credi  il  vero,  che  i  minori  e  i  grandi 
Di  questa  vita  miran  nello  speglio, 
In  che,  prima  che  pensi,  il  pensicr  pandi. 

Ma  perché  il  sacro  amore,  in  che  io  veglio 
Con  perpetua  vista,  e  che  m' asseta 
Di  dolce  disiar,  a*  adempia  meglio, 

La  voce  tua  sicura,  balda  e  lieta 
Suoni  la  volontà,  suoni  il  desio, 
A  che  la  mia  risposta  è  già  decreta. 

r  mi  volsi  a  Beatrice,  e  quella  udio 

Pria  eh*  io  parlassi,  ed  arrisemi  un  cenno 
Che  fece  crescer  1*  ale  al  voler  mio  ; 

Poi  cominciai  cosi:  L'affetto  e  il  senno. 


604 


b& 


60 


65 


70 


o5.  mei.  Tenga,  passi;  dal  Itt. 
me»,  at. 

56-37.  Da  quel  eh' è  primo:  cioè, 
dal  pensiero  diiiiio,  dalla  niente  di  Dio 
maniTekta  a  me. —  eoti  come  raia  ee.: 
COSI  come  raf^gia ,  come  risulla ,  dal- 
Ponili  una  volta  conosciuta,  il  cinque 
ed  il  sei,  ed  ojnì  altro  nuiuoro  che  noa 
è  che  an  abrogato  d'nnità. 

58-5'J.  E  però  chi  io  mi  eia  «e. 
Cnslr.:  E  però  non  mi  dimnndi  ehi  io 
mitiaec.  l)ante  avea  conosciuti»  che  non 
T'era  bis«'gnu  di  aprire  i  suoi  desideri  u 
Beati ,  perchè  li  leggevano  in  Dio ,  nel 
coi  cos|>elto  eterno  tutta  It  conlingenia 
è  distinta. 

6 1  -62.  ehè  i  minori  e  i  grandine.: 
perocché  i;li  spiriti  tanto  di  maggiore, 
quanto  di  minor  grado  di  gloria  in  (me- 
sta TÌla  beata ,  ec.  —  nello  spoglio, 
iidil<*  spocchio  ,  cioè  in  Dìo. 

63.  il  pensier  pandi ,  aprì,  fai  pa- 
lesOf  a  chi  in  esso  speglio  rimira,  il  tuo 
pensiero,  prima  pur  che  tu  pensi. 

64-66.  Ma  perchè  il  $aero  amo- 
re  ee.  Ma  affinchè  ouelP  ardente  canta 
ond*io  sempre  Tegiio  riguardando  in 
Dìo,  0  che  m'empie  di  dolco  deaiderio 
▼er  o  di  te,  i* adempia  meglio,  sii  me- 
glio iodisfaUt. 


67.  fietira,  senza  tema. —  balda, 
irtnra,  fidente,  pronta. 

6^.  Suoni  la  f>olonlà:  manifesti 
parlando  il  tuo  volere  e  il  tuo  deside- 
rio. Propriamente  la  volontà  è  effietto 
del  desiderio  ;  ma  in  questo  luogo  eo- 
lonlà  sta  per  gradimento,  piacere,  che 
è  qualche  cosa  meno  del  desio. 

69.  decreta,  determinata,  prept- 
rtla. 

70.  wìio,  m'ebbe  udito,  intcflo, 
quasi  avessi  proferito  le  parole. 

74.  arrisemi  un  cenno:  tceompa- 
foè  con  un  riso  il  cenno. 

73-75.  Poi  cominciai,  E  comin- 
ciai, leggono  altri. —  Lalfelto  $  U  «fil- 
lio ee.:  il  sentimento,  l'attitudine  a  bene 
esprimerlo,  si  fecero  in  ciascuno  di  voi  di 
un  medesimo  peso,  di  un  medesimo  valo- 
re, subituchè  la  prima  EgueUità,  cioè 
Iddio,  ri  si  rese  visibile  per  m(*no  della 
luce  sua  beatifica.  Vu»!  dire  insomma, 
che  i  Beati  pusa«mo  esprimere  adequata- 
mente  in  tutta  la  sua  intensità  ogni  af- 
fetto, perchè  in  essi  è  fatto  ugnale  il  sa- 
per* al  sentire.  Dio  è  detto  la  prima 
EgutdUà,  perchè  io  lui  non  cape  né  il 
pia  né  il  meno ,  come  nelle  diverse  po- 
tente delle  creature ,  ma  tutti  i  suoi  at- 
tributi sono  btesaamenle  m^tUli. 


Come  la  prima  Egualità  v'apparse, 
n  peso  per 


Perocché  al  Sai,  che  v'  aliomb  ed  arse 
Col  caldo  e  con  la  lare,  en  si  i;;aii1<. 
Che  lui  le  simili  ianze  sono  scarse. 

Ma  voglia  ed  ai^omento  ne'  martali, 
Per  le  camion  ch'a  voi  è  manifesta, 
Diversainunte  son  pennuti  in  ali. 

Ond'io,  cèe  son  morlal,  mi  senio  in  questa 
Disagguaglìanr.a,  e  però  non  ringrazio 
Se  non  col  cnore  alla  [aterna  festa. 

Ben  snppliro  io  a  le,  vivo  topazio. 
Che  questa  gioia  praiio^a  ingemmi, 
Perchè  mi  facci  del  luo  nome  sazio. 

0  fronda  mia,  in  che  io  compiaiemmi 
Pure  aspellando,  io  fui  la  Ina  radii-e: 
Cotsl  princìpio,  rispondendo,  Ibmmi. 

Poscia  mi  di9«e.  Quel,  da  cui  si  dice 

Tua  cognazione,  e  clie  ceni'  anni  e  pine 


Girato  liu  il  n 


-e^^TT  /'>nKrMBlS'>I  P«ri 


:fs.  deiiderìo,  iIFfIId.— 
HiiBD,  poirn»  FlF.'tlr»e. 


■   «ui    D>D  del   II 


'(  iBii  piì  di  iidfIIh  tbt  pn»anr> 
■ujairii.  la  ch-Is  uni  tali  itiigjjnii- 


a  la  prima 

SS.  lopuSa,  t  » 
86'  fwilB  jioìa.. 

8T     MliX.imlilTEriiiu.i 

88-8!»  rnnpivranif 

fr«ii4at  raUetKTt  («ri  , 

li  njli  alhiri  Bi'n'«l"jlfi. 

91-92  Oii(I,rfa«lWA(w«.'*- 
lni  dal  qiidf  II  >n>  (inupia  lu  (nal 
rugnnM  difli  4H|ttii«rì-  — nj—ilwi 
dieru  priipii«i»rnle  la  Snrraitim  fr 
fdilinine,  Ivwdn  CmiUcuU*  IW* 

BmdMii  AISflMiri  n  AU(UÌMi  irm- 
im,  a  lalU  A*  ii  quel  BatiiM» 
T«nn>hg  rKaBain  AliuViira,  «wlt* 

daqxblu  Alljbiam  naci|U*  tirlbaÒHa, 
ila  mi  Alieh'rru  11.  da  cui  ItanU. 


CA^TD  OECIMOQUINTO. 

Mio  6gUo  Tu,  e  Ino  bìsavo  tae: 

Ben  GÌ  coDvien  che  la  lunga  fotira 
Tu  gli  rac^'onei  con  l' opere  lue. 

Fiorenia,  dentro  dalla  cerchia  anticB, 
Ond'ella  taglie  ancora  e  terra  e  nonn. 
Si  slava  in  pane,  Bobrìa  e  pudica. 

Non  avea  catenella,  non  corona, 
Non  donne  rontìgiiitfl,  non  cintara 
Che  fosse  a  leder  [uù  che  la  persona. 

Non  Taceva,  nascendo,  ancor  paura 

La  figlia  al  padre,  cbé  il  tèmpo  e  la  dote 
Kon  fuj^gian  quinci  e  quindi  la  misura. 

Non  avea  case  di  làinìglia  vote; 


tat.  IriiUDilo»  di  uni  figuri  (piirtnl*      il  pii,  li  quii  «  thiuntianci  eenligU, 
•  poro  Miontnl*  per  lui  >la»,  Tikili      II  >ign*r  I1.11I' ni  npln*  ihe  iuTrce  dì 


tmligintf  p^ r  4in 
ml^fa.choili 


in; 


K.leUnotfalIra: 

diportirr»- 

.  che  II  indir 

Il  riiiouc  a«a  miaet  il.«  à  inlfniio 

norie.  Vidi  il 

d>  UD  b,.«<.  C»Mci. 

Cuk.  I  di  .lucili  Clnlir, 

t02.  Ckéf-$r  a  ttdtrpti  iti  U 

M.  e  •  Copertiti.: 

'jlepUep.. 

N  hna  in  >B[{r>nì"  'li  '• 

Iwer..  d«H  ncirofcbio,  tr.nH   eli 

n    d,Rlr«dallaa, 

-d.lMnMta! 

iCUi.-di  .N.ni  piò  che  1*  peneni  >t«i. 

■•1  «r»  U>  delle  «ilici» 

103-105.  So-  ffaa.  •uitndt, 
t   Le  KbI»  iiHnn,f..  n..»  t.cc.i  pnri 

cioè  dilli  pnmi  cimi  .l.'L 

...1.  .i'Jifici- 

»a>drii>ciiiir.ii.  d.  < 

Crlu  Hiuno. 

■1  p»lre,  the  p«l«ac  per  lei  ricier  di- 

tS.O^tUaloglie, 

e.  Preuu  que- 

finn^, »  ■..«.  p»(»t  ■  ne  lempe  BC 

rtliuli^  mundi  F.rc. 

lle  en,  ed  i 

riUril ,  ».  per  n..«.rl-.«™io«   mi 

■wn,  Il  diie»  d«  D,'. 
n»U  BhIìi  ,  tk<  (Oliti  1 

■ed.Uin>  chi*. 

».lu».i  erir.  bu»ni  .  .1  pud.»*  riqxl- 

MMmou  <Mll  p.bb  .» 

pr»ijhie«,«e. 

t.t«,  e  <v«.  Itnnulli  en  ierti  di  mi- 

r,^lcr»,« 

rila  il  lem»,  dvbilo,  ■>«■  prctilcidc 
triBll..™!ni,c«.einipiir«o  illi. 
MBI..4M  rrl.bila  ;c  ti  doie  cwdJd  mo- 

KM.di^«.,.4.ccr. 

dTitr;!: 

dfiM  mine  i  coMmi,  quJin.l»  i  mitri- 

mi dll"l.n,.re.  — >«.  /«»<«>>  fofHi 

knnt.fH-i>iiillfu«al 

li'aeccUilaci- 

100  rafwira.  oli. 

De  di  qui  °e  di  li,  ciò*,  Di  per  poco  Bt 

jli..  -  »r™,  di  p™ 

Itile  tiubcni 

^  loTs™  ««1  ruM  r<,  (3o*,  K- 

(■Hi  più  belli,  e  ipeiiu  loD  p«*  h 


■lo      puliti  em  ippiTtimcflli  tvprrOui^  tib- 
bricili  1  pnippi  td  i  Hpcrbii  dJ  poeti 

iti-      propenisnit*  ili*  Iimi|tii.   S*  jmn 


I 


Non  v'  era  giuulo  ancor  Sardanapalo 
A  mostrar  ciò  che  in  camera  ai  puolc. 

Non  era  vinto  uocora  MotUemalo 

Dal  vostro  Dreelloloio,  die,  rom"  è  vinlo 
Nel  motilar  5U,  cosi  sarà  nel  colo. 

BelIÌDcion  Berti  vìd'  io  aoilar  tinto 

Di  cuoio  e  d' osso,  e  venir  drillo  stpeochio 
La  donna  sua  senza  il  vì«>  dipinto  ; 

E  vidi  quel  de'  Nerli  e  quel  del  Vecchio 
Esser  conlenti  alla  pelle  ^coverta, 
E  le  sue  donue  al  fuso  ed  al  pennecchio. 

0  fortunale  !  e  ciascuna  era  certa 
Della  sua  se|xiltura,  ed  ancor  nulla 
Era  per  Francia  nel  lelto  de^rla. 

L'  una  vegghiavB  a  studio  della  culla, 
E  consolando  usava  l' idioma 
Che  pria  li  padri  e  le  madri  Iraalalla  : 


per  aaette  caie  uK  nan  li  inilbiio  ae- 

liliMB IFircue]  TÌIN>  Ha^mle  |l> 

mei .  CI»)  1°  rincark  3.4  no  nioe»  t" 

do».  d.ll.  rrl,  a.».  p..,ffil.f 

«giaae  delle  diwrdU  d>>H.  —aU. 

creilire  li  ■rnaenUi  liluione  ■  Su-di- 

a.p.1.. 

H2-H3.  BilHneiai,  BérUM  h 

de!  Retip.ni ,  aob.l.  [eninli.  tiMIr 

itnV,  Aurì ,  noi.»  a.,>llc  e  .\»to  •  luUe 

DI,  •  pe.lrr  dalle  («niua  Co.IdnJt.- 

libiaini.— ciii  ckr  incarnirà  »  punle. 

andar  tlle  tt.i  à-*  «Ila  a«lw«  < 

S  te  «nn»  aiodr.umnilc  li   r.tGn.- 

«loioeaililbiad'».. 

nenli  delle  libidi»^  rh(r  il  corrali «•»«- 

«4- (««•  >l  cdo  .ftoMa.  MM 

beli»'.. 

US.  S  ride  fwt  da-JVWU  K.  E 

leniti»  li  tempi  di  OanlL'  il  moni*  ><ogi 

li   t  di  qucll.  del  Vecchia  labili  >■* 
S  F,r.n«.|  E.W  cvultnii  ,IU  pOl 

del   ridare  eh.  de  Vil.,b.  r^.tui  e 

Boni  li  progni...  1.  .i»1»i.  di  (..die 

e«»n'M..w.c.>nWu»ìd'aaÌ0«- 

'-*"  *"  r  'nTT  w"'  *"*"  «"^  '^ 

prtMdte  aarlli  di  Flrciua  a  rbl  (iene 

id   «Il  par  le  tÌ.   di    Balubi».   Dio 

'"l'»-m"of«:tnn^U!.HMm>è 

Hoal^melo  noa   ere  enror  vinte   del. 

dalla  cara  «Ina,  panhi  nua  T'«a> 

I'UchIIiUìd,  per  lieniGcirr  che  Pirea- 

■iialMnill  a  i«  lu»a  di  «liBij  Rom. 

ttnee.   Uè  pai   n.Tni»  .i   Itaipi   di 

ia  Frencie. 

Deal*  treiie   lelibriche 

iriBileme  i|iictb>iliHi>nii , 

Ml<:liiÌpi1e(le(li*diQ>Jper  »Ì  affi  Fidi- ma  te.:   a  por  cvataUra,  |ai 

lIoniB  ve  lenta  itiiili  e  rimnia,  non  erijiiielere  il  bambina  piangMUa a»!! 

410-111.  eom' tuinla  Uri  montar  Jiirrlnna  Ì  pgdri  alamtin 

W,W.C«l))ciieltuaint<taiHl>ie  t'Ueeel-  bioibini  Lira. 


CANTO   DECIMOOIMNTO. 


Go:> 


L'altra  traondo  alhi  rorca  la  rliioir.j, 
Favoleggiava  con  la  sua  fami«^lia 
De*  Troiani,  e  di  Fiesole,  e  di  Roma. 

Sarìa  tenuta  allor  tal  maraviglia, 
Una  Cianghella,  un  Lapo  Salterello, 
Qual  or  faria  Cincinnato  e  Corniglia. 

A  cosi  ripo-ato,  a  così  bello 
Viver  di  cittadini,  a  cosi  fida 
Cittadinanza,  a  cosi  dolce  ostello, 

Maria  mi  die,  chiamata  in  alto  grida, 
E  neir  antico  vostro  Baltisteo 
Insieme  fui  cristiano  e  Cacciaguida. 

Moronfo  fu  mio  frate  ed  Eliseo  ; 

3fia  donna  venne  a  me  di  vai  dì  Pado, 
E  quindi  il  soprannome  tuo  si  feo. 

Poi  seguitai  lo  imperador  Currado, 
Ed  ci  mi  cinse  della  sua  milizia. 
Tanto  per  bene  oprar  gli  venni  in  grado. 

Dietro  gli  andai  incontro  alla  nequizia 
Di  quella  legge,  il  cui  popolo  usurpa. 
Per  colpa  del  Pastor,  vostra  piustizia. 


4:5 


i30 


136 


440 


i2o.  Faeoleggittva ,  contava  no- 
Tellr ,  o  quei  popolari  raceooti  marafi- 

Sliosi  che  allor»  correvano  in  propuaito 
ci  Troiani,  di  Fiesole  ec. 

427>f  29.  Sarta  tenuta  attorte.  A 
quei  tempi  avrebboi  o  falto  iniiravi({!ìaro 
la  gente  coatuniata  le  mtili*  <»pere  ài  nna 
Cianghella  e  di  un  LapoSalttrellofCninc 
in  qnesti  noatrì  corroltisamii  li'inpi  fa- 
rebbero maravigliare  le  virtù  di  Cin- 
cinnato 0  di  G>rnelia,  fi);IÌ4i  di  Sripione 
il  ma|;^inro,  •  madre  ilei  Grarclii.  — 
Cianyhellat  della  nobii  f.iniii;lia  della 
1'o!»«,  fu  maritata  a  uno  dt'{jli  Ali<loai  da 
Imola,  e  restata  vedova,  ni|i|»f  ad  ogni 
Ter0o};na. — Lapo  Saiterei  lo.  CturetnO' 
sullo  fiorentino,  niollu  li(i(jio«o  e  male- 
diro.  Nella  sentenxa  pnniiui/iiita  contro 
Danio  ne'  IO  marzo  1502,  tntscndo  pote- 
stà di  Piiense  M.Cjntt*  iU-'(ìdl*biii>Ui  da 
GiiM'io,  tra  gli  altri  condanifali  leggen 
anche  il  nome  di  questo  l.ap»  Sulti'i-elli  : 
Dommiifii  Lapum  Salttrelti  jud  rem, 

433  Maria  mi  die  ec.  Inirndi:  la 
Vergine  Ilaria,  invocata  da  mia  uadra 
Dc'doinri  del  parto,  mi  cm 
•j^ij.uii^  cittadino  a  Fìi-en/e. 

^13}.  BaUiiUo,  Baiti»tero. 


435.  Insieme  fili  ee.:  perchè  il 
Bomc  si  di  nel  Batteaimo. 

437.  di  vai  di  Pado.  Dalla  valle 
del  Po ,  cioè  dal  Ferrarese.  Il  Boocae- 
eio  afferma ,  la  donna  di  Cacciagnida 
esaere  stala  da  Ferrara  ;  e  questa  affer- 
mazione sta  contro  chi  pensa  che  per 
▼al  di  Pado  debba  intendersi  o  Parma  o 
Verona. 

458.  Vedi  la  nota  91. 

43'J.  Currado.  Cui  rado  III,  impe- 
ratore della  casa  di  U<'hens(aQffen,odi 
Svevla. 

4  40.  mi  cinte  detta  iua  milixia,  mi 
adornò  del  lilolo  di  tuo  ravaliere. 

442-111.  incontro  alla  nequitia 
ee.:  contro  la  pissima  legjjie  di  Maomet- 
to, il  cui  ptipolu  per  colpa  ,  dice  Dentei 
del  piintrlìi-f  romano  «he  ciò  non  cura . 
si  a^urpa  i  luoghi  di  Teira  Santa,  che  di 
giustizia  sono  de' Cristiani.  La  Cruciala 
che  qui  %*  accenna  è  la  seconda  ,  quella 
pre«licata  da  San  Bernardo  nel  4  447  al 
tempo  d  liugenio  III  e  di  Luigi  VII  di 
Fiencia,  chf  vi  si  recò  in  persona,  e  la 

Juale  ebbe  un  tristo  esito.-  -  giuitiiia, 
u*tizie  si  t-hiania\ano  nel  medio  afe  i 
diritti I  le  ragioni ,  gli  evcrì. 


I 


DEL   rABlDEiO 


yui\  i  To'  io  da  quella  genie  lurpa 
DÌ5vÌlu)ipi<todBl  DioDdii  falliire, 
Il  cai  amar  molle  anime  clelurpa, 

G  venni  dal  marlirio  a  questi!  pace. 


r,  loprafflno 


.-f- 


US.d 


€A]VTO   DEemOSESVO. 


0  poca  nostra  Dobitlà  di  sangue, 
Se  gloriar  di  le  la  genie  fai 
Quaggiù,  doie  l'airi'lto  noslro  Isagae, 

Mirabil  cosa  nou  mi  sarà  mai: 

Ch^  là,  dove  appellilo  non  sì  torce, 
Dico  nel  cii'lo,  io  me  ne  gloriai. 

Ben  $e'lu  niiiolo  l'he  tosto  rarrorce, 
Si  cbv  se  non  s'appon  di  die  io  die. 
Lo  tempo  va  rijniorno  ron  le  forco. 

Dal  roi,  che  prima  Roma  soflirrie, 

lu  cbe  la  suaYaraij^lia  meo  persevra, 

4-3  OpsmwitranntlKdM  Vnnl      mi»»  t-n'  ftrrhl-  ■ 
dira;  Tu  ii.tn  mi  iiiiifli»gl»f-r6  pio  it     iljibiltri  ■  Kciar  phbiftii 


7-g  Bnit-m 
fi  tinrcdiri  MB  D 


Dillamuniù.ttf  l.i>b  l,tkrè^inm: 

I)rcib)»ièai«tik»leund>u  nttl.hrk 
Imi  >l'lirinpn,t||«Mralm>ait>umli 
ch<>>l««I.'i>«ìln.»  inlr..<lacnu>Jlt 
dnpo  Itiii»,Brai(i(ip«.  prta*rAr«- 
|Ìlio,  ut  4ll,i  la-Klii  t,K,.n  t^iìat 
ibt  f<.lr,hì,rv»ii\nti  <i>>CI(ia^l,Mi 

ti    IntittaMa  ftmtguatettl 
qnll  Btn  o||.  >  n.a.ni  BM  hibIum 
|.ik  (•111»  «Hinl»  di  nrìiKÌniM.  la  ■• 
a.Br.  il  mi 


»i  !•'' 


-,  t>ii  rf« 
*.  Il  Lu^^ai^ 


CA>TO  DECIMO  ESTO.  607 

Ricomìnciaron  le  parole  mìe. 
Oiide  Beatrice,  eh'  era  un  poco  scevra. 

Ridendo,  parve  quella  che  tossio 

AI  primo  fallo  scritto  di  Gine\Ta.  ih 

lo  rominciai:  Voi  siete  il  padre  mìo, 

Voi  mi  date  a  parlar  tutta  baldezza. 

Voi  mi  le\ate  si,  ch*ì'son  più  ch'io. 
Per  tanti  rivi  s' empie  d'  allegrezza 

La  monte  mia,  che  di  sé  fa  letizia  20 

Perchè  può  sostener  che  non  si  spezza. 
Ditemi  dunque,  cara  mia  primizia, 

Quai  furo  i  vostri  antichi,  e  quai  f«r  gli  amii 

Che  si  segnare  in  vostra  puerizia. 
Dilemi  dell'  ovil  di  San  Giovanni  26 

Quant'  era  allora,  e  chi  eran  le  genti 

Tra  esso  degne  dì  più  alti  scanni. 
Come  s' avviva  allo  spirar  de'  venti 

Carbone  in  Gamma,  cesi  vidi  quella 

Luce  rìsplendere  a*  miei  blandimenti.  30 

E  come  agli  occhi  miei  si  fé  più  bella, 

Cosi  con  voce  più  dolce  e  soave, 

Bla  non  con  questa  moderne  favella. 
Dissemi:  Da  quel  diche  fu  detto  ave, 


■no ,  faor  che  i  Romani ,  che  dicoD»  fv 
ad  ogni  numo.  •  Ai  trropi  nottri  il  fu 
è  Molto  frei|uente  a  Napuli. 

45.  di'era  un  poco  ietvrm:  eh« 
era  stata  an  puro  io  ilispait* ,  Bcrvrm, 
scparaUif  durante  qiioito  ragiimanuroto* 

44  p«rr«  quella  eht  Umbìo.  Int.: 
come  la  fante  di  (ìtnevra  ,  «cc»r|;mdiiii 
del  primo  perìcoiuto  paiisu  fatto  dalla 
tua  padr«>na  nell'amore  di  LaDeillotCo, 
tu«i  per  farla  cauta;  similmente  Bra- 
trìca  fece  a  me  sorridendo ,  per  f.irmi 
accorto  ch'ella  area  notato  quali* alta 
e  inaolitn  tnn<i  del  voi, 

iÒ  ÀI  primo  fallo  teriU&,  che  lef> 
geni,  cioè,  nella  Tavola  Bolondm. 

47.  biMma,  frane liena. 

48.  Vaimi  hrate  ai.  eh'  i'tom  p4à 
th*  io:  Toi  n*  ingrandite  coai  gli  apirtU, 
cbr  divengo  niagfri«ir  di  me  tUtam, 

ae-ai .  dba  dt  <«  fa  Utizia  et.:  cba 
•i  rallegra  di  sé  medesima,  eonauleran^ 
che  ella  paè  contenere  tanta  allegrena 
senza  tpex%arii,  senza  rimanerna  op* 
pressa. 


22.  mia  primhim,  prìnu  radica 
ddla  mia  pniaapia. 

23-24  quai  fur  gli  mmniae.  Che 
anno  sì  sei;nava,o  quanti  anni  eran  eorsi 
dairinrarnaxinne, quando  voi  naaersta. 

25.  delVovil  te.:  del  popolo  ohe 
ha  per  suo  proteCtoraS.  Giovanni,  cioè 
da'  Fiiirentini. 

27  di  piii  aiti  scwina:  pia  distu- 
te, più  nobili. 

50.  a' miei  blawHmemii:  alU  dald 
parole  di  >  ispetto  e  di  li»de. 

53.  no»  cefi  qmtitm  madama  fa- 
vdlm,  non  con  questo  volger  fiorenlinO| 
ma  colla  Im^ruii  quasi  latina  de*  lempt 
suoi.  E  di  falli  ha   np<»rtato  soj^ra   il 

{irinripio  del  parlare  di  Caccàagnida  in 
al.:  O  tamguii  meu*. 

54-3*J.  Ila  qnel  di  ee.:  dal  ginraa 
dcirineamaiiona  di  Gesù  Gisto,  quando 
r  Arcangelo  Gabriela  dixoe  Ave  Èlaritt, 
al  giorno  che  mia  ma<lra  où  parlar). 
quetta  fuoco,  àoè  questo  jpàaala  di 
Al  irte,  venne  a  rìiccenderai  aolto  Im 
pianta ,  le  pianVa^\  Y^«^\^  4«^  «naX^ 


Al  parto  in  che  mia  m.-idro,  eli'  i 
S'aleviòdii 


ì  oiid'  e 


I  prave 


)  Leon  ciDqaerento  cinqoanUi 
E  tre  fiate  venne  questo  fuoco 
A  rinfiainniarsi  biotto  la  sua  pianta. 

Gli  anitriii  miei  ed  io  nacqui  nel  loeo 
Dove  eì  trova  pria  t' ottimo  sesto 
Da  quel  che  rorre  il  vostro  annoal  giuoco. 

Basii  de'  miei  maggiori  uitiroe  qoe^to: 
Chi  ei  si  Turo,  ed  onde  venner  quivi. 
Più  è  tócof,  che  ragionare,  oih»Io. 

TuUi  rolor  eh' a  qnel  tempo  eran  ivi 
Da  poter  arme,  tra  Marte  e  il  Batista, 


isllc 


'.TT 


lluìlHH    di 


I 


Cam.,  Il,  cip.  ii)  miifiivui  in  iidiiì 

PmU  li  plRol*  dilTuccii»  cli'iTrrb' 
hidoUl  il  rìpomp  nLcvto  Htrodoini 
UHodo  1g  iìti  d'illM-i,  e  dando  ui 
'  lulaupnla  due  inni  p;r  ogni  jirn 
qnri  piinrli;  mnltiplKile  ptr  du< 
5S3,  porla  ti  alitila  dì  I 
ili'  (DM    4I0B.    Almaì    i 

li  h  ytniBtntt  in  686  Gannii,  32  m 
e  29  minuli,  cioi  43  gigmi  meno  di 
dun  iBai  islirì,  ed  imindo  [itr  Dnmpa- 
rìr  Diirtt  pii  mila  «Indiilare,  Kigiie- 
DS,tairiularilldi  niii  Cadici  e  lUni- 
fB,  H  IfgRi  'mirre  Al  tuo  Iton  cJngtM- 
etnla  rimfUiOita  Etm1afiaie;i\  f|iial 
5Q  DOllrplieiUi  anoiidii  qanlo  «mi- 
in  il  iWOe  111091.  la  (nmHW rba 
DBiH  lUr  l'uni  e  l'illn;  mi  Kdiiilo 
It  In.  dilli  CniKi,  paroli*  più  irnipli- 
tr,  •  HTtht  ovfniloci  dcllu  Cittiigaì- 


tpiDgei->i  ancho  mi  i 
--  Al  tuo  Uo».  Il 
«Iruai  Girliei  Trìiul 
Fulig.idiNap.illiolt»*. 


«•It'fdii 


ÌHI47i 


i  MS.  mi  pir  prà  Iui1< 


3nal«   n^na   Dal    bulli   id    «eh 
cri*   dHiiimuilii,  prrtKt  il    Irniui 


CANTO  DECmOSESTa 

Erano  il  qainto  di  quei  che  Mm  nvL 

Ma  la  cittadinanxa,  eh' è  or  mista 

Di  Campi  e  di  Certaldo  e  di  Figghine, 
Pura  vedeasi  netl'  ultimo  artista. 

0  quanto  fora  meglio  esser  vicine 

Quelle  genti  eh'  lo  dico,  e  al  Galluzzo 
E  a  Trespiano  aver  vostro  confine. 

Che  averle  dentro,  e  sostener  lo  puzzo 
Del  villan  d*  Aguglion,  di  quel  da  Signa, 
Che  già  per  barattare  ha  l' occhio  aguzzo  I 

Se  la  gente,  eh*  al  mondo  più  traligna. 
Non  fosse  stata  a  Cesare  noverca. 
Ma,  come  madre  a  suo  figliuol,  benigna, 

Tal  fatto  è  Fiorentino,  e  cambia  e  merca, 


W9 


M) 


6S 


60 


eoo  iltrt  tèa,  ;  na  la  Ictioiia  dm  JM- 
Urt  che  è  dei  Codd.  Vat.,  Ang.  t  Citi. 
è  da  preferirai.  Qaeeio  modo  eUt6eo  è 
«aiUbiMino  oell'antichil 


'•Dtichitè.Eeeooei 
fi  :  Il  Cacchi .  Gli  parve  troppo  fio- 
9tm» ,  do  non  potere  a'  disogi  del 
mmre.  Franco  Sacch.,  dot.  214  :  Com- 
minondo  con  tu  comUIo,  che  wmUo 
mole  poieto  quelto  tomo.  —  Im 
Mmie  e  U  BaUelm:  tra  il  Ponte  Vee- 
ckio,  dofa  era  una  antica  atataa  di 
Marte  aopra  Arac,  e  il  BatUatero.  Qm- 
ito  era  le  a|»aiiu  occupato  dalla  aitlà 
■al  tempo  antico  da  settentrione  a  bmi- 


iodi  ;  e  da  porte  S.  Piero  a  porte  S.  Pan- 
lavante  a  ponente. 


4S.  Brtmo  U  ^into  ec.  Nel  1500 
Firaaia  eonteva  acltentemila  abitanti  ; 
ai  teaifi  ACaeetagaida  non  esaendo  ahe 
il  paiate  di  fMUa  loninia ,  eran  qnatter- 
diooiUa,  mo  arali  pori  citudini,  par^ 
■••  TI  ara  maMotete  nulla  di  eontedo. 

50.  Compi,  Certaldo,  Pigghim, 
Sooo  laofU  dal  conudo  di  Firania, 
da'qnali  solte  lamiglìe  arriccbite  area 
MaMte  alla  capitelo. 

ftl .  meiemiUmo  ee,:  fino  all'  altiao 
artìgiaao,  cke  ara  vero  dltadino  fioraia 

tÌAO. 

53-5S.  O  qumUo  foro  ee.  0  piante 
aarabbe  atete  BMflio  aver  vicine  molle 
genti ,  dba  avaite  concittedina a  mm- 
etiahaia  aMglio  avere  il  voetro  cattine 
al  GaUmo  e  a  Treapiano  (  ImU  a 
paco  pie  di  daa  Biglia  da  Firantef^cba 
per  ingrandiaianlo  di  terrilurio  averte 


larara  n  Firann!  --  •  soitenor  lo 
9WU0  :  forte  eapreeaiooe  a  significare 
il  avperbo  faslidio,  e  V  insolente  porta- 
■Moto  del  villano  venato  in  riocbena  e 
in  potere. 

56.  Del  m'Iteli  d^Àguglion.  Intende 
measer  Baldo  d' Agugliooo ,  cestello  in 
Val  di  Pesa ,  il  anale  tenne  di  mano  a 
■Maser  Niccola  Acciainoli  ad  alterare  il 
qaademo  del  G»nioao.  Vedi  Pmrgakh 
rio,  XII,  verao  404  in  note. — di  qmet 
dm  Sigma:  accenna  an  Booifeaio  da  Bi- 


gnè 


cbe  alenai  credono 


ra  F^aa 


Gindiee  dei  Uorì-Obaldini,  aba  di  latte 
faeee  denaro. 

57.  Che  già  per  baraUore  ft«  Tm» 
cMo  agwuo:  cbe  già  è  divonate  aMlte 
destro  in  far  baratterie,  concsaendo 
bene  eon  cbi  e  cume  son  da  hre  qneali 
lavoretti.  Borottiore  è  aolai  cbe  par 
denaro  vende  impieghi,  giuliiia  oe, 

58-60.  Se  lo  genU  ee.  Se  te  gaste 
dia  più  dal  a«nto  istituto  traligna .  ■oo 
feeae  fatte  noverca,  madrigna, agi' iai- 
paratori ,  na  foase  loro  benigna ,  aasM 
savi  emere  te  madre  al  figlinolo.  E  qai 
intende  dells  coi  te  pepele ,  a  ani  atlii> 
baiace  la  cagiona  del  non  aver  Fircaia 
■■  governo  f«irte  e  stebile ,  e  d* 


antro  d  vaaira 


a  doverle  tei- 


a  di  apeculalorì  a  di  briganti  ^  par- 
cbè  dove  V  acqua  è  torbida ,  tatti  aar* 
ronaa  pescare. 

61.  rcl/UteiFteraiiKiioae.Si. 
mifonti  è  no  eastello  in  vai  d' Dea,  di- 
alnitto  da'Fiorenlim  nel  1262.  Cbi  ab- 
bia volate  qai  mordere ,  aula  aggi  si 
direbbe. 


Che  n  i^relibe  votw  ■  SLmìfòMi, 
Là  dove  andava  1'  avolo  alta  ren». 

SarJesì  Monlemiirlo  anccr  de"  Conti: 
Sariensi  i  Cerrhi  nel  pti>r  d' Arane. 
E  for.-ie  in  Vaidij;riefe  ì  Bnondelatontì. 

Sempre  la  cotiru-iimi  dello  )j«rsow 
Priiv  ipio  (a  del  mal  delia  nlUuJe, 
Come  del  corpo  il  fibo  ilw  b*  appone. 

E  cieco  turo  pu  avaceia  cad» 

Cbe  cieca  a;;ni?llo,  e  molle  volte  botja 
Più  e  iiict;tiu  una  cbe  le  eirqiK  spade. 

Se  lu  rij^tiiirdl  Luni  ed  Urlrisa^Iia 
Come  soD  ite,  e  come  se  ne  vaimo 
Direiro  ad  «»«  Cliìnsi  e  Sìnigasiia, 

Udir  come  le  Kcbìiiite  si  disfàmoi 
Non  ri  porrà  nuova  cosa  ai  fotl^ 
Poscia  cite  le  cittadi  lermìne  haiiDO. 

Le  vostre  coBe  tulle  tianno  lor  aorte 
Si  come  voi;  ma  celasi  in  alcnna 
Che  dura  mollo;  e  le  vile  8on  colia. 


I 

I 


et-tS.  Clw  t(  larthtr  vnlUi  «e  .- 


T0'T2.  «  e«Ma  ln«M.  CMfiv 


Usmìii,  ititliHi'nli  I  prJb'-n  bwMi  «fi 

M.  Sarieii  Wrmlniwrlu  m  Hua-  pi*  atairiu.  più  pnsc*  —  eh* 

teniDtlo  (r>  cotu-llu  Jt' l'olili  Guuii,  i  ^Mipodi.  >irm«>lil  ■eiiapiie*  i 

qg(K   la  nnUniiiD  il  Con»»-  ili  Pi-  gvt  ipmli.  i-t*  t  il  «iltre  ci 

rcbhcra  lUli  eoKi'Ki'iTnnl.nilu-  l  aftUti  dtU  aro ,  tt  pmUr  4, 

■    lai  InW  diHwrdii  >k-  inT«>  .isl  •.«i.dr.  ifon 


CANTO  DBcnionsTo. 


611 


E  come  il  volger  del  ciei  della  luna 
Cuopre  ed  iecuopre  i  liti  eenia  posa, 
Cosi  fa  di  Fiorema  la  forUma; 

Perché  non  dee  parer  mirabil  cosa 
Ciò  eh*  io  dirò  def^i  alti  FtoranUni, 
Onde  la  fama  nel  lampo  è  nascosa. 

Io  vidi  gli  Ughi,  e  vidi  i  Gatellìni, 
Filippi,  Greci,  Oraianni  e  Alberìchi, 
Già  nel  calare*  iUcstrì  cìttadini; 

E  vidi  cosi  grandi  come  antichi. 

Con  quel  della  Sannella,  qael  dell' Arca, 
E  Soldanieri  e  Ardinghi  e  BostichL 

Soi\'ra  la  porU,  eh*  al  presenle  è  carca 
Di  nuova  fellonia  di  tanto  peso. 
Che  tosto  6a  jatlura  deUa  barca. 

Erano  i  Ravigiiani,  ood'  è  dis^ceso 

Il  conte  Guido,  e  qualunque  del  nome 
Dell*  allo  Belliadone  ha  poscia  preso. 

Quel  della  Pressa  safieva  già  rome 
Regger  si  vuole,  ed  avea  Galigaio 
Dorata  in  casa  sua  già  V  elsa  e  il  pome. 

Grande  era  già  la  cokMina  dei  Vaio, 


86 


Ov) 


95 


100 


a2-a4.  E  CMM  il  volger  «e.  laU 
fi  eooM  il  girar  del  cielo  della  lana 
{  MToodo  V  •piaione  di  T(il<iiii«<i  )  e  ca* 
gioaa  rbe  per  lo  fluMo  del  mare  n  ca- 
praaa  t  ti  di«c«ipr«no  i  liili  ;  cwt  U  Cor> 
taaa  è  cagiuae  che  Fi»i  eiiia  or  tia  eo- 
perU ,  ar  diacopcrta  di  abitaUnri  li*  ci4 
par  la  ■vficaaaani  dei; li  eKÌlj  e  del  rt- 
«faiamn  dagli  MÌliaCi  )  l>4  quitta  bellia- 
f ima  •imilitudìae  è  nnrhi*  Uicrata  l' ia- 
atabilità  a  laagcrena  di  Fireaie,  di  che 
altra  volta  l'è  parlato 

86  aiti,  antjfiiia^iiiii. 

90.  Già  mei  calare:  ^k  in  daca- 
danza  di  fortune  e  di  |Mttera,  e  ridiitti 
a  pochi.  Al  Coala  piarqui*  li  letiiina 
ralUtn  dal  tcato  Viv. ,  e  cbe  è  pare  dal 
Cod.  FI.  e  de'i|ualtro  Pat  ,  per  la  ^aala 
s' indicberrkbe  il  Inugo  uve  abstavana 
quelle  ftiniiglie,  ehe  era  la  rallaia  d'i^ 
greaao  a'Ia  città.  Ma  a  me  pare  cba  il 
Tcrao  che  aegae  B  ridi  eo  I  grmméi 
com*  naKcM,  difenda  prr  buona  e  par 
Tero  il  cainra  della  rum  dei  testi,  cha 
«la  in  oppaiinoaa  del  grandi. 

94  -95.  Sovra  la  porta  ee.  lat.:  Sa- 


àd 


ai 


pra  Porla  S.  Pfefa,  la  TÌdnaan ,  a 
seatn  della  qaale  anno  nggi  (ai  leflipi 
Poeta  )  i  Gerelli  e  i  Donati ,  empj 
tori,  per  le  cui  gare  e  maltalenia 
deri  in  penliiioue  la  barca,  la  " 
blica  ;  sovr*  eiaa  porta,  dica,  abitati 
in  aniiciA  IUvi|;naiii.  Credeai  cba 
sta  fami  :lia  a%ea»e  le  rana  preaaaS. 
ria  in  Campii,  Ir  qu^li  poi  pai 
Cui  li ,  e  che  vmivana   ad  < 

ranto  topra  l'aulica  Porta  S 
l\illanialC  39  del  Lib.  V|I|  ehi 
il  *-*Ut»  di  Pwrla  S.  Piero  il 
fraii'/alri.  Qualdie  antica 
Vi-ce  di  forra  In  porta  legga 
pappa,  ai»  è  da  M>|*uir  la  eoa. 

96.  jaltura  dì»tla  barca, 
xiune  dflla  Ke}inbUli€a. 

4UO-IU2.  Q»ei  éfUa  Pratm  ee.  U 
primogriiilit  «U-ÌU  fiiiiHglia  delta  PfaaM 
8  prv  le  a>  ti  di  ben  go« ernare, a  inaiM 
df'Ualigai  erano  già  i  diatintivi  drlla  a^ 
bìltà,  i  quali  Ciano  Taver  divaia falM 
•  il  pume,  •  p«*nH» ,  della  ipada. 

105.  Grande  tra  ee.  bd  iHoilm 
era  già  la  famiglia  da'  Pigli ,  a , 


Sacchetti,  Giuochi,  f  iraoti  e  Bamcd 
E  Galli,  e  quei  che  arrossan  per  lo  stato. 

Lo  ceppo,  di  che  nacquero  i  Calfncci, 
Era  già  grande,  e  già  erano  traiti 
Alle  curule  Sizi  ed  Arrigaccì. 

O  quali  vidi  quei  cbe  soii  dìstMi 

Per  lor  superbia  !  e  le  palle  dell'  oro 
Fiorian  Fiorenza  in  tntli  i  suoi  gran  fatti. 

Cosi  faceta  li  padri  dì  coloro 

Che,  sempre  che  la  vostra  chiesa  vaca, 
Si  fanno  grassi  stando  a  conaisloro. 

L'  ollracotata  schiatta,  che  s' indraca 

Dietro  a  chi  fugge,  ed  a  chi  mostra  il  deoto 
Ovver  la  borsa ,  com'  agnel  si  placa. 

Già  venia  su,  ma  di  piccola  genie. 

Sì  che  non  piacque  ad  Dberlin  Donato 
Che  il  suocero  il  faresfe  lor  parente. 

Già  era  '1  Caponsacco  ne!  Mercato 


lOS.  «  qttti  cVamUMK  re..'  • 
^B«lii  chi  li  tcrgui;i»"0  pir  ■'  mrinii- 

■■(I  noi  taTirili  uni  ingi.  Soan  i 
CUhhsmiIhì.  Vedi  Pur;.,  CKiilaXtl. 
4M.  Mt  curale,  ilio  ird'HT  niiHii, 
Mtlt  ^li  udcTioo  ì  dUlaluri  runiiu, 
i  («Milli,  i  pniori.e  che  quiiuno  pine 


ilnlon  dalli  Ropuhlili 
OImMì, 


«idù/Ulia 


tlrn>i 


iiltai*  t»cb»  I 
ntnm*.  >T»  l'ocKiinnlo  di  Firt. 
i«,e«M  ■  Sari  lanrtmdisll'ilbFrD.  El 
lun  poi  II  palle  Dviriroa  laro  mei 
i  F«rri»Mlli  a  i  Urdici. 

in-m.  CoH  ftcìan  tc-ì  «m\ 

da'Viidoaiai,  TMiHnlii  r  Ci>rli|iaai 


4  <  5-HT  Dliracaiat*.  pnnatH 
Sodi  le  timl^lir  dii'Catlctìuli  aiJ<a 
—  ('indraca  te:  diicoU  ronia  in 


ili.   Una  dr|ll  Adinarì   «CM 
rnrrimo  oppuits»  d  riloroa  i 

118.  pfcFOlagnilc.  gmui 

•la.  GII  tdiiiiiri,  «fnada  II 
■Dwra  di  Hu|i>lla  tittt   1>  «■ 

Ito.  r^  Il  nHNwro  (I  faa 


MBaHi,Biaalr*B<ill 
iMd^iAdimni,» 


Koiìi  di  Ballit 

131    CU  tra  a  CapBuwo- 

Finiplia  dei  Capmuaevbi,  dianaa  M 
mie.  abttaia  nati»  «Hiirnla  di  Urr 
Veechih.  Una  Capanania  fa  nafir 


),«d>W     «iM^««>^V 


Discefo  gii)  <ia  Fiesole,  e  già  era 

Bddh  cittadino  Giuda  eA  Infangalo. 
lo  dirò  ciwa  incredibile  e  vera: 

Nel  picciol  cerchio  s' entrava  per  porta, 

Che  si  nomava  da  quei  della  Pera. 
Ciascun  che  della  bella  insegna  porta 

Del  gran  Barone,  il  coi  nome  e  il  coi  pregio 

La  fcslu  di  Tommaso  riconforta. 
Da  esso  ebbe  milizia  e  privilegio: 

Avvegnaché  col  popol  si  ranni 

Oggi  colui  che  la  rascia  col  f^gio. 
Già  eran  Guallerotti  ed  Importooi, 

Ed  ancor  saria  Borgo  più  quieto. 

Se  di  nuovi  viein  fo*!er  digiuui. 
La  casa  di  che  nacque  il  vostro  He'o, 

Per'io  giusto  disdegno  che  v'ha  morii, 


rÌKt,  Ciad*  Gd;Iì 


'414  VtL  tgtkOOO 

■  I 

E  p(Mt6  Un  il  fttUfO'vlver  Ihto» 

Era  onorala  Mèi'  o  tÙU  'CMÉOftf. 

0  Boondelttoate»  quello  mal  Aig^bli 
Le  iioxae  saB  per  ritJbrai  mtelll 

MolU  otrebber  Kéti,  dte  ioli  trbd, 
Se  Dio  V  arane  eoBOoSdCD  ad  Etna» 
La  prima  Tolla  di*a  éftlà  venistL 

Ma  GODyeniaai  a  qoeHa  {rietra  «rema 
Che  guarda  11  poàtév  die  FìoiviiBa 
Vittima  oeOa  sua  ìpee  poatrema. 

Con  queste  genti,  e  con  altre  eoa  aaae, 
Yid*  io  Piorenu  in  A  htto  rìpoaOy 
Che  DOD  avea  èa^bne  onde  piangease. 

Con  queste  genti  ridr  io  glorìOM, 

£  giusto  il  popò!  suo  tanto,  che  II  g^jHo 
Non  era  ad  a^  mai  posto  a  ritroso. 

Né  per  division  fatto  vermi^. 


MO 


14fr 


liO 


488.  E  patto  /hM.  I  Qo£n  Aag. 
CmI.  •  Qà%,  E  p9ie  fiiM. 

141.  per  gli  altrui  amforti!  lo- 
iandU:  per  gl'impolsi  che  a  mancare  di 
parala  aaao  Buondelinoate  ebbe  daHa 
attdrc  della  faBciulla  de'  Donati. 

443.  S§  Dio  te.  Sf  Dio  ti  aveMe 
fatto  aaaegare  nel  fioniìecllo  Cma  la 

K'oaa  Tolta  ohe  ta  Tenisti  a  Flrente. 
ra  che  Baondel  monte  naacesae  aK 
l'atito  caatello,  sebbene  la  tua  fanii- 
dùi  Coaae  da  molta  tempo  stabilita  in 
rirente  \  dal  quel  castello  drtte  Monle* 
Iniouì  venendo  a  Firenze,  dovè  paisara 
ilfivme  Rina. 

4  45- 147  Ha  conrenloii  er  ■  Ma,  in- 
tacedic  Banodelmontc  annegatae  net 
PEma,  ù  conveniva  die  Firenze  nMo 
tua  pare  postrema,  nojli  nltiraì  giorni 
alia  ebbe  di  pace  e  di  ronoordia ,  fette 
Tiitima,  sacniicasse  esso  Buimdelmonte 
•qnella  pieira  tcema.  a  quella  rotta  sta- 
tua di  Marte  cbc  guarda  Ponti'  Vrrcbio. 
Jl  Buoodalmanta  fu  acciso  dagli  Ami- 


dai  t^loM  aoApamli  pramo  U  Gbieia 
di  S.  Stefano  a  pie  dal  ponte. a  da  «ail- 
Decisione  robe  ongiiia  la  diviaMoada 
eittadiai  in  Guall  a  OliiliaHini.  Gè  a- 
fanne  nd  121 S. 

1S2-453  il  jMpolMMM^- vidi  a 
popolo  Surantina  ù  proda  a  fortiaati, 
che  il  giglio,  aaa  ÌBar|Ba,  •••  aaMod» 
mai  venuto  in  mano  dm  nanaieì,  nanca 
pwò  stata  mai  da  aaai  ponto  a  ravmBS 
aulPanta.  Ciisì  a  jquci  leanps  naaaaai  di 
lare  delle  inaegne  conqmstnic  in  gmili» 
154.  fatto  remsigfdo.  Il  nw"f 
V  arme  antica  di  Firensc  nrn  nuiaaa  il 
eampo  rosso:  dopo  la  divi 
i  Guelfi  Deaero  il   giglio  vri 


campo  bianco.  D  giglio  nnn  mmjtét 
a  ritroao  jirava  l' antico  popolo  wn^ 
tino  giortoio,  pieno  dì  valor*  cfca  fi^ 
toriaee  la  giurìa  :  il  non  cnanr  lilla  «» 
miglia  per  dìvisiooi  lo  dii 
tto,  cioè  aenza  ambiaioiin.  mk 
che  sono  le  favilla  dm 
aeordia  civila. 


nmmif 


« 
t 


•15 


CAmtm 


."  ►?  1  i 


Ckudt  Dmmté  sdUaHmtmt»  m  CmtUgwàim  émtpmU»  métta  te  imftm»  «  te  Puffaterte 
mIUi  $um  mtm  fmtum,  E  fMfA  tom  vani  fmd  é'mms étltnm  dte-teaM  rMÉMn^  a  d'i 
tka  dà  eormttm,  gii  mmmtfaMtm  f  immtmamU  aUUm  étUa  atm  /muim  par  gT  IntrigM  d^amai  mndd, 
«te  ttmttmmHu  pmr  d* tmfmmmrt» ;  fMMmM  da»  pmm  wiwrfMiii,  te  parwniii  di  f ■«!  di  amm  pmrta, 
a  U  tua  ra/ug»  te  emna  d^taStakga  u  La  «Mtea  ^aimdt  m  fUHr  tei'aM  m«Umem$a  fual  aka  »a 
mdUi»  m  ttmo  tnsggèa,  tanta  timor  dai  Grwmdi  M0ati  dmifmma  tmaeamtmt  aàà  ftMtua  dura  9ari»à 
mi  pa'tmti  è  mrgamemta  dFmtdmm  gtmenam,  agUmlU  aatmff  «p«Mn«  «m  fià  «/jlbMte  mal 


Qual  venne  a  Cliiiienè,  per  aeoerlaTsi 
Di  ciò  cb'  areva  iocootro  a  sé  adite, 
Qvei  eh' ancor  fi  li  padri  affigli  semi; 

Ta'.e  era  io,  e  tale  era  seatìto 

E  da  Beatrice,  •  dilla  santa  lampa  i 

Che  pria  per  me  «raa  mutato  sitò. 

Perclìè  mia  Donna:  Manda  ftior  la  vampa 
Del  toa  disio,  mi  disw,  sì  eh' eli*  esca 
Segnata  bene  daU^intema  stampe; 

Non  perchè  nostra  conoscenza  cresca  10 

Per  tuo  parlare,  ma  perchè  t' ausi 
A  dir  la  sete,  li  che  1*  oom  ti  mesca. 

0  cara  pianta  mia  (che  sì  t' insosi, 

Che,  come  veggion  le  terrene  menti     * 

Non  capere  in  triangolo  doe  ottosì,  16 

Cosi  vedi  le  cose  contingenti. 

Anzi  che  sieno  in  sé,  mirando  il  punto 
A  cui  tatti  li  tempi  son  presenti), 

1-S.  Quai  venne  te.  Int.:   qaale     CettanlMi  (liTMipa  àA  dUnJefi*),* 

mattrì  ardesie  ndU  parole,  cent  A  m1 
tuo  ìotenio;  ossia  tprmta  nella  a^ 
JaaiiBa  fona  cbe  teiUita. 

41.  VauU,  tiarven. 

42  tieUVmm  li  wmm:  ù^ 
VmmB  vrni  nella  toa  tazsa  il  liqaeredi 
cbe  hai  art*  ;  cIm  è  qiieolo  dire  :  fieda 
paga  la  toa  aoiioa  del  deaiderio  anieo- 
le  cbe  ba  di  aapere. 

15-49.  O  cara  firnmU  m.  0  eu« 
ceppo ,  radice  di  oùe  fatiiiglìa ,  ohe  4I 
l'tiMtwi,cbes'i  ti  levi  io»ò,cbe  anr.tode 
io  Dio,  cbe  è  il  fHinlu  io  coi  a'aceegUt 
il  pasaat»,  il  pmriitc  e  il  fetore,  vedi 
le  rotili ng^nie,. le  rote  Am 


Qt/ti  eh*  ameor  fa  li  padri  a'JigU  umt- 
ti  (cioè  Pcioote ,  il  roi  Iriiiti»  fine  oel 
gnidere  il  carro  del  sole ,  die  il  padre 
vinto  daOc  wmt  notte  pre:;hiere  aveagC 
roocewe,  b  cbe  i  padri  sieno  scarsi  od- 
io aceeodiaceodere  alle  «Inmaode  de' fi- 
gHooli)  veaoe,  prrscnlitssi ,  a  Clìmeoe 
soa  madre  Dcr  farsi  certo  se  egli  fnaae 
vcrameote  ngliooU  d'Apollo,  poicbè  da 
Epafo  eragli  stolta  rnotrailetta  quell*  orì- 
gioe(TedilejrelaMierjr..lib  I,v.7S0a 
seg.)  ;  eoa'i  ansioao  era  io.  e  tale  era  jeia- 
l«/o,cooaacinto,da  Beatrice  ec. —  Qu9Ì, 
invece  ai  quei  che  curri*  cnrauueiueote, 

è  del  trslo  Viv.,  dei  Citdil.  Caet.,  Cbig.  le  contingenta ,  ìt  rose  cM  11  hbijm 
e  Vat.,e  di  varie  ediz.  —  dotta  tamtA  porterà  ,  io  quelle  flease  siedo,  eolia 
tmmfa  re.*  dal  santo  lume  di  Cacciagoì-,  stona  evidenza,  cito  che  le  ooMoe  naBli 
da,  cbe  dal  destre  corno  della  croce  erarf  vedono  che  io  oa  inaogeW  ooo  peaiooe 
recato  a  pie  d*essa  per  avvicinarmisL  es-Hcre  contenuti,  capere,  due  aogeli 
S-9.  fi  ek'tlf  ttca  et.:  li  cbe  auoi-     otioai  i  saopi  cbe  neoCce  ie  er»  ee.  . 


616 


DEL  PABADUO 


Mentre  eh*  f  era  a  Virgilio  congionto 
So  per  lo  monte  che  V  anime  cura, 
E  discendendo  nel  mondo  defunto. 

Dette  mi  fur  di  mìa  vita  ftitora 

Parole  gravi:  avvegnacb'  io  mi  senta 
Ben  tetragono  ai  colpi  di  ventura. 

Perchè  la  voglia  mia  saria  contenta 

D'intender  qual  fortuna  mi  s'appressa; 
Che  saetta  previsa  vien  più  lenta. 

Cosi  diss*  io  a  quella  luce  stessa 

Che  pria  ra*  avea  parlato,  e,  come  volle 
Beatrice,  fu  la  mia  voglia  confessa. 

Né  per  ambage,  in  che  la  gente  folle 
Già  s*  invescava  pria  che  fosse  anciso 
L*  Agnel  di  Dio  che  le  peccata  toUe, 

Ma  per  chiare  parole,  e  con  preciso 
Latin,  rispose  quell'amor  paterno. 
Chiuso  e  parvente  del  suo  proprio  rìso: 

La  contingenza,  che  fuor  del  quaderno 
Della  vostra  materia  non  si  stende. 
Tutta  è  dipinta  nel  cospetto  etemo. 

20.  che  F  anime  cura,  che  le  aoi-      U  pantlr  aiabifoe  onde  gì 'idolatri 
ma  medica ,  guarìM;c  dalle  piaghe  deU 
l'anima,  dai  peccati. 

2t .  B  diicfndendo  nei  m(mdo  d^ 
f^nio,  nel  mondo  della  morta  geota, 
neir  Inferno. 

23.  Parole  grati,  di  tritio  annno- 

rio,  ooai  furono  le  parole  che  a  lui  dia-      _^ 

•ero  Farinata,  Brunetto  Laiinì,  Corrado     ftatemo  ee.  (jocll*  am»rooo 
Malanpina  e  Oderiii  di  Agubhio. 

24 .  Ben  tetragono  ai  colpi  ee.  Per 
tetrt^fono  mtemle  i|ui  i|oel  tulido  a  sei 
faccie  ugnali,  ognuna  quadrata,  e  che 
da  qoalonqoe  parte  ti  orti  o  cumao- 

rie  ai  volti ,  rimane  tempre  ritto  :  tale 
il  dado.  IMceti  dunque  per  «imilitodi- 
ne  fltfer  tetragono  ai  colpi  di  ventura 
ooloi  il  coi  animo  forte  non  è  franto , 
né  lìnlo  dalle  tventore;  iii  qurm,  rome 
dice  Orazio ,  manca  ruit  temper  for- 
luna,  perchè  in  te  ipto  totvu  t§re$ 
mlque  roiundue 

25.  Perchè,  perìochè. 
27.  Hm  pie  lenta,  h  meo  aolpo, 

•  ènei  meno. 

li.  eamfmea,  eonfeiaata ,  maaiC^ 


in%eicati ,  pn-si ,  prima  dello  matta  fi 
Grtò  Cristo  Accenna  alle  ri«p««la  dij^ 
antichi  «iractdi  e  dei  Mcrrdciti  mpealBci, 
pene  di  ra|;f;iii  e  di  eqoivoci  par  ÌB- 
Dro|;liare  i  creduli. 

34-36.  con  preciso  Lmiin,  cìoèaao 
aperto  e  chiaro  favellare.— -gtieiraMf 


mio,  Chiuso,  naMokto,  entro  il  aaa 
proprio  «piendore,  pel  qoatc,  dandoti 
gno  di  allegn'E/a  cid  f.iisi  piò  viiaca, 
ti  fareva  parrenle,  appariva. 

37-3'J.  JLonmfin^enxa,  cioè  gli  af^ 
Tenimeiiti  rhe  pmMiini  «"ksnre  e 
tare  (la  quHi  nmtingenxa  noa 
fuori  del  quailerno  Della  rot fra 
ria;  cioè,  della  umana  natii ia|aiOm  l 
pretenti  .igli  ucchi  di  Do.  Di  4|oeatograo 
quaderno,  o  \i*lunie,  ogni  ii»mo  «icat 
ad  eat<  re  una  p>i|*ina  ,  metafiira  cW  a^A 
vitta  usata  ilal  Kiet^  anrlie  o^l  Caolo  XII, 
al  «erto  122.  La  Cfmlìnyeiixa  doOfM 
li  limita  all*aniiiie  umane  f  orW  aeaa 
•nila  cidia  materia ,  e  per  la  libarti  éà 
loro  arbìtrio  potsono  fare  •  ooa  tara. 


Al  dì  là  non  \'  ha  più  comIìhmim,  Hì^ 


.14 -83.  JVI  ftr  mmhage  «r.  Nao  per     to  avreoendo  di  necessité. 


la  an 


CANTO  DECIMOSBTTIMO. 

Necessità  però  quindi  non  prende. 

Se  non  come  dal  viso  in  che  si  specchia 
Nave  che  per  corrente  giù  discende. 

Da  indi,  si  come  viene  ad  orecchia 
Dolce  armonia  da  organo,  mi  viene 
A  vista  il  tempo  che  ti  s*  apparecchia 

Qual  si  partì  Ippolito  d*  Atene 
Pw  la  spietata  e  perfida  noverca, 
Tal  di  Fiorenza  partir  ti  conviene. 

Questo  si  vuole,  e  questo  giA  si  cerca, 
E  tosto  verrà  fatto  a  chi  ciò  pensa 
Là  dove  Cristo  tutto  di*  si  merca.   ' 

La  colpa  seguirà  la  parte  odfensa 

In  grido,  come  suol;  ma  la  vendetta 
Pia  testimonio  al  ver  che  la  dispensa. 

Tu  lascerai  ogni  cosa  diietta 


«47 


40 


fiO 


65 


mia,  la  eontingenta,  di  cha  ^ai  parla 
il  Poeta,  riguarda  unicameata  il  noodo 
Borala,  non  gik  il  fisico ,  né  quello  4agli 
apirìti  tciolti  dal  corpo.  Questa  apiafa- 
nooa  è  comprovata  anche  dalla  tartina 
acgMnta. 

40.  Neeeisità  però  quindi  no» 
artntfa*  Quindi,  da  questo  aotifadara 
m  Dio  però,  non  prende  necaaaitk  la 
ééUtà  aontingenza;  come  lo  scendere 
9  ma  oaTe  già  per  la  corrente  del  fin* 
■Mnaaè  neecaaitato,  o  fonato,  dal  viio, 
^ll'acdiio,  in  cui  ella  si  specchii,  oaaia 
3«IP  occhio  che  la  sta  rìguardendo.  Ve- 
rìth  cartiaaima,  ma  che  imbarana  la 
manta  di  molti,  che  la  prescienxa  di  Dio 
totomo  alle  nostra  cose  e  al  nostro  fina 
non  importa  neceasith  né  distraggo  la 
libertà  dal  nastro  volere ,  pcreiocchi  è 
V  evento  cba  fa  la  sdenta,  non  la  aeioon 
Perento. 

45-  Daindif  dal  divino  cospetto  oro 
tono  diatinti  totti  i  rontin;;rnti. 

45.  À  tùia,  alla  vìhIs  delln  mente. 

46-48.  Qttoi  ii  parli  Ippotilo  d^À- 
Une,  eoBO  Ippolito  parlìui  calunniato 
dl'Aleno  per  non  Tolera  aderire  alla  ini- 
quo vocilo  di  Fedra  sua  madrigna,  e 
•er  «otore  eaaero  onesto;  cos)  ta  m- 


rei  par  finti  delitti  cacciato  di  Pii*,.^, 
per  MB  Yolerti  accomodare  alle  TOfiio 
aaelleralo  dei  prevalenti. 

49-54.  ifutito  ti  ruote  ce.  Qoealo 
ino  enlio  ai  voole  e  per  ogni  via  fi  coret| 


e  verrà  faitOy  rìnsdrk,  a  bhi  ha  blerea- 
80  di  ottenerlo,  là,  preaao  la  Curia  Ro- 
mana ,  dove  tuttodì  per  acquati  tem- 
porali ti  fa  mercato  di  Gmì  Crialo. 
Accenna  alle  brighe  di  Coreo  Dosali  o 
di  nitrì  in  Corte  di  Roma  per  far  allon- 
tanare da  Fireiifc  i  più  terrìbifi  aoaloni- 
torì  del  partito  contrario,  uno  daiqaaR 
era  l'Alighierì. 

52.  La  colpa  Hguirà  te.  :  la  eolpa 
tegnirk  in  grido  la  parte  offema,  cioè, 
ondrb  addosso,  al  dir  della  gente,  aUa 

Krte  ebo  avrà  la  peggio,  secondo  il  ao- 
0,  che  chi  ne  tocca  ba  sempre  il  torto. 
Vnol  dire  :  saran  credute  vero  lo  colpe 
a  ta  apposta. 

55-54.  ma  la  vendetta  ec.  Ma  la 
vendetta  che  ne  seguire  sui  tuoi  perw- 
cntori ,  e  specialmente  su  Bonifaiio,  e  ta 
Corso  Donati ,  renderh  testimoniama  a 

3 nel  vero  oltraggiato,  da  coi  la  vall- 
etta della  falsità  e  dell'  inginstiiia  ai 
parte.  Alruni  per  la  parte  offensa  in- 
teniliinu  i  Bianchi  espuhi,  e  per  fsoen- 
deffa  credono  accennate  le  sventare  cho 
du|io  la  cacciata  de*  Bianchi  sopravven- 
nero alla  parte  Nera  rimasta  superioro 
in  Fireoie,  come  la  caduta  del  ponto 
alla  Carraia,  un  terrìbile  incendio  oa.  : 
ma  mi  par  meno  acnta  ;  oltreché  qoel 
cho  poi  più  sotto  dice  contro  i  eompagoi 
d* esilio  di  Dante,  non  convien  troppo 
bene  con  una  tale  inlerpretaxione. 
55-4^7.  ogM  cotm  diktta  Fié  eth 


nu.  FAUDno 


Più  rarametile:  e  questo  è  quello  Mnle 
Che  r  arra  deh'  esìlio  prì>  GaoUa. 

Tn  provera:  f'i  rome  sa  di  sale 

Lo  pane  alimi ,  e  com'è  doro  caHe 

Lo  srendere  e  il  i^lir  per  I'  alimi  acale. 

E  quel  che  più  ti  graverà  le  spalle 

Sari  la  cora^iagnia  malvagia  •  scempia. 
Con  la  qual  la  radraì  in  qoesta  '*al[e: 

Che  tutta  ingrala,  tutta  matta  ed  empia, 
Si  fari  l'oiitra  te:  ma  poro  ap|ireì»o 
Ella,  non  lu,  n'avrà  itt-ira  la  teinpiA. 

Di  SDa  be^tialitaie  il  si»  processo 
Fari  la  prtiova,  s|  oh'  a  te  fia  Mio 
Averli  falLi  parte  |ier  te  stesso. 

Lo  primo  tao  riro^ìo  e  il  primo  o^llo 
Sarà  la  corlesia  del  gran  Lombardo, 


,  gii  .krT. 


I 


m  Hiria.  And   Iit<|vM>i  tuaMpar  tWé  mi 

Sa-OO   ru  rrnrrrr»  ri  a.mr  xa  di  ■r(.in.»K'«  (M  ta«b»  pnWiM  •*• 

■  ■■■iiti.ìa  <M  illri»!  (nmr  pai- 
M  I*  IMI*  Jtl  |ti-CitnU  ■  «li  ini  n- 

•MfWtftrkii-fvi;  «tM  ■'«  laulap<r  

V  Jtm»  ttmoi  fnftw.  ytm1i\B  hnt  ftr  •ìgiis'i  iii.iiihuIì  <t«i  BiaiwU ,  W  ^ 

!■  inviwu*  *  fiadugniii  i1>I1j  |wr>a-  *>■  prv»  fiivhian  itllm  Xmt-ymaàr 

M  ^  «■>  IpIt<.I|>  tri  r.Hlnll.'  ■  nr.»«*  prwo  Ai  «t»  IrUUnna  .Mia  hhM, 

fHMo  p>iHi  ■  pà  ipaw  fa  il  iiimIu  ■  n>  altarra  apiln»  *!■■*!    ' 

•M  ih*  Il  t  tarla  Hnin»* 

SI-«3  ICfudclMpfAK.  etacHi  GT-a*.  Dima  è*tttaliM^U 

^lixcl  pHi  iJiiH  ■  impiKH'ianHH  II  protrila  te    II  uu   |         ii    .  ■ 

...  .  |_^^  01.B.I..I1»»  il  finf  Jfiriiiipni««,»m 

fraU  H-fW-HD    ■!>'•««    le^Krriui       p««<fv 

,  in  Fdllini4ltl  11  •»  bnlnlilà.  A'b  k  M 
'--"'     -'...rittr^—  Ji^MÌ«i,k 

(fli  /«il*  pari*  ptr  Itri» 


£  Mn»,  t. 


64  Tà*  latta  latrala  K  Fom  [] 
Pt4U  tUuiW  «III  ri>"liUi")i>  p/ni  a*r 
Gh.lwll.ni  moti  di  .mIu»-  ».nnu, 
I  l'tiM  »MÌ|ii  finir*'!  ■  I"'"'  >«: 


I 


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McvA.pvib 

panW-i  .  r.«.r 

M 

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a.D 

i»«.i.i..An«« 

».Up 

™pno  iau. 

I^ÙTsuii. ,  n:^u 

ima 

IMI.InMx 

CANTO  occmonTTiMo. 

Che  ÌD  M  la  Scala  porta  il  santo  uccello; 
Cb*  avrà  in  te  sk  beoigao  rìgoardo, 

Che  dei  faia  e  del  chieda*,  Crt  voi  due, 

Fia  prime  quei  che  tra  gli  altri  è  più  tardo. 
Con  Ini  vedrai  colai  che  impresao  foe, 

Nascendo,  é  da  questa  ftella  fòrte, 


649 


7^ 


figli,  BarioIomniM,  AlWioo  •  Cmfrio» 
Mseo,  nato  il  9  ntrzo  del  ISOI .  B*rt»> 
lomme»  fa  tosto  MoCtrmal»  dal  papale 
Signore  della  cittk,  ne  non  la  teaoe  dM 
Ire  anni ,  morto  eaeendo  sei  mane 
del  4304.  In  tuo  loogo  fa  prodanate 
capitano  del  popolo  Alkeiao,  il  q«ala 
fo  costretto  ad  arersi  per  ooapagDO 
Cane,  ooitaaiente  al  ^ale  dumìnò  <fal 
4508  sino  air  ottobre  del  1514  ,  epeea 
ia  cai  Alboino  consoato  d'aia  Crobra 


aera  di  Daate  a  Verona  sotto  Barto- 
aè  ?olcado  ammrttere  die 


peaaa  ad  Pmrméito  arar  esaltato  queU 
r  Albdao  che  ba  avrilito  nel  Contito, 
▼egluKio  cbe  aq,o  e  aiedesimo  sia  lo  Bea- 
figaro  ledala  ia  lotta  qnest»  tratto  dd 
Caala  XVII,  e  iaiate  di  leg^rre  colla 
celane  dei  teati  e  delle  stampe  Con 
hU  99drui  eoifUf  leggono  Colui  ve- 
dnrfp  eoMte.;  noè:  conosct*  rai,  cedrar 
a  praaeaia  aaeato  magnanimo,  qael- 


elice  morì,  e  rimase  Cave  aasnlta  d»     Paroe  ee.;  nel  qnd  caso  quella  ripeti' 


gndre.  Dicono  la  pii  parte  dei  Co- 
nentalori  antichi  e  aegli  scrittori  ddle 
ceee  di  Dante ,  che  egli  n  recaaea  a  Ve- 
rona nel  4303  onand»  n'era  aigaare 
Bartolemmeo ,  «iBne  di  ottener  da  lai 
qaalcbe  ainlo  al  partito  ano,  e  che  vi  d 
traHeaeaaa  an  certo  tempo,  aceolto  e 
trattato  aalcndidamente ,  e  eoa  adta 
aaióda  da  «ad  Mgnure  Partitosi  qain- 
éà.  Àofo  «aneperegrìoatioai,  e  dinMire 
pie  fM  aia  là,  Ti  ntoruò  irerao  il  1308 
anaaide  demiaera  Alboino;  ma,  qnal 
OH  aa  foMoIa  ceipooe,  noe  parte  Imp- 

CaeatfBle  di  lai,  pcrrhe  nel  Cowmito 
■arde  iiecorae  nomo  ili  poca  nobiltà 
4*aaiaw.  Trovò  in  seguito  pia  gvnere- 
»  eepitalilà  e  protcsioiie  in  Laa  Greade 
mando  tm  rìmaelo  awtiluto  signore  di 
taroaa,  a  di  lai  «opr' i»giii  altro 


aapitoai  aoaipiacqne,  ancTir  per  le  ape* 
raoie  cbe  come  Tirarlo  iroiicrìale  e  prode 
gaerriere  dava  dia  taoi»  da  Ini  sogipirata 
riforma  ildiaaa.  Su  quruti  fondiimenti 
appeggie  la  lenone  che  segno  di  con  lui 
9§drm^  e  l'ialerprctazione,  che  lo  Sca- 
tìgcra  aeeeaaato  ael  yraa  Lomborio 
sia  Bartolanaieo.  Il  Pelli  che  noa  am- 
anite che  Dante  foaae  a  Verona  prima 
del  I30S ,  vaole  che  il  gran  L>wdmrdo 
M   AiboiiM,  aè  fa  conto  del  biasioM 

Sad  Comtito^  forse  perchè  non  A 
il  aelo  esempio  di  persona  kidala 
Jle  ia  un  luogo  e  bia-imata  in  an 
altro.  Altri  analmente, e  vairali  crilid, 
Don  aieade  dùaro  documento  della  di- 


lion  del  pronome  dimoaftrativo  esalte- 
rebbe la  srandena  e  F  importania  dd 
personaggio  da  coi  doveva  easere  eo- 
tento  bendwato*,  e  la  vcwe  primo  m 
prenden-bbe  nel  senso  di  prineipah  „ 
e,  di  primo  in  splenilidezia  ,  anco  per 
la  digniU  ddl* «epile.  Ad  egai  nuda  il 

neo  è  multo  dubbie  per  r  iaeertaiza 
le  aaemorie.  Pone  migliori  e  pia  fi- 
lid  staJj  piilraaoo  in  appr(>sao  eaiarire 
ed  latti  anco  la  vera  lenone;  me  iatonto 
ie  ho  errdato  diiver  aeguiro  gK  antieU  , 
a  il  maggior  numero  de'  leali. 

72.  U  .-mio  ureello.  Dicono  alcuni 
cbe  gli  Sc;iligerì  romsern  V  aqnila  suite 
acala  solamente  Anna  che  furono  dichia- 
rali vicarj  iinpeiiali  ;  ma  altri  arTrrmano 
averla  portata  anche  ìnnanii,  perchè  Ve- 
roaa,  ni  cui  aveano  hi  signoria,  era  fea> 
do  déir  Impero.  E  il  postili  CaeC.  nota 
a  qaesto  luiigo.  ■  Sriiiret  D.  Bartfiolo- 
mai  tic  Scala  Ione  domini  Verona,  ^ui 
capitanensBartbolonians  dicrbatar,  qui 
solus  de  illa  domo  portai  in  acato  a^i- 
laai  Miper  araUm    • 

74-73  Che  del  fmr€  §e.  Ini:  fra 
▼d  line  il  dare  (rhe  comunemente  sad 
seguitare  l'alto  del  chitMlcrr)  precederà 
il  chiedere:  il  bcacfido 'precederà  la 
domanda . 

76-78.  Cam  lui,  con  qaeslo  gran 
Lombardo  {framdé  come  prìncipe)  vt» 
drmi  eolni ,  il  giovinotto  Cine,  cAe  fm- 
preito  fme,  che  nascendo,  nel  pento 
del  nascere,  da  qacsta  /bvfe,  guerriera. 


Che  nolabili  Hen  l' opere  sue. 

Non  se  ne  sono  ancor  le  genti  accorte. 
Per  la  noxells  età,  cliè  pnr  nove  anni 
Son  queste  mole  intorno  di  lui  Ione. 

Ma  pria  che  'I  Guasco  1'  alto  Arrigo  iogaani, 
Parrau  faville  della  sua  vìrtule 
In  non  curar  d'arroto,  n6  d'atTanni. 

Le  sue  magniOcenze  conosciute 

Saranno  ancora  si,  che  i  suoi  neroìci 
Non  ne  polran  tener  le  lingue  mule. 

A  tui  t'  aspetta  ed  a'  suoi  benefici  : 
Per  lui  6a  trasmutata  malta  genie. 
Cambiando  coniliziDu  rìcrlii  e  mendici. 

E  porlera'ne  se  ri  ito  nella  mente 

Di  Un,  nna  noi  dirai...  e  disse  cose 
Incredibili  a  quei  che  fia  prefenle. 

Poi  giunse.  Figlio,  queste  son  le  chiose 
Di  quel  che  ti  fu  dello;  ecco  le  insidie 
Che  dieiro  a  pmhi  giri  ron  nascose. 

Non  vo'  però  che  a'  tuoi  vicini  invidie. 


] 

I 


I 


•l«Ilt  di  li.ru,  rBÌHpir.l.l.ln..aU, 

8S.JI.ir<up^..)dlG«rt.;< 

d»  leu»  bellicht  r»1>  <.n.n«6ni>(s»Ì- 

al.ida,<.IUl.lna„p«.,xi.„,p^ 

K,d.*,J.gn.d'«»J.II'i.u,ri..»t»l.. 

B0-S4    PtrtanotrllarlArt.^ftì 

C.B  CrlBdc),  inl»n..  .1  q..l.  n««M 

avnbba  potuto  aMicUrla  pan  mip>. 

■Tira  li  •Olio  ■RRTile  par,  talimcolc, 

non  *olU:  c^,  h>  n«v«  .noi. 

82.  priathtllGitoiai  n:..-pnRi* 

*!.«  piDi  Cltmml.  V  di  G<iu(0|,«*  io- 

liooe  n'i  "OMli  lra)ct»-«li  ti  «pM- 
91.  E  pcrlrram  ae.:  «  dlUa> 

Amgo  VII.  irrlco  di  LaHomlore»  Fu 

dello  inperatore  opl  I3US,  nimM  ««■■ 

pnrltrii  xmlo  nella  Ina  i»eni<>na,>m 

ooKilla  nil  1310,  quando  Cana  (ira 

appilnartt  ad  alcano ,  qunu  hh  * 

<0anDÌ,aruinu!l»tMtr.ri<itodt1papt, 

io  ti  prfJiPO.                    ^ 

cl.ada|>riida.«l'(>eai»vi1.io. 

93   •f>if(M..-a   i,a.]lo,(Bla 

8S,  Parrà»,  appariranno,  farilte. 


— b  iiUHlia  eia  rfirln 


Jnprcgìo      a  pachi  I/M  te.!  la  prFp>r(li 


97-aOjfcliM' 


igi  di  lo  ftt  |>Dch*  mah»- 


leitMtHCbfa 
■B  I»,  poiakèliaa 
p»r  daran.il il ^ 


CANTO  DECIMOSETTma 


614 


Poscia  che  s' inftittira  la  tua  vita  ^ 

Via  più  la  che  il  ponir  di  lor  perfidia. 
Poi  che  tacendo  si  mostrò  spedita  iOO 

L*  anima  santa  di  metter  la  trama 

In  quella  tela  eh'  io  le  porsi  ordita. 
Io  cominciai,  come  colui  che  brama,* 

Dubitando,  consiglio  da  persona 

Che  vede,  e  vuol  dirittamente,  ed  ama:  i06 

Ben  veggio,  padre  mio,  si  come  sprona 

Lo  tempo  verso  me,  per  colpo  darmi 

Tal,  ch'é  più  grave  a  chi  più  s*  abbandona; 
Perchè  di  provedenza  è  buon  eh'  io  m' armi 

Sì  che,  se  luogo  m' è  tolto  più  caro,  ito 

Io  non  perdessi  gli  altri  per  miei  carmi. 
Giù  per  Io  mondo  senza  fine,  amaro, 

E  per  lo  monte,  del  cui  bel  cacume 

Gii  occhi  della  mia  Donna  mi  levare  ;      ^ 
E  poscia  per  lo  ciel  di  lume  in  lume  ii( 

Ho  io  appreso  quel  che,  s' io  ridico, 

A  molti  fia  sa  ver  di  forte  agrume; 
E  s' io  al  vero  son  timido  amico. 

Temo  di  perder  vita  tra  coloro 

Che  questo  tempo  chiameranno  antico.  ilo 

La  luce  in  che  rideva  il  mio  tesoro 

Mia  kr*  p«r£dia.«polrai  federe     ee  ni  è  tolta  la  mia  cara  j»aCrìa,  io  mb 
il  frvIU  che  ai  eegrie  dell'  iniquità.  Ab-     abbia  a  perdere  altri  laogiii  d' aule  par 
aka  Balla  Scrittura  :  moli  wmulmri  i»     cagiona  del  mio  poetare  f  raaco  ad  ar- 
dito. 

442.  Gtj^  per  lo  wumdù  ee.:  nal- 
11oferno,dove  il  dolore  è  iatmoinabile» 

443.  E  per  lo  moni»,  nel  Porga- 
no. —  del  etU  bel  reieume ,  dalla  eai 
cima ,  il  Paraiiiao  terrestre .  gli  oecki  di 
Beatrice  ni  levarono  al  ci«o. 

447.  À  motti  Ita  ee.:  a  molti  aarà 
di  OD  sapore  troppo  forte ,  aspro }  ro- 
^ri  dispiacere. 

448.  E  f'to  al  «ero  eon  ttmido 
mmico  :  se  per  timore  m' astengo  da  na- 
oifestare  la  verità. 

449-420.  Teaio  di  perderei:  t^ 
aso  di  restar  senza  9Ìta,  senta  faaM,  ia 
dispregio  appresso  i  posteri. 

424.  «/«Moleioro,  I' 


4e^0a.  Poi  €ko  tacendo  ee.  Poi- 
Ak  Caceìagoids  si  fn  spedilo  di  cbiarir- 
flH  ialarBO  spalle  cose,  delle  qoali  araoo 
già  dioBBii  alla  nia  mente  ordite  le  Sia 
(dalla  fBili  aiaè  io  aveva  qualche  Boti- 
aia),  ioaaaMBaiat  ee.  Chi  di>meoda,  or- 
bace ìb  carta  aMdo  la  tela  ;  chi  rispooda 
alla  dooModa,  riempie  quests  tela. 

404.  Dmkitamdo,  in  nn  soo  dobbio. 

405.  Che  vede,  che  sa ,  ed  ba  oieo- 
la  ;  a  fmoi  dirutamente ,  ba  rettitodi- 
■a  ad  eoestà  dà  aoima  ;  ed  oaia,  a  ba 
cBoro  o  iotarease  per  la  persona  che  del 
caosigUo  lo  ricbicde.  E  tal  era  Caeòa- 
gaida  rìgaardo  a  Dante. 

40Ì.  ai  eoBM  sproBo,  come  aaira, 
oaflM  a'aflretu. 

401.  ^abbandona,  si  sbigottisca,  si 
perde  d' aoiaio. 

440.  SI  aM^  M  Imogo  ee.  Cosicché, 


trisavolo  mio.  Il  B«lbo  dice  éke  il  sbo 
teeoro  è  Beatrice  che  rìdeva  alla  loco 
di  Caciia{;uid.i.  Io  non  lo  credo;  che 
Fcapressiuoe  aggiunta  Ck'io  trovai  ti. 


4}it 


WBL  PAftADRO 


«     Ch*  io  trovai  U,  si  fe  prima  corrtuea, 

Quale  a  raggio  di  aole  speediio  d'ora; 
Indi  rispose:  Coscienza  teca 

0  della  propria  o  deir  altrui  yergogna,  itt 

Pur  sentirà  la  toa  parola  brasca. 
Ma  nondimeii,  rimoma  ogni  meosogna, 

Tulta  lua  vision  fe  manifesta» 

E  lascia  por  grattar  dov*  è  la  rogna; 
Che,  se  la  voce  tua  sarà  molesta  130 

Nel  primo  gosto,  vita!  nutrimento 

Lascerà  poi  quando  sarà  digesta. 
Questo  tuo  grido  &rà  cornei  vento. 

Che  le  più  alte  cime  più  percuoto; 

£  ciò  non  fa  d*  onor  poco  argomento.  iss 

Però  ti  ?on  mostrate  in  queste  raole, 

Nel  monte,  e  nella  valle  doloroaa, 
^  Pur  r  anime  che  son  di  Tama  note; 
Che  r  animo  di  quel  ch*  ode,  non  posa 

Né  ferma  fede  per  esemplo  ch*aia  140 

La  sua  radice  incognita  e  nascosa, 
Né  per  altro  argomento  che  non  paia. 

Jimustra  cbe  aurl  tesoro  nuo  è  Bea-      (pridare  aMnifctUaé*  U  cote  di  te  f^ 


irìee,  ma  Carcia|;uid« ,  coai  cbianialo 
perchè  pregio  e  tplenJore  della  aua  fa- 
miglia. 

422.  ti  fé  priima  eorrutem:  ai  w- 
cese  prima  di  ii.ag|*inre  aplrndora. 

424-126  C atei fn%m  futcm  ee.  nn» 
coadeiua,  o  chi  abbia  la  ci«cienza,  ^umm, 
macchiaU  d'alrana  vergognoia  atiooe 
propria,  o  d'cttrvi,  «di  auui  conipaDti, 
pur  ienliré,  aolanimle  ciifctui  potrh  aeo- 
tire  arerba ,  Aniwtt,  la  tua  parata,  il 
loo  parlare. 

429.  E  lascia  pur  grattar  et.: 
cioè,  laaria  par  rbr  ai  di>l)ta  chi  ai  aeute 
ferire.  La  nieliifora  è  M-hifiiaa,  ma  al 
caso,  perche  esprime  tutla  la  villa  di 
qaella  geote ,  e  il  diapreiio  io  evi  egli 

la  tiene. 

431  -132. rifa/  nutrimento  ee.Vool 
dira  :  gioverao  molto  le  lue  pamle  alla 
correiitNie  dei  eoatami,  qaanda  gli  «•- 
mini,dif>erìlaae  la  prima  aifrma,  aeal- 
oMrti  alqMoti»,  oc  mediicraiiBo  la  vai  i- 
tk  a  l'imp«irtania. 

433   fjuuto  Imo  grido:  quaitatao 


dule  e  adite. 

43b.  E  ciò  non  fa  ^omor  poco  m- 
gomento    E  ciò,  I  addentare,  ciaè,  i 

f [rendi,  e  a  faccia  aeopcrta  OMakvrli 
uro  tuqtitadini ,  è  argomcaio  é'  wmtm 
generiifto  ;  pliche  ehi  ha  paora  li  larii 
fare  e  tace,  o  tutt'  al  più  lancia  al  «vii 
un  epi{p-ainma  aeoaa  uomc  La  KU.  E 
ciò  mm  Ha. 

458.  I»i»r  rondine,  lalawiiii  b 
aaime. 

43«J-44«.rib^r«n<moar.1li 
pende  dal  però  di  Mopra.  Ini.  : 
l'aqimodi  chi  odi*  non  s'ac<|ni<ta, 
dti  fi^e  agli  CM'mpj  che  ai  pitngoan  ^ 
Dami  allfl  aaa  niente ,  ae  qucali  haaaa 
radice  incognita  e  nateotai ,  ciaè,  aa 
qiie>ti  timo  tulli  da  pi-rMinc  kaaa*  o  aa^ 
ooariate  Gli  rsi-nip)  a  fare  odioai  i  «i^ 
e  dekiiiei  ubili  le  %iiiù,  ai  devoa  praBév* 
re  da  pernone  d'  alte  coodiaioaa,  ^ 
aia^  abbia  ,  dall' aiitiq    «trv  •  Mf«. 

442.  ffte  nnn  poM,  c4w  nen  ai  m^ 
atri  auai  uauifckto,  che 
demi. 


6)3 


CAIHVO  BEcnnrovTAYtt. 


5oiM  •wifnctf  fll 

ifoM  «0M  ««tri  «•!•»  dh«  «HMrMw  te  ffwfKiiib  •  *' 
ti  ^trui  n  eompùmgtim  m  Ittttn,  ptà  gì  0nh 
f  Bik  egrmmtm  m  tùmèottgtimi  la  f iatfMa  étOTl 

Già  si  godeva  soto  dei  suo  verbo 
Quello  epirto  beelo,  ed  io  gustava 
Lo  mio,  temprando  il  dolce  con  T  acerbo; 

E  quella  Donna,  eh'  a  Dio  mi  menava, 
Disse:  Muta  penri|r»  pensa  eh*  io  aono 
Presso  a  Colui  dt?  ogni  torto  disgrava. 

Io  mi  rivolsi  'ali*  amoitMO  soono 

Del  mio  conforto;  e  qoale  io  allor  vkfi 
Negli  occhi  santi  amor,  qui  T  abbandono; 

Non  perch*  io  por  del  mìo  parlar  diffidi, 
Ma  per  la  mente  che  non  poò  reddire 
Sovra  sé  tanto,  s' altri  non  la  guidi. 

Tanto  poss*  io  di  quel  ponto  ndire, 
Che,  rimirando  lei,  lo  mio  aflbtto 
Libero  fu  da  ogni  altro  disire. 

Fin  che  il  piacere  eterno,  che  diretto 
Raggiava  in  Beatrice,  dal  bel  viso 
Hi  contentava  col  secondo  aspetto. 


SmUfmImétIm 
•$ft0mmméitèmm'0' 


10 


ih 


4.  dff  MMVtrAo,  <l«l  ■—  codwHb, 
JelU  9tm  tkm  «mio  a«l  m*  pMwer». 
Yt¥^  pero— ctMp  ètonmae  delle  tego- 
le.—'#ol«,  pcicW  ooo  pariaado  pNi^iMa 
faoM  yrf  4ei  m«  a  dlinioilo  a  DaaCt. 

5.  LowUo,  il  verbo,  il  concetto  mi*, 
owia  U  eoM  «bt  per  le  perule  «li  Ca^ 
cie8«ida  m  MMiaveao  por  la  aeola..—- 
Umprmmdo  il  doU9  con  t  merbo.  Qa^ 
sta  forala  aipiira ,  ebe  tra  'I  pÌMara 
delle  baeae  ewa  cmlategli  ila 
gaida,  veaWa  a  aMacolarw  il 
io  lai  piò  (orla  dal  Iranende  oòlpo 
la  fortuna  gli  preparava.  So;;uendo  aal 
Viv.  e  col  Caau  il  Cod.  Florio,  che  ha 


Ili 


«eato  conoetla, 


col  éelcf  tmoerke, 

che  è  eoafenttalo  dallUvvertii 

Deatriee,  «vaMaa. 

S-  Jfttta  p§niitr:  «oa 
attorti  ibe  riceverei. 

i.  Prm§oa  Ce/«<  te.  :  «f««, , 
a  Dio,  A9  éii§rmr;  allengerìacà,  ofai 
tortOf  aaallawdo  l  ia:;io«i«uie«te 
[^uitdtu,  e  cattipodo  e  uiniliiimle  U 
Ugno  p«raac«iareaMif<iwiùte 


7.  «/rMMorofo  «imm;  rfk 
fdelUdooMebem 

a.  a  fvolr  io  mlior  et.  Caalr.  :  • 
qmmk  io  •Ufrmviéi  oatara  mgU  aacài 
tmmH  {ài  BfoUice)  ee. 

9.  f«M  é'ak&mnémM,  laadofMali 
Toka  di  dire. 

40-42.  Kom  ptrek'io  fwrwe.  Rao 
aolawanta  parebe  ie  diaperi  di  fer^ 
var  parole  a  ciò  efiiraà .  ma  per  a^t^ 
ne  eiiaodio  della  meoiofM,  dia  ■aa  p«è 
rappreaeotare  coavenieal aitata  l'ia» 
magioe  vedala ,  aa  ooa  A  àmtala  dalla 
granii  eaieste. 

43.  ranlOp  ^ealo  tasto,  ^aalPiè 
dire  :  a,  eie  aolameola.  — di  ffm  ftmr 
lo ,  ai  ciò  cbe  ia  ^aal  paato  di 


46-20. 
Sidiaal/bidhailaaaUdi 
«a/  laaifo  «ha;  e  latte  le  diffieeM  cka 
•i  aMioMB  ••  ywalo  paaao  aaao  tpfle* 
Dato.  Nel  leaipu  che  U  pimtmr  iiwiia,  Ì 
divìn  lame,  cbe  è  il  piacere  etereo  dai 
beali  apiriti,  raggiaado  is  iaalnea  di- 


Vincendo  me  co!  lume  d'  uo  sorriso. 
Ella  mi  disse:  Volgili  ed  asrolta. 
Che  non  pur  ne'  miei  occhi  é  paradiso. 

Come  si  vede  qui  alcuna  volu 

L'affetto  nella  vista,  s'ello  è  tanto 
Che  da  lui  sia  tutta  l'anima  tolta; 

Cosi  nel  Dammeggiar  del  Tulgor  santo, 
A  cui  mi  volsi,  conobbi  la  voglia 
In  lui  dì  ragionarmi  ancora  alquanto. 

E  comincia:  In  questa  qumta  5ot;lìa 
Dell'albero  che  vive  della  cima, 
E  fruita  sempre,  e  mai  non  perde  foglia. 

Spiriti  son  beali,  che  giù,  prima 

Che  venissero  al  ciel,  fur  di  gran  voce. 
Si  eh'  ogni  musa  ne  sarebbe  opima. 

Però  mira  ne' corni  della  croce: 

Quel  eh'  io  or  nomerò,  li  brà  1'  atto 
Cile  fu  in  nube  il  suo  fuoco  veloce. 

Io  vidi  per  la  croce  un  lumb  tratto, 
Dal  nomar  Josuè  cora'ei  d  fi», 
Né  mi  fu  nolo  il  dir  prima  che  il  Ltlo. 


I 


va  col  icnmdo  aiprll 


sititi 


•  :  Voi- 


I 


% 


— colittoiulo  adulta.  Ckìiim 

primo  tptUo  l'tlrnnu 
dinllo  :  jcnrniJo,  il  hJi 
II.OUaMi|Mir< 
■lilli  d<i  Cod.  Ciri.:  Quia  non  mhiii  i» 
coalmplaliDM*  Thtiilofia  al  ftlùilai 

•dnliBa  vinmm. 

22-il .  Cnmt  t>  Mila  «.  Cane  il. 
taat  tDlla  au  In  doì  fl  «orj.  «ffi 


di  dalla  «ni  ingià;  ■  di»  eh 
bers  (ita  dalla  ana ,  pareb 
ftno  nrtiHla  an*  vi(a,  al  aw 
D«ln  altari  al»  liivo*  JM 

SU.  S  fmlls  Mdfir»  « 
pra  Uuis  a  LmIo.  •  imo  atit 

il.  fur  di  gnw  voet,  it 


ala.  53.  51  cJk  «ni  mit$a  M.  S  ^ 

pò-      ogni  pu'li  aTraliiw  alibusiUiiM  ■  li|aa 

S;i-Se  H  /a>4  r  adir  M.  :  W^rii 
Cflini  dalla  crsM  il  «iniitatB  lart  «^ 
lo  ilciHi  DiianMeiora  d»  !■  11  baw 
(.lM.rìn)d..  .;?o«IrMMmp«li 


ST-38.  io  vidi  *c.  CaaU.  a 
di  1  ia  dUi  «■  Imu  (rati»  ■ 

lidamcDla,  fir  la  emtt,  mm' 


MBi  lulu  l'anima ,  coii  n.  n 

3S,  ibi  rulgm-  «anlo,  della  luca      fi 

■l'ara  l'animi  di  CHriiRUidi.  CattiaEicia  ii(ara,ci 

S8-Sg.  /iifiKilavtiialauigKaac.  rira  il  uoiM  di  6>«ai> 

WIIaciauac,,tioè,  cimba  il  principili  diaUa  del  pupolucbrw 

ilalla  fila  aalL  cima.  Taraguna  il  ai-  lata  uioiiih 

Mamt  dai  dati  (d  u  libare  cIm  di«n-  39.  ffd  w 


l>a«r<M*a 


CANTO   DECIMOTTàTO. 

E  al  nome  dell*  alto  Maccabeo 
Vidi  moversi  un  altro  rotattdo; 
E  letizia  era  ferza  del  paleo. 

Cosi  per  Carlo  Magno  e  per  Orlando 
Duo  ne  segui  lo  mio  attento  sguardo, 
Com*  occhio  segue  suo  falcon  volando. 

Poscia  trasse  Guiglielmo,  e  Rinoardo, 
E  il  duca  Gotlifredi  la  mia  vista 
Per  quella  croce ,  e  Roberto  Guiscardo. 

Indi  tra  T  altre  luci  mota  e  mista 

Mostrommi  1*  alma  che  m*  avea  partalo, 
Qoal  era  tra  i  cantor  del  cielo  artulÉL; 

lo  mi  rivolsi  dal  mio  destro  lato 

Per  vedere  in  Beatrice  il  mio  dovere, 
0  per  parole  o  per  atto,  segnato, 

E  vidi  le  sue  luci  tanto  mere, 

Tanto  gioconde,  che  la  sua  sembffihza 
Vinceva  gli  altri  e  T  ultimo  solere. 

E  come,  por  sentir  più  dilettanza. 


625 


40 


45 


to 


56 


centìr  proferito  Ul  nome  e  il  vedere 

Jiacl  lume  a  trascorrere  per  li  croce, 
urono  ad  un  tempo. 

40.  E  al  nome  ée.  E  al  nome  di 
Giuda  Maccabeo  )  rbe  liberò  il  popolo 
ebreo  dalla  tìranoide  di  AntioeO|  ee.— > 
alto,  magoaoimo  e  glorioso. 

42.  B  letizia  ce.  E  la  letixia  Iacea 

R'rare  a  rota  quello  spirito,  come  li 
na  fa  girare  il  paleo.  La  letìsia  era 
aUo  spirito  quel  che  la  fcrza  al  paleo. 

45-45.  Coti  per  Carlo  Magno  «e. 
Cosi  ai  nomi  da  Ciscciaguida  proferiti  di 
Carlo  BlagQO  e  d'Orlando,  il  mio  occhio 
attento  tenne  dietro  ad  altri  due  Isaii, 
come  I*  occhio  del  cacddtore  tiro  dietro 
al  suo  falcone  che  rota  alla  preda.  CaHo 
Ma(;no  e  Orlando  ODolto  operarono  a 
difesa  della  Chiesa ,  e  contro  i  Morì  e 
contro  i  Longobardi. 

46-48.  Poteia  tratte  ee.  Poacii 
trassero  la  mia  Yi&ta,  il  mio  sguardo, 
Guiglielmo  ee.  Guglielmo  fu  eonte 
d'Orinsa  in  Provenza,  e  fif;liuoio  del 
conte  di  Narbona.  Rinoardo  fu,  aeeao- 
do  FAnonimo ,  uomo  fortissimo ,  •  col 
•addetto  Guglielmo  molto  combattè  per 
la  fede  crbtiana  contro  i  Mori.  — «^of- 
tifredi.  Goffredo  di  Buglione,  duca  del- 
la Bassa  Lorena ,  eletto  generale  della 


prima  Crociata, eooqnistò  Gerusalemme 
nel  4099  a'  49  di  luglio,  a  fu  da'prìn- 
dpi  Crociati  dichiarato  re  di  quella  cit- 
U.  —  Roberto  Guitcardo,  principe 
Normanno,  Tenne  in  Italia  verso  la  metà 
del  secolo  XI  in  aiuto  da'anoi  fraloUi, 
a  quindi  por  il  suo  valore  e  accortaaa 
divenne  duca  di  Puglia  o  di  Calabria. 
Egli  operò  molto  per  la  eaeciata  do'Sa- 
racìuì  dì  Sicilia. 

49-54 .  /ndt  (raraZtrfic.Iodil'ani. 
ma  splendente  dì  Cacciagnìda ,  che  fin 
allora  mi  aveva  parlato,  mota,  moesati, 
emittOt  e  riunitasi  all'altro  suo  compa- 
gne.  mi  dimostrò  quale  artista  egli  foaao 
tra  I  cantori  del  cielo,  poiché  rìcomiaciò 
a  cantare. 

53.  U  mio  dotere:  qnallocioè  che 
a  me  si  conveniva  di  fare.  —  tegnato . 
iigniGrato,  o  dalle  parole  tne  o  da'anoi 
cenni. 

55.  mere ,  pure ,  serene. 

57.  y incera  gli  altri  te.  La  ^nalt 
giocondità  degli  «terbi  d.  Beatricii  vince» 
va,  superava,  gli  altri  foirri,  e  il  folfra 
■Itimo  (è  l' inCnito  oaato  a  modo  di  no- 
me tanto  al  singoi .  che  al  plor.),  cioè 
il  tolito  modo  degli  sguardi  precedenti , 
«anco  la  letizia  dell'ultimo.  Vedi  al  y. 8. 

58.  per  sentir  ee.  :  dal  sentirà. 

40 


B        6ì6                                                     OEL    tMAOhO 

i 

V 

^^^rj"             S'  accorge  (ihe  la  sua  viriute  nvsiiM  ; 

#. 

^^^^H      Si  m' accors'  io  che  il  mìo  girare  inlOTao 

^^^^^^1            Col  cielo  interne  av  ca  cresciuto  l' arco,  (*) 

^^^^^^1            Veggendo  qael  miracolo  più  adorno. 

^^^^^^1      E  quale  è  il  trasmatare  in  picciol  varco 

^^^^^H            Di  tempo  in  bianca  donna,  qunndo  i)  mio 

• 

^^^^^B            Suo  si  discurchi  dì  vergogna  il  carco; 

^^^^^B        Tul  Tu  negli  ocrhì  miei,  quando  fai  volte. 

^V                          Per  lo  candor  della  temprala  Stella 

^1                           Sesta,  che  dentro  a  sé  m' avee  ricolto. 

■                     Io  viti  in  quella  Giovial  liicella 

« 

■                           Lo  sfavillar  deiramor  cfae  li  era, 

■                           Segnare  agli  occhi  miei  nostra  favello. 

^^H 

^1                      E  come  augelli  surti  di  riviera, 

^^H 

^M                          Quasi  cougrululando  a  lor  pasture,  ^ 

^^H 

^M                           Fanno  di  sé  or  tondo  or  lunga  achiera; 

^^H 

^B                      Si  dentro  a'  lumi  sante  creature 

H                           Yolilimdo  caulavnno,  e  faciensi 

^^H 

■                           Or  D,  or  1,  or  L.  in  sub  Cguro. 

,^^^È 

^M                     Prima  cantando  a  sua  noia  mmienEÌ; 

^^^1 

^M                           Poi,  diventando  l'un  di  quoslì  segni. 

^^H 

^P                            Cn  poco  6' srrestEnano  e  locieosL 

^^^1 

B               CUeS.Sln'am^rìiDK.CHUu          7Ù- Cinttì.  iitHan. 

^^^H 

MMr»1 

mi>a<i|liwi>Finbi.iuu  .li  Ikalri»  Ulto      Pirliliia.  roma  i»  *  psluw  y 

t̫*,M 

pìobnll»,!..]  .«1.1,1  eh.  a  ni»|ir.r«  h.      i  d»  hi«  <  anort. 

•TCt.  «cnuuUU  upi  Di'Euiur.  eiicao-      s«ek>  rii'«i  Mii'ra.  nralim  ìMM. 

lerinuieio*,  clu>  io  mi  tr.  cl.i.lu.            T5  iirti di  Htttrm !  iU»Ìd4imi 

pìlk.ll»d.l<>.                                               ri..  i.,,U,^M-^p„cdm. 

M-m.tiiuaUtiClTCimiil<trt4e.      ticiurU  toii  iimimt. 

B       .      E  qoil.  io  1,'ttiuU.o.p»  *  Il  tr..u.ul..            77.    »cl.-M.<la,    toUbA.  jMfc-      1 

^           m<auaì»foN>oduou.ch.  uugLl.      mmu. 

■           imM*  !»•■»•  .il,  «.iiJg  il  «.««..Ilo            78-Or»«.8oo.?.tn 

■tfMl* 

H          dtp«*n  il  tnio  Jdl.  •.rg<i>ni:  ul      di.  <irlli  «.r-li   DtUgiu  'M  Mb 
■          AiMIll'MXM  -f«.  I.l  i>>^»,..rr.ìl      »rilli.r.i<:     lliliìllt   jMiO^    «i 

ri   i>dn 

H         d«diB«Uk(rìn>U>.>HllB|)Ii.gu.r.      p«. 

H        di)d»dil>«i«rluH^mcw>u  tiJ.iii          70.  •  im  "sta  i»t<nufi  •«*. 

^H         U  mUIo  letto  bi.Ma  per  timuna  d*l      B>|n»a<io  >l  J><iiirc  .1  oaiiU 

lonOw- 

H         (•■><.««  dù  ««pnlì  ru[S>  il'  Ci"".      «..  xrv,  g«.*ii<ic.  1.  la.  ck.  ba  ij.» 
H        »M  piasti*.  llio(>ii.lfoiiHto,ol»i-     141.  .1  Cui»  ML  •  *.^lgndMl^k 

H         doT>h.iM<>,dc*cU*>  Gi<.i.<Mrll>      ula •«■.<»*«•  di  r«UMu 

.JxHtt 

«uU^O- 

1 

CA^TO  VBOmOITATO. 


6t7 


90 


9S 


100 


0  diva  Pegaaea,  che  gP  ingegni 

Fai  gloriosi,  e  rendili  longevi. 

Ed  esBi  teoo  le  cittadi  e  i  regni, 
Illustrami  di  te,  si  dh*  io  rilevi 

Le  lor  figure  com'  io  1*  ho  concetle: 

Paia  tua  possa  in  questi  versi  brevi. 
Mostrarsi  dunque  in  cinque  volte  sette 

Vocali  e  consonanti:  ed  io  notai 

Le  parti  si  come  mi  parver  dette. 
Diligite  justitiam  primai 

Fot  verbo  e  nome  di  tutto  il  dipinto; 

Qui  judioatiB  ieman  far  sezzai. 
Poscia  nell*  M  del  voctbol  quinto 

Rimasero  ordinale,  «  cbe  'Giove 

Pareva  argento  li  d' ero  distinto. 
E  vidi  scendere  altre  luci  dove 

Era  il  colmo  detl*  M,  e  li  quetarsi 

Cantando,  credo,  il  ben  eh*  a  sé  le  move. 
Poi  y  come  nel  percuoter  de*  ciocchi  arsi 

Surgono  iunumerabili  fevìlle,  - 

Onde  gli  stolti  sogliono  agurarsi, 

62. 0-dhm  Fega$9a:  O'dÌTa  CilR»-     do  d'trgrolo  dipinto  o  frvgiato  d*oro. 

98.  il  eelmo  MfM,'\*  «m  cima. 
Vedrai  dieti  va ^bì  dìscfaamdo  Pm«ì- 
It  imperialo ,  ooiMonratrice  di  fivalaia 
mi  la  terra. — tlìquetartifotMtùAtt' 
mani.  —  lo  4atte  e  tro  l«  Cadlaeao  ti 
T«d«  o  apoKomeate  -•  «otto  il  -roto  d*  il- 
Irpnria  «aaltato  eoo  toolo  emora  il  prh^ 
eipio  politico  doM'  Impero ,  de  far  er^ 
dorè  eoAe  e  ehi  ooo  veni  eaedere,  che 
ae  il  Gne  prossimo  del  Poema  è  la  rì^ 
oeraiione  morale ,  il  remoto  è  H  ritta- 
bilimento  dell'Impero  Utioo.  L'eàbia* 
me  dovuto  ripetere  le  trenta  TiMte. 

99.  Hbenth'^Mèlemime,  oèBio. 
bene  tommo  e  enmma  (rioft^a,  da  cai 
e  aereo  coi  eoo-mome  f|iielie  animeWate  j 
e  yeeto-^ene  è  Tiniperelore  remaoe , 
eeotrv  dì  tette  revioritk  temporele,  e 
da  «ni  debboo  dipendere  per  eiMliaia , 
i  governanti  «ecMKlerj  «  pemdK.  Cre- 
do pere  rhe  le  prime  «piegeùeae  ait  la 
pie  eeniplMre  eia  più  ««e«ra. 

tuo  nelptrctàoterdt'ciùetliimii, 
percMterd'i  dei  tinimi  ee.  —  ehccM, 
cepperelli,  di  eke  ti  fa  fuoco. 

402  Onée  gli  sUtlH  er.  Allndea 
^vel  volgare  aoQurìo  che  alctmi,  alhra 


pe  de  me  invocete  (Vedi  J*vrf .,  Cao^ 
tei,  ▼.  0). 

83.  •  rendili  longeti,  e  K  ranfiidi 
laega  vita  nel  nome  e  nelle  fama. 

94 .  Bé  mti ,  ed  orni  ingegni ,  fceo , 
eìeèaialati  de  te.  feono  glorioee  •  -leo- 
9«a«1e  cittadi  e  i  regni. 

85.  -éiUy  del  tao  lame. 

87.  PtàtL,  m  mottri. 

88-80.  Mosirmrtt  dvnq^te  et.  :  ai 
composero  atlonque  quelli  spiriti  ia 
treoleda^ae  lettere  tre  vocali  e  cento- 
nenti,  q|aeirte  eppento  «ono  ael  vci^ 
eetto  citato. 

CO.  tmmmifmrTeréene:  aelT'ar* 
dine  medesimo  die  mi  ap|>arTereaigai- 
Bcate ,  eapreaee. 

04-09.  DUifiieee.  Intendi:  primi 
Toceboli  di  tatto  le  reppresenterinne  la- 
rono  le  parole  Diligite  putUimà;  a 
•csxof,  altioM,  ^Judicatit  tmrrmm. 

04-06.  poaeia  meli  MI  we.  Poeria 
nelle  lettera  M  di  ierraU.  die  èie  <|aia- 
ta  oerela,,  qaelle  eoime  luconti  limetwe 
or«linele  in  anodo,  dir  la  stelle  eeadide 
di  Giove  h  deve  ere  l'M  paie\a,  per 
quelle  anime  aeceae  in  fuoco ,  aa  fon- 


CANTO  DECIMOTTATO. 

Che  8i  murò  di  segni  e  di  martiri. 

0  milizia  del  eie!,  cu' io  coDtemplOy 
Adora  per  color  che  sono  in  terra 
Tutti  sviati  dietro  al  malo  esemplo. 

Già  si  solca  con  le  spade  £atr  guerra  ; 
Ma  or  sì  fa  togliendo  or  qui  or  quivi 
Lo  pan  che  il  pio  padre  a  nessun  serra  : 

Ma  tu  che  sol  per  cancellare  scrivi, 
Pensa  cbe  Pietro  e  Paolo,  che  morirò 
Per  la  vigna  che  guasti,  ancor  soo  vivi. 

Ben  puoi  tu  dire:  Io  ho  fermo  il  disiro 
Si  a  colui  che  volle  viver  solo, 
E  che  per  salti  fb  tratto  a  martire, 

Ch'  io  non  conosco  il  Pescator  né  Polo. 


6S9 


Mb 


d30 


d36 


operati  da  Dio  per  meno  dei  tanti  MOÌ| 
e  col  saognc  tersalo  dai  martiri  ia  !•- 
•timoDio  della  TeriU  del  eriatiaoawmo. 
La  parola  tegni  nel  aenso  di  proii§f  è 
freqoeoto  nella  Sacra  Scrittnra. 

424.  O  milixia  del  eUL  0  betti. 

425.  ÀdorOf  prega. 

426.  Tulli  niati  et.:  tntti  tramti 
dal  bnon  aentiero  segnato  da  Gesù  Crìato, 
per  il  tristo  esempio  dri  romani  pastori. 

4  27  .Gid  H  «o(ea  ec.Soitint.io  Bona. 

4 28.  loy Menilo  w  q%ki  or  qmivi  :  t«- 
glliendo^  per  ? ia  degP  interdetti  •  delle 
■coiminicne ,  or  qui  or  le ,  ora  a  qaesto 
ora  a  qael  popolo  o  individuo,  lo  peno 
spirituale,  ehe  Gesù  Cristo  naart  oi  mi- 
•erieordia  non  nega  mei  ad  alcuno,  oooM 
ci  dimostiò  Gnchè  risse  tra  noi. 

430.  Mia  l« (si  rijolge al  papa )  «b# 
fol  per  eaneellar»  ee.  :  che  Kriri  la 
censure  non  per  correggere  e  gastigare, 
na  per  tenderne  poi  la  rivocaiìonc  a  la 
riconciliaxione ,  cassandole. 

432.  Per  ia  tigna  che  guoili,  per 


la  Chiesa  di  Gesà  Cristo  che  tu  guasti. 
— OMCorton  vivi:  cioè,  ancor  son  riri 
in  cielo  e  teggono  le  opere  tue. 

455-4  54 .  io  ho  fermo  il  dieiro  ee. 
Io  ho  Osseti  talmente  tutti  i  miei  affetti  a 
desideri  in  colui  che  Tolle  riter  solita- 
rio.  e  che  pei  salti  della  figlia  d' Ero- 
diade  fu  tratto  al  martirio,  Ck*io  non 
eomoeeo  ee.  Il  santo  di  cui  si  protesta 
deroto  questo  buon  papa  è  il  Batista  ; 
non  quello  parò  che  vite  in  rielo ,  ma 

3 nel  che  vederi  improntato  sui  fiorini 
'  oro  delle  Repubblica.  Questo  sale  di- 
moatra  ehe  il  Poeta,  oltre  a  credere  quel 
papa  ataro ,  lo  credere  anche  sema  al- 
cuna religione,  induceodolo  eeak  a  bur- 
larri  dri  Santi. 

4  55 .  «  nunifro.  Cos)  la  comune  les. , 
forse  in  corrisponderne  dell' indetermi- 
oeta  forme  precedeoto  per  «clft.  Però 
i  Codd.  Chig. ,  Caet.  a  Vatie.  hanno  al 
WMBTliro. 

436.  il  Peseator,  Un  Pietro.  — 
Polo,  San  Paolo. 


CANTO  DfiCmiMOlVO. 


L'aquila  partm  sktmmt  bjm  im 
fkkrinMiéilmrta  tf  émUio  tkt  io 


ttèttmt  éi  muti  iipiret  tom^vU,  La  prt^  tjtU» 
,  kutrm  éUlm  tlmtutlm  étt  guulnj  éi  Dém.  £é  tUa, 
f,  tàt  ptr  ùteiétmtm  It  ti  •ffrt,  éi  foHmrt  étttmum  n 
éétPttvm  Giméitt  rèmmnmm  tutfmti  éa  e^tUi  tkt  m« 


Parea  dinanzi  a  me  con  T  ale  aperte 

4 .  Pwem,  moatra? asi. 


CANTO  DBClMQlfONO. 

Solvetemi,  spirando,  il  gran  digiaiio 
Che  luDgamente  m' ha  lenuto  in  fame, 
Non  trovandoli  in  terra  cibo  alcuno. 

Ben  so  io  che,  se  in  cielo  altro  reame 
La  divina  giustizia  fii  suo  specchio. 
Il  vostro  non  l*  apprende  con  velame. 

Sapete  come  attento  io  m*  apparecchio 
Ad  aseoltar  ;  aapele  quale  è  quello 
Dubbio,  che  m*  è  digiun  cotanto  vecchio. 

Quasi  falcon  che  uaoeiido  del  cappello, 
Muove  la  testa,  e  con  1*  ale  si  plaude, 
Voglia  mostrando  e  facendosi  bello, 

Yid'  io  farsi  quel  segno ,,  che  di  laude 
Della  divina  grazia  era  contesto , 
Con  canti,  q/aai  si  sa  chi  lassù  gaude. 

Poi  cominciò  :  Colui  che  volse  iJ  se<to 
Allo  stremo  del  nondo,  e  dentro  ad  esso 


631 


30 


35 


40 


23-26.  Solvetemi  ae.  Ponete  fin* 
spirando  (cioè  col  parlar  voatro)  alla 
molta  mia  ignora nz»  che  luogaflMoto 
mi  ha  tenuto  iu  dcsiilerio. 

27.  Non  Irotandoli  (non  trovaado 
a  lui, ad  caso  digiuno).  Non  trovando  io 
in  terra  alcoo  cibo,  atto  a  togliermi  da 
tal  digiuno;  osaia,  schiarioicnlo  aknno 
elio  mi  appaghi  nel  dubbio  o  ignoraaiA 
«jbn  m*  inquieta. 

28-30.  Benso  io  eht  ec.  Io aobena 
cko  aa  la  divina  giustiria  au  in  cielo  fa 
ano  apacchio  o/lro  reame,  cioè,  ai  rap* 
prflaenta.,.ai  riietie,  iu  un  altro  ordina 
di  apiriti  beali,  conluituciò  aurhe  ii  Wh 
Mtro  rmanOf  T ordine  vostro,  l'appren- 
de, la  eonoace  mani ftstaui ente,  e  aenaa 
alcun  velo.  L'ordine  o  il  regno,  in  cai 
ai  apeccbia  la  ginsiizia  divina,  o  Dio 
giodicaule,  è  quello  dei  troni,  coan  fa 
4ÌeUo  al  Canto  IX,  T  CI: 

Sa  auo*  MMahi,  voi  iicct*  tnal, 
Oad«  riMl((«  a  aot  thu  i^ioilicdoto. 

31 .  Sapete i  vadeudu  voi  ogni  eoaa 
in  Dio,  aapeU  ee. 

33.  che  m*è  digium  ee.:  che  m*  hn 
<1a  tanto  temp»  lenito  falul^sidenn.  H 


ribi 


dubbio  di  Da 

(tu  :  CuiBo  poaaaj 

nato  aUloUmt,fltf:fiv«ii4«llDnroraia 

alle  leggi  di  natarA.^  JWp^  potuto 

essere  ili 


ai  naiartt,  ne  jwveo  puiuio 
uminato  ,'itroni  iMpri  la  lèda 


di-  Griato  a  il  Battaaimol  La  rispoata  è 
laate.  Noi  non  poaaiamo  vedere  nella 
mento  di  Dio,  né  conoaeera  i  Gni  suoi  ; 
perchè  la  ragione  umana  dopo  il  per- 
aato  originale  easendo  rìmaata  indebo- 
lita, a  noi  non  reata  dia  la  aommiaaionc 
alla  rivelazione. 

84.  Quasi  faUtm  «a.  Coma  fal- 
eone  a  coi  i  cacciatori  traggono  qndln 
coperta  di  cuoio  cUe  gli  ai  pooo  in  laate 

Eerohè  non  vegga  lume  a  non  m  di- 
atta. Ho  tigiiito  nella-leziooe  di qnaato 
verao  il  Gxl  \ai.,aembraUmi  migliora 
nel  ««atrutto  della  cum.;  QuaH  faUomé 
eh'esee  di  ceLppttlo. 

55-5C.  con  l'ale  ti  pUuà»  «a.;  di- 
battendo l'ali  fa  reaU,moairando  voglia 
di  Vitlaie  in  caecia  e  ringalinztaadosi. 

37-38.  lidio  farti,  vidi  io  dive- 
nire quel  ugno.  Qualche  teato;  (est  «i. 
Chiama  quell'  aquila  aayiM»  aioè  ia- 
aegnn,  perciocché  caaa  è  inaegna  ini- 
penale.  '— eke  di  lande  te.:  ch'era 
teaaulo,  comuoalo,  di  apiriti  lodaCarì 
dalla  grazia  di  «ina. 

39.  filai  ti  aa  te.  .*  qoali  aa  li»- 
mare  chi  in  Taradiao  gemde,  gioiaaa. 

40-4 1 .  ColMi  ee.  Iddio,  che  Umtk 
il  mondo.  —  il  aeate ,  la  aeate ,  il  cooif 
paMo.  È  rappresentato  Iddio  eooM  n* 
an^liiletto  che  disegna  i  confini  della 
gran  macchina,  che  è  ne!la  aoa  idea. 


CAUTO  DECmOMOIfO. 

Che  non  si  torba  mai,  anzi  è  tenebra, 
Od  ombra  della  carne,  o  suo  veneno. 

Assai  t' è  mo  aperta  la  latebra, 

Che  ti  ascondeva  la  giustizia  viva, 
Di  cbe  facci  qnestion  cotanto  crebra  ; 

Cbè  ta  dicevi  :  Un  noni  nasce  alla  riva 
Deir  Indo,  e  quivi  non  è  cbi  ragioni 
Di  Cristo,  né  chi  legga,  né  chi  scriva; 

E  tutti  i  suoi  voleri  ed  atti  buoni 
Sono ,  quanto  ragione  umana  vede. 
Senza  peccato  in  vita  o  in  sermoni. 

Muore  non  battezzato  e  »hza  fede; 

Ov*  é  questa  giustizia  cbe  il  condanna? 
Ov  è  la  colpa  sua,  s*  egli  non  crede? 

Or  tu  chi  so*,  cbe  yuoi  sedere  a  scranna 
Per  giudicar  da  lungi  mille  miglia 
Con  la  veduta  corta  d*  una  spanna  ? 

Certo  a  colui  che  meco  s'aesottiglia. 
Se  la  Scrittura  sovra  voi  non  fosse, 
Da  dubitar  sarebbe  a  maraviglia. 


633 
6» 


70 


7S 


SO 


65-66.  anzi  è  tenebra.  Ogoi  tlCro 
che  Doo  venga  da  Dio  non  è  vero  lame, 
ma  tenebra,  Od  ombra  della  carnet  o 
oecarìtè  e  igaorama  cagionala  dal  gra- 
Teme  della  carne,  o  tuo  veneno,  o  cor- 
nuione  avvelenatrice  della  ragione. 

67-69.  Àtiai  fèmo  aperta  ee. 
Int.:  ora  paoi  comprendere  die  l' inanf- 
ficienia  del  too  intendi  mento  è  qaella 
foleòra,  qoel  nascondiglio,  nel  quale  ai 
rimaneva  celata  l' inalterabile  ginatiria 
divina,  intorno  la  quale  facevi  qa^ 
atione  cotanto  crebra,  tanto  frcqmotoy 
cioè ,  questionavi  si  spesso. 

71.  Indo.  Fiume  in  Asta,  Jd 
qnale  prendono  il  nome  le  Indie ,  ako  , 
secondo  la  geografia  dei  tempi  di  UinU, 
erano  le  terre  più  remote  da  BaoM, 
capo  d' Italia. 

72  né  chi  legga,  né  chi  seriom:  in- 
tendi intorno  a  Ini ,  o  leggendo  e  apio- 
gando  la  Sacra  Scrittura ,  o  spargendo 
scritti  di  cristiano  insegnamento. 

7-f .  quanto  ragione  ec.:  quanto,  per 
foanto,  è  dato  gindieame  aU'aaaoa 
ragione. 

75.  Sema  peccato,  sotlint.  egli  è: 
senia  peccato ,  {n  vita ,  sia  io 


nella  condotta  della  vita  :  o  in  termo- 
ni,  sia  nel  parlare. 

79-8 {.Or  tu  chi t^,  et.  È  la stesM 
risposta  cbe  a  un'altra  terribile  diffi- 
eoltè  db  S.  Paolo.  O  \umo,  tiu  fuit  et 
qui  retpondeat  Beo  ?  Né  altro  si  pad 
rispondere  a  chi  voglia  giudicare  eolle 
norme  dell'  ornano  ragionamento  i  mi- 
steri rivelati. — todert  a  itrannmt  se- 
der in  cattedra  ,  farla  da  dottore  e  da 
gindice.  —  epanna ,  lo  spazia  die  nella 
mano  aperta  è  compreso  tra  l'estremitk 
dal  pollice  e  quella  del  minimo. 

82.  Cerio  a  colui  cho  mito  $'at- 
ioUiglia ,  ec,  :  meco  signiSca  talvolta 
detomUiamie,  o  trattata  mtea:  così 
diciamo  nel  parlare  familiare  non  far 
meco  UtottHe,  o  il  dottore;  onde  il 
senso  di  quoto  luogo  è  :  Certo  per  colai 
aha  meco  ragionando  si  mostra  sii  ar- 
guto e  sottile ,  tarebbe  a  dubiietre  n 
maraviglia  (  modo  al  a  lat.,  multum 
etiet  illi  dubilandum  )  :  cioè,  molli  a 
molti  dnbbj  potrebbe  avere  sai  Jaarati 
di  Dio  volendolo  giudicare  eoli'  afliBa 
ragione ,  quando  voi  altri  cristiani  non 
aveate  a  guida  e  maestra  la  Saera  Scrit- 
tura che  vi  acquieta  in  ogni  dubbio  e 


634 


DBL  PAAADUO 

0  terreni  animaU,  o  menti  groMB  1 

La  prima  volontà,  cIl'ò  per- sé  Kmooa^ 
Da  sé»  eh*  è  sommo  ben,  mai  non  si 

Cotanto  è  giusto,  quanta  a  lei  cooauona; 
Nullo  creato  bene  a  aè  la  tira. 
Ma  essa,  radiando»  Ini  cagiona. 

Quale  sovresso  *i  nida  ai  rigica,, 

Poi  che  ha  pasciuto  la  cicogna  l  figli, 
E  come  quei  che  è  pasto,  la  rimira  ; 

Cotal  si  fece,  e  À  lavai  li  cigli. 
La  benedetta  immagine,  che  Tali 
Movea  sospinta  da  tanti  consigli. 

Roteando  cantava,  e  dicea  :  Quali 

Son  le  mie  note  a  te  che  non  le  intendi. 
Tal  è  il  giudicio  etemo  a  voi  mortalL 

Poi  si  quetaro  quei  lucenti  incendi 
Dello  Spirito  Santo,  ancor  nel  segno. 
Che  fé  i  Romani  al  mondo  reverendi, 

£•^50  ricominciò  :  A  questo  regno 

Non  salì  mai  chi  non  credette  in  Cristo, 
Né  pria  né  poi  eh*  el  si  chiavasse  al  legno. 

Ma  vedi,  molti  gridun  Cristo,  Cristo, 
Che  saranno  in  giudicio  assai  men  prope 
A  lui,  che  tal  che  non  conobbe  Cristo  : 

£  tai  cristiani  dannerà  V  Etiope, 


5J 


M 


100 


lOi 


UìfGcolU  colla  nvflaiit>B«  di  «n  Dì* 
Uilallibile,  e  p«r  nsensa  buono. 

85.  O  terreni  animali  ee.  Pongo 
^«i ,  die*  il  li«*lti ,  un  ponto  •mmiroli» 
vo  ;  percitt*cho  i'  esrlamiuioae  vii^c  bel* 
Ituiino  ed  efGrvriaMiiia  dopo  U  eoM 
dette  DvlU  terrina  antt-cedeiito.  -*- 
groi9€,   ottuM,  rbcti. 

87.  Da  té....  mai  non  ti  WMtm: 
mai  non  ai  diparti  da  né  medcaimo,  fa 
aempre  e|iuale  a  «è  inrdeaiina. 

88.  Cotanto  ee.:  tanto  è  ^uito, 
(|ranto  è  ad  essa  c<iiif«ii-nie. 

00.  radiando,  coir  emanazioiie  dei 

ractr  M«H. 

U  i .  sorretto,  sopra. 

93.  linei  eh' è  patto:  qnel  cico> 
foinn  rbe  è  p»tciuto,  rimira  la  madre. 

94 .  Cotal  ti  feee  :  aimtiracnio,  eo- 
Wt»  la  óeoffna,  |in*sr  ad  a|^rarti  aupra 
di  nie,rfi  Utai  ti  ei§li,  e  tale  iii,come 
il  cicegDÌao  paacialo,  alaai  gli  occhi. 


96.  totpinla  da  ituUi  eomtigB^  da 
taole  Toluutà ,  quaoi'  eraDO  gli 
che  le  ci»mpooevaoo. 

400-404.  Poitiqmetmrm  e 
BciacUé,  poi,  quei  Ineenii  ii 
Spirilo  Saoli»  ai  pnaaroao , 

dal  mmimeuto,  ojiror  mai  i_, ,  .. 

stando  tuttavìa  n^lla  forma  dell' a^Hlft. 
iaargDa  drl  Koinaoo  Iroper* ,  Btm,  i 
legna,  Hconttneid.  Poi  ««fuiterai, 
laggnne  altri. 

1QS.  ek'el  ti  efcioeoaaa  ai  Ì€§mÈ: 
che  Cijli  si  ìncliìodasse  al  legao  Mb 
rroiv;  né  atauli  sé  dopo  la 
di  lai. 

107-108.  Che  tarannm  «■ 
eio  ee.  Che  Diri  di  del  giaiiìaBa 
a  Cristo  tnen  propa,  bmo»  »m. 
che  chi  noo  coaidiba  omì  Crìate. 
pe,  vi»re  latina. 

109-ilO.  E  (m  criiliMiCcc.:  ed  a 
ù  fatti  ci  btidoi  falsi  lark  cagioat  £  f  M^ 


CANTO  DECIHOIKUIO.  6; 

Quando  si  partiranno  i  duo  cdlegi,  i 

L'  uno  in  eleruo  ricco,  0  l' altro  inopi. 

Che  potran  dir  li  Persi  ai  vostri  regi, 
Com'è'  vedranno  quel  valoma  aperto, 
Nel  qual  sì  scrìvon  tiiU'  i  suoi  dispregi  T 

Vi  fi  vedrà  Ira  l' opere  d'  Alberta  t 

Quella,  cbe  tosto  moveri  IS  penu. 
Perchè  il  regno  dì  Praga  fia  deserto. 

Li  si  vedrà  il  duo!  che  sopra  Senna 
Induce,  falseggiando  la  moneta. 
Quei  cbs  morrl  di  colpo  di  cotenna.  l 

Li  ai  vedrà  la  superbìai  eh'  asseta, 
Cbe  fa  lo  Scolto  e  t' Ingbiiese  Toll* 
Si,  che  non  può  aolTrir  dentro  a  sua  mela. 

Tedrassi  la  lussuria  e  II  viver  molle 

Di  quel  di  SpaigDa,  e  di.  quel  di  Boemme,  1 

ngu  F  Etiopi,  cidi  l'ilTrittas,  fus-  wl  ffn  cno  ani  l'iHrcili  tM"!^ 

le  ti  tolltgio,    U  idiw*,  di' linti  caitrg  i  FoDBiìngkl,  dopa  li  nlla 

>iràHpinloda<judli>ilt'miledeUiÌi  C"iirlni.    Vtruitati   Filippa  U   Bai 

Ka.  DM  Kti  11  nonfU,  Dt  «a  lU  il  f 

111.   Htto,    ibWdnoli   J'oftt  lara.  KnrìnilIXM  — trcaHaJK.i 

1Ì2-IU   Cht  potrà-  dir'tc.ttA.!  HO   roKwaa.  I  onUJiai  diBM 


mai,  cli(  non  ranuLLcr*  il  Tin|tlo,      Ra  qg< 


■  ilp. 


irlo, 

•■  •»«■.  ■«...w.Ki,  «-IVI  liba  Beli' im-  ciMe  iDilia  Jil  nttailtai  ara  a 

lune  ad  qoaie  n  itrinin  tutt  1  net  pnwi  cai  danno  pia  laa|n 

Siila  a  tarpi  iiion.onilf  uno  I  Dia*  121.  fa  mptttia  dt'a 

ownd»  in  dùprt|ig  T  È  pualo  l'cftttl*  aitila  wl*  di  aa-t'i  «hii|uì>i 

par  U  ttpoot.  Inihìtirtra  t  ili  Srnim.  Fon 

H5-IIT.U((M(rrdlra|-a]P(r«M.  lead^ra  di  Ed.acda  I  ra  d' i 

Tnl>nilaap«nd'All>eilD<l'*iiitiii,  adi  R.>barlodi  Scmia,  illori 
llUo  di  RadvlTu  d'  Baliikan;o,  ladraw 

Krill  ifa*  or  ora  mntrk  la  panna  di 
o  a  rr^ìalrarit,   per   II  qual  operi 
d'infiului*  a  d'approiinnc  il  Bà|n*  113    udii   fiii4   loffrir    itntr»    ■ 

di  Butdìi  Hrl  divrlu.  Alberto i»H*  inaiate.-  non  pui  nnaan  di  Ir       -  * 

adcv»lò  liBonoliwl  1303   La  illn  fiin  dillaiuna,  d.  rimiacn,  i 


133.   /olb:  acrnni  alla  •! 
ntigti  imblir 


rìda  cba  i  ani  irn  nnna  (t■«^^  f^nn  X  ra  di  Citliglia  a  di  Loa*.  dia 

:,  I  II  panni  InMIibila  di  Dio.  da  aknai  de*  piiiKipi  aliUnri  tn  iMb 

tlS-4<9.  ilductikinpraSfia»  n.imin.In  r«  Jt'  Diaiani.  Dilla  qMlitt 

■IcoU ,  ch«  rauinna  io  Piriii'    riUk  D.nio  iti  iloricl.  —difmlii  Mvtm- 

■u  talli  SmiM,  Filippo  il  Bello  (eba  Mf,  di  Trarnlao  rt  di  Boraii ,  iglia 


Quando  coivi  cbe  tufo  il  mnndo  alhima 
Dell'  emisperio  nostro  si  dJBcenrte, 
E  il  giorno  d' ogni  parte  si  con^nma, 

Lo  del,  che  Boi  di  Ini  prima  «'«ocende, 
&ubilamo»te  si  rìrà  pen-enle 
Per  molle  Ini-i,  in  elie  una  riiipTende. 

C  qoeiil'  BllD  del  cìei  mi  venne  a  mente. 
Come  il  segno  del  inondo  e  de'  suoi  duci 
Nel  benedillo  rostro  fa  Isrenle; 

Però  che  lullo  quelle  vive  luci, 

Vie  più  lucendo,  romìndaron  otDli 
Da  mia  memoria  labili  e  esduci. 

0  dolce  amor,  che  di  ^i<^)  t'nmmnnli. 
Quanto  parevi  ardcnlo  in  quei  llavìlli. 


>.  B'  ugnila  qui 


I 


S.   «flr 

la.  ddli  r-r 
Im  «inificli; 


inrbo  lo  *t<lL  Bue  Ivtm^ni  irittmin 
di!  Mie. 

7-9.  8  fibufalla  n.  G  purità 


A 

„,, 

mot  in  mena 

d.lJU«MMlt. 

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di  Din, dati» 

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in  fwl  flwcìm:  in  Old  >» 

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igni  ii  KaiUtU  ■uni  piccali  ■ndi.li 

r«hil»li.m.  .,b,;ìIÌ««I,,  ' 

•arruniÉi»  ,«!  di,ù,ll,, 

■nclKiiin  imi.,  li  »,  22  a  tt»,  —lai 


il-      tplfndvri;  ma  proMod 


(tH<l.lhl«i 
>pa>lM*M 


T^H.  Cliiiin*  i'>f|uÌliir;nD(((l      imdIe  chi  culli  lon  duniaCnnw  3 
«  i^tmniàuei ,  à-é  d^ili  im-      Inr"  «mnn  ■rdenlinimn    ni  %  i 


pcniitn,  Hpf bè , iiwinne  più  ti 


rrcriri  laUf.  H  HavIUt,  ia  ma^ 

Wiil.  «ICnIoMI.r  8,j„.,g<i.p' 


CAIVTO  TBirTESlMO. 

Gb'  aveane  epirto  sol  di  pemiier  santi  I 

Poscia  che  i  cari  e  bcidi  lapilK, 

Ond'  io  vidi  ingemmato  il  sesto  Imne, 
Poser  silenzio  agli  angelici  !>qni11i, 

Udir  mi  parve  on  mormorar  -di  fimne, 

Che  scende  chiaro  giù  di  pietra  in  pietra, 
Mostrando  l' vbertè  del  soo  cacarne. 

E  come  suono  al  collo  della  cetra 

Prende  sva  forma,  e  si  come  al  pertugio 
Della  sampogna  vento  che  penetra  ; 

Cosi,  rimosso  d*  aspettare  inda:^io, 
Quel  mormorar  dell'aquila  salissi 
So  per  lo  collo,  come  Tosse  bugio. 

Fecesi  voce  quivi,  e  quindi  uscif^si 
Per  lo  suo  becco  in  Tbrma  di  parole, 
Quali  aspettava  il  cuore  ov*  io  le  scrìssi. 

La  parte  in  me  che  vede  e  paté  il  sole 
Neir  aquile  mortali,  inrominciommi, 
Or  fisamente  riguardar  si  vuole; 

Perchè  de*  fuochi,  ond'  io  figura  fommi , 
Quelli,  onde  l'occhio  in  ies^ta  mi  scintilla, 
Di  tutti  i  loro  gradi  son  li  sommi. 

Colui  che  luce  in  mezzo  per  pupilla. 


699 
ib 


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30 


» 


Ì9.  Ch'attano  tpirio  iol  di  pei^ 
tUr  iontit  che  spiravano  aolaneala 
saDtì  pensieri. 

tè.  Incidi  tapiUi ,  lucenti  grmn». 
Intendi  le  rtsnientlenti  anime  bmito.  ^ 
C«r{,  presi  MI. 

47.  H  $etto  twme:  GioTe,  Mstopia» 
Beta. 

tS.  agli  ange tiri  iguUU:  agli  ao- 
gelici  amioiiiu»!  canti. 

24 .  r  tt6rr<A  del  nto  eaatjm*  •  la 
eo  pi*  dell'acque  che  ai  contengono,  o 
ti    aerbano  nel  tuo  eaeumt,  sulla  ava 


22.  «I  eolio  della  eetra,  al  maoieo. 

23-24.  Prende  tua  forma  :  (Tenda 
la  aoa  aMklnlaxiuna  Heccndu  il  lastc|;ipa- 
ra  del  sonatore.  —  e  ti  eome  al  perUt' 
E  Mccoma  Tento  o  liatu  spirato 


t 


lai  sonatore  dentro  la  tampogna,  vren» 
dsforjmm  al  perlttgio,  cine,  ai  fori  di 
essa  diìaai  ad  aperti  dalle  dita  opportv» 
namentc  ;  eoai  ee. 

25.  rimoffso  tf*  aspettare  M^ 


gio,  che  è  quanto  dira:  svbiluiiciila. 

26  dell'  aqvila.  Coatr.  :  saliaai  a» 
per  Im  rullo  dHT  aquila. 

27.  bugio,  forato. 

Si)  Quali  atpetlara  H  etiara  te..* 
le  quali  parole  as|Nrttava  desieaawapt» 
d' udire  il  inio  cuore ,  dove  le  iaapreBai 
allanie-ìte. 

SI  -  -3  tj»  parte  in  me  ee.  Int.  :  in- 
cominciò  :  Ora  si  deve  da  te  riguarderà 
in  me ,  i|ui*na  parte  che  Delle  aquila 
mortali  guarda  e  pe^,  soctieoe,  i  raggi 
dal  sole. 

54  tfe'fttodUee.  Dei  lumi  eoi  qmli 
io  mi  formo  aurata  Sgura  d'aquila,  o^ 
sia,  coi  quali  10  forma  d'aquila  mi  mo- 
stro altrui. 

55.  Quelli,  onde  rocchio:  qoai 
lumi  che  mi  ligurano  l'ocrhio  ee. 

56.  Di  tutti  i  loro  gradi oe.  :  sana 
I  tomwti,  i  più  nobili,  i  più  Incaitti. 
di  tutti  i  loro  gradi,  di  tutti  gli  altn 
luii  o  spiri  che  per  diverri  gradi  ran- 
co formando  It  figura  delP  acquile. 


CAIVTO    VEtSTESfUIO. 


Qaando  colai  cbe  tuRo  il  -mondo  alhiraa 

Dell'  emisperio  noiflro  ri  (tisconde, 

E  il  giorno  d' ogni  pane  sì  con™ 
Lo  elei,  che  sol  di  Ini  prim»  s'ieoende, 

Suliilamente  si  rirà  parvente 

Per  molle  lod.  in  die  ona  rhiplende. 
E  quest'  allo  del  ciel  mi  vcnoe  a  mente. 

Come  il  eegao  del  mondo  e  de'  suoi  dnci 

Nel  benedeiio  rostro  tn  iBpente  ; 
Però  die  liitle  quelle  vive  luri,  {g 

Vie  più  lucendo,  roraindaron  caoli 

Da  mia  memoria  labili  e  cadaci. 
■0  doire  amor,  rhe  di  riw  t'ammanii, 

Quanta  purevi  ardente  in  quel  Davilli, 

2.  Wdinmub.  «  ot  ta  «ito  al  im-       dir  nr  rìmiirinmc  nna  dcbi1«  utaaét^ 

In  •inioFrrD.  13.  O  ilnirt  amorfi  DÌA,eh>a*>* 

B.  S  fi  sforna-  B-  »rf"llo  ^ni  li       i|iiiilri  ri.liiita  ine*  li  nucondì,  ifua- 


I 


li  il  totiHàmanl  (tri  einrno  M.  l»  ^uH  partiti:  in 


Imm 


CANTO  i^nfTBsmo. 

Cb*  aveano  epirto  sol  di  pemiìer  santi  ! 

Poscia  che  i  cari  e  bcidi  lapilfi, 

Ond*  io  vidi  ingemmato  ÌI  sesto  lume, 
Poser  silenzio  agK -angelici  fallii. 

Udir  mi  parve  un  mormorare  fimne, 

Che  scende  ebiaro  giù  di  pietra  in  pietra, 
Mostrando  l' ubertè  del  ^no  cacarne. 

E  come  suono  al  còllo  della  eetra 

Prende  sua  forma,  e  si  come  al  pertugio 
Della  sampogna  vento  che  penetra  ; 

Cosi,  rimosso  d*  aspettare  indui^io. 
Quel  mormorar  dell'  aquila  salissi 
Su  per  lo  collo,  come  fosse  bugio. 

Fecesi  voce  quivi,  e  quindi  uscissi 
Per  lo  suo  becco  tu  fórma  di  parole, 
Quali  aspettava  il  cuore  ov'  io  le  scrissi. 

La  parte  in  me  che  vede  e  paté  il  sole 
Neir  aquile  mortali,  incominciommi, 
Or  fisamente  riguardar  si  vuole; 

Perchè  de' fuothi,  ond*  io  figura  fommi. 
Quelli,  onde  l'occhio  in  testa  mi  scintilla, 
Di  tutti  i  loro  gradi  son  li  sommi. 

Cohii  che  luce  in  mezzo  per  pupilla. 


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30 


» 


19.  fA'ctwafio  tpirio  iot  di  pen- 
tUr  iontit  elle  spir«vaoo  lohnieDla 
Moti  p^naierì. 

46.  IneiéiUipitti,  lucenti  gemiiM. 
Inteodi  le  mplentlenti  anime  beato.  — 
caW,  preciou. 

47.  il  Mio  htme  :  Giove,  sesto  pia- 
neti. 

tS.  agli  mngetiei  iquiiU:  agli  ao- 
gelici  sriDuiiioftì  ranti. 

2t.  Cubertà  dei  tuo  eaoffM,  b 
co  pi>  dell'seque  che  ai  con  tengono ,  o 
si  serbano  Del  tuo  cocuma,  sulla  saa 
dma. 

22.  «I  colto  della  eetra,  al  maoieo. 

23-24.  Prende  $ua  forma  :  |>  renila 
la  sna  anodulaxiuoe  HeciMulu  il  laalq^a- 
ra  del  sonatore.  —  e  H  come  al  parfii- 
gio  §e.  E  siccome  vento  «  lialu  apirato 
ual  sonatore  dentro  la  xanipogoa,  Mren» 
de  forvM  al  pertugio,  cioè,  ai  lori  i\ 
essa  ebiwi  ad  aperti  dalle  dito  opporta» 
n amente;  cosi  ee. 

25.  rimosso  é*  supetlare  §%dm- 


gio,  che  è  quanto  dìrat  tsbiliiMBli, 

26  dtitr  aifnila.  Coslr.  :  saliai  mi 
per  II»  rullo  dHT  aquila. 

27.  bugio,  foralo. 

se.  ijuali  atpettara  H  euaro  m.: 
le  quali  parole  aH|HrtUva  diaiassiaito 
d'  udire  il  mio  evore ,  dove  la  i«ipr«HÌ 
altamente. 

5I--3  £41  f«rle {«ma ee. Int. :  io- 
cominciò  :  Ora  si  deve  da  to  rìgnardara 
io  me ,  quella  parte  che  Della  aqvila 
mortali  guarda  e  paté,  soatiaoa,  i  rag|i 
dal  sole 

54  da'  fuochi  ec.  Dei  lami  eoi  qvali 
io  mi'furmu  qunta  figura  d'aquila,  aa* 
sia,  e«ii  i|uali  in  forma  d'aqaila  mi  aa* 
stro  altrui. 

55.  Quelli,  onde  Cocchio:  ipd 
lami  che  mi  Kgurano  Toerhio  ee. 

56.  Di  tutti  i  loro  gradi  oc.  :  aaaa 

I  fommf ,  i  più  nobili,  i  fi6  luuiiA.^ 

di  tulli  t  toro  9Todl,  «v  \AVcw  ^\  tifii 

Inai  o  %p\n    «^^«  V**  *:\^«rKi  ^^"^ 

to  lowinAo  WH>«^  ^^'  ^^'^^^ 


«iO 


DEL  PiJUDISa 


Fu  il  cantor  dello  Spirita  Santo, 
Che  l' arca  traslaló  ili  villa  in  villa. 

Ora  conosce  il*  mn^to  del  suo  canto. 
In  quanto  eflelto  fu  àtA  vuo  Consilio, 
Per  lo  remunerar,  eh' è  altrcUanlo. 

De' cinque,  che  mi  fan  cerchio  per  ciglìOi 
Colui,  elio  più  al  becco  mi  s'  accosta. 
La  vedovella  consolò  del  figlio. 

Ora  conosca  quanto  caro  costa 

Non  s^uìr  Cristo,  per  l' esperìoma 
Di  questa  ilolce  vita  e  dell'opposta. 

E  quel  cho  sc.aue  in  la  ci  reo  tifare  uia^ 
Di  che  ragiono,  per  l'arco  superno. 
Morte  indugiò  per  vera  pcniienza- 

Ora  conosce  che  il  giù  di  ciò  eterno 

Non  si  trasmuta ,  pcrclià  degno  preco 
Fa  crastìao  laggiij  dell'  odierno. 

S8.  il  cunlorK.  lire  DitiJ,  ci»       iino,  clic  conK^Ì  li 

Tirii  il  PHta  di  no  i>ccbia  lolu  del- 

pid  }  perfhi  iDppene  che  mu  é^uiIa  li 
mnlrì  di  prellD,  come  nelle  eniii  ioi- 
perìeli  H  mde,  e  non  in  pratpdln,  Di- 
vid  tiene  il  Inoge  delle  pnjiilfi  dflPrv- 


l'uri!  al 

i7-4i.ptrrtipir<*nt: 

LMIiliid>a*  del  Pind'Ha,  ■nerbatili 
cbe  pi  lete  dei  doleeì  i'  Intèroe ,  fn- 

mi  rie  iUb  preghiere  di  Seadrigwa 


iMfa  di  ciglia.  U  prine  *  Tnitao,  che 
l'aecsalielbet»:  il  mendg  è  GiKhi), 
tbe  ita  mI  Ib«id  the  t' inotlu  cai  dello 
tvdic:  il  tene  elie  gli  eia  (ppicHe  ì 
Ontulime:  Geglielaio  II  viene  dnpa 


4(M1.  OraeaneiftUmerlotc.  Del 


Mila  ern»lar   li 
rlla  etti  eke  tonn* 


GÌBde.ilfMiLt^ 


■»  Ditiddo  > 


aaUiifftUofuM 
nw  MHuIgfià,  p"  le  pene  »1«  ejli  «ì 
ebhe.  I  Salmi  eraio. .™  delle  Sp.rito 
g«nlo  partb*  da  lai  delUli,  ai  Di.ìdde 
it«a  ìB  eaw  per  quetlo  late  nierìle  al. 


k,  B  iW.f  a  Dm  dr'prnpri  ■  iiiati.l 
rellliiieati  plxignid.!  ;  par  )•  «t*  Ih 
gli  rimandù  il  |.r.-!el.  a^aaMWwl.  è 
al  Iti  ani»  ilici  ami  di  ••la. 

ii-H.  Ora  townet  rr  Or*  jD» 
eliii)  emioire  die  gì*  '"""  giadW  ilM 
Dunii  ([BanBtoDaigiiinduaifU&itt. 
f«r  prrek.ein  a  luì  atoue,  aera  tur» 
nino,  demani,  qo-llo  clM*r«fnlri> 
doier  accadrn  odfenia,  aggi.  itOt 


iteli  li 


1 


CANTO  TENTESIMO. 


6  il 


L' altro  che  segue,  con  le  leggi  e  meco, 
Sotto  buona  inlenzioo  che  fe  mal  frutto, 
Per  cedere  al  Pastor  sì  fece  Greco. 

Ora  conosce  come  il  mal,  dedotto 

Dal  suo  bene  operar,  non  gli  è  nocivo, 
Avvegna  che  sia  il  mondo  indi  distrutto. 

E  quel  che  vedi  nell*  arco  declivo 
Guiglielmo  fu,  cui  quella  terra  plora 
Che  piange  Carlo  e  Federigo  vivo. 

Ora  conosce  come  s' innamora 

Lo  elei  del  giusto  rege,  ed  al  sembiante 
Del  suo  fulgore  il  fa  vedere  ancora. 

Chi  crederebbe  giù  nel  mondo  errante. 
Che  Rifoo  Troiano  in  quei^to  tondo 
Fos«e  la  quinta  delle  luci  sante? 

Ora  conosce  a&<ai  di  quel  che  il  mondo 
Veder  non  può  della  divina  grazia, 
Benché  sua  vista  non  discerna  il  fondo. 

Qnal  lodolctta  che  in  aere  si  spazia 
Prima  rantando,  e  poi  tace  contenta 
Deir  ultima  dolcezza  che  la  sazia  ; 

Tal  mi  sembiò  l*  imago  della  impronta 


60 


65 


7U 


55-57.  £'«ttro  che  $egme  §e.  Ord. 

e  ini.:  Qoegli  di«  vien  dopo,  Per  cedere 
uipailor,  per  cedere  Roma  al  p»M 
S.  SiNestro,  Sotto  kuona  {nlensioii  m« 
fe  mal  ftutio ,  con  auioio  dì  far  bene 
facendogli  quel  dono ,  ma  dottda  poi 
nacaoe  mal  fmtto,  ii  fece  Greco,  m 
traaierì  da  Roma  a  Bisanzio  con  le  lay- 
g{,  colla  Fede  del  governo,  e  meco,  o 
con  me  insegna  dell'impero.  (  È  l'ai|nU 
la  che  parla.)  Fu  creduto  da  «kiuii  rh« 
G)slantÌDO  trasferiaae  la  sede  imperiale 
■  K<aaiioper  ceder  Ruma  al  papa  ;  ma 
luU'altro  motivo  ve  lo  induaae,  e  la 
ciedota  cctsìone  è  nna  favola.  Am-bt 
nel  XXXII  del  Purgatorio  chiuma  co- 
ffa •  benigna  la  intenzione  di  Coataati- 
no  nel  ditoara  al  ponteiice. 

5Sv60.  Ormeonosceee  OraCotUa- 
tioo  comprende  come  non  ha  fatto  danno 
alla  tua  anima  d  male  dentato  dal  mio 
retto  operare,  oasia  le  triMe  cookeguenia 
dtlla  sai  dooaiione  alla  cuna  n>mrfM, 
aebbont  per  ama  sia  il  mondo,  l'impo- 
ro^  andato  io  rovina.  Fermo  nei  Mtoi 
pnneipj  Osato  ricoooace  lutto  il  diaor- 


diat  d' Italia  a  dell'Imparo  dalF  essere 
il  papa  signore  temporale. 

61 .  nell'arco  aeclito:  dove eomio- 
cia  a  sceniler  l'arco  del  ciglio  delPaqoiU. 

62-65.  Guiglielmo  secondo,  detto 
il  buono,  re  di  Sieilia,cui  piange  morto 
quella  Sicilia  che  si  duole  ai  veder  vivo 
Carlo  il  Gotto,  o  Zoppo,  angioino,  e  Fe- 
derigo d'Aragona .  L'ano  le  faceva  guerra 
per  riciHMiurla  a  casa  di  Fi  ancia  ;  l'altro 
con  sua  bi  otta  avarizia  la  travagliava. 

65-66.  id  al  eembiante  Ikl  tuo 
fulgore  ec.  Am-bv  airauparenia  del  suo 
splendore.  Omìs  :  lo  la  vedere  anche 
cui  fulgore  di  cbe  fa  qui  brillare  la  sua 
anima. 

68.  Rifro  Troiano.  Fa,  sccoado 
che  scrive  \  irgilio ,  uomo  di  gran  gin- 
stizia,  e  mttri  per  la  sua  patria.  —  iis 
fucilo  lo«di).  in  questo  arco  del  ciglio. 

72  B*nckè  tua  titta ,  di  Kifeu. 

75  Urli'  «lliBia  dolcexia,  dell'ai- 
time  Ufte  del  dolce  cauto ,  eke  la  f a- 
ita,  cbe  le  ba  sodisfatto  la  voglia  che 
avea  di  rautara. 

76-78.  Tal  mi  temkiù  V  imago  ec. 


TllB 


Doli'  etwno  pacere,  al  cui  disio 
Ciascun*  cosa,qnale  ctl'*,  divenla. 

E  a\'vegna  cb«  io  fossi  al  dubbiar  mio 
Li  quasi  veiro  alio  color  che  il  veste: 
Tpmi»  a<i|>etlar  lacendo  non  palio- 
Ma  delia  boera:  Che  cose  son  qtiesleT 
tli  pin^e  con  la  fona  del  suo  [le.^: 
Piircli'io  di  comiiwjr  vidi  gran  fesl«. 

Poi  ap[ire*!0  con  l'occhio  piii  acceso 
Lo  benetlello  se^no  mi  rispose. 
Per  non  lonermi  in  ammirar  fOspc=o 

lo  veggio  che  1u  eredi  queste  cose. 
Perch'io  le  dico,  ma  non  vedi  come; 
SI  che,  se  son  credule,  sono  ascose. 

Fai  come  qnei,  che  la  cosa  per  nomo 
Apprende  ben;  ma  la  sua  quiditaie 
Vedor  non  puole,  9'  altri  non  la  prome. 

Regttttm  cflJorum  liolcniia  pale 

Da  caldo  amore,  e  da  viva  i[M<rania, 
Che  vince  la  divina  volonlalc, 

Non  a  guisa  che  1"  uomo  all'  nom  sovranta. 
Bla  vince  lei,  perché  vuo'e  esser  vìnia, 
E  vinta  vince  con  sua  beninanza. 

mJ«,|  Ji  ^.n.  «ai 


■■(•  dtU'  ■xpmM    diW  II 

riMM*.  «»*  rin.iH.«  iu-r™" 

ddÌMoU  Jill'emiK.  i.Mfmi,  il> 
ri»  hfatpUfiw  i>  i,»,  •.'Isiiit 

4*n*  W  «mi»  ■•(ni  •■■••.  "H"'  "•' 

tx^aiàit»  t»  orma  rntmfUi  < 


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rliMt*  lM»iiii« ,  BH  Bill"  l"H«  •"•  I 

hicn  mniU  |Mral«i  C^ftlt. 

M-  ftrrli-  lo  di  cvFTutMr  «.  i^r 
I.  A. ,  MT  II  ^ul  •Ih.iihIi  ,  n  t-Ji 
«ranrli  Imi*  di  crriiHun-nc-,  s,  iti 


•  prrih*  •ìiw*;i^.,ht    ' 


La  prima  vita  del  ciglio  e  la  quinta 
Ti  fa  [naravi);liar,  perchè  ce  vedi 
La  re  gioì)  degli  anofeli  dipinta 

De'  corpi  suoi  non  lucir,  coma  credi, 
Gcnlili,  ma  cristiani,  ia  ferma  fede. 
Quel  de'  pasnirì,  e  quel  de'  passi  piedi; 

Che  r  una  dallo  iof^no,  u'  non  sì  riede 
Giammai  a  b4ion  voler,  tornò  all'  ossa, 
E  ciò  di  viva  speme  fli  mercede; 

Di  viva  iipeme,  rbe  mise  eoa  possa 
Ko'  pijc^lii  folti  a  Dio  per  siiscitarìa. 
Si  die  paresse  sua  voglia  esser  mossa. 

L' anima  jjiuriusa,  onde  si  parla, 

Tornala  nella  caroe,  in  che  fu  poco, 
Credutie  in  lui  che  poteva  aiulurla  ; 

E  credendo  s' accese  io  tantu  fuoco 
Di  vcio  amor,  eh'  alla  morte  seconda 
Fu  dit^a  di  venire  a  quello  giuoco. 

L'altra,  per  grazia  cbft  da  si  profonda 
Funtana  stilla,  che  mai  e 


«B  i|»n>  boninpilk  e.ll>  q>d<  «rat 

tltt-ilù    CU  r«■dl>U•i<•C«r- 

1.  „U»  rf,.|  p  cr.,„r,. 

400-102  U  frim<.  tira.  U  pHai 

Tni■n.,7•''i'■  .iit.rn»,  u'iJm  tiTudt'. 

«guD.   («..II.  ,I.T.  ■...».(  la  fwnla. 

ci**  \',a\a»  A\  K.[n>.   U  f.n  «.nti- 

wrlc  n  i)».T.>l  bui»  ><.l(ri,  b.nid  all'of- 

glbr*,  >.ùt»  »Ji  *d.T«.  .li  «H  L  ». 

M  ar  .  I..rni>  aJ  .biUr*  il  •■»  Rins  ;  a 

til   fa  niarcf.!.  ali.  ai^rania  *i>a  di 
S  G™a.«,.  papa.  rf«  J(«  f,.rt,  adi. 

103-405.  D^ tarpi  iwHh!.CM, 

a.  Mni  '■»  tutto  f  1'..».iu  unii  iii..rU 

ai  cri..  I.  J.'lli  I  ,iiua.  Vrdi  la  nata 

il  I.  ìt  J.'l  Ciiiu  X   lai  P>H^a(ar{ci. 

«oo  feniu  teJei  I'diu..  HI».,  ckt  vim 

MI     SI  rl^  p^uauHvt* 

■rimi  Ji(n«OiUn.etr<lc«la  ir'wiB 

«»fr  Mwa:  u.<i..  tl.f  pninw  li  m 

*a!iinu  «liiTra  un  allu  libnn  «  awrì- 

Il  iwcifiMniKi  *  r>ll.u.  T.«>«i,  clM 

l..r.«  .1.  M,  t  d.  r..  4à  i  .1  ckr  a«i  H* 

*HH  dtp*  Il  «•..Ir  .<.  H»  lino  Cri- 

r.r«.l.lf.....,.Hi.,»d.l«rpa. 

Ita,  menilo  »'  pwli  fili  l  iKn  la- 

113    i.  ,1» /k  p«w:  «tu  v»U 

tÌoi<B»),fit  inoli  palii».  \.A:  Piirff» 
lana ,  Cali*  \  il,  ilU  a..U  8.  Il  Vt>U 

pto.  <>«|H.  .i  ir.U.-i».a. 

(Ili   ch'olla  ii>.,rl*  uan^M.  Aà 

tuo  <.ti«.U  GuiiMir  II)  .«lui lulir* 

l'n'à^mù''ftuot0. .  4IH.U  fia. 

ir«li.jdi1H-«.,u..t-^..fc. 

«..ti-à  dal  l-.r.d,..,.  .  <,»U  iMUa 

UairnA..  tA  rmi-u.  i  cAai  rk*  ^h» 

|odÌ...rai...  -  J  ^.to  fa...  Itn.  il 

m  >*>!«<  il  lu»U. .  H^ui.f  Ì*U 

cai.  H«,..illl.l,. 

ll<l-l3<>l.-aJlr..la.ÌnMdiKr«0. 

Vn>tM>&*i«^t«wV^**"f^^^'^  ** 


044  DEI'  PABADUO 

Non  pìnse  V  occhio  insino  alla  prìm'  ODda, 

Tutto  suo  amor  laggiù  pose  a  driltnra 

Perchè  di  grazia  in  grazia  Dio  gli  aperse 
L*  occhio  alla  nostra  redenzion  Talura  : 

Onde  credette  in  quella,  e  non  sofferse 
Da  indi  il  puzzo  |hù  del  paganesmo, 
E  riprendeane  le  genti  perverse. 

Quelle  tre  donne  gli  fbr  per  baltosmo, 
Che  tu  vedesti  dalla  destra  ruota, 
Dinanzi  al  battezzar  più  d*  un  millesmo. 

0  prcdestìnazion,  quanto  rimota 
È  la  radice  tua  da  quegli  aspetti 
Che  la  prima  cagion  non  Teggion  tota  I 

£  voi,  mortali,  tenetevi  stretti 

A  giudicar;  cbè  noi,  che  Dio  vederne. 
Non  conosciamo  ancor  tutti  gli  eletti. 

Ed  enne  dolce  cosi  fatto  scemo. 

Perchè  il  ben  nostro  in  questo  ben  s*  affina, 
Che  quel  che  vuole  Dio  e  noi  volerne. 

Così  da  quella  imagine  divina, 

Per  farmi  chiara  la  mia  corta  vista. 
Data  mi  fu  soave  medicina. 

E  come  a  buon  cantor  buon  citarista 
Fa  seguitar  lo  guizzo  della  corda. 


<3l» 


ìjù 


i40 


«Ifiio  di  Dio),  eht  mai  nmsona  crealnra 
pfiUf,  apinie ,  Foccliio,  potè  vedere, 
sino  olla  prim'ondot  «no  al  foodo, 
alia  prìaa  regione  di  eiao  divino  giu- 
diito. 

424.  Uggiii,  in  terra.  —  poto  a 
driUura;  volte  alla  gioatìna,  alla  rei- 
titodine. 

422->l23  di  gratta  in  grazia,  ag- 
gÌDngeodu  une  ffrasi*  eli' altra.  —  Dio 
gli  aperto  oe  Mdio  gli  Trce  conoscere  il 
luialero  della  futura  retUniione  e  darvi 
«inaila  fede,  per  la  quale  unieamcnUi 
oro  dato  salvarti. 

426  pertorte,  pervertite  Queste 
•tette  anime  tono  cbiamitte ,  nel  Cau- 
to XXII,  Terso  59,  ingannate  e  mal 
dUpotlo. 

427-420.  Quelle  Ire  donne  ee.  Co- 
tir.:  Quello  Ire  donne  che  tu  vedetti 
dtdU  doolra  mota  [i\r\  carro  apparso 
al  Poeta  Milla  cma  del  l*or|*atoni>)  gli 
/«r  per  haUeomo  piit  d*  un  milletmo 
éimmnl  •(  à«llf»«r  ;  cioè,  le  tre  viri  è 


teologiche,  fede,  «peranit  «  carìlfcy 
gli  furono  in  luogo  di  battetimo .  It 
gi»>tilicarono ,  più  di  oiill'  anni  pruaa 
che  Cristo  instituisM  il  battesimo. 

151-152  la  radice  lua,  il  tao  ■•- 
tivo,  il  princi|tio.  —  da  quegli  mpet" 
lice.: cine. dalla  %ifcta, dall' iutclligeon 
delle  creature,  che  non  veggono  latta 
quanta  la  prima  cagione. 

156.  enne,  ne  è;  è  a  noi  tceai*- 
meoto  di  %t>dcre. 

457.  il  ben  nottro,  la  noslf«  bea- 
titudine.—  t'affina,  si  perfeziona. 

45K.  e  noi  volrmo'  anche  noi  ro* 
gliamo. 

150.  da  quella  iuwgino  dvrta*. 
da  queir  iniaginr  tiell' aquila  dipinta  iu 
cielo  dallo  kt(v«>o  I)  o. 

140.  la  mia  corta  tttta,  dell'  iottl- 
letto. 

4  15.  Fa  teguitar,  fa  esaer  eompO' 
gno.  —  lo  guizzo  della  eordm,  Gta  la 
canta  per  l'effeiiu,  il  gnino,  il  trcmart 
della  corda,  pel  suouo  di 


CANTO  TENTESIMO. 


In  che  più  di  piacer  lo  canto  acquista  ; 

Si,  mentre  che  parlò»  mi  si  ricorda 
Ch*  io  vidi  le  duo  loci  benedette, 
Pur  come  batter  d*  occhi  si  concorda. 

Con  le  parole  muover  le  fiammette. 


6i5 


M 


AAA.In  che  più  di  piacer  lo  etmié 
cequitta:  per  U  quale  otciUadoiia 
delle  corde ,  pel  quale  accompagna- 
niento  di  auooo,  il  canto  tcqaiaU  mig^ 
^or  toaviti. 

445.  mentre  che  parlò,  l'aqwla. 

446-448.  Ch'io  vidi  ec,  Coatr. 


•  ut.:  Che  io  TÌdi  V  aiùme  rupleo- 
teti  di  Rifeo  e  di  Traiano ,  d' accor- 
do eolie  parole  cbe  oacivaoo  dalP  aqui- 
la, «mover  le  /famnutu,  cioè  brìlla- 
rt,  io  qoella  guisa  che  ai  aocordan  od 
OHmmeoto.  le  palpciire  d'ambedoo  gli 
oechi. 


CAJSTO  TEHTESmOPRIllIO. 

J$etndt  II  Po€ia  im  Smmnf.  Ivi  Mtatrtf  mtm  WÈmtifuu  U  dMmo  um  rito,  mi  gU  tflrUI  fm 
udir»  I  lor»  emnti,  potehi  la  wX«  é*  um  maiUÉg  ■«•  rtggtnèb*  m  tmmiù.  Là  «jm  jccte  mltitsimm 
sorft,  simbolo  doUa  etUaté  <ol»*yf«<w»  •  «■  fra*  «mmi*  itt  tpUmdori  «ottono  «  aetmdomo  ftr 
fuetla.  Uhc  di  tstl^  già  fattoti  ottimo  mi  Po^m,  kaorrogMo  ritpoméo  iatorn»  al  profondo  damma 
dtlla  predettimatiomt  ;  t  ^uiodi  mmolfettmtdoii  por  Som  Pitr  DamtUmo,  tegUo  roctatiomt  di  pmiimro 
dei  oiOHad  degtatrmti,  t  dot  mollo  tomo  eoi  gnmdi  prolati  Umto  eomtroHo  agli  otomgj  dtl  tamU 
jil-ottolt. 

Già  eran  gli  occhi  miei  rifissi  al  volto 

Della  mia  Donna,  e  1*  animo  con  essi, 

E  da  ogni  altro  intento  s*  era  tolto  : 
Ed  ella  non  rìdea  :  Ma,  s*  io  ridessi. 

Mi  cominciò,  tu  ti  faresti  quale  i 

Semele  fu,  quando  di  cener  fessi; 
Che  la  bellezza  mia,  cbe  per  le  scalo 

Deir eterno  palazzo  più  s'accendo, 

Com'  hai  veduto,  quanto  più  si  sale, 
Se  non  si  temperasse,  tanto  splende,  10 

Che  il  tuo  mortai  podere  al  suo  fulgore 


4  -2.  ri/Uti  al  tolto,  tornati  a  fis- 
^aiVi  nel  voito  di  Beati  ice.  Qui  il  Poeta 
entrando  oel  pianeta  di  Saturno,  at- 
tuato oel  più  alto  cielo,  che ,  aecMido 
Macrobio ,  influisce  negli  «nimi  la  p<^ 
tenxa  contemplativa ,  lissa  gli  occhi  m 
Beatrice ,  cbe  come  idea  della  Teologia 
ù  il  aubietto  più  grande  ddruauna 
contempleiionc. 

5.  da  ogni  altro  intento:  da  qao- 
lunone  altro  pensiero,  occopaiioao. 

5.  mi  cominciò,  auppl.  a  diro, 

a. Semele.  StMneli',«iuuta  da  Giofe, 
istigata  dallo  geluaa  Gianvoe,  cbiata  a 


Giove  cbe  a  lei  ti  OBOttratM  b  tutta  b 
tua  meestk.  Ottenne  la  grazia,  o  rinaso 
dalle  folgori  di  lui  ioeeoerita. 

7^.  Delt  etermo  palatEO,  del  Pa- 
radiao.—  le  tcate  sono  i  cieli.  Siiilien. 
te  nell'ultimo  verso  del  Canto  XIV: 
PercM  ti  fa  wMntando  pia  eineora. 

4 1 .  <l  Ivo  mortai  podere:  la  tao 
saturai  fbrxa  non  reggerebbe  al  bl» 
gore  di  lei ,  ao  ooo  ai  teaporano  a|p 

7nanlo  per  questa  ctiaanono  di  riao. 
I  liso  di  Beatriee,  eooio  è  detto  sei 
CohvilOt  sono  le  soe  persuaaiooi ,  cho 
eootcotaodo  TaaiiDa^  b  Uaba  V^^V^\^ 


CAFfTO  YEriTBSIUOSECOITOO. 


•53 


Poscia  che  il  grido  t*  ha  moaao  cotanto , 

Nel  qual,  se  inteso  avessi  i  preghi  suoi, 
Già  ti  sarebbe  nota  la  vendetta , 
La  qual  vedrai  innanzi  che  tu  muoL 

La  spada  di  quassù  non  taglia  in  fretta^ 
Né  tardo,  ma  che  al  parer  di  colui, 
Che  desiando  o  temendo  l'aspetta. 

Ma  rivolgiti  ornai  inverso  altrui , 
Ch*  assai  illustri  spiriti  vedrai. 
Se,  com'  io  dico,  la  vista  ridni. 

Com'  a  lei  piacque,  gli  occhi  dirizzai, 
E  vidi  cento  sperule,  che  insieme 
Più  s' abbellivan  con  mutui  rai 

Io  stava  come  quei  che  in  sé  repreme 
La  punta  del  disio,  e  non  s'attenta 
Del  dimandar,  si  del  troppo  si  teme. 

E  la  maggiore  e  la  più  luculenta 
Di  quelle  margherite  innaiizi  fessi. 
Per  far  di  sé  la  mia  voglia  contenta. 

Poi  dentro  a  lei  udi*  :  Se  tu  vedessi, 
Com*  io,  la  carità  che  tra  noi  arde. 
Li  tuoi  concetti  sarebbero  espressi  : 

Ma  perché  tu,  aspettando,  non  tarde 


15 


so 


25 


30 


l3-4y  iVfIfiMi  ee.:nvl  qaal  grido, 
UT  il  qaal  grido,  m  avewi  inteso  la 
;hier«  eh*  contenera  ,  ti  iarebb«  già 
i  la  reodetta  eba  Iddio  pnenilerà  di 

pastori  ribelli  a  Dio,  eoa  antepon* 
»  il  fasto  roondan»  a  la  omiltà  iusa- 
t«  da  Gesù  Cristo ,  veodetta  cbe  ve- 
>  prima  di  morire ,  beo  presto.  Par 
acceoni  alle  svaotura  di  Bonifaxiu  e 

saa  morte. 

40^4$.  Lu  spada  di  qitoitii  te.  La 
tizia  punitrice  di  Dio  iioo  arriva  né 
>po  presto ,  oè  troppo  lardi  :  —  ma 

•e  Boo  che,  al  parer,  neir  opinio* 
li  colai  che  o  l' aspetta  coti  desiderio 
ra  altnii ,  nel  qaal  ca>o  gli  par  cba 
ii  troppo  ;  o  la  p.iveuta  sopra  se  stes- 
a  allor  gli  par  t  oppo  prirsia  \  ma  in 
tà  la  vendetta  di  Dio  ctilpisce  sem- 
nel  giasto  tempo.  Il  \i%.  le^jige  Ai 
io  maiy  al  piacer  di  colui  ec.,  a  il 
la  la  dica  leiioDe  più  cluara.  A  me 
I  eba  dalla  com.,  cli'iu  bo  prefe- 
j  emerga  on  svaso  abbaslaiiza  chia- 


ro a  aonvaoiente  perchè  naila  ■  cangi. 

21.  to  9itla  ridui,  ridaci,  rivolgi 
gli  occhi.  —  l'atpelto  ridui  l#>ggooo  al- 
tri. Bidui  è  deli'  autiq.  riduira  o  ri- 
dmere,  oggi  ridurrà,  imitato  dalla  for- 
ma jsrovrnzala. 

22  dir  issai:  alenai  Mas.  ritéfmai. 

23.  eperule^  sparetta,  globetti. 

2!i.-ra|)refiia,  reprìme,  rìntnisa. 
altrì  l«'gga  ripreme;  càe  deva  tenersi 
nel  senso  medesimo  di  repreme,  rapri» 
me,  o  riprime  (iat  reprimiO, scambia- 
ta solawmitt  della  vocali,  coma  in  molti 
casi  veggiamo  avvenire. 

'26.  La  pania  del  ditio ,  Taento  sti- 
■kolo  dal  d«'»i(l«i-io. 

21.  ei  del  trvppo  ii  tema.*  tanto  to> 
■a  di  aiaera  iiiiportuoo  a  molesto  eal 
truMio  domantlara.  Il  «<  è  pleonastieo. 

2a.  iaeuUnla ,  riluceota. 

2U.  Vi  quelle  wiargkerila,  di  qnal- 
le  gioia  reltrsli.  di  quelle  beata  anima. 

33  Li  latti  eoncelli  ee.:i  tuoi  de- 
sidarj  sarebbero  già  da  te  manifestati. 


CANTO  VENTESHM>PRIMO. 


647 


Tanto,  che  noi  seguiva  la  mia  hioe. 

Vidi  andw  per  li  gradi  scender  gÌQ!K> 

Tanti  splendor,  cbMo  pen<tti  eh*  ogni' lame 
Che  par  nel  ciei,  quindi  fosse  dìÀiso. 

E  come  per  lo  naturai  costarne 

Le  pole  insieme,  al  cwninciar  del  giorno, 
Si  muovono  a  scaldar  te  fredde  piarne; 

Poi  altre  vanno  vìa  sema  ritarno, 
Altre  rivolgon  sé,  onde  Fon  mosse, 
Ed  altre  roteando  fan  soggiorno  ; 

Tal  modo  parve  a  me  che  quivi  fosse 
In  quello  sfivillar'clw  insieme  venae. 
Si  come^in  certo  gvadosi  percosse  ; 

E  quel  che  presso  più  ci  si  ritenne. 
Si  fé  sì  chian),  eh*  b  dicea  pensando  : 
Io  veggio  ben  T  amor  che  tu  m*  accenno. 

Ma  quella,  ond*  io  aspetto  il  come  e  il  quando 
Del  dire  e  del  tarar,  si  sta:  ond' io 
Conira  il  disio  ft>  ben  eh*  io  non  dimando. 

I^cri  h*  ella,  che  vede\'a  il  tacer  mio 
Nel  veder  di  Co!oi  che  tutto  vede. 
Mi  disse:  Solvi  il  tao  caldo  disio. 

Ed  io  incominciai  :  La  mia  merrede 
Non  mi  fa  degno  della  tua  risposta , 
Ma  per  colei  che  il  chieder  mi  concede, 


30 


35 


4f) 


45 


6Kè 


za  la  mim  Iure,  la  mia  TÌtU. 

32-33.  ch'ogni  lumrec.tcìtie  quin- 
di, da  ivi, giù  p«r  quella  «cala fiiiliflbit- 
òmu  ^oaiilo  lime  s' arcuglie ,  e  a  Qoi 


ti  mostra  per  l'ampio  tpaxio  dr]  dato. 

35-36.  Le  pole  ee.  Lt'  c«imarrbi« , 
onde  acaldar  le  ali  TrtiUlc  pel  gei»  della 
ooile,  si  BMMTMio  insinne,  ec. 

59.  fmm  toggiamo,  rimaogiHM  nt\ 
luogo,  Don  te  oe  armiUin». 

40-41 .  Tml  wutdo  ec  Mi>TÌnenli  ai- 
mili  a  (|Bdli  delle  pule ,  delle  cvrMC- 
chie,  parve  a  me  rlie  r>Mero  /»  qmgUo 
efariiiur,  io  anelli  sfavilliinli  spiiili. 
della  srala  erano  diaaeei 


che  dairallu 
iosirme. 

42  Sì  come  in  cario  grado  ee.:  lo- 
stoeliè  si  fu  eoo  iai|Hf(u  ;;riuio  \qmUo 
efaoiltare)  io  uo  gì  atlo  di  nao  ecaJt. 

43.  E  quel  ee.  E  quello  apirìto 
beato  iIm  ai  feroid  più  prcaao  t  me  ed 
•  Beatrice. 


43.  famor,  cioè,  il  deaìderìo  di 
aoddisfare  alle  mie  diuiande. 

46.  ifa  quella.  Beatrice. 

Al.  si  Uà,  sta  seota  far  molto ,  o 
ceoDQ. 

48.  Contro  il  disio  ee.:  mid*i«ro 
beoe,  die  confra  U  disio,  contro  lo  ati' 
mulo  del  mio  desiderio ,  o  freoondo  il 
mio  lirsiderio ,  non  aVanxo  alcaoa  do- 
manda. Aironi  testi,  invece  di  d^' io 
non  dimanda ,  hanno  l' io  non  do- 
tnomdo;  che  viene  a  dire  il  oiedesimo. 

4U.  i7  laeer  mio,  cio4,  il  deaiderio 
eb'  io  taceva ,  che  io  mi  chiodeTi  Bel 
petto. 

31  SoM  il  tuo  ealdo  disio.  Aori 
il  cbiuao  ardente  desiderio;  JBtMO- 
•tolo. 

32.  La  mia  mereodo,  Q  0^  ■#- 
rito. 

54 .  Ma  per  colei,  ma  pei  meriti  di 
Beatrice  ec. 


6iS  DEL  PAEàDISO 

Vita  beata,  che  ti  stai  nascosta 

Dentro  alia  tua  letitia,  fammi  nota 
La  cagion  che  si  presso  mi  t' accosta  : 

E  di,  perchè  si  tace  in  questa  raota 
La  dolce  sinfonia  di  Paradiso, 
Che  giù  per  l' altre  suona  si  de\'ota. 

Tu  hai  r  udir  mortai,  n  come  il  viso, 
Rispose  a  me;  però  qui  non  sì  canta 
Per  quel  che  Beatrice  non  ha  riso. 

Giù  per  li  gradi  della  scala  santa 
Discesi  tanto,  sol  per  farti  festa 
Col  dire,  e  con  la  luce  che  mi  ammanta  ; 

Né  più  amor  mi  fece  esser  più  presta. 
Che  più  e  tanto  amor  quinci  su  ferve. 
Si  come  il  fiammeggiar  ti  manifesta. 

Ma  r  alta  carità,  che  ci  fa  scr\'e 

Pronte  al  consiglio  che  il  mondo  governa, 
Sorteggia  qui,  si  come  tu  osservo. 

Io  veggio  ben,  disvio,  sacra  lucerna. 
Come  libero  amore  in  questa  corte 
Basta  a  seguir  la  provvidenza  etorna; 

Ma  quest*c  quel,  eh' a  cerner  mi  par  forte. 
Perché  predestinata  fosti  sola 


a 


€) 


6i 


:o 


55.  rifa  beata,  o  anima  beala. 

56.  dentro  alla  fua  Utitia  :  den- 
tro la  luce .  che  ti  fa  lieit  e  beata ,  o 
per  cui  è  tigniCcati  la  tua  etema  !•- 

tùia. 

^.  che  ti  pretto  mi  C aeeotta :  che 
ti  ba  fatto  venire  tt  preaso  a  me. —  mf 
f  ha  patta,  logge  il  Viùani  eoo  molti 
teati  a  penna. 

58.  in  quetta  ruota,  in  qnceto 
odo. 

61-03.  7tt  hai  l'udir  ee.  Int.:  il 
tao  «dito  è  di  bull*  come  la  tua  vista  ; 
però  QUI  non  si  <-aiila  pir  la  capitine 
itcaaa  perdiè  B^'alrire  non  ti  ha  riso, 
doè,  perche  tu  ti  farceli  qnale  ti  fé  Se- 
àele  alla  piearnza  di  Giuve.  Vedi  ao- 
pra al  tenw  4  e  •eg. 

67.  Né  più  amor,  né  magipor  can- 
ti BÙ  fece  Kendcr  pio  pretto  delle  al* 
Ira  a  aodisfartì  ce. 

66-4».  Che  pike  tanto  ee.  :  doè, 
ftthci  tu,  in  per  qncaU  K-Aa  ^  \cn« 
mriU  iMte,  c^aanla  è  \a  nw,  •  «mibia 


pia,  come  pvd  comprcntlere  dal  grada 
dd  fiammeogìare  di  qaeale  anime  |Cbe 
è  aegno  del  grado  dì  ior  cmritb. 

70-7t .  l'atta  carità,  Tamar dìvM, 
éh$  ei  fa  terre  ee.  :  cbe  ci  fa  diapaitt 
e  pronte  a  aenrire  alla  pini lidenia g»> 
Temotrìce  ddr  nnivcrao. 

72.  Sorteggia  gaii.*  aortioee  ad  «W^ 
|e  qui  qual  più  gli  piace  di  q«eili  afi- 
rìti  a  quel  ministf  ro  die  e«ao  aour  ^ 
vino  VDule  eaegnito.  —  copia  la  at- 
terra: come  paci  vedere  dai  Tai]  afain 
movimenti.  Il  Poatil.  Caet.  ialerpr«b 
DÌO  particiilai  mente  Sarteyfim:  éiéit 
in  tortem  ut  venirem  eui  ta. 

75.  tarra  lucerna:  «  beata  aaiaii 
naplendente. 

74-75.  Come  libero  amare  ee.  C- 
flM  in  queata  cvrte  celeste  ooa  e'  è 
goo  di  lorea ,  ma  batta  amor*  aclle 
libaith  a  tegnire  ed  eae(«uire  W 
liooi  della  eterna  provvìdeain. 

1%  «  t«TiMT  m<  ^r  farla  !  ai  ■« 


CANTO  TEIITESIMOPR1MO. 


649 


A  questo  ufirio  tra  le  tue  consorto. 
Non  venni  prima  air  ultima  parola, 

Che  del  suo  mezzo  fece  il  lume  centro,  80 

Girando  sé  come  veloce  mota. 
Poi  rispose  V  amor  che  v'  era  dentro  : 

Luce  divina  sovra  me  s*  appunta. 

Penetrando  per  questa  oiìd*  io  m*  inventro. 
La  cui  virtù,  con  mio  veder  congiunta,  86 

Mi  leva  sovra  me  tanto,  cl^jo  veggio 

La  somma  Esseniia,  deilaj|uale  è  munta. 
Quinci  vien  1*  allegrezza  ond*  io  fiammeggio, 

Perchè  alla  vista  mia,  quanr  ella  è  chiara. 

La  carità  della  6amma  pareggio.  90 

Ma  queir  alma  nel  ciel  che  più  si  schiara, 

Quel  serafin  che  in  Dio  più  T  occhio  ha  Osso, 

Alla  dimanda  tua  non  soddisfarà; 
Perocché  si  s'inoltra  nell'abisso 

Dell'  etemo  statuto  quel  che  chiodi,  95 

Che  da  ogni  creata  vista  è  scis<^). 
E  al  mondo  mortai,  quando  tu  riedi, 

Questo  rapporta,  si  che  non  presnmma 

A  tanto  segno  più  muover  li  piedi. . 


78.  contorte,  frinminilf  ploralo  di 
contorlOt  cbc  vate  compagno. 

80.  Ckg  dei  $uo  mezzo  ec.  Vnol 
dira  clie  eoudaciò  ad  agcirarai  intoroo 
a  f è  stiito.      ^ 

82.  tmàtf  dka  r' er«  dentro: 
l'anima  Wata  dia  era  ilaotro  quella  luca. 

83.  Sowù  me  i^ appunta:  ai  dirì- 
ge a  punta  ^  ?i«oa  a  ferire  a  rag^o  to- 
|)ra  di  me. 

84 .  Penetrando  per  q%e$ta,  atlra- 
venando  queatri  luce,  oiuf  io  m'tnreia- 
tro ,  cioè  ,  di  cui  lon  nel  ?entr4*,  «>  nel 
ventre  della  quale  mi  sto.  —  onde,  per 
dote,  o  in  cui,  è  usato  ancba  da  altrì 
jnliclii.  —  Varj  Cudd.  hanno  in  rh'io 
m'innentro,  lezione  certo  pia  facile 
rd  uvvia;  ma  nella  novità  e  oell' ardila 
«leir  altra  fui  ina  tento  piti  il  genio  l)an- 
UiK-o,  e  a  quella  m'attengo. 

85.  La  cui  rirtù  Int.  della  loca 
divina.  —  con  mio  teder ,  colla  naturai 
luna  del  mio  intelletto. 

87.  della  quale  è  munta,  dalla 
<]uale  somma  Esaenze  dìsiae  la  detta 
luce  i  uoe  emeaazioae. 


.S8.  ond' io  fiammeggio,  per  e«i  io 
folgorapgio  di  luce. 

89-  90.  Perché  alla  vista  ee.  Per  lo 
che  alla  chiar«*zxa  «Iella  visiona  eha  ho 
di  Dio  faccio  pari  la  chiarena  dalla  Inco 
che  mi  cìrcumla. 

93.  non  todHtfara  sta  per  non 
toA/tt/aria  ■  Qui'Sla  dcbinenra  del  modo 
condizionale  era  frequente  ai  Provenxa- 
li,  a  fn  uaata  anche  dagli  antichi  ooatrì 
acrittori.  Fra  Goittone:  Come  $i  eoo- 
venera  a  Dio  ierrire.  E  il  B.  lampo- 
ne: l'olenlier  ti  parlata ,  Credo  che  U 

giovare.  —  Chi  lo  interpreta  par  nn  fa- 
tare a'  inganna. 

95.  tfefiilo,  decreto. 

96.  teisM,  disgiunto,  lontano:  non 
paò  et^tre  compreso  da  umano  inlel* 
Ittto. 

08-99.  quetto  rapporta  ee  :  cioè, 
raeeanta  qaesfa  imp<>S4Ìbilith  di  pene- 
trare V  arcano  df Ila  divina  pradeatiae- 
xione,  aceioecliè  il  moad«  ^«^  ^^««««a.%. 
pik  «Ro«cr  U  ^\ed\  ^  ^\  '^x^  %t^^%x%\'»f- 
vealicanAo^  o  A"\  t\eeT«%T^  «tt^\%.^**^^ 


650 


DEL  FABADISO 


La  mente  che  qui  luce,' in  terra  fnmma  ;  t<H> 

Onde  rijj^iiarda  eoflie  può  laggiue 

Quel  chenon  pnote  perchè*!  ciel  Tas-umma. 
Si  mi  prescrìaser  le  parole  5iie, 

Ch*  io  lanciai  la  qtrótione,  e  mi  ritrassi 

A  dimandarla  umilmente  chi  fue.  \0ì 

Tra*  dao  liti  d' Italia  sargon  saasi , 

E  000  molto  distanti  alla  tua  patria, 

Tanto,  che.i  tooni  assai  snonan  piò  bassi, 
E  fanno  un  |hibo,  che  si  chiami  Catrìa, 

Disotto  al  quale  è  oonsecrato  un  ermo,  no 

Che  suol  esser  disposto  a  sola  latria. 
Cosi  ricominciommi  il  terzo  wrmo  ; 

E  poi,  continuando,  disse:  Quivi 

Al  servizio  di  Dio  mi  fei  si  fermo. 
Che  pur  con  cibi  di  liquor  d*  ulivi,  lis 

Lievemente  pas-oava  e  caldi  e  gielij 

Contento  ne*  pea«ier  contemplativi. 
Render  solca  quel  chiostro  a  questi  cieli 

Fertilcmente,  ed  ora  è  fatto  vano, 


400-401.  La  mente  ee.  Int.:  la 
mente  umana ,  che  in  cielo  è  loco,  in 
terra  tumma,  cin^,  è  invitila  <li  tenebre 
par  ringiimbro  ddla  materia  ;  iinde  con- 
•idera  la  rome  etMr  ptiua  rlie  easa  nan» 
te  aia  alla  a  comprendere  la^gio  i|uello 
eba  Don  pnd  ora  ec. 

102.  perchè  'l  eirl  l'aitummmt 
sebbene  il  cielo  la  fa  MMiiraa  l'eleva, 
o  l'ha  elevala,  al  più  aUii|;railo  di  per- 
feaiona.  11  verbo  attuwmare  è  fatto 
dall' afig.  Bummo  pi'r  eoinmft  Altri  co> 
maatalorì  pi>nkano  die  astummui  atia 
per  eueuma  r«ddop|Miiia  i  ai .  e«Nne 
•opra  pre^umma  per  pmuma.  E  i 
Codd.  Pat.  2,0,  banno  di  falli  qucaU 
tre  terbi  con  una  si<la  m. 

103.  fi  mi  preicriurr,  rm'i  mi  li- 
mitai ono,  rcalrinccro  coki  il  mio  vo- 
lerà. 

t05.  A  dimandarla^  a  dimaodara 
la  detta  anima  bi>ala. 

t06  Tra' duo  liti  ec.:  eiaè.  Ira  il 
lido  del  mare  Tirreno  e  il  lido  drl  maro 
Ailriatico.  —  iurgom  ttuii,  •'aliano 
gli  Appennini. 

408.  Tonto  che  i  tuoni  ee.  Tasto 
fvrf  ono,  cbe  sorpauMno  la  Meomla  re- 
gione dell'aria  dova,  •ecoodu  Arislulelo 


nella  Meteore,  ù  generano    i  tnoni. 

409.  un  giMo,  no  rialto.  —  €*• 
tria.  Questo  rialto  è  nel  duralo  di  Or* 
bino  tra  Gubbio  e  la  Pergola. 

4  IO.  «N  ermo.  Il  convento  Jì  Sta- 
ta Cn«e  di  Ponte  Avellana  delI*Orftac 
Camalditlenaa .  diive  l>40te  si  Irntlenne 
alcun  tempo,  secondo  che  diBOBOi  ciiM 
il  1318. 

1 1 1  Che  tmoi  eteer  diepoiÉ»  «e.  .* 
che  ha  per  istitiitn  cadusivamvnle  la  c*^ 
leinplasione  di  Dio .  o  la  vila  coole»' 
plati%a-  —  latria,  vi>ce  gr.,  diccfli  il 
enfio  che  si  da  al  vero  l>io. 

112.  fermo,  Kermnno. —  lai  ai. 
perrhe  è  la  tena  volta  «  he  ai  fa  n  par- 
largii. 

115.  Che  pur  con  ribi  ee.  :  che  etm 
aoli  cibi  pre|ianitt  con  t  lio  ec. 

416  Liert mmle.  fdcilmealp,trna 
sentimi*  nma. 

118.  /tenr/tr  fo/ea  er.:  aole^tt^ncl 
chii*stro  rendete  al  paradiso  mnm  mÒH 
fertile,  cioè  dare  a  l>io  molle  aaimc 
buone. 

4 19-120  ed  (tra  è  fatto  rcM:  ed 
ora  è  SI  vat»te  di  operr  bnuno,  <  W 
ccmariaiiiente  si  farà  manifeala  al 
la  sua  pre^aricuione. 


CA^TO  VEKTesilfOrBIMO. 


65 1 


i%\ 


Si  che  to<ii|wnvìen  che  «&- riveli.  120 

In  quel  loco  ftf^io  Pier  Damiano, 
E  Pietro  Ficcator  foi  nella  ca^a 
Di  nostre  Donna  in  sai  lìto  adriano. 

Poca  vite  mot  tal  m*era  rimase, 

Quand*  io  fu'ebieatoe  tratto  a  cpnl  oappello,       125 
Che  pur  di  malo  in  peggio  si  travasa. 

Venne  Cepbàs,  e  venne  il  gran  va»llo 
Dello  Spirito  Santo,  magri  e  scalzi. 
Prendendo  il  cibo  di  qualunque  ostello. 

Or  voglion  quinci  e  quindi  chi  rincalzi  fso 

Li  moderni  pastori,  e  chi  li  meni, 
Tanto  son  gravi,  e  chi  dirielro  gli  alzi. 

Pier  Dmwtimmo  tìm«  nril'  II      estor  fuU  mUut ,  dt^mdem  ordim ,'  a 

^Peèro-ihmkmo;  fu«tf  ut'pntiktB  fui- 
tum;  imo  Petrut  Damianu»  99MVi( 
M  nomine  proprio  in  prkmo  loco 
Keàrim;  in  tetnnóo  vtro  gréiia  km- 
milUmfis  ^ocavit  te  ?Hnm  porcaio- 
rem.  •  Di  certe  difficullk  •Inridice-cro- 
Doltigifhe  eheti  oppongono  da  alcnni 
contro  questa  spìogazituit  non  è  da  far 
gran  conto,  perchè,  come  altrove  tv- 
tertimmOf  gli  antichi  sa  lai  punto  non 
eerraTano  tanto  i«>ttilmcnte;  e  la  voce 
pofular*,  nei  fatti  dalla  turo  età  remo- 


ftce.  Era  nato  in  Kafenna,  a  fatti  i  taoi 
Ntsdj,  craai  ritirato  nel  aooaaétro  di 
Santa  Croee  di  Fonte  Avellana.  Il  papa 
Stefano  IX,  conoacinta  In  virln  a  dot- 
trina di  lui,  lo  nominò  cardinolo  a  ▼•- 
MOTO*  d'Ostia  nel  1057.  Fn  adoperale 
nei  pin  importanti  afrarì  del  tuo  tempo, 
a  per  tutto  ti  mostrò  prudente  e  lelin- 
te  del  bene  della  chiesa .  Nei  ^noi  trrit- 
U  sono  molte  querele  contro  la  vita  dia- 
soluta  dei  eherici ,  e  la  immotlestia  e 
ambizione  d«  prtUti.  Mori  in  Ptrmn 
nel  1073. 

122-125.  j;  Pietro  Peeeaéor  fki 
neUa  rmta  et.  Molti  Cnmeiitatitrì  ,  tra' 
quali  il' Guata,  lesaen»  invece  B  Pietro 
heecaUir  rv  nella  eatat  «  crederono 
che  il  Damiano  acconnasae  qm  Pietro  de- 

Jli  Onesti  cognomin sto  il  Peccatore, che 
linciò  il  monastero  di  Santa  M.tria  in 
Porto  sul  lido  mdrimno,  o  adriatico, 
presao  Ravenna  ;  e  che  il  Poeta  faceaae 
soggiungere  al  SÌinto  qneala  avvertensa 
per  notare  la  eoiifuaione  che  nlennì 
a'  tuoi  tempi  facevano  di  questi  due 
Pietri.  Ed  io  pure  tenni  tale  opinione 
nelle  prima  edit.;  ma  perendomi  poi 
che  r  intromissione  di  quella  propoai- 
ti(»ne  rìn«cissr  fredda  e  p^co  opportuna, 
e  sapendo  d'altra  parte cbr  S.  Pier  Da- 
■iiino  usò  veramente  «n  tempo  di  ebia- 
meTf\  Petrus  Peecmtor,  e  coneiderato 
•■ehe  tulle  insieme  la  frase,  mi  pi«f<qM 
di  seguitare  Benvenuto  de  lfli«>la  rW 
Ifsse  E  Pietro  peecutor  /Wt,  e  fomen- 
tò coti  :  •  Ethie  nota  t^uod  mmititmnl 
(terepti  hie  dicenlet  qumi  Pelrui  pu- 


tì ,  era  per  lo  più  il  sol»  an-hivio  cbe 
consultavano.  i>el  resto  lascio  libero  ad 
ognuno  il  prenilere  delle  due  qual  più 
gli  pi» re. 

425.  a  quel  rapprllo,  ini.  il  cardi- 
nalixio.  —  tratto;  notalo:  non  lo  bri- 
gò, né  lo  comprò. 

426.<i  Irovaea,  si  trasmette  da  cai» 
tivo  uomo  in  peggiore. 

127  Cephàt.S.P'ieìro.^Ugran 
tqhIIo,  S.  Paulo,  chiamato  Vaso  di  ele- 
xione. 

129  prendendo  il  eiho  te.,  pren- 
dendo cibo  (lo^uii'|«e  si  trovavano,  e 
contenti  a  nu«'l  che  veniva  loro  poeto 
innanxi  dell  «Itrui  carili. 

130.  or  ut^liim  re  Co^tr.  :  ora  i 
moderni  pastori  \«igliono  chi  rinted%i^ 
dii  dia  loro  di  braccio  d' ambo  i  leti,  il 
Poeta  rìniprovfra  il  fasto  mondano 
de' romeni  prelati,  allontnoatiai  dalla 
poterti!  e  seiiipliciti  degli  Apeel«U« 

431-ió^   cW  U  mirKVV%V>a^V«!fc- 
•oU.  —  gT«ci ,  tl^'^'^^V  *^^«>^  ^^x 


CA^TO  VENTESIMO^CONDO. 


659 


Quindi  mi  apparve  il  temperar  di  Giove  lib 

Tra  il  padre  e  il  figlio,  €  qQmdi  mi  tu  chiaro 
Il  variar  che  frano  di  lor  dove  ; 

E  (utli  e  fette  mi  si  dìmostraro 

Quanto  Fon  grandi ,  e  quanto  eon  veleci  » 

£  rome  sono  in  distante  riparo.  460 

L*  aiuola  che  ci  fa  tanto  feroci, 

VolgendomMo  con  gli  eterni  gemelli, 
Tutta  m*ap|iarve  (faT  colli  alle  foci: 

Poscia  rivolsi  gli  occhi  agli  occhi  helli. 

figlinola  di  Atlante  e  madre  di  Merco-      ^ello.  E  poiché  lappiamo  che  il  sole 


riOf  e  (|ai  è  presa  per  lo  ateaao  eoo  pi»* 
neU. —  Diont  fu  madre  di  Venere,<ed 
i  preso  parimente  per  la  slessa  Venere. 

446.  Tra  il  padre  e  H  figlio,  jnaè^ 
tra  il  pinncta  di  Saturno  e  i|ael  ài  Mtf^ 
te.  Aitribnisce  ai  pianeti  le  ^nalitè  dai 
Dami  ds  cui  lolsero  il  nome. 

\A7.  di  lor  dove,  del  laogo  loro^ 
per  cui  sono  ora  piò  ora  mrno  diataali 
dal  sole,  e  ora  innanzi  •  ora  dtetro  a  hù. 

t50.  fi  come  iono  in  dislonts  ri» 
paro.  E  rome  sono  riparati,  difesi  Po» 
dall'altro  a  ona  gtnsta  distana.  Altri 
spicffa  rifaro  pt>r  allo(»frin. 

45l-lì»2  L'aiuola:  inleod«  parti- 
colarmente l'«<misfero  nostro  abitato, 
eh'  egli  era  gninto  a  dominar  tvtto- 

Suaoto  eolla  vista  m<*nfre  v«d(;easi  coi 
Gemelli  ;con  che  ei  fa  sapere  che  l'astro 
•re  va««lo  avi  meridiano  di  Gcr»aa- 
lemme,  le  qoele  è  immr!Ìnata  nel  coi- 
aio del  •ostro- emìafen»,  enico  punto  da 
MI  pelea  iverai  le  vedota   di  'tatto 


•ira  in  Ariete,  poaaìamo  anche  calcolare 
che  i  Gemelli  si  tro\  arino  sul  meri- 
diaoo  di  GerosalcDime  un*  ora  eirci 
dopo  vespro ,  quando  il  sole  era  gik  i 
n§nà%  cirra  da  foel  meridiano  ;  ossia 
aeendo  per  l'Italia  era  un'ora  quasi 
Jope  •roexxodi.  Vedi  le  Appendici  alla 
fine  del  Canio  XX MI.  L'ha  chiamato 
etSmota,  piemia  area  ,  anche  nella  Mo- 
uarekia:  m  Vi  im  areota  morlalium 
Ukere  emm  pace  vioalur.  •  E  tale  deve 
apparire  a  chi  veda  la  terra  dall'alto 
in  mezzo  alle  aeque.  —  che  ei  fa  lanlo 
feroci:  pel  possesso  della  quale  ci  f.c- 
eiaro  tanta  guerra ,  o  della  quale  ao- 
-dìam  tanto  superbi.  — gemetti  etond, 
■perche  incomitlibiri,  come  tutte  le  coie 
•alesti. 

4S5.  da^eolH  atte  foci:  do*,  «Mie 
montagne  donde  i  fimnì  hentio  origìiw, 
•i  mari  ov'ewi  hanno  le  foci. 

194.  ogN  oteki  btlli.  SetlialMdl: 
di  Beeirire. 


CAJKqre  wexTWsmwmmvFMmm. 


Simté0mm  Cttm  Crum  t  Ètmii»  ^MTaM»  MS  «n 
««UHtf/v  ut/mttm  di  Jtgeit  «  </i  Smmit,  I0  tmm  étt  Fifétm  et  Ihm  loglit  ai  Potm  to  MiM  ttéOt  mi- 
tr$  Mtf.  mm.  Imi  ruutito  mll*  Bm§nrmm,  pmh  9rdti9  àuttmimmttmu  gti  ultn  mmnteolt  é«t  Pmradtt$. 
L'À*rmmieH9  GtiànHt  Mfméa  m  f»rmm  étjlmmmm  m  mmtmr  Umna,  te  f««l«  pm  fH^wm,  1 1  fcefi 


Cerne  1*  augello,  intra  l'amate  fronde, 
Posato  al  nido  de*  suoi  dolci  nati 
La  notte  clie  le  co?^  ci  na.^on(le, 

1 -le.  Cmne  fau/; e/ fo ce  Costr.  a  (dopo  svit  riposato)  inira  tornate 
ini .  :  Cerne  tmug»Uo  ehr  la  wMe  (in^'ì  fnmde  al  nido  df'fuoi  dnki  nati,  pur 
notte)  ekt  le  cose  ci  nasconde,  poeedo     che,  sol  che,  l'alba  ii«stc^«  V«\  «.uV 


Che,  per  veder  gli  ai^ielti  disiati, 

E  per  Irovar  lo  cibo  onde  gli  pasca, 

In  che  i  gravi  labori  gli  san  grati, 
previene  il  lempo  in  bu  l'aperU  frasca, 

E  con  arderle  afTeUo  il  Sole  as|)eUa, 

Fiso  fiuardando,  pur  che  l'alba  nasca; 
Cosi  la  Donna  mia  si  ^lava  erelta 

Ed  allenii,  rivolta  inver  la  plaga 

Sotto  la  quale  il  Sol  mostra  men  fretta: 
Si  che  vergendola  io  sospesa  e  vaga, 

Fecimi  quale  è  quei,  che  disiando 

Altro  vorria,  e  sperando  s'appaga. 
Ma  poco  fu  Ira  uno  ed  altro  qaando. 

Del  mio  attender,  dico,  e  del  vedere 

Lo  elei  venir  più  e  più  rischiarando. 
E  Beatrice  disse:  Ecco  le  schiere  (*) 

I>el  trionfo  di  Cri>io,  e  tulio  il  frutto 

Rjcolto  del  girar  di  questa  ^fxro. 
Pareami  che'l  sno  viso  ardesse  tolto; 

E  gli  occhi  Bvea  di  letizia  si  pieni. 

Che  passar  mi  convien  senza  coelrutlo. 

Capirla  fiuta,  «ull«  punir 

pono.itmariinlraffttlo.; 

«pelli  dHÌaliiIri  figli,  tprr 

ci'to(HHf(gl<piuFd.>iichrt"<ll>rT'  <H>a,  tu  I' ui<>  ■  J'aUi*  Umm.ì 

(■  iti  auk)  gli  IO»  frati    j  gr«i  qutllu  dd  ai*  ttuaitrw  ^inkfa 

latori,  flì  KB  dolci  ■  griJouli  le  pia  >iii.  e  qufllt.  di  i«l««  il  àfc*«» 

Mata  «rctla  'te.  O  I  ShiI  ■  Miri*  Vwéhm. 

41-ia.  rirolla  InMT  In nlaffaw.  IS-21    Ir  irWffw  (laj  tHMfl* 

HltalttKtMtuillipirlf  n<4iid<lù(-  Critln.*«n(li'W»il>ulnfi,«H>ir 

l«,  wiii  <|n>l«  il  lirin  d>l  »lr  «uibn  (•■li  éa».  .i(l«ì>..  d.l  tHMt,  tC» 

p>ilMU.QiM*^ìl»l*>or(*d*ll'iirì>-  •lo.SiluiiiaBnw'HHla  natoceli. 

i<«l*lfmiln,r«nknd.'«>rniclai-  t.  120  —■  IhUu  0 /rMIs  Stadi* *  ' 

l|l>>NÌMii  ni  ^oilli  ìaa^rtu  t>  'limi-  •  UIU  il  Imiu  ntc.llo  éàO,  Wfcfc 

Doim  di  frìtKipìe  eoo  moli*  npidill  :  inlunti'  di  murtla  ttir»  tjnilmi.  U 

M,  finlmlD  CM,  (RoiUnaluii  il  vAt  al  dciniuni ,  ■  delle  lUll*  4ifami^  tm 

IMO*  del  «rio,  un  cbt  l'anbn  pan-  loro  infloHi  ■  tiri*    <Jit^la  lim  ■» 

tsBMi  HMini.  AII'iMunire  nnidaiuM-  «litu  la  Isio»  da  m*  la  a  «III  il  te 

UnnedloiiEindMi  allora  ci»  il  tnic  ta  IX,  TWti  lOT-tU: 

—.ite! 

IS.  ntpaa,  totpau  io  ■•prltando,       nanila 
~  f^a,  ìniiartn  in  ti>U.  Iin|ai|{ 


CANTO  TEirTESIMOTEEZa 

Quale  ne'  plenilanii  sereni 

Trivia  ride  tra  le  ninfe  eteme, 

Che  dipingono  il  ciel  per  tutti  i  seni, 

Yid*  io,  sopra  migliaia  di  lucerne, 
Un  Sol  che  tutte  quante  1*  accendea, 
Come  fa  il  nostro  le  viste  superne  ; 

£  per  la  viva  luce  trasparéa 

La  lucente  sustanzia  tanto  chiara. 
Che  il  viso  mio  non  la  sostenea. 

0  Beatrice,  dolce  guida  e  cara  I... 
Ella  mi  disse  :  Quel  che  ti  sobranza 
È  virtù,  da  cui  nulla  si  ripara. 

Quivi  è  la  sapienza  e  la  possanza 

Ch*  apri  le  strade  tra  il  cielo  e  la  terra, 
Onde  fu  già  si  lunga  disianza. 

Como  fuoco  di  nube  si  disserra. 
Per  dilatarsi  ri  che  non  vi  cape, 
E  fuor  di  sua  natura  in  giù  s*  atterra  ; 

Così  la  mente  mia  tra  quelle  dape 
Fatta  più  grande,  di  sé  stessa  uscio, 
E,  che  si  fesse,  rimembrar  non  sape. 

Apri  gli  occhi  e  riguarda  qual  son  io; 
Tu  hai  vedute  cose,  che  possente 
Se'  fatto  a  sostener  lo  riso  mio. 

Io  era  come  quei  che  si  risente 


661 

25 


30 


3^ 


40 


45 


26.  Trinim  è  ano  Je^eogooni  di 
DMM,f<rcnit'inUodeialuu. — ride 
irm  U  mmft  tUme,  tplwide,  cioè,  tra 
1«  ttolle. 

27 .  p§r  MU  i  im^,  per  tstCi  i  hli 
dì  flfso. 

30.  Com$  fa  il  noUro  U  viii9  tw- 
p§mé:  eooie  fa  il  aottre  loU,  il  4m1« 
aceeod»  |Me«iido  il  falso  fialeoia  di  ToÌo> 
Dieu)  la  stella  cha  aopra  di  noi  vcdiano. 

32.  La  luunl»  iutiMuim.  Era 
V  nmaoiti  aaoliaaima  di  Gasa  Criato. 

33.  Che  il  pisowtio:  che  la  mia  Ti- 
tta. QacaU  lai.  è  dai  Codd.  Valia.  a 
Chif . ,  a  ni  è  acnbrata  migliora  dalla 
eomuna  M  9Ìio  mìo,  che  «of»  la  Uh 
ttenea. 

34.  OBealHeffee.  SoUiotaadi  Mcfe. 

mai. 

33.  QmHdiatisobranta:  ^al  cba 
ti  aopraTaaia:  qual  cba  TÌnea  it  toa 

TÌbta. 


37.  Im  iopimta  ce.:  aloè,  Il  aa 
pianta  a  il  poaiaDta  (GaaA  Criato),  cIm 
apriae. 

Se.Oiuia  ae..*dal  ^ala  aprioMata  di 
atrada  fa  l'i  lango  dasidarìo  odia  fanti. 

40-42.  Coma  faoeo  aa.  Caatr.  a 
int.:  Coma  fuoco  alattrico  H  dioiorra, 
ai  sprigiona,  di  muta,  da  nna  n«ka,|Mr 
dilatmrti,  a  aagiona  dal  ano  dilatarai  ili 
nodo ,  cba  non  paò  pin  asaar  eontamrto 
dantro  la  nnvola  ;  —  E  fuor  diamm  flr«- 
Uura  Irha  è,  saeoodo  la  cradanaa  def^i 
anticbi,  di  tendere  in  alto)  m  gié  t^at' 
tarrm,  saanda  a  terra;  Cosi  to  Mtii- 
..If  ae. 

43.  dmpa,  per  dmpi,  tiTanda,  la  do- 
lala dal  paradiso. 

44.  ai  s4  tfatM  «laeio:  waék  dal  na- 
turai ano  modo  dì  operara. 

45.  eha  ai  futa,  eba  aaaa  faaaaM. 
—  non  tapi,  non  »a. 

49-50.  e^  H  rii#iil«,  eba  ba  ^al- 


CANTO    VENTESIMOSECONUO.  6'J5 

Tunlo  divion  qiianl' ella  lia  di  f>o^«anza. 
l'eiò  ti  prego,  e  tu,  padre,  m'  accorta 

S*  io  posso  prender  Unta  grazia^  oh^ìò 

Ti  veggia  i  con  •  imagim  soovertai  00 

Ond'egli.  Frate,  il  tuo  alto  disio 

S'adempierà  in  su  i*iritiaui«par»y 

Ove  s*  adempioirlalU  gtt'tMrt»  •  il  mìa 
Ivi  é  perfbiia,  matura •eiiiilersi 

Ciascuna  diaianzftC'  in^qnella  sola  h 

È  ogni  parte  là  dovtfaempv* era; 
Perché  non  è  ih  luogo,  •  wn  a*  imperia, 

E  noaka  aoalai  inflno  ad  essa  varcai 

Onde  cosi  dal  vte  ti'i^^?o!a; 
Infin  lassù  la  vide  11  patrivcar  70 

Jacob  isporgar'la  aDperBa:parla, 

Quando  gli  appanw  d' aageli  si  carcat 
Ma  per  salirla  OHtnaHDRdiffarte 

Da  terra  i  fdaii^.»  la  regola  mia 

Rimase  è  giù  per  danne  delle  carte.  75 

Le  mura,  che  soleano  esser  badia, 

Falle  SODO  apelooelie,  e  le  cocolla 

Sacea  aon  piene  di  fimae^rìa: 


■■■fi,  mm  Auto  tniifof  ptnht  bm- h- 

'#f«,««NrM»      la  l«M|».Nrl  Convivi» /•(PhNiibomcId^ 

et  m»  ■•»•  m  l««ig*,  OM  furtaalo  (n  mU  ndk 


ti.  VmifWtpkrà  •A  fimtmàm  h-    h  piota  nuMton  !■  i— *•  »  ^rmà àìm^mm 
toAHraniasrlValfiMi  «|Hf«»      im»  Im  i  pili,  ìhiih-m»  i  ^alì  «  |iri 


CMè  MVtHMfM,  wmmm  •  rfvCt»  m1  tl^  <ii|l«o  «rf  «m«,  «il  «mi  «fcri^ 

CMto>  Wf  m  Wararftonu.— >  ^mi  69.  OiMlec«w«ctal«<f9tft'iiiMlt. 

BMaati  MMfMl«anlt;ji  ■■■•Iniaa*  Liiaili  wm  I»mm  «iaia  4i  •(•ai»  ^ìUi 

wl«nMÌilwiirtifMflhi.  BiIffMill.  ▼■•«•• 


U 


!«*... IvMipIntltoMi^  74'.  Ufwrg^r  Utmptrnm  fmU  , 

m^t  mi  m  f^mmUim      tln4er«,  Mttalaara  la  m«  ««•> 
«Mtaren  fMi  /MmmÌ  I»  74-7S.  t  te  rtffito  «ite  mi:  la  arit 

Nfnia  (di  S.  BentNletti»)  dw  iaavfiu  •  fi» 
•4.  ptrftlU^  fm  l'itiilti,  cb»4  mt»  ivliUMMiMfiu  a  scila  di«NM*eaa. 
■;a»ter«,  |pOTillMif«,pMllè«4-     lawflaiiiiaii ,  è  nmaato  od  m— de  ptr 

•BOMiuiara  ioatilNMcnto  la  carta  ovt  ti 
tanva  a  w  traacnva  j  parciwcDv  san 
pièdà  l'aasarvi. 

7a  ^Mfr  *Mlte,  ah*  fii  ft  fMate 
la^fMiila  iato  mi  lalii  I»     àÌM  loMgM  d*  ««mum  prrfHli,  di  moIÌ. 
qaallk  aaliafara  la  ^orCi  4»  mm  •■»  77»>7a.  fprfoiiHka;  ricovaradli 


niotaaaaillM|a|cioa:^Mlla-afMaiè/     tliaatf.  —  a  la  ef*€oUt  te.,  a  la  capya 
la  a«dt  Ira  Uiiltw.ihi  ri— igi i— »      MaBacali  riaaapraaa  da* Calti  dnratii^a 


ImI».  àn 


CA>TO  TENTBS1M0TER7.0. 

Quivi  è  b  ro?a,  in  che  il  Yerbo  Divino 
Carne  si  foce  ;  quivi  son  li  gigli, 
A)  cui  odor  si  prese  il  buon  caniroino. 

Cosi  Beatrice.  Ed  io,  eh*  a'  suoi  consigli 
Tutto  era  pronk),  aneora  mi  rendei 
Alla  battaglia  de*  deboli  cigli. 

Come  a  raggio  di  Sol,  che  poro  mei 
Per  fratta  irebe,  già  prato  di  6ori 
Vider  coperti  d*  ombra  gli  occhi  miei  ; 

Vid'  io  rosi  più  tarbe  di  splendori 
Ful^iuratì  di  su  da  raggi  ardenti, 
Senza  veder  principio  di  fulgori. 

0  benigna  virtù  cbe  sigi*  imprénti. 
Su  C  esaltasti  per  largirmi  loco 
Agli  occhi  lì,  che  non  eran  possenti. 

Il  nome  del  bel  fior,  di'  io  sempre  invooo 
£  mane  e  sera,  lutto  mi  ristrinse 
L*  animo  ad  arrisar  koJÉjtggior  foco. 

E  com'  ambo  le  hici  mi  dipmse 

11  quale  e  il  qmnto  della  viva  stilila, 


663 


75 


SO 


85 


90 


73.  (a  rosa.  Int.  Varia  Vei^ne, 
chisntata  dalla  Cliieiia  rota  mislieu. 

74.  quÌTt  M»  li  giìfli.  Più  itoti» 
cb«  tuU»  i  (M'ali  ia  ^nerale ,  Hi*  wùoo 
»lati  cspmfti  Mfra  acl  bel  yiaréb»,  i»- 
lenderci  cvirAouD.  e  il  pMktill.  CaeC 


TI  arrivaTtno  pie.  Il  fine  di  questa  eie* 
razione  è  «letlu  todo.  I  Codd.Vat.,  Aiit. 
e  Cbig.  kenno  eeperl»  d'mmkrm,  rir»* 
rìU  «I  praté. 

9ìi  Obemiffmtirtù.Soii.ié'iGetk 
Cmlo.  —  che  ti  gV  impronti,  ehe  eoib 


per  qnrsii  gigèi  gli  A|m«I»Iì  ,  ab*  col-     «qvci  Reati  inipruulì,argni(i«l  taci 


rodure  delle  luro  virtù  traaacro  a  Ori- 
•to  le  genti. 

77>78  mi  rendei  et.:  ni  rimiai  ad 
•  fTalicare  la  \'ì%\»  debile  nella  (itrte  luea 
cbe  emanata  dagli  api«nd«ri  die  mi  to- 
prastavano. 

70-^4.  Coaiearafyioec.  Goalr.e 
ini.:  corna  gli  occhi  mici  ombrati  da 
alcana  nabe  poeta  iacnntro  al  auU  fi* 
Jero  talvolta  un  prato  di  tari,  illanii> 
nato  da  alcun  raggia,  ek§  fmp  md, 
cbe  trapaaai  achii  tta  pet  pìcaib  afatia 
lasciatogli  dalla  oub«  f\rmllm,  rolla, 
tcBxa  vedere  easo  s:de  ;  con  vid^  io  al- 
lora più  tarbe  di  splondori  ful(;iirati  da 
ardenti  raggi  cbe  pi«»voan  dall'ella, 
sema  vedt're  il  piincipiu  dwade  parti- 
vani  la  trnjgnrata  luce  ebe  da  aè  ritei» 
tevaiio.  Vuol  farne  lalendrre  cba  eoa 
vrdca  pia  cooir  prima  Gesò  Criala,  il 
sole  illomtaaate  tatti  i  beali ,  perchè 
craiii  alzato  laato,  cbe  i  suoi  uccai 


8G-87  Su  t'esaltatti,  ti  levaali  pie 
alto  y  per  largirmi  Uteo ,  par  dare  ai 
miei  o<-cbi  non  capaci  a  soaleaav  la  im- 
meusa  tua  luce,  facoltà  di  otaenrare  ^ael 
cba  era  li. 

88  del  bel  fior:  della  raaa  so^ n 
naaiinola  ,  di  Maria  Vergine  "-^  ck*  io 
tempre  intneo  ec  Si  noli  V  aaime  relW 
gioso  e  de\iilo  del  Piteta  verso  Maria; 
Dà  creilo  certo  cbe  alcuo  lo  poaaa  taepel- 
tare  d' ipocrisia. 

80- Ua  la/lo  mi  ritlrinte  Vmni- 
m'i;  rarctiUe  tutta  la  mia  aUensioae  ai 
aacJMMT  lo  majgior  foco ,  a  diaceracre 
e  a  fiaaar  ci»gli  occhi  lo  splendore  di  Ma- 
ria ,  cbe  era  il  maggiore  degli  altri  iti 
rimasti ,  poseiarhè  4acUo  di  Geaè  CrìMa 
ai  (a  alliHitaniito. 

ai -93  Erom'omboklmioe.Cmìlr, 
e  ini.:  E  rome ,  tmluchè ,  il  qwale  a  tf 
9iMiiil'>  della  tiro  tiella  Cho  latoà  ee. 
ni  tf ^tiiM  omòo  lo  kiH  oc.  Qoè  :  e  ca- 


CANTO  VENT£SIMOSEC01fDO.  $57 

Mirabile  a  veder,  che  qui  il  soccorso. 
Così  mi  disse,  e  indi  si  ricolse 

Ai  suo  collegio,  e  il  collegio  si  strinse; 

Poi,  come  turbo,  in  su  tutto  s'accolse. 
La  dolce  Donna  dietro  a  lor  mi  pinse  '    loo 

Con  un  sol  cenno  su  per  quella  scala, 

Si  sua  virtù  la  mia  natura  vinse: 
Né  mai  quaggiù,  dove  si  monta  e  cala. 

Naturalmente  fa  si  ratio  moto, 

Ch'agguagliar  si  potesse  alla  mia  ala.  105 

S' io  torni  mai,  lettor,  a  quel  devoto 

Trionfo,  per  \ó  quale  io  piango  spesso 

Le  mie  peccata,  e  il  petto  mi  percuoto. 
Tu  non  avresti  in  tanto  tratto  e  messo 

Nel  fuoco  il  dito,  in  quanto  io  vidi  il  segno         ilo 

Che  segue  il  tauro,  e  fui  dentro  da  esso.  (*) 
O  gloriose  stelle,  o  lume  pregno 

Di  gran  virtù,  dal  quale  io  riconosco 
'     Tutto,  qual  che  si  sia,  il  mio  ingegno; 
Con  voi  nasceva,  e  s' ascondeva  vosco  UB 

Quegli  eh' è  padre  d'ogni  mortai  vita, 

Quand'  io  senti'  da  prima  l' aer  tosco  ; 
£  poi,  quando  mi  fu  grazia  largita 

D*  entrar  nell*  alta  ruota  che  vi  gira. 

La  vostra  region  mi  fu  sortita.  i20 


Icf .  cbe  fa  il  tnto  molto  rotto  e  icon- 

Joawato.  Qvalclie  ■ntica  stampa  invece 
\  «otto  porta  volger  rttrono. 

97.  ti  rÌ€oU$  ec..*  ai  rìaoì  alla 
•uà  conpagaia. 

98.  ti  «friiiff  ;  ai  riunì  in  minore 
tpuio. 

99.  come  Uètòo,  m.:  cioè,  roteando, 
come  fa  il  vento  tarbinoao,  ai  levò  tntto 
in  allo.  Il  testo  Viv.  e  i  Codd.  Pat.  2, 
9,  67,  legg.  in  tu  iutlo  t'mftoUt, 

402.  ia  mia  natura.  Sottintendi: 
{Trave  per  la  rame  mortale. 

405.  olla  wUa  mia,  al  mio  volare. 

4  06-4 14.5'  io  tomi  wuii,  ee.:  co%\ 
peaaa  io,  o  lettore,  tornare  a  t|nt^  divoto 
regno  trionfante,  cioè  ai  Paradìae,  coma 
io  ti  amimro  che  tu  non  avresti  In 
tanto,  in  tanto  tempo,  tratto  e  memo  il 
dito  nel  fnoco,  in  (|usnto  io  vidi  il  ae- 
j;no  ce\at0  che  tegae  §1  Tauro,  ri<»^  i 
iìeaeUi,  •  mi  trorti  Jeniro  ■  qnclln. 


fi, 


n  passar  da  Saturno  al  cielo  della  fiaae 
fn  istantaneo. 

Ottavo  cielo  delle  stelle  fiaan. 
15-4  44.  dal  quale  io  rioonotfo 
•e.  Questo  dice  il  P«eta ,  poiché  naefoa 
nella  stagione  che  il  sole  è  in  Gemini , 
costellazione  che  gli  asti-ologi  dicevano 
inOttire  Tingegno,  e  la  sdenta  dnU« 
cose.  Dante  era  nato ,  come  notammo 
altrove,  nel  maggio  del  42t>5. 

4  4  6.  Quegli ,  il  sole ,  a  cui  a*  altri- 
Iwiva  dsgli  antichi  la  geoerasione  di 
tatto  ciò  che  vive  ;  onde  Aristotele  :  Soi 
H  Komo  generant  hitminem. 

417.  (Juand'io  tenti  da  jnima  «e. 
Questo  verso  fa  versmeote  sentire  no 
aoapim  del  Puela  verso  il  cie)o  natala. 

448.  largita,  donata. 

4  4  9.  nell'  olla  ruota  te.:  nel  «mU 
delle  (i%se  nm  cuv  V  v(\^^vX)&. 

420.  Lo  «osira  Tc^^vm  tft.x 
ai  tu  dmu»  \a  «ovVt  ^  \mnw^ 


64S  DEL  PARADISO 

Vita  beata,  che  ti  stai  nascosta 

Dentro  al!a  taa  letizia,  fammi  nota 
La  cagion  che  sì  presso  mi  t*  accosta  : 

E  di,  perckè  si  tace  in  questa  ruota 
La  dolce  sinfonia  di  Paradiso, 
Cbe  giù  per  l' altre  snona  si  devota. 

Tu  hai  V  udir  mortai,  sì  come  ii  viso, 
Rispose  a  me:  però  qui  non  si  canta 
Per  quel  che  Beatrice  non  ha  rìso. 

Giù  per  li  gradi  della  scala  santa 
Discesi  tanto,  sol  per  farti  festa 
Col  dire,  e  con  la  luce  che  mi  ammanta  ; 

Né  più  amor  mi  fece  esser  più  presta, 
Che  più  e  tanto  amor  quinci  su  ferve, 
SI  come  il  6ammeggiar  ti  manifesta. 

Ma  r  alta  carità,  che  ci  fa  serve 

Pronte  al  consiglk)  che  il  mondo  governa, 
Sorteggia  qui,  si  come  tu  osservo. 

Io  veggio  ben,  diss^io,  sacra  lucerna, 
Come  libero  amore  in  questa  corte 
Basta  a  seguir  la  provvidenza  etorna; 

Ma  qucst'é  quel,  eh*  a  cerner  mi  par  forte. 
Perché  predestinata  fosti  sola 


u 


ej 


<i 


70 


55.  Vita  beata,  o  anima  beata. 

56.  dentro  atta  tua  tttixia  :  deo- 
tro  la  luce .  che  ti  fa  lieU  e  beata ,  o 
per  coi  è  ftigoiCcaU  la  tot  eterna  le- 
tisa. 

^.  che  sì  pretto  mi  1*  aeeatta :  cbe 
ti  ba  fatto  venire  %\  presso  a  me.*^  ff|{ 
f  ha  posta,  legge  il  Viviaoi  eoo  molti 
lesti  a  penna. 

58.  in  quetta  ruota,  io  qoesto 
delo. 

61-63.  Tu  hai  l'udir  ee.  Int.:  il 
too  adito  è  dtbdie  come  la  tua  vista  ; 
però  qui  non  si  raiila  pn  la  cagitioe 
•testa  perchè  B^'Slrire  non  ti  ba  riso, 
cioè,  perche  tu  ti  farokli  quale  si  Te  Se- 
male  alla  piesi'uza  di  Giuve.  Vedi  so- 
pra al  Terso  4  e  srg. 

67.  Né  piii  amor,  né  maggior  cari- 
tè mi  fece  scender  più  presto  della  aU 
Ira  a  sodisfarti  ec. 

66-69.  thè  pie  e  tanto  ee.:  cioè, 
^uimei  iu,  so  per  questa  scula ,  ferre 
colile  tonto,  quanta  è  la  mia,  •  aochf 


pie,  come  pool  comprendere  éeA  gra^ 
del  fiammeggiare  di  queste  aaiaBe,cbs 
è  s^no  del  grado  di  lor  corili. 

70-74 .  l'altm  carità,  rumor  dmaa, 
che  ei  fa  ferve  ee.  :  clae  ci  Io  dSafmÈ» 
e  pronte  o  serrire  olio  profrideooo  ga* 
veroatrìce  dell' oniverso. 

72.  Sorteggia  qui:  torfiocood  «Ic^ 
g|e  qui  qoal  più  gli  piace  «li  qveali  •■> 
riti  a  quel  ministero  che  osto  ansar  • 
▼ioo  vuole  eseguito.  —  eùtma  tm  as- 
serva:  come  puoi  vedere  doi  varì  osatai 
movimenti.  Il  Postil.  Coet.  lalonun» 
più  psrticolai  mente  Sarteggim:  mM 
MS  forlem  ut  venirem  ad  la. 

75.  farro  lucemm:  o  broto  «ii« 
rìaplcndente. 

74-75.  Come  libero  otnort  tt.  C* 
ose  io  qoesta  corte  celeste  ooa  e*  è  b«o> 
goo  di  forza ,  ma  basta  onoro  _ 
libertè  a  teguire  ed  eaefvnire  W 
liom  della  etema  provirìdeozo. 

76  a  cerner  mi  p^r  fèria  :wAfm 
diniciliasimo  o  vedere ,  od  inlrndwa. 


CAKTO  VENTESIMOPRIMO. 


649 


A  questo  uficio  tra  le  tue  consorte. 
Non  venni  prima  ali*  ultima  parola, 

Che  del  suo  mezzo  fece  il  lume  centro,  80 

Girando  sé  come  veloce  nK)ia. 
Poi  rispose  V  amor  che  v'  era  dentro  : 

Luce  divina  sovra  me  s' appunta, 

Penetrando  per  questa  ond*  io  m' inventro. 
La  cui  virtù,  con  mìo  veder  congiunta,  S6 

Mi  leva  sovra  me  tanto,  cl^io  veggio 

La  somma  E«senfia,  della  quale  è  munta. 
Quinci  vien  1*  allegrezza  ond*  io  fiammegizio, 

Perchè  alla  vista  mia,  quant*  ella  è  chiara, 

La  carità  della  fiamma  pareggio.  90 

Ma  queir  alma  nel  ciel  che  più  si  schiara. 

Quel  serafin  che  in  Dio  più  1*  occhio  ha  fisso, 

Alla  dimanda  tua  non  soddisfarà; 
Perocché  sì  s*  inoltra  neirabjsso 

Dell*  etemo  statolo  quel  che  chiedi,  05 

Che  da  ogni  creata  vista  è  sci^^o. 
E  al  mondo  mortai,  quando  tu  riedì, 

Questo  rapporta,  si  che  non  pre>umma 

A  tanto  segno  più  muover  li  piedi. . 


78.  contorte,  frmininile  plorale  di 
€ontorlo,  che  vate  compagno. 

80.  Cht  dei  iuo  mezzo  ec.  Vuol 
dire  che  eeuÙMiò  ad  ai^irarù  lotorno 
a  tè  tU  aio.    . , 

82.  Fmmt  che  «'  era  dtntro: 
ranima  beata  dia  era  ilaobv  queila  luee. 

83.  Sovra  ma  t^ofupwnia:  ai  diri- 
(▼e  a  pania ,  viene  a  ferire  a  raggio  to- 
|)ra  di  me. 

84 .  Penetrando  per  qvteita,  aUra- 
fersando  <|ucat.i  lucejOMTtofli'tiireii- 
tro ,  cioè ,  di  cui  loo  nel  ventre,  «i  nrl 
venire  della  quale  uii  sto.  —  omde^  per 
dote,  o  in  on,  è  oftato  ancbo  da  altri 
.Miticlii.  —  Varj  Gidd.  hanno  in  ch'io 
m'innentro,  lc7Ìone  certo  pii  facile 
«•d  ovvia;  ma  nella  novilk  e  oell' ardila 
«leir  altra  fui  ma  unto  più  il  genio  Dan- 
ioico,  e  a  quella  m'attengo. 

85.  La  cui  rirtà  Int.  della  Inn 
divina.  —  con  mio  teJer ,  eolla  utaral 
Jurza  del  mio  tutelletlo. 

87.  della  quale  è  munim,  dalla 
«quale  aomraa  Enenza  divina  la  detta 
Iure  è  ana  emanazione. 


.88.  ond' io  fiammeggio,  par  c«i  io 
folgorepgio  di  Iure. 

89-  UO.  Perchè  alla  ritta  ee.  Per  lo 
die  alla  chiarezza  <lolla  visiona  cho  ho 
di  Dio  faccio  pari  la  chiarezza  della  loco 
che  mi  circonda. 

93.  non  tod  Ut  farà  sta  per  non 
todditfaria.  Qiicsla  ìlcbinenra  ael  modo 
coniliiionale  em  frequente  ai  Proventa- 
li, e  fn  uaata  anche  dagli  antichi  nostri 
aerittori.  Fra  Guittone:  Come  tt  eon- 
venera  a  Dio  terxire.  E  il  B.  Iacopo- 
ne:  Volentier  ti  parlata,  Credo  che  li 

giofara.  —Chi  lo  interpreta  peran  fn- 
tnro  s' ingannu. 

95.  tlatuto ,  decreto. 

96.  teitto,  ditginntOf  lontano:  non 
pn^  casere  ci>m|irfso  da  umano  inlel- 
litto. 

98-99.  quetio  rapporta  ee  :  eioè, 
racconta  qnesla  inip«is«ibililh  di  pene^ 
trare  1*  arcano  drlla  divina  predestìaa* 
lione,  areiocrhè  il  mondo  non  piesoma 
piit  mover  li  piedi  ,  di  più  andare  in- 
vestigando, o  di  ricercare  con  la  menta 
SI  profonde  a  larrìbìl  mislcco. 


667 


CAIVTO   WKiVB01II#91JAliVe. 

B  atrit*  ti  'ivotg*  mi  htii  ajpiiiH  e  gli  prtgm  m  fa%«f  di  DamUt  «  ^luUi,  dUpitti  In  vari 
€tnf^J,  comi  citìHo  ptr  la  Itutim  m  raltmr^-  ptià  9  mmm  «rtoai  aofn  àè  autn,  tmmdo  U  grado  di  tor 
Visio- 1.  Q'ii'idi  dal  etitoio  ptu  lamiiot»  st  fmtt  Sitm  Pietr.-»  é'mggirm  Cm  «al  «  tmtonto  a  Beatrice, 
«  dopo  fermatoti,  imUnvga  a  iiehhtta  di  iti  l'dUgàUii  $m  la  mina  ttotagica  dalla  Feda  «sul  «■•• 
U9i  c/i  quella.  Ritpoada  »gU  cm  tattulttm  ptwtumma,  a  ut  km  fkuim  éml  grmmJt  Jpcshìo. 


0  sodalizio  eletto  «Ut  gran  cena 

Del  benedetto  Agnello,  ii^al  vi  ciba 
SI,  che  la  vostra  voglia  è  sempre  piena  ; 

Se  per  grazia  A  Dio  quasti  preliba 
Di  quel  che  cade  dalla  vostra  mensa, 
Anzi  che  morte  tempo  gli  preacrib», 

Ponete  mente  alla  sua  voglia  imnenaa*, 
£  roratelo  alquanto: -voi  bevete 
Sempre  del  fonie  Wide  vien  quel  eh*  ei  pensa. 

Così  Beatrice  :  e  quelle  anime  liete 
Si  fero  spere  sopra  tisai  poli, 
Fiam mando  forte  a  guisa  di  comete. 

E  come  cerchi  in  tempra  d'  oriuoli 

Si  giran  si,  che  il  primo,  a  chi  pon  meato. 
Quieto  pare,  e  1*  ultimo  che  voli  ; 

Così  quelle  carole,  difl^*rente- 

mente  danzando,  della  sua  ricchezza 


10 


M 


t-3.  iodaiizio,  vfeir  rnnionio  dU 
conviventi.  Inleiuli  :  0  U^atn  ci'Bipl» 
f*nia  (è  Beatiire  rlir  parla)  e\ttì»  alla 
(*ran  cena  vt.y  acclu.  fioc,  a  cr<lrrc  alla 
f;ran  crna  del  Wn<-«U;llo  A|;nrU« ,  al 
;;ran  ronvitu  di  eterna  beatiluifine  im- 
Lvndiio  ila  Crialu,  il  quitU*  vi  ciba  al 
(he  iiiuna  c«iva  mai  »\vlr  lU  d<-«idc- 
ra.e.  i»(ni  Vi<atro  detulerin  è  t<MÌi»!atti>; 
|ipn  111*  vi  ciba  di  ae  tliiMii  r  vi  dii  luttu 
sé  slin»»u ,  rke  è  tnniniM  brne  e  felirità 
ix-rfcila.  È  chianiatM  piiì  l/meiUUo 
Aynt'tio,  prrrbe  fall»  ti  vittima  alla  di- 
^  Ina  ;'in'^t-na  io  n-di-iiiitinf  delle  anime. 

•i-G  Sf  per  grazia  ee.  Se  ba  i|ui 
la  fi'irii  di  partirei. a  l'Iif  arcmna  la  ra- 
1,'ioiir  i!i  aui'l  che  si  dice.  Iiilciidi  :  pol- 
<hi  i>ei    di\ina  ftraxia  i{u«iili   (hanle) 


gli  nell'  intelletto  (pnIriM  ttHla  dHla 
celeala  raniada ,  cine  della  divÌM  sa- 
piens! ,   ondr   ei*n«iaea    •  ciHnjimda 


pn-.ilia,  anticipHUiiiriiir  gu%ia ,  aaaag- 
i;ia  ili  «|urllii  che  ilMUisiibi-rante  «natia 
;;S(iiij  in  Ini  m  ira^fonile.  innann  che  la 
nicrte  fi»  preicrUm  lempu^  f^^  fi** 
al  ftuo  tempo,  al 'a  anii  %il«.  ec. 

ti-0.  roraltlo  alquanto:  piovate* 


quello  di  che  ba  tanta  tete.— «o«  i 
Stmpre  del  fimte:  vi  satiata  alla 
(«ente  di  quel  a  rterna  bealìfica  aapias- 
la ,  ontU  riVfi  gue/  ch'ei  penem,  aada 
derida  quello  ciie  conlui  vuljp»  per  la 
mente  ,  e  ba  ilesidi'rìu  d  lotenidere. 

1 1  Si  fero  tpere  ee.  :  caminda* 
roBo  a  I  «teai  e  qHaai  afen*  ao  perni  fiati . 

43  E  ei>M«  etrcki  in  tempra 
d*oriuali  re.  K  r«>iiie  i  cerchj  dia  eoon- 
pongnnu  l'oro!oi;io  ec.  La  lempra  è  la 
e(H»rditi«iiune  delle  parti  all'  amonia 
d'  un  tutto. 

4ù.  e  l'ultimo  che  toU,  cioè,  pur 
cbe  voli. 

ir»  18  Coti  (7«cf//eearoieee  Old. 
e  int.:  0«i  quelle  earolf,  quciW  hmi- 
noae  rvte ,  diflerentenieute  dantanda , 
veloci  e  lente,  Mii  ii  faeean  $Hmmr 
della  iua  rirchezxa,  cioè,  mi  datano 
a  conoicara  la  maf>giure  o  minora  rie- 


66B 

Hi  si  Tacean  stimar  veloci  e  lente. 

Di  quella  ch'io  notai  di  piò  bellezza 
Vid'  io  u?cire  an  Fuoco  si  felice. 
Che  nullo  vi  lasciò  di  più  chiaretia  ; 

E  tre  fiale  intorno  dì  Beatrice 

Si  volse  con  un  cani»  lanlo  divo. 
Che  la  mia  Tanlasia  noi  mi  ridice  ; 

Però  satta  la  penna,  e  non  lo  scrivo, 
Cbè  l' imagìnar  nostro  a  cotai  pieghe. 
Non  che  il  parlare,  è  troppo  color  vivo. 

0  santa  suora  mia,  che  si  ne  preghe 
Devota,  per  lo  tuo  ardente  afTelto 
Da  qnella  bella  spera  mi  dislogbc  : 

Poscia  Termalo,  il  fuoco  benedetto, 
Alla  mia  Donna  dirli?!)  lo  spiro, 
Che  favellò  cosi,  com'  io  ho  dello. 

Ed  ella  :  0  luce  eterna  del  gran  viro, 
A  cui  nostro  Signor  lasciò  le  chiasì, 
Ch'ei  portò  ffit,  ài  questo  gaudio  miro, 

tHon  dtlU  loro  glorìi  per  I*  V(1i<[Uk       latlldeiiii   per  diiimd   d 
o  InlBu  dd  loru  molo.  E  nel  Cia-       Diult .  cht  cr«   nullo   i 

loVlU,T.MtKg.^ 

M"^U]ir»^{i  «Mi-mali, 

Conila,  è  bitls  >a  Modo. 

i9   DiluéUa  «.:  da  qnelli  ciroli 

20.  ri  ftliet,  à  gaig ,  ti  nipien- 

ai.  HvUo  ci  laido,  non  ìticM  iii, 


pillar*  a  dìpinpin  anrb*  binili ,  U 
TolulologlrenilallBraBDlsdi  qniU'irti 
il  IDO  piragung.  Feri  ibwdbbpUmIi 
Tlrìnnla  jiccroriU  dil  CrMri  e  Jd  Ti- 
viini,  poto  »ÌBo,  perchÈ  dob  ■'mcmJi 
pia  N>  plinti  pili  iilioticD. 

28-Stì,  O  «m/>  Moro  «e.;  b  ta 

Irle,  mi*  Hnlla  «Ila  glori.  J.I  «i., 

l*  pwgLii ,  per  la  ir- 

-'--'-  ■    -    lUnt.l, 

labtili 

SI-53.  Poieia  firmale  le.  Omi. 
I.mI  Ihoco  b(nccÌDIb>,  ftaà»  AtP 


codeId  ■  figaran  \e  pioghe  dei  poooi , 
pers  «»o  eolDn  «HI  ilirt  linlii.  C\i  pv- 


Bd'T. 


CANTO   TEinnDlOQEXHTO. 

Tenta  costui  de'  pnoti  lievi  e  {travi. 

Come  li  piace,  inUtroo  della  Fede, 

Per  la  qual  tu  sa  per  lo  mare  andavL 
S' egli  ama  bene,  e  bene  spera,  e  erode, 

Non  l'è  occulto,  perchè  il  viso  bai  qui?], 

Ov'ogni  cosa  dipinta  si  veda. 
Bta  porcile  questo  regno  ha  fallo  tiri 

Per  la  lerace  tede,  a  gloriarla. 

Di  lei  parlare  è  baon  eh'  a  luì  arrivi. 
Si  come  il  baccellìer  s'arma,  e  non  paria. 

Fin  che  il  maestro  la  quislioo  propone 

Per  approvarla,  non  per  terminarla  ; 
Cosi  m' armava  io  d' ogni  ragione, 

Mentre  ch'ellii  dicea,  per  esser  presto 

A  lai  quer^Dle  e  a  t^  proressione. 
Di,  boon  cristiano:  btti- manifesto  ■ 

Fede  che  è  T  Ood'  lo  levai  la  fronte 

In  qnelia  Inre.onde  spirava  questo. 
Poi  mi  volsi  a  Beatrice,  e  quella  pronta 

Sembianze'  (émmi,  perchè  io  spandessi 

L' acqua  di  tijor  del  mio  interno  Tonte. 
La  grazia  che  mi  de  cb'  io  mi  confessi, 

Comincia' io,  dall'alto  Primipilo,        * 

57  Tmta.  atmia:  — Uni*  frm- 
ti,  tirili  •  diffidi,  a  Mti  th*  Diala 
tutùiim  iwminiTnIla  teJtdiS.  Pì«-  48.  f irap^rDearla.  sai,  per  <■« 

icE»  il  dirìllo  divino  d'nttr  |iadia  nraln  naia:  Uh  appfUalnr  mafUltr 

■spniB*  dal  dunnia.  f«l  (mal  rtlludram  ti  propnit  «■•■ 

S9.prTlamanmdact:eei,mi-  (UnM* roranl  doclDrttw  d  KlMaK. 

tacolnantaUùnraptriomanailV  tu,  d  wm  diHrmifal  iUawi  tm  film 

itrìtit  nmniiiiiTi  rnnr  lulia  Icrn.  àUpulaUniu ,  ttd  petit*  ttùi  «kt. 

(IJdio)  Dai  qua)*  B  >cd»  dipiala  cm-      failom.  ^aala  m*  ^Mlk  della  Ma 

iS.  ha  fati»  tM  tt.t  ^i  t^\-  U.  onda  ipiran  luato:  onda 

msiD  drli*  tfde  icran.  GS-S7.  pmto  «mMaua  AMaW: 

44-4S.  ■  glorAarla,  M.  È  baasa,  mi  !«•  pnnio  ceiiaa  cogli  omU  •  cai 

fla  btat,  rhe  ■  iltiriGcatii  (a  ■»«■»  valla.  —  prrthi  ia  (pandori  w.i  ae- 

giani  di  lei)  tenga,  arrivi  a  lai  la  oào-  duccU  ia  miaifiaUaH  fi*  ialani  HÌa 


670  nSL  FABADI^O 

Faccia  li  mìei  concetti  esser  espressi. 

E  segaitai  :  Come  il  verace  alilo 

Ne  arriff»,  padre,  de!  tao  caro  frale, 
Che  mise  Roma  Ceeo  nel  buon  6!o, 

Fède  é  aa^tanzia  di  cose  sperate, 
E  argomento  delle  non  panenU  : 
E  questa  pare  a  me  soa  quiditafo. 

Albra  udii:  Diritlaniente  sentì, 
Se  bene  intendi  perchè  la  ripose 
Tra  le  sostanzìe,  e  poi  tra  gli  argomenti. 

Ed  io  ap|)re8«io  :  Le  profonde  co-^, 

Che  mi  largi<iron  qni  la  lor  parvenza. 
Agli  occhi  di  laggiù  son  si  na^^rose, . 

Che  Tesser  loro  v'è  in  5«o!a  credenza; 
Sovra  la  qudfli  fonda  f^^ta  speno, 
E  però  di  suiiitanzla  prenHe  intenta  ; 

E  da  questa  predenzà  ci  conviene 
Sii i€;dzzar  senza  avere  a!lrn  M<ta; 
Però  intenza  di  argoménto  (iene. 

Allora  udii  :  Se  quantunque  s*  acquista 

primo  duce  ilella  Cliiru  dì  Gnu  Cripto. 
Primipilo  «liccviivi  lUi  Ki>in«iii  il  capo 
delta  pnma  etnluria  uolPonlioo  «(•' 
Trmj. 

èO.  e$pre$si,  chiari:  mi  ainti  ad 
Mpffiniermi  run  rbìamu  e  pi-«ri<i  une. 

62.  é»i  tmo  caro  finte,  lnlrtuli  di 
-%.^anio,  frali'lhi  in  G«!iu  CrMlueeom- 
fèfnn  nell'apiwlolalo. 

63.  ehf  mite  ee.  :  rho  tero  indirii- 
lè  Riima  nei  buuai  eimluiui  e  odia  vera 
Ma. 

64.  Fede  è  euslanzia  ee.  :  la  fede 
è  tirlù  y  i\uMì  aiiiiiaiixa  ,  u  suaRÌNlniza  y 
•alla  €|ualtf  ai  f  nJa  la  uperao/a  d«lla 
keal  luiline  el«*rua. 

65.  IT  urgnmento  re.  ;  ed  è  argi»- 
ment(>,(iiiiM«hlrHiii>ne  e  lume,  ondi*  Tia. 
telU'tlu  e  cniitltillii  n  rieil<  re  i|iii'lle  niaa 
cbe  non  può  eolie  iiHiiirnli  «tin*  fune 
aoBipreiidere.  \eJiSaii  l'avloagli  Ebrei, 
eap.  11. 

66.  quìdilaie,  lerm.  tmlast.  ;  vate 
aKema,  natura,  •!  quid  rtl. 

68-6!)    p9rrki  Im  Himm.  Sellini. 
j(    Pmolu;  il  ^u«|f  d  tuie  rlie  la  fede  è 
I  ebianiala  |N-ri-iorrhe  in* 


60 


65 


:(> 


7i 


to. 


duce  I' Domo  a  ■pei  are.  e  fa  e-iblere  io 
:arlO  Biodo  DeiriDU'Ikllnlc  e%%e  «he  si 


sperano  e  rbe  non  esiatooo  anaan  ;  t 
dÌMe  iiiullre  rhe  la  ^ de  e  argomnUo,  k 
dìmoilraxioue,  e  lume  per  cui  TintH- 
letto  é  convinto  e  poltrito  a  rrcdm 
fernianienie  i|nflle  nt^e  rhe  duo  «ade,  * 
elle  non  intrude  colle  sue  fona  aata- 
rali. 

7 1  Chr  mi  Imrtfisean  qui  tt.;  At 
^dì  mi  SI  miiktirfno  niaiiiffste. 

73  re  in  sola  credenza:  la  lare 
etislen/u  non  ha  allni  fuiid^inevlo  cbt 
la  nvelazii'Ue  e  la  fede,  mitlrc  della 
speranza 

73    prende  intenta ,  preofle  noac 

e  ConriMto. 

7I{    E  ffa  questa  creienza.   E  da 

qni*«lrf  fi'ilf  UiMi|;iiM  i  hr  parta  oj^ni  Doalre 
raiponMiiif  Hill,  non  alti  imciili  cbe  da  aa 
priiiri|iiii  'Il  |>rinia  evidcnia. 

77  Sittittiizzar,  ai(*i>nienta-a:  am- 
ia arrr  altra  rùia,  m-uzj  ««hJit  allr--. 
ieiU'i  prova  alcuna  heiiMbile. 

78.  l*rro  intemm  ec.  Perni  assa 
fodi*  prende  denouiinaziooe  iT  9Wf^ 
WUnlo. 

7U-8I .  Se  quantunque  ee.'n^mn- 
to  in  leira  p  r  %ia  ili  a  nini  aesl  rum  rato  ti 
appn'udt'  fiiN«ip  intoo  diriltammlc,  ea> 
mv  ta  bai  inteau  le  parole  di  S.  Paolo, 


Giù  per  doUrina  fosso  cosi  inlei:<), 
Non  t'avria  Ino^  ingegno  ili  sefitta. 

Cu^  B^rò  Aa  quetl'  amore  arcco; 

Indi  iioggiiuise:  A^àai  beo»  6  Irascorsa 
P'  està  monda  già  la  lega  e  il  ppf)  ; 

Ma  dimmi  «e  In  l' lui  nelli  lua  bor^. 
I^d  io  :  Si,  l' Ilo  SI  iDcidn  e  si  tonda, 
Cbe  nel  sdd  conio  nulla  mi  s' irrinrae. 

Appf«=M)  U-sci  (Idia  Iure  profonda. 
Che  li  eplondeva:  Qiiesla  cara  gioia, 
a  la  quale  o«m  virlù  si  fondft, 

unae  n  venne  ?  Cri  io;  La  IsrL-a  ploia 
^V       Dello  Spirilo  Sunlo,  eli'é  diffusa 
,-""jf  ■     Iti  SD  iBvacchie  e  in  m  le-^ove  qwia, 
'^f  sillogismo,  die  la  mi  he  wybinM 
ArotaniMite  t\,  che  in  vt^nw  d'olla 
Osjà  iSnwslniiiDn  mi  pare  altti!--a. 

Jù  adii  poi-  L'«nli<^  e  la  uowlla 
Proposizione  cbs  si  ti  iimeliiude, 
Perdié  l'AiM-tn  fer  divWhi  fuvellu  ì 

Ed  io  :  I.a  provB  rbe  il  ivr  mi  dischifide 
Son  l' oiiofL-  i«[nite,  i 


Non  wi  dò  fi?i 
cavilli  .1»!  «■•noi 


■Urlili    Ilici,  ini   il  parlar <■!■■■'      cwf,  bui  ■••■•■  iJwTr*,  ^ii4riii|>«- 
-  (/iHila  cara  i/ioin  te  .  .|<it>ii  *ir4ù       pi<-n  ti  r  («m  wf   ^rrwlr  li  wwfan 


DEL  Pl&ADISO 

1li^^po;Io  funimi:  Di,  chi  t'assicura 

Cile  quell' opere  fosser?  Quel  medcsmo 
Che  vuoi  provarsi,  non  altri,  ti  lì  giura. 

Se  il  mondo  si  rivolse  al  crì^^tianesmo, 
Diss'  io,  senza  miracoli,  quest'  uno 
È  ul,  che  gli  altri  non  sono  il  cenlesmo: 

Che  tu  enlra.'iti  povero  e  digiuno 

In  campo,  a  seminar  la  buona  pianta. 
Che  fu  già  vile,  ed  ora  è  Talta  pruno. 

Finito  questo,  l'alta  Corte  santa 

Risonò  per  le  spere  un  Dio  todiamo, 
Nella  me'ode  che  lassù  si  canta. 

E  quel  Baron  che  sì  di  ramo  in  ramo, 
Esaminando,  già  trailo  m'avea, 
Che  all'  ullìme  Troode  appressavamo, 

-Bicominciò  :  ta  grazia  che  donnea 
Con  la  tua  menle,  la  bocca  V^gi/pB 
Insino  a  qui,  com'  aprir  ai  dovMf 

Si  eh'  io  approvo  ciò  che  fuori  emer^  :  -■ 
Ma  or  conviene  esprimer  ^ftel  che  àfidi, 
E  onde  alla  credenza  tua  s' oCTer.'^e. 
ipm  foiic. 


—Orni 


ll-lll  Il>r/«ll«;  M 

L-^c  Ihm. 
OS.  E  ^I  Ssnw.  e**,  S.  Itf- 


|inn  ha  tiingnii  <li  preti.  DHnqi»  In       dti  (nidi  iti  nietli  iatftr».  1 
prati  UBI  «m  con  nn'alln  che  hi  bi-      chutii-l  primi  tanpi  iliH*  kaja* 


Mjao  tniloMal*  *i  proli;  •  tflftla 
aìióe  d  trgomeBlire,  dis  dirai  neUa 


Tolto  (1  craiitnciiaio  i 
^lla  eli*  ari  ili»  t  II 


priiodi  iBUa  il  quilili  chr  dinn 
tarila  ■  pBlanu  agli  Biiin'D>)  ■  ira 
la  ttmM  piatila ,  a  praJiitr  la 
piiDiarlirhIc»,  dw/u  gidr-la, 


«neh*  ai  tiiiK  prr  •mpliea  mh 
eontroiìamnjrnaerSawtoJM 
il  Aaron  JfaiiHiinloittB.sJ ■lari 

di  pan.  in  parla  <JaUa  pr^fM 

ll6-IIT.fUlra(lDBa'«M«,Cb'     ' 

anwlataina  «IT  «Urna  /mait,  A 

ntltria  airii  artiroli  di  •nt'%  \wèà. 


Bilnil 


•pi»  |aMr<  di  «ipfrb.. ,  di  ..d.u   .li 

U€lUi  M  Die  di  San(-Au<->ia<> 

1 1  K-<  1 1 .  p«r  Ir  tprrr ,  pai  rirrnli 
IvniSKH  di  thv  mpra  é  d'ilei  al  >.  Il, 
un  Dia  lodiam-,  .<»  Te  Dcum  lauda- 


;;rt 


CAISTO  TEMTES 


TO. 


0  santo  padre  y  o  spinto,  che  Tedi 
Ciò  che  credesti  si,  che  tu  vincesti 
Ver  lo  sepolcro  più  giovani  piedi, 

Comincia'  io,  tu  vuoi  eh*  io  manifesti 
La  forma  qui  del  pronto  creder  mio, 
E  anche  la  cagion  di  lui  chiedesti. 

Ed  io  rispondo  :  Credo  in  uno  Dio 

Solo  ed  eterno,  che  tutto  il  ciel  move, 
Non  molo,  con  amore  e  con  disio; 

E  a  tal  creder  non  ho  io  pur  prove 
Fisico  e  metafisico,  ma  dalmi 
Anche  la  verità  che  quinci  piove 

Per  Moisè,  per  profeti,  e  per  salmi. 

Per  r  evangelio,  e  per  voi  che  scriveste. 
Poiché  r  ardente  Spirto  vi  fece  almi  ; 

E  credo  in  tre  persone  eteme,  e  queste 
Credo  una  essenzla  si  una  e  si  trina. 
Che  sofferà  congiunto  $unt  et  este. 

Della  profonda  condizion  divina 

Ch'  io  tocco  mo,  la  mente  mi  sigilla 
Più  volto  r  evangelica  dottrina. 


423-126.  ek$  tu  vineeiti  ee.:  dM 
correndo  al  lepolcro  di  Gesù  Cristo  tìb- 
cctti  il  gioTioe  Imo  coodiscepolo  S.  Gio- 
vanni, cnlraado  prifna  di  lai  in  qiol 
sacro  recinto. 

4  28.  la  forma  pii  del  pronta  ero- 
der vaio:  la  formula  della  mia  fede 
eh'  io  toQ  sempre  apparecchiato  a  ooo- 
fessa r  francamente. 

429.  Im  cagitm  «ti  lui,  il  motivo  dì 
esso  mio  credere. 

452.  iVoM  moto,  noo  mosso  da  al- 
cuno (Iddio),  tutto  il  citi  moiO€  eo% 
amore  •  con  ditto.  Si  è  detto  altrore 
4-he  Dìo  avendo  messo  nel  priww  wkh 
bile  no  grand'  amore  a  deaiderìo  dal 
cielo  empireo  che  gli  sta  sopra ,  a  par 
questo  ciascuna  parte  di  esso  primo  mo- 
bile appetendo  di  congiongern  caa  la 
parte  reipetliva  dell'empireo,  no  nasca 
quel  valociisimo  movimento  ai' egli  ha, 
e  che  eomonica  a  latti  i  cieli  sottoposti. 
Vedi  Conv.^  ir.  Il,  cap.  4. 

435-438.  non  ho  io  pur  prot$  Fi' 
tic€  •  wutafiiiee.  Dell' esisteoia  d'oa 
Dio  solo  od  aterno ,  non  ho  solamente 
[>ruTa  fisicha  a  metaJGsiche,cioè,  dedotta 


673 


425 


i30 


436 


440 


dalla  oaasriaiioaa  della  aatora,  o  dallo 
proprietk  del  nostro  intelletto ,  ma  ec. 
— ma  d«Umi  ÀncK»  et.:  osa  no  tal  cre- 
dere il  mi  dh  anche  la  ferite  che  quin- 
ci,  iì  qni ,  dal  cielo,  tiene  a  manife- 
starsi in  terra  per  gli  scrìtti  di  Moi- 
sè ae.,  e  per  voi,  o  Apostoli, che  scrìTO- 
ste,  poiché  l'ardente  spirito  di  Dìo  9Ì 
fece  almi,  cioè,  vi  fece  chiari,  illoni- 
nati,  T*  inspirò  dopo  la  sna  discesa  so- 
pra di  voi. 

444.  simf  el  effe:  alla  Trìaith  si 
convengono  il  plorale  ed  il  singolara  del 
verbo  et  fere:  tono  (sont)  in  quanto  allo 
persone:  è  (est)  in  quanto  alla  uniti 
d'assensa.  Vi  unum  Deum  in  trinila' 
té,  et  trinitatem  inunitaU  veneremur. 
—  Che  toffera:  è  mudo  ìnd.,  che  iof» 
ft%,  dall'ani,  toffcrarc 

442-144.  Della  profonda  condi- 
zion et.  Del  profondo  e  incoocapibila  es- 
ser divino  in  unità  a  trinità,  di  cai  tocco 
mo,  di  Otti,  cioè,  ora  parlo,  ia  pia  laoghì 
la  dottrina  evangelica  mi  tigiUa,  a 
suggells,  noè  m'impronta,  m'imprima 
la  mente.  Nel  Gidf.  AnL  in  luogo  di 
eondiiion  l«gfeùcoiii)\WK:;Wi^«^A'«^^ 


674 


^W^ 


l# 


150 


PARADISO 

Quest'  è  il  principb,  qiiesi*è  la  fovilla 

Che  si  dilata  io  fiamma  poi  vivace, 

E»  come  stella  in'cielo,  in  me  scintilla. 
Come  il  signor  eh'  ascolta  qoel  che  i  piace, 

Da  indi  abbraccia  il  servo,  gratulando 

Per  la  novella,  tosto  cfa*ei  si  tace; 
Così,  benedicendomi  cantando, 

Tre  volte  cinse  me,  ti  com*  io  tacqui, 

L*  apostolico  lume,  al  cui  comando 
Io  avea  detto  ;  si  nel  dir  gli  piacqui. 

qaaiido  Het    Ace^eniem   md   Demm 
^porUt  trtdtre  quia  ti. 

^Ì4S.  pati  che  ipimee,  ctoA,  oorcUt 
■  lai  graU.  È  piòoidioaia  lei.  òtiCoà. 
Attg. ,  Antald  ,  Chif .  «  Caci.  —  La  eom. 
è  fmH  che  pioct . 

449.  Da  imdi.  -Quudì.  —  gr^t^ 
lamdo  rall^randflu. 

450.  tolto  eh'ri  ti  tace:  dopo  cht 
OMO  wnro  ha  finito  di  raccontara. 

4S2.  Tina oo/le  eim$e  wis,  tra  falla 
ni  gì.  ò  inUinio  la  fraota. 


glio  rìtpooderebbe  a  qoell'  «iM  a  fi'fM 
aasanza,  che  tofrera  eomgitmlo  mui 
et  est. 

445-447.  Quett'é  il  principio,  m. 
Quatta  credenza  dall'  etiatfoxa  di  Dio 
io  tra  persona  a  in  una  aola  a«eoza  è  il 
principio  fondamentale,  ohe  di  mano  io 
mano  dilatan<losi ,  vieo  poi  a  formara 
l' integriU  dtlla  fede  cattolica.  Dalla 
quel  virtù  ornandosi  l'anima  risplaoda 
agli  occhi  di  Dio  come  una  strila.  Di 
questo    principio    parla    l' Apostolo 


CMXTB   VEliTE9IllIOQlJIlinr9. 


U  P0^m  uuorm0  mUm  9*nù  lt9l..§iem  étUm  Spentiti.  Tn  damamdt  gt»  f»t 
umm  na^emd€  p»r  tut  Sfatar»,  alle  mttn  ém0  tngyumrmU  Ha  »t.  t'i«>*4  l*  tegmitm'i 
tÀpmtoU  deUm  Cmntm,  tuttm  MMgtmuU  éi  tmtr,  »  «i  mmtsrf  me*  em-9»  fsh  mttrt  Mi 
féigM.  Po»  9»tg*st  m  OtMtf,  eke  /«•  im  <«i  nguM'dmvm  «■n««a,  «  gti  munuytìm  et 
jnrnfr  m  $ptnf.  mtmém  ei.mr  Imtti  gtt  mttn  tmarutto  m  ttrrm  U  $ao  carpm.  Lm  ime»  Mi 
km  «MMf ImM  ittlmumu  U  t'mtm,  ckt  «M  mgd«  Bomtnm  tàt  gU  è  mttamf. 


So  mai  con  tinga  che  il  poema  sacro, 

Al  quale  ha  posto  mano  e  cielo  e  terra. 
Si  che  m*  ha  fatto  per  più  anni  macro. 

Vinca  la  crudeltà,  che  fuor  mi  serra 

4.  eonlinga,  a%  venga , dal  lai.  con-      So  ni  vi  aoo  ronsomalo.  Nna 


tingere.  —  poema  tacro:  cosi  chiama 
la  sua  Commedia ,  poirlie  tratta  di  coaa 
rijjoardanti  la  fede  a  hio. 

2.  Ai  quale  ka  potto  memo  ae.: 
hanno  concurao  a  formare  questo  Poe- 
■a  il  cielo,  la  arienza  delle  cosa  diTi- 
ve,  Bealriea,  eccitala  dalle  altra  doune 
heaedvHe  di  che  si  disse  ori  Canto  II 
MVtnf  ;  lm  terra ,  l' umana  ragioiia  a 
k  Sloa«»lia,  parsonìficHte  in  Virgilio. 

5.  Si  che  m'ha  fatto  ce:  UbIo  c<h% 


glio  esprimersi  l'vffello  di  m 
luogo,  forte  ed  asvvdno. 

4 .  Vinca  la  crudeltà  ae 
una  qualche  aperaaaa  dw  il 
Poema ,  con  che    lavoivTa 
eterna  a  sé  stcaao  e  alla  patria 
placare  una  vnha  la  cruda 
chi  govrroava  Firenae  ;  Ma 
aere  che  «elle  tirannidi  di  m 
nodo  siano,  aitano  wirimt 
«idotoia  etl. 


re 


CANTO  TBNTESIMOQUINTO. 

Del  belk)  ovile,  ov'  io  dormii  agnello 
Nimico  a*  lupi,  che  gli  danno  guerra  ; 

Con  altra  voce  ornai,  con  altro  vello 
Ritornerò  poeta, 'ed  in  eoi  fonte 
Del  mio  battemmo  prenderò  il  cappeHo  ; 

Perocché  nella  Fede,  che  fa  conte 
L*  anime  a  Dio,  quiv*entra*io,  e  poi 
Pietro  per  lei  si  mi  girò  la  fronte. 

Indi  si  mosse  un  lume  verso  noi 

Di  quella  schiera,  ond*  osci  la  primizia 
Che  lasciò  Cristo  de*  vìcarj  suoi. 

E  la  mia  Donna  piena  di  letizia 

Mi  disse  :  Mira,  mira,  ecco  il  Barone, 
Per  cui  laggiù  si  visita  Galizia. 

Si  come  quando  il  colombo  si  pone 

Presso  al  compagno,  1*  uno  ali*  altro  pande, 
Girando  e  mormorando,  T affezione; 

Così  vid*  io  Tun  dall'  altro  grande 
Prhicipe  glorioso  essere  accolto, 
Laudando  il  cibo  che  lassù  si  prande. 


675 
6 


to 


15 


so 


5.  Dtl  heUo  09ÌU,  aelU  dttk  « 
FirMM.  —  99*  io  d9rmu  agfttiU  ce. 
Ecco  il  delitto  grande  e  impettleMbile 
di  Dente:  I'  eMci-e  stato  afneAe,  ne- 
mico ai  tapi  divoratori  di4le  patria. 
V agnello  eJbe  deniie,  trae  aero  V  idea 
d' no'  innocenu  sicura ,  e  di  quella  aio- 
eerilk  ebe  aoii  ceaoece  soepetio,  ed  igno- 
ra ^elra^ae  arUfisto,  unde  mom  ha 
Bckenno  coaUo  la  malignità  e  Tiairidia. 

6.  dkefM.elie  eli' ovile. 

7.  Con  altro  voto  et.:  cioè,  eoa 
altra  pia  glorieee  feme  e  con  veale  non 
di  aempliee  eittedino  je  di  megietinta , 
ma  di  poeta.  L' idra  forse  è  tidla  dalla 
treaftfrmatione  Orasene  làibmm  aiirfar 
tu  aliUm  ee.  Vedi  Ode  \X,  lib  11.  Al- 
eani  però  pensano  die  Peepi  eaaieni,  Mli 
éltrm  rare,  con  nitro  «elio .  ecccnnino 
agli  effetti  cagi-  noti  in  lui  delle  ionaBÒ 
tempo  eoprarvenatagli  vrcchieita. 

9.  il  empp9llo.  Intendi  la  «offOM 
dell'  aUero.  È  dal  proveai.  aapeft, 
ghirlenda. 

40.  eonle ,  cioè  familiari ,  a ,  nome 

l' Apostolo ,  dowietticho. 

42.  «er  Ui,  per  la  profcwitia  dw 
ioleei  detta  detta  fede,  tra  vallt  mi 


gire  intorso  deHa  franta.  —  51 ,  eioè 
come  bo  gih  detto.  (Vedi  il  t.  49S  del 
Canto  prrc.) 

U-^H.MquenatthUra  Da i|Mlla 
aebiere  di  beati  spiriti  ^  di  evi  al  ▼.  44 
del  Canio  precedente  fa  detto ,  ehi  ti 
f^ro  spere  inprn  àtei  poli. — «N^wel 
la  ]»nim'iiaec.:flelle  qnekosci  8.  fìa- 
Cro  che  fu  le  pn'misià,  il  prima,  -dai 
tiearj  di  Gi^b  Cristo,  da  Ini  medaaÌBa 
laaciato  el  governo  delle  soa  Chiesa. 

47- IS.  t7  Bonme.  Int.  S.  lacopa 
apoetolo ,  in  divozione  del  anale  i  pelia- 
grini  visitano  il  sepolcro  di  lai  ia  Con* 
pootella  nella  Gsltzia. 

20.  r  mno  al/'olfr»  pande:  V  ano 
all'altro  maniff^ta.Quebta  leeinne  è  dal 
Cad.  Anuld.  ,del  tniuViv  .e  delPat.e7, 
e  mi  è  aembrata  da  preferire  eOa  aail . 
f  mno  »  l'  altro  pande. 

24 .  mormor«Mlo.  Muimaarapr» 
prìamente  aignifica  parlare  soflMNMa- 
mente  ;  qui  è  uselo  per  aimilitaAaa ,  td 
eaprìmere  qoel  cupo  roBMra  cba  fMa 
tali  animali. 

24.  La«'/«fido  ee.  :  landaada  Dia , 
la  visione  del  quale  è  il  cibo  di  tkt  in 
cielo  pra»i/e,  ti  ciba  ^  ofai  ^ 


CANTO  VENTBSIMOQUIirrO. 

Lo  nostro  Impertdore,  anzi  la  morte, 
Neir  aula  più  segreta,  co'  suoi  Conti , 

Si  che,  veduto  il  ver  di  questa  Corte, 
La  Speme,  che  laggiù  bene  innamora. 
In  te  e  in  altrui  di  ciò  conforte; 

Dì  quel  che  eli*  è,  e  come  se  ne  infiora 
La  mente  tua,  e  dì  onde  a  te  venne  : 
Cosi  seguio  *1  secondo  lume  ancora. 

E  quella  Pia,  che  guidò  le  penne 
Delle  mie  ali  a  cosi  alto  volo. 
Alla  risposta  cosi  mi  prevenne  : 

La  Chiesa  militante  alcun  figliuolo 

Non  ha  con  più  speranza,  com'  è  scritto 
Nel  Sol  che  raggia  tutto  nostro  stuolo  ; 

Però  gli  è  conceduto  che  d'  Egitto 
Vegna  in  Gerusalemme  per  vedere, 
Anzi  che  *1  militar  gli  sia  prescritto. 

Gli  altri  duo  punti,  che  non  per  sapere 
Son  dimandati,  ma  perch'  ei  rapporti 
Quanto  questa  virtù  t*  è  in  piacere, 

A  lui  lasc*  io,  che  non  gli  saran  forti, 
Né  dì  jattanzia  ;  ed  egli  a  ciò  risponda  ; 


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60 


66 


eo 


lioechi  nelFauia  piit  itgrttm,  mIU 
sUua  dÌTÌM  dall«  altre,  eo'iuoiCamU, 
coi  primari  paitonaggi  della  corta  dal 
Cielo.  Coma  notai  anche  nel  Caolo  pre- 
cedente, Dante  immagina  incielo  ma  iw^ 
p§ro  e  ona  corte  coi  auoi  Conti  a  Ba- 
roni ,  a  modo  di  qocllo  ch'egli  aoaliena 
esser  voler  di  Dio  che  sia  sulla  latra. 

44 .  La  Sptwt»,  che  laggik  «e.  In- 
tende di  quella  aperanxa  della  alarna 
vita  che  è  TÌrtà  teologica  ;  e  dica  che 
bene  innamora,  perchè  la  altra  ap^ 
rame  non  innamorano  èen* ,  na  ■  tor- 
to ,  a  per  ingannare. 

45.  di  età,  con  rio,  col  fero  Tadato 
nella  corte  celestiale.  —  eomforU,  ta 
conforti,  faccia  piò  ferma. 

4G>47.  IH  quel  eke  eU'è:  dimmi 
che  eoaa  è  speranza,  a  eomo  $e  na  In/Io* 
ra,  a  come  la  menta  tna  ta  n»  infiorm, 
sa  ne  adoma  quasi  di  oa  lieto  Ìora  cha 
rierea. 

48.  Coti  teguio  'f  ueomia  l«- 
«M  ae.  :  tcA  seguitò  a  parlare  il  fa- 
condo Apostolo. 

49-&I .  E  ^eUa  Pia  ee.:  t  Batàti- 


ea,  cha  mi  aveva  condotto  laaaè,  «aak 
cominciò  a  rispondere  prima  di  ma. 

52-  54 .  La  Chieta  mUikmU  m.  La 
^esa  militante  non  "ha  alcuno  tnPaaoì 
figlinoli  piò  fornito  di  spcrann  di  co- 
stui (di  Dante),  com'è  lerMio,  cioò^  co- 
ma apparisce  a  pnò  leggerai  io  Dw,  H 
quale  come  sole  illumina  tutti  noi. 

55-57.  che  d' Egitto  ee,  Cha  dalla 
achiavità  del  mondo  venga  alla  calaalo 
Gerusalemme,  prima  cha  ali  eia  prB- 
Berillo  il  miUtare,  doò,  au  poeto  ter- 
mina al  suo  combattere  nella  vita  aar> 
tale,  cha  è  atato  di  guerra. 

58-60.  che,  non  per  taporo  Son 
dUnandati  ee.  :  cioè,  cho  noa  aoao  a 
lai  (a  Dante)  domandati  da  to  par  aa- 

Kra  deome  non  avevi  bisogno  di  aaptr 
litro  a  cai  io  ho  risposto,  poichò  tatto 
sai  e  vedi  ia  Dio)^  ma  parehò  afU  rap- 
porti *^\i  aomim  qaaalo  qaaata  firtè 
t*  ò  ia  piacerà. 

61.  non  gli  taran  fbrU,  man  gK 
faranno  difficili,  aia  farilmaala  potrà 
dichiararli. 

02.  Né  di  iaUanxim,   aò  gli  §•• 


K  la  gTHua  di  Dk)  ciò  gli  comporti. 

Come  (liscenle,  eh' a  dotlor  serondft 

Pronlo  e  libenla  in  quel  eli*  egli  è  esperto. 
Perchè  la  sua  bonlì  si  dÌss^«»iHla  ; 

Speme,  diss'  io,  è  uno  Bllender  corto 
Della  gloria  futura,  Ìl  qiul  produire 
Graiia  divina  e  (irecodenlc  nnerto. 

Da  molle  stelle  mi  vien  questa  Inre  ; 
Ma  quei  la  distillò  nel  mio  cor  pria. 
Che  fu  soinmo  canlur  dui  somirro  duce. 

SpL'rino  in  le,  nell'  alla  Teodla 

Dii~e,  color  che  5anno  il  nome  tuo-: 
£  chi  noi  sa,  s' egli  ha  la  feda  mia  ? 

Tu  mi  sLillasti  con  lo  stillar  suo 

Nella  pistola  poi,  si  ch'io  sor  piene, 
E  in  altrui  vostra  pioggia  repluo. 

Meulr'io  diceva,  dentro  al  vivo  seno 

Di  quello  incendio  tremolai'a  un  lampo 


(ommo  Jm<.  D.tidd»,ib.  mi*  Itili 

Ih  cuergU  l'illro;  rd  ceco  li  nginnt 

di  D.u,  dg»  <«D.ma  «  tallo  il  «^l 

Hrch*  *>  111  riipulD  Buirìn. 

7S    ^prrr»  ia   (*  M.    Kd  «> 

63-   gti  romponi,  gli  r«iw;)> 

uloii   U.vidd«  diN^  Sp<nao  r.  h  » 

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noninoile  ii>  n.t  di  <,.ekU  Jolo»  |«k. 

dai  amMlutiM  agni  dubbi.-u>,H  ilrb- 

7T.  ffr««  piente,   d-è«UH" 

di  D*.lddB. 

i|MT*ii»  i  t«tM  di)  Umlro  Mlf  •«>■ 

78    ««.Ira  pfog^te   «.;   U  M 

(«IH  :  ^w  Mi  «ria  ecpHlalia /iiM- 

a,ll.l«,.p.-«d.,oi,.«^i,„p|^ 

rìpio.o.ri.«».m.liri.            ^^ 

lU  tt  priMKJHUifcW  ■MT'IÙ. 

79.  al «»•«»(».,  «MmIm- 

TU.  Da  molle  tlcllo:  iiÌM,d*  MolD 

n  di  aa-\  [uuco  .»  tra  1.  riti.f^ 

M  d.1  S.«U  ApoMU», 

(Ut  a' •Itilo. 

T2    Chf.  /»  loHmi  coniar  Jcl 

^  I)^.iU. 

CA?!TO  YENTBSIMCtQnnfTO. 

Subito  e  spesso,  a  guisa  di  baleno. 
Indi  spirò  :  L*  amore  ond*  io  avvampo 

Ancor  ver  la  virtù  che  mi  segnelte 

In6n  la  palroa^  edall*  uscir  del  campo. 
Vuol  eh'  io  respiri. a  te,  che  li  diletta ■ 

Di  lei,  ed  emmì  a. grato  che  ta  diche 

Quello  che  la  Speranza  ti  promette: 
Ed  io  :  Le  nuove  e  le  scritture  anticho 

Pongono  il  segno,. ed  esso  lo  mi  addita. 

Deir  anime  cbe  Dio  s*  hft  fatte  amiche. 
Dice  Isaia,  che  ciascuna'  vestita 

Nella  sua  terra  Ga. di  doppia  vesta; 

E  la  sua  terra  è  questa  dolce  vita. 
E  il  tuo  fratello  assai  vie  più  digestat 

Là  dove  tratta  delle  bianche  stole, 

Questa  rivelazion  ci  manifesta. 
E  prima,  presso  il  fin  d*  està  paròle. 

Spermi  in  fs  di  aopra  noi  a*  udì; 

A  che  risposar  tutte  le  carole; 

82.  iptrò,  mandò  Taori  coUl  toc*. 

83-8 1 .  ccr  la  tirtk  :  verso  la  Tirlà 
della  speranza ,  die  mi  trgaì  In  firn  la 
p4dma,  fino  alla  palma  cha  riporti  mI 
martino,  e  all'  uscire  del  campo  di  bai- 
taglia,  quando  dalla  tì(<  (emporaU pat- 
tai air  elema. 

83*8S  respiri  a  t$,  riparli  a  la, 
che  ti  dilHU  Di  In,  il  qaala  U  diirUi 
di  questa  Tirtù.  Vedi  sopra  le  parola  di 
Beatrice  al  terso  52  e  seg. 

88-89  Ld  nuove  $  U  teritture 
cnlieh»  ee.  Cioè:  tanto  il  Vecchio  cha 
il  Nuovo Tctlame.ktu  potarono  iltégno, 
il  seguale,  a  dimostraiione  di  eia  dia 
la  speraofa  promette  ;  a  questo  eegmn 
tcritloraU  mi  dice  la  natura  del  prrmio 
sperati».  Dei  vari  minli  di  punteggiare 
ed  intendere  questo  lungo  bo  preferito 
quello  proposto  daliMsraelila  A>bib, 
che  è  anche  sosteoato  dal  C»d.  Siroo. 
461  della  Laurent,  da  dm  ora  veduto. 

Naila  pasMta  edizione  io  propoaera 
un  altro  modo  di  leugere,  che  ancor 
Don  mi  dispiaea,  ed  è  questo: 

Stilo:  U  Boote  •  U  «<riltarf  anfie'te 

pùof  ytt»  il  MRBo.  UÀ  «ww  :  L  •  Ha  «Mita. 

D«lr«Mnir  eli*  Dio  •  Uà  folto 
Dico  Isaia  m. 


679 


86 


90 


9j 


PoAgoiio  il  $egtio:  fisttn  il  ttr*      damanli 


aiiaa,  a 

Mdtuù:  E  l'ApoatoU  rìapoaa: 

aamela.  E  Dante  sogfifiafa^ 

90-91  ùtU'mmimt  itu  Die» 
dM  ciaacwiadella  animadbaDìo  t^è  ala^ 
te.,  tare  vetlita  di  doppia  tlda  mUi  «m 
terra,  àaè  ad  Ciala,.ch«  è  \m  pwpria 
tiUk  a  patria  dei  prcdattÌBati,  aaa  ai* 
aattdo  questa  oootro  moado  cba  «i  pel* 
la^naggit»  a  un  esilia.  NeU^  tmm  Itr* 
rm  :  p*asrbba  1'  «fi^JP*  n^'">  ■lAa 
a  Dio;  ma  rappor HJ^Mliaia  dà  wm 
senso  più  bello. 

92.  di  éttpipia  «cete:  ddla  giani. 
eaziana  a  beatJÀodJne  dell'anima  •  M 
carpa,  come  lo  dichiara  aocha  fatta  d 
T.  427,  Con  le  d%to  eUl9  «t.  Erco  la 
parole  d'Inaia  :  1»  lerra  tua  diylfcig 
p  ttide^nt;  lettilia  tempitermmmié 
aù.ls.,61.  7. 

94-96.  E  il  l«M  frmUllù,  a  Sta 
Giovanni,  attoi  vie  pie  di§9Mlm,  Bdlo 
più  difsrila,  schianta ,  ea  la  amaifadÉ 
BiirApacalissa. 

97-98.  E  primtm  te.  Castr.  a  iat.: 
E  pretta  il  fin  éCeelt  pfU,  mritna 
i'idì  sparaat  ia  la.  —  Parala  ad  tal- 
ma  IX. 

99.  U  cmroU,  ì  ondi  da'hMli 


Poscia  tra  es»;  un  lame  si  scliiari, 

SI  che,  se  il  cancro  avesse  uti  tai  cristallo. 
Il  verno  avrebbe  nn  mese  d' on  sol  di. 

E  come  snr^e,  e  va,  eU  entra  in  ballo 
Vergine  lieta  sol  per  fare  onore 
Alla  novìzia,  non  per  alcun  Tallo; 

Cosi  vìd'  io  lo  schiarato  splendore 

Venire  a' due,  che  sì  volgeano  a  ruota, 
Qual  convenìasi  al  loro  ardente  umore. 

Hìsesi  II  nel  canto  e  nella  nota, 

E  la  mìa  Donna  in  ior  tenne  l' aitilo, 
Pur  come  sposa  tacita  ed  immota. 

Questi  é  colui  cbe  giacque  sopra  il  petto 
Del  nostro  Pellicano,  e  qnesti  fue 
Di  su  la  croce  al  grande  utOcio  elelto. 

La  Donna  mia  cosi  ;  nò  però  piue 
Mosser  fa  vbla  sua  da  staro  alteota 
Poscia,  che  prima,  le  parole  sue. 

Qoale  è  colai  eh'  adocchia,  e  s'  argomenta 

lai-IOa  51clif,i«tI«Mcrae>>  t« 


>»  tl><  il 


oipncoi 


fianclù  col  birto,  r 


«pauLi  il  idU.  Gib  pDito, 


tiilDCHpaflrtBM  curro;  qaol 


Uni., dina,  —  lU  ptri  piiM  ce.  f  ■*■ 
Ni  p«ri  io  isc  parola  (di  Br*lnM(ai» 
■tn>ltiiiaTÌil(pi4  dnp«,(fa*  Hìaa  Jil- 
loilanalUnIi  ijliitpnitali.AiMMte 
inDanii,  *.  Ilt,  (h*  Bcatrin  ili*«i 
imnDfa  raardando  negli  Aiwti*!!.  On 
Jr«  qui  che  alla  pan  «WM>  In  aw  (irti 

dal-r. 

di  q.« 


CANTO  TENTESIMOQUINTO. 

Di  vedere  eclissar  lo  Sole  un  poco, 
Gbe  per  veder  non  vedente  diventa; 

Tal  mi  fec*  io  a  queir  ultimo  fuoco, 
Mentreché  detto  fo  :  Perchè  t' abbagli 
Per  veder  cosa,  che  qui  non  ha  loco  ? 

In  Terra  è  terra  il  mio  corpo,  e  saragli 
Tanto  con  gli  altri,  che  il  numero  nostro 
Con  r  etemo  proposito  s' agguagli. 

Con  le  duo  stole  nel  beato  chiostro 
"Son  le  duo  luci  sole  fbe  salirò  ; 
E  questo  apporteraf,ltfki  mondo  vostro. 

A  questa  voce  1*  inflanuntto  giro 
Si  quietò  dkm  esso  il  dolce  mischio, 
Che  si  facea  del  suon  nel  trino,  spiro, 

Si  come,  per  ceanr  attica  o  rischi». 
Gli  remi,  pria  nell*  acqua  ripercossi. 
Tutti  si  pbsan  al  sonar  d'  un  fischio. 

Ahi  quanto  nella  mente  mi  oommoaiiy 
Quando  mi  volsi  per  veder  Beatrice, 
Per  non  poter  vederla^  ben  eh*  itf  fossi 

Presso  di  lei,  e  nel  mondo  felice  ! 

vederlo  McliiHra  an  poco,  •  pori!  nio 
Toler  vedere  diventa  non  cedente^  àoè 
rimane  abbagliato;  tale  io  divootai,  doè, 
diventai  abbagliato,  nel finanni  in  ^mA" 
l'oltimo  tplrodoro. 

422.  Mtntrechè  ddto  fu,  incU 
mi  fa  dotto. 

423.  Ptr  9$der  coia,  du  qui  tv. 
Dante  si  affiaaava  nello  tploooort  £ 
San  GiovaoDi  por  vodero  ao  ora  la«è 
anche  col  corpo.  Qaeato  dubbio  ori 
nato  dalle  parola  di  Gesà  Criato  iator» 
no  a  lai  :  Si€  mun  volo  vMnon  éom§e 
teniam. 

424'426.  $  taragli  te,:  tartvri, 
lark  ivi  cogli  altri  corpi  fino  a  tasto  eho 
il  nomerò  di  noi  beati  cmcoado  ti  af- 
gaagli  eoli' eterno  propoiilo^  doè  raa* 
giunga,  compia y  il  nomerò  decretato  da 
Dio  ;  che  è  qaanto  dira  fino  al  giadiiM 
anivenialo. 

427.  Con  U  duo  itolo:  eoo  le  èuo 
florilicaxioai,  cioè,  eoa  quella  delPaai- 
ma  e  con  quella  del  corpo. 

42S.  Son  U  duo  luH  «ole  «t 
Cioè,  la  loco  di  Gesù  Cristo  e  quella  ^ 


681 


iSO 


i26 


i30 


135 


Maria  Vergine,  che  ri  tokero  ora  ora 
alla  tua  vista  risalendo  all' Empireo. 
Vedi  Canto  XXIII,  t.  420. 

4  29.  nel  mondo  vottro,  nel  moado 
abitato  da  voi  mortali. 

450-432.  Tm/laaiMalo  giro ,  Fag- 
girarsi  di  quelle  tre  fiaoune. — SiguiO' 
Id,  cessò ,  con  omo  U  dolco  mitàUo: 
unitamente  alla  dolce  mistura  dei  suo- 
■e,  cioè,  al  canto  armooissate  eoi  ballo, 
dM  fooevmii  nel  trino  tpiro,  die  spi- 
nva  da  quei  tre  splendori. 

433-435.  51  come  cc»:ù  quietò,  ia 
quella  gaisa  cbe  por  cccntr  fatica,  per 
riposare  da  una  fatica,  o  per  eesfor  ri- 
$e  iOy  o  per  iscbivara  no  pericolo,  Gli 
remi  si  posano  a  un  tempo  stesso  a  un 
Sscbio  del  comito  o  del  piloto. 

456-439.  ÀM  guanto  nelU  moih 
te  ee.G>str.:  Ahi  quanto,  per  noo  poier 
▼odor  Beatrice,  quando  mi  Tolsi  a  lei , 
rastai  commosso  nella  mente,  beoeliè  io 
forni  accanto  ad  essa,  e  nel  mondo  !•• 
lice  1  Nuta  che  SanGioTauoi  coUa  tubU- 
mitè  dei  suoi  ceneetli  eeelissa  Betlrico^ 
la  Teologia. 


CASTO.  VEXXESinOSESTO. 


Menlr'io  dubbiava  per  Io  viso  spcnlo, 
Della  fulgida  Qamma  che  lo  spende 
U'^i  uno  spiro  che  mi  fece  altento, 

Dicendo  :  InUnto  c.ìm  In  ti  riscn» 
Della  vista  che  bai  in  me  nmsunls, 
Dcn  é  cbe  ragionando  la  coK^iease. 

Coniini-ia  duntiuo,  e  di  ove  i'  ap^auia 
L'  animit  lua,  e  fa  ragion  che  Ria 
La  vista  in  ìe  smarrita  e  non  defiuila; 

Perchè  la  Donna,  cbe  per  qaceU  tlia 
Regfon  tì  con(luc«,  ha  nello  sguardo 
La  virlù  eh'  ebhe  la  man  d'  Anania, 

Io  dissi:  Al  suo  piacere  e  tosto  e  lardo 
Vegna  rimedio  agli  occhi  che  fiir  porle, 
Quand'ella  entrò  col  fuoco  ond'ìo  sempr'anìo 

Le  Ben,  che  b  ooolenla  questa  Corle, 
Alfa  eé  Omega  è  di  quajila  scrìltura 
Hi  legge  amore  o  IÌe\enM>iite  o  forte. 


i-3  MtnWladuòiiiiraH 


it»eiHi 


H<li4la  n 


a»         _      15    JJ.«.«, 


>  ■  l«  piiK»,  àt.f 


lU-lg   LoB 


penti  t'ImpMinaiMx 


*-•     ■  «io«iiie..U,'*fB-r' 


::sz,tT. 


■   M     Li    B,rt-t«»* 


«Ut  Tirtn  di  TeaA«(*t&.¥tAs\*fa»K 


CANTO  VENTE6IM06ZSTO. 


MS 


Quella  medesma  voce,  che  paura 

Tolta  m*  avea  del  subito  abbarbaglio^  so 

Di  ragionare  ancor  mi  mise  ia  cm'a; 

E  disse  :  Cerio  a  più  angaslo  vaglio 
Ti  comiene  schiarar  ;  dicer  coovienli 
Chi  drizzò  V  arco  tuo  a  tal  beraaglk). 

Ed  io  :  Per  filosofici  argomenti^  25 

E  per  autorità  the  quinci  soeude. 
Cotale  amor  oonvien.che  ia  me  s' impronti  ; 

Che  il  bene,  in  quanto  beu»  come  s*  intende. 
Così  accende  amore,  e  tanto  maggio, 
Quanto  più  di  bootatè  in  sé  comprende.  30 

Dunque  alPessenzit,  ov*è  tanto  «ai^vantaggio, 
Óm  ciascun  beo  cba  fuor  di  lei  si  trova 
Altro  non  è  che  di  suo  lume  un  raggio, 

Più  che  in  altra  convien  che  si  muova 

La  mente,  anMmdo^  di  ciascun  che  cerne  36 

Lo  vero,  in  che  si  fonda  questa  prova. 

Tal  vero  allo  intelletto  mio  sterne 

Colui  che  mi  dimostra  il  primo  amore- 
Di  tutte  le  sustanzie  sempiterne. 

4  9.  Quella  medetma  toc$.  S.  Gio-      ù  peccali ,  «/»oepTt«c(  ;  •  ignoranze  li 

rfaiaioò  anche  il  Salmitta  :  Ignorantiat 
■MM  nt  memiuatit,  —  mutgfio,  nag- 
gi«ra. 

81-56.  Dmmptt  Mil'énmuUm  «0. 
Ordina  e  ini.:  dnnque  a  Dio  (eaaema  che 
ba  laalo  vanlaggio  aopra  tulle  le  altre 
eMenae,  clic  ciaacua  beoe  che  è  taerìdli 
lai  altro  acuì  è  cbe  aa  raggi»  del  Ioni* 
eoo)  eooTÌeoe  cbe  laacDle  di  cbieenM^ 
coaoaaa,  la  Terìlà  su  cai  ai  (uaila  l' ar* 
goneoto  aiipra  eaaacialo,  ai  oaaoTa^ 
aMBodo,  più  cbe  verso  di  altfa  naaim. 

37-3'J.  fai  vero,  tal  verità,  tleme^ 
appiana, Blende  innanzi, didiiara  al  aaia 
iotelletlu  Colui  ee. ,  dtié  Pialoaa,  il 
qaale  dinmatra  nel  sao  Simpuaio,  caM> 
ra  {àoè  il  aoauno  beoe  in  se  diRaaivo^ 
«aere  il  primn  di  iatt«  lo  tuiionaié 
ttmpilomo,  «uà  di  lutti  i;li  tHa.  Noi 
per  te  «nalaasie  seai^iXeraa  ialasderiv 
aM»  gli  angeli  e  le  auio»  amaaa.  Altri 
f  ugliuov  che  Colui  the  mi  ditmoUraoCm, 
aia  Insilitele,  che  nel  libru  Ae  coiuif  di- 
ca :  •  La  catena  degli  eflclli  a  datla  caflM 

•  non  è  infinita ^  per  la  qaal  coaaèdia^ 
f  ccssiliipeivenu-eaduuacagHioeclMsia 

•  cagione  di  latte  le  altra ,  àaè  a  Dio.  • 


Tanni. 

21.  in  cura,  in  daaiderìo. 

22-23 .  Cerio  a  più  angutto  rayiàp. 
P^re  cbi>  con  questa  mctafura  abbia  vo» 
luto  dire:  conviene  cbe  i  taoi  caacelli 
escano  dall' interno  dell' anmao  tuo  piA 
definiti ,  oieglio  schinrati,  cooie  asce  dal 
vaglili  che  abbia  angusti  furi,  pia  acfaia* 
rato  il  fiore  della  farina. 

24 .  Chi  drizzò  «a.  Obi  drizzA  ccak 
Tamor  tuo  verso  D.o. 

2'i.  Per  filato fiei  argomenti,  per 
discoi  so  di  ragione. 

2tì.  E  par  aiutorilà  te.  :  a  aer  rìra- 
la/ione,  che  proviene  quinci,  da  Dio. 

27.  t'imprenli,  s' impronti, a* ini' 
pr  ima  ,  o  si  ecciti  in  me. 

28-30  CM  i7  Ae»eic.Peroccbè  il  be- 
ne (in  quanto  e  bene)  tosto  cbe  viencono- 
aciato  accende  dell'amore  di  se,etanlu 
piò  quanto  più  esso  racchiude  di  boo- 
U.  L' uomo  non  può  amar  dia  il  beaa } 
a  ae  accade  cbe  ami  il  mala,  noo  Ioam  i 
come  ai.ila,  ma  ia  quanto  lo  ««da  aa 
bene:  onde  tutte  le  nostre  colpe  nasco> 
no  da  on^aberraziitue  della  monte,  e 
laolo  aaona  il  oooie  cbe  dai  Greci  ai  dà 


684  DEL  PARADISO 

Siernel  la  voce  del  verace  Aut()re, 
Che  dice  a  Moisè,  dì  sé  parlando  : 
Io  ti  farò  vedere  ogni  valore. 

Sternilmi  ta  ancora,  incominciando 
L'alto  preconio»  che  grida  l'arcano 
Di  qui  laggiù,  sovra  ad  ogni  altro  bando. 

EJ  io  adi*  :  F^r  intelletto  ameno,. 
E  per  antorìtade  a  lui  dbncorda» 
De*  tuoi  amori  a  Dio  guarda  il  sovrano. 

Ma  di  ancor,  se  tu  senti  altre  corde 
Tirarti  verso  lui,  sì  che  tu  suono 
Con  quanti  denti  quesi'  amor  ti  morde. 

Non  fu  latente  la  santa  intenzione 

Dell'  aquila  di  Grìsto,  anzi  m'aoooril 
Ove  menar  volea  mia  professione. 

Però  ricominciai  :  Tutti  quei  morsi. 
Che  posson  (ar  lo  cuor  volger  a  Dio, 
Alla  mia  caritate  son  concorsi  ; 

Che  Tessere  del  mondo,  e  l'esser  mio. 
La  morte  eh'  el  sostenne  perch'io  viva, 
E  quel  che  spera  ogni  fedel,  com'  io, 

Con  la  predetta  conoscenza  viva, 


IO 


IO 


hi 


60 


42/0  li  farò  vedere  m.  .*  io  ti  mo- 
strerò ia  me  congiunte  (otte  le  perfezio- 
ni. Ego  ottendam  omne  bonum  Ubi, 
Ei.,  C.  53. 

43-44.  Stemitmi  In  ee.:  to  ^re. 
•  Gioranni ,  total  vero  mi,  dimostri  nel 
principio  dell'  mito  preconio,  che  grida, 

Kbblicn,  laggiii,  nel  mondo^  l'arcano 
I  qni,  doè  il  gran  tegreto,  il  gran  mi- 
stero della  incarnazione  del  Verbo ,  coi 
egli  annunzia  fonte  di  vita ,  di  Inee ,  di 
grazia  e  di  yerità ,  qualità  tolte  cbe  co- 
mandano amore. 

45.  Sovra  ad  ogni  altro  bando  : 
qiesie  parole  dipendono  dalFagg.  alto 
espresso  sopra. cine  il  preconio  o  il  ban- 
do |evangelicoj  alto  sovra  ad  ogni  al- 
tro Dando  \  io  qnantochè  il  Vangelo  di 
S.  Gioranni  è  l'aqnila  dei  vangeli. 

40-48.  B  iondC:  ee.  Ed  io  ndit 
rispoBdcrmi:  Condotto  da  naturai  ra- 
gioìse  e  dairantorilà  divina  concorde 
alla  ragione,  riserba  a  Dio  il  eovrmuf, 
ti  prìflcipalf ,  da' Ubi  amon. 

49.  mitre  corda ,  mUn  m^i\. 

50.  9Uon»,  svoti ,  dic%. 


51 .  Con  gmanii  demii  ee.:  ciȏ,4 
quanti  motivi,  con  quanti 
amore  ti  punge. 

52.  latente,  naacoeln ,  «^w.. 

53.  Deir  aquila  di  dritta.  InL  à 
San  Giovanni ,  a  cui  ai  db  per  iaa^pa 
l'aquila  per  lo  slancio  sabliae  cea  che 
da  principio  al  suo  Vangielo. 

54.  mia  profeetioma  :  la 
ne  da  mici  sentimenti  rigonrd*  «D'i 
di  Dio. 

55.  Tutti  aun  morai.  ContMM  la 
metaf.  Tutti  gr  impolsi ,  o  tatto  le  le- 
gioni. 

57.  Alla  mia  earitetia  «e.;  harna 
cooperato  a  trarmi  verso  P  omor  fi  OSa. 

58.  Che  tetterà  del  mtmrft  or .2  po- 
nicele la  creazione  dell'  Caivotoo ,  0  A 
meec. 

59.  perch'io  viva,  por  aateni 
l'eterna  vita. 

•0.  B  quel  che  aperm  oe.  r  o  !•  ift^ 
rama  data  a  tutti  i  fedeli  di  «■  fmsh 
dina  do^o  la  morte. 

^\-^ .  C«iw  \%  •vv«teAW  «t.t  < 


CANTO  TENTESlBIOSESTa 


685 


Tratto  m*  hanno  del  mar  dell'  amor  torto, 
£  del  diritto  m*  han  posto  alla  riva. 

Le  fronde,  onde  s*  infronda  tutto  1*  orto 
Deir  Ortolano  etemo,  ani*  io  cotanto 
Quanto  da  lui  a  k>r  di  bene  è  porto. 

Sì  conV  io  tacqui,  un  dolcissimo  canto 
Risonò  per  lo  cielo,  e  la  mia  Donna 
Dicea  con  gli  altri  :  Santo,  Santo,  Santo. 

E  come  al  lume  acato  si  disonna 
Per  Io  spirto  visivo  ebe  ricorre 
Allo  splendor  che  va  di  gonna  in  gonna, 

E  lo  sveglialo  ciò  che  vede  abborre, 
Si  nescia  è  la  sua  subita  vigilia, 
Fin  che  la  stimativa  noi  soccorre  ; 

Cosi  degli  occhi  miei  ogni  quisquilia 
Fugò  Beatrice  col  raggio  de*  suoi. 
Che  rifulgeva  piò  di  miU»,milia; 

Onde,  me*  che  dinanzi,  vidi  poi, 
E  quasi  stupefatto  dimandai 
D*  un  quarto  lume,  eh'  io  vidi  con  noi. 

E  la  mia  Donna  :  Dentro  da  que*  rai 
Vagheggia  il  suo  (attor  l*  anima  prima. 
Che  la  prima  Virtù  creasse  mai. 

Come  la  fronda,  che  flette  la  cima 
Nel  transito  del  vento,  e  poi  si  leva 


66 


70 


^6 


SO 


S6 


(Itila  ragione  e  dalla  aatorìlk,  IntU  ai 
hanno  (le  predette  cote)  dal  mar  tenp** 
stofto  del  tortoe  ingannerole  amore  b<m» 
dano,  e  portato  a/la  rito,  al  termÌM 
sicaro  e  tranquillo  ,  del  diritto  tmorty 
all'amor  di  Dio. 

64-66.  Le  fnmd$  §e.  Int.  faeri  di 
metafora  :  le  creature  che  adornano  lat- 
to il  mondo,  cbe  da  Dio  è  coucnrato  e 
proTTcduto,  io  amo  a  roiin:a  del  bene 
che  loro  è  porle ,  comunicato  da  Dio  ; 
cioè:  io  amo  in  loro  la  perfetiont  t 
r  opera  di  IKo.  Questo  è  vero  amort  di 
canti,  che  ri  diffonde  per  amor  dd 
Creatore  aopra  tutte  le  crealaro. 

.  70-72.  ti  ditonna.  (Cesta  il  tooso: 
è  an  neutro  paat.)  Vno  »i  tveglia  per  li 
TÌrtà  nmtà  che  ricorre,  cIm  ti  rÌTolft, 
allo  splendore  che  patta  da  una  bcm- 
brana  all'altra  dell' occhio;  le  qutf 
membrane  tono  come  gonne  o  reità  di 
l'Mfo,  che  i  Ètici  ebiàmeao  ttmieh0. 


73.  eia  che  vede  ahhorr§,  riiiiii 
dal  lume  e  dagli  oggetti  intomo. 

74.  Si  neteia,  ai  priva  di  ditctni- 
mento.  —  U  tua  mòlla  vigiUm,  Vìm' 
proTvito  suo  tvegliamento. 

75.  Fin  eh§  ec.  :  findiè  ben  riiTt- 
gliato  ed  avvetsato  alla  luca  non  rietf* 
•occono  dalla  faeollà  giadieatrica. 

76.  quitquilia,  qui  fai*  ingoaibray 
ìapedimeoto. 

78.  pOi  di  mille  Milia,  laataM 
pie  di  mille  miglia. 

79.  me'  che  dinmai,  BM|lia  A 
prima. 

83-84.  rmgkeggim  ee,T  FanoM  di 
Adamo,  la  prima  creata  dalla  TÌrIè  pii» 
ma,  da  Dio,  lietamenla  eontampla  isM» 
morata  il  tuo  fattore. 

85-90. Come  la (^roiid%«t.^«^^«ft- 
aioo  inotaentaia  %\  ^oT\^aft\tMi»«*>«** 
keUezza  A*  un%  ^ttcÀ%  ^\e^%  ^  ^f^ 
Coma  U  lr<md%  t^  \\«^\^  '^*** 


686 


0BL  PAEAD190 

Per  la  propria  ▼irto  che  la  sablima, 

Fec*  io  m  Unto  quanto  ella  diceva, 
Stupendo;  e  poi  mi  rifece  sìniro 
Un  disio  dì  parlare  ond*  io  ardeva; 

E  cominciai  :  O  pomo,  che  maturo 
Solo  prodotto  fosti,  o  Padre  antico, 
A  cui  ciascuna  aposa  è  filia  e  naro  ; 

Devoto,  quanto  pone,  a  te  supplico 
Perchè  nrì  parli;  tu  vedi  mia  voglia, 
E,  per  udirti  tosto,  non  la  dico. 

Tal  volta  un  animai  coverto  broglia 
Sì,  che  r  affetto  convien  che  si  paia 
Per  lo  seguir  che  foce  a  lui  i*  invoglia; 

E  similmente  l'anima  prìmaia 

Mi  facea  trasparer  per  la  coverta 
Quant*6lla  a  compÀcermi  venia  gaia. 

Indi  9pirò:'Seiii'eHermi  profferta 
Da  te  la  voglia  tua  discerno  meglio 
Che  tu  qualunque  cosa  t'è  più  certa; 

Perch'  io  la  veggio  nel  verace  speglio 
Che  fa  di  sé  pareglie  l' altre  cose, 
E  nulla  face  lui  di  sé  pareglio. 


IO 


» 


•» 


!ld 


!•  pature  del  Tento  e  poi  si  rialza  per 
la  propria  TÌrtù  o  naturai  forza  rhe  la 
riporta  in  alto  ;  tal  rrci  io  ,  i^<ìipendo , 
rMtaodo  con  istupore  e  lonza  parola, 
t»  tallio  qtutnto  eila  diceva,  cioè,  per 
tanto  tempo,  i|aanto  ella  parlava,  oasia 
«•flirt  Beatrice  parlava:  poi  mi  tolse 
spello  stupore,  mi  rifare  fiewro,  fraii- 
cOj  un  desio  di  parlare  er. 

91 .  O  ponto,  che  mmturo  te.  Ada- 
s*  fu  crealo  in  virile  uiainritk,  a  diffe- 
renia  di  tutti  gli  «Itrì  che  maturano  a 
gradi. 

93-  À  cui  ciaintna  tpota  ce.  :  ogni 
àanme  maritata  è  fifjlia  d'Adamo,  •  mo- 

{;li«  d'un  iiglio  d'Adamo;  dunque  è  ■ 
ui  •  figlia  e  nuora. 

94.  tupplieo  è  fatto  lungo  sulla  a»- 
coada  sillaba ,  sebbene  Beli'  u!io  ai  pro- 
ouusii  brera:  ma  molti  altrì  termiai 
aggi  brevi  a'iorouirauo  lunghi  negli  an- 
ticfai  poeti  ;  COSI  troveremo  eùUàem  al 
Caato  XXVIII,  ver«o2(. 

•e.  £.  par  wlirli  ce.:  «  \)n\«MÀ« 
et  Barrarti  ciò  c^  conaaci .  ^r  wMi\t«Bi- 
mallere  tempo ,  a  |>«t  i&OìiK\  «ìV\1o. 


07-102   Tal  Tolta  un  aaiaicicr 
Talvidla  un  animale  rlt«*  mia  n<perlocM 
on  panno,  broglia,  sì  agita  in  si  faiti 

Siiisa.  rhc  convi<-ne  the  Vaffcllo,  ■!••» 
e»idcrio  o  la  voglia  clic  ha  d'asdrr 
fuori  ai  niaiiìfritti,  aitrao  il  BiTiafato 
rhe  dietro  a  anello  f<  Vinroglia,  ita 
il  panno  che  lo  in%olgr,  qaaai 
diijii:  in  siniil  e**'**  '  anìaM 


(AdHmi'j  fHOfva  II  apparire  J9€r 
fa.  cioè,  pt*r  il  lume  «-ntio  iJ  ^aalteri 
nasruhiM.  quanto  pel  dekiilcrio  et  tfOt- 
piaci'imi  rrnia  gain,  «li%eoiva  allegra, 
f  (i3  «pird.maiiilò  fot^r-  Uvere,f•^ 
lo  —  pro/frr/a.mnnifi-xlata  AlraoiO^ 
Lanifnr  intric  di  Da  Ì9  bann*  Haalt 
I  Oli.  108  ail  verace  epeglie  Ckt 
fa  <ii  tè  pareglie  ce.  Svi  «era  sfcr 
chio  |<h«f  è  I)m>,  in  cui  i  beali  «eg^> 
ra|i|Me»rnfate  tullff  le  rose)  duT^l' 
efit  e  cose  pareglie  di  «é,  pari,  agaa&  s 
seste^fte.i-ioejerendtf  «ernaBeatr  faab 
aoiio.  e  ntuna,  cii»^,  mentre  aiaBaeMi 
Y^k^  ^*^«  Viw  ^«.tv^Vn^  4f^  «a«  aaaab  i 


CANTO  TarTESlMOSESTO. 

Tu  vuoi  udir  quant*  è  die  Dio  mi  pose 
Neil*  ecrelsò  giardino,  ove  costei 
A  cosi  lunga  scala  ti  dispose; 

E  quanto  fu  diletto  agli  occhi  miei, 

E  la  propria  ragion  del  gran  disdegno» 
E  r  idioma  eh*  usai  e  eh'  io  fei. 

Or,  figlinol  mio,  non  il  gustar  del  legno 
Fu  per  sé  la  cagion  di  tanto  esilio, 
Ma  solamente  il  trapassar  del  segno. 

Quindi,  onde  mosse  toa  Donna  Virgilio, 
Quattromila  trecento  e  duo  volumi 
Di  Sol  desiderai  questo  concilio  ; 

E  vidi  lui  tornare  a  tutti  i  lumi 
Della  sua  strada  novecento  trenta 
Fiate,  mentre  eh'  io  in  terra  fu*mi. 

La  lingua  eh'  io  parlai  fa  tutta  spenta 
Innanzi  che  all'ovra  inconsumabile 
Pone  la  gente  di.Nembrotte  attenta; 

Che  nullo  effetto  mai  razionabile. 


6S7 


ito 


ii» 


120 


itt 


roDo  il  Galrani  e  il  Ntnnucrì,  la  TbM 
propelli,  pareth,  pari,  limile,  «il  è  ^uì 
omU  coi  gt'Q,  corae  il  iimilit  dii  La- 
lini,  che  onivisi  col  geoit.  egaalmeote 
che  col  dativo  Qursla  lei.  è  del  Cod. 
Vaticano  e  di  molli  altri.  Anche  io  |*aD- 
oacciodal  Bagno  si  legge  uomini  pmr9- 
gli,  cioè,  uomini  pan  .  agiiili  i;cani 
però  hanno  ehe  fa  di  tè  pareglio  mtl§ 
altre  cote,  e  nulla  face  lui  (a  W\\di  ta 
partgiio:  dove  pareylio  Hai  ebbe  nel 
tenao  di  rappresentamento  :  Iciioaa 
e  aento  che  torna  benÌHsiroo. 

1 4  et  1 1  Nell'ercelto  giardino  nj 
Nel  terrestre  ParaiiiKo,  ove  Bi'8(ric»  ti 
feca  abile  a  aaliie  qnauù  per  la  langa 
scala  de' cieli. 

I  f  2-  f  14  f  quanto  fu  dilHie  te. 
E  YDoì  sapere  quanto  tempo  si  dileUa- 
rono  gli  occhi  miei  della  TÌsta  di  eiao 
Paradiso  teriestre,  e  la  vera  casiuna 
deirira  divina  contro,  di  me,  e  il  lin- 
guaggio che  usai  e  del  ana!e  io  fui  aa* 
torà  La  Sci  itiura  dice  che  Adamo  diedi 
il  vero  nome  alle  cose. 

tt!>-tl6    Ort  qui  or  è  particella 

che  serve  alla    trausixione  del    ragie- 

namenlo,  e  bU  per  adunque.  —  del  la^ 

gno,  cioè  del  lutto  del  hgoo.  È  frati 

wntlorafe. 


•417.  ti  intpttmf  del  §efm,  D 
tnpaasara  oltre  i  <linnÌDÌ  BrwerìUi  dal 
folere  di  Hiit,  cioè  la  dMVDbidienia. 

118-120.  Quindi,  da  «pel  («ago, 
cioè  dal  limbo,  onde  ,  dal  quale,  Bm» 
triee  mnase  Virgilio  in  tao  soeeorao,  di> 
fiderai  questo  toneilio  ,  qoaata  ida» 
aann  di  Beati  concordi  in  nn  aiedi- 
simo  volere,  quattromila  treaento  eoo 
9olumi^  rìvolurionif  di  sole,oaaia  aom. 
Ha  aegutio  Dante  il  calcolo  d*  Eaaa 
bio,  rbe  dalla  creatione  del  mondo  alli 
morte  di  Gesù  Gitto  pone  5252  «loi , 
da'  quali  sottraendo  i  930  ehi  Adani 
visse,  hmangnno  appunto  4303.  Nai 
Codd.  Antald.  e  Ang.  Icggm  qnÌ9Ì  ìm^ 
vece  di  quindi. 

421-123  ff  v(rf<  lii{  «e.  E  f idi  il 
iole  tomnrr  a  tutti  i  htmi,  cioè,  a  tatti 
i  aefni  Della  tua  ttrmda,  dello  lodia- 
co,  noveceuto  trenta  volta,  cioè  fini 
990  anni. 

123.  a/r iVftì  jiuwimiimMIì.*  ti- 
l' epera  che  non  potava  oanaro  t»mi0 
mala ,  eoodi^la  ■  tarmiM ,  «iè  alte 
torre  di  Babei. 

t7I-\»  .CH^imUo  f^UA<«uA,w>''> 
piinocr\\«  m«\  nvan%  «^«v%  'VT^**^'^*w 
diW  arVAT\o  ÀAV  %»m%  ^^^'''•^j^^ 
dwrabUe  tempra  ,  «w^  ^  ^M«««^ 


089  DEL  PARADISO 

Per  lo  piacere  nman,  che  rionovella 
SegucDdo  il  cielo,  sempre  fu  darabile. 

Opera  naturale  ò  eh*  uom  fovella; 
Ma,  cosi  0  cosi,  natura  lascia 
Poi  fare  a  voi  secondo  che  v'  abbella. 

Pria  eh*  io  scendessi  all'  infernale  ambascia, 
/  s*  appellava  in  terra  il  sommo  Bene, 
Onde  vien  la  letizia  che  mi  fascia , 

EH  si  chiamò  poi:  e  ciò  conviene, 
Che  1*  uso  de*  mortali  è  come  fronda 
In  ramo,  che  sen  va,  ed  altra  viene. 

Nel  monte,  che  si  leva  più  dall'onda, 
Fu*  io,  con  vita  para  e  disonesta. 
Dalla  prim*  ora  a  quella  eh*  è  seconda, 


130 


IS 


140 


(Inrcvole  :  Per  lo  piacere  mnan,  a  ea- 
U'ione  della  volontà  o  appetito  dagli 
nomini,  die  rinnovtlla,  che  ti  rionoTa, 
cbo  soggiace  a  canibismento,  Segittndo 
il  cielo,  secondo  il  vol(;er  del  ciclo,  oa- 
sia  la  posicìonc  e  l' influsso  d^li  aatrì. 
—  Vane  edizioni  portano  millo  affèUf, 

430-132.  Operm  naturale  è  A' 
uom  ec.  Iiitondì:  T  espi  intere  e  il  ma- 
oifettare  altrui  i  proprj  concetti  par- 
lando, è  coaa  che  proviene  da  natarale 
disposizione  ;  ma  poi  di  parlare  in  qae* 
t>to  o  in  quell'  altro  modo,  la  natura  la- 
scia  fare  a  voi  altri  nomini  tecondo  che 
9' abbella ,  cioè,  secondo  che  vi  piaea. 
£  gravissima  questione  se  V  uomo  abbia 
potato  inventare  il  linguaggio  con  la 
forzo  naturali,  o  se  l'abbia  appreso  par 
divina  rivelazione.  Ne  lascio  V  indagina 
ai  Fil(«ofi. 

133.  all'infernale  ambascia,  al 
limbo,  che  è  la  parte  supcriore  del- 
l' Inferno. 

434.  1  t^  appellava  ec.  Il  Lain* 
predi  sostiene  la  presente  lezione  eoa 
un  Codice  da  lui  veduto  in  Napoli ,  e 

ricusa  che  Dante  con  tal  segno  abbia  vo- 
.utu  signiGcare  il  nome  ebraico  hkovah, 
con  cai  era  invocato  il  nome  di  Dio ,  a 
^e  abbia  fatto  uso  della  sola  iniziale  I 
per  denotare  che  la  predetta  sacro- 
santa parola  non  si  poteva  scriTera  io- 
(eranieata ,  doo  cbe  prutenrt  dai  tro- 
iani. Lo  ateito  LampreAV  aX  ^«no  VSft 
legge  SI,  in  Uoqo  dì  EU,  «tcon^oA 
detto  CoJ.  — S.  Isidoro,  d'iclro\%iMiU 


di  S.  Girolamo ,  mnw  odia  ava  £!(• 
Mologff,  che  da  principio  gli  Ekni 
chiamarono  Iddio  col  nome  di  f  f  af^ 
scia  di  Eloi.  —  Altri  leggono  Um;  é- 
tri  El.  Ma  dovendoai  cercare  a  Die  aa 
nome  die  appartenesse  ad  aoa  liaga 
di  cui  non  nmanga  più  traccia  (vei 
sopra  T.  12-1),  coDverr«rbbe  piò  I  ck 
Et ,  voce  che  si  ha  ncir  ebraico  eant* 
iciuto  :  del  resto  an  misterioso  I  1^ 
nevasi  pure  sulla  porte  del  tampe 
d'Apollo  in  Delfo,  e  intorno  a  \mà » 
goo  scrisse  un  opoAculo  Platarea.  Gè 
osaerrava  molto  acutamente  lo  Zanetti. 

435.  fa  fea'xsa  ehm  mi  feucia:  i 
lieto  spleutloro  che  mi  circonda. 

436.  e  ciò  coiwitnm:  e  tal  aiM 
mento  bìsojTna  che  Na  ;  o^  è  aaeaala 
V  aroana  natura. 

437.  è  come  fronda  ee,  G  rìeavda 
il  celebre  paragone  oraziano:  Ot  ailw 
foliis  pronot  mutantur  in  mmmma  ee. 

431).  A>f  monU,ch€  H  Uvm  et^ 
cioè,  nel  monte  del  Purgatorio,  cha  pii 
d'ogni  altro  s'innalza  sopra  la  eciaa 
del  mare  che  circondano  la  terra,  e  ìa 
cima  al  quale  è  il  Paradiso  Iti  mafia 

440    con  vita  purm,  con  vita  i»* 
nocente,  prima  del  mio 
turbata  dalla  concupiacenià .  • 
afa ,  e  con  vita  soggetta  alla 
sceoza  dopo  il  mio  peccate. 

44l.l42.D(iffaprfna*of«4 

«\«\. .  B^vw  ^ii:  uv  %  M  < 

\u\  otMVo  ^  VQA  %  ^^\\n^  «ili  \ 
t\\*  tft^vì\V^^  aWa  ua.\A 


CANTO  TEffTESIMOSESTO. 

Come  il  SnI  TiiTita  quadre,  air  ora  f«sla. 


«pMdranl*,  onn  la  qsirt*  pula  lUI      PaniliH 

CAUTO    VENTESmOSETIUflO. 


Al  Padre,  al  Figtio,  allo  Spirito  Santo 
Comiociò  gloria  lutto  Ì1  Paradiso, 
Si  che  m' inebriava  il  dolce  canto. 

Cìli  eh'  io  vedeva,  mi  sembrava  un  rbo 
Dell'universo,  perchè  mia  ebbrezza 
Entrava  per  1'  udire  e  per  lo  viso. 

O  gioia  I  0  ineffabile  allegrezza  1 
0  vita  intera  d'amore  e  di  pace  I 
O  senza  brama  sicura  ricchezza  ! 

Dinanzi  agli  occhi  miei  le  quattro  làce 
Slavano  accese,  e  quella  che  [irla  venne 
Incominciò  a  farsi  più  vivace  ; 

E  tal  nella  sembianza  sua  divenne, 

Qoal  diverrebbe  Giot  e,  g'  egli  e  Marie 
Fossero  augelli,  e  rambiassersi  penne. 
La  provedenza,  che  quivi  comperle 
Vico  ed  ulfido,  nel  bealo  coro 


Piradl»  «»<.«.»•> 
S    «l'i     ■ 


<À*lr.:  Tali 


S.  d'» 


^rX^Vl  . 


.  fittila  >V  prU  vniM ,  dal*  3 

IJ-là,  »(..  - ^ 

E  tal  <ti«ii»ir  11  lamr  ii  S  rMn,  ^MC  1 
ilinrnbb*  il  piaarU  fitni*,  n  mtnlg^ 


!«-<■     I 


30 


$90  DBL.PAftAIMSO 

SìIeDzio  posto  avoB'da  ogni  parto, 
Qaand'  io  adi*  :  Se  io  mi  trascoloro» 

Non  ti  maravigliar;  che,  dicend'  io, 

Vedrai  trasiooiorar  tolti  costoro. 
Quegli  eh*  usurpa  in  terra  il  luogo  mio, 

Il  luogo  mio,  il  luogo  jnio,  che  vaca 

Nella  presenza  del  Figlinol  di  Dio, 
Fatto  ha  del  ciroìtmo  mio  cloaca 

Del  sangue  e  della  pozza,  onde  il  perverso, 

Che  cadde  di  quassù ,  laggiù  si  placa. 
Di  quel  color,  che,  par  lo  sole  avverso, 

Nube  dipinge  da  sera  e  da  mane, 

Vid'  io  allora  tutto  il  ciel  cosperso  : 
E  come  donna  onesta  che  permane 

Di  sé  sicura,  e,  per  l' altrui  fallanza. 

Pure  ascoltando,  timida  sì  fané. 
Cosi  Beatrice  trasmotò  sembianza  ; 

E  tal  eclissi  credo  che  in  ciel  Tue, 

Quando  pati  la  suprema  Possanza. 
Poi  procedeller  le  parole  sue 

Con  voce  tanto  da  sé  trasmutata, 

-49.  St  tomi  tratcoloro.Se  io  pai-      vidi  tUiora  tulio  H  citto  eotptrm  tfi 

quei  colore  che  dipinge  nube  dm  «rrf 
g  da  mane  per  il  tale  avverto.  Qm^ 
•lo  coloro  che  tla  nulli ■«  e  da  tera  S- 
piag#  una  ouvoU  ,cli«  ai  tr«ri  di  cooln 
al  *4tle  f  è  uu  ro««o  iafocato.  —  Itili*  6 
del ,  tulli  i  c«le»li . 

31-53.  che  permane,  cbe  ai  atofCW 
ai  rìnuoe,  di  m  tieura  prr  la  coocvm 
di  tua  inUfgriU  ;  e  per  V  altrui  fallmt' 


IS 


••  dal  mio  colore  ad  un  piò  acceso ,  sa 
io  mi  tingo  io  rosso. 

20.  dicend'  io  y  mentre  che  io  dico. 

22.  Quegli  eh'  usurpa  ee.  lolco- 
di;  quel  UonifaxiuVIII  die  t*iu  in  terra, 
mal  tiene  ,  perchè  da  Ini  usurpatii  e  per 
catliTC  arti  conseguito,  il  mio  la«igo  nel 
sommo  pontificato.  Si  miti  la  triplica  ri- 
potinone  del  luogo  mio,  a  dimoktra- 
lione  di  forte  sdffjno. 

23-24.  che  vaca  N§lla  pretewia 
del  Figliuol  di  Dio:  cioè,  che  agli 
occhi  di  Gesù  CHhIo  è  come  te  T^ssa  va- 
caola  ,  perchè  uccapatu  da  un  indi*gao , 
0  bmtlamenie  abuMto.  Si  nuli  che  ao 
Booifaiio  non  è  papa  davanti  a  Dio,  lo 
è  però  davanti  agli  uomini,  che  debbono 
lanpro  f  cnorarlu  coma  vero  ? ieano  di 
Griato. 

2S-27.  del  eimiterio  «io,  cioè, 
della  mio  Roma,  nella  «|iial«*  è  aepcdlo  u 
corpo  mio.  —  cloaca  D*l  »angme  oe., 
YQol  dira  ano  aantmo  di  crudeltà  •  di  li- 
bidioà,  par  coi  il  perverso  cb«  eoddo  di 

:l*Maè ,  Locifero ,  «i  placa ,  ai  oooaoU 
■ggiA  noi  suo  rabbiooo  doloro. 

28-50.  Di  quel  color  M.CoaCr.:  lo 


IO ,  e  per  il  (alio  altrui  ,  Pure  aual- 


tonilo^  solamente  prr  udirlo 
ti  fané ,  si  f.i  ,  diviene  (imida. 

34.  Cofi  firalrtce  li 
hiama:  dei   «iiuperj  de' aaoi 
non  ba  colpa  la  Kfliijtoiii 
dolente ,  e  n'arroosa. 

55-56  lai  relieti  «e.  Tito 
mento  di  srmbiaaio  credo  rko  fu 
cielo,  Cloe  negli  Angeli,  ^memia 
Crtsln  putì  in  rruro. 

58-3tl  Con  voce  tesate  ém  ék  m. 
Con  voce  lauto  cambiata  dniin  ptimMn, 
par  la  veeuietira  del  looo  ,  tjka  wmm  fi 
maggiore  il  nolainento  del  coluaa  ,  w^ 
tato  Miiira  al  v.  13  o  a«f .  !■  Weoo,  Il 
Toeo  di  S.  Pietro  camb:ò  n«lla  rogiaM 
•lasaa  die  molalo  •'  ora  il  naa  chiaro. 


cimo 


40 


M 


M 


Non  fb  la  Spwft  di  GriMKi«llef»tt 

Del  nngqe  ano,  diiLìB,  di  qmà  di  CIMd, 
Per  ewere  ai  Mi|iiiila  d' oro  onta; 

Ma  per  aoqoislo  &.  otia- vber  lieto 
E  Sìtto  e  PJOi#<Caiffllae  Drbaa» 
Sparaer  lo  aongpatddfa  OMlto  fleta. 

NoB  fo  nostra  ioleiKMMitoh'  a  dastra  mano 
De' nostri  soooaaer  parte  aedoBM, 
Pirla  dair  atoa,  del:  pafoi  crìiiiliaBa; 

Né  chela  dilavi^  chani'far  coocewey 
Diveoisfler  eegaacaiaJa  veaeilla, 
Che  oontra  i:battBMtf  oombiittaaa»; 

Né  ok^io  fossi  i^midiidgiUo 
A  priTìlegf  maduli^a  mendaci, 
Ond*  io.8avanlatamiiio^«dìifevili0b 

In  vesta  di  paelar  lapiiiapaci 

Si  veggiaa.di  ^pHMbtpar  Intli  i  pncU: 
Odiiosa  di  Dio^.peaehè por- giaci  1 

Dersangoe  noetro-ÙMmioi  a  Guaschi 

41.  4{Ite«f.  LiM,Ctit*«aiite  ìSI%JU:jaÉk'Ufiinif9mrmmit9è 

faroao  wectori  di  8.  Fin»,  nuli,    cht  fa  flw  iaiafuifdi 
«■rtiri.  prifUrii  •  • 

riOei,  lodoM  w  ^«U  fonUyiA  ffl.  51.   Qméff 

traffic»  1 4i  pnitUiniMM.  iiw  -  mi'  — tj *'  *     "'  ^'***^ 

4S. /feto.  piMto,  dal  ht. /Mw,  ^^sa  pfrimUiipndà,  fm^tiimU 
da  mi  deriTi  la  parafa  fMU$  laM^M  «gltodrt  afiaaipaii,  o  pa  Iwm»  fa  ^fo> 
manie  uiala. 

46-48.  Jfo»  /fa  Mflm  fa f— file, 
«e.  Caatr.  a  fai.:  mum  fu  TaloalàaaaliA' 
rh«  parla  dal  popolo  arialianii  aadaHfta 
deaira  OMoo  dr  oaatri  MMaoMurL  do^pan  • 
pi ,  a  parto  alfa  araiaira  :  doè,  am  aaa 
parta  ìum»  ri|oardata  da  faro  ano  oaifcfa  ■ 
di  orodifatiooo,,  OMllala ,  ornar fal« , .« 
V  altra  awililo ,  abkaUuIo  a  jlgwagaito 
(a  par  odfa  di  parta  Siadono  al*  diaiÉf 
dal  papa  i  GoaM,  parakè  pradilaaisalfa. 
MOMrtro  I  Goiballini ,  ^oaai  aoMnoaiMlL 

50-51.  IKoaniiaar  «ff Mocolo  «i.  ; 
cbo,  dipinlonolfa  baodiora  pa|iafa,dina* 
(aiaor  OA  aafO»di  gorrraciNilroiGlHW* 
liol ,  cbo  araoo  pur  ballaiiala  a  «omM. 
di  OOM  ModaMOM  Cfacao*  fa  osofa  Boi^ 
pirtefgfa.  E  S.  Poolu  ditaachiorwMMlt 
cbo  aporoaM  Crialo  ooa  t' Im  diatioHMO 
di  Gtaulao  odi  Groeo,  iiorclio «ali  è  Si» 
0  Signora  di  ■liarricowlfa  eoo  UiUi. 


f< 


89.  O  Hftrn  éi  IKo  «i.  O^lfi^ 

doU»    afaoB ,    pafaM    fot 

if    paraM   «••   aorfbt  — JM 

iofoaodiO-tftfiM^  I>i8"a» 

•llffit  od  olIrtffMlMi.  Ha  iNyiM4Bl 

M»  ME  kaUa  liawaa,  oowhè'^aiBn 

luplo  dai  fMMfwH.  B  fw»  fa  Mmo 
éi  IWo  ooi  in? «aafa  aoolro  yii  !■(■ 
è'ilaalito  foiirob  Maaodi  Dw^UMapi- 
rtU  ilp»ral*ro. 

ia«ae  IM  mi 

priiriaooio  dMMlodai  Mali  oHa 
UdaviMooo  dal  aao|M  afaoio4oarij; 
t* apforooafaooo  od  lOifMifMfoi  IfM 
drUbora  oalfa  Gì 

OiOVOMN  I&Ii  OBliffOiOO,  O  I 

tafoa  ool  paoUira-Qi 
M.I«ODpod*Bo«diCa 
pi  «ol  Mi  diGiof«Mi  X&UaaH8l6. 


S'  appareccbian  di  bere  :  o  boon  principic 
A  che  lìl  fine  convìeu  che  la  caschi  I 

Ha  l'alta  providenza,  che  con  Scipio 
Difeiie  a  Roma  la  gloria  del  mondo, 
Sorcoirà  loslo,  si  Cora'  io  concipio. 

E  !□,  figliuoli  che  per  lo  morlal  pondo 
Ancor  giù  tornerai ,  aprì  la  liocca, 
E  non  asconder  quel  eh'  io  non  ascondo. 

Si  come  di  vapor  gelali  Bocca 

In  giuso  l' aer  nostro,  quando  il  corno 
Della  capra  del  eie!  col  Sol  si  tocca  ; 

In  gn  vìd'  io  cosi  l'etere  adorno 

Farsi,  e  fioccar  dì  vapor  Irionranli, 
Che  fallo  avean  con  noi  quivi  soggiorno. 

Lo  viso  mio  seguiva  i  suoi  gembiaoli. 

E  segai,  iln  che  il  mezzo,  per  lo  mollo, 
Gli  tolee  il  trapassar  del  più  avanti. 

Onde  la  Donna,  che  mi  vide  asciollo 


Dell'attendere  i[ 
Il  vi.so,  e  guarda  ce 

Di  eulBi  dice  il  VilUni  nd  I  b.  SI,  eh* 
■KM*  sBi  rnem  n  (ulti  i  Iwaeliij  di 


e  tu  3 


mica  Cirùgi»,  Sotcarri  lailo,  vic- 
corrvii  pretto ,  jl  cdm'  £0  etmcipio , 

dilla  Ckitm  a  <l(ll'  impera  'di  Roai  cit- 


I 


i .  par  lo  mortai  pondo  :  pel  corpo 


gne  l' aert  nailro  fiacca  in  giiuo  di 

ipoWgaliUI,  rÌDÌpiiiic,  niiiiila  già  a  eli 

oedii,  (|UBÌ  laBH,la  ona,  cha  por  è  mi 

ifora  è  lolla  dal  libro  dei  Salmi  dolo  ibbiM. 


;.  Qntnilo  il  eajttcococ 


qntdtiit  ili  ruport  Irianftntì,  m  £ 

conlraria  ÌI  àoccar  ddU  ocn  t<db  ■» 
lira  tfrra. 

TS-7S-  Lo  tiu  mie.  U  mia  ibk, 
tfguivainioi  irmbimittì,  ttfùunii 

jMi,  0  iiicEi<il«,j|nrhcflawi».  F^ 
lo  moUo.  Gnehl  lo  ipuia  D«di>  ni 
mi  e  ma.  prr  hmt  molto,  jJI  Mk, 
tnlia  ed  eiio  ei'io,  imprdt .  il  Info- 
iar (olilo  per  pomr)  dtl  piiauMi: 

IratcorrfT  pH  tunaf.  Vtdi  di  qsMi 
diilinfl  toccala  ancha  al  Cinta  UlU, 
t.  115. 

76-77.  Ond,  la  Don^m.  tk,  al 
t  aiciolto  te.!  onda  Bailrka,  Al 
virfa  Hiollo  dal  ifiirara  ■ll'iuta- 


CAKTO  YEMTESiafOSETTIMO. 

Dall'  ora  eh'  io  avea  guardato  prima, 
r  vidi  mosso  me  per  tutto  1'  arco 
Che  h  dal  mezzo  al  fine  il  primo  clima  ; 

Si  eh'  io  vedea  di  là  da  Gade  il  varco 
Folle  d'  Ulisse,  e  di  qua  presso  il  lito 
Nel  qv^l  si  fece  Europa  dolce  carco. 

E  più  mi  fbra  discoverto  il  sito 

Di  questa  aiuola  ;  ma  il  Sol  procedea, 
Sotto  i  miei  piedi ,  un  segno  e  più  partito. 

La  mente  innamorata,  che  donnea 
Con  la  mia  Donna  sempre,  di  ridure 
Ad  essa  gli  occhi  più  che  mai  ardea. 

£  se  natura  o  arte  fe  pasture 

Da  pigliar  occhi  per  aver  la  mente, 
In  carne  umana,  o  nelle  sue  pinture. 

Tutte  adunate  parrebber  niente 

Ver  lo  piacer  divin  che  mi  rifulse. 
Quando  mi  volsi  al  suo  viso  ridente. 


693 


90 


U 


90 


95 


79-81.  Dall' ora  ec.  Dal  Umpo 
ìq  cai  io  areva  altra  rotta  guardato  di 
laaaà  la  terra  (Vedi  Caoto  XXII,  far- 
*o  451),  a  quello  in  cai  poscia  la  riga«r> 
dai,  vidi  che  io  aveva  percorso  iotieoM 
coi  Gemelli  V  arco  che  dal  meridiano 
all'  orizionta  ocddeotale  forma  il  pri- 
mo clima.  Avea  dnoque  girato  un  qua* 
drante ,  o  od  quarto  della  afera  ;  che 
vuol  dira ,  che  erao  eorse  sei  ora  da 
quando  guardò  la  terra  la  prima  volta. 
—  Dante ,  secondo  la  geografia  da'  aaoi 
tempi ,  pone  i  termini  dei  climi  ai  ter- 
mini del  nofttro  emisfero.  Queati  clioai, 
dice  Piero  di  Danto,  son  linea  stasa 
d'  oriente  in  occidente ,  che  fanno  va- 
riaro  il  temperamento  degli  animali ,  a 
gli  nmani  costumi. 

S2-%h.Sieh'io9edta$e,  Si  ch'io, 
trasportato  alP  oriuonte  occidentala,  a 
troxiixlomi  perpcodicoiarmeota  aopra 
di  quello  insieme  col  scgnu  dei  Gemal* 
li,  vedeva  di  U  da  Gade  (Cadice)  il 
lungo  ove  follemente  Lliksc  tentò  di  na- 
vigare a  fece  naufragio,  cioè  l'oceano 
atluotico. — e  di  qua  presso  te.:  e  dalla 
parte  orientale  del  nostro  emisfero  io 
vedeva  fio  presso  il  lido  fenicio,  dove 
Oìuve  trasformato  in  toro  rapi  Euro- 
pa.  —  ti  fece  Europa  dolce  earco* 
E\irop9  àireaae  dolce  po>o  a  Giove,  che 


in  forma  di  toro  se  la  portò  ani  deno. 
85-87.  Bpiikmifora  ee.EUaito  di 

Sneste  aiuola  (iot.  la  parte^  terreaire 
al  globo)  mi  aarebbe  stato  piò  aeoper^ 
to;  cioè,  ne  avrei  vedale  nna  manior 
diatesa  oal  lato  orientale:  ma  U  SoU 
aotlo  i  miai  piedi  (poiché  i'otUfa  sfera 
in  cui  io  era,  è  al  di  aopra  del  aele) 
procedeOt  endava  innaosi  a  me,  par- 
lilo un  segno  e  piu^  distante  nn  aegno 
lodiacale  e  più.  Dante  ara  n^  aegno 
dei  Gemini,  e  il  sole  era  nei  prìnù  gradi 
d'Ariete:  dunque  tra  lui  e  il  aole  eri  di 
mexzo  il  Toro  e  parecchi  gradi  dell'i 


te ,  onJe  al  di  là  del  lido  fenieio  «re 
ombra.  Vedi  per  maggiore  scbiarimeBlo 
di  questo  luogo,  le  due  Appendici  alla 
fine  del  Canto. 

88.  donnea,  amoreggia. 

8'J.  dì  ridare,  di  ricondurre,  di 
fiaaare  novamcnte.  Da  riduire,  ad' 
disire  ee.,  levato  IW,  ai  fece  ridiirt, 
oddure  ee. 

91-93.  E  se  natura  ee.:  e  ae  la  na- 
tura o  l' arte  produssero  pasture,  cioè 
belli'ixe  onde  pascere  gli  occhi  per  aver, 
per  attrarre  e  occupare  le  menti,  Vasta 
(la  natura)  ne'corpi  umani,  l'altra  (l'arle\ 
nelle  sue  dipintura^  \n\\a ^^oa^*  ^^« 

tì:S.  cKa  mi  tx\u\w^  ^«*  >^«>fc^ 
\ettti«  ai  sv^tu^^v^t  ìN^*^  ^^•^  ^vo^* 


CANTO  VENTESIMOSETTIMO. 


«95 


Colui  cbo  il  cinge  flolameote  ìoleiide. 

Non  è  suo  moto  per  altro  di-tinto  ; 
Ma  gli  aUri  soo  mifuratì  da  qqesto, 
Si  come  diece  da  mezzo  e  da  qainto. 

E  come  il  tempo  tenga  io  rotai  ta4o 
Le  sue  radici,  e  negli  aitn  le  fronde, 
Ornai  a  te  puot*  esser  manifesto. 

0  cupidigia,  che  i  mortaii  affondo 
Si  sotto  te,  che  nessuno  ha  podere 
Di  trarre  gli  occhi  Aior  delle  tne  onde  ! 

Ben  Gerisce  negli  nomi  ni -il  volere  ; 
Bla  la  pioggia  continua  converte 
In  bozzacchioni  le  susine  vere. 

Fede  e  innocenzia  son  reperto 
Solo  ne*  parvoietti  ;  poi  ciascuna 
Pria  fug}:e,  che  le  guance  sien  coperte. 

Tale,  baibuziendo  ancor,  digiuna. 

Che  poi  divora,  con  la  lingoa  sciolta, 
Qualunque  cibo  per  qualunque  lana  ; 

E  tal  baibuziendo,  ama  ed  ascolta 

cidi  SODO  goTcrnati,  intesi,  da  mn  A^ 
feto. 

il  inoto  ciii|uet(o  cielo  dultiilo.ipiMrat* 
da  altro  mulo,  ma  egli  misura  lotti  gli 
altri,  pcrckè  éa  lui  «oiiu  im|imai. 

417.  Si  come  diece  ee.  :  ti  ra«a  h 
misurato  il  «licri  dalla  «ut  mele,  e'xok 
dal  cinque,  e  dal  mio  quinto,  die  è  il 
due.  Non  «odo  i  niiasfrì  maf;{*iorì  cha 
prodaci>ao  e  miaurtno  i  minori,  ma  i 
minori  tono  effrlturì  dei  iiiaf{|«iori .  CvA 
misura  del  dieci  M>no  il  due  a  il  da- 
qae,  perchè  è  prodotto  dal  primo  np4^ 
luto  rinqoa  Tolle,  a  dal  seconda  ràd- 
doppisto. 

H8-I20.   S  cime  il  tempo  m. 
E  come  il  tempo,  in  colai  tegto  (va* 


i\è 


120 


125 


130 


so) ,  cioè ,  nel  Primo  Mobile ,  abbia 
Le  sue  radici^  cioè  roriijine  tua  oa- 
culta,  e  negli  sltrt  cieli  te  fronde,  noè 
i  moti  a  noi  \isibli,  onisi  ti  può  aa- 
aere  msoife>>to.  Gli  scolaf^tici  «tlrilMirQ- 
do  al  Primo  Mobile  l'orìgine  del  »>•• 
to,  a  lui  attribuivano  psriinente  'a  pri- 
ma misura  del  tempo,  e  non  al  Soia. 
I2U422.  O  cujndigia  Èqui  «Q* 
eaclamaiione  contro  gii  uomini  mal  ciNi- 
sigliuti  y  cbe  per  la  cupidig  a  delle  nli 


tempnnilì  perdono  V  eterna. — «f* 
fènde,  aiTifiidi.  sommergi.  —  folto  fi, 
■d  toni  gorghi. 

424.  Bm  fiorisco  ee,  Bon  worf 
alrooa  Tolta  odi' umana  rofonth  niu- 
ebe  virtuoso  prmoatto  ;  aia  è  VD  «art 
eha  Dt*n  «iene  a  irutto. 

425-426.  JTa  la  pioggia  $e,:m% 
come  la  pi«iggi>  continua  e«*nvette  le  sa* 
ttflc  vere  in  bonaechiani  (ftosiae  gaaate 
a  vone),  evmi  i  frequenti  sttmdi  a  OMla 
operare  trasmutano  il  baon  velerà. 

427.  Son  reperle,  si  ritrovano. 

428.  eiaseuno:  doè,  •  la  feda  a 
Pinn<«enia. 

4  29 .  Hen  coperto.  SoUiotondl  étllo 
primo  lanugino. 

430.  Tale,  balbuxiendo.  lUnno 
odia  prima  eti,  quando  dod  fiwflM  an- 
cora kpi'dite  le  parole. 

431 .  con  la  lingua  sciolta'  addta 
cIm  ha  la  lingua,  giunto  dPelh  in  ani 
paria  spedilo. 

432.  Qoofunqno  cibo:  ^aMto- 
dia  cibo  vietato  dalla  Cbìesa  od  domi 
di  digiuno.  —  per  qnalìinqno  Iimm. 
in  qualsivoglia  stagione,  nella  quela  dal- 
la Cliirsa  è  onlinato  il  digiuno,  o  fotl- 
tìasi  astinenza. 


La  madre  sua,  che  eoo  loquela  intera. 
Disia  poi  di  vederla  sepolta. 

Cosi  si  Ta  la  pelle  bianca  ocra 

Nel  primo  aspetto  della  bella  Gglia 

Di  quel  che  apporta  mane  e  lascia  sera. 

Tu,  perchè  non  li  tacci  maraviglia. 
Pensa  che  in  terra  non  è  chi  go 
Onde  si  svia  1'  umana  famiglia. 

Ma  prima  che  gennaio  lutlo  si  sverni. 
Per  la  cenlesma  eli" è  laggiù  negletta, 
Buggeran  si  questi  cerchi  superni. 


t  fuori  Mìt 

AZiUs»  Coli  li  fa  te. CMU.eint: 
Ctai  la  pitU  bianca  Htl  primo  atptl' 
la,  della  brlla  figlia  (U  f  ufi  che  ap- 

forla  mane  t  loMia  f  -  -  -     " 


Giulia  Catrtj  di*  ■Urinai  ilFi^ 
563  ^  umi  •  6  en,  BKBtn  ^Mt*  ■» 
tono  iotcTC  I  «trirltH  Àefa  m*ÌA  itf^ 


nt  oiuira  la  itila  figlia  di  colti)  tk» 

leailo  iaàeia  teraj  àoi  dui  ai-it,  prr- 
dhii  aniii'uLro  ti  ■(Lribuiti  dugli  «n- 
lldiì  GIhoG  II  g'ocruiiMU  di  tuli  «li 

ÌB  altra  lunu  (CuId  1X11  ,  i.  I  (C)  è  dil- 
:  Q^gli  tlt't  padre  d'ogni  morlat 


na-m.  u.pcrMet.ui. 

d«GoliA  111  11*0  «bbì  tii|(iiiDff  ili  min*!' 
pliferti  É  Unti  diturdiui,  tappi,  p*i>u> 

unJo  i'iaiiwnlaHi   IiuBdn   ruuiint 
luni^lil  ti  nia,  !■  CUI,  pu  Ul  moda, 

142-143.  ila  prima  'et.  Uà  prim> 
tb*  il  niu*  di  loniiai»,  liKiando  di  ip. 


ta  palle      dal  papa  Crr(arÌD  Siti  sd  ISO.  Qv 


anta  p<r  ainuta 

1  leoiporCic    .      

alo  anua  di*M  il  PMnna:  CM 
1  plana  «ui  mUTtamttwàmh 


«.lilabafirn^M*!! 

liuiJiDafa.iB  •*«),■« 
lUDiia  ai  Mlcolm  mI  •■ 


CIATO   TeKTEìmtXieTrtMU. 

Che  la  forlnoa,  che  taulo  s'  aipelta. 
Le  poppe  volgerà  u'  sod  le  prore. 
Si  che  la  classe  correrà  direiU  i 

E  vero  frutlo  verrà  do)io  il  Qore. 

Meme,  mi  pnvU  ood  li  ■niloraii  cui  tUu*  H  po(rctb«  pnuda' aii  «ti 

DHlr»  nodo  di  »d<n.  —  Ckelafnr-  dì  HMf,  «im*  %iUi  Ulid»  pr< 

tuna  u..*  eh*  li  prMtlli  s  il  ixuna'  Ltiini  li  (kii 

ni*  (la  riTsIuiiia*  pulitici  pu  il  (alilo  ■  poppi  p»  Idi 

Vtttrv)  d»  «n  luw  dgiidirie  •'«ptl-  iti  poMI.  Ad  > 

la,  (oliirì  in  tona  naltarìu  l(  otti,  ■  tgurala,  •  tu"I  air*,  cut  id 

•llora  la  claiH.  la  Oolta,  tonni  pel  do  ('id.linautk  e  dal  lata 

atto  vvno,  Va|lìo  astafa  dia  la  parula  lal«  rilipata^ 


ltapr<M 

laralipn 
Illa  uaì. 


AwBKmtB  Al.  cAi«r«t  KlLVll. 


Dall'ara  eh'i'o  atea  guardafo  jinnu  (e. 

Dionitino».  CIiBU  *  Dna  «ma  aa^  nri  direms  akaiia  «M  dalla  I 

di   Una  a  di  oiais  mapni*  tra  iau  yiliidi'iu  il»  la  da  IsiaDlo  a  pananM. 
sarchi  paralMi  all'equalar*.  Al  lampo  Talomao  ara  di  opiaioBa  oha  li  la» 

di  Dani*  ì  clini  limilri  (ranu  ««la  nbna  dai  aliai  abitabili  aaa  al  <a(a«> 

ra<l*>ii»taai«t«UaiMng  a'iuaa  ccku-  un,   gatia   la  dwala   di   rfarfM   art 

pi**e  afila  parla  abiiabila  dui  glul».  agutli,  chaparforr*  il  aala  da  lanata 

La  laafbeua  dal  fii>nio  auMilain  a  pwanM  atgii  a^iitMJ.  E  D«bI«  anp- 

(Ira.-  ai«li«  il  auiaigawia  nella  ana  la,  acba  Gaufa  all'onasla  a  Cada  al- 

pnow  ilima.  dfia  dal  (rado  i2  >h  al  SO  </l>  Ma  dal 
Il  ptinw  aliffla  ceninna»  »  nno  rI-^w  U.  r>ln>,  «a  d.ll*  .lari  Ealorta. 
■  '•qatliva  doif  il  finn  pia Isnun da-  Incuoia  lona  di  fiali  appBBls  al  Ira- 
rata  p<r  era  13  l/i,  a  taiiuiaaia  h  tana  i  anni  gradi  di  tìtmild  a  Mito  il 
do.«  t.  a  di  13  ■/>  '^•"'  "-•  ''  P''»'-  Taro.  jVhl.  *l(..|,.ai,  I,'ftr«Mt*f<M 
pio  dal  Hcoado,  eba  Utniaara  dona  f I  wlnmuUra  alnmla,  Cap.  X.) 
il   lian»  pià,luD|a  ballata   par  «ra  lt>ticniiinala«ial  La  niaioai  4ai  ali- 


.«»/., 


16>/. 


(luì».  J(nMtlD«'>«aiiiMiallaMi'a 

li  priniodiiiii  larnalr*  a*i*a  prin-       ài  un  «fiw  r  pra.   Sappiale  U 
cipioa  fradi  liadiri  >  nniD.  ara  (IH      ad  pnoia  di  Arliia,  poailaBa 


I 


Ule  par  lo  ipalo  di  (ti  or*.*  ■  l'ini 
rUmi  t!  Blrode  di  IcTiiil*  *  pnni 

nll'arb-      irtt  la  Finreia.mi 


SII  l'oHiiItiiU,  e  poirvm  Boa  calii 
»•  la  Fmreia.ma  ucWpmdl'an 
lii«(a  occidtnlalt  drl  prina  clima   EH       ti,  ac,  eamt  ti  cn  dbU*,  ai  Iona  n 


Ito» 


E  p-r  U  .1 


lido  drlla  FtHHia  ETn  t 

«Bda  r*  rapita  Eurna.   Qtnln  lido  i  UlUlt.  va  non  il  Par«;rt«ia;'il  ^m- 

lolla  il  OH-idiiDO  dì  CanuiJFBinie,  •  la,  aiilip-ulo  al  clima  quarto,  ara  da  la' 

lp*IU  ti  climi  iiaaHo,  Diciluiiirn'iia-  JiiUdIc  bf p  pia  di   i 

pera  di  dna  ett  (fitaKro  «uise  nrr|  il  itatla  ciriKuiletcau  la 

(iarao  del  primo  cliDiti  dunque  ai  Ira-  drcFoii».) 


jr^ 


rulli  ieomeiMarì,  •leUoaDcb.      rcaaatart  al  pala,  Ma  *  bmÌi 
P.  Punta  topra  citala,  ditaiiii  die  la  n-      iella  ii«  inna,  ditltaaiWBila  <a 

JioHpfrcui  DaBlanaa  vedetaaldi  li       Unte  Ira  riiini.  Intrida,   tiHB| 
al  lita  IcDitio,   m   1«   lai 
rtgBiiJari,  la  loal  ragione 


biH«. 


uT^alliia  U 


da   mMk  dJuM 
Il   tcBperala  a  daBa 

Salilo  Daaledd  Pu^atarW,  «BaM 


isaaatliidBUiia,  ni  putiAdoaciogli 
la  da  par  me,  ebbi  [inno 
d'amica  ad  (na  do!  p'd  ili. 

laHatalaal  WnpemlM»»,  Lawi|rniilB 
liif  wl»,  paithi  Jiriiiara  pia  latannila 
il  pa^a  ia  fanttaot,  isflia  aai  ripai^ 
toawUaaw  iai*tnlk,«rlnJlti'ndw* 
OB  Wpa  •mifìa  ù  lailsrìdì  Haute. 

•ifniit  Biaathl  erna  la  niia  uninisi»,  i 


la  rbe  mnaFda  il  lii>  tnicie,  <«»>  i 
IìbhI* tea i'vButaceillaniaalB  tram. 


parlila  dina  ,l.l 
d*  Dtnic  aal  tax 

diiliii|iuBa   liiiiii 


cluni   dituai  ilali^ 


CANTO  YBBITESUiOaBTTIBfO. 


«99 


Dal  lato  d'oeddaste  l'aatoM  m- 
eenna  toltaato  d'avar  visto 

ài  U  ila  6tÌ9  n  TftrM, 
cioè  Tooeano  atltatieo,  non  aoaaaam- 
doai  a  quell'epoca  elie  vi  foaaa  TAmaiv 
ca. Secondo  le  cognizioni  (*eograficlia  dai 
tempi  di  Dante,  Cade  doveva' Irovarai 
1 0  gradi  all'  occidente  del  oiertdiaDo,  m 
cai  il  Poeta  si  trovava,  a  alia  ìa  ^al- 
l'iatante  Tcniva  a  paasara  fm. Firmiti, 


Eacori  — '■■larpatatiooa  eha  non 
laada  d'inlrodarra.^aaldiaeoaa  d'arbì* 
trarìo,  particolarmafllc  rispetto  al  oie- 
ridiana^  aoMa  cai  era  Dante  quando  la 
prnM  ^«lUa  mardò  la  terra  dalla  co- 

jtallaziona  da' Gaaìoi  ;  ma  non  eoooaco 
paaao  dall'Autore  da  cui  queato  oiarì' 
diauo  poaaa  daduni  ;  che  se  veniasa  fat- 

■to-di  Craivarlo,  si-aonfermerebba  o  con- 

.ftalarabibaU.flait 


la.  • 


cjkxvm  wvsnmnmmrrAwm. 


IO 


f^tdt  U  Poeta  «a  pmmta  Imentiuàuu ,  0  ÈUtrm  hmw  Mt^.  dl^pisU  f  ptik  prossimi  mi  tss0 
somm  più  tpUndsmù  «  pim  npé#l.  Q%0tpmmméU  éÈidmm Mmmum i  futi-mm  #li  •rdlmi  mmgstitL 
Beatrtc*  gU  $p*tga  eomt  eomtordi  U  ststtmm  d^mM»,  CM  ttétus  ài  %msi  ttrà4,  Mèbsms  Im  fMtffi 
U  mof  «  la  ìms  trsseamt  tm  rmgm»9  dgJftWMnmti  ef  entfw,  9  m  fMfU  m  mtsmrm  ekt  tttu 
aeostmmo. 

Poscia  ebe  incontro  alk  TÌta  presente 
De*  miseri  mortali  aperse  il  vero 
Quella  che  imparadisa  la  mia  mente; 

Come  in  ispecchio  fiamnia  di  doppiere 

Vede  colui  che  se  n*  al'.oma  dietro,  6 

Prima  che  1*  abbia  in  vista  od  in  pensiero, 

E  sé  ri  voi  ve,  per  veder  se  il  vetro 

Gli  dice  il  vero,  e  vede  ch'el  s'accorda 
Con  esso,  come  nota  con  suo  metro  ; 

Cosi  la  mia  memoria  si  ricorda 

Ch*  io  feci,  riguardando  ne*  begli  occhi, 
Onde  a  pigliarmi  fece  Amor  la  corda. 

E  com*  io  mi  rivolsi,  e  furon  tocchi 

Li  miei  da  ciò  che  pare  in  quel  volume, 

2.  aper$9  U  vero,  manifestò  U  f^      a'aecorda  eoo  eaao  vcro.eouia  n 
nta. 

3.  Quella  eKe  imparadita.  Bea- 
trice ,  che  bea  la  aaia  ueuie  della  baa- 
tìtudine  del  Paradiso. 

A .  doppiero,  torchio,  o  torcia  di  ce- 
ra, COSI  dello  dal  lat.  de  bassi  tempi  em- 
pier ìut,  forse  perchè  formato  coU'aoi- 
ra  a  doppio  più  candele. 

5.  eaa  aa  n'alluma  dietro:  cba 
r  ha  acccao  diaCro  le  spalla.  Qoalcha  la* 
ato  gè  n'allumi. 

6.  Prima  chs  Cabiia  Imvitla: 
prima  ch'abbia  vista  quella  torcia,  o 
t'  abbia  par  pensato. 

7 .  il  Cairo,  lo  specchio. 
8-9.  i* accorda  Con  tuo  ic.:  doò, 


la  Boia  musicala  col  maCro  dai 
ovvero,  eoma  apiega  il  Biagioli ,  aaflM 
a'  aaeorda  il  canta  eolia  aÙMua  del 
tempo. 

40- N.  Cogì  la  mia  memoria  ee..* 
eoa)  io  Oli  ricorde  d'aver  fatte  ;  pe 
cbè  guardando  nei  begli  occhi  di 
tilce,  vidi  dipinta  l'imnsagiue  di 
paacie  rivolgendomi  vidi  verameata 

42.  Onde  a  pigliarmi  aa.  :  dai  < 
li,  e  della  virtù  dei  quali.  Aflier 
per  preadrrmi  e  legarmi. 

14.  U  miai:  gli  occhi  miei.—- 4a  aia 
eka  pare,  da  ciò  che  ep parìaee,  ai  ■•- 
aire,  in  quel  volume,  in  ^ael  aielo  fal- 
gctttcai. 


QDandimque  nel  suo  giro  ben  s'adocchi. 

Un  punto  vidi  che  raggiava  lume 

AcuIa  si,  che  il  viso,  cb'egli  aITcx-a, 
Chiuder  conviensi,  per  lo  forte  acume  - 

E  quale  siella  par  quinci  più  poca. 
Parrebbe  luna,  locai»  con  »3o. 
Come  stella  con  stella  si  colloca. 

Porse  cotanto,  quanto  pare  appreara 
Alo  cinger  la  loca  che  il  dipigne. 
Quando  il  vapor  che  il  porta  più  é  s|>e^-io, 

Distante  intorno  ul  punlo  un  cercbìo  d'  igoe 
Si  girava  SI  ratto,  cli'avria  vimo 
Quel  molo  che  più  tosto  il  mondo  cigrie  ; 

E  questo  era  d'un  altro  circancmto. 

E  quel  dal  terzo,  e  il  terzo  poi  dal  quatto, 
Dal  quinto  il  quarto,  e  poi  dal  sesto  il  quìnla, 

Sovra  seguiva  il  setlinio  si  sparlo  ^^ 

Già  di  larghezza,  che  il  messo  di  ìatia  ^H 

intero  a  conleucrlo  sarebbe  arto.  ^R 

Cosi  l' ottavo  B  il  nono  :  e  ciascheduno  ~  ■ 

Più  lardo  si  movea,  secondo  eh'  era  :• 

Il  numero  distante  più  dall'  ono. 

E  quello  avea  la  Gamma  più  sincera, 

gif»t«  iahint»  al  ^«ml>o ,  L*»!—  fi» 
•nei»  tlU"!*  fa  Dvtate.  t  «a  ^ito- 
di  chi  T(J«>  Ultalu  MtttM  •••  b» 
0  idtllroplatiM*  pw  h  rAaiawM 


"io  fìn'jr' 


46.  Pb  pmUa;  in  qnnta  punlo 
Gpiiil*  !■  diiiolli  ,  chi  tutto  «Mipiiu 
i«  ìb  un  psnlo,  il  [.iiula,  il  priMulc 
il  !■(■». 

w.:(b«|li  eediicliK  illiiuiiia,  roawn 
^Ktlutéitt  ftrlo  fori»  atumr.r' 

IB.  ^apoM.  pM  n-ooli.  — niiii 
ti,  di  qui,  <l>ll.  u.-l«  irr,.. 

10-21.  Puntiti  lanate.  Coir. 
Uni.  e»  tw  (lo  'iti"»"  'I''»"  p« 
)■  Uaunou),  UDX  lì  mllou  (Itili  ce 
(Idia,  ptrribk*  Inni  |ia  (rtulttu), 

sa.  Ferii  nifanlo .  fiumto  n 
CMtr.  ■  iat.:  fant  fiuiil«  appritia 
qnulla  vicina,  Jfo.  a  Hata  (rAlont 

rari  tiitgtTi  U  tua  cke  't  óipigiu.  I 

*  (amala  a  talsrito ,  i^uiflila  il  rapai 
cba  fnilt  rMnoa  t  jiu  *tnm  ■,  »l«« 
(liittDltj  uu  ttt<ti<u  d'  iani .  ^^^'>° 


«air' 


citi»  dia  pi, 

a-iLii. 

2A.  E  fUMIa  rra  *c.  Q«>^  i^ 

l'tiiirlic*  miliai),  iliiirìfca^iiMf' 

Sl-iS.Simvtrf„tr^t^Catm»i 
PnnE'>l>  ''(IT»  "■  ti")  rf  «Pi*  "■ 
diforf In».  ù«.  ,t  Mw  ■V*^. 
(te  fi  i-rua  rf(  Jmw  .  d*t  fln^  r 


ilcni  cirtola,  Mrtt«« 
fS-SS  MMB^rik' tra  MfvaiM^ 


cAirio 


PAlOb 


Wl 


Coi  iD«  disiava  la  AniUa  pwt  ; 
Credo  però  cbe  pia  di  lai  •*  invanu 

La  Donna  mia,  ete  mi  vadava  in  teora 
Forte  aoapeao  dina:  Da  quel  ponto 
Depende  il  cielo  e  latta  la  nalora. 

Mira  qoel  cerchio  die  pie  gli  è  oongìantò; 
E  sapjM  die  il  ano  aMMrere  è  d  foslo 
Per  l'aflòcato  aoiora^  end* egli  è  ponto. 

Ed  io  a  lei:  Se  il  mondo  fmae  poeto 

Con  rordine  di' io  veggio  in  qoeOe  mote, 
Saiio  m'avrebbe  dò  cbe  m'è  propoato. 

Ma  nd  mondo  aendblle  d  poeto 
Veder  le  vdle  lanlo  ^ò  divina, 
Qoan^dle  aon  dd  centro  più  reaMa. 

Onde,  ae  il  inio  dido  dee  aver  ine 
In^djaesto  mito  ed  angdico  tempio» 
Cbe  ado  amorfe  loee  ha  per  cooflney 

Udir  con? lemmi  aneor  come  V  enmplo 
E  i' esemplare  noo  vanno  d'on  modo; 
Cbò  io  per  me  indamo  a  dò  contemplo. 

38.  Cui  min  ii$Unm  Im  fmOki 
pwrm:  Ja  €«  in  omoo  «litlnto  il  j 
io  loddtiBUBo  cht  art  il  oiiilr»  4 


40 


IO 


U 


•  la 


eli|. 

SS.  Crfil9|wrd:Mr 
M  io  «rada,  perchè  pii  di  lai 
pie  parlaeipa  dal  vara  di  lai. 

40.  !•  DoMM  «te  aa. 
dia  BÙ  vadara  fortamaa 
emr;  \m  aariaiiih  di  aasara  «'di  ^mI 
ponto  Inmioaao  a  di  ^oraanlj  aho  di 
arano  intono,  diaaa  aa. 

41  -42.  Ho  qmd  pmaio  Dtpmi$  m^ 
Is  qoel  ponto  è  la  divina  EHaoai,  •  H 
principio  aaoloto,  da  ani  è  tallo  g 
creato  e  dipanda  •  ém  f«o  mmiiu» 

44.  «i  foflOp  ti  ntto,  ab  ardaelau    ' 

46-48. 5a  il  MOMloaa.Sa  ioavdMi 
i  aioli  ■cfifo  di  loco,  di  moto  0  di  pr^ 
gl^  oan  qnail'  ardine  cfco  ai  vagfani  y  a 
ali  aanhj  ;  aiaè,  aa  i  eioli  pie  fOHMii  M 
contro  faaMn  pio  lardi  alM  naa  ìbm 
i  aiali  vicini  al  atniro,  aia  dio  M'è  pr»> 
iPMla^nMaw  avanti  on  do  ia,nMoinfci 
no  tòte,  appagato,  fMto  auntanlo. 

'^^"09*  9tu  moHwO  opMatoHOf  ■ai' 
l' ordino  detta  aalaati  tiare,  i<  paoli  r;^ 
<f^,  ti  vadano,  li  eotta  Ionio  ^  rfM. 
^,  ieia<fr«^k«olw,i«alOFié  del  divine 


a  0  pi*  viM.  Nel  Cod. 

v^^^Oi    ^B^W^^^^W      w^^o^^^B     ^^^^^^^W— — — — — ^  _      ^      —  — ^ 

■ergine  portata  la  firianle  l^%9m,  dlt 

ai0HMB  caia>v. 

ai .  mtU  OMlffV*  dilM  !■¥■•  OM*  Ì^ 
— ■  *g 


H  Ma»  tiatanra  di 


■■  w  neee  nen,  parcfeo  dn  omo  al  Bo* 
ampli  dapprano  la  ntofniloanndl  Din. 
04.  thè  aoio  «mori  aa.:  oltoi  I 
oMno  non  aano  altn  den  eerpoMl,  IM 
ioleMcnIe  l'Empireo,  dm  è  aiala  di  «w» 
ffo  e  di  Watiicnnta  aaoiaMt. 

aa^aa*  i*  aimiNo  #  m  isia  mi 

and  aiali  intono;  F  iMwpfgre  *  il 
nmlo  hndoeao  ed  eafchjfihviBMg, 
«aho  iopra  i^è  dello.  E^oado: 
OMMMmyofo  ^wafi  •»  mm 


ann  vanno  d  uenUiila  \  wmwmm 
.  ndl'MaMptert  I  dwett  pie  il. 
oM  d  pnotn  eono  i  pi*  perfHIi.  ad  ilU 
ilaM  Moadtdo^dm^MtmyaW^lJifaP- 


C4IfTO  YENTESmOTTATO. 

Come  rimane  splendido  eeereno 
L*  emisperio  dell*  aere  <}uando 
Boree  da  quella  goaneia,  ond'ò  ptù  leno, 

Perché  si  purga  e  risolve  la  roffia 

Che  pria  *1  turbava,  si  clie  il  del  ne  rìde 
Con  le  bellezze  d^ogni  sua  paroffia  ; 

Così  fec*  io,  pd  che  mi  provvide 

La  Donna  mia  del  suo  rìì^ponder  chiaro, 
E,  come  stoUa  in  cielo,  il  ver  sì  vide. 

£  poi  che  le  parole  sue  restaro. 
Non  allrimenti  ferro  disfavilla 
Che  bolle,  come  i  cerchi  sfavillaro. 

Lo  incendio  lor  seguiva  ogni  scintilla  ; 
Ed  eran  tante,  che  il  numero  loro 
Più  che  il  doppiar  dagli  scacchi  a*  immilla. 


733 


80 


86 


90 


più  ristretto;  allf  tfera  ttcllaU  oocllo 
de'  Cherubini ,  i  Troni  al  del  «  Sa* 
turno  ec. 

80-81.  quando  ioffia  Borta  da 
quella  guancia  ec.  I  doìlici  veoli  ai  ri- 
ci  ucunu  a  «quattro;  oguuuo  di  questi  eoo 
faccia  ttoitna ,  aecond»  gli  imiiiagioa> 
van  gli  •ntii-lii,  ne  spira  Ire,  duv  io  tra 
direzioni,  dalia  Uicca ,  dalla  gnaiicta 
destra,  dulia  siuititra.  Dalla  guancia  ai- 
nistia  s«>flia  l'aquilone,  che  è  il  soffio 
pie  forte,  dalla  destra  un  T«*utu  piÉ  oail* 
che  cbiamaao  eireiv.  Il  Celli  peiis^  eh» 
la  Toce  Uno  non  possa  star  qui  per  IciM, 
mite,  piscavole,  come  inieitduoo  UMÀ, 
perche  quieto  ventu  miti*  ut»»  b4s(«r«bW 
a  prudur  l'eflrtlo  che  »i  accenna  di  apas> 
care  il  ctelo  dalle  nu«u|e,  a  farlo  ttar% 
no  ;  ma  che  teno  sis  dallo  s|iagiiiiul« 
lleno  che  signilica  piano ,  gmf/iiùirdo;  e 
mi  par  che  abbia  ragiona. 

82.  roffia.  Il  \  i>c.  della Cni««  afi*> 
ga  densità  di  va|ien.  Roffia  la  RMia* 
gna  si  usa  a  sigiiilicare  quella  soxsara 
che  sopra  le  monete  o  s»pra  alti  a  cua« 
lasciano  le  dita  di  chi  le  maneggia;  • 
ODO  è  inverisimila  eh«  qai  Danta  aai 
questa  |»arola  luetafuricauiente  nel  deW 
to  tiguiGcato,  per  denotare  la  nebbia  • 
la  nuvola  che  oscurano ,  a  dirai  qaaà  , 
imbrattano  il  cielo. 

U  Che  pria  'l  turbava.  Coék  Pc^ 
Ravea.  pie chiaramenli>  dflla  rom.,db« 
pria  uiurbmiem,  dove  pure  bis«<gna  sui- 
ti iiteodcra  H  lidio  emisfero  dell'emù. 


SI  d'ogni  «uà  |>cro/]|ta.  Intandi  : 
éi  tutta  la  sua  comitiva  ,  ciuè  del  sole, 
della  luna ,  a  della  stelle.  Paroffia  o- 
parroffia^  voce  antiquata,  fu  usata  tu- 
cho  da  Brunetto  Lalioi  e  dal  Buecoflait 
io  aignilii-alo  di  ctioas'fi'oo.  Saaoofdo  ii 
Buti ,  aignilica  eoaduuaziama  di  cbeo« 
cUaaaia  ,  a  aecondo  Benvenuto ,  peari§. 

86.  del  iuo  riepintder  ekimrm^  4k 
•00  chiara  riapoata,  mi  pnm9idi,m» 
•ooeoraa. 

ST .  S,  come  rifila  in  eieU,  U9§r 
9Ì  vide  E  da  ma  si  vide  chior»  il  voro, 
eooie  chi.ira  si  vede  stella  io 

sa.  fMtoro.  rbialtaro, 

89-90.  AoM  mlirimenU  fi 
Cnatr.  e  int.  :  farro  cba  bolle  oho 
tilla  allrimenti  cooir,  dal  modo  cho, 
i  oerchj  sfavillarono,  levaron  lavillo. 

91. 1.osoeaii4soloro0.:qootto-afo> 
▼illoro  da  corcbj  che  parava  «o  ii 
dio ,  era  seguito ,  imitato  da  d 
aetotilla  che  io  altra  miootiaaime  hvi^ 
Ione  si  moltiplicava  ;  ovvero,  ogoi 
tilla  si  faceva  anch' casa  a  girare  i 
•1  eerehi»  infocalo  oad'era  em 

93.  ^immilla,  contiene  io  aè  3 
mille  più  volley  che  ool  coolieoo  ìl-de»> 
piar  degli  seaccbi,  eaaia  il  rceoNilo  di 
•aao  duplicare.  So  odia  prima  eaacHt 
delio  scarchiere  si  segna  1,  Bollo  M- 
eooda  X,  nella  torso  4,  nello  quarta  8, 
Dalla  quinta  16,  o  via  sioo  aHo  aaaaoB- 
taquattresiroa  raddoppiando,  a»  verrà  a 
formoro  un  numero  di  2e  «in  ^  €oi% 


DEL    FAnOOIMI 

!o  senliTa  osannar  di  coro  in  coro 
Al  panto  fi.sso  cbe  gli  (iene  all'  uN, 
E  (erri  sempre,  nel  qoal  sempre  Toro; 

E  quella,  che  vedea  i  ppnsier  dubi 

Nella  mia  menle,  dis^ae  ;  I  cerchi  primi 
T'hanno  mostralo  i  Serafi  e  i  Cherabi. 

Cosi  veloci  seguono  i  suoi  vimi 

Per  simigliarsi  al  punto  ijtianlo  ponno, 
E  posson  qnanlo  a  veder  san  cablimi. 

Quegli  altri  amor,  che  dintorno  gli  vonno. 
Sì  chiaman  Troni  del  diviao  aspetto. 
Perchè  il  primo  lernaro  terminonno. 

G  dèi  saver  che  lutti  hanno  diletto, 
Quanto  la  sua  veduta  si  profonda 
Nel  vero,  in  che  si  queta  ogn'  inlelletlo. 

Quinci  si  può  veder  come  si  Fonda 
L'esser  bealo  nell'alto  che  vede, 
Non  in  quel  eh'  ama ,  che  poscia  seconda 


c«i6«nB  NI»  qatnlilh  dì  milioai  wr- 

quanta  lono  pMli  bÌA  ilio,  ni  MVI 
im  per  v..d«lo.   AiloJ.  al  «mail 

fi.-.  Wi.no,  cU..«om,r.ec«n...i, 

pr«rnll(olD  ■  Oli  H  di  Pm\t  ,  t  qni!- 

■riiHllo  di  grani  d..pli«.I<.  igemiÌTa. 

405    Quegli   altri  amor.  ^T 

.Uri  api. iti  arutnti.  Hi.  dinlnna  |fi.< 

I0.0,  vmno.  Y.ono.—  F0M.O  1 1.  B» 

LkI.  p«r  Miy  »«(11>  M  n»  uac- 
diian  ABt  alla  im  ;  M  che  dji  phnia 
il  nsaina  «  rìae,  ma  remilo  al  cal- 

«.r-*dop„i.„   Ì'V_CU  — 
mnoiiMr.  a   fondo  It  .M*  M  H«i 

cola,  tn>Ò  th.  Br-B  avM  in  tulio  il  i..» 

varbl     l-Bc»   VAnaliHdrrtiU.t 

regno  graso  abbaila  ma  per  aailiirarla. 

QgoU  Womllt  diTu  «tur  Tolgani  t 

m.   TV«i  Jd   4h<M  HM* 

lunpn  di  Dania. 

M-OS.  lo  itniiva  «amar  H  foro 

Di.»«nn.pirilo.lC.BtaIX»S 

do'  Troni;                                     '^ 

fa  «miM.  In  «hiDti  di  coro  In  cor»  ^o- 

Ond.  rin,)^  ,  M  DI.  .LIluÉl, 

tMnounM.  —  llpwnlofiHo.tttU, 

tOS    »  primo  lerJTto»*» 

CM;H  timairuM.clia  licna  mi  curi 

inlnrao  ■  a»,  nel  laro  dori,  Dal  Igon 

cinn)t"iii  di  Irò  oorì.  Ha  aHlullb^* 

At  loro  ooB*ione, 

M.  pm.  rnroBo. 

.tribuiiono  fauan*   da  D„  „ta,  «. 

lione. 

tallo  tede»  i  Cbeiublm  o  i  BecaOni, 

407    piMafo.-intmfi.taM.,-» 

Jo.i«.,laloro,»diit.«. 

m.*.«o(«*«i.  il«rol.|,ao.i,la 

408.  «eiroroeo..  inW.,*. 

fona  d'anoreehr.  Diagli  niiÌKa.— 

I'ol.imofioed.'™,rid«d^ 

Viml.  «ncbi,  l<sa<ti.. 

440.114-  £-,^^.,,.^^.1., 

401-403.  Pir  limlsKarH  ec.!  par 

farli  limili  al  punto.  ■  Dlt..qBtnl-i  poa- 

«nD[  .  laniop™»™.  lui  fami  i>niili, 

Iddio,  e  non  |;ii>   odi' otto  d'aiurit 

cbe  noB  d»pu  ti  eonleaif  Uf*.  IìmIh 

CAIVTO  VENTESlMOTTATa 

E  del  vedere  è  misura  mercede. 

Che  grazia  partorisce  e  buona  voglia  ; 

Così  di  grado  in  grado  si  procede. 
L' altro  temaro,  che  cosi  germoglia 

In  questa  primavera  sempiterna, 

Che  notturno  ariète  non  dispoglia, 
Perpetualemente  Osanna  sverna 

Cou  tre  melode,  che  suonano  in  Uree 

Ordini  dì  letìzia  onde  s*  interna. 
In  essa  gerarchia  son  le  tre  Dee, 

Prima  Dominazioni,  e  poi  Yirludi; 

L' ordine  terzo  di  Podestadì  ee. 
Poscia  ne*  duo  penultimi  tripudi 

Principati  ed  Arcangeli  si  girano; 

L*  ultimo  è  tutto  d*  angelici  ludi. 
Questi  ordini  di  su  tutti  rimirano, 

E  di  giù  vincon  si,  che  verso  Dio 

Tutti  tirati  sono,  e  tutU  tirano. 
E  Dionisio  con  tanto  disio 

A  contemplar  questi  ordini  si  mise, 

COSI  con  S.  Tommaso  la  questione  aeo- 
l;istira  :  m  quo  eontiUal  ieatiiudifoT- 
malit,  in  visione  an  in  amor$, 

4  12.  E  del  vedere  ee.  E  I'  open 
meritorie  sono  minura  al  vedere  ;  aoA  : 
tanto  piò  i  beati  veggtmo  Dio ,  qnanto 
piò  SODO  ricchi  di  opere  meriUirie ,  le 
i{nali  sono  V  effetto  della  gmia  divina 
<•  delF  umana  volontà.  Nota  Mereeile, 
che  vai  premio,  oxalo  qni  per  merito, 
perchè  questo  è  causa  a  quello. 

4  1 5-4  4  7 . 1' fl/<ro  temaro,  dbo  eofi 
tjermogtia^  l'altra  irrarclna,  rbe  ceù  li 
t-onserva  in  questo  paradiso,  che  è  nnt 
•■terna  primavera  cui  non  dispog'ie  onl- 
tarno  ariete  ec.  Prende  le  similitudine 
lidio  spogliiirsi  che  fauno  nli  elhcrì  in 
ferra  nelt'  autunno ,  quaudo  il  aegao 
«teli' ariete,  opposto  al  aule,  gira  di 
notte  sopra  il  nostro  emisfero. 

418.  ferma.  Uno  de*  significati  del 
verbo  evernare  è  il  cantare  che  Cmbo 
(jli  occelli  in  primavere  ascendo  dal 
verno.  Qui  il  Poeta  si  vele  di  qncelo 
verbo  e  aignifirare  il  cantai  e  degli  aii> 
:;eli ,  relativaroonle  alla  mt'kifora  aalo» 
redente  di  primavera  tempitemm, 

419.  Con  tre  melode ,  cou  tre  om- 
Jodie  —  Irte,  tre. 


705 


115 


120 


fS& 


IjO 


BUtO 

fa  trino. 


420.  omle  e' interna  (ferbo  for^ 
o  da  tema),  dei  qaali  a'  intrea ,  sT 
ino. 

421 .  Dee.  Appella  Dee  le  tra  adiie- 
rt  angeliche,  alludendo  al  laogo  di  S. 
Giovanni:  lUot  dixii  deoi,  id  fiioa 
«erMo  Dei  faelut  e$t. 

424  ne' dvopenullimi  tripudi. 
nel  eercbio  settimo  e  oelP ottavo,  ore  i 
detti  cori  tripudiano. 

42«.  d' mngetiei  Imdi:  di  spiriti  le- 
ateggianti  che  hanno  solamente  il  nome 
di  angeli. 

427-429.  di  tu  tutti  rimirano. 
Ognuno  di  qneoli  ordini  al  di  sopra  di  aè 
rimira,  è  intento,  fisso  eolio  s^rdo, 
nellu  splendore  divino ,  vinto  e  tirato  da 
Ini  ;  e  al  di  sotto  vince  e  tira  l' ordino 
o  il  cerchio  iulerìore  ;  eoeiechè  tuUi  qne- 
ali  ordini  eiigelici  sono  tirati  verso  Dio^ 
la  cai  gioì  ia  rifulge  d' ordine  in  or^na, 
e  ognuno  tiia  nn  altro;  come  ù  è  an- 
poulo  veduto  e V venire  nei  Cieli  cha 
tatti  sun  mossi  e  muovono.  Cod  i  8a> 
rafin-  rimirano  in  Dio  e  tirano  i  CW 
tubini  ;  quenti  rimirano  nei  Serafini , 
e  tirano  i  Troni  ee. 

430.  £  Dionisio.  S  Dionisio  Arco- 
pagita  nei  libro  De  eéktt.  ikierarcK, 


706 


ì'ji 


DEL  PAEàDBO 

Che  li  nomò  e  distìnse,  com'  io. 
Ma  Gregorio  da  ìbì  poi  si  diviste; 

Onde,  BÌ  tosto  come  gli  ocelli  aperse 

In  questo  ciel,  di  aè  medesmo  rìse. 
E  se  tanto  segreto  ver  proflerse 

Mortale  in  terra,  non  voglio  eh*  amnairi  ; 

Cile  chi  *l  vide  quassù  gliel  discov^erse 
Con  altro  assai  del  ver  di  questi  gin. 

ISe.  ionio  fcyrrfo  ver .  verità  co- 
luto  MS  oiU  agli  «iccki  degli  «(•aiti. 
-»  BnJ^wt»,  |ioM  in  vi»u ,  Ba£i- 
fetlò. 

137.  Jfortofe  in  terra-  cìoè,Sm 
dnaigi  qMadlo  ara  io  Cem  fra'  ntr- 
UU. 

458.  ehi  7  €ida ,  eiuè  S.  Paole,  è 
où  era  tlal»  disev'polo. 

159  Con  aiiro  Mad,  eoa  •Hr» 
■oka  CMC  reUtÌTe  alla  oatara  il<|Ii 
aoff li,  datti  giri,  in  qaaoio  alla  lir» 
dìspuiùiiuae  circolare  intoroo  a  Dio. 


1 52.  Gregorio.  S.  Gregorio  Magno. 
Questi  pose  io  loogo  J^i  Troni  le  Pol^ 
fttk ,  e  i  Trtini  in  laogo  da'  Principali ,  • 
i  Principati  in  langu  delle  Doniinazionì, 
e  le  Di'Oiiuaziuoi  in  luogo  delie  PiifeiU. 

454.  come  gli  occhi  aperti  at. 
Ofviosa  initgine  che  il   Prirarea  oih 

E  io  io  OD  suo  bel  sonetto  in  morta  di 
aora: 

r  DclP  ct'-ni"  huM 
QasaJo  n  itrai  di  cliiuJrr .  fU  «echi  aptni. 

155.  di  sé  medesmo  riso.  8.  Ora* 

forìo  rise  dei  suo  injaoao. 


CAVrO   VESTTESCflOIVO^O. 

BtmtfiUt  MrfKCo  t/  dtitdenm  di  Danf«,  gli  duktsra  il  mo-lm  dm  Dim  «malto  meHm 
gli  Àmg0ti,  dtUm  '•  Hw  aatUmvmte  «  <*ttm  mmttum  pnm  i.  lk*f»  ragumit 
Amgtti.  p'tmdÉ  oeemsmHt  dt  nttnwart  im  tmatttudut  di  tgnt  ^naatuomt  elkm  r 
«M  atto  lulU  uitote,  mu  mm  kt  dmi  pttiptn,  m  pam^m  i/i  dmf-nmm ,  dtmtmtitMs  •  ,. 
pndumn  è  di  ptnmmdtrt  gli  ««nint  md  es$0t  enst*mui  *  thtmdé  Im  ^*g.m—tu 
fmti  imftinm  dW  iy«csM*tfa  jmwott  a/Uàtt  imdtUgtmam  mt  stmplut  pat  ttv 


Qnando  amboduo  li  filali  di  Latuna, 
Co\  eri i  del  montone  e  della  libra , 
Fjntio  de!!*  orizzonte  insieme  zonn, 

Quanf  è  dal  punto  che  il  zenit  i  libra, 
Infìn  che  T  uno  e  l' altro  da  quel  cinto. 
Cambiando  1*  emis|H?po,  si  dilibra  ; 

Tanto,  col  volto  di  riso  dipinto. 


4.  4  figli  di  Latona,  il  Sole  a  la 
Laoi. 

2  Coverti  ee.:  cine ,  quandnsi  tro» 
fano  io  due  seijni  opporli ,  come  sooo 
P Ariete  e  la  Libra. 

5.  Fonao  ee.  Fanno  sona,  cininra , 
a  al  m- desimi  d«*irarìrionle,  einè  aono 
draondati  dal  mt'drtimn  orìrrnnto. 

4-0.  Qtant  è  ee.:  «lutnto  corre  di 
(colpo  dal  ponto  io  coi  lo  fenit  tiene  in 


e(|oilibrio  il  mie  e  la  Haaa,  cioè, 
mente  aiti   rispeltiviifffi^«|«    ni 
emisrem.  inSito  a  f|n^ll'  mHrm 
Vunn  (le  lane)  «orf^  dall' 
I'  altro  (il  M>>r|  seende  awilo  di 
per  lo  rbe  I'  ano  e  I*  altra 
cmÌ!«lerondt7i>r«,c«r«  d*' 
tbilaaria  dui  delti»  errr 
Tantn ,  e«oè  per  altrrtlMHn 
tempo,  UeaUiix  col  rollo  éipiulo 


aeri- 


CANTO  TEllTES1MO>'OKO. 


707 


Si  (arque  Beatrice,  rìgaardando 
Fi::o  nel  ponto  che  m'avera  vinto. 

Poi  cominriò:  Io  diro,  e  non  dimando  io 

Quel  che  ta  vuoi  udir,  perch*  io  I*  ho  visto 
Ove  s'  ap{.anta  ogni  «òì  ed  ogni  quando. 

Non  per  avere  a  aè  di  bene  acquisto, 

Ch*  esser  non  può,  ma  perchè  suo  splendore 
'  Potesse,  risplendendo,  dir  :  ittssisto  ;  15 

In  sua  eternità,  di  tempo  fuore, 

Fuor  d*  ogni  altro  comprender,  come  i  piacque, 
S*  aperse  in  nuovi  amor  P  eterno  Amore. 

Né  prima,  quasi  torpenle,  si  eiarquc; 

Che  né  prima  né  poscia  precedelte  80 

Lo  discorrer  di  Dio  aofrra  quest*  arqoe. 


TO  i  BiiTe  OT^DÌ  an^Iiei  .Ma  nwni&mor 
ffflcsée  iMglto  per  l'«ntileai  eoo  I'  «mo- 
T9 «Itmo  — maperchè  iuo  tplendO' 
rv«0.r  ma  affindiè  il  «u»  raggio  rbitlen- 
diettdo  m  altra  nra^iatf  nza  piftnae  aire  : 
10  imaiaCo  io  quelle.  GK  AngeR  e  le  mt- 
••rì  oalure  aooo  a|»reclii  della  Zirlai 
beau.  E  eHrere  ha  detto,  Canto  XIII: 

Gè  eh»  Bi4i  ■•••rt  •  riè  eh*  poè  ««fin 
Mm  e«-  m-tt  ■plteit-»r  «h  awrila  ìém 
€iw»aii.ia»M,  aMO^,  il  eMlmelNu 

t<et  «■■  bi>fila1*  n  mt  rtfgUrf  aJeaa  , 

46.  in  tua  eternità,  d(  tmtpo  fS»»- 
TB,  ee.  Intm«li  :  pnma  che  fiwae  il  lea- 
po,  perchè  il  tempo  e»aiincÌB  eolia  ctm- 
iMuie;e  laon  d'egni  CAmpreodereoma- 
•• ,  io  m-do  eoitipremibile  •olameale  a 
INo,  perche  il  mòdo  della  Cretaoot  k 
•eprinlrll  lyihtie. 

17.  come  i  ptaeqma,  eonit  a  lai 
fMei)iie,  leciindo  la  aoa  Tolootà. 

49  A'é  prima,  quaH  torpenk,  ce.: 
•è  prima  della  ereaciooe  ti  «tette  Iddio 
^•ui  inerte. 

20*21 .  prtctdette.  Prererìace  ^e* 
Ita  In  ,  che  e  del  f.iid .  Rstcnte  e  dei  Ire 
Patav.  2.  9,  a7,  alla  cimb.  proetéetle, 
perche  è  più  Hiiiira  e  pia  •implica  0 
aeoflf»  e ,  che  fi  prima  e  it  poi  no»  pr»- 
ttérUam  U  ditettrrwr  di  Dio  titprm  ̧ 
mtqme .  noe  Tatto  della  creatiooe ;  per- 
et«wrhe  prima  della  rreariooe  non  era  il 
molo ,  e  per  r»n«rQurnra  il  tempo ,  oè 
il  prima  oe  il  dopo ,  che  «o«»  ^%s<\  Xv 


tOt  rideota  neiraapellOf  ri^ 
oel  ponto  che  m'aveva  abbagliato^  ai 
tacque.  Il  paote  in  die  il  a-  le  e  la  lana 
tono  nel  aàedeaimo  orinoale  qaaai  bi- 
laiicitti  dallo  zenit,  è  oo  istante  9  «  ao 
iataate  appanto  Beati  ice  tacendo  faar- 
dò ,  poi  cominriò  ec.  —  La  let.  tkt  U 
tonit  i  likra  è  del  taMo  Viv.  e^le'Cidd. 
Pat.  9 ,  67,  ed  e  pia  rifilare  e  piò 
chiara  delia  eoa.  eAa  U  tenit  iniikrm, 
LaKid.  e  ver}  Codd.  lesino  :  Qmanfé 
dal  punto  che  ii  iien§  m  libra, 

42.  Ocea'«pfr«iil«ae  :cHiè4aDio, 
al  quale  e  presente  of^ni  lunno  ed  «fni 
lampo.  In  Dio  ai  rtunneono  talli  gli 
apafi  e  tatti  i  tempi ,  e  ai  acorgwa»  tatto 
le  eaiateiite.  Qaesto  princi|ii*  f«  pé  evv 
lappato  dal  llallebi^nrbe ,  ehe  fa  aHis- 
gera  agli  apiriii  creati  tolte  le  lerv  par> 
oeaioni  e  idee  aell'  Ki:te  primo. 

4Ì-45  Beetnee  aqe«ln  eoaeanatd 
che  Pente  eolee  sapere  iwtnrna  alle  1  rm 
none  deiramveraii,e«M  porla  :  ffonpor 
atere  a  tè  §e.  Cottr.:  L'etena»  Amore  ia 
eoa  rteraita,  foore  di  aempo,  Caur  d^ogni 
altro  comprendere,  s'aperae,  enma  i 
piacnne,  in  om>ei  amor .  non  per  a*ara 
acquieto  di  bene  a  ae,  eh'esaer  n*m  pnò, 
■a  peieheaat* splendore  p(»teese  risple»" 
dando  dire  f«a«ttio-  NiKa:  ftaa  per 
a  $è  di  èene  mr^ftiito,  mm  per 
più  febee.  —  S"  aperte  in  marni 
,  crei  ,  prodosae  gli  Angeli ,  c4m 
chiama  nuovi  anuìri,  perrhreffellf  pri- 
mi drll'eieni«am»r  suo.  A'trilif>g  ii«*ae 
amor,  Iciieae  per  cai  a*  inteaderebbc- 


DEL   PAUDISO 

Panna  e  malerìa  coni;ìnnte  e  puraite 

U^iro  ad  allo  c^e  no»  avea  Tallo, 

Come  d' arco  tricorde  tre  saelte  ; 
E  come  in  velro,  in  ambra  od  in  eristallo  9 

Bangio  mpipnde  si,  che  dal  venire 

All'esser  lutto  non  è  intervallo: 
Co«  il  Irirorme  eHeUo  dal  suo  etre 

Neil' esser  suo  raggiò  insieme  UiUo, 

Senza  dislJnzion  nel  l' esordire.  ìt 

Concreato  Tj  ordine  e  coìlrutlo 

Alle  suslanzie.  e  quelle  furaa  cima 

Del  mondo,  in  cbe  puro  suo  Ai  produlla 

Mfhllii  ;  Bi  «TTtrfirt  ilie  Mck  Ib 
lonijioB*  (Hcfra  «4  alte,  ti  poli.* 


I 


SppCM  crNli   I 
ftrtbatur  luptr 


a  SpiriMt  Vti      aitUn  prr  li  < 


i  pewùt  II  qnal  fuma  1  certuacnl* 
ncno  ftliw  itfìi  fmti\Xa. 

SS,  faivla  (  malin'a.  Li  [ptrii, 
icwidD  |)j  Atitliplelici  j  «  «fiifll  e^«  ta- 


^eUu  Ji  iDlU  Ib  FiTme-CcHU/imnle, 
IcmporgitH,  D  aDiUoiiDlB  «Ile  di'lli 
iliMC  inedidic,  e  pureldr,  «  nrlli 
\iir|ialU.  CovgiiHitt  pulì  ebbe  lon 


33.  Viciro  ad  alien 
dt,l«nu>i>it>niì(l(,r 


lu*  MM  fkth ,  di*  mw  puwi  fi 


^vead  Oli  tempo*  ixtanUaamaitl* 

di ,  If*  ufII«. 

«tnif  Art  ragipa  dalU  Jhh  ad  «di  ■ 
BBll'oubrs,  alr«Mcr  IsUt.ill'iMt 


*•  r.u>> .  (<i  uiM 


ilibi]ii»,l>u„lin,k«ra' 


lui  cttMU  cri  [iiiuni,  «tdii  fiiHt  f  imil 
(itFl  tontlm,  pcrchtrianla  cuDrvniu 
(tltina  vuImiI).  — Virj  imi  i'itauai 
•uf^ra  aJ  atin,  baniiit  uieii-a  ad  •(■■r, 
in  acro  fallo. 


«inraaMp 


CANTO  TmiaiMOROKo. 

Pura  potenzia  lenna  la  parte  ima; 
Nel  mezio  Btrìiue  potenzia  con  atto 
Tal  vinte,  che  giammai  non  ai  divima. 

Jeronìmo  vi  scrìsse  Inngo  tratto 
Di  secoli,  degli  angeli,  creati 
Anzi  cbe  l' altro  mondo  fiisge  bllo  ; 

Ha  qaeslo  vero  è  scritto  io  molti  lati 
Dagli  sCTÌllor  dello  Spirito  Santo; 
E  tu  lo  vederai,  se  tten  ne  guitti: 

£  anrbe  la  ragion  lo  vede  alquanto. 
Che  non  concederebbe  che  i  motori 
Sanza  sua  perfezion  Tosser  cotanto. 

Or  sai  tu  dovo  e  qoando  questi  amori 
Furon  creati,  e  come;  £i  cbe  spenti 
Nel  [no  disio  già  sono  tre  ardori. 

Né  giugnerìesi,  numerando,  al  venti 
Si  tosto,  come  degli  angeli  parte 
Turbò  il  soggetto  de*  vostri  elementi. 

L'altra  rimase,  e  cominciò  quest'arte 
Cbe  tu  discerni,  con  tanto  diletta, 
Che  mai  dal  circuir  non  si  diparte. 


Si.  Punyolfntia  K.  Mìt  tmm» 

in  molli  ÌMgh:   d'Ili  dÌTiu  ScriUon. 

t  il  uilinu ,  i^,l,  ii  pmrm  pel*»- 

,  rìD^urHiniKHlolrinicni'ui» 

eh.  gii  inirli  doliaiLi  molurì  dt-iìtU 

•  llrgi.TiliinnelcrFJHibliinirì. 

•loHro  liiitii  limpo  prÌT>  dd  lo»  ilio, 

BS-S6.ff»(-H».i™K«.C«lr. 

iit.:»cliiai<>,(rili'liricli|>«rla 

ciò  in(aili.toli  ddlt  pcrf»ioM  Im. 

1  bau  M    mondo,  Tai  ciini,   aa 

«    rfo«.tio*...,pr.t-.liirirf.-- 

;.mt ,  tJw  MI  H  ditima  gimwal. 

|«.«(o,pri.n,,L,ill,«poto-«. 
«.  Ftiroi.cr«a«.e<(w«:p«rM 

[  aou  «  KÌ,.glit  mii,  ilrtHM  p»Uii- 

1  emalto,  quelle luUiua , ck» , tb* 

poro  *ilo  del  ToUr  di  Dio,  otim  ia 

10  diipalc  ■  rKtxre  t  •  f»f»  ;  iip» 

■a  iilinte. 

«.,.^mli,C(«dÌ«pr™J™... 

48.   Ir.  €fA>ri,  tn  molSri  fi  «0- 

tMlafooM.  Par.,  C*Dii.ll,T.ia. 

«nte  bruna. 

rj  IMI  dinima. 

57-39. /mmiriiw  «■  »crt»»ft  «e.  &>. 

ani  parie drfliiiiG«lirik(ll<.duù.n*- 
ripÌU.do  d.f  cMu  .rnnr  ,  larb.r.  ìCm. 

Foi  .«.ini.  df|ÌÌH|:.li,  intorno  .rU 

poli,  trtalilMUtemib,  di  ureli. 

t  ch'(e>i  *<f'"^  cn*"  ■"'"'  -^ 

40.  Ma  fanlo  ttn  tt.  Hi  mwtt 
striti  thr  io  li  he  dHI*  ,  cioè  cba  |li 
iB|^1i  lanHW  creiti  Bella  Unto  Mipe      ptrli 

41.  Dogli  icn'Ilor  Mh  èpirii»       iabu 


S2-U.  L'allTttt., 


u  d  a||ini 


DEL   FAJUlRBO 

Prinripio  dui  cader  (u  il  miiladettft 
Superbir  di  colui,  che  tu  vedesti 
Ha  Intli  i  pesi  de!  mondo  coslreUo. 

Quelli,  che  vtKij  t)ui,  Turon  mod«ati 
A  ricono^rer  sé  della  bont^le, 
Cile  gli  avea  tMi  a  lauto  inumder  presti  ; 

Perché  le  viste  lor  furo  esaltale 

Con  °raEÌa  ìliutninanle,  e  con  lor  merlo, 
Si  c'  lianno  piena  e  Term*  volontate. 

E  non  voglio  che  dubbi,  ma  sia  cerio, 
Cbe  rice\er  Is  «razia  è  nieriturto, 
S«rondo  rbe  1'  ufTelto  l'è  aperla 

Ornai  dintucco  a  questa  coosislorio 
Puoi  contemplare  bskìiì,  %  le  parole 
Mie  son  rkoUe,  seni  altro  aiulorio. 

Ma,  jierchè  ìn  terra  per  le  vostre  scuole 
Si  lejige  die  l'  angelica  natura 
È  tal,  che  inlande,  e  si  ricorda,  e  vaole, 

Ancor  dirò,  perchè  tu  veggi  pura 
La  verità  che  laggiù  si  confonde, 
Equivonando  in  si  falla  lelinra. 

Questó  suslaniie,  poiché  fur  giocondo 
Della  faccia  di  Dio,  noo  vo^sef  viso 
Da  essa,  da  coi  nulla  id  naMrondoi 

Però  non  hanno  vedere  interciso 


SS.  PrtM'pÌe,\i  prìmini  rimpoe. 

SS-ST.  it  mtltdelbi  SujhtÌiìt  di 

nM,  t€.:  dot,  li  milcdrtli  iiiprrbii 


Tita  a  6.  Uva 

.»|t»D<lMÌ|l',     . 

n*  »■  bnntKlf,  t 

H.  a  hiiibi  intruder  prali 
r*nili>  lino  ■ntellMenti. 
Gt.f>nTfii,1>DD£..— hvlii 


li  MnpnHitiilc  ■  Invìi 


Dii  i  OkH.   Cui.   i 
arCoro,...  nntOtimtt 
60,  SnoniTa  <lt«  rB|bi 


U.  Ornai -rffntonwM.CMr' 


CA^TO   TUTUIIIOSONO. 

Da  nuovo  obbielto ,  e  però  luHi  bisogna 

Rimemorar  per  concelio  diviso. 
Fi  che  laggiù  non  donnendo  ai  sogna.. 

Credendo  e  noQ  credendo  dicer  vero; 

Mii  neU'  uno  è  più  colpe  a  più  vergogna. 
Vui  non  andate  giù  per  no  aentiero 

Filosorando  ;  tanlo  vi  trasporta 

L' amor  dell'  appartala  e  il  ano  pensiero. 
E  anror  questo  quaaaù  si  comporta 

Con  men  disdegno,  cbe  quando  è  posposta 

La  divina  scriuora,  o  quando  è  torta. 
Non  vi  si  pensa  quanto  sangne  co'Oa 

Seminarla  nel  mondo,  e  qaanlu  piace 

Chi  iiinilmcnle  con  essa  s' accosta. 
Per  apparer  ciaicun  a'  ingegna  e  face 

Sue  inveniiiini,  e  qselle  son  trascorse 

Da' predicanti,  e  il  Vangelio  si  tace. 
Un  dice  ctie  la  Luna  si  ritorse 

lun  hinnD  iJ  irirrr  intertUe,  BT.  L'amor  itU'tppartma  : 

ìt   loro    DirBti    è  nMinu      fi  hu  pnufr»  jiiit.  dfltmppar 

-■■•    -  n   Iftdjrna   (wrt-        Difdninm).  tlin'  '" 


rir.  eiui  la  tMullk  drU.  ww 


CAKTO  VENTESIMOIIONO. 


liZ 


Che  se  il  valgo  il  vedesse,  verlerebbe 
La  perdonanza  di  che  si  confida  ;  • 

Per  cui  tanta  stoltezza  in  terra  crebbe, 
Che,  sanza  pruova  d*alcan  testimonio. 
Ad  ogni  promission  si  converrebbe. 

Di  questo  ingrassa  il  porco  Sant'  Antonio, 
£d  altri  assai,  che  son  peggio  che  porci, 
Pagando  di  moneta  senza  conio. 

Ma  perchè  sem  digressi  assai,  ritorci 
Gli  occhi  oramai  verso  la  dritta  strada. 
Si  che  la  via  col  tempo  si  raccorci. 

Questa  natura  si  oltre  s*  ingrada 

In  numero,  che  mai  non  fu  loquela, 
Né  concetto  mortai,  che  tanto  vada. 

E  se  tu  guardi  quel  che  si  rivela 

Per  Daniel,  vedrai  che  in  sue  migliaia 
Determinato  numero  si  cela. 

La  prima  luce,  che  tutta  la  raia. 
Per  tanti  modi  in  essa  si  recepe, 
Quanti  son  gli  splendori  a  che  s*  appaia. 

4  i  9-4  20.  tederebbe  La  perdonmh 
%a,  YtidreLbe  cbc  bella* pardootota,  o 
iuclulgcoza,  aspettar  ai  potea<>«  da  «a 
aoiDo  cbe  è  pieno  delio  apirìto  dal  dia> 


«0 


125 


130 


i35 


pieno  dello  apini 
volo,  non  di  quel  di  Gesù  Cristo. 

421-123.  Per  cui  tanta  HoUetxm 
fe.Per  le  quali  iiidulgeuze  è  venata  a  tale 
la  ttollezza,  il  (anatÌKUio  della  genia, cb« 
ad  ugni  promessa  di  quelle,  seuia  altra 
prova  uè  di  autunUi  in  cbe  le  promette, 
uè  di  giustizia  di  caa.>a,  eomverrtbba , 
rorrerc'bbe  in  folla,  civcameutf  crrdula, 
dove  le  fosse  indicato.  Io  certi  tempi  Al- 
cuni furbi,  pn  littiindo  della  dabbenag- 
gine da'  popoli ,  impfMituravano  !•  pie 
iarghe  indulgenze,  e  quelle  barattava*» 
in  denari  scialando  e  ridondo  alle  apai> 
le  dei  aeaiplii-i.  Bis«»gna  ricordarsi  a 
questo  proposito  della  famosa  oovdla  di 
FraGpulla  cou  tanto  spirito  narrala  dal 
Certaldese. 

42^»-426.  Di  questo  ingroMia  U 
porco.  S.  Antonio  si  dipinge  col  porco  at 
piedi  a  dimoatrsre  la  sua  vittttria  sol  dia- 
volo tentati>>e.  Qui  però  il  l*oeta  perii 
porco  di  S.  Antouio  intende  i  sum  frati 
corrotti,  ebe  ingrasMvan  nell'Ordiaa 
questuando  a  ooiiie  ài  eiso  santo,  o  pa* 
gaaJu  i  deroti  beaeUttori  ik  vaoa 


,  e  di  falsi  perdoni ,  cbe  il  Poeta 
chiama  wwneta  eenxa  conio, 

427.  perchè  eem  digre$ti  at$ai, 
perchè  d  siamo  dipartiti  dal  prof  arilo 
■oaCro. 

429  S\  t^  la  9ia  eo.:  d  «ha  la 
TÌa  (affrettando  il  passo)  si  facda  bre- 
ve, come  è  breve  il  temjpo  che  li  raata 
per  visitare  questi  luoghi. 

450-432  Questa  no/tira,  la  natara 
angelica,  gli  angeli,  fi  ottre  ^ ingrada 
In  numero.  \  a  SI  moltiplicandosi  di  gra- 
do io  grado,  d'ordine  in  ordino,  dia  il 
namero  non  può  da  mortale  né  caprì- 
DMrsi ,  né  immaginarsi. 

434-43j.  clìe  in  tuo  migliaia  ee.: 
che  nel  numero  espresso  dalle  parole  di 
Daniela  profeta  «t  ee/a,doè  non  ai  OMai- 
feala,  nnnicro  drterrainato.  Jfiilta  snitr 
Itnas  mintilraòanl  ei,  et  decite  mif- 
Utt  cantena  miUia  astistebant  et;  in 
fvale  capreesione  vuoisi  intendere  d'an 
naaer»  grandissimo,  e  iodelioilo. 

436.  La  prima  luce.  Iddio.  —  la 
raia,  due,  irradia,  illumina  casa  na- 
tara angelica. 

457 .  si  retrpe ,  ^  r\ti«^%V^. 

A^\i.  gli  splct^doTX .  ^\  ««^  %  «• 
dia  •'  appaia,  %%  <v^«Jà  i^  tn»v«»^- 


-u 


DEL  PARADISO 

Onde,  però  die  air  atto  che  concope 

Sei;uo  r affetto,  d*  amor  la  dolcezza  u 

Diversamente  in  essa  fer\'e  e  tepe. 
Vedi  V  eccelso  ornai  e  la  larghezza 

Dcir  eterno  Valor,  poscia  che  tanti 

Speculi  latti  s*  ha,  io  che  si  spezza , 
Uno  mancndo  in  sé,  come  davanti.  !.. 

i  race*  ('<'tla  divina  locr,  e  m>'«Lii>'è 
«Mere  fnUi  mA  inmagìnc  it  L»ie  ~  fi 
9pt%ia,  ù  divide  p«r  l«  rifl<wow  iel- 
la im  magi  ne  ana  cbe  ai  fii  in  uati  iafr 
TÌdai. 

445.  £7ii0  flUfiriMloie.  :  roiiva- 
docQli  ti^ntpre  ovUa  aoa  Minplìciià  bm 
e  inJivìsiliie.  cnme  era  inn«ui  «li 
crvazlonr  degli  angeli.  I-  ti  CjiìIj  \U\ 
MmiloMDla: 


459.  Onde,  però  che  et.  Onda^p^ 
l'orclic  al  tifivi  min jIo  allo  di  Tcdmcd 
i  nsicinc  di  Cfiicrpirc  meoUlniente  Dio, 
si  propor7ÌoD.i  Taroorr  de^beati  Tcrao 
lu  tteuo  Diii,  consoijiiita  che,  caaeiid* 
in  eiasruQ  an(*f lo  divi-na  la  Tiaioaebca» 
ti  fica,  sia  aurora  in  ciaamno  di  fasi  dir 
ycno  il  ferxoro  e  il  lepore  della  rari- 
lj,rli«  ne  è  i'flTvUo. —  {fi  et$a  natura 
«ngviica  y  owia  nei  diversi  iudiridai  di 
lei. 

444.  Cliìama  ipeeuH,  speechi ,  gli 
angrli,  come  quelli  che  dj  sé  rìflettuoo 


Ttrnm*  b-4itali»  il  tm--*  nzz  ar-  lUu 

Licroaluii  Ql«  nuiaiicBJ  m  im 


CAKTO   TREIVTESOIO. 

I  jHffUro  trir-ttie  Intorno  0I  puaio  fytenrm  agU  •c'iu  érW  Hight.-H  ,■  m^'^i  tt  wotft  »  fU> 
triu,  du  tfi  t-imtm  bttletta  t-nmt  cnuintm,  che  teud.  cgmi  eomrrttm.  0  Uto  sof»  tm  ptm  emm^^n 

Ime»  /'«  ilu€  nvt  difiiittt  Jt  pnmHUtn,  émi  f .«.«  r».-oH  lavtilg  ekr  ti  fmn  g  himi  «i  ^Lrft  f  ^^< 
fmmMo  mtlie  mmJt.  Oimnim  •*  ^lurllt  »l  Putta,  m  uUmts  i«  «awM  /u  a./  ug/à  ■,««'  1,  /umrm  ÉS^m 
dttimutm  amUri,  é  st^r*m  qu/Uo  tlcpmnt  mm  gmm  mumt-o  dt  gni  It  «n  ^-|  ,.  «j,  '«latf  tfi«HM» 
J«irc  stgguati  1  Bcéti,  t  in  Mì-£M  mJ  cmi  mi  Irvi^  pr.pm'ato  f/f  i'  tm^erufu-t  A  T\g%. 

Fur.^c  scinìla  miglia  di  lontano 

Ci  fiTxe  Torà  sesta,  e  quMo  monrlo 
China  pia  T  ombra  quasi  al  lotto  piano 

OiiLiiidu  il  mozzo  del  cio'.o  a  noi  iMufoniJo 


4  -3   F'trfr  armila  mitjlin  di  /»»- 
lano.  \uo\e  il  l'i>rlo  d.m-  un' idoa  iU'1 
ni<'dii  cnn  rlic  ilikpar^r  ai  sui<i  orrlii  il 
liiMnfii  di  Ciislo;  e  !•»  rB««.iiiiii;<rM  al 
dilfRn  irM  a  p«-«»  •  p*'*'"  di-ll»-  Urllr  tal 
far  iii'lni<*rii«.  M"  "**>■  '""••'  toliodrtlu. 
.—  Toro  ir$ia  il  iiu'//«»«»»*wo.  Ci  /Irr- 
fif    ardi'  riRunrilo  a  niM  Italiani,  f  or- 
tt  eiica,  a«M  i»»«U  nii;;lia  di  luntjnSf  e 
qùntii  niwdt.  inclina  IN.inLra  Mia  a  for- 
na  di  cono  in  linea  «rwionlale  ,  dalla 
nafte  di  poiirnte.  Quando  re.  IVr  tro- 


^arc  c«n  frrct««i 
i  ila  laperc  r\ir  \ 
tontrl  tli»aU 


P 

le  qn.ili  il  »«ilo   ne   pcrnirre  tV»  F" 

ppin  ora.  S.  .Uni,,,,,.  .1  ,,i,aiio  delìll*» 

^  il  h\W\,  r    il  iiiry/..   ,„pnn  ^d«ia--» 

da  un  iliil(»  liiii{.n  /fi,  ,r  MtOO  m^y" 

ì^    m.nMlirr;iniio   alla    pr  ma   wa  dr 

piiirnii.  tlisiiiiiu.  i,„  ,,u.iilranle  di  sle  1 

dall' ota  Mslj,  „....|,.,    «j^m   iftòrea.lr 

^uali  il  Milc  piTii'iie  fiirMocpwv  1 

nii'iira    Kil  iccn  ih..   |„|||  quetta  far* 

Cra4  «irne  a  dire,  che  maiiu  w«n 

circa  al  na^n-r  del  ii^lf. 

4-0  (Quando  U  messe  dele%fk*.»\- 
lorclir  il  1111//0  dvl  vielu.  1  ke  r  il  bis  al» 


^  da  lawra  c\ir  Va  eucuixVi v«.*  ^'c\\%      VpT«\«*Ao  \%\\»  .vv*  wx  ^^.^ 


Comim-ia  B  brai  UÌ,  ette  alcuna  slctla 

Pi^rde  il  parere  infino  a  qnmlo  Tuado; 
E  come  v>on  la  irliiarùsinia  ancella 

Del  Sol  più  oltre,  cosi  il  ciel  «i  chiude 

Di  vista  in  vi.<ta  inQno  alla  più  Mia: 
Non  alLrìtn«n(Ì  il  Irionfo,  che  Inde 

Sempre  diniorno  al  punto  che  mi  vinse. 

Parendo  tnrhiuw  da  quel  ch'e»U  iiichiudc, 
A  poro  a  poco  al  mio  veder  si  stinae  ; 

Perche  lornar  con  ali  occ!»  a  Beatrice 

Nulla  voJere  ed  amor  mi  coslnuse. 
So  quanto  inflno  a  qui  di  lei  $i  dir« 

Po3<«  courhiu^o  tulio  in  una  loda, 

Poco  sareliba  a  (urnir  questa  rte»~ 
La  bellezu  eh'  io  vidi  A  inii<noda 

Nmi  pur  di  U  dn  noi.  ma  certo  io  credo 

Cile  solo  il  8D0  Fjllur  tutta  la  goda. 
Da  questo  passo  linto  mi  roncrdo. 

Pili  che  giammai  da  pnnlo  di  luo  tema 

Sujiralo  fo*se  comico  o  trngcrto. 
Clic,  come  Sole  il  vi^  che  ptii  trema, 

Cdài  lo  [imenibrar  del  du<x«  nai> 

IC-ie  £( «MMito (Mm a 4 

>ÌD    l.l.ltolll»dfil>ql|irÌ«Ì« 

'  M,  tl.e  ho  ^.  K.:  Ji  In  al  a 
ti  piiou  (IWt).u>  ««uMimo  li  •Ielle      iianio  l'iMit ,  Paro  untt*.  i 
pjà  pi«n>lt  ■  nLsni,  |>«  tHtnnim  li      rrl»b«  luriieitiilf,  a /crkjr furila  ■<(*. 
Iiu*  li  JiltfHi*  di  nait*  <■  aitnu  la      ■  Jlr  siaiiuini*  i|ii>1  <4i*  dMrtt  fa» 

1-9    £ni*Mr{rii.  fi  ■!>■•(■  (U      <l*   tm-li,  ' 
t>  Ktn»,  (a  el<•ar^Hima  ntUa  Drl      ÌtmWiì. 


!■  Idia.  L«u>i>li<  iiuiii<ni>>*^r 


I.  ««Ig  (hi  Mi*   1M>* 


cU  woo  fmt  (Il  o.  ilii  M  ncl>.  22  Da  ^ohM  pi 

t0-t2.  (I  UialfOlhtludtiaa  (ts  p.u  d.ll«  via 

lr>pa<ti*  hiliirri.ll  uuaU ci» «I* ItBM,  2j-2<    SupralB 
■       '    ■|*.|l*,.rW«n-        ■ 


K 


chi  ul(|ik|l4,ttkf  atrMxIva*  iiin-  fff-  lai-  toptat.  • 

ti.  al  mìo  fler  )l  illiua,  ili*  ilu  fmMa  >li  yiii  JaOinl  Buaaffisa«l 

I  lilla  Jnpar» ,  ai  Jìl'n*.  •■•  trumanil^,  i 

f4.H.    fitTtU   KuiU    ttitr*.  2V-2T.  CM.  MW«al««r.  Ciit«    i 


La  mente  mia  ù*  sé  nipflesma  sc^mo. 

Dal  primo  giorno  eh'  io  vidi  il  soo  viso 
In  qaeAa  vila,  insino  a  questa  vi-ta, 
NoD  è  il  seguire  al  mio  cantar  preciso; 

Ha  or  oonvien  che  il  mio  seguir  desista 
Più  dietro  a  sua  bellezza,  poetanrìa. 
Come  aH'nltìmo  sno  cia'<cuno  artista. 

Cotal,  qual  io  la  laecio  a  maggior  banilo 
Che  qnel  della  mia  tuba,  che  deituce 
L'ardua  sua  matoria  lerminando, 

Con  alto  e  voce  di  spedito  duce 

Ricomiociò  :  Noi  semo  usciti  faon 

Del  maggior  cor]»  al  del  eh'  È  pura  loca  ;  [•) 

Luce  inlellellual  piena  d' amore. 
Amor  di  vero  ben  piea  di  letizia. 
Letizia  che  trascende  ogni  dolzore. 

Qui  vederai  l'una  e  l'altra  milizia 

Di  Paradiso,  e  l'ona  in  quegli  a^|)etlj 
Che  tu  vedrai  all'  ultima  giustizia. 


I 


ioli)». 


mU  a>iil«.  Il  U  DiQor  Ji  ,è  >l«,i , 

troni»  naa  i.  —  ekt  d^mf  tMt 

■DO  larmiiia,  f 'ardtM  ■wUn-to.  i  «M 

pani*.   O.Jtrv  Codiri  icgaoDS:   eoaie 
Sito  in  eta.. 

P^no»  e  «ad.  I-Ilo  d.i  Ut.,  <i*i  in 

M.  Ih  fwtlnf>f(a.  Ini.  lu  r|gn(i 

'™"d»(  «*,»*«•  CM^,  M,^ 

Um.infiauiili  morule— iiuino 

aoMfUgltla.mailliTitlirh'ebbi 

•UMlqBMl>|»g(»dclPt...li>a. 

»»,cbF>bl.r«ria|[i;allrl<Ml^b«i; 

«J({,l(Vtp.r.(.M;  .wMd^ 

».  Jta  »  Il  i»jBÌr»K. .- n^r  Wll» 

cmfiMa, 

il  ÌM»  ipitia  Ji  Idnpa  noiI  fu  vrlri- 

w,  iMMti  mii  il  MpU-nr  M  mo 

io    t'-^'ilUXtfcNjK.  h«M 

>nUi,  U  parlm  di  Ui.  -  Din»  »■!« 

(Fraina  *  ffnm»  miu  la  mttiiéi 

mirri  BtiIriM,  un  un»  li  killluin» 

P,ni«-,  ,  ta  «r«.Ì  4ttU  MI.  hofr' 

S|1it  (U  Fale«  Porli..«ri  ,  a  .uu  rfi"* 

ladina  drll-Hin».    la».  iMn.  M 

m"^;  ™   "°.'.i"b""lM.''lL'". 

l'i;  ni  1ìit|pii  noftal*  poiM  pili** 

•litini,  di*  t  larm-M  di  ripwi  dl'iu- 

daS.D  l>Dalol.auwl«ag».lii.,*iw 

»)-B3.  «.«■€<»**««.  HI»  «1 

43.  d<>!:..r»,  J.il«m,  riMn, 

JB-C.  luna  rlollra  mIUalam. 

ni  MIetn  psilmilo,  ivi  ttnla,  «ih. 

m  rìb^m.  <'  Di'  ""''ni  *«ii  chTiS^ 

Gi»»la,ri<.i..ll'«tran.adì,..p.<,„ 

U.«.-  «atra  .  rttj;  a..^.w  .«.^ 

M«lak.i\«i««fi»i.    ^ 

nlliiii  an  a  la  li  aiaOrart  *(  «ìA 
■Iw  wrpanla  i wtla  ka  dw  »,  bW 

del  uiiuLiiaeMla.      ^   ^f*— 

W^.r.tal,«„(.l«,Wl|,*,t. 

L 

CANTO  TBENTESIMO. 

Come  .«mbito  lampo  che  discetti 
Gli  spiriti  visivi,  si  che  priva 
Dell'  atto  rocchio  di  più  forti  obietti; 

Cosi  mi  circonfulse  luce  viva, 
E  lasciommi  fasciato  di  tal  velo 
Del  suo  fulgor,  che  nulla  m' appariva. 

Sempre  V  Amor,  che  quieta  questo  cielo, 
Accoglie  in  sé  con  si  fatta  salute, 
Per  far  disposto  a  sua  fiamma  il  candele. 

Non  fur  più  tosto  dentro  a  me  venute 
Questo  parole  brevi,  eh*  io  compresi 
Me  sormontar  di  sopra  a  mia  virtute  ; 

E  di  novella  vista  mi  raccesi, 

Tale,  che  nulla  luce  è  tanto  mera, 
Che  gli  occhi  miei  non  si  fosser  difesi. 

E  vidi  lume  in  forma  di  riviera 
Fluido  di  fulgori,  intra  duo  rive 
Dipinte  di  mirabil  primavera. 

Di  tal  fiumana  uscian  laville  vive, 
E  d' ogni  parte  si  mettean  ne*  fiori. 
Quasi  rubin  che  oro  circonscrive. 

Poi,  come  inebbrìate  dagli  odori, 
Riprofondavan  sé  nel  miro  gorge, 
E  s' una  entrava,  un*  altra  n*  uscia  fuori. 


717 


50 


55 


60 


«5 


4S-4  8 .  diteetli  ee.^  disgreghi,  dine- 
pari  gii  spiriti  tisi  vi,  SI  cLe  priva  P  oc- 
chio dì  ricevere  Tallo,  l'azione,  di  pia 
forti  obietti.  I  più  forti  obietti  aooo 
•jacHi  cho  per  maggior  copia  di  lare 
sono  più  polenti  a  colpire  il  trnso  della 
\itta.  L' occhio  abbarbagliato  dui  lanp« 
recta  inabile  per  nn  poco  a  vedere  tltira 
luce  anco  più  forte. 

49.  mi  eireonfulte,  mi  folgorò 
d'intorno. 

52-54 .  Sempre  VÀmor  (son  parole 
«li  Bratricea  Dante),  aempre  Iddio,  ek$ 
éjueta,  che  contenta,  che  fa  beato  que- 
sto cielo,  accoglie  in  tè  le  anime  am  »Ì 
fatta  Moluttf  con  til  saluto,  per  di- 
sporìe  alla  luce  di  tua  vitta,  quaai  co- 
me l'uomo  dispone  t7  eandelo,  la  caa- 
'lela,  al  lame  che  dee  rendere. 

57.  Me  iormoniar  er.,  che  il  mio 
valore  a* era  fatto  più  gmnde. 

58.  E  di  novella  visln  mi  raee€$i. 
Ik-lla  forma  di  dire!  ripresi  una  viali 


più  forte  della  prima.  Gli  ocdii  ai  dia- 
aero  lumi;  qmodi  beo  ri  riapoade  D 
rmeeendere. 

59-  60 .  Tale,  che  ntUla  lme9 m.:  tale 
che  oetauna  altra  loca  è  Unto  para^ 
tanto  risplendente,  che  io  ooo  avaaai 
pi'tuto  difenderne  gli  occhi  miti,  cioè, 
eh'i»  non  P  avesti  retta,  aoateoata. 

62.  fiutilo  di  fulgori,  aeorrtato 
fulgori,  o,  dove  cootinui  folgori  aada- 
Taoo  acorrendo  com'  onde.  Qncata  b- 
tiooo  a  cui  m'appiglio  è  delle  prioM 
edii.  di  Poi.,  di  Jesi,  di  Nap.,  e  ai  vari 
pregevoli  Codd.  La  com.  è  fulvidt*  ài 
fulgttriy  che  potrebbe  apìegarai,  fulvo 
negli  splendori  che  mandava;  o  man- 
dante fuKi  tplendori.  Altri  testi  porta- 
no fluridn  di  fulgori,  che  aarcbbo  la 
ateasr  ch<  flmiàt* 

Of.  rhi  on  H^^etmMerivé^  cai  ava 
contorna .  legati  ir  oro 

6S.  miro  gurge,  raaraviglioeo  fa- 
me di  luce. 


"^IS  DEL  PARADISO 

L' alto  disio  che  mo  t' infiamma  ed  urge 
D*aver  notizia  di  ciò  che  tu  Tei, 
Tanto  mi  piìace  più  qoanto  più  turge. 

Ma  di  qae>t*  acqua  convien  che  ta  bei, 
Prima  che  tanta  aete  in  te  si  sazi  : 
Così  mi  disse  il  Sol  degli  occhi  miei. 

Anche  soggiunse  :  lì  fiume,  e  li  topazi 

Ch*  entrano  ed  escon,  e  il  rider  dell'  erbe 
Son  di  lor  Toro  ombriferi  prefazi  : 

Non  che  da  sé  sien  queste  cose  acerbe, 
3Ia  é  diretto  dalla  parte  tua, 
Che  non  hai  viste  ancor  tanto  superbe. 

Non  é  fantin  che  si  subito  ma 

Col  volto  verso  il  latte,  se  si  svegli 
Molto  tardato  dall'  usanza  sua, 

Come  fec*  io,  per  far  migliori  spegli 

Ancor  de«;li  occhi,  chinandomi  all'onda 
Che  si  deriva,  perchè  vi  s' immegli. 

E  si  come  di  lei  hevxe  la  gronda 
Delle  palpebre  mie,  cosi  mi  {jar^-e 


70 


,» 


70.  urge^  slìmolt. 

74.  tei,  vedi,  dnirtnlìq.  rcert  o 
reire. 

72.  quanto  pf&  lurge»  q«an(o  è 
più  tnr|;iflo,  più  inlenso. 

75-7 1.  Afa  di  quest'acqua  ee.  Qai 
il  Poctt  prtisc^^ue  la  melnfint  dvl  Dame 
di  TÌTt  lue«.  Iii(«-iitli  :  ma  roiivirne  t-lie 
(■  luti  la  TÌKta  in  quiMa  'nce,  prima 
dw  il  tao  de-idrrìo  in  «Ma  ai  ac<|uii*ti. 

79.  it  Svi  degli  occhi  miei,  Bca- 
trÌM. 

76.  H  tnpaxi,  le  faville  che  itc- 
ra  veduto  uscire  ed  rntrare  nelle  rì- 
Tiera  di  luce:  e  qii«^t-  (runie  Tediatati 
in  epprcMo  ai  ▼.  94  e  teQQ.)  &ooe  |'i 
infrii. 

77.  •  a  rider  dell'erbe,  éoh  dei 
fiorì  ;  i  anali,  come  vrd.<ai  ai  dvlli  ver- 
•i,  fono  le  animp  unian*  brute. 

78  ombriferi  prrfazi,  eenni  pre- 
ttminari  ad>  uibrativi,  lijjurr  p'cdlino- 
•Irali^e  del  loro  vero,  o  di  quel  che  ao- 
Boio  realtà. 

79.  da  iè  acerbe,  difficili  per  tè 

Me  ad  inti>ndi>rei. 

81 .  riffe  ancor  tanto  iuperht,  ti- 
flo  Hie  tanto  a'  innalci.  che  taiit»  ftoasa. 
Qui  la  parola  iuperbe  è  UMto  nel  senso 


che  ha  talvolta  nel  lat.  la  voee  ttper- 
bui,  di  mito,  elevato. 

82.  fantin,  bombino.  — raa.  vj  U 
fretlidoMmtrnlc.  Ilal  vn  bo  lat.  ms.ii. 
riiere.  nari|ni>  i'aiit.  iloliauu  ntf*. 

81.  MoUit  tardalo  et.  Mate  pii 
tardi  dell'  ora  in  che  ^  «ulilii  fBfftn. 

85-86.  per  far  migliori  ^" 
Ancor  ec.  CtMr.  :  per  fmr  rffffiaab 
ipegli  Ancor  miijlitrri.  Co*,  ferbi 
81  elle  i  mici  cM-dii  Ji*eDu»croaacù 
più  forti  di  q«i*|  che  erano,  W  ìMP' 
a{«rt-hi  alle  c««e  ili  fa  ••ri,  oaaàa  a  rin^ 
Tero  le  inimaj^ini  degli  lìbieCli  orts*. 
che  è  quanto  ilirc,  per  «ttaan  mtf  ' 
più  Id  \iitu  vì*.i\a. 

8i'.-87  all'onJar  iot.  albiirr' 
di  lume  di  che  al  v.  62.  ^  Ck»MÌd:- 
rito,  che  arorre  dal  divin  (n«k,  atif 
che  la  ti\ta  drllc  anime  ei  s'imam$l . 
vi  »  fjcria  ni<gliiire,  e  \t  d-vaagaiW 
a  ao»tenerc  la  pieoetra  dclUlia i- 
Dio. 

88.  E  H  coma,  e  tosto  d»,  S  W. 
di  quell'  unila,  òerec  /•  gr^màm  JlrUr 
palpi  bre  mie,  be«  ve  reairvimtk,  PoiW 
d.  Le  m.e  iialprbre  ;  cha  è  nmut^én- 
appena  mi  \ì  affarnai. 

89-90.  rofi  mi  parve  Di  ma  te  • 


CARTO  TREIVTESIMO. 


7li> 


Di  sua  lunghezza  divenata  londa. 

Poi  come  f^nte  stata  sotto  larve, 

Che  pare  altro  che  prima,  se  si  sveste 
La  sembianza  non  soa  in  che  di-;pai  vo  : 

Così  mi  si  cambiaro  in  maggior  feste 
Li  fiorì  e  lo  faville,  si  eh'  io  vidi 
Ambo  le  corti  del  ciei  manifeste. 

0  isplendor  di  Dio,  per  cni  io  vidi 
L*a'.to  trionfo  del  regno  verace, 
Dammi  virtù  a  dir  com'  io  lo  vidi. 

Lume  è  lassù,  che  visibile  fare 
Lo  Creatore  a  quella  creatura, 
Che  so!o  in  Ini  vedere  ha  la  sua  pace  ; 

£  si  distende  in  cirraìar  figura 
In  tanto,  che  la  saa  circonferenza 
Sarebbe  al  Sol  troppo  larga  cinlura. 

Passi  di  raggio  tutta  sua  parvenza 

Refìesso  al  sommo  del  mobile  primo, 
Che  prende  quindi  vivere  e  potenza. 

£  come  clivo  in  acqua  di  suo  imo 

Si  specchia  qua:KÌ  per  vedersi  adorno, 


9c^ 


9^ 


iOO 


10^ 


110 


mi  parte  che  la  6(pira  Hi  quell'aeqM 
che  (iianxi  era  lun|;a,  diwnine  mCunìla. 
La  lunjhcna  «Irl  Giiaie  atirnifica  il  pro- 
cedere delle  ert-atara  da  Dio  ;  la  figura 
pei  circolare  die  prende,  il  ritumu  di 
esae  «1  Ivro  pi  incìpiii. 

91.  itala  tallo  larve,  aiaU  na- 
•cherata. 

92*'J3.  Che  pare  altro  che  prfaia 
ce.  Coalr.  e  mi  .  tlif  sr  si  «ti^tp  la  aei»- 
bianza  nini  aaa,  in  che  disparte,  riiiè 
•oCUt  alla  quale  ai  nascote,  par  tali' al- 
tra ^»  quella  che  era  prìua  che  ti  tri- 
Tesliase  ce. 

01.  mi  ti  ramhiaro  in  m^gfor 
fette:  mi  §i  mostrai unu  in  ma^ijinr  le* 
tùia,  mi  apparvrru  in  piò  bella  fitta. 

95.  Li  fiori  e  la  favilla,  cioè,  le 
•Bime  e  gli  anfri-li. 

96.  Amho  le  enrlir  tanto  qnMIa  de- 
gli Angi'll,  le  faville,  che  quella  dèlie 
ttimc,  i  fiori. 

99.  ettm'  io  h  vidi.  Qneata  triplice 
ripctàziooe  della  rai-ileBÌma  partila  vltfC 
in  rima,  non  e  s«*n7a  il  %um  perchè:  il 
Poeta  vuleva  rìrhianiiir  l\iliui  atlen- 
f  ione  su  questa  miracolosa  vitiune,  che 


èli  punto  più  importante  e  la  eataatrofe 
del  Pitema  ;  e  però  nota  enfaticamente 
prima  il  fatt»  della  «isiooe  a  lui  ginota, 
poi  il  iiie/.Ko  linde  l'ebbe,  e  quindi  pre- 
ga di  poter  descriverne  il  eonae,  ripe- 
tendo per  trf  viilt«>  in  line  di  verso  qaafi 
a  modo  di  trionfo  il  eoONeguit»  vidi, 
CiHii  ostei  vani  Hill  altrove  ripetute  per 
iiin-1  niaiiiiTa  !a  pMroln  Critlo. 

IU2  Che  tolo  in  lui  vedere  m.s 
cbe  tro«a  la  so<i  pare  8*do  nella  viatA 
di  Ini. 

I05.  Sarebbe  al  Sol  troppo  tmrgm 
cintura:  n'avanzerebbe  a  Usctare  il 
fole  \  dunquf  multo  più  ampia  delia  ór- 
Confeienza  di  lui. 

106  Fatti  di  raggio  tutta  mut 
partenza  ee  Quant'  egli  anparikce,  ai 
fonila  d*on  raggio  solii  ed  ua.te  che 
rìfl.-tii^i  al  tommo  del  mtìbile  priato, 
•Ila  parir  !»u|ieriore  del  prim*»  mobile^ 
il  quale  appunto  da  que>to  raggio  pren- 
de vita  e  putetixa  di  operare  nei  cieli 
sottqiosii. 

I0*J-I  ILE  roine  diva  ee.  E  come 
cffeo. Citile, in  acqua  che  scorra  all'ima, 
ana  falda  ai  syecvlwm^  i^^mx  ^«t  ^«àk^^ 


Ito 


DBL  PARAJ>IfO 


Qaando  è  nel  verde  e  ne*  Gorelli  opimo  ; 

Sì  soprastando  al  lame  intorno  intorno 
Vidi  specchiarsi  in  più  di  mille  soglie. 
Quanto  di  noi  lassù  fatto  ha  rilorno. 

E  se  r  infimo  grado  in  sé  raccoglie 

Sì  grande  lume,  quant*  è  la  lar^liezza 
Di  questa  rosa  neir  estreme  foglie  ? 

La  vista  mia  nell*  ampio  e  nelPaltezza 
Kon  si  smarriva,  ma  latto  prendeva 
Il  quanto  e  il  quale  di  quella  allegrezza. 

Presso  e  lontano  lì  né  pon  né  leva. 
Che  dove  Dio  senza  mezzo  governa. 
La  legge  naturai  nulla  rilieva. 

Nel  gialio  della  rosa  sempiterna  (*) 
Che  si  dilata,  rigrada  e  redole 
Odor  di  lode  al  Sol  che  sempre  verna. 

Qual  è  colui  che  lace  e  dicer  vuole. 
Mi  ti  asse  Beatrice,  e  disse  :  Mira 
Quant'  è  il  convento  delle  bianche  stole  ! 

Vedi  nostra  città  quanto  ella  gira! 
Vedi  li  nostri  scanni  sì  ripieni, 
Che  poca  gente  ornai  ci  si  disira. 


Hi 


ij) 


i!i 


Gì 


tdorno,  Quando  è  nel  verde ^  aaando 
è  opimo,  rino,  di  vonliira  e  di  fiori, 
qaaodo  è  primavera.  Io  molli  testi  ù 
legge  Quant' è  nell'erbe  ee. 

412.  iopraslando  si  rifcrÌKe  tlte 
anime  che  ti  bpccckiaiiu  nel  lume  sotto- 
stante. 

444.  Quanto  di  noi  ec.  qoante 
anime  partendosi  dai  corpi  mortali  han- 
no fatto  rilorno  a  Dio,  dalle  coi  mani 
erano  ascile  in  prima. 

44G.  quant' è'  immaginate  quan- 
ta esser  dee. 

447.  Di  questa  rosa  ee.  Il  Poeta 
diri  in  appresso  mme  la  ktioltura  di 
questa  celeste  gradinala  imitaske  la  for- 
ma di  una  rosa . 

418.  fie/r  ampio,  nell' ampieiza. 

449.  prendeva,  rninpiendet a,  ab- 
bracciava.—  Apprendeva  legge  il  Cud. 
AnUld. 

420.  Il  quanto  e  il  quale,  la  quan- 
tità e  la  aualilk. 

4  2 1  -  4  25 .  Pretto  e  loiiloiio  ce  .\«vl.*. 
Tidnanza  e  \ontftna\\iA  nt  pon  nklcro, 
né  ajgiuiiQe  ne  UijjVie  \\»iV.  %\  \%^*i:«\^ 


perocrhè  dorè  Dio  goTcraa  ■eoirìa' 
terposi/iime  delle  cause  tccoode,  tnA 
legge  di  natura  |»er  le  queic  le  am» 
più  fortemente  agisce  io  Vicinaanape 
debiilmenle  in  dì^t^nza,  nullm  rtfùw, 
niente  fa,  o  non  ha  ivi  alcan  Inugs. 

424.  AVI  ginilo  dtila  rMc  Im 
rosa  aperta  mostra  uri  oetitrv  akiftUi 
gialli.  Qui  a%endo  il  l'uele  «eft*>«ifl4b 
e  uua  rosa  la  cii  culer  grada  fiat  ^ 
seggi  dei  Ufdti,  cIiìuiqìì  il  guttoÀ  em» 
roM  il  cii  Colar  luiue  t  he  ere  ari  mit» 
e  nel  fiindo  dei  gratli  eM-endcoti.  L. 
qualdie  Codice  leggeM  //  fi§ii»  ésìié 
rota. 

n  Forma  del  Peradìso. 

125  rigrada,  k'iniMize  pTgraf. 
—  redolf,  oli  zza  ;  lUi  Uc  rvrfeler*. 

4  20.  che  sempre  rema,  cW  in 
proti u;*e  eterna  priuiaterj. 

420.  Quant' è  il  cusarmle  •.; 
qaanta  é  r.iduiianza  di  culvr.»  che»ea 
edi»rni  drlle  bianche  alale,  drlleW*' 
cUe  %ef>li  !   Ni'irA|Micelisee   i   Bmati  cht 


i': 


CANTO  TRENTESIMO. 


7H 


In  quel  gran  seggio ,  a  che  ta  gli  occhi  tieni, 
Per  la  corona  che  già  v*  è  sa  posta, 
Prima  che  tu  a  qaeste  nozze  cent, 

Sederà  Talma,  che  fia  giù  agosta, 

Dell'alto  Arrigo,  eh* a  drizzare  Italia 
Verrà  in  prima  eh'  ella  sia  disposta. 

La  cieca  cupidigia,  che  v'ammalia. 
Simili  faltì  V*  ha  al  fantolino, 
Che  muor  di  fame  e  caccia  via  la  balia; 

E  fia  Prefetto  nel  foro  divino 
Allora  tal,  che  palese  e  coverto 
Non  anderà  con  lui  per  un  cammino. 

Ma  poro  poi  sarà  da  Dio  sofferto 
Nel  santo  ufficio;  eh*  el  sarà  detruso 
Là  dove  Simon  mago  è  per  suo  morto, 

E  farà  quel  d' Alagna  andar  più  giuso. 


izs 


i40 


145 


4  34 .  Per  la  coroiui,  mtraviglioto 
per  U  corona  imperiale  posta  sopra 
esso. 

435.  Prima  ehe  iu  ec.  Prima  Ae 
tu  in  qaesto  (jaudio  del  cielo  perrengt. 

436.  che  fia  giù  agotta:  cioè,  eh« 
in  (erra  sarà  augusta,  avrk  imperiale 
dignità.  Qui  Dante  finge  di  predire 
nel  -1500  la  coronaiione  di  Arrigo  di 
Lucemburgo,  che  segui  nel  4308. 

458.  m  prima  ch'ella  sia  ditwh 
gtm.  Cbe  Terrà  a  riformare  Itulia  pneit 
<he  ella  sia  giunta  a  qnol  grado  di  ci- 
viltà che  B  richiede  per  eaaer  Imim  or- 
dì nsta,  onde  sarà  van»  ogni  svo  tenta- 
tivo- —  Vedi  P%rg.,  Canto  VII,  ? .  M 
in  nota. 

439  9' ammalia^  ti  affottort,  • 
quasi  per  occulta  malia  ti  goasta  nel- 
l' animo  e  \i  corrompe. 

440-441.  Simili  falli  9'ha  ai  fm- 
MinOj  ec.  Dipinge  l'imbi>ciliitè  elapn- 
zìa  degli  uomini  agitali  dal  diabolico  spi- 
rito di  divisione,  cbe  paragona  al  bam- 
bino che  morendo  di  lame  caccia  da  sé 
la  balia  cbe  vorrebbe  ristorarlo.  La  ba- 


lìa era  Arrigo,  il  fantolino  erano  gl'Ita- 
liani; il  ricreamento,  la  rcslaaraziooc 
bell'impero. 

442-443.  B  fia  Prefrllo  nel  fora 
ditino  ec.  E  ellora,  qoando  Arrigo  mo- 
Terb  air  impresa ,  sarà  prefeUo  nel 
foro  dtrinOy  capo  supremo  della  Ghie 
sa,  la  cui  autorità  è  solo  nelle  cose  spi- 
rit«ali  e  divine,  ial  ec. 

4  44 .  Kon  anderà  con  Ini  oc.  :  gli 
iàrfc  contrario,  gli  farà  contro,  tanto  io 
pelcae,  cbe  in  oecvito.  Abbia»  parlato 
molte  altre  volle  di  <|«csta  oppoaiiione 
di  Clemente  V  ad  Arrigo  «i  Lnsacflir 
burgo. 

4  46-147.  ch'el  mrà  délruto  là 
doro  Simon  mogo  ee.  :  cb'  <^  sarà 
per  suo  merto  cacciato  già  nella  M- 
fia  diiv^è  Simon  mago.  CleBcnta  moti 
nel  4314. 

448  E  foràqueld*Àlagnmoe.E 
farà  cbe  Bonifazio \  111,  natiTu  d'Anacni^ 

Sreripiti  pio  gin  per  entro  el  foro.  Vedi 
nf..  Canti» XIX,  v.  76eaeg.  —  andar 
pie  giuro  e  les.  dei  Codd.  Aot.,  Cbig. 
•  Caet.  La  com. :  eiter  pik  giuio. 


K\ 


lU 


DEL  PARA  DUO 


CAMTS  TMVmAMammWHMWMi 


Mtmtn  il  Pottm  ttm 
m,  mrgtMéogU  M  MTBic  mUtH  émèèm,  m  mlg** 
e  Im9ec0  Ji  t/vmm  mecmmf  S.  Mtnmrém,  aàt  gU 
tute  mttntt  U  —ftu^mù.  À  ht  pttmm  él 
din  m  Imi  grmxui  «otsmtm.  Dtpm  ci*.  5. 
t0,  é  tmtmmf  fh  «ecouM  Im  pUt 


tmitm  imMimma  dW 

im  Ùammm  «m  gtè  tmrmmtm  mrUm  mm  m»  dU  t 
ie  M«M  rjUgl^trt  ,0im  pfrgm  m  rw»- 
r  pmile  m  fmn»  a  fmrm£*' 
,  Im  Mmdn  et  Dm. 


Id  forma  donqoe  dì  candida  ro<a 
Mi  si  mostra^'a  la  milizia  santa, 
Che  nel  suo  sangue  Cristo  fece  s(K>sa. 

Ma  Taltra,  che  volando  vede  e  canta 
La  g'oria  di  Colai  che  la  innaniora, 
E  la  bontà  die  la  fece  cotanta , 

Si  come  s<-hiera  d*api  che  sMnGora 
Una  fiata,  ed  ana  si  ritorna 
Là  dove  suo  la%oro  s'insapora, 

Nel  {Tran  fior  di<icendeva,  che  s*  arioma 
Di  tante  foglie,  e  quindi  risaliva 
Là  dove  il  soo  amor  sempre  soggiorna. 

Le  facce  totle  avean  di  fiamma  vi^a, 
E  r  ale  d' oro,  e  Tallro  tanto  bianro. 
Che  nulla  neve  a  quel  termine  arriva. 

Quando  scendeen  nel  fior,  di  banco  in  banco 
Porge\-an  della  pace  e  dell*  ardore. 


IO 


a-3.  ImmUixia  «ml«  te.  IhWihIì 
!•  attMM  «mtDC  riM  Gf«u  Cristo  ctì 
meno  lUI  tuo  saainc  fece  tac  ipw , 
•ni  a  tè. 

4.  l'altra,  gli  tnf^Hì. 

^.  che  U  fere  eotmmlm,  cbt  la  fcca 
A  nobiW,  si  «rtrlM. 

7.  eh»  ^in/Lara,  die  m  p«M  m  i 
fiorì  per  («ricarsi  «Iella  materia  o«<U 
pai  cwnyaiie  il  iniel«. 

8.  Unm  fiatm,  ed  urna.  La  Nid.  té 
allrì  leali  Unm  fimèm,  ed  akrm. 

t.  Là  dote,  aM*al%eare,  s'i'i 
rttf  n  cuaverle  in  doler  miele. 

IO.  liti  gran  fiw,  od  gran 
^io  che  \  a  «Il  grailu  io  gra«lo  a  gaiM 
delle  fiiglie  nella  rtnt^  e  pei  quali  gradi 
•ODO  diairibuili  i  b«*ati. 

41-12  e  quindi  ritmlira  «e..*  a 
qaiod.  «sM  icliiera  degli  angeli  ai  rial» 
Mft  al  tao  amnre,  a  \>io 

48.  Lf  /iacee  ee.  W  etAor*  i\  ^*wk- 
■a  Tifa  dcottta  la  carilÀ^  V«  aVx  4^  qc% 


Mgoifieaao  la  sapieoaa;  H 
lapnriU. 

15  a  9««J  fermlM,  o  ^««l 
di  btaa«-lie<za. 

46  di  baneo  im  hmme»^  S 
in  grado  — di  bianro  in  bimmet^ 
il  diala,  legg^  od  i  Omdd.Cmm,. 
e  quraU  lei.  e  bella.  K«  vaW  il 
Cnai  sarebbe  ri|ieluU  l«  vm 
èooila  Umilia,  aolee.;  parrà 
•ggettÀv»  e  i|ui  aftOanb*»,  «  i| 
cuai  no  vnai  di  uoi  mcd«ai 
d»  tigni bruifNie  diverga  è  TrMi 
p«eti.    I    griidi   della    roa 
biaorbà,  p«*iebè  i  Ut-ati  cfcr  «■■ 
erann  weNiiti  «li  candide  tMe     ,._ 
bimtteo  in  bianco  «i^nifit  berrkbc 
■n  nriline  in  uo  allro  d«|  graa 
gradualo,  o  d«-lia  ranilida  ro^a 
la  ebiama  il  IWta    C(«i    il   prrl 
CmX»\  TO%  v*»  TWttt^  ^«HMrei  la  eoa 


CANTO   TBEHTESmoraiMO. 


753 


Ch*egli  acqaigUnran  ventilando  ilflanco. 

Né  lo  inicrporsi>tra  il  diaopr»  e  il  6ore 
Di  tanta  pienitQdine  volante 
Impediva  la  viijtta  e  lo  Sfilendore; 

Cile  la  luce  divina  è  penetrante 

Per  l*  universo,  secondo  rb'  é  de^^, 
Sì  che  nnlla  le  poote  eef«re  ostante. 

Questo  sicuro  e  gaudio»  r^no, 

Frequente  in  gente  antica  ed  in  no^nella» 
Viso  ed  annere  avea  tutto  ad  on  segno. 

0  trina  luce,  che  in  aniea  stella 

Scintillando  a  lor  vista  si  gli  appaga, 
Guarda  quaggio.^  alla  nostra  procella. 

Se  i  Bart>ari,  venendo  da  ta(  plaga, 
Che  ciascon  giorno  d' Elice  si  cuopra, 
Rotante  col  suo  figlio  ond*  ella  è  vaga, 

Veggendo  Roma  e  l' ardua  sua  opra 
Stupefacensi,  quando  Laterano 
Alle  cose  mortali  aedo -di  sopra  ; 


SO 


SS 


SO 


Zi 


1 8  Ch' egli  acqmiilaran ,  che  nù 
•nge  i  irquistavano  rentiland»  9  Mtn^ 
co,  battendo  le  ali  io  allo,  o,  oelrelc- 
varu  a  Ilio. 

«»-20.  Aie  U  ÌMÌfrp&r9Ì€9.  Ot$lr, 
e  int.:  Né  Vimlerporti  di  imulm  w 
tante  pleniiudime,  cioè,  tli  ianla  •  ik 
denta  moltiUidioe  d*»ageli  valwili  tra 
il  diiopra  €  il  finte,  cioè  tra  il  itivi» 
trotto ,  eh*  era  ìm  alto,  e  la  raas^eh»»- 
maseva  aolto  aa. 

21.  impedir m  la  viilr*  Uafadiv» 
la  viala  di  Dania  che  non  pnicaaaaiMIma 
Dio,  e  lo  splendore  di  Di»  eh»  mm  fa»- 
tesse  diarcMore  agir  nerbi  di  awallaiiU. 

23.  secondo  eh'  è  dffma:  aeeaBdt 
il  medod'aaaare  e  la  TÌrta  «li  ciaaeMia 
parie.  Vedi  i  primi  veni  del  CmiIo  1 4à 
questa  Caalifla. 

24.  eti9re  ottanU,  farle  inp«dW 
mealo. 

25  «{euro,  lr8iM|villo. 
2fi.  Frefmomto  m.,  nvvMPat».  èek- 
moli  del  VecHùo  e  Noovo  Te»iaiu«mlo. 

27.  ì'iao  oe.T  avrò  gli  «celli  e  il  ^ 
siderio  rivolti  interanaale  ad  wi  ■§• 
eoo,  a  Di«. 

28.  O  4rlM  luce  ar.  Si  aeeMu»la 
triniti  dell*  penoao  disìae  ia  nna  anln 
rtseaia. 


29.  ti  gli  appaga.  È  queata  an'an- 
lira  forme  delia  seconda  pertnoa  del 
pres.  ind.  della  pi  ima  cooiagaxiooe  co- 
piala dal  lat.  Goar  da  amm,  fwroè,  ai 
fere  I».«imi^  Imghàrmi  oaàa'appagm 
ala  ^ni  per  appaghi.  \  arj  eMwpj  an  na 
hanno  negli  antichi  serittori  ;  dm  M  ci- 
lare  nn*  a»U  di  Oinllo  d' Aleaao  : 


§»  ■«  ali  EvaogHIn, 
Ali 


^i 


cìoèaei 

50.  alla  naolra  prartHa,  al 
dtnato  e  se^nvidlo  alalo  d' llilia. 

51-33.  éa  tei  pl^«r.:  de  til  r». 
giMM  delle  terra,  die  in  ciiaann  gìnnio 
venga  ad  eaaere  coperta  dalla  «aalallt- 
tiana  aeltrntr innaia-  ini  ■inaH  Eliaa 
(  l' Orsa  niaggiiawl,  che  ai  aggira  vicina 
all'altra  enairllatiana  càa  ha  naoM  dal 
saa  Sglimil»  B«N>|«,  a  Artara.  Accaaaa 
i  barbari  drl  Sellenirione  ai  «Mali  ratea 
tempre  mi  ca|io  quelie  coetellaaioai^^ 
tea  preaao  al  polo. 

54.  Fatdma  tma  apra,  l'aecelw 
taa  fabbrirbe;  o  le  ardae  awli ,  i 
graaditiai  lavori,  a  i  moaoawatf  «R  etri 
è  tpania 

5*-«i .  «|«mdn  IjaterwM»  X^arw^ 
nMnrUii  o«dè  rtl  aoxtr»^  ■"«•■■■V^, 
tcin^  «lc\  0*%V.^A«o  vr\  Vafi»^  *5««»^ 


1S4  DEL  PABADUO 

Io,  che  al  divino  dall*  mnaiiOy 

Air  eterno  dal  tempo  era  venntOy 

E  di  Fiurcnza  in  popol  gtnslo  e  sano. 

Di  che  sìu[ìOT  dovea  esser  compiuto  1 
Certo  tra  esso  e  il  gaudio  mi  fooea 
Libito  non  udire  e  aUimi  muto. 

E  quasi  peregrin,  die  ai  ricrea 

Nel  tempio  del  suo  voto  riguardando, 
E  spera  giù  ridir  com'  elio  atea  ; 

Sì,  por  la  viva  luce  passeggiando. 
Menava  io  gli  occhi  per  li  gradi. 
Or  su,  or  giù,  ed  or  ricirculandò. 

Vedeva  visi  a  carità  soadi, 

D*  altrui  lume  fregiati  e  del  ano  riso. 
Ed  alti  ornali  dì  tutte  onestadi. 

La  forma  general  di  Paradiso 

Già  tutta  lo  mio  sguardo  avea  compresa. 
In  nulla  parte  ancor  fermato  fiso  ; 

E  volgcami  con  voglia  riaccesa 

Per  dimandar  la  mia  Donna  di  cose. 
Di  che  la  mente  mia  era  sospesa. 


40 


1:1 


.'O 


•ia  toUe  le  parti  del  niondneilairulliroo 
ti'tioiitrione,  posposto  ogni  altro  tempo- 
Tale  interesse,  corse  io  gente  a  Lateraoo 
arirevere  la  (*rao  pordonanza. 

57-58.  lOy  te.  Frrrhè  questo  verso 
bini  alla  misura^  deve  farsi  di  duo  siila- 
\e  io,  ed  evitare,  come  tanto  altre  volto 
ii>ii  Dante  e  gli  antichi  poeti,  l'elisione 
lU'l  monosillabo  che  avanti  vocale.  Lq 
M<l.  ha:  lo  eheera  al  divino  dall'um»- 
9io,E  alVetemo  dal  tempo  venuto .  M a 
JK-Ila  lei.  che  ho  seguitalo  si  ha  migliore 
andamento  di  frase  e  maggior  forza  ;  e 
ainiili  versi  non  son  tanto  rari  in  Dante 
»  negli  altri  poeti  antichi. 

59-  E  di  Fiorenza  ee.:  e  da  un 
»(>polo  corrotto  e  folle  come  quel  di 
Firenze ,  a  una  società  di  giusti  e  per- 
ii ili  cittadini. 

4 1-42.  Certo  tra  etto  e  il  gaudio 
«e.  Orto,  posto  in  roez7o  ad  esso  stupore 
e  al  gaudio,  m'era  diletto  il  non  udir 
variare,  e  tacermi:  e  ciò  è  ben  naturale 
M  quella  disposizione  d'  anima. 

43-45.  E  quoti  peregrin  ee.  E 
«nasi  uellegrino  che  si  ricrea  al  riguar- 
éare  il  tempio  de\  tuo  ^ulA\ù«^\\\«a- 


pio  che  aveva  fatto  voto  di  visitare |,  ( 
spera,  rìtoroalo  a  casa,  di  ridire  «t  i 
questi  ora  a  qae(vli  come  esso  tespv 
sia  fatto  e  che  contenga. 

46".  paleggiando,  spaziaodo  din»' 
semente. 

48.  Or9Vk,or  gii^  or  in  alto, crii 
basso,  ed  or  ricìreuiando.  ora  attorv, 
in  cerchio.  Mio  $u,  mo  già,  9mtt> 
ciremiando.  leggono  le  edizioai  difcni 
dalle  Nidub. 

49.  a  caritè  9uadi,  peiMadcab, 
moventi  a  carità. 

50.  D'altruiiume,  dì  qoéWàe 
emane  Iddio,  e  del  guo  riso,  e  del  {si- 
gore  proprio ,  che  nasce  da  seatìU  )f 
tisie. 

54 .  Ed  atti  ornati  di  tmitt  •■«> 
ttadi.  E  movenze  adurne  del  bcflai 
delle  attrattive  di  tntto  le  TÌrtè  naoito. 

M .  Iit  nulla  pmrU  ee.  :  scesa  » 
seni  ancora  aflisaaCo  in  almui  Mtt» 
particolare  di  ceso. 

55.  riaeceta,  fortemente  aweess. 
57.  ùi  che  la  wente  mia  ee.'  ìa- 

torso  elle  quali  io  avea  qaaldie  dsà- 
blo  che  mi  tenca  sospeso. 


CAMX>  TRENTESIMO  PRIMO.  72S 

Uno  intendeva,  ed  altro  mi  rispose  : 

Crcdea  veder  Beatrice,  e  vidi  an  Sene 

Vestito  con  le  genti  gloriose.  m 

Diffuso  era  per  gli  occhi  e  per  le  gene 

Di  benigna  letizia,  in  atto  pio. 

Quale  a  tenero  padre  si  conviene. 
Ed  :  Ella  oV  è  ?  di  subito  diss*  io. 

Ond'  egli  :  A  terminar  lo  too  disiro  «s 

Mosse  Beatrice  me  del  luogo  mio  ; 
E  se  riguardi  su  nei  terzo  giro 

Dal  sommo  grado,  tu  la  rivedrai 

Nel  trono  che  i  suoi  morti  le  sortirò. 
Senza  risponder  gli  occhi  su  levai,  7$ 

E  vidi  lei  che  si  facea  corona, 

Rillettendo  da  rè  gli  eterni  rai. 
Da  quella  region,  che  più  su  tuona, 

Occhio  mortale  alcun  tanto  non  dista, 

Qualunque  in  mare  più  giù  s*  abbandona,  7S 

Quanto  li  da  Beatrice  la  mia  vista; 

Ma  nulla  mi  facea,  che  sua  effige 

Non  discendeva  a  me  per  mezzo  mista. 


^rt  che  TI  tlireblM  per  dai,  E  p«r 
coDTÌneerM  di  ciò,  redàsi  il  Canto  Mf. 
dal  Tarto  7  io  Ik. 

69.  Nti  trono  che  i  tmoi  wurti  as. 
—  AVI  trono  m  dba  twH  merii  Im  ior- 
tim,  Icfffe  la  Nidub.  Ancba  di  q«i,  ea- 
■w  da  altri  luoghi,  ti  \eda  die  Beatriea 
BOB  è  aempra  nel  poema  nn'  idea ,  wam. 
qoalcba  vulla  è  lempliremaata  l' aidflMl 
lara  a  reale  della  gioTine  Portinarì. 

74 .  dka  f<  ftM  eoronm  ee..*  iflt 
da' raggi  eti>mi,  die  da  tè  rfieltara. 

75-7S.  Ita  qn»tta  region  «0.  Gaatr^ 
Aienn  occhio  mortale,  «fuatvmqm»  pie 
fià  f '  abbandono  in  mmr§,  fWM  dUf 
telile  da  quoUa  regione  eh»  pOt  w 
hunm,  guanto  ee.  E  rad  dira,  dw  tià 
rigvanlaiae  dal  fondo  del  pie  alto  Ba- 
ra, Tedrebba  I'  oltioia  regiona  del- 
l'atmoafera  HMtto  dittanta  da  lè,  di 


58.  Uno  intendeva:  nno  era  il 
intendimento,  e  la  mia  aspettativa,  cioè 
di  Teder  6i>atrica  e  d' ivere  •cbìari- 
mento  da  lei  :  —  ed  altro  mi  ritpoee, 
ed  altra  una  beo  dÌTeraa  enrriapoaa  al- 
r intenzione  mia,  e  alla  mia  aapctla- 
tiva.  Beatrice  ha  già  eonipitu  il  a«o 
afficio  ;  e  condotto  Dante  alla  tiaiaoa 
di  Dio,  ai  toma  acni' altro  al  too  aaggìo  : 
e  coti  vedemmo  avvciiir  di  Yiigilia  au 
Faradito  terrestre. 

59.  Sene,  vecchio,  dal  lai.  »§ne» 

60.  con  le  genti, cioè  eom  le  genti, 
come  le  genti;  e  8cri>eti  ancba  e^tle, 
della  qnal  liicuzioiia  parlammo  altrare. 
Questi  é  S.  Bernarao,  adomo  dì  ona 
vette  timila  a  qoella  degli  altri  Batti. 

64 .  per  le  gene,  par  la  gota;  dal 
lat.  gena. 

68.  Dal  tommo  grado,  facendoti 
dall'alto  ;  oaaia  nel  teran  giro  partaado 
dal  grado  uipremo,  ove  ha  il  troaa  Ma- 
ria. Il  Biagiidi  legga  colla  e»m.  nri 
terxo  giro  Dei  tommo  grado,  •  apio> 
ga,  od  teno  acaooo  in  giro  dd  grado 
aommo.  Ha  qoaodo  mai  giro  ha  aSgoi- 
icato  teemnof  Ancba  leggenda  dei,  wÀ 


md  rho  fi»aae  il  mio  occhio  da 

77-78.  Jlii 
tanta  dittaoia  noo  era  di  aicnno  imp^ 


nulla  mi  fmeee^  Dna 


mi  fmen, 
di  aMnaoti 


dimeoto  al  veder  mio.  —  per 
mietei,  àoè  frammitta  ad  aleno  corpn 
poeto  fra  gli  occhi  dd  rìgnardanta  a 
l'aggetto  vadota. 


7t6 


DEL  PABAOMO 


0  Donna,  in  cui  la  mìa-sperMisa  vt^e, 
E  che  soffristi  per  la  mia  «tiute 
In  Inferno  lasciar  le  4110  vestige  ; 

Di  tante  coeo,  quanto  f  ho  vedale. 
Dal  tuo  podere  e  dalla  tua  bontale 
Riconoeco  la  graiSa  e  la  virtule. 

Tu  m*  hai  di  servo  tratto  a  tiberUte 
Per  tutte  quelle  vie,  per  luti*  i  modi 
Che  di  ciò  £ire  «vean  la  potestale. 

La  tua  magnLGcensa  in  me  costodi. 

Si  che  r  anima  «lia,  che  fatta  hai  sana. 
Piacente  a  te  dal  corpo  ai  disnodi. 

Cosi  orai  ;  e  quella  M  lontana, 

Come  parea,  sorrìse,  e  rì^uardommì  ; 
Poi  si  tornò  ali*  etema  fontana. 

E  il  santo  Seno  :  Acciò  che  tu  aasommi 
PerfoUameote,  diase,  il  tao  cammÌDO, 
A  die  prego  ed  anoor  santo  mandommì, 

Vola  con  gli  occhi  per  questo  giardino  ; 
Che  veder  lui  t*  accenderà  lo  sguardo 
Più  a  montar  per  lo  raggio  divino. 

E  la  Regina  del  cielo,  ond*  io  ardo 
Tutto  d' amor,  ne  farà  ogni  grazia , 
Però  eh'  io  sono  il  suo  fcdel  Bernardo. 

79.  vige,  dal  Ut.  vigere  -  ù  man- 
tieiM  figoroM  e  tempre  verde. 

8t .  In  Inferno  lasciar  le  tue  te- 
ilige:  Iwciar  l'orme  de'saoi  mdU 
piai  io  loferoo ,  nel  Limbo ,  do? e  ti 
recò  ■  troTar  Virgilio. 

84.  e  la  tiriute ,  e  la  (urea  di  ve- 
dere Unte  e  ai  mirabili  coae. 

88.. La  tua  magni/icenxa,  gli  «Iti 
taoi  dooi.  Niuua  e*  m  ,  arroiido  Dante 
medcùmo  nel  CttntUo,  Tratt.  I,  IO, 
•  WUtgnifica,  cioè  fu  Unlo  grande,  qun- 
to  la  graniiezaa  della  propria  boola,  la 
qnale  è  madre  a  comiervali-ice  delle 
altre  graiulcxze  ;  onde,  nulla  graodena 

Suole  r  nomo  aver  maggiore  che  quella 
ella  virtueaa  uperaxone  ec.  •  l>a  qmc> 
•le  parole  beo  ai  puà  raccoglier  il  vero 
Muao  della  naroin  magni^tensm.  È  oa- 
Mrvaxioae  del  eh.  1*.  Ponte. — cimImIì, 


IO 


« 


cf 


fj 


li\ 


92.  Cofme  parea,  come  appariva. 

88.  ii  tornò,  ai  voliò,  dal  prò- 

featale  tornar.  —  all'  eUrma  fonta- 


na ,  cioè  a  Dio ,  aleroa  Ionie  di  baat 

94.  auommi ,  cva4nem  al  aaaai 
cioè  all'  uh  mo  tcnnina. 

OC.  À  the,  al  <^m\  fioe.  —  pnf*> 
il  pregar  di  Deaii  ice.  —  ed  ennor  •aac 
e  la  niaat(Ma  carili  verno  diì  le.  Abo" 
credeno  ai  poua  riferire  a  laaiiei  a^ 
che  questo  amor  eanto.  A  aie  aaa  fan 

98.  Che  tedrr  Ini  .  c4è  la  vbtt  A 
lui.  racemifere  lo  tguardo  Fiè  ^ 
farà  più  vi\o  lo  sguardo.  Leaieee  br- 
liaairaa  e  confortata  dal  veeae  &I  ^ 
Canto  prcc.  :  E  di  morelte  «aia  « 
roccest.  Pureccbi  leali  haaoei'aiiafr 
rd,  cbe  a  me  par  aullo  preaaica;  qual- 
cuno acuird,  che  pur  potrebbe  eùit 

99   a  montar:  ad   àReltrortì  cn 
caaa,  a  peortrere,  ori  diivioo  aolead«a*- 

192  5.lieniar«looae^«aoalvdbf 
•iodi  Koiilaiue  in  Biirgi^Ba  ■■!  IÌ9l 
r  o  il  primo  abaie  di  Ckiar avalla:  ^ir- 
eilè  per  la  sua  doUrioa  a  laiììn  ai 
gran  potere  augii  aoioù,  e  fK  adaii  pia 
importanti  del  eoo  accolo  oor  la  ma^ 


CANTO  THEtlTESIMOrRIMO. 


lìl 


Qua-e  è  colui,  che  forse  di  Croazia 
Viene  a  veder  la  Veronica  nostra, 
Che  per  1*  antica  'fema  non  si  sazia, 

Ma  dice  nei  pensier,  fin  che  si  mostra  : 
Signor  mio  Gesù  Cristo,   Dio  verace, 
Or  fu  si  fatta  la  sembianza  vostra? 

Tale  era  io  mirando  la -vivace 

Carità  di  colui,  che  in  questo  mondo, 
Contemplando,  gustò  di  quella  pace. 

Figliuol  di  grazia,  questo  esser  giocondo, 
Cominciò  egfi,  non  ti  sarà  noto 
Tenendo  gli  occhi  pur  quaggiuso  al  fondo  ; 

Ma  guarda  i  cerchi  fino  al  più  remolo. 
Tanto  che  veggi  seder  la  Regina, 
Cui  questo  regno  è  suddito  e  devoto. 

Io  levai  gli  occhi  ;  e  come  da  mattina 
La. parte  orientai  dell'  orizzonte 
Soverchia  quella  dove  il  Sol  declina  ; 

Cosi,  quasi  di  Tallo  andvndo  a  reonte 
Con  gli  orchi,  vidi  parte  nello  stremo 
Vincer  di  lume  tutta  T  altra  fronte. 

£  come  quivi,  o\'e  s*  aspetta  il  temo 

Cile  mal  guidò  Fetonte,,  più  s'infiamma, 
£  qiiiuci  e  quindi  il  lume  si  fa  scemo; 

gior  parte  governai  oasi  per  il  di  lui 
consiglio.  È  noveralo  tra' Padri  Jella 
Cliiesa ,  cil  è  celebre  la  sua  difoiione 
Tcrsu  la  Msilre  di  Dio.  Mori  nel  HS3 

101.  la  Veronica  notlra,  ta  vera 
iniagine  di  Gtad  Criat»,  il  aanto  roiU 

Veronica  vicno  dai  lat.  tera  e  dal 


106 


IH) 


116 


ilo 


1S5 


no 


(jreco  (con ,  fera  imagine.  —  K  con- 
scr>'a  in  R<»nia  ,  rd  era  antiramenle  oa- 
g.  Ilo  di  molli  p«'llrgrinag(*i.  Vi  allttdf 
i:.rlie  il  Petrarca  in  quel  Suaelto: 
M  \t*i  il  Tcccliicrvl  ac 

IOj  Che,  il  quale,  per  f  amliea 
fama,  rlii'  sia  quella  ininia;«i«e  laacttta 
iii'jire^'Sa  di  Cripto  oiedesiino  ia  no 
f -./oK'Uo  rbe  gli  fu  porto  per  ascili- 
(v.i.fti  il  sudore,  mentre  audaia  ad  esser 
cr-*ciriMii ,  non  ti  taxia  di  riguardarla. 

toc.  fw(  pentirr,  dentro  di  sé.  — 
fin  che  ti  moitra ,  nicnlie  gli  ti  la  fe- 
dere, o  fiodiè  si  tiene  scoperta. 

III.  fililo  di'  quella  pace,  tua- 
poro  nelle  %w.'  ciuilcmplazioni  ^nella 
Le: I Illudine  di  che  ora  gode. 


4 12.  fHfilo  9t9erfi$€9mà9,  q[«flrta 
baaliludiue  eelnala. 

\  13-1 1 1  non  ti  tare  nolo,  non 
ne  acquisterai  bastante  conoacenaa,  Ta- 
nendo  gli  occhi  pur  «puiggiuto,  gnar- 
^ndti  aidanicnte  qnagfpè. 

HO.  (a  Regina,  Maria  Vcrgina , 
chiamala  da  &inta  Cliicen  Uegimm  omli, 

V20  Soverchia,  in  Uwo. 

121.  Coli  quati  te.  Così  girando 
gli  ecchi  quasi  dal  fondo  di  nna  Tallo 
all'ala-su  di  nn-iaontef  vidi  nello  f<ro> 
mo,  oell'  oltinio  più  alto  cerchio,  uoa 
parte  di  esso  rincer  di  luce  tutte  le 
nitro  parti  della  sna  circonferenza. 

421-126.  E  €owu  quiti  ee.  Int.:  a 
come  in  quella  parte,  o?e  ù  airHta  il 
timooe  del  carro  del  aole  ohe  Fetonla 
non  seppe  guidare  (oaaia  dova  il  iole 
sta  per  i»pniitare),  pie  a'infiiMOM  il 
ciclo ,  ov\ero  etto  lume;  M.fuind-o 
quindi  il  lume  ti  fa  aemnaee,^  ataar 
d'essa  P.iite,  di  qua  e  di  Ifc,  ilkuaa 
pei  de  di  iua  viverla,  ros)  ee. 


^^^^" 

1 

Cosi  quella  pacifioi  ortfiamma 

Nel  mezzo  s'  avvivava,  e  d*  Ogni  pnrle 

Per  ìnoùì  modo  allentava  la  tiamnia. 

E  a  quel  mei:to  con  le  penne  s[iBrW                         ID 

Vidi  più  di  mille  Angeli  feslanU, 

Cia^cuQ  di.ctlnlo  e  dì  (iilgore  e  d'  arte. 

Vidi  quivi  a'  lor  giuochi  ed  a'  lor  cauli 

Ridere  una  bellezza,  che  letizia 

Era  negli  occhi  a  miti  gli  allrì  santi.                  ra 

E  s'io  avessi  in  dir  laula  divizia. 

Quanta  ad  imai^tnar,  non  ardirei 

Lo  mìnimo  teuìar  di  sua  delizia. 

Bernardo,  come  vide  gli  occhi  miei 

'                     Nel  caldo  auo  calar  fì^si  ed  alleuli,                    i« 

Gli  suoi  con  lanto  affetto  volse  a  loi. 

Che  i  miei  di  rimirar  fé  più  ardenti. 

Bgtrndf|li.><iìcbìriidì  Fonemi, (alia       rU  di^  i.otì    cbc    io  1*  rni^in» 

poi  (oniiiM  id  nllrì  (Hipol'i ,  >  <h(  pars             458.  Lo  Brinim*  Umlar,  <m  » 

Hunri   nelle  lolcnni  proreuioni.  La      fn  ii  «primera  )■  Biniiu  Mri<  U 

«wrriera,   ■  lignlEaK    cbn    Unii             HO.  tfil  eaUo  tuo  tahr  fu^^ 

irìoBt,  ftr  !•  imort.                                  allmU:    iwll' .rd«.i.   fiitt.»  Ji  b 

)2B.  Itti  nniD.  ov'ai.  k,.             rli.  L'.gBiunlo  di  calda  ■  »«<«- 

inCi<uiMndì,Nnloidirtl3or».       è  «iou,  a».  >.!<  ■  f.n»  taHitJ^ 

ptr  pia  D  meno  ■pltii'lD»,  e  d'arKr .  .      Imtilk,  «  1.  foni  MV  m.uDM. 

(35  o'Jor  i|Ì«MM,.'lutl,lpuJj.       più  vojliuH.                   "^ 

CAnìTO   TREMTESiaiOSECOEVDO. 

.         c^u...^,.^... ,P-,.,..,„-..«,..,««„,^<«,^^    1 

.i,i.u-«-...i.»                                             ■^          .♦»-*■•««-.»*—    1 

Affello  al  suo  piacer  quel  contemplante,                          J 

Libero  ulTii'io  di  dottore  assunse,                       ^^^B 

E  cominciò  queste  parole  santo  :                         ^^^H 

La  piaga,  Aie  Maria  rìchiu^  ed  unse,                    ^^^| 

Quella  eh'  è  tanlo  bella  da'  suoi  piedi,               ^B    1 

1       (-8,  JA«i.»l.«p(*-«r.   Et»           *-6.Lapi«a».rhsMmia»^0*; 
■mpr*  «.gli  ocrhl  f. =11 '«(.eli»  del  h»      O^l'a  fht  i  U-nlo  biUn  dai  fMi  • 
-^«.«,  eioè,  ÌB  M.rli  ì-f rain.  (.nli       Boria.  *«Wefc,  flp«„  ,ÌU.Ì. 
WlDÌ*.IOT-m),f<»l(»iil«HpI<i»l«,      pinfachitlariauaueriekiZu.lìif 

*.fBclfl  d'iiiniirmi.                               do,  (  c)i«  poi  Hu.i  VarglMn«ÌK*> 

CiiNTO  TRENTESIMOSECONDO. 

È  colei  che  V  aperse  e  che  la  punse. 
Neil* ordine  che  fanno  i  terzi  sedi. 

Siede  Rachel  di  sotto  da  costei, 

Con  Beatrice,  si  come  tu  vedi. 
Sara,  Rebecca,  Indit,  e  colei 

Che  fu  bisava  al  cantor,  che  per  doglia 

Del  fallo  disse  Miserere  mei, 
Puoi  tu  veder  cosi  di  soglia  in  soglia 

Giù  digradar,  com'io,  eh*  a  proprio  nome 

Vo  per  la  rosa  giù  di  foglia  in  foglia. 
£  dal  settimo  grado  in  giù,  sì  come 

Insìno  ad  esso,  soccmIodo  Ebree, 

Dirimendo  del  fior  tutte  le  chiome  ; 
Perchè,  secondo  lo  sguardo  che  fee 

La  fede  in  Cristo,  queste  sono  il  muro 

A  che  sì  parton  le  sacre  scalee. 
Da  questa  pflAte,  onde  il  flore  è  maturo 

Di  tutte  le  sue  foglie,  sono  assisi 

Quei  che  credettero  in  Cristo  venturo. 
Dair  altra  parte,  onde  sono  intercisi 

Di  vóto  i  semìcircoli,  si  stanno 

Quei  eh*  a  Cristo  venato  ebber  li  visi. 


Ito 


iO 


i5 


20 


26 


(roari  partorendo  il  divlo  Redentore. 
Illa  percuttU,  dice  Sant'Agoitioo,  iila 
fonovtl. 

7-9.  KelVordine  che  fanno  i  ter- 
%i  tedi  :  nei  ten'  online  di  sedie  ($9di 
dal  aing.  itdio  per  ieggio) ,  nel  tono 
grado,  aiede  Kachele,  la  bella  figlinola 
di  Labano  moglie  di  Oiacttbbe,  a  peri 
con  Ueatrire;  come  fn  dflto  gik  dal 
Poeta  al  Canto  li  dell' In /eme  M'ar- 
guenti versi  :  Lucia....  Si  moue,  even- 
ne al  loco  dot' io  (Heatricr)  era.  Che 
mi  sedea  con  l'anlica  RaeheU.  Bea- 
trice è  fi|;nra  della  Teologie ,  Bachete 
della  vita  contemplativa  :  e  perdi  sono 
collocete  l'una  accanto  all' altra,  perchè 
la  Teologia  stlmge  contemplando  m  Dio. 

10-12  5ara,  moglie  d'Abramo,  Jl*- 
beceOt  moglie  d'Isacco,  Iwiit,  la  libe- 
ratrice di  Betnlie  ;  coM,  Kalh  Moabita, 
moglie  di  Boox,  bisava  del  re  Devid,  il 
^«ale  per  dolore  del  sn»  peccato  ai  rìvol- 
•e  a  Dio  col  Salmo,  Miserere  mti,  Arai. 

45-45.  dt  ioglia  in  taglia,  di  gra- 
do in  grado,  Giii  digradar ,  suceedeni 
una  sotto  V  altra,  com'  io,  eh'  a  proprio 


nowM  ee. ,  come  le  redo  io  ck«  iiofliaii- 
dole  per  proprio  nome  vo  gii  per  la  roM 
di  faglia  IO  foglia,  d'ordine  in  orKm. 

4 6-4  8.  fd  al  «ef Itmo  grado  ingié 
ee.  Sette  sono  le  donne  gik  nominale ,  e 
tolte  Ebree  ;  ed  altre  pure  Ebree  suc- 
cedono di  grado  in  grado  per  lo  ingpn  ; 
Bieche  formano  una  linea  che  (Nrtme , 
divide,  attraversa ,  luffe  le  chiome  del 
flore,  eioe  tutti  i  gradi  del  cerchio. 

49-21 .  Perchè,  teeondo  ee.  Peroc- 
ché iioesle  donne  sono  come  no  moro  da 
cai  divid«insi  questi  gradi  per  la  diatin- 
liooe  dei  Beali  accondo  il  modo  eoo  cb« 
la  loro  fede  gnardò  io  Cristo.  looaoii  la 
Bedeoxioiie  la  fede  goardava  in  Cristo 
veotoro  ;  dopo,  in  Cristo  veooto. 

22  Da  qoMla  parte,  onde  U  fiora 
k  wkaiwro:  ci<ii ,  ove  non  è  scanno  elio 
M  voto,  ove  tulli  gli  scanni  sono  pieni. 

25  onde $ono  intorciti  Di  tòUoe.* 
dalia  qaale  i  aemicirooli  sono  iotirrotti 
da  apaij  vooti. 

27.  Qa/ei eh'a  Crittovemtlo eèèer 
H  9iti:  che  mirarono  a  Cristo  già  T«in* 
IO|  e  credettero  io  loi. 


CANTO  TREHTESIMOmiMO. 


7f3 


Ch'  egli  acqoisUMran  ventilando  il  Banco. 

Né  lo  iniirporst'tra  il  dÌMf)r9-e  il  Bore 
Di  tanta  plenàliidiRe  votante 
Impediva  la  vista  e  lo  splendore; 

Cile  la  luce  divina  è  penetrante 

Per  r  universo,  secondo  eh*  è  degno, 
Si  che  nulla  le  poote  essaere  ostante. 

Questo  sicuro  e  gaudioso  regno, 

Frequente  in  gente  antica  ed  in  novella^ 
Viso  ed  amore  avea  tolto  ad  an  segno. 

0  trina  luce,  che  in  anica  stella 

Scintillando  a  lor  vista  si  gli  appaga, 
Guarda  quaggioì^  alla  nostra  procella. 

Se  i  Barbari,  venendo  da  tal  plaga, 
Che  ciascon  giorno  d*  Elice  si  cnopra, 
Rotante  col  suo  figiio  ond*  ella  è  vaga, 

Veggendo  Roma  e  l' ardua  saa  opra 
Stupefacensi,  quando  Latcrano 
Alle  cose  mortali  aad^di  sopra  ; 


iO 


S6 


80 


Zi 


18  Ch'egli  aeqmittaran ,  eht  etti 
an|;p  i  sct^oittavano  rmii/aiMfo  il  ilcn* 
co,  ballfiido  le  ali  io  alto,  o,  oell  tic- 
varbi  a  Dio. 

\9^'20.  Né  U  initrportiee.  Cotlr. 
e  int.:  A'é  l' imterporri  di  ImM  «o» 
lanle  plenitudimt,  cioè,  tli  Unto  e  tk 
denta  moHiludiac  «i'aogeli  valwili  Ira 
t7  diiopra  e  il  fiore,  einé  tra  il  àkvm 
Iroso ,  cIm  era  w  allo,  d  la  rgaa^eheri* 
mMie^a  aolla  te* 

21.  Impedirei  Im  «atte*  iaifadiva 
la  viala  di  llanlt  che  non  puteaMailima 
Dio,  e  lo  splendore  di  Di»  cka  ii««  f%m. 
lesse  diareodore  aflinerlM  di  eaa«  DMto. 

23.  ieeondo  eh' è  dffnm:  eeemmim 
il  mado  d'essere  •  la  virté  di  ciaaaMit 
parie.  Sfdì  i  primi  veni  ilei  Caale  1  ék 
qiMtla  Caaliea. 

24.  efierv  otlanU,  ftrlt  impad»* 
meato. 

25  tieuro,  tranquillo. 

26.  frefveii/e  ce.,  nnvcpaao- dar- 
taoli  del  Vecrkio  e  Nuova  Te»i«iueMÌa. 

27.  f  tao  ae.r  ava  kIì  ocelli  e  il  èt^ 
siderio  rivitlti  iolerameale  ad  ■•  ■•• 
Cno,  a  Dio. 

28.  O  irima  luet  ae.  Si  aeeann»  la 
triailk  della  peraooe  difioe  ia  ana  aala 
etseare. 


29.  tìgli  appaga.  È  questa  on'  to- 
tira  forma  delia  seconda  pertnna  del 
pres.  ind.  della  prima  coniugazione  co- 
piala dai  lat.  GÓai^  da  caiat,  jmrm,  ù 
fera  Its-oaia,  !•  filtra?  aadfapfMfe 
tta  qai  par  appaghi.  Varj  aaaaipj  aa  na 
banno  negli  anliehi  seritlori  ;  ma  aa  al- 
iare aao  aalo  di  CJello  d' Afeaam  : 

tt «MI  «Il  EvMifHI^ ewn«li  Ji«a{  glan, 
A««n  ■*■••■•  iHMt  IO  tal 


filari» 

50.  aiia  aaelra  praetWa,  al 
diaalo  e  sonavidln  stato  d' haUa. 

51-^.  Al  lai  plafaar.:  da  tal  ra- 
giaiM  4ella  terra,  (4ia  ia  ciaataa  ffiaraa 
veaga  ad  narra  coperto  daNa  «attoHa> 
tioaa  teltrntvinnala-  daiHMaaia  EKaa 
{V Orsa  maggiival,  che  ti  aggira  vieiaa 
all'altra  ettstrllationa  cka  banaata  dal 
saa  Sgli>iol«i  B<H»to,  o  Artara.  Aecaaaa 
i  barbari  drl  Sellentrione  ai  mali  rslaa 
tempre  sol  ca|»o  quella  eoetellamnai  rbc 
toa  preaoo  al  pido. 

54.  tardma  ma. apra,  l'acceln 
tao  fabbrirbe  ;  o  le  ardne  mali ,  i 
graaili<ia*  lavori,  a  i  «oaaateall  di  cai 
è  sparM 

morUli  anfUk  «it  toxkT%^  w,tj,a«a»  «^ 
lampa  ^\  Gm\»\»\V^«\  V5«ft^  •«« 


•u 


DEL  PABADISO 

Onde,  però  che  ali*  tifo  che  concepe 

Seguo  r  affetto ,  d*  amor  la  dolcezza  1 40 

Diversamente  in  easa  ferve  e  tepe. 
Vedi  r  eccelso  omaì  a  la  larghezza 

Doli*  elenio  Valor,  poscia  che  lanli 

Specoli  fatli  a*  ha,  in  che  si  spezza, 
Uno  manendo  in  sé,  come  davanti.  14^ 

i  rtraì  della  Aiwa  luce,  e  anHlraai»^ 
CMnv  fatti  ad  immagine  ài  Dio.  —  ti 
ipexui,  si  divide  nrr  la  rìfliwooe  del- 
la immagine  sua  che  ai  fa  in  laati  iadi- 
TJdai. 

445.  Uno  fmmnemdo  m.  :  rimaan- 


459.  Onde,  però  che  te.  Onde,  p^ 
roccìiè  al  deleroiiìiato  alle  di  vedere  tà 
insieme  di  concepire  menlalmente  Dio, 
M  proponiooii  1  amore  de' beati  Terso 
lo  stesso 


Dio ,  conscfpiita  che ,  esaeade 
in  ciascun  angelo  diversa  la  viMoaebaa» 
tlGca,  sia  anrura  in  ciascaD»  di  essi  dir 
verso  il  fervore  e  il  lepore  della  cari- 
tà, che  ne  è  rofrello. — In  ena  natura 
angelica ,  ossia  nà  diverti  iudividai  di 
lei. 

444.  Ciiìama  tpecuH,  specchi ,  gli 
angeli,  come  quelli  clic  da  sé  riflettono 


da  egli  aempre  nella  saa  aempliciih  dm 
e  indivisibile,  come  era  innaazì  alU 
creaiione  degli  angeli.  E  al  Ciato  IIII 
liaùlmcoto: 

Fcr  na  b'«t«tr  il  soa  ra;;^ lar«  tJ«u. 
Qw4  ^prcckiaU.  la  a>.«r  «««^  to-m, 
£l*roaluM-aU  riiu«ii«Dil  it  ana. 


CABnro  TREimEsmo. 

I  angelico  trii'uéio  Utomc  mi  pual»  ^o$€nrm  sgli  oHU  éelC  flifhirH  •  m^  ,ì  gj  ^^g^ 
triet,  eh*  ài  tattm  Mlezia  f'OVi  cnsamm,  che  eeetd-  sfM  eomnitm.  «  l>im  sef»  im  pam 
EgiM  ir  gm  «M<irv  mftfEmiptrfi  ««  /«mh^  gli  éiMpomt  la  wtMtm  mt  ttjurt  ttt  Dumi  té*  um 
tue*  fm  liMt  mt  di^nit  di  pnmniv€rti,  dmt  e  .mt»  tsrtm  fmvtU*  ekt  n  fmm  gttmmt  m*  t^m 
IbnuuM  mttle  mmdt.  Cumrdm  u  fmetle  ti  Pogtti^  t  atlmla.-**  «iiMw  fu  ta  ugU  ^ctfti.  'mmn 
di9€mmlm  eutotmrt,  é  »off*m  ^eUm  tinmni  «a  grum  hiijiwo  l'i  gral*  in  fi-u  tm  fàtmam  dtmaa 
dmtt  teggoMM  I  Btmlt^  r  m  m<;xm  mJ  t*u  ««  i/iwo  pr.pm'Mo  per  t' tm^traturt  ^,-  ngm. 

Forfè  scmila  miglia  di  lontano 

(^i  fiTve  Torà  sesta,  e  qiie.<i^(o  monrlo 
China  già  T ombra  qnasi  al  Iclto  pinno, 

Qiiundu  i!  mezzo  de!  cielo  a  noi  prufondo 

4-3.  Forte  temila  mi/jlia  di  lon- 
iano.  Vuble  il  l'i>eca  it«iie  un' iili-a  «lei 
m<Hli>  con  dtr  dt»parTP  ai  mioì  orrbi  il 
trionfa  di  Crisi»;  e  li»  ra<Miiiiiii|ìa  al 
diirfyn-irsi  a  pero  a  pi*ro  «li'lle  tielle  sol 
far  del  ipnriio.  Ma  noia  runir  io  ha  dello. 
-—  t'ora  tetta  il  in«nr20|tìornfl.  Ci  fer- 
re,  arde  ri(*uarilo  a  nni  Italiani,  for- 
se, citca,  sei  mila  mìijlia  di  Utnl^na,  e 
questo  mondo  inclina  l'iiinbr<i  ma  a  for* 
ma  di  cono  in  lince  orìrinutale ,  dalla 
parte  di  punente,  ^iftiniio  ee.  iVr  tra- 
Tare  con  precìsiniie  l'ora  qui  indiiala 
i  da  sapere  dir  la  nreonfeieina  della 
(erra  ara  alimata  di  miglia  2tMaO,  del- 


le qn:tli  il  sole  ne  perrorre  SSO  p» 
P(»ni  ora.  Si«lunqiit«  il  quarto  del  3iM# 
è  il  51 00,  e  il  iiN'Fy.i  ;i,.mA  èdaiaak 
da  un  «lato  Iiio|;a  forge  6000  iMf'ii 
ivi  oi:iu<  lieruniio  alla  prima  ara  dr 
giorno,  (listali Ir  un  i|U. idrante  di  sic i 
(iulPora  fcOkla,  iiii';Ii4  <JU0  tacifta.lf 
quali  il  sole  perenne  prrsao  a  aar*  i" 
un'ora.  Kii  ecru  clià»  iniia  qucala  f>*- 
fraià  «iene  a  dire,  che  nNMca  aa'an 
circa  al  nascer  del  aolr. 

4-6  Quundoil me»o  tfWHHkal- 
lorchè  il  nicFfo  del  cielu^cke  è  il  me  ahi 

{profondo  «lai  b.ii«o  all'ali..)  .^ J. 

a  noi,  eumiocia  a  far$i  {«|,  csLèa  «te- 


CkKTO  TUmUIMU. 

ComiDria  a  tani  tal,  che  alcuna Della 

Perde  il  parere  ìdQix»  a  qnesio  tondo; 
K  come  vicn  la  cbÌBrìsùma  aucella 

Del  Sol  più  olire,  coai  il  ciel  ni  chiude 

Dì  vista  in  ?Ì!U  inGno  alla  più  bella; 
Non  allrimenli  11  trionfo,  che  lode 

Sempre  dialorno  al  pania  che  mi  vinae, 

Parendo  incbiuso  da  quel  ch'egli  iiicbiude, 
A  poco  a  poco  al  mio  veder  si  sliiwe  ; 

Perchp  tornar  con  gli  occhi  a  Beatrice 

Nulla  vedere  ed  amor  mi  costrinse. 
Se  quanto  inrino  a  nai  dì  lei  »  dire 

Fosse  conchiufO  lutto  in  una  loda. 

Poco  sarebbe  a  fornir  questa  vice. 
La  bellezza  eh'  io  vidi  si  traintoda 

Non  pur  di  Ik  da  noi,  ma  cerio  io  credo 

Che  solo  il  ano  Fattor  tutta  la  goda. 
Ita  qncslo  paeeo  vìnto  mi  concedo, 

Piii  che  giammai  da  pnnlo  di  suo  tema 

Supralo  Tosse  comico  o  iragedo. 
Che,  come  Sole  il  viso  che  più  trema, 

Cosi  lo  rimembrar  del  dolce  rìso 

ririi  j>«i   primi  ilborì ,  ihtU 
iltlLi  Ptrdt  il  par*n ,  tftmt 

Al  piimo  •llH^iirt  cvniinri»!!  l 
pia  picroU  ■  nLaiti,  p*ì  cmec 

fili  |lT»di.  tino  ■11*  luiiciiin. 

T-0  Ecvmi  ti.B.  t>  iiiÌHi*(L> 
li  mn»,  fa  ehìBriuima  amvIkDtl 
£01,  l'iariiri,  «Hi  iltitl  litkiudtDt 
ciila  ia  «Illa.  L'cgiiilii  iiiiini<||ii«fir 
■i)(aiG< ire  In (ihiì» drili itilln  Ji  ausa 

cb*  mbJ  oiBir  gli  m  ibi'jrl  fida.' 

10-12.  Il  Irinafo  rtr  iaii . 
Itioarii  Jriciirì  HiBrlùÌ,c1>e  (nir 

tW  ni  aU.>o1:b,  t  Xt  girali  ■  luti 
tirar,  paiiriioiiriMxkii 
delti  ardili  »(il>n.' 

Ai.  •!  mi»  vr'-'cr  $t  itìtiM., 

U-H.''ltrthé    AuJIa    ttitn,  ÌJ-ÌT.  tÙ.  tomtSottn.  Calli. 

pitathiUcH>uiiHi«  Jrlla|iaaadaii-  (  ini.;  p''rii>ctli*  c*b*  il  Mila  acMU, 

■Il  jF|U«n|tli,td  aliar,  iVaam  diaiiaawc,  impitnliMa ,  ti  cita,  l' ac- 

p*r  Biiiritt,  ou  coMrÌM* M.  ibi*,*  k  TÌiM,<t(ftk*r(ai»,>(M>A» 


CANTO  TBENTESIMOSECONDO. 

Sola  ti  può  disporre  a  veder  Cristo. 

Io  vidi  sovra  lei  tanta  ailegroiza 
Piover,  portata  nelle  menti  sante 
Create  a  trasvolar  per  quella  altezza, 

Che  quantunque  io  avea  visto  davantc, 
Di  tanta  amnniraziou  non  mi  sos|)ese, 
Né  mi  mostrò  di  Dio  tanto  sembiante. 

E  queir  amor  che  primo  lì  discese, 
Cantando  Ave,  Ètana,  gratta  piena, 
Dinanzi  a  lei  le  sue  ali  distese. 

Rispose  alla  divina  cantilena 
Da  tutte  parti  la  beata  Corte, 
Si  eh'  ogni  vista  sen  fé  più  serena. 

0  Santo  Padre,  che  per  me  comporte 
L' esser  quaggiù,  lasciando  il  dolce  loco 
Nel  qual  tu  «iedi  per  eterna  sorte,      ' 

Qual  è  quell'  aìt\iA,  che  con  tanto  giuoco 
Guarda  negli  occhi  la  nostra  Regina, 
Innamoralo  si  che  par  di  fuoco  ? 

Cosi  ricorsi  ancora  alla  dottrina 
Di  colui,  cb'  abbelliva  di  Maria, 
Come  del  Sol  la  stella  mattutina. 

Ed  egli  a  me:  Raldezza  e  leggiadria. 

Quanta  esser  punte  in  angelo  ed  in  alma. 
Tutta  è  in  lui,  e  si  vo'.em  che  sia,  . 

Perch'  egli  è  quegli  che  portò  la  palma 
Giuso  a  Maria,  quando  il  Figliuol  di  Dio 
Carcar  si  volse  della  nostra  salma. 


733 


90 


95 


iOO 


i05 


HO 


89  portata  nelle  utenti  tantt,  cioè. 
portala  ,  quasi  in  attnilaDlJ  va&i,  oe|li 
angeli  cri  «li  ,  ileatinsU ,  a  Irapiasare 
\oUndu  dal  trono  di  Dio  allo  Aedi  dei 
lloati,  e  da  queale  al  detto  trono.  Il  Po- 
ramni  auir  autorità  del  Veiiotello  ktst 
portata  dalle. 

91-93  Che  quantunque  ee.:  che 
lutto  quello  clic  io  aveva  veduto  prìntt 
di  allora  non  mi  tenne  sospeso  in  tanto 
animiraiiuiie  ,  né  mostrommi  coao  dio 
a  Dio  a6af)nii|*liassf  tanti». 

94 .  E  quelV  amor  che  primo  h 
diseete,  ee.:  cioè,  l'angelo  Gobhdoy 
clic  annoDiiò  a  Maria  il  gran  mistero. 

99.  ogni  vista:  ogni  prospetto, 
o(;oi  vedoto  di  esso  paradiso,  l'utreb- 
bc  però  prcodersi  U  parola  vista 


'm  sen«o  àtMiprtlo  o  i>ofto  d'ogni  Wtto. 
400.  eomporte^  comparti,  ooatiosi. 

405.  Con  tanto  giuoco.  Con  mm- 
bionte  di  tanto  godimeoto. 

406.  fieorti  ancora  alla  doUri' 
na  «e.:  rìcorà  uovamooto airittnini^ 
so  oc. 

407-108.  eh'abheUita  di  MaHa, 

cioè,  che  diveniva  pio  bello  por  la  rìflol- 

M^^bellezza  di  Maria,  che  rsli  «fluivo, 

-mtétém  raggi  del  sole  si  abbelliteo  fo- 

Imu  Io  sU'tIo  del  mattioo. 

409.  Baldexxa,  nemrik  d'asiao 
Oliata  eoo  lei  ma ,  che ,  come  dico  il  Gt> 
oorì .  ai  m«Nitro  ocgli  occhi. 

4 1 1 .  ti  volem  che  sui,  perla  coaiiB- 
te  ouifurmità  dei  nostro  volerò  a  qoalW 
di  Dio. 


734 


DEL    PABAEMiO 

Ma  vieni  omti  con  gli  orchi,  si  rom*  io 
Andrò  parlando,  e  nota  ì  gran  patrici 
Di  questo  imperio  giustis^simo  e  pio. 

Quei  duo  cbe  seggon  lassù  più  felici. 
Per  esser  propinqnissimi  ad  Augusta, 
Son  d'està  rofta  quasi  due  radici. 

Colui  ohe  dt  sinistra  le  s'aggiusta, 
È  il  Padroi  per  lo  coi  ardito  •lusfo 
L*  umana  specie  tanto  amaro  gnsta. 

Dal  de>tro  vedi  quel  Padre  vetusto 

Di  Santa  Chiesa,  a  cui  Cristo  le  cl]ia^  i 
Raccomandò  di  questo  fior  venusto. 

E  qui'i  cbe  vide  lati*  i  tempi  pravi. 
Pria  che  morisse,  della  bella  sposa 
Che  s*^ acquistò  con  la  lancia  e  co*  davi, 

Siede  lungh^esso;  e  lungo  1*  altro  ()osa 
Quel  duca,  sotto  cui  visse  di  manna 
La  gente  ingrata,  mobile  e  ritro:«a. 

Di  contro  a  Pietro  vedi  r^leru  Anna, 
Tanto  contenta  di  mirar  sua  figlia. 
Che  non  muove  occhio  per  ciiniiire  O-^anna. 

E  conlro  al  maggior  Padre  di  fdmi«;!ìa 
Siede  Lucia,  che  mosse  la  tua  lìonna, 


il 5- Il 6.  il  eom' io  Andrò  par- 
Imndor  cioè,  iiiprrssu  il  mio  parlare, 
secondo  quello  rlji-  ili  (|ue«li  priniHrjipi- 
riti  ti  vprrò  ilichiiiranilo  «  mano  a  mano. 
—  patrici t  patnzj  ,  tciiatorì ,  o  prima- 
rj  dell'  impero. 

tl8.  (Juei  duo  ec.  Intendi  Adamo 
e  S.  Pietro  ;  l' um»  mpn  del  Vfcrfaio  Te- 
tUim'nlo,r  altro  dai  Nuovo,  coma  qui 
appresao  •)  dirà. 

HO.  AuguMtm .  la  rr];ina  del  cielo. 

121.  (e  t'aggiutlm,  le  ala  presto. 
E  un  ^erbn  foiiiiattt  dalle  due  pai  ticelle 
lai.  ù'i  e  jìixta. 

122.  •/  Padrt,  per  lo  nti  ardilo 
f7«ul(i  #c.  Adamo,  cbe  mangiè  del  vie- 
tato p«imn. 

124-123.  quei  padre  tHumIo  Di 
Santa  <  hiega,  S.  l'irim. 

126.    di  q^etio  fior  9enm$to,  di 

Z arala  bella  rota*  cioè,  del  Prfradiwk  in 
■rma  di  rota  liipirato.  TiM  étko  da- 
t€$  raf  ni  fmUtrmm. 

1 27- 1 2B.  S  quei  ek$  vido  re.  Arren- 
na  S.  Gìo.  Ev«n^cii»ta,  cbe  %  -Je  i  iewpi 


gravi  ..detta  brlla  tpoga Ch» i 
ttà  ec.:  cioè,  le  ciil<iiuiU  fatar 
S.  (Jiiesa  che  ila  Ge^ù  CriMii  fi 
hlalii  collii  »aa  l*4aai>.ii«;  r  tmrm 
vrdiile  Mflla  tua  e«taai  m  damil 
PApoca'ix»**.  —  elaxi  (Jal  lai.  e 
chi"di:  riKi  I'AiiImU.  e  allrì  I 
ci»m.  chiavi.  Hai  a  nf  ehit 
osalo  Mniir;iiiirnli>  ri>nie  di 

«30-132  /«MffàVjM».  «icii 
S.  l'i  tnt.—  e  iumjo  1'  altro  pm 
e  \icino  <id  AiiaiuM  su'ilr  !Mtiaè,J 
po|iolo  «  li.-io. 

iTib.  Che  non  iiiiif»er  «ccM 

qiiaiituii(|u<'  canti  i«»anna  a  Dia 
S4-ni|>ri>  i;li  i>rrlii  acreù  J'anMra 
pia  la  SILI  rt<;lia  Mniia. 

436  E  roHlro  al  maggior  i 
E  diiiiii|ii(iii  ad  Aliamo,  Belli 
oppi«iN  liflla  rota 

137-438  #.«irf a  S  Larìavc 
martire,  die  nrll'lif/emo.  Cai 
T.  97,  feciKido  il  tfnao  tnaaii 
Gjpira  ili'lla  ilivina  ijraa'a  illaa 
—  che  motte  la  tua  Oannc    da 


CAi>TO  TRENTESIMOiECO?(DO.  735 

Quando  chinavi  a  nrinar  le  ciglia. 

Ala  perchè  il  tempo  fogge  che  V  a^^sonna, 

Qui  fa  rem  punto,  come  buon  martore  I40 

Che,  com*e«;li  ha  del  panno,  fa  la  gonna; 

E  drizzeremo  gli  occhi  al  primo  Amore, 
Si  che,  guardando  verso  lui  penetri, 
Quant*  è  («ssrbìl,  per  Io  suo  fulgore. 

Veramente,  ne  forse  lu  V  arretri,  i4S 

Movendo  Tale  tue,  credendo  oUrarti, 
Orando  grafia  com'ìen  che  s*  impetri  ; 

Grazia  da  quella  che  puote  aiutarti  : 
E  tu  mi  semini  con  Tafiézìone, 
Si  che  dal  dicer  mìo  Io  cuor  non  parti.  150 

E  cominciò  questa  santa  orazione. 

nmsftti  Beatrice  in  tuo  sorcoiio.  quando  potii   dc'salmi,  Sai.  lt»9:  •  Ta  Iddio 

conti  "(^li>  haw  pf  r  ifroartimnilo  d-V  ano  mi  ■IbNiidiiiiare,  «0  fort9  siifOo 

Dim<>  t'arfrcttsvi  ■  riliToar  Orila  ««Iva.  «Mltalii miri  nem tri  re.»  Enalla  Collai. 

1 39  Ma  perchè  il  tempo  fugge  m.  dt'SS.  Padri,  Cud .  Rie.  C(»ll .  I , C.  XX  : 

Ma  perchè  fotice  il  tempo  dì  <|aeata  tot  t  Dio  ha  comandalo  agli  Angeli  che  ti 

Tisiooe,   la  quale  è  qwati  ■«  Minao  ■  p|«»rdiao...  «e  per  aTveulara   (m  oca 

le  per  divina  graiia  cniicrdotn.  ncappi  alla  pietra  ce.  t 

Ut.  Che,  com'egli  ha  del  panma^  446-4  i7.  JHoreiub  l'ale  tue.  pro- 
re: che  fa  la  vette  più  o  meno  ampia  cedendo  u«l la  fiducia  delk*  tue  fono.  Gli 
tcc<>n<lo  la  qoantili  del  panno  che  ha.  insinua  l'omilU.  —  Orando,  coli'  ora- 

445.  ne  forter  è  il  mudo  laliao  m 


forte,  affii  che  non  per  aTvenlare.  B  449.  E  Im  mi  eegui.  Coti  molli 

rosi    difalti  spiega    IÌ«nveiioto:   e  JVe  eccellenti  Cod.  e  stampe:  la  Cum.  iP  1» 

forte  Im  retrocedat  et  elongerit  a  fine  mi  eeguirai. 

intento.   •  Veramente  è  nel  «ensu  del  450.  (a  cuor  non-parti,  in  m» 

Idi   rerum,  e  vale  ma.  I>el  ne  asolo  i*  disfienga  il  tao  cuore. 

italiano  nella  str&sa  sigiiificaiione  del  451.  guata  tonto  oraaiona,  lo 

ne  Ialino,  affin  hi  «oii.sihaonoallrì  santa  oraxMMie  rulla  quale  eoomcia  il 

cseropj  negli  antichi.  Riuaidcachi,  Ea-  aegueute  ultimo  Caulu. 


CJkXTO  TKBHrEMMOTRRSO 


ìm  BtmmnI»  wrrgm  m»  mfftthtmtf  tea»  la  ermm  r»fitUm  Btrtlte  mimn  lìmmt»  m  9téam  Dkn  r 
périki  fot  eh  étm  gnttm  ttt  trmr  pi^mm  ééUo  tmi^t  mm  wtémt».  A  #•  rai.  «f  Fm«» 
mttt»  «wM .  im  »pt^§*  mtUm  etgrmm  lm*r  ,  0  m  mm  tnthn  c#rr*i«  «rwryff  emitmt»  mtltmké» 
riM/«à  t^9é*  il  tnàmmtmmtl»  ptium  étWummmm  «'/f«r  /  mu/«  «/i  m««  */«ai«/«na  éi  wTfnff  «1 
mté»  étltummmt  dM»  éimmm  «otarM  mlT mmumm.  Òm  m«>'«v*cm  «^lM</«rr  gU  mcenst*  Im  fenm 
9Uwm,  tdtm  im  »m*g9t  mm  fM  lo  fmmtmmm  §n  mmmtm,  «  Im  «uhmm  Umìsm. 


Vergine  madre,  fi^^ia  del  tuo  Figlio, 
Umile  ed  alta  più  che  creatura» 

4.  gglU  dei  tuo  Figlia.  Meri»  A  alla  VerRÌno:  Cfnui  H  gui  la  Mi 
figlia  di  Cesa  Crìsbi   io    qnenio  egK  2.  Tin'I^  ed  a/la  :  vm^/e  per  la  dt- 

è    Dio:   Cristu  è  Bglio   di    Ilaria   u  sposso»*  drl  «no  animo  jo^fo  per  l*ec- 

qosnto  è  uomo.  Cosi  'a  Chiesa  etnia  cclsa  dignitk  di  co;  fu  ii^estl«k. 


CANTO  TaEIfTESIMOTERZO. 


•737 


Più  alto  verso  F  ultima  salate. 
Ed  io,  che  mai  per  mìo  veder  non  arsi 

Più  eh*  io  fo  per  lo  suo,  tutti  i  miei  prieghi 

Ti  porgo,  e  prego  che  non  sieno  scarsi,  30 

Perché  tu  ogni  nube  gli  disleghi 

Di  sua  mortalità  co*  prieghi  tuoi. 

Si  che  il  sommo  piacer  gli  si  dispieghi. 
Ancor  ti  prego,  Regina,  che  puoi 

Ciò  che  tu  vuoi,  che  tu  conservi  sani,  35 

Dopo  tanto  veder,  gli  affetti  suoi. 
Vinca  tua  guardia  i  movimenti  umani: 

Vedi  Beatrice  con  quanti  beati 

Per  li  miei  prieghi  ti  chiudon  le  mani. 
Gli  occhi  da  Dio  diletti  e  venerati,  40 

Fissi  neir  orator,  ne  dimostrerò 

Quanto  i  devoti  prieghi  le  son  grati. 
Indi  air  eterno  lume  si  drizzare, 

Nel  quel  non  si  de*  creder  che  s' invii 

Per  creatura  V  occhio  tanto  chiaro.  45 

Ed  io  eh'  al  fine  di  tutti  i  disii 

M' appropinquava,  si  com*  io  doveva, 

L*  anior  del  desidérip  in  me  finii. 
Bernardo  m*  accennava,  e  sorrìdeva, 

Perch*  io  guardassi  in  suso  ;  ma  io  era  50 

50.  Per  U  miei  prieghi,  ■  liTor 
dei  mìa  pregbi,  o  «cdoechè  t«  en«4i- 

i  onci  »riegliì.  —  Ci  ekimdom  li 
lùiMMio  1#  mani  weno  à\  le, 
o  le  p«laM,  ebe  è  etto  di  chi 
prtfa  MpplidìeYole. 

40.  Gli  oedkt  te.  loleodi  |K  eeeU 
di  Maria  Vergine. 

44 .  Fini  neU'araior,  d»*  is  San 
Benardo,  ehe  era  l'oratere  •  l'iattr- 
cewnra  a  aeine  di  tutti. 

45-45.  Indi  alt  etemo  Immeee.: 
iadi  gli  oodii  di  Maria  li  Tobero  a  Die , 
■al  male  son  ti  poè  credere  dw  altro 
eechio  di  creatura  miri  een  altreltaBta 

À9.  ài  Urne  di  tulli  i  ditH:  a  Die. 

47-4S. /hid,  ac<{«etai,  o,ebbeflMÌii 
me ,  eom'io  doieom,  com'era  natarale. 

49-54 .  Bernmrdù  m' oeeemuitM,  e 
eofridefoa  «0.  S.  Bernardo,  aorrideodo 
per  la  graiia  che  io  etera  rìcervla  di 
giapoere  a  tanta  altcna,mi  faceva  cenno 
acctoccbè  alsaan  gli  occhi  a  Dio  \  ma  io 

\1 


27.  vario  l'ulUma  eelnU,  ▼creo 
Dio.  che  è  il  termine  nltimo  della  hea- 
titnaine. 

28-50.  Ed  io,  éhé  mei  non  daalde- 
rai  di  rodere  per  me  piò  di  qnaUo  che 
desidero  che  regga  egli,  ti  porgo  ae.— 
che  non  eieno  teani ,  cm  non  man- 
chino di  eCTetto. 

51-52.  ogni  nube  gli  dieUgki  Di 
iua  wtortalità:  cioè,  gli  ditleghiy  db- 
sipi  da  lui  ogni  nd>bia  provanieola  dalla 
taa  mortale  oonditione. 

od.  «7  fommo  pioeer,  Vioy  gH  ei 
ditpieghi,  n  Caeda  a  Ini  apertamente 
vedere.  Un  modo  aimile  n  vide  naato 
nel  Canto  XXV  del  Pwg.^  v.  51  :  Sa 
la  veduta  etema  gli  dispiego. 

56.  Dopo  tanto  veder,  dopo  ai 
maraviarMiea  viaione  del  Fandiao  a  di 
Dio.  Alooni  eatendono  qncaCo  «ttfirv 
anche  aU' Inferno  e  al  Purgatorio.  Man 
k  neceasarìo,  ma  potrebbe  stara. 

57.  Finca  ec.  La  tua  cnstodia  vinca 
i  moti  dell'umane  paiaioni. 


Già  (UT  ine  slesso  ul  qn&l  eì  to!»**. 

Che  ta  mia  vista,  veDeodo  sùiaira, 
E  più  e  piti  entrava  per  lo  riggto 
Dell'alta  luce,  che  da  sé  è  rera. 

Da  qaioci  innanzi  il  mio  veder  fa  maggio 
Che  il  parlar  nostro,  eh'  a  tal  vista  redc, 
E  cede  la  memoria  a  tanto  oltraggio. 

Qnal  ò  colui  che  sonniaodo  vede, 

E  dopo  il  sogno  la  pascione  impressa 
Rimane,  e  l' allro  alla  mente  noD  rìede  ; 

Colai  soD  io,  rbo  qaasi  tolta  cessa 
Itria  visione,  ed  ancor  mi  distilla 
Nei  caor  lo  dolce  che  nacque  da  essa. 

Cosi  la  neve  al  Sol  si  disigilla. 
Cosi  al  vento  nelle  foglie  lievi 
Si  perdea  la  eenleniia  di  Sibilla. 

0  somma  luco,  che  tanto  ti  lievi 
.  Da' concetti  mortali,  alla  mìa  mente 
Hipresla  un  poco  di  quel  che  parovl  ; 

E  fa  la  lingua  mia  tanto  possente, 
Ch'una  favilla  eoi  della  toa  gloria 
PoKsa  lasciare  alla  fiilura  gente  ; 

;iA  alvali,  iiccoine  egli  vol«irB-       l' ingfl^na  Ai  Ddnt#  ,  a  dir 


a 

J 


M.  la  paititmt  {mpntm,  M, 


Itsiidi.  £ral  lux  mi 


taf  nc.t  to  nàtggiQeB  i* 
Hit,  Il  qailfl  è  ÌiK»fl 
<,u<l  cb'ìo  tidi. 


•0.  ladro,  il  iDfMcWfcM* 

Kloglian.Ui ,  il  tìjilb.  U  «bmW. 
aS-M.  CaHtlT. 


i 


ST.  Sa 

Kwmoiit  Hd<  a  Mulo  otlragfia,  ■ 

•lillignDjHiiaJill'iItcBaddkcaH 
cb*  in  liti,  ai  pnt  «d  «m  aidir  Ì\e- 
Ira. — Mrogtia  miei  da  olir*,  ni  in 

>  Mnao  ooa  ai  aaa  prà. 

1.  MMuaailo  t4-it,  •aila  alninn 
.  . .  B  aoipa.  Si  nuli  in  qiola  Inltn 
fvU  BHariiliaa  dal  l'otta,  ■  la  Te- 


e,  NartBVi,«lw, 
wa  (etimi  ÌMii  oncùll  tmÙmiì^*, 

•ITP,  ma  il  T»la  rt«M«  cb*H  fava 
11' aprir  dalla  (relU,  mi  Maia  ÌbAot- 

^^.  UUni.  fila,  Db'ot- 

illi,  «1  ilixipra  da' ••Dcaii!, 
6i.HiprMa,  i" 


CANTO  TEENTESIMOTERZO. 


739 


Che)  per  tornare  alquanto  a  mìa  memoria , 
E  per  sonare  un  poco  in  questi  versi, 
Più  si  conceperà  di  tua  vittoria. 

Io  e  redo  )  per  T  acume  eh*  io  soffersi 
Del  vivo  raggio,  eh*  io  sarei  smarrito, 
Se  gli  occhi  miei  da  lui  fossero  aversi. 

E  mi  ricorda  eh*  io  fui  più  ardito 

Per  questo  a  sostener,  tanto  eh*  io  giunsi 
L' aspetto  mio  col  Valor  inGnito. 

0  abondante  grazia,  ond*io  presunsi 
Ficcar  Io  viso  per  la  luce  etema, 
Tanto  che  la  veduta  vi  consunsi  i 

Nel  suo  profondo  vidi  che  8*  interna, 
Legato  con  amore  in  un  volume, 
Ciò  che  per  l' universo  si  squaderna  ; 

Sustanzia  ed  accidente,  e  lor  costume, 
Tutu  conflati  insieme  per  tal  modo, 
Che  ciò  eh*  io  dico  è  un  semplice  lume. 

La  forma  universai  di  questo  nodo 


76 


so 


85 


90 


75-74.  Che,  per  tornare  ee,:  ehè 
toroaDclo  alla  mia  memoria  qnctta  taa 
gloria  da  me  vedota. —  E  per  iimare, 
e  risnnaDdo. 

75.  Piià  ti  conceperà  (da  eonce- 
pere,  lo  stesso  che  concepire)  ee,:  si 
acquisterà  dalla  gente  una  madore 
idea  di  quella  toa  magniCcensa ,  ài 
quello  splendore ,  onde  saperi  •  vinci 
igni  intelletto. 

7G-78.  Jo  eredo  per  Vaemme  ee* 
Costr.  e  iut.:  io  credo  che  te  per  Paca- 
mo eh'  io  tiìtteni  del  vìto  raggio  divino, 
che  soverchiava  la  vista ,  i  miei  occhi 
fonerò  averti  {àa\  lat.  averterà,  ?ol- 
tferc  indietro^,  si  fossero  rivolti  da  kd, 
da  eno  raggio,  in  altra  parte ,  mi  lani 
smarrito,  né  l'avrei  più  potuto  fiaaaro. 
Ud  simil  concetto  si  trova  espresso  od 
Purg.,  Canto  IX,  v.  452  :  ma  faccioni 
accorti  Che  di  fuor  toma  ehi  indio^ 
tro  ti  guata. 

70-81.  E  mi  ricorda  ee.  E  mi 
ricordo  che  per  questo  motivo  io  foi  più 
ardito ,  mi  feci  più  forte,  a  soilenort 
l'acume  del  detto  raggio,  tantoché  io 
giunti,  congiunsi,  L'atpelto  mio,  il 
mio  sguardo,  col  Vahr  in/iniio,  con 
l^io;  vidi  nella  sua  essenza. 

K2.  ond'io  presunti^  per  la  quale 


io  fui  ardito;  onde  mi  venne  l'ardire. 

S4.TatUo,ehelavedutavieontvm' 
fi.  Tanto  che  vi  distesi,  vi  spiegai  tatto 
quanta  la  fona  della  mia  vista.  Dico 
eontunti,  perchè  la  sna  vista  era  limi- 
tatalo la  loco  per  cui  spadara  era  iafini- 
ta,  onde  la  sua  veduta  vi  ti  eontsmava. 

85«87.  Nel  tuo  profondo  ee.  Nel 
profondo  della  divina  casenxa  lAdi  dko 
e'itUema,  vidi  racchiudersi,  eontenor- 
ii,  legato  insieme  in  on  volamo  eoo 
dolco  vincolo  d'amore  (Spiritme  Do- 
mini continH  omnia^  tutto  quanto  pw 
la  ereaxione  n  manifesta  oiffaio,  ti 
tquadema  per  ^umiverto.  Aceemra  i 
tipi  d' ogni  cosa  croata  che  io  Dìo  aoao 
daU'etomith. 

88.  Suttanxia,  tatto  ciò  che  oer  aè 
iOisisto.— >ccei(iciftlc,  tatto  dò  eoo  op- 
poggia  la  sua  anasistenta  in  altra  cosa, 
0  che  può  esservi  o  mancarvi  sema  cbo 
ceni  d' esistere  la  cosa  a  cui  i'ippo^ 
già. — e  lor  cottutnej  e  loro  proprietà 
o  modi  di  operare. 

89.  Tulli  conflati,  tutti  contorti , 
collegati  'j  per  tal  modo,  in  modo  eosi 
maraviglioso  ed  ineffabile.  —  Quati 
conflati  leggono  varj  testi,  ed  è  buona 
ItifiMie. 

Ul.  La  forma  unkertal  ec.  L% 


CANTO  TEENTBSIMOTBBXO. 


744 


Ma ,  per  la  vista  che  s' avvalorava 

In  me,  guardando,  una  sola  parvenza, 

Mutandom*  io,  a  me  si  travagliava: 
Nella  profonda  e  chiara  sassistenza  iis 

Deir  alto  lume  parvemi  tre  giri 

Di  tre  colori  e  d*  una  contenenza  ; 
E  r  un  dair  altro,  come  Iri  da  Iri, 

Parca  reflesso,  e  il  terzo  parca  fuoco 

Che  quinci  e  quindi  egualmente  si  spiri.  120 

0  quanto  è  corto  il  dire,  e  come  fioco 

Al  mio  concetto  1  e  questo,  a  quel  eh*  io  vidi, 

È  tanto,  che  non  basta  a  dicer  poco. 
0  luce  eterna,  che  sola  in  te  sidi. 

Sola  t*  intendi,  e  da  te  intelletta  m 

E  intendente,  te  ami  ed  arridi  ! 
Quella  circulazion,  che  sk  concetta 

Pareva  in  te,  come  lume  reflesso. 

Dagli  occhi  miei  alquanto  circonspetta, 
Dentro  da  sé,  del  suo  colore  stesso,  i30 

Mi  parve  pinta  della  nostra  effige. 

Perchè  il  mio  viso  in  lei  tutto  era  messo. 


^    in  loi ,  %ma  tota  parvenza,  éoh  la  •«• 

^    faccia  una  e  medesima,  t«  travagtùmaj 

cioè,  si  cangiava  riguardo  a  me ,  M  tra- 

■*    smutava  in  meglio  al  mntartì ,  alFar- 

f    valorarsi,  della  mia  virtà  Yiaiva:  in 

Jf    somma  non  si  cambiava  Dio ,  ma  où 

■^    cambiava  io  nella  fona  del  Tedara.  — > 

^    ii  travagliava  t  secondo  il  Lani,  Tal 

ik     quanto  iramtaUava ,  andava  altra  il 

i^     vallo,  àoè,  passava  ad  altro  modo  a 

ìà     forma. 

là  4 15-447.  JVeUa...  ftMfifleiiMifi- 

^  l'alto  lums.  Nella  divina  lomiiMaa  ai- 
■f  senxa. — parvtmi,  sottint.  vadara:  ot- 
É  vero  il  verbo  sing.  è  unito  al  noma  plv., 
come  spesso  usavano  gli  antichi, •  il  pò* 
polo  usa  comunemente.  Mi  si  fecero  To- 
d ere  d'una  confenefua ,  cioè  di  ana 
stessa  misura ,  tre  giri.  Questo  è  figu- 
ra della  Trinità  divina. 

449.  Parea  refletio ,  pareva  pro- 
veniente. —  e  il  terzo  ee.  :  lo  Spirito 
Santo.  Dice  che  parea  fuoco ^  per  esprì- 
mere un  attributo  del  divino  aoMra. 
420.  Che  quinci  e  quindi  ee.  Cba 
«piranse  dall'uno  e  dall'altro  dei  due 
(Tiri,  rioè,  cbe  procedesse  dalla  prima  a 
dalla  seconda  pertona. 


J 

90 

» 

.  I 
>  ■ 

V 

I 


424.  O  quanto  è  earto.  Coma  ap- 
panto  avea  annunfiato  sopra  al  ?.  406 

«••Sff- 

422.  a  quel  che  io  vidi  :  in  paro- 

gooe  di  quel  cbe  vidi. 

423.  JS  Ionio ,  ciba  ee.  :  è  sk  scarao, 
dia  la  parola  poco  non  basta  ad  capri- 
maro  pieoamante  questa  scarseaa. 

424.  iidi  (dal  ìat.  fùio ,  il) ,  abiti , 
alai.  DriM  lum  ett;...  ei  ipeo  ofl  <ii 
liiea.  S.  Giov.,  Epist.  I. 

4 2a-4  2G.  Sola  l' intendi  ee.  E  q«i 
espressa  teologicamente  la  Trinità:  la 
loco  inielligenU  h  il  Padre;  l'fofeUfl- 
to  a  intendente  è  il  Figlio  ;  o  V  amoro 
0  la  compiaoenza  del  Padre  a  del  Fi- 
glio ,  è  il  Santo  Spirito.—  le  arridi:  ti 
compiaci  in  te  stessa. 

427-132.  Quella  cireulazion,  ee. 
Quello  dei  tuoi  giri  che  pareva  procode- 
re  da  te,  come  il  ragffio  riflesso  procedo 
dal  raggio  diretto,  alquanto  dagli  occhi 
miei  eireonspetta ,  guardata  intorno , 
parevami  in  se  stessa  dipinta  dell'uma- 
na effigie,  ma  col  colore  stesso  della 
divinità;  laonde  {perehi)  la  mia  vista 
tutta  era  intesa  alla  detta  drculazione. 
Dice  del  IMO  colore,  per  dimostrare  eh* 


DEL  pAnADiim  —  cKirro  TBEjrrestMaTEBio. 
Qual  6  il  gootnòlra  cbe  tutto  s' aBige 
Per  misurar  lo  cerchio,  e  non  ritrora. 
Pensando,  quel  principio  ood'  egli  todÌB 
Tale  era  io  a  quella  vìsia  onova  : 
Veder  volea,  come  sì  convenne 
L' imago  al  cercbio,  e  come  vi  s' tndtn 

;iò  le  proprie  penne; 
Se  non  che  la  mia  menlo  fu  percossa 
Da  un  folgore,  iu  die  sua  \ 
All'  alla  fantasia  qni  mancò  possa: 

Ma  già  volgeva  il  mio  dìsiro  e  il  vrik, 

0  ruota  cbe  ignalmenle  é  mossa,  ' 
L' Amor  che  muove  il  Sole  e  1'  oUtb  siello. 

il  icrbo  di   Din,  ficendoii  uomo  «      ilsrì:  ftnht  Vnm, 

jHod  »ral  permaiuil, ' '      '-  - 


E    Pe,L    PAD  AD  ISO. 


743 


JknìwUÈim  et^onresIÓBi. 


Pag.    31.  Alla  Snt  dclh  ooU  69  d  «ggiugat  •  Il  conctUo  •  tolto  òtSU  ptrob 

del  Vugelo  di  Sa»  OiofiUMi  >  Lmm  m  tmebHt  imeH,  • 
»  38.  Verso  il  fiat  della  noia  al  vano  S9,  dop«  la  parola  »«■  f  l«  Jlgiim  hm 
spotm,  si  agginiifa  t  •  M  «valsi  oaiatlcfa,  eiò  cha  far  potrdba 
qaaleha  cosa  a  favori  daOa  etaanoa  lai.  smcetétil^  trovarsi  ^idla 
frate  di  Dante  perlàttfaata  coalbraia  all'csprtssioiia  di  Paolo  Oro- 
sio  ìk  dova  comioaia  •  partara  di  SamiraMida»  aasaado  oaoko  làdla 
che  DaaU  abbia  latto  ia  ^aaito  astore  qiaaato  qni  acctona  di  lai. 
JVteo^  dlea  èslit  sm€€9sHt  Sèmirmmlt  surorj  eba  corrispoada  a 
naeemlttie  m  ifteo  o^li  smm  jpoM.  k 
»  901.  lo  fina  della  boU  ISft  dal  caato  XXIX  dan*/i|/enM ,  si  ^n^  t 
«Uo  pregevole  codiet  aaialantaadlalib.  Coaaaaala  di  Sicoa,  iavaco  di 
trmM  lo  Sirieem  ha  iw—am  Sirieemj  a  il  sig.  Gattaao  MilaMesiaha 
■i  avvertiva  di  qnaata  var.«  ai  Acara  pw  aapara»  cba  StHcem  bob 
h  on  eognooM  ab  «a  ac^pnanona,  ma  un  varo  Doaaa,  a  atri  ma  ri 
coDviene  l' articolo.  Slrteem  b  accorciaBMBto  &  BMmHHùtms  od 
era  uno  dei  Mareacotti  di  Sitaa.  L'  Abbmgbf^t  di  cui  ai  pala 
pia  sotto»  sta  beat  roU'artkolOt  percbb  k  va  sopraaaoaM  di  oa 
Ul  Meo  di  Raaiert  dd* Polcaethiari  saaaso.» 

•  S86.  In  fine  deHa  noU  i3b  si  aggia^i  m  S^bbmrcmrst  vale  propriaMiala 

tirarsi  sa  la  vtsia  finaaidola  aHa  datara»  per  diaporsi  a  far  ^aal- 
cbe  eosai  altrimaati,  aatlagaraL  » 

•  410.  Aggiungi  ia  fiaa  alla  aoca  lOi  •  B  Ibrso  ara  regola  d' arte  A  maaia- 

nere  l' oseoro  toao  pvoftlico  la  bocca  al  parlante  fratello.  • 
»  480.  Si  aggionga  qnasU  aola  al  Ytna  167 1  m  P^l»  M  «oifelleplMo  «r.  Il 
sospetto  al  re  di  Fraaaia  vMna  più  spaeialawnta  daraata  il  poaiiÌ« 
ceto  di  Bcocdctto  XI,  cbo  ai  aaiatrò  alcaaa  volta  aioko  iapialMita 
degli  oppressi  gUbalUai  i  par  cha  aiaffto  ^aal  papa,  Filippo  si  ado- 
prò  per  farne  eleggtrt  aa  alm  a  sao  BMdo,  cba  poi  iodasaa^  par 
esscrae  nMglio  sicaro,  •  trasportwa  la  teda  ia  Fraacia.  • 


RIMARIO  DELLA  DIVINA  COMMEDIA. 


abbia 

Inr.  Là  tua  paura,  che,  podar  di'  cfU  abbia,      S 

7*    Poi  li  iìtoIm  a  qnaU'  «nfiaU  labbia. 
Consuma  dentro  U  con  la  toa  rabbia. 

U"  Nallo  martirìo,  fuor  ebe  la  toa  rabbia,      65 
Poi  ai  rÌTorM  a  m*  eoo  ntif  lior  laUtia, 
Cài'  auiaer  Teb* ;  ed  ebbe,  e  par  eh'  egli  abbia 

25"  Ed  io  TJdi  on  OnUoro  pien  di  rabbia        <7 
Maremma  non  crrd'  m  die  tante  n'  abbia, 
Infin  dove  comincia  nostra  labbia. 

29"  Dell'  unghie  Mvra  «e  per  la  gran  rabbia    80 
E  ti  trae^an  giù  1'  angine  la  ecabbia, 
0  d' altro  pesce  die  più  larghe  l' abbia. 
PcB.  Mia  cunofccnza  alla  cambiata  labbia,        4T 

23*  Deh  non  contendere  air  asciutta  aeabbia. 
Né  a  diretto  di  carne  eh'  io  abbia  ; 

abbo 

IRP.  Più  pienamente;  ma  perdi*  io  non  V  abbe,  S 
3.***  CItè  non  e  impre«a  da  pigliare  a  gaUko, 
Né  da  lingua  che  diiami  "f—a  e  babbo. 

abl 

Pab  Negletto  fa  nomato,  e  Deci,  e  Pabi 
6"    Esso  atterrò  l' orgoglio  degli  Arabi, 
L' alpeatre  rocce,  Po,  di  che  tu  labi. 

abile 

Pak.  Innaaai  che  all'  erra  inconsumabila 
26*  CItè  nullo  eltetto  mai  razionabile, 
Seguendo  il  cielo,  aenipre  fu  durabile. 


47 


125 


Par.  Che,  tempre  che  la  vottra  chieea  vaca, 
ìiT  V  oltracutata  tchiatta,  che  •'  indraea 

Ovver  la  borta,  com'  agnel  ti  placa, 
27*  il  luogo  mio,  il  luogo  mio,  che  reca. 
Fatto  lia  del  dmiterio  mio  cloaca 
ette  cadde  di  quaaȏ.  Uggia  ai  placa. 


ns 


23 


l>p.  CaggioQo  avvolte,  poiché  l*alber  Iacea;     44 
7*    Coti  teendemmo  nella  quarta  lacca, 

Clte  '1  mal  dell'  nnirerto  tutto  intacca. 
12*  E  in  tu  la  punta  della  rotta  lacca  II 

Clie  fu  concetta  nella  Calta  tacca: 
Si  conif  quei,  cui  l' ira  dentro  fiacca. 
Pi  b.  Cile  ne  condoue  in  fianco  della  Iacea,         74 
7*    Oro  ed  argento  fino  e  cocco  e  biacca, 
Fretco  tmeraldo  in  l' ora  ebe  ai  fiacca, 

aeee 

ìnr.  Ma  vergogna  mi  fer  le  aae  MinBean,  M 

17*  I'  m'  attettai  in  tu  quelle  tpallaoca: 
ijow?  io  credetti  :  Pa  che  tu  m' abbraeoa. 

aed 

PcB.  GikMMaragoa,  trittaia  tagli  flrMCl  44 
ti*  O  Aobeam,  gik  aas  par  «ba  ■inacd 

Nel  porta  «n  earr»  pri—  ah'  altri  U  cMSl. 


tur. 

42* 

45* 
45* 
48* 
22* 

as* 

24* 
23* 
3t* 
M* 
54* 


Pvm. 

3* 


8f 

43* 
2*° 


aeda 

Come  onella  die  totlo  il  piano  abbraeda,  53 

E  tra'l  pii  della  ripa  ed  otta,  ia  traeeia 

Come  toleaa  nd  mondo  andare  a  caoda. 

Di  qad  che  credi  die  a  me  todditfaccia  ;    83 

Però  ricominciò  :  Se  l' nom  ti  facda 

Spirito  incarcerato,  ancor  ti  piacda 

E  chinando  la  mia  alla  tua  facda,  29 

E  quegli  :  0  flgliuol  mio,  non  ti  dispiaoda, 

Etti^raa  indietro,  e  latda  andar  la  tracda. 

A 'quali  ancor  non  vederli  la  facda,  77 

Dal  vecchio  ponte  gnardavam  la  Iraoeia, 

B  che  la  feria  timilmrnte  tcacda. 

Ma  Barbarioda  il  chiute  con  le  braoda,     SO 

Ed  al  Maeetro  mio  volse  la  facda  : 

Saper  da  lui,  prima  di'  altri  -1  Jitfacda. 

Con  tiuiil  atto  e  con  tiiuile  facda,  20 

9  egli  è  che  ti  la  dettra  costa  giaccia, 

Moi  fuggirem  l' imaginata  cacda. 

Come  '1  tapin  che  non  ta  che  d  facda  ;      41 

Veggendo  '1  mondo  aver  cangiata  faceia 

E  fuor  le  pecorelle  a  pascer  caeda: 

Di  quel  aoverehto  fa  nato  alla  faaeia,       4::8 

Quel  che  giaceva,  il  muso  innanai  cacda, 

Cono  face  la  coma  la  lumaccia  : 

Gli  orribili  giganti,  coi  minaccia  41 

F^  b  scorgeva  già  d' alcun  la  facda, 

E  per  le  coste  giù  ambo  le  braccia. 

Eran  1'  ombre  dolenti  nella  gliiaeda,  3'> 

Ognuna  io  giù  tcnea  volta  la  faccia: 

Tra  lor  testiinoniansa  ti  procaccia. 

Da  meuo'l  petto  ancia  fuor  della  giiiacda;  20 

CI»  i  giganti  non  fan  con  le  tue  braccia: 

Ch'  a  ooei  fatta  parte  si  confacela. 

Ma  la  bonb  infinita  ha  ti  grao  bracda,  421 

Se  1  pattor  di  Cotenia,  di'  alla  cacda 

A  vette  in  Dio  ben  letta  questa  faccia. 

Volgendo  a  lom  e  qua  e  la  la  facda,  44 

Qnvi  ara  l' ArcUn,  che  dalle  braccia 

E  r  altro  die  annegò  correndo  in  cacda. 

Trafogd  Id  dormendo  in  le  eoe  braccia,     18 

Che  mi  acoat*  io,  n  come  dalla  facda 

fa  l' nom  che  tpaventato  agghiacda 


Per  Id,  tanto  eh'  a  Dio  ti  toddisfacda,       71 
Atedtando,  chinai  In  gin  la  facda  ; 
Si  torno  sotto  H  peto  die  lo  impaccu  : 
Paad  di  fuga,  e,  veggendo  la  caccia,        4  Itf 
Tinto  di'  io  levai  in  tu  V  ardita  facda, 
Cooae  fa  il  merlo  per  poca  b  nacda. 
Buonagionta  da  Lucca  ;  e  quella  facda      'il 
Ebbe  la  Santa  Chiesa  in  le  tue  braccia: 
L'  angdlle  di  Bolscaa  e  la  vemacda. 

accio 

IRV.  Pereb*  io  pregai  lo  spirito  più  avacdoii     4 16 
40^  Diaaeni  :  Qui  con  più  di  mille  giaccio: 
E  '1  Cardinale,  e  degli  altii  mi  tacdo. 

acco 

Inr.  D>iinUUd^«te^\x%>MtwkVL«MM^    v^ 


RIMARIO  DELLA  DIVINA  COMMEDIA. 


Ptm.  Gli  f pigoli  di  qndla  regge  tiacra, 
9^    Non  raggio  A^  oè  si  mostrò  ti  aera 
Metello,  per  che  poi  rimase  macra. 

acri 


4V*  B  della  mente  paggio,  e  cbe  mal  nacque,    12S 
lo  non  so  ae  piò  dìsM,  o  •'  ei  si  Ueqoc, 
Ma  <iiiesto  intest,  e  ritener  mi  piae(|oe. 
Air.  Freno  a  suo  prode,quciriii>m  die  non  nacque,  2ft 

7**    Onde  l' umana  spezie  inrerroa  giacque 
Fin  eli'  al  Verbo  di  Dio  di  scender  piacque, 

44*  Onesto  cb'  io  dico,  *\  come  si  tacque  S 

Per  la  similitudine  die  nacque 
A  coi  sì  cominciar  dopo  lui  piacque. 

39^  Foor d'ogni  dltru  cpinprend«:r,e*ane  i  pUeque,  17 
Né  prima  quasi  turpente  »i  giacque; 
Lo  discorrer  di  Dio  sovra  quett'  acque. 

acqui 

PiE.  Tre  tolte  dnse  me,  si  eom'  io  tacqui,       <S2 
34*  Io  area  detto;  si  nel  dir  gli  piacqui. 


434 


Inr.  E  ueeaano  era  «tato  a  vincer  Acri,  M 

27*  Né  sommo  uBdo,  ni  ordini  sacri 
Cbe  solca  far  li  suol  cinti  più  macri. 

acro 

rea.  0  tu,  che  se*  di  là  dal  lume  eaero  I 

31°  Che  por  per  taglio  m'  era  parai*  aero), 

PAa.  S«  mai  eontinca  cbe  il  poema  sacre,  I 

25*  Sk  cbe  m'  ba  Catto  per  più  anni  nacro, 

ada 

lar.  In  vera  perfeiion  giammai  non  vada,       HO 

0^    Noi  aggirammo  a  tondo  quella  strada, 
Venimmo  al  ponto  dove  si  digrada: 

8^    E  diss«r  :  Vicn  tu  solo,  e  qoei  fon  vada,    IO 
Sol  si  ritorni  per  la  folle  «trado  : 
Che  «ci>rto  1'  hai  per  t\  boia  contrada. 

t  J*  Li  passi  miei  per  si  selvaggia  strada,        03 
Che  ne  dimostri  la  ove  si  guada, 
Che  non  k  spirto  che  per  1'  a«r  vada. 

f'V*  E  poi  ngiugoerò  la  mia  masnada,  41 

lo  non  osava  scender  della  strado 
Tenea,  eom'  nom  che  riverente  vado. 

IO**  Tutto  elio  nodo  e  dipelato  vado,  li 

Nepoto  To  dello  buona  Gualdrada: 
Fece  col  senno  assai  e  con  la  spada. 

88*  a  erudcloiente,  al  taglio  Oiila  apodo         M 
Quando  avem  volta  la  dolente  strado  ; 
Primo  eh'  altri  dinami  li  rivada. 

Ot*  Sotto  il  chinato,  quando  un  navoi  vado    iti 
Tal  parve  Anteo  a  ma  dio  alovo  o  kodo 
Cb'  i'  avrei  voluto  ir  per  altro  strodo. 
Prt.  Com'  non  che  tono  olio  smorrito  strada,  HO 

4*    Quando  noi  fummo  dove  la  rofiodo 
Ove  adorena,  poco  ai  dirada  ; 

4*    E  diversi  emlsperi;  onde  lo  rtrada,  71 

Ve<lrai  enm'  a  costui  oonvien  che  vado 
Se  r  intelletto  tuo  ben  chiaro  bado. 

IT    Grida  i  signori,  e  grida  lo  controdo,        ISTI 
Ed  in  vi  giuro,  «*  lo  di  sopra  vada, 
Dfl  pregio  della  borsa  e  della  spada. 

iy  Vedeva  io  te  segnata  in  so  la  strado  li 

0  Saul,  come  in  sa  la  propria  rpodo 
Che  poi  non  acuti  pioggio  né  ragiadaf 

<<r  Duo  Soli  aver,  die  1'  ona  e  V  altra  strada  lOT 
L'  un  1'  altnt  lia  spento;  ed  è  gionta  la  spada 
Per  viva  forta  mal  convico  che  vado; 

Itf  E  brìgavam  di  eovorchior  lo  strado  123 

Qoand*  lo  senti*,  eome  eo«a  dio  coda. 


Qual  prrnder  suol  colui  di*  a  morte  vada. 

23?  Un  alber  che  trovammo  in  mena  strada,  431 
E  come  abete  in  alto  si  digrailo 
Cred'  io  perdio  persona  su  non  vada. 

Str  Valse  alle  guanco  nette  di  ragiada,  53 

Dante,  perchè  Virgilio  so  ne  voda. 
Che  pianger  li  convien  per  altra  spada. 
P4ii.  Come  tenne  Lorenzo  in  su  la  grada,  8.1 

•i*    Cori  I'  avria  ripinte  per  la  strada 
Uà  cod  salda  voglia  è  troppo  rada. 

S*    Tal  che  fu  nato  a  cingersi  la  spada,  440 

Onde  la  traoda  vostra  è  fuor  di  «trada. 

39"  Gli  occhi  oramai  verso  la  dritta  strada,     428 
Questa  natura  d  oltre  tf  ingrada 
Né  oonoetto  Bsortal,  che  tanto  vado. 

ade 

Inr.   L*  altro  piangeva  st,  die  di  pleiade  440 

5*    E  caddi,  come  corpo  morto  cade. 

4 1*  Biscauo  e  fonde  lo  sua  facnltade,  44 

Paossi  far  fona  nella  Deitade, 
E  spregiando  natura  a  sua  boutade  : 

13?  Che  spesso  volto  I'  anima  d  cado  423 

B  porcile  tu  più  veleni  ier  mi  rado 
Sappi  ebo  toato  ohe  l' anima  trado, 
Fom.  Per  lo  scoloo  cbe  si  fero  ad  etade  401 

12?  Co*\  tf  allenta  la  ripa  che  cade 

Me  quind  e  quindi  1'  alta  pietra  rada. 

Il*  Facea  lo  stelle  a  noi  parer  più  rado,  77 

E  correa  centra  '1  del,  per  quelle  strado 
Tra'  Sardi  e'  Corsi  il  vede  quando  cado  ; 

31*  Non  rogiodo,  non  brina  più  su  cade,  47 

Nuvolo  spetM  non  paion,  né  rada, 
Glie  di  la  cangia  sovente  contrade. 

3S*  Memoria,  intcUigenda,  e  voiontado,  t3 

Senta  rcvUni,  per  so  sleoea  cado 
Quivi  eonosoo  prima  lo  sue  strado. 

13?  Qual  Temi  e  Sflnge,  men  ti  penuodo,  47 

Mo  tosto  Ileo  li  falli  le  Naiade, 
Sema  danno  di  pecore  e  di  biado. 
Pai.  Priodpio  fa  del  mal  della  cittado,  CU 

40?  E  deco  toro  piti  avscdo  cade 

Più  e  Meglio  una  cìm  le  einqae  spadou 

ndl 

Poi.  Le  immogittl  di  tanto  umilitodL,  M 

40?  Ereo  di  qoo,  a»  fanno  i  passi  radi. 
Questi  ne  invieranno  agli  alti  gradi. 
42?  Disse:  Venite;  qui  son  preMo  i  gradi,        Vj 
A  questo  invito  vengon  molto  rodi: 
Peràhi  0  poco  vento  cod  codi? 
Pai.  Nel  some  eoo,  do  qnosto  dignitodi,  feO 

7*    N4  rieovrar  poteod,  so  tu  bodi 

Senio  pasaar  per  un  di  mesti  nodi  : 
SI*  Menava  io  gli  n<xlii  per  li  gradi,  47 

Vedevo  vL<i  a  carìtb  suadi. 
Ed  otti  ornoli  di  tutU  oneatodl. 

ado 

Iinp.  DlMcnde  mal  alcun  del  primo  grado,  |f 

8?    Questa  qoci>tii>n  feo'  lo.  E  qod  :  Di  ródo 

Facda  il  cammino  alcun  per  quale  b  vodo 
Fom.  Cbe  seilea  li,  gridando  ;  So,  Corrado,  a\ 

S*    Poi  volto  a  aie  :  Per  quel  «ingulor  grado, 

Lo  suo  prime  perchè,  che  non  gli  è  guo4a, 
Pae.  Come  tu  vedi  ornai,  di  grado  in  grado,     ì'ZJ 
3?    Riguarda  bene  a  me  si  eom*  io  vado 

SI  riie  poi  ksppi  sol  troer  lo  guado. 
43?  Mia  donna  venne  a  me  di  vai  ili  Pedo,      4  J7 

Poi  «eguitai  lo  imprrador  Corcai^ 

Tanto  for  V«o«  oifivov  \\\  i«ea»\  \«  ^^t^A» 


RISIARIO  DELLA  DIVINA  COMMEDIA. 


4(0 


ìnr 
8 


Pi  R.  Che  U  toa  tUnu  mto  pianger  dUa^ia, 
19"  NepoU  lio  io  di  U  e^  ha  Dome  Alagia, 
NoQ  faceia  M  p«r  tsamplo  malvagia  ; 

afflo 

r.  La  via  è  longa^  e  il  cammino  è  malTaglOi  CR 
i*  Non  era  camminala  di  palagio 
Ch'  atea  mal  laolo,  •  di  lama  disagio. 

affila 

IXT.  Dinanzi  tf}\  occhi,  falto  della  taglia  63 

21*  Di  fuor  doralo  MOf  ȓ  cb'  egli  abhaglU; 

Che  Pcderìcu  le  melica  di  pai(l>a> 
24*  Con  r  animo  che  Tisee  ogni  battaglia,       SI 
Più  longa  «cala  cootìoq  che  ti  Mglia  : 
Se  lo  m' intendi,  or  fa  ■!  cb«  ti  vaglia. 
Pm.  Schermar  lo  Ti«o  tanto  che  mi  vaglia,        36 
15*  Nub  ti  maravigliar  m  ancor  t'abbagli* 

Messo  è,  che  viene  ad  invitar  eh'  som  a«glia. 
Pak.  Che  cieco  agnello,  •  molte  volte  taglU        TI 
ta*  Se  tn  rìgnardi  Lanl  ed  Urbisagli* 
Diratro  ad  «aaa  Chiiui  e  8iaigagUa, 

affile 

iRf .  Come  coltel  di  scardova  le  acaglk,  SS 

2)1°  0  la  die  eolie  dita  U  dismaglia, 
E  che  fai  d' eaaa  talvolU  UMgua  : 

affli 

Pra.  Che  spera  in  Talamuna,  a  parderagU         153 
43^  Ma  piò  vi  perderanno  gli  ammiragli. 

Pah.  M.iiln>c!«  detto  fa  :  Perchè  V  abbagli        V22 
20'  In  T«rra  è  terra  il  mio  corpo,  e  aarag li 
Colf  i'  eterno  proposito  a'  ag gnagU. 

affilo 

PAt.  Tolta  m*  avea  del  sabito  abbarbaglloi         30 
2b*  E  disse  :  Certo  a  piò  anKa»to  vagii* 
Clii  dritto  r  arco  tao  a  tal  bawaglio. 


23*  Salendo  a  rigirando  la  aaonlagna  tS 

Tanto  dica  di  farmi  aaa  compagna, 
Quivi  oonvien  cba  teuta  lai  rimagnn. 
Pae.  Cangem  l' acqaa  cba  Vieeau  bagna,  47 

flP    B  dove  Sila  e  Cagnaa  a'  nccompngnn, 
Che  già  par  lai  carpir  ai  fa  U  ragù. 

affne 

PUE.  Da'  tool  gentili,  e  cara  lor  magagna»       4  IO 

6^    Vieni  a  veder  la  tna  Roma  cba  piagna, 
Cesare  mio,  perchè  non  m' accompagna? 

42*  Sovr*  a'  srpoUi  le  tombe  terragna  47 

Onde  li  molta  volte  si  n piagna 
Ch*  solo  a'  pU  da  delle  calcagna: 

4ìr  Che  sola  sovra  noi  omai  si  piagna?  50 

Bastiti,  e  batti  a  terra  la  calcaign*, 
Lo  rege  eterno  con  la  rote  magno. 

«f  Che  m' intenda  eoloi  cba  di  U  pUgna,     467 
Non  por  por  ovra  ddle  nota  magna, 
Oacondo  ch*  1*  stali*  aon  compagna; 


affni 


410 


l«f 

S* 


3./* 


438 


03 


affna 

E  però  se  Caron  di  te  ai  lagna, 
Finiti I  questo,  U  baia  campagna 
La  inrntc  di  ^«dore  aaci»r  mi  bagna. 
E  veKitio  «d  ogni  man  cruide  campagna  140 
Si  cmiv  «d  Arli,  uve  'i  &i>d«ao  stagna, 
CIte  Italia  clnodit  e  i  «a«H  termini  bagna, 
Appir  driralpi',  che  serra  Lamagaa 
Pi-r  millr  funli,  credo,  e  piò,  si  bagna, 
luil  aoiaa  rlf  nrl  detto  lago  stagna. 
Si  lf\a  e  goArda,  e  vede  la  campagna 
Uilorna  a  casa,  e  qua  e  la  si  lagna, 
pili  rirde,  e  la  sprran^a  ringa^agna. 
S«>l  c«in  un  Irgnu  a  con  quella  compagna 
L'  un  litu  e  l' altro  tuli  inMn  la  Spagna, 
K  l'altre  che  quei  mare  intomo  bagna. 
Lo\ati  quinci  e  ni>n  mi  dar  pia  lagna; 
Allor  lo  preM  per  la  cuticagna, 
O  die  cap4-l  qoi  sa  non  li  runagna. 
D' ogni  c(>- luine,  «  ptcn  d' ogni  magagna,  452 
CIte  col  [wnciure  sptrlu  di  Bomagaa 
In  annuii  in  Oocito  già  «i  t»agaa, 
I>i»(>crgr««e  odor  per  la  ranq>agna,  2 

lo  mi  n>tnn9i  alla  Oda  compagna: 
Chi  m'  a^ria  trailo  sa  prr  la  amatagna? 
45*  Che  volli*  dir  lo  spirto  di  Romagna,  41 

Pereli'  egli  a  me:  Di  ma  maggior  auga^aa 
Se  n<-  niircndf,  prrche  mt-n  srn  piagna. 
Si  movca  lotta  quella  torba  magna;  06 

Maria  core*  «un  fivtta  alia  aMotagna; 
ManUla,  •  p*l  oars*  la  bf  agna. 


2V 


2 


W 


xr 


PCR. 


I»* 


fui 


85 


IHY.  Mi  tn  aeatrali  gli  apiriU  magni, 
4*    io  vidi  Elettra  con  molli  compagai. 

Cesare  armato  eoa  occhi  grifaipÌL 
46*  Con  noi  per  poco,  e  va  là  cui  compagni,     TI 

La  gente  nnova,  e  i  subiti  guadagni, 

Fioreaxa,  in  te,  sì  die  lo  già  ten  piagai. 
3S*  Ed  era  quei  die  sol  de'  tre  cumpagai,       4  49 

V  altro  ara  quel  die  la,  Cavili*,  piagai. 
Poe.  Per  eh*  aon  gli  ebbe  Gedeoa  compagni,    425 
24    SI,  arooslati  all'  on  d*'  duo  vivafiai. 

Seguite  già  da  miseri  guadagni. 
Pai.  C  ha  disviate  le  pecora  e  gli  agni,  434 

flP    Per  questo  l' Evangelio  e  i  Dottor  aaial 

Si  atodia  A,  cba  para  a'  lor  TivagaL 

affuo 

Ixr.  PaaaoCodto;  *  qualsia qaaUoaCa^M^  449 
44*  Ed  io  a  lai:  Se  '1  pr«acaU  rigaga* 

Perchè  ci  appar  par  a  questo  vitagao? 
32*  Così  volse  gli  artigli  al  soo  eompaga*,     437 

Ma  r  altro  fa  bene  sparvier  grilagno 

Cadder  nel  meno  del  bollente  btagno. 
23*  A  volger  muta  di  molin  terragno,  47 

CooM  'I  Maestre  mio  per  qael  vivagno, 

Coma  ano  figlio,  e  non 


OffO 


so 


ilir.  Che  qni  staranno  ruom  porci  in  braga^ 

6*    Ed  io  :  Maestro,  molto  sarei  vag* 
Prima  die  noi  uvdwioio  del  lag*. 

2Br  Clie  avere  inte«>  al  tuoio  ed  ali*  aptf*    416 
Vedi  le  triste  die  lasdaroa  V  ago, 
Frcer  malie  con  erbe  e  con  imago. 
Pvn.  Che  i  marinari  in  metto  al  mar  diaaafa;  30 

49*  lo  volsi  Ulii><«e  dei  «uu  cawinin  vag* 
Rado  sen  parie,  si  tattu  l' appago. 

33^  Tr'ambo  le  raotp,  e  vidi  uscirne  aa^nfo,  461 
E,  coOM  ve»|>a  die  ritragge  l' ago. 
Trame  del  fuodo,  e  gisaen  vago  vaf*. 

lìffra 

tur.  Kstoia  in  pria  di  Neri  si  dioiagra, 
24*  Tregge  Marie  vapor  di  vai  di  Magra, 
E  con  tempesta  iupetoosa  ad  agra 


443 


Poe.  e  comindai 
35^  Sai 


30 


Un»  et»  •!  imi*,  fnM  ibUl  T 
r»Jit  irOn  •  budàni  uà  Lii. 

r    CoaM>fdU,Hi'f  ■lealirUI.  M 

OÌM  Miiil,  aUtf  •«  4lli  imi 
ftwIi'W  ri  MMIirM  Ultima 

r    l>iUtelnMB,>aHrtnu4>l  3 

B  MEI  I  (n  n>  galu«>  mIiI, 
r    lll«M,ilnn.irliil,»tU; 

I*    FnfL  «  H  :  «M  (■  «■!  HmamL 
U  II  ■!  41w  :  vi^:  Ila  MT 


Mtftì  n  |HM  tt,  («in  :  Ebe  Liàt 

Citf  lUaUcVI^IlBllollllolDtlillli 
■,  -bH  ìlHIHn  tmf  UMl, 

y    «Uéi  •Md.U  ed  «m,  t  pn«<> 
BbiiMl  ^  Chi  •M'  !•  l'  tiH< 


RIMARIO  DbLLA  DIVINA  COMMEDIA. 


CIte  alcoD  altro  la  ijnetta  tiirb»  %*U. 
il*  Uè  ferma  (ed*  per  «Écmplo  di'  •!• 

Né  ptr  altro  arg'imrnto  t\w  non  pait. 
98*  Si,  di*  l'afTett')  convirn  che  «1  paU 

E  ainiilmentt  1*  aoiina  priraaia 

Qaant'rlla  •  cuiopiacenni  veoia  fata. 
IST  Per  Daoiri,  «edrai  cIm  in  toc  migliaU 

La  prima  luce,  cba  lotta  la  raia, 
•   QiuÌDti  Ma  f  li  •plesdori  a  dia  a*  appaia. 

alo 


110 


1M 


I 


(  9*    PaHaromo  Ira  i  martiri  e  gh  alti  spalili. 
Por.  Porto  t'  a%«u  <lioanii  agli  ameraUi,         410 
81*  Mille  disirì  pia  die  «amma  caMI 
Qm  por  auTra  il  grifuiM  tUTaa  saML 

Aldo 


hiff.  Oa  dhced  M  ctreUe  primato 
S*    E  tanto  |>ià  dolor,  die  pagne  a  foalo. 
Por.  llicuminciA  il  corteM  purtinaio:  03 

9*    Là  ne  Teoimiuo;  a  lo  icaglion  prìmaie 

Cli'  io  mi  •percliia>a  ia  e**o  qaale  i'  p^io. 
Par.  R^ftcer  al  Toole,  ed  atea  Gali  saio  101 

iff  Grande  ara  già  la  eeloona  dei  Vaio, 
E  Galli,  f  qMl  eh*  arroaaaa  per  lo  ttalo. 

ala 

Poi.  Dove  r  aeqoa  di  Tevere  t'insala,  101 

a^    A  quella  foce  lia egli  or  dritta  Pala; 

Quii  Teno  d*  Acheronte  noa  al  «ala. 
t*    La  piò  rotta  mina  è  naa  icala,  M 

Or  chi  *a  da  qnal  man  la  en^ta  cala, 

Si  che  p«M.ea  aalir  ehi  «a  aeai'  ala? 
1 1*  To.to,  n\  che  poesiato  maoTer  l' ala,  18 

Mostrate  da  qaal  mano  in  Ter  la  aeala 

Quel  ne  ingegnate  che  nii>n  erto  cala  : 
13^  Noi  riavam<i  al  aomm«i  dHla  ^eala,  I 

Ln  munta  die,  nalt-ndo,  alirai  disoMla: 
17*  Volc^niroo  i  mMtri  patti  ad  ana  acala:       03 

Senti  mi  prf4t«>  qua<i  un  wonver  d'  ala, 

Patijier,  e'*  «"n  M-ni'  ira  mala. 
2?  Do»  iniian7i  alir>,  |>rrod**nilii  la  arala  8 

E  qualf  il  ciritgnio  clic  Irta  1'  ala 

D*  abhandiKiar  h*  nidi»,  o  ^\ii  ia  cala; 
PiR.  Che  ti  c«>iiiluc^  «o  |>fr  qndla  «cala,  88 

\tf  Qaal  li  ntz*y-9  il  tin  d«-lla  «oa  fiala  j 

Se  non  cimi'  ai--iaa  rb'  al  mar  non  al  cala. 
taf  Con  nn  a<>l  ct-nno  uà  per  qaella  «cala,       101 

Ne  mai  qua;;t;iò,  do\o  «1  monta  o  cala, 

Cti'  agguagliar  ai  potceee  alla  aaia  ala. 

alba 

Pm.  Vrif  £Ì<ino  in  oriente,  innand  all'  alba,         8 
llT  Mi  Tenne  in  ao^nto  ana  femmina  balba. 
Con  le  man  moucbe,  o  di  colore  aoalba. 

nira 

Por.  Lnngii  di  ti  di  notte  fona  a  ealea,  89 

ti{*  Talf  prr  qurl  gifon  ■un  paMo  falca. 
Cai  boMU  Tolere  a  gio<to  amor  cRTalca. 

alchl 

Pra.  \ja  caTall^r  di  fchiera  elio  eatalchl,  03 

'IV*  Tal  ai  I  irli  <la  nii  con  maggior  TakM; 
Ciò  far  del  mondo  ai  graa  maliicalchl. 

aida 

rvR.  Coropreniler  dfll'  amnr  eh'  a  te  mi  «calda,  IM 
31*  Trattando)  X  ombra  cnmo  eoea  aalda. 

al  de 

lar.  Pioiran  di  fa»m  dilatate  falde,  W 

14*  Vu»h  Ali>k«andr»   n  qurlle  parti  ralde 
l'iamuir  cadere  inliuu  a  terra  tald*  ; 


Inr.  Cbè  ra'  avea  gtaorato  V  ua  ribaldo 
22*  i'oi  ftai  famiglia  dd  bnoa  r«  Tebaldo: 
Di  dio  rendo  ragiono  ia  que^o  eaUo. 
Par.  Dd  collo  eletto  dal  beato  Ubaldo, 
44*  Oado  Poragia  aoale  fre«ldo  e  caldo 

Per  grere  giogo  Nocrra  ohi  GaaUa. 
23f  Domini  faro,  aeeoal  di  qael  caldo 
Qai  e  Maocarin,  qai  è  Romoaldo, 
Pensar  li  piedi,  o  Icaaeffo  il 

aie 


IO 
44 
4T 

44 


yf.   Bi 


aldi 

•aap(*,f 


131 


Vn.  Cocrattibilo  aaeora,  ad  lamertalo 

T    Perà,  ao  V  arrotaario  d' ogai  aaalo 
Ch'  asdr  doToa  di  lui,  o  '1  dii,  o  'I 

IP    C'baaao  polcnia  di  faro  altrai  aaalo: 
I'  soa  falla  da  Dio,  aaa  nereii,  tala, 
(fé  fiamma  d' etto  incendio  noa  m/ 

4P    Diog«nc«,  Anaaaagora  a  Tala,  487 

E  Tidi  11  boooo  accnglilor  M  qaala, 
Tnllio  0  Uno  o  8oB««a  morale  : 

44*  Ingiuria  è  il  fino,  ed  ogni  fin  eotak  38 

Ma  perchè  frodo  è  deli'  uom  proprio  aaia, 
Gli  imdtilenli,  o  pia  dolor  gli  oMalo. 

43^  C  ha  riceTato  già  'I  col|io  aiortalo,  38 

\id'  io  lo  Minolaaru  far  eoUlo. 
Heutre  di'  4  ia  farìa,  è  buoa  dio  ta  II  cale. 

4T*  Cia  aalla  grorpa  del  fiero  animala,  88 

Omai  *\  acentlo  per  ai  fatto  «calo: 
A  Cile  la  roda  non  poe«a  far  awla. 

84P  Ed  ag;;rappoaai  al  pd  eo«a'  ama  aba  tali,  8D 
Attieuti  ben,  dt4  per  ootali  aealo, 
CoaTionai  dipartir  da  tanto  aula. 
Por.  Qaaato  aeoao  ad  andar,  ohe  11  poggia  aala  88 

4P    Ed  egli  a  ma  :  Qoo«ta  montagna  è  lal^ 
E  quanto  aom  più  Ta  ea,  e  mea  fa  aula. 

IP    Po«le  in  8Rara  del  freddo  aaimak,  8 

R  la  nntle  do'  pa«-<t,  eoa  che  aalo, 
E  il  teno  già  chinava  ia  gi«M  l' alo; 

4QP  Appiè  dell*  alta  ripa,  che  par  aalo,  SI 

E  quanto  1'  ocdiio  ado  potea  trar  d' ala 
Qae«ta  enraioo  mi  paraa  colalo. 

4SP  Bianco  Toatita,  o  aella  faccia  qaala  88 

Le  braoda  aperte,  od  indi  anaraa  P  alo  : 
Ed  agcToleaieato  amai  d  aata. 

Hf  La  te»ta  di  mio  8glio  là,  dal  qaala  88 

Neatro  dia  la  graa  doto  ProTcìualo 
Poco  Talea,  ma  par  aoa  facea  malo. 

83"  Nd  limbo  ddr  inforno  Gia\onalo,  44 

Mia  benToglienia  iuTervo  te  fu  qaalo 
A  di'  or  mi  parran  corta  qoe<ite  acala. 

2Ì9P  Un  carro,  in  >n  deo  rote,  trionfalo,  107 

Ed  04ao  iòndea  ta  I'  aaa  e  V  altr*  alo 
A  eh'  a  nulla,  feadcodo,  faeea  malo. 

81*  Per  la  mia  aiorte,  qual  coaa  mortala  88 

Boa  ti  dciTerl,  per  le  primo  atrdo 
Dintr^  a  me  die  o->o  era  piò  tale. 
Par.  Per  tempo  al  pan  dfgli  aoKell,  del  qaala    14 

3P    Metter  potete  ben  per  l' alto  aalo 
-  Diaanti  all'  acqaa  che  rìloraa  ogaalo. 

41*  Pii  caramcato;  e  queato  è  qaelle  ttiala     18 
Ta  proTerai  ti  come  ta  di  aalo 
Lo  acendere  e  il  talir  per  V  allral  aedo. 

SI*  MI  eooiadb,  ta  U  laraaU  qga^W  % 

Gkè  U  bdUuR  RÉba^  4te  ^m.  Va  nitìfi 
Cca>bRA  «a4«U,^EMriU^^«"^« 


RIMARIO  DELLA  DITINA  COMMEDIA. 


9 


TST  UMJÌro  ad  «fio  cb*  aoo  «tm  ftUo,  23 

E  come  in  vetro,  ia  «mbra  od  io  triiUIlo 
Air  euer  tatto  non  è  intcnrallo; 

almtt 

Far.  Cb«ilToctn>aM»dofaeft,prì«eh^alti'ftljBa  110 
0^    Ben  ù  ocATcnno  lei  lasciar  per  pala» 

Chfl  »'  «eqnistò  con  l' ona  «l'altra  palma; 
32?  Quanta  mmt  poote  in  angelo  ed  in  alna,   1 1O 
Perch'  egli  è  qnegli  elio  portò  la  palaa 
Cercar  ai  toIm  della  nottra  talma. 

alme 

Pin.  V  «dire,  ed  a  mirare  ona  dell^  alma  8 

8"    Ella  giunse  e  ktd  ambo  le  palma, 
Come  diceiee  a  Dio:  D*  altro 


fnr. 

Zi* 

PAB. 

2k* 


Almi 

Prroceb'  io  ne  Ted4>a  trenta  gran  palari 

Rafèi  mai  amèch  tabi  almi. 

Cui  non  al  conrenien  piò  dolci  aalmL 

risico  e  metaflsice,  ma  dalmi 

Per  Moiftà,  per  proreli,  e  per  salmi. 

Poiché  l'ardente  Spirto  Ti  fece  almi; 

alo 


Pati.  Non  t'  era  ginnto  ancor  Sardanapalo 
15"  Non  era  Tinto  ancora  Uontemalo 
Nel  montar  so,  cosi  sarà  nel  calo. 

alpe 

Ptb.  nìcorditi,  lettor,  se  mai  nell'  alpe 
17*  Non  altrimenti  cbe  per  pelle  talpa; 

alee 

I>r.  BaMando  '1  tIso,  ma  poco  gli  valse: 
18*  S«  le  faiion  che  porti  non  st>n  false, 
Ma  die  ti  mena  a  si  pan^enti  salsa? 
Fi  r.  Iiunisgini  di  bea  segoendo  false, 
9Bf*  Ne  r  impetrare  «piraziun  mi  Talea, 
Lo  riTocai;  si  puco  a  ini  no  calaa. 

alla 

Pah.  Tal  sicnoreggia  e  Ta  con  la  testa  alta, 
V    i'i«n;:ira  Feltro  ancora  la  diffalta 
Si,  che  per  simil  nun  s'  entrò  in  Malta. 

allo 


65 


134 


107 


47 


131 


50 


416 


l57.  In  luogo  aperte  laminoso  ed  allo, 
4"    <'<'la  diritto,  sopra  il  Terde  aasalto, 

Clic  di  vederti  in  lue  stesse  m'  eaalla. 
9^    Baltfsn^i  a  palme,  e  gridavan  sk  alto,       SO 
Venga  Medosa,  si  il  farcm  di  saMlto: 
Mal  non  Teagiammo  in  Teseo  l'assalto. 
Fra.  Quando  citiamo,  per  totlo  <pieU'  aaaalle    110 
tr    Sf  la  lacerna  die  ti  mena  in  alto 

Quant'  V  mestivrv  infino  al  soasae  saulto, 
FAtt.  Italica,  citv  Mede  intra  Rialto  20 

U*    Si  leva  un  colle,  e  non  kurge  moiraltO| 
Clie  fece  alla  contrada  grande  assalto. 

allro 

Pr  n.  Mentre  cbe  si  per  l' orloi,  ano  innansi  altro,  1 
'JO"  Dic«Ta:  Goarda;  giovi  cb'  io  ti  scaltro. 

alYO 

Fra.  Sovr'  eseo  Gorion  ti  guidai  salvo.  23 

'J7*  Credi  per  csfto  che,  se  dentro  all'  «Iva 
Nea  U  peirahfco  far  t  n  capei  calTo. 


alci 

Far.  Dello  Spirito  Santo,  magri  o  acaU,  ICS 

21*  Or  Toglion  qnind  e  <iaindi  eld  rlncaU 
Tanto  eon  graTi,  o  ehi  dirìetro  gli  abL 

also 

Ì^T.  Con  ({Msto  tìto  già  di  babo  in  balae,       tC 
29^  Allor  si  rappe  lo  cemvn  rincollo; 
Con  altri  che  V  odlroo  di  rimbalio. 
Por.  Videmi  il  Doea  mio,  s«  per  lo  balzo  68 

UT    Lettor,  ta  Tedi  ben  com'  io  innalzo 
Non  U  mararigliar  a'  io  U  rincalzo. 


Inr.  B  letterati  grandi  e  di  gran  fama,  lOI 

15*  Priscian  sen  va  eon  quella  torba  grama, 
S'  avessi  sToto  di  tal  tigna  brama, 

20P  Non  più  Bcnaeo,  ma  Mincio  si  diiama       77 
Non  molto  ba  corso,  che  trova  nna  lama| 
E  suol  di  state  talora  esser  grama. 

SI*  Questi  può  dar  di  <|nel  che  qui  si  brama  :    125 
Ancor  ti  pud  nel  mondo  render  fama; 
Se  innanxi  tempo  grazia  a  sé  noi  chiama. 

Saf  Fu  mia  risposta,  se  domandi  fanu,  SO 

Ed  «gli  a  me  :  Del  contrario  bo  io  brama: 
Che  mal  sai  lusingar  per  questa  laoM. 
PcR.  Vedova,  sola,  e  di'  e  notte  diiama:  11S 

0*    Vieni  a  veder  la  gente  quanto  B''ama; 
A  Tergognar  ti  Tien  della  tna  faoia. 

15*  Pia  T' è  da  bene  amare,  e  più  tì  e*  ama,    74 
E  se  la  mia  ragion  non  ti  disfama. 
Ti  torrà  questa  e  dascun'  altra  brama. 

17*  Spera  eccellesoa,  e  sol  per  questo  brama  116 
È  dii  podere,  grazia,  onore,  e  fama 
Onde  s'  attrita  si,  die  il  contraro  anu; 

23*  Si  goTemasM,  generando  brama,  85 

Già  era  ia  ammirar  cbe  si  gli  afTaoM, 
Di  lor  maerena  e  di  lor  trista  squama; 
Par.  Di  quel  Maestro,  che  dentro  a  lè  l' ama     11 

10^  Vedi  come  de  indi  si  dirama 

Per  soddisfare  al  mondo  che  gfi  chiama  : 

17*  L' anima  santa  di  metter  la  trama  101 

Io  comindai ,  come  colni  die  brama, 
Cbe  Tede,  e  Tuol  dirittamente,  ed  aau: 


Inr.  !>'  un  peocator  li  piedi,  e  delle  gaesbo 
Hy*  Le  piante  erano  a  tatti  acceso  intramba; 
Cbo  speaato  averian  ritorte  e  stramba. 


Ixr.  Con  la  test*  alta  a  con  rabbiosa  fama, 
1"    Ed  ona  lupa,  cbo  di  tutte  brame 

E  OKilte  genti  (e  glb  Tiver  grama^ 
15*  Cbe  V  ona  parte  e  V  altra  avranno  fi 
Facdan  le  bestie  Fieeelam*  strame 
S*  alcuna  surge  ancor  nd  lor  letamo , 
27*  Si  che,  con  lutto  cb*  e'  fosse  di  raaaa, 
Coek,  per  non  aver  via,  ne  forame 
Si  convertivao  le  parole  grame. 
33*  La  quel  per  me  ha  1  titol  della  fama, 
M'  avea  mostrato  per  b  suo  forame 
Che  del  futuro  mi  squarcio  il  velaiM. 
Pub.  Quand*  io  intesi  U  dorè  tu  chiame, 
21^  Perclié  non  rrggi  tu,  e  sacra  fame 
Voltando  «cntiréi  le  giostre  graaie. 
Par.  D'  un  modo,  prima  si  morria  di  fama, 
4^    Si  si  starebbe  un  agno  intra  duo  bKwìsA 
8k  ii  starebba  «a  «a9M\aXt%  ^'«o  4aM*ei. 
tr  GhalMt«M^«^'^VaM9ua\akV«m»> 


23 


47 


11 


TS» 


RIMARIO  MLLA  DimU  COXHEDU. 


11 


23"  e  quel  Unto  wmè  mII«  mm  gnuw», 
Dell'  Evangelio  Cero  scodi  •  lance. 

anche 

ItiF.  E  che  gik  fo,  di  qocfte  animo  staaebn        (0 

T    Maestro,  disù  hil^  or  mi  A  aneho  : 

C!ie  è,  che  i  ben  del  mondo  lia  ri  tra  braacbo  T 

21*  Carcava  un  peccator  eoo  embo  1*  anche,     K 
Del  nostro  ponto  dìMo:  O  Malebranche, 
Meitctcl  «otto,  ch'kt  tomo  per  anche 

22*  Si  com'  ei  dico  :  e  nefcli  eltri  n6ei  anche     M 
Usa  cua  eeeo  donno  Mtchrl  Zanche 
Lo  lingue  iur  non  ri  lentooo  atanehe. 

SS"  Chi  Branca  d' Oria  non  mori  nnqnanche,  140 
Nel  fo*ìk>  MI,  diaa'ei,  di  Malebranche, 
Noe  era  giunto  ancora  Michel  Zanche, 

i\*  Si  Tolge  appnnto  in  ani  crooso  dell'  anche,   77 
Volse  la  tetta  or'  egli  avea  le  tai 
Sì  cita  in  lofemo  i'  credea  tornar 


anelli 

Int.  Goalendi  con  Siamoodi  e  eoa  LaaliraMU    13 
33*  In  picciol  oorao  mi  |»areafio  stanchi 
Mi  parca  lor  ^edar  fender  li  flanchl. 
pAa.  Cile  moovonqnesto  atollo  non  soamaacki,  410 
8*    Voo'  tu  che  questo  ^er  più  U  e>  imbinncHf 
Che  la  natura,  in  quél  oh'  è  uope,  * 


INP.  Ed  on  serpente  con  sei  pie  ei  Unda  IO 

*i5**  Co'  pie  di  meno  gli  OTtinae  la  panda. 
Poi  gli  addentò  e  1- una  e  l' altra  guaMU: 

34**  Si  che  mi  tinse  l'nna  a  V  altra  gnaacit,      3 
Cosi  od'  iOf  che  soleva  la  lancia 
Prima  di  trista  e  poi  di  buona  «anH»i 
l'I  a.  L'  altro  vedete  n'ha  Callo  alla  guanda     407 

7  '    Padre  e  snorero  eoo  del  mal  di  Frandn: 
E  quindi  viene  il  dnol  die  si  li  landa. 

VT  Che  traggo  un  altro  Carlo  fuor  di  Praaciii  74 
Sena'  arme  n'  omo,  e  solo  con  la  landa 
Sì,  eh'  a  Fiorenia  fa  scoppiar  la  panda. 
Par.  Per  suo  valor,  che  tragga  ogni  bilanda,    83 

5*    Non  prendano  I  mortali  il  voto  a  etnàd*  : 
C)>ioe  fo  Irpto  alla  sua  prima  niandn{ 

13*  Si  traste  per  fermar  la  beila  guaadu,        St 
Ed  in  quel  che,  forato  dalla  landa. 
Cito  d' ogni  colpa  vince  la  bilancia. 


|Np.  ▼ailmmo,alpcdra,e,perqudck'ltl«'aen,3 
il*  Qaai  e  quella  ratna,  che  nd  lance 

o  per  tremoto,  e  per  sostegno  manne; 
47"  Segnato  avea  le  suo  sacchetto  biancoi        05 

Or  te  De  va:  e  pcrcM  se'  vivo 

Sederà  qai  dd  mio  sinistro 
27''  GinHoce  il  liuned  dal  nido  bianco,  80 

E  quella  a  cui  il  Savio  bagna  1 

Tra  tirannia  si  vivo  e  stato  franee. 
I  ru.  Dall  un,  quando  a  colui  dall'  altro  flaneo,  74 
•"    (a  rto.  Maestro  mio,  disc'  io,  unquanen 

La  dove  mio  ingegno  parea  mance, 
11/*  Or  dal  sinistro  ed  or  dal  destro  flancn,      20 

Lawi  non  eran  mossi  I  pie  nostri 

Che  dritto  di  salita  aveYa  manco, 
•,'jr  Venire  appresso  vestite  di  bianco  ;  OS 

L'  acqua  «plcndeva  dal  sinistro  fianco, 

5*  io  rigaardavs  in  lei,  eumo  specchio  anco. 
r^n.  T4I  Ilice,  e  qaa«i  lott<i  era  la  bianco  44 

1"    Qosode  Beatrice  in  sul  sinistro  fianco 

Aqmla  d  nea  gli  a'  afbae  unquaace. 
40"  Fo«si  il  partire,  amd  aarabbe  atMe        30 


Or  ti  rimna,  lettor,  ferra  0  tao  beoen, 
S"  eaaer  vud  liete  assai  prima  che  attfloe. 
S4*  B  l' ale  d'oro,  e  P  altro  tanto  bianco,         44 
Quando  sceadiena  ad  fior,  di  baaeo  fai  banco 
Ch'egU  acqaiataTaa  TaatUando  il 


In.  Dico  che  afrivamaM  id  naa  landa,  0 

44*  U  ddoraaa  adtn  1'  «  ghirianda 

Qdii  fermammo  i  piedi  n  randa  n  rania. 

4IP  Che  Tenia  Terso  noi  dall'  altra  baala,       00 
Il  buon  Maedro,  aaau  mia  dimanda, 
E  per  dolor  non  par  lagrima  spanda: 
Fon.  B  perb  aoa  attese  ade  Amanda:  77 

43^  Virgilio  mi  Tenia  da  oadla  banda 
Perchè  da  nulla  apenda  e*  inghlrlaada: 

37*  Donna  Tcder  andar  per  aaa  landa  DO 

Sappia,  qualuaqae  il  mio  nome  diaaada, 
Le  belle  maai  a  fand  uà»  ghirlanda. 

9ff  Sa  Lete  ai  paiaasaa,  e  tal  TiTanda  443 

Di  peatimeato  che  lagrime  apanda. 
PAt.  Già  non  atteadcre*  io  taa  dimanda,  80 

0^    La  maggior  Tdleia  dm  Pasqua  dijptada, 
Fuor  di  qud  mar  che  la  terra  inghbtaada, 

44*  Perchè  qud  aegue  lui,  cani'  d  comanda,  422 
Ma  il  ano  peculio  di  nuoTu  Tivanda 
Che  per  divord  aaltl  non  d  apuAa  : 

23f  È  ddla  gente  che  per  Dio  dimanda,  03 

La  carne  de^  modali  è  tante  Manda, 
Dd  nascer  ddla  qaerda  d  far  la  ghianda. 


440 


Imr.  Godi,  Florema,  poi  dm  aa^  d  grande, 
20^  E  per  lo  Inferno  il  tao  aouM  d  spaBda^ 
PVB.  Fé  savoiuae  con  fauM  le  ghiande, 
23*  Mde  e  locaste  furoa  le  TiVande, 

Perdi'  egli  è  gloriose,  e  tanto  granda, 
Par.  Volgeaad  drea  noi  le  dao  ghiriande,         30 
43*  Poiché  a  tripudio  e  P  altra  festa  gnala, 

Luce  eoa  luce  gaafieae  e  biande, 
SS*  Presse  d  compagno^  Pano  all'  dira  ptada,  30 
Cod  Tld>  io  Pnn  dalP  altro  grande 
Landaado  il  dbo  che  lasco  d  prende. 

ouidl 

UlP.  Ch'aTeanIetarbe,ch'eraaiBdteegrtadi,30 
4*    Lo  buon  Maestro  a  um:  Tu  non  dimandi 
Or  to'  che  sappi,  innand  che  più  andi. 
Par.  Modrarti  un  varò,  a  qud  che  tu  dlaseadi  IO 
0^   Lo  Ben  che  tatto  il  regae  che  ta  sMadl 
Sua  proTedensa  la  queoU  corpi  granA; 
4SP  Pia  gaadioae  a  te,  non  ad  dimandi. 
Tu  credi  il  Turo,  che  i  minori  e  i 
In  che,  prima  che  pead,  U 


andò 

ìyf.  Di  quede  impedimento,  ot*  lo  ti 

2f    Questa  ddeae  Luda  in  ano  dimando, 
Di  te,  ed  io  a  te  le  raccomando. 

ter  Poeta  Toid  I  peni,  ripensendo 
Egli  d  moaee*,  e  poi  cod  andandu, 
Ed  io  lo  aoddidcd  d  sue  dimando. 

43^  Di  qud  Bmnan,  che  ri  rimaner,  piBii 
Se  fosse  pieno  tutte  '1  mfo  dimaiMov 
Dell'  umana  aatara  poste  in  bande: 

41^  Che  praceddtcr  me  slmoaeggiande, 
Laggih  cascherò  io  dtred,  quando 
AUur  eh'  io  fed  U  cubito  dimando. 

21*  Cod  di  pente  in  peate,  dtio  vis^mAa 
Vani— n^  %%enwua»^ 

^1*  C«aAKlO  %  ooYimtiJ^ 


423 


77 


74 


vs^ 


J 


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RIMARIO  DELLA  DIVINA  COMIIEDIA. 


13 


2,0 

re». 
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28" 


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P'ii 


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6' 


l«r. 


O  da  palei  o  da  ommcIm  o  da  tafani. 

Di  Malebolgi*,  •  (;]i  altri  pianti  Tani  ',  S 

Qoale  nel]  Arianii  de'  VinÌ7Ìani 

A  riiupaluiar  li  Ircni  tur  nno  «ani. 

Eco)  i'  An'.!cl  di  Dio  :  pir;;«  le  mani  :  21) 

Vpdi  clw  sdegna  gli  ar^fomi'nti  amani, 

C!ie  I'  ale  «iif,  tra  liti  «i  lontani. 

Buiina  uinilLi,  a  gran  tiiinnr  m'  appiani  :  119 

Quvi^li  è,  rispotv,  l'ntvfnran  SaKani; 

A  ivrar  Siena  latta  a!U'  «uè  mani. 

0'  un  allni  pDiu»,  e  o  in  nutlto  lontani, 

\  i«li  ^riite  iMilt'  cs«t  aliar  le  mani, 

Q.u«i  brimoti  fantilini  e  vani, 

('•un*  ii>  dr.ir  adtirnaruii  roU«>  mani  ; 

K  kìj,  per  eli  splendori  nnlelorani, 

Qiiiiil»  tomandii  alber^an  men  InntanL, 

Trjlland-)  più  &ilor  con  le  «ut*  mini, 

Tu;  [la-i'.i  ri  faca  il  flu-ne  lontani  ; 

Anc.ira  freno  a  tiitli  nr^--;:li  umani, 

Qm-ll'  Aw'icato  de°  teiii|>i  cri«tinni, 

Or  se  In  r  occ'ùo  della  mente  trani 

fili  deli' otlrnva  c«in  sete  rimani. 

Cui  I  Ile  tn  \nni,  cita  ta  mn«ervl  auii, 

Nioca  tua  ^nardia  i  minimenti  omani: 

l'vr  li  miei  pneijlii  ti  clituilun  la 


U" 


27« 


no 


65 


\:V 


tot 


107 


(» 


119 


33 


Tal  rnipa  a  tal  martirio  lui  condanna;      05 

t'.in  lui  cen  va  r.lii  da  tal  parte  incanna: 

S.i|>4Te.  e  di  ml'ir  rlie  in  vt  ni«anna. 

t:>>n  uli  altri,  innauTÌ  a:;li  altri  apri  la  canna,  C8 

K  itiNM*'  (>  In.  cui  ri>I;i4  n-<n  rundaniia, 

Si-  IrvM*^  '.iiiiii.'li.ini-i  non  ni' ins-inna, 

r.i'i  «  unneiu  a  !•',  «'intaiiiln  Osanna,  11 

!•■  «-..VI  a  n«i  I-I  r-iliiiiiii.i  aianna, 

A  rt-ti-i  \a  clii  piii  di  gir  »'  aflanna. 

|)i  i]iii-l  rhf  il  ni-I  Ti'liirr  luro  aininanna,  liT 

i!Im>,  4f>  I'  aniivrilf-r  qui  ni<n  m'incanna, 

r  lu-  r  r  m-i  >'\  rtin^-la  oin  nanna. 

Ciifl'  iihl>ii-li>i  rii:nun,  c':e'l  ••«*n4<>  incanna, 47 

1 1  %irlii  r'i'  4  rj.Kin  di'imr-o  ammanna 

K  iifllr  ^  •■  i  ilei  i-iiitan-,  o-ianiia. 

Il  iimlri-  >ui  %rriiiii-ntK  (ìio^anna,  80 

>--n  p>*r  Iti  ini-iiil'i,  per  nii  ini»  s'afTanna 

Va  |MT  aiitiir  di'lla  \erAr<>  manna, 

it\  r  quella  friu'^tiiia  rlie  il  rundanna?      77 

Or  In  *'  i  *e,  rli^  \U'ii  «■•dere  a  M>ranna 

r.->ii  lj  ceduta  C'irla  \  nni  «panna  T 

Qui  I  ilitra.  ^i>tl-i  cui  ìi^^r  di  Hianna  131 

Sii  rnntn»  a  l'irtm  tedi  Milt'rc  Anna, 

rbe  min  uinuve  nrrliiii  pt-r  cantar*  OMona. 

arnie 

l.f  li-wri-.e  ap^n>e,  e  m<i<tr*irci  le  aanne:     23 
I-:   I  Dura  1111(1,  di*le«e  le  Mie  «panne, 
La  cillu  dt-ntru  alle  brimn^e  canne. 

anni 

r  'I  cran  Ceni  inro  di*-^  :  E'  aon  tiranni,   101 

Oiixi  >i  |>-.  III.'  -n  II  «pii'titi  dinni  : 

«.III-  fi<  t;iiili.i  a%i-r  d-)l<ir>i<i  anni: 

*>'  .irrc-l  i  |>uiiti.  ciare  |hiì  rfiit'  anni  38 

IVro  va  i-llrr  :  i  ti  «vriu  a'  panni, 

Olii'  \a  |ii-inu'<'nlii  i  «u-'i  firmi  danni. 

C.iir  i|iiti  l'c  4  «n  nrl  mio  M  <an  (ìinranni    17 

I.'  un  >ii-::li  qiiili.  ■iii'''ir  n>tn  e  mi>lt  anni, 

K  qfif.ti  «i.i  «ii;;;rl  r.i'  icni  Uituio  iKanni. 

"^wiA  ;:ui-rra  ui*'«u-ir  di-  «ani  tiranni;       38 

H  ninni  >lu,  t  ini  i>  >lala  muli'  anni: 

Si  fi  te  <>rtia  rictiprr  ro'  Hi<>t  vanni. 

F^li  e  ^r  Dran<  a  d  Ori:i.  e  sun  pia  anni    137 


29 


r  credo,  dim'io  lai,  che  ta  m' inganni  ; 

E  mansia  e  !>«•  e  donna  e  retto  panni. 

Por.  Ft»«i  clii amata,  e  fui  dogli  altrui  danni 

13"  E  perchè  to  non  credi  ch'io  t*  inganni, 
Gi.i  disrendendu  1'  arco  de'  miei  anni, 
La<tciala  tal,  rliu  di  qni  a  mill'  anni 
Come  ali-  annunzio  die'  fotari  danni 
Da  qaal  die  parte  il  perìglio  lo  aaMnni; 
Di  qm-ata  flannua  ttcìsi  ben  nilP  anni, 
E  se  tn  credi  furte  eh'  io  t' inganid. 
Con  lo  toe  mani  al  lembo  do*  tuoi  panai. 
P4a.  Molila,  Samurlirt,  o  quel  Gioranni, 

4"    N>in  lianno  in  attm  cielo  i  loro  scanni, 
N^  haim'i  all'  e>scr  lor  piò  o  meno  annL 

9^    Sd'  ebbe  rliiarìto,  mi  narrò  gì'  inganni  2 

Ma  di«M:  Taci,  e  lascia  Tulgor  gli  anni  : 
G.a^to  Terra  dirictro  a'  rostri  danni. 

1C"  Quaiforii  vostri  antichi,  eqnaiftargUaani2Ì 
Dileni  deir  oril  di  San  Gio\anni 
Tra  os»rt  degne  di  pia  alti  scanni. 

17**  Per  la  novella  età;  che  par  novo  anni        80 
Ma  pria  riie  1  Guasco  l'alto  Arrigo  inganni, 
lu  non  carar  d' argento,  no  d*  affanni. 

33^  Doli  a  Diinna  del  cielo,  a  gli  altri  acanni     20 
Ciisi  di  contra  qncl  del  gran  Giovanni, 
Sofferto,  0  poi  l'inforno  da  duo  anni; 


l!vr. 
•*• 

4* 

6» 

10^ 

13" 

iir 

Por. 
3» 

li« 

23" 

■-8' 


P\n 

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no 


131 


fi 


A  far  Irtr  prò,  ed  a  fuggir  lor  danno, 

Venni  qaac^iu  dal  mio  beato  Kanno, 

Cr  onora  te  o  qnei  die  udito  1'  hanno. 

Vidi  il  maesiM  di  color  die  vanno. 

Tutti  r  ainmiran,  tntli  oni>r  gli  fanno. 

C*ie  innanii  a-,;li  altri  piò  pr««fo  gli  alanno. 

Parlerei  a  quo'  don,  elio  'nsieiiie  vanno,      74 

EJ  egli  a  me  :  Vedrai  quando  «kgranno 

Per  qa«-ir  amor  che  i  mena  ;  e  quei  vorranm». 

riM'  tolte  queste  a  «iuil  pena  Manno  SO 

l'I  gli  rìtpoìii:  Garco,  il  tuo  affanno 

Ma  dimmi,  *«  tu  «ai,  a  die  verranno 

fjnaiidti  di  Jo^affa  qui  torneranno 

Suo  ri  miteni  di  qiie«ta  parte  hanno 

Cile  r  anima  ri-l  cnrpo  morta  fanno. 

Quelle  fieri'  trhagce,  c'ie  io  o«lio  hanno 

Qani  le  bralle  Arpie  |i>r  nido  fanno, 

C-m  tristo  annnii/io  di  futani  danno. 

Pvr  lo  qual  ui'U  t«-iiie^li  ti>rrr  a  inganno 

Tal  mi  Ire'  i-i,  quai  ^m  rulur  die  klaano, 

Qua-^i  «t III  nati,  e  ri^iMnidor  non  sanno. 

in  ipifUa  p-irte  del  giovin«-tt>i  anno, 

E  gli  le  notti  al  meno  di'  srn  vanno: 

Ad  nna,  a  due,  a  tre,  o  P  altre  stanne 

Y.  rio  die  fa  la  prima,  o  1'  altre  fanno, 

Semplici  0  quftì',  o  lo  'nipenlie  non  sanno  : 

di'  io  ne  muri',  come  i  5rne\i  sanno,  66 

io  Simo  Diiiherto  :  e  n<>n  pure  a  Bo  danno 

Ila  ella  tratti  mìci  nel  malanno. 

Che  nflitk  pur  non  fatica  m-ni iranno, 

AUor  fec'  io  rome  mlor  de  \aniio 

S.'  non  die  i  ct-nni  alimi  «o^picar 

Comincia  io:  ed  egli:  Ombre  elio 

Si  oonie  i  pere^rin  |ien«iM  fanno. 

Che  fi  vkIjooo  ad  e«sa  e  n<in  ristanno; 

Per  sua  dilTalla  in  pianto  ed  in  affanno      08 

Perei le  il  turbar,  che  siitto  da  s*  fanno 

CIte,  qnanto  puapon,  dietro  al  cali>r  Tuan, 

I^  di«lin/iiHi,  rhe  denir»  da  «è  hanno,      119 

Qiicoti  organi  del  mundi»  cosi  vanno, 

riif  ili  ftu  prvn«Uiiii>,  e  di  sotto  fanno. 

Ciie  la  furia  al  voler  ai  nicchia.,  e  Imma  V^ 

Voglia  afw>l«\%  tMk  t«y«^*«\&  i&'  ^lasaK^^ 


.18 

1 
80 


\A 


II 


"  f^^I^ir"' "**^  Ila^f 


Uni*  »«  f"'''»'*|iii*'l>ló  il'C.         M 

inflto  MB  II  riM«,  rniM  [In        «n 
RHl-iinlwKUlIfivilrito. 

O*  A  (Min  nlv^i  m  il  (w. 


On«l>  ««Mimi.  U  MI»  (1K 

r  t  J  Slllt  (SU  •  BobiU  ri«  pfici, 

Vtifin  ippmuhm  di  ■mr  Ttnc 


»«  COMMEItU. 


nr  anJtCKBU,  t  a  tn(llU  ti  MB. 

Il*  Bmui  Bla  Gna  CHriA,  M-  m, 
Tal.  »i  t.  Blru4>  iT.!.» 
CMlmi>luda.  (ula  «  ■!_«•  !•■ 


I^FlK.Mti.  .  tjUi,(MMr«lW      ' 


0  Jlhu  di  £ì^  y«U  ^  (M' 


!•  (Il  «»•»■••■•)    « 


"■«rrtsaariffiù''"  _  " 


Ell>  (Uda jii  Im  Mia  i|HiiU, 

Cba  Mila  «  ogW  dii  |U  »  4>iisl 

anri  t(iif  mu  la  famli  «w». 

Il*  gnUdw  frHditlU  4' «•  «' ■!*  (Il 


■L  Portailta'iviaapaalLaiBriclUiifa,  1 


tr  B^  «111  MlllTT  ■!  rir  t  IH  iiiila. 
api  ■Mdib  la  ■■MI»  lanb  aiuL 
■  ■••  H  CaafHuU»  •«a  Cut*. 


a!!l  flTÙiia  «  la  aU  Simuli  ; 
39*  CNiiBlaaiwaHriHnllHiala, 


Oo  uà  amnt  mliiaimi  ani  ^iiinU. 
'   Cnala  In  fi  tIiU  blixBimla 
L' aiisa  f  eoi  Inla  •  Mia  pianta 
In  mila  •  a  Mila  Mia  IH  ■aUi. 


r  Ls^ÌM|lltl>n|a.>d  tlHubiaala     0 
cu  oaiarafia  ,H  hI  amila  «naia, 

r  ff  apaiwali  alla  luka  (rtim[u)la,  ti 

Cai  lìaa  rltanal  par  iDtIa  «ut* 
tal.  Iti'  k  HCTlil  M  w  •Il  HmbluU; 

I'  Di  Itala  ptaA^lH  nlula  3 

CU  la  bea  «ilu  I  puilniil* 

'!•  IBilbi  al  Ka  pSun  qial  oaluaplula, 
E  coalariò  Mda  pania  •ult  : 

/•  Plnir,  txHtatt  mOi  aaHI  •uiU,  I 


rfNnaik'laiÌiltkalU,ataalUfilull|  m 
■  »1*  Hl^JbaHl  r^4ltaaU, 

II*  ■  i  Aaniirilnr  talU  iiuU,  K 
SatdlU'IaiÙltHtilirBll 

ll'E'SaiiMaSlHlalwBpltiTHU,  V 

Pt.c>*mnla*ai«UIU^(Or^  m 


E  u  <M  (Hwa  w  pm  ri*  ttuli, 
GiUir  IIIcMa,  «  rMra,  a  IdU  I  tufl. 


ìi: 


vJ^,  Ralitoi,  tolfl  |U  lodil  ui    . 
Chfl,  pir  miirii,  ha  ohaI  puii  tutL 

nii  uiu  lufll  DcthJ  ngU. 


B*  ruil,  •  iMUr  «  •WH  tftmrisb. 

Il  (Ih  ala  iifilill  1  >»1  HmbliiiU, 
«•  Mr  Iton.  t^!!^'^  S^,  ^u '' 

Dm  BunUa  1.  ^  UH  iLuiU. 
J1*  VIA  plt  11  ^Ba  ik»(<ll  rcriuU. 

VMI  falli  i>lac  (IHCM  al  •'  lacaaU 

Era  aa|U  HtU  •  littl  fli  iHri  hhU. 

«wto 


ì 


ila^aadolldilhiTiaK 
I  ■  M  Wdla  amiatnla. 


jhaiia  <  Itàiafa  4al  iMrin  <viU  : 

-|lHiplrula.>M»a>4l'MÙk!  U 

1  HW  <U  ta  Ila  U  ul  eulub, 
Kl  O^  la  tal  wlila  «al  (lu  nula: 

i"  aia  Ila  ll.paato  tglll  ^laila 

Chahl  MfB«l«4'11IRD*IAHe^aal0: 

Ha  dnlra  lalla  ^lotM.  *  (n<i  Itala,     «S 


(Mate  U  pnM,  ho  Xruaia. 


w<na  DI'  «ppan*.  Ila  t« 

■amala  «m-  ■■  Jd  t^K^ 
La_l. U  fMll»ri  <aBj..-al  ^ 
he  a  laa*  4Mnta>«,  •<  alIrdM 
(«  Wl  ptK«  M)>  «fInU  BHta. 


^-•i*«l<.a*>U. 

a>«,C^.Uab  a 


I  «lUlllaaiM  Hdn  M«Ull  Hill..  \  IT  VU»  ì«1mJ... I.  bm*l 


PUH  UHMM>i4niM,|Vt  riluti     I 


m.  Cb.  ««  ti  pitiu.  .  ««  >l  nJ.ppi.. 

Il*  o™  A.\  IMI  r-HCilK  ■*■  lo  uppil, 


Blpriilidi  fa  «M,  I  liMa  la 


>■  Hi  ^iiula  dina:  Ukìi  Ini.  •  Tua, 
aatat  fa  ■A'  :  tHiU,  ^  ■(  liiu  ^ 


«!««,*•*  il    •     rei 


ir  ci«4*4  JiÌÙÌbishUi,  vH<urARà.   n 

Svin  la  partfi  di'  Il  pHwbfa  «  cttcì 


ii»t  I^i1iu*il  g 
^«1 1  pince»  '•  nm^^kBU 

Chi  inpdllfa  «Min  HmulfiH 


"»J' 


'SSl, 


i.Tiir.r5 


RIMARIO  DELLA  DIVINA  COMMEDIA. 


IO 


33*  Dn  paolo  lol*  m' è  maggior  laUrf^o, 
Cbe  f«  MeUiino  amoiirar  1*  ombra  d'  Argo. 

•ri 

l:«r.  Ma  ri  non  stette  là  con  otti  gvari,  1t3 

8°    Chioaer  le  porte  qne'  nostri  a? vorsari 

E  ri^oUe$l  ■  me  con  paosl  rari. 
Pra.  la  rampo  gionti  eo'  loro  aTferaari,  ttA 

13*  Holli  far  quivi,  e  folti  negli  amari 
Istilla  presi  ad  ogni  altra  disparì  : 
29*  Villi  doo  ferchi  in  abito  dispari,  131 

L'  on  si  mostrava  alcvn  de'  famigliari 
Agli  animali  fé  eli'  all'  ha  piò  cari. 
Far.  R<rgal  prudenza  è  quel  federe  impari,       101 
43*  E  se  al  iurM  dirini  gli  ocelli  chiari. 

Ai  regi,  cba  eoa  molti,  •  i  boun  eoa  rari. 
14*  Per  h  padri,  a  per  gli  altri  dm  far  cari,     65 
Ed  ecce  ÌAt4*rao  di  diiarena  pari 
A  guisa  d' orìuunte  cbe  rischiari. 


aria 


410 


Pak.  Ne'  priegbi  fatti  a  Dio  per  raidlaria, 
2(f  V  anima  gloriosa,  onde  si  parla. 

Credette  in  lui  che  potevi  aiutarla} 
2-t*  Per  la  errate  fede,  a  gloriarla,  41 

Si  ooiue  il  baccellier  s  anna,  e  non  paria, 
Per  approdarla,  non  per  tarniuiarla; 

arto 

IM.  Risposo!  mio  Maestro,  a  tormentarlo;      4T 
28*  A  me,  che  morto  soo,  eoavicn  menarlo 

E  questo  è  ver  cosi  com'  io  ti  parlo. 
Pt'H.  D«-l  beaeOeio  tuo  Moia  ginrarl»,  OS 

5"    Ood*  in,  elio  soli>,  inaanu  agli  eltri,  parlo, 

r.iie  siede  tra  BiMaa^na  e  qa^l  di  Caiw, 
11*  C^ie  sostrnea  nella  prìgi«>n  di  Cario,         137 
l'iu  o<»n  dirò,  e  scoro  so  che  parlo  ; 
Peranno  si,  el>o  ta  potrai  chiosarl*. 
Par.  Quinci  si  mo9«e  spinto  a  nomarlo  68 

13*  U<>menico  fa  detto;  ed  io  ne  parlo 
Elesso  all'  orto  soo  per  aintarlo. 


Inr.  ette  passa  i  monti,  e  rompo  mora  ti  anni;  3 
IT*  Si  cominciò  lo  mio  Dota  a  parlarmi. 

Vicino  al  On  do*  passeggiali  marmi  : 
28*  S  airestaron  nel  fosso  a  rigaardanil,       88 

Or  di  a  Fra  Dolcin  donqaa  che  i'  arati, 

S'  egli  non  voul  qui  tosto  seguitarmi, 
84*  Ch'  al  mio  Mseolro  piacque  di  moairarai  47 

Din  ansi  uii  si  tolse,  e  fé  ruttarmi, 

Ove  eon\ien  che  di  fortena  t' armL 
Prn.  VAm  piaona  1'  avarixia,  per  porgarad,        88 
'22'  Or  quando  ta  cantasti  U  eroda  and 

Di-«e  1  Cantor  do  boovlia  carmi, 
27*  Giltsto  mi  sarci  per  rinfrescarmi;  80 

Lo  dolce  Padre  mio,  per  confortarmi. 

Dicendo:  Gli  occhi  suoi  già  veder  panai. 
8i*  Al  petto  del  gnfon  seco  menarmi,  113 

Disier  :  Fa  die  le  viste  non  risparmi  ; 

Ond'  Amor  già  ti  trasse  le  soo  armi. 
Par.  a  Dm  p«'r  graiia  piacque  di  spirarmi         S3 
(i^    E  al  mi»  Belhsar  comiuendai  t'  arad. 

Che  segno  fu  eh'  io  dwvessi  posane 
4^  Lo  tempo  verso  me,  per  culpo  darmi        407 

Perche  di  provedenxa  e  boon  eh*  io  m^  armi 

lo  ooa  perdessi  gli  altri  per  miei  carad. 


Cba  il  corpo  di  «oalal  è  tora.caraa. 
20*  Veggio  Tender  eoa  8glia,  e  paUeggiaraa,  80 

0  avarisia,  dio  pool  to  piii  farne, 

Cho  non  ai  enra  della  propria  caraa? 
Par.  Pia  vinto  la  apparenza  dalla  caiaa  16 

44*  Né  potrà  tanta  loco  affatiearaai 

A  tutto  eib  cba  potrà  dilattama. 


Ixr.  E  se  noa  foaaa  cho  'a  ni  pasto  if  Arao    446 
tv  Quei  eittadin,  cba  poi  la  rifoadarao 

A«rvbber  fatto  lavorare  indarao. 
Vf  Del  Casentia  disecadon  gioso  la  Arsa,       05 
Sempre  mi  stanno  innanzi,  o  aoa  indarno; 
Cho  '1  malo  oo4'  io  aol  volto  ni  disearao. 
Por.  Dirvi  ehi  sta.  aaria  pariara  indarao;  90 

44*  Se  ben  lo  intendimeiito  tao  acearaa 

Quei  cho  prima  dieaa,  ta  parli  d*  Ara*. 
Par.  Troppo  la  geata,  o  par  aoa  stare  ladaraa,  401 
II*  Nel  orado  tasso,  intra  Tevera  ad  Arao, 
Cho  lo  soo  membra  dna  anni  portaraa. 


arne 

PrR.  Oir>«ro  ìaevalr»  atti,  e  dimandamt: 
J*    t  7  auo  Mietilo  :  Voi  potile  aadMna, 


•-»o 


Inr.  SI  coma  a  Pula  pipati  del  Qoaraava,        448 
il*    Fsnao  i  ttpolcri  tatto  il  loco  vara  ; 

Salto  cho  'I  modo  v*  ara  piò  amara; 
P«R.  B  ritrarre  a  color  cho  vi  mandato,  19 

5^    Se  per  veder  la  ma  ombra  restato, 

Facdanli  onore,  ed  esser  poh  lor  caro. 
8*    Dicendo  :  Vedi  là  'I  aottro  avvertaro  ;        18 

Da  qoalU  parie,  ooda  aoo  ha  ripaio 

Porse  qoal  diade  ad  Eva  il  dbo  amaro. 
0*    Ella  ti  tolse,  e  coma  U  di'  fii  chiara,  N 

Qui  ti  posò  :  a  pria  mi  dimostralo 

Poi  ella  e  il  sonno  ad  oaa  se  a'  andare. 
Il*  Non  spermeotar  eoo  I'  antico  aTvartaio,    90 

Quest'  ultima  preghiera.  Signor  caro. 

Ma  per  color  che  diatro  a  noi  rastara. 
\T  Como  Almaoao  a  taa  madre  fa  caro  i!l 

Mostrava  aomo  i  Igli  si  gittara 

E  cooM  motto  lai  quivi  laaciaro. 
43*  Di  vostra  coscienta,  ti  cba  chiaro  89 

Ditemi  (die  od  fla  gratioao  e  earol 

E  forse  a  lei  sarà  boua,  t' io  V  appara. 
48*  81  nel  tao  lume,  eh'  lo  diseemo  eluare        4 1 

Però  ti  prwgo,  dolce  Padre  caro, 

Ogni  buono  operare  e  il  foo  ooatrara. 
22*  Cadea  dall'  alta  roeda  oa  liquor  aUaio,  481 

Li  doo  poeti  air  alber  t'  appreesare; 

Gridò  :  Di  qoasto  «ho  avrete  caro. 
24*  (E  drizzò  gb  occhi  al  cid),  di'a  ta  Ba  aldara  88 

To  ti  rimani  ornai,  cbe  '1  tempo  ò  aara 

Vcaaado  taao  A  a  paro  a  paro. 
2R*  Per  ^ad  eh' P  odo,  in  me,  e  tanto  cUara,  407 

Ma,  te  le  toc  parole  or  ver  giorato, 

Nel  dire  e  nel  gaardar  d'  avermi  careT 
28"  Né  credo  dia  U  mio  dir  U  sia  mca  cara,  IH 

Quelli  eh'  antieameate  poeterò 

Porse  la  Parnaso  csto  loco  sognala, 
air  Cim' dia  panca  me;  perdio  d'asaio      88 

Ella  si  tacque,  a  gli  angdi  cantare 

Ma  oltre  pidt*  meos  non  pateaio. 
SI*  Ntlla  frunte  degli  altri  ti  moetraro,  90 

Dopo  la  tratta  d*  oa  sospiro  aatare, 

E  le  labbra  a  fatica  la  (ormare. 
12*  L*  inno  dm  quella  geata  alior  castana      62 

S*  io  potosai  ritrar  corno  aaaonaare 

CU  occhi  a  eok  yv^  x%%^«c  «MN^^^nat^v 
r AR.  Vat  Av^etoaVa^  Otìtk  A%  ^koìko  %  tw»v        ^*^ 
T    CtìuSoTtaa %  ma% VmV vV» \s\iV»% ^ tì*a»x* -,^ 

i  or    Gì»  AàiAtq  %A  Wai^À« 


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^B  8                                   RIMAIIIO  DELL*  nrvIKA  COUfDMA. 

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Ki bitta* BmUim  Pili: 

*  T>*V  H  M  Hi  pM  A  ul  TlIL 

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iim«d»«*u.N«;«i«p.u" 

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sr  ch  )M  Mn  ■  r«  um  tutu  r  III,       « 

■r  Oh  d)  HtU  bmU  inn  (Il  Muli  :          ti 
Uni  4oW  f  on,  ■•  dtfli  ifodd 

S  ti  »■>»-•  di  BrnuprrHii 

tl*Uiliii>lnin4«(c>l>lq»n             u 

..-tii-J'giSri . 

MI*  dMOU  BliTU  d»  (i(«r  HI. 
td>  il  HTiin  tìt kg  nii  ooUlU 

!•  *  IhUb?  Fi,  b  cb>  Il  ìlsgic^Tmì^  * 

E  f."'JSuU  U   ''  iSf*  "il* 

■■  £sr=£rt;sa,«  ■" 

Mi™.  «•  ba  bit.  prtl,  MH  ■»*! 

ZrtMI-an,ì-"lI>|>iulo4i'iiJrt>U)                Il 

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HriwW.  mln^  .  li»:  0<i<ll 

Til  t  U  lUdidd  ilDilo  ■  m  DXrflIi. 
H        n-  Di  oriUdi,  >  «io».  iBin  1  i~i<>l'.           1  < 
H              l>.Dah  i^UMn  cTud.,  .  Uol.  ..II. 
H              ta.di.iui.t<»l..l.c«i'tlL 

B.     P.l.lMI'.ll9ATI<fls<i'ldria.r.ltill.        I3T 

Cb.  wc*d^  fi'i.  .  «cd.'™u'Mji.  ; 

■Ila 

_             Tu.gm  li  U,  «S.  '1  «ta  *  ."&». 

HW\II10  DELL*  DITLiA  COUUEDU. 


Tinl^<li»ui     i'>ll'-nAI>         pa 
■fili  p«ni  pnly  ^»l»    ■■*■  111  l-irii 


FtM  |iurtu4tf,  pn  C14  r  iLb*  ■& 


MChl 


Tu  w'  ^tn-n^  t  ul  «V  b>  n  mi  farlo    38 


fìlHItlllO  DELLà  nIVIKlk  COmSDIA. 

■ani  •"  1 1-1  nuli  I  I    !■  m. 

linliulnHi^  «lo   ^  _XI*  ■  IlInGa  polir  f«  fan  lOi^ 


S'IfJET*'* 


l^lwksS  ìi«  d^H  ••"•xi. 


■•  Gba  lui  ntU  rrtmlt,  frt  ^  uiDimiDi,  'l 


"  '^ 'urti SJ""' 


E  tanti  qgtsto  a  Brti  Ibébi 

_  Fi-Ut.  .  HM.'irCV"!. 

Di  ipti^u  anai.  te  ittMi; 
rei,  hiiliba  «ofH  teca  ayiiia  ma* 

It  b«  li  iw4*  «■  1*  Mn»i 

T.  ili  wJkI  ».  ,^to  i^n— 

01»,  siIoHiMUfalimM 


HriSSr 


niMARIO  DELLA  DIVINA  COIIIIEDIA. 


B 


?P  Hcn  T*  UTe>t*t«.  mt  •toAaU  il  pam»,       03 
Dritta  ••!!•  U  via  per  entro  il  cavo, 
Dinanti  a  me  del  Sol  rh>  era  ffik  laue. 
Paq.  L'  hai  come  dèi,  è  V  areoairato  eaMo,        89 

4**    Ma  or  ti  t' aitraTema  on  altro  paMo 
N(in  D*  osdreoti,  pria  faretti  lasM. 

13*  Per  farti  maover  lento,  cnro'  Doin  lastn,     113 
Cli»  ipiegli  è  tra  gVi  stolti  brne  abbaMO, 
C4M|  neir  un  come  nell'altro  pa^vi; 

14"  Ana>r  mi  scuserà  di  quel  eli*  io  la»M,        4OT 
Di  cumo  in  corno,  e  tra  la  cima  e  il  basso, 
Nel  congiongerai  iosieiiM  •  nel  Inpasao. 

•Sta 

I^r.  Per  V  alito  di  gib  che  Ti  si  appaMa,         107 
48°  1^  r>nd<i  è  capo  ti,  dw  non  ci  ha^ta 

Di'll'  arco,  ote  lo  tcoclio  più  «ovratta. 
Fin.  Dilla  doppia  trintiiia  di  Giocarla,  SO 

2J*  Per  nuel  che  aio  &  con  ti>co  tanta, 
La  ft!^,  sema  la  qual  ben  far  non  basta. 

asti 

ìyt.  Cbe  Mtn  qulnc*  entro  sa  V  nnehia  ti  buti    89 

2U^*  Latin  «>ero  noi,  che  ta  Tedi  «i  puasti 

Ma  tn  chi  te',  die  di  nni  dimandasti? 
Prn.  In  litica  la  morii*,  ore  latciasli  71 

4*    Non  Min  eli  t->ìitli  rterni  per  noi  guasti. 
Ma  c^m  del  rrroliio  uve  »iin  |{li  occhi  casti 

22*  Ti  ^tt-ni-branin  ri,  che  tu  dritzatti  C2 

Kii  «•;;li  a  lui  :  Tu  prima  m' inyiasti 
E  pili  appretiM  Dio  ai'  allominastu 

Si'*  Gri<ijvan<>,  e  mariti  ciie  fur  ri<ti,  43 1 

E  i|Ui'*lo  iw>Ao  ertilo  che  lur  batti 
Cun  tal  cara  contiene  e  eoo  tii  patti 

2«'  Mj  iure  rende  il  Salmo  IMteinstt  8j 

E  tu  I  he  ««'  dmanii,  r  mi  prr  :,-i«>|{. 
Ad  ogni  Ioa  quc>tiiin,  Ijrit.i  rlii>  haflL 
Pah.  ><>d  ri  poria;  però  I  e^eiiifiln  l>*Nlt  71 

I*    S' io  era  sol  di  ma  quel  ciie  cn'a>ti 
Ta  '1  sai,  eb«  eoi  tuo  luoie  mi  IvTuti. 

aato 

Ixr.  Perchè  '1  pregti,  die  mi  Lirgltte  il  pasto,    02 
44*  In  oM^o  'I  mar  riede  un  pa4r<c  gnaulo, 

Sfitto  '1  cai  rrga  fu  giit  'I  uikimIì»  casto. 
83"  La  bocca  ftollo\ò  dal  Acro  pasto  1 

Del  capo  eh'  agli  atea  di  retro  gaasto. 

ostro 

f^r.  In  poco  d*  ora,  a  prendr  *ao  rlneartra,       14 
Si*  OmI  mi  fere  nMguttir  lo  Mastro, 

E  coti  UM»!  al  mal  giunte  lu'mpia4ro: 
Pam.  Al  pie  di  qu*-Ila  cnice  riir«e  an  a!>tra  90 

4«i*  >«  ti  parti  la  gemma  dal  ano  naytro, 
Ciie  parrà  fuoco  dtctra  ad  alaba->tra. 

•ta 

l>r.  die  nai  Iago  M  cor  m' era  dorata  30 

4"    I*:  come  quei,  die  con  K-na  alfanoata 

Si  «l'Ige  all'  srqaa  peri;:liii«a,  e  (ruata  ; 
'J"    C  l' i'  mi  tia  tarJi  al  t^iCfiti»  ledala,  C5 

Or  ma'>«i,  e  ron  la  toa  |-ir  li  ••mata, 

1/  aiuta  M,  eh'  i'  m*  mi  cxnflala. 
5''    Eoamina  li*  oiI|n>  iitll'  enlriila,  S 

Di&i,  che  qa<ndi>  1'  anima  mal  nata 

E  qo«'l  n'n'i-rit'ir  drllr  |icci-ata 
8"*    C>ic  «aliali  quilU  li'rra  tnmMilata:  77 

N  'n  «mta  iriiiui  fjr  t:r4[ii!>'  B;!^irata, 

rM-itH,  Ci  Riiiiò,  ipii  e  r  (•iilr-iti. 
t«r'  Rmpiv.t  lui,  r  una  e  1'  altra  li-ita;  M 

Allwr  sorta  alla  Ti>ta  Kiqterchiata 


Credo  dia  a>  «fa  laglnoeddon  leTati. 
14*  Sirn  dipattiti,  a  perdiè  men  eradata         89 

0  Sol  die  sani  ogni  Titta  turbata. 

Glie,  non  mea  che  aaTcr,  dubbiar  in'  aggrat.i. 
taf  Forse  a  questa  roTina,  eh*  è  guardata        83 

Or  to'  che  tappi,  cb«  i'  altra  Qata 

Que-ta  rocda  non  era  ancor  cascata. 
14*  Che  tirn  Tolte  le  spalle  in  Ter  Damiata,   401 

La  tua  tetta  è  di  flo*  oro  formata, 

Poi  è  di  rama  inflno  alla  forcala  : 
IO*  Orgoglio  e  dismisura  han  generata,  7 1 

Cosi  gridai  colla  faccia  leTata  i 

Guatar  l' un  V  altro,  com'  al  Ter  ai  faata. 
3(r  .>rl  t^mpo  che  Giunone  era  emcdala  4 

Come  uiottrò  gii  una  ed  altra  fiata, 
33*  Noyella  Tebe,  Dgncdone  e  il  Brigata,         fO 

Noi  pa^^amm'  oltra,  là  '«e  la  gelata 

Non  Volta  in  giù,  ma  tulta  riversata. 
l'eri.  Ami  ad  aprir,  all'  a  tenrria  serrata,  t2H 

V^    Poi  pmse  r  uteio  alla  porta  sacrata, 

Cile  di  fuor  toma  ehi  indietro  si  gnata. 
42*  O  gente  umana,  par  Tolar  su  nata,  IKi 

Menocci  oTa  la  rocda  era  tagliata: 

Poi  mi  promise  sicura  1'  andata. 
4 1*  Quando  rimembro  con  Guido  da  Prata       401 

F«rderigo  Tignoso  a  sua  bngata; 

E  1  una  gente  e  1'  altra  *  di  retata; 
46^  Ihiio  d' inferno,  •  di  notle  priTata  1 

QuanV  esser  può  di  nuTui  tenebrata, 
22^  Dvlla  «era  crvdenia,  st-minata  TT 

E  la  parola  tua  sopra  tiHx.ita 

Ond'  io  a  Tisitarìi  pre4  u-ata. 
2^  Caulaudo  come  dunna  innamorata,  1 

Bfdtt,  quorum  tetta  sunt  pettata. 
20*  Feiiiniiiia  t<<1a,  e  pur  teste  formata,  S6 

8-jtt»  1  quel,  sa  dirota  fosM  stata, 

5-nlite  prima,  e  poi  lunga  flata. 
80*  La  parte  oriciital  tutta  risata,  2:1 

E  la  fi  rei  a  del  Sol  narrare  ombrata, 

L'occiiio  lo  sn-.ti'nea  lunga  fiata: 
32*  Poi  ci-rcliiaro  una  pianta  di<i|>oglisla  38 

La  diiitma  sua,  che  tanto  «-i  dilata 

Ne'  bocchi  lor  per  alteria  ammirata. 
Pah.  C>n  Tuce  tanto  da  «è  traiinutata,  3S 

27*  Non  fu  la  S|MMa  di  Cri>to  allevala 

Per  easera  ad  acquieto  d*  oro  Mata; 

ate 

l>r.  SI  del  cammino  e  A  dflla  pletata,  5 

'£*    0  Mote,  o  a'.ti  ingegno,  or  m'  aiutata  : 

Qui  %\  parrà  la  tua  n>l>ilitate. 
3*    Fecvmi  la  divina  (Mitettate, 

Dinanri  a  ma  mm  fur  coso  creata, 

Lanciate  ogni  speranaa,  toì  eh'  entrala. 
5*    Mos«i  la  Toca:  0  anime  afTanoata, 

Quali  eolombo  dal  divio  el.iamata, 

Nulan,  per  l'aer  dal  Toler  iwrtata; 
48^  Poi  elle  lo  ardite  femmine  spietato 

Ivi  om  he^^ni  e  om  parola  ornata 

Che  prima  i'  altre  a«ea  tutte  ingannata. 
10^  <  Ite  le  COKO  di  Dio,  che  ili  b.intato  3 

Per  oro  e  per  arenilo  adu'tcrate; 

Perocché  nella  trrta  bulica  stata. 
2t*  C-rre\an  genti  nmli*  e  hpavrntato,  US 

dm  serpi  la  min  dittro  aiean  legate: 

E  1  capo,  ed  craii  dinanii  aggroppalo, 
27*  A\ean  le  lud  mie  si  inebriato,  S 

Ma  Virgilio  mi  disse:  Clie  pur  guateT 
'  I.ncciii  tra  r  ombro  triste  smiT/icale? 

3if  Di  Guido,  0  d'  Alessandro,  o  di  Inr  fiali- ^  Tt 

D«>nlro  e*  è  1'  una  (ik^  t«  V  %T\i^\kva\« 


5 


8U 


89 


li  <i  sviorfa:  Or  pvl  Lt  «■tfettlil* 


r  llll  «*>  Hdn  (  M  po|,|lU, 


.iu^J'2Sk 


s-  i^^-'f^-'r^tiT'if*  i*^**  **  ^ 


_  OtklUIlt  i|>eu»uiagUi\IU. 


jc-a 


BQIARIO  nELLA  DIYiNA  OOVMBDU. 


95 


47 


Qiriad  Ulà,  €MÌ  4dl' •Un»  lato 

$•  quioà  •  quindi  ^a  non  i  gwUlo. 

XP  Gridaran  gli  altri}  •  l' animai  binalo: 
E  «olio  al  temo  cb*  agli  av«a  tirato, 
E  qotfl  di  lei  a  lai  lasciò  lagato. 
P4B.  Clic,  per  foKgir  perielio,  contro  a  grato  401 

4*    Como  Ainiouno,  che,  di  ciò  prexato 
Per  non  perder  pieth  ri  fa  apietato. 

V*    Giù  poco  tempo;  e,  m  piò  («mm  alato,       SO 
La  mia  letizia  rai  ti  tià  CfJato, 
Qaati  animai  di  sua  seta  fasciato. 

13"  Critottomo,  ed  Anselmo,  e  qael  Dottate    437 
Rabano  è  qui,  e  Ineemi  da  lato 
Di  ■pirito  profetico  dotato. 

iV  k  rilevarti,  e  didimi  trailato  83 

Ben  m'  accora'  io  di'  i-  ara  più  lavato. 
Che  mi  parca  più  roggio  die  V  osato. 

46"  Si  die  non  piacque  ad  Dbertin  Donato     440 
Già  era  '1  Capontacco  nel  Mercato 
Buon  dtladino  Giuda  ed  Infangato. 

IR'  Mostrommi  l'alma  cbe  m'  a^ea  periato,     IO 
lo  mi  riTobi  dal  mio  destro  lato 
O  per  parola  o  per  alto,  segnato, 

21*  Del  viso  mio  neU*  aspetto  beato,  » 

Conoscerebbe  quanto  m' ara  a  grato 
Contrappcsando  T  un  con  T  altri»  lato. 


I^r.  Con  tre  gule  caninamente  latra  44 

6"    Gli  ocdii  ha  vermigli,  e  la  barba  anta  ad  atra, 

GrafBa  gli  spirti,  gli  scuoia,  ed  isquatn. 
r«R.  Bruto  con  Cassio  nello  inferno  latra,         74 
<r    Piangcne  ancor  la  trista  Cleopatra, 
La  Borte  prose  mbitana  ad  atra. 

•tre 

Inr.  E  ebc  altro  *  da  voi  aH'  idolatro,  443 

10°  Ahi,  Costaatin,  di  quanto  mal  fu  maire, 
Cbe  da  te  prese  il  primo  ricco  palle  I 

mtrìm 

P«R.  E  non  molto  distanti  aDa  tua  patria,       407 
21"  E  fanno  un  gibbo,  cbe  si  chiana  Catria, 
Cbe  suol  easer  dis|Mslo  a  sola  latria. 


|Nr.  Cbe  girando  correva  tanto  ratta,  SS 

3"    E  dietro  le  venia  si  lunga  ti  atta 

Cbe  morte  tanta  n'  avesse  disfatte, 
ir  Con  le  quei  la  tea  Etica  pertralta  80 

Ineontinenia,  malitia,  e  le  matla 

Men  Dio  ofTeode  e  men  biasimo  aocatla? 
iì"  Che  tu  d  sii,  mi  disse,  giù  t' acquatta       M 

E  per  nulla  ufTeniion  di'  a  bm  sia  fatta, 

Perdi*  altra  tolta  fai  a  tal  baratta. 
2K*  Che  diesi,  lesto  !  Capo  ha  Cora  fatta  :       407 

Ed  io  v'  aggiunsi;  E  aMrtc  di  tua  schiatta; 

Sro  gio  come  persona  triste  e  matta. 
PCB.  Dal  cadiT  della  pietra  in  igeai  tratta,       90 
15*  Cxmì  mi  parte  da  lue»  rif ralla 

Perchè  a  fuggir  la  mia  vista  fa  ralla. 


r 

PCR. 


Psa 


Noo  vrdl  tu  la  morte  che  1  cembelle 
Al  mondo  »«  far  mai  p-rs^ae  ratta 
Com'  io,  dopo  ciitai  perule  Catte, 
Fossero  sUtf-  di  saaeraido  fatte; 
Ed  or  pari-\sn  dalla  bianca  tratta, 
1/  altre  toglien  i'  andare  e  tarde  e  filli. 
Uomini  siati*,  e  non  /M>«»rr  malte, 


107 


ckaliMU  Obito 


•tu 

iRr  Capido  A  per  avansar  gli  ovaatli,  71 

40^  Di  sotto  al  cepo  ario  eoa  gli  altri  IraM 

Per  la  fessura  ddla  lastra  piallL 
Por.  Nascere  a  ehi  la  vede;  coel  fatti  |St 

40^  Ter  è  cbe  piò  e  mena  eraa  contratti, 
E  qaal  pie  puleasa  avea  aegU  aitt, 
Par.  Che  aarcU  vlslbiU  rifatti,  47 

44"  Come  da  più  letiiia  pinti  e  traiti 

Levan  la  voce,  e  rallegrane  gli  atti; 
IO*  Era  gib  grande,  e  giè  ereno  trettl  107 

0  quali  vidi  quei  che  son  disfatti 
Fiorian  Fioreau  in  tutti  saoi  gran  falli. 

atto 

Irp.  Faor  d*  ana  eh*  a  seder  si  lev*,  ratto        30 
0*    O  la,  che  se*  per  qoesto  'aferao  traila, 

Tu  fosti,  prima  ch^  lo  disfatto,  fatto, 
r    TolU  m' hai  sieurU  raadaU,  e  trailo        08 

Non  mi  leader,  disa'  le,  cosi  disfallo; 

Eitroviam  l' enne  aostre  insieuM  rella. 
0^    Perocdiè  V  eccbio  m*  avea  tatU  tratta       SS 

Ove  la  an  paato  faroa  dritte  retto 

Che  membra  femminili  avicno  ed  allo; 
21*  Tra  gli  scbeggioa  del  ponte  qaatto  qaatte,  80 

Perdi'  lo  mi  mossi,  ed  a  lai  veaal  ratte; 

Si  di'  lo  temetti  aoa  tsawiar  patte. 
PcR.  Un  lume  per  lo  mar  fMJ^  A  ratto,  17 

T*    Dal  oual  com'  io  aa  ^mitìtM  ritrailo 

llividil  piò  laoente  a  mamam  UIA». 
45*  EsUUea  di  subito  cNafi^^  80 

Ed  ana  donna  la  sa  P  Mirar,  caa  alto 

Perchè  hai  la  coni  verao  Rei  ratte? 
Xf  Poi  e'  bai  il  sangaa  mio  a  te  al  traile,      88 

Perdiè  mea  paia  il  mal  tataro  e  11  Catta, 

E  ael  Vicario  sao  Cristo  esacr  calla. 
21*  Vegg'  io  a  coda  d' aaa  beatia  tratto  88 

La  bestia  ad  ogni  paaao  va  più  ratto 

E  lascia  il  corpo  viiroeate  disfatto. 
25*  Di  dimandar,  venendo  InOno  all'  allo         44 

Non  la«ciò,  Mr  1'  andar  cbe  Coese  ralle, 

L'  aree  del  dir  dio  intino  el  Cerro  bai  tratto. 
28^  FaUeve  nel  parere  il  Inngo  tratto  44 

Ma  quando  l' fui  ti  preaso  di  lor  fallo. 

Non  perdea  per  distansa  alcun  sao  alle  ; 
Par.  L'alto  valor  del  voto,  a'  è  si  fatto,  20 

S*    Cile,  ad  Cmnar  tra  Dio  e  P  aomo  U 

Tal  qaal  lo  dico,  e  fas^l  col  sao  atleJ 
ir  Quel  cb*  io  or  aomerò  h  (Irb  l' atte 

le  vidi  per  la  croce  aa  laoM  tratto. 

Né  mi  ta  ade  U  dir  priaia  ahe  U  fatto. 
20^  ^el  mcBo  striaso  puleaiie  con  atta 

Jeroaiaao  vi  ferisce  lungo  tratto 
he  r  alU«  aeado  (bsae  Calle  { 


Mr.  Pale  i  aaper  cbe  1  fri,  perchè  paaaaf  a     I4S 

4lf  E  gih  1  Maestro  mio  mi  richiamava: 
Che  mi  dieeete  chi  eoa  lai  ri  stava. 

46^  Currcado,  d' aaa  lorma  ehe  peasaTR  8 

Veaiaa  ver  noi;  e  dcKaaa  gridava: 
B«eere  alcaa  di  aostra  terra  prava. 

17*  Coel  la  Bere  peesima  ri  alava  20 

Nel  vano  latta  saa  ceda  gaktava, 
Ole  a  guisa  di  scorpiea  la  i^aaU  ' 

48P  lapp-  U  v««  «a^  «^  «MBn«  ^ 

?uot  4A\%  V>«b%  %  <^%»«e^  *  ,       ^  .- 

1s 


BnURIO  DILLA  MmiA  GOnBDLL 


17 


la 


PCI.  Tanto  manfigUar  Mlt  taa  gmU,  14 

14*  Ed  io:  Per  m«a  Tofana  si  «pmU 
E  ccolo  miglia  di  cono  noi  sana. 

21*  La  M(e  natoral  cba  mai  noa  aaiia,  i 

Samaritana  dimandò  la  graiia, 

26*  Donna  A  di  aopra  dio  n'  acqoisU  grada,    IO 
Ma  M  la  vostra  maggior  voglia  taaia 
Ch'  è  pien  d'  amora  a  piò  ampio  ti  aparint 

28^  Ed  avTegna  eh'  assai  possa  assar  sasia     IM 
Darotti  on  eorolltrio  ancor  par  gratin; 
Sa  oltro  promissioa  tcco  si  spaila. 
Pai.  In  cielo  A  paradiso,  a  si  la  grana  19 

3*    Ma  si  com'  «gli  awi^  sa  on  cibo  aaila, 
CIm  qoel  si  ciiiera,  a  di  qaal  ai  ringraiia  ; 

4P    Ow  bastia  render  voi  grasia  par  gratin;  123 
Io  veggo  bea  eba  giaaunai  non  si  aasin 
Di  foor  dal  qaal  nessun  varo  si  spnaa. 

S*    Del  trionfo  eternai  concede  grafia,  110 

Del  lame  che  par  tatto  il  dal  si  spaiU 
Di  noi  chiarirti,  a  tao  piacer  ti  aaiin. 

«f  Deir  alto  Padre  die  s«upra  la  saiin,         80 
E  Beatrice  eoaùndò  :  Ringraiia, 
Scuibil  t' ha  levato  per  saa  grula. 

SOP  Veder  non  pvò  delU  divina  grasia,  TI 

Qaal  lod  iletta  che  in  aera  si  spaila 
Dell-  ollima  dokcna  eba  la  sòia; 

.11*  Tatto  d' amor,  ne  farb  ogni  grasia,  104 

Quale  i  colai,  che  fona  di  Craada 
Cile  par  V  antica  fama  nos  si  soia, 

asle 

iMr.  Al  drudo sao,qaandodisaa:  Bolo  graaia  IS4 
18*  E  qaind  sien  la  nostra  vista  aaila. 


T4 


>  %R.  Prima  aha  tanta  sete  in  ta  al 
W*  Anche  soggianse:  il  fiama,  e  li  topaiU 
Son  di  ior  vero  ombriferi  praiMii: 

aslo 

iMT.  TI  si  Umì  veder,  tn  aerai  saile: 
M*    Dopo  ciò  poeo,  vidi  quello  strallo 

Che  Dio  ancor  ne  lodo  e  ne  ringraiU. 
Iti»  Se*  tu  gib  cosU  ritto,  Bonifailet 

W  tn  fi  tosto  di  queir  aver  saalo. 

La  bella  D«inna,  e  di  p«ii  flana  atrasio? 
Pcn.  Ubaldin  dalla  Pila,  e  Bonifatlo 
24*  Vidi  me^i^r  Marchese,  eh'  abba  apada 

E  ri  fu  tal  che  non  si  senti  saiio. 
33*  La  bella  Donna  aaossesi,  ad  a  Staile 

tP  io  aveeei,  lettor,  più  lango  apatia 

Lo  dolea  hèt  che  mai  non  i^  aviia  aaaio; 
Pah.  Di<aggaacliaBBa,  a  parò  aon  riagnale 
«5*  Ben  suppUeo  te  a  te,  viva  tapaiio, 

Perchè  mi  facd  del  tno 


M 


SS 


» 


134 


l'ir.  Sappi  di'  l' ftii  il  Camidnn  de*  Pani, 
:CI*  P«m:ia  vid"  io  mille  visi  cagnastl 
E  veni  sempre,  de*  grlati  guani. 


vr. 

21* 


rra. 


68 


A  Einier  da  Cometo,  a  Blniar  Paiao,        19T 
PiH  ti  rivolse,  e  ripasso  «si  il  guano. 
Coorinciò  agli  a  dirw,  a  tu,  Cagaaiao,       1 19 
Libieuceo  vcgna  oltre,  a  Draghignattn, 
E  Farfarello,  e  Rubicaote  pauo. 
L' odor  ab' asce  iel  pomo,  a  dallo  aprano  0% 


S3P  I  aaa  pv  oa  falla,  «Mrfa  I 
le  dieo  paaa,  a  darnP  dir  aallàao; 


bir.  D'AbalaoBflgUa,aqaanaailM, 

4*    Abraam  patriana,  a  David  ra, 
E  con  Eachala,  par  ani  tanto  n^ 
Pvm.  Lo  dal  perdei,  cbaparnoa  awfiP: 

7*   Qoal  è  colui  cka  caaa  imaail  n  aò 
Che  creda  a  no,  dioando:  dPè,  MB  è*, 

ìT  Quivi  paravi  morto  in  Gdboò, 
0  folla  Aragna,  al  vedea  io  te, 
Ddl'  opera  dia  mal  par  ta  ai  fa  I 

tS*  A  lai  di  dir,  lavate  driUa  la  pie, 
Modlmam,  m  mm  widttitU  mt, 
IfMfiaHM,  «r  oM  wléMOt  me. 


IHT.  Tra' qnal  eooabbl  ad  Ettore  ad 

4*    Vidi  Camilla  a  la  Pentadica 
Che  con  Lavinia  ma  flglia  aadaa. 

IIP  E  menommi  al  oaspagUo  eba  piasfaa 
O  Jacopo,  dioea,  da  Sant'  Andrea, 
Che  colpa  ho  io  della  tua  vita  raaT 

90P  Tede  lucciola  giù  par  la  vallea. 
Di  tanta  flemma  tolte  risplendea 
Toate  aha  fU  Ih  'va  1  fondo  paraa. 

SIP  Ed  ^11  a  ma}  Coaaa  'i  mio  aorpo  ataa 


se 

41 
t 

t» 
ISI 


Cotal  vanteggio  ha  questa  Tdami 
Innand  eh*  Atròpoa  aHiaaa  la  dea. 
'sa.  Ond'  ned  1  sangue,  |i  Mlcnal  lo 

«•  n  lini- il  iiii  III mhéìì  ■Hill 

AaaaiplòlhdMdilllaMB    ~ 
D' aver  negletto  elb  dha  ftl 
lidoUb  imperador  fc,  Aa  i 


TI 


92 


fc,  Aapalaa 
SI  che  tardi  per  altri  d  rierta. 

flP    E,  re  D^mm  lamdMtM,  ad  paraa  140 

Tale  iaugiae  appunto  mi  randea 
Quando  a  cantar  can  organi  d  sica: 

IQP  Disse  a  dolce  Maaatro,  che  aa*  avea  47 

Perch'  io  mi  moed  col  viso,  e  vedea 
Onda  m*  ora  cdul  da  mi  movaa, 

tflP  Vidi  gente  per  caso  dia  pianfca.  Ti 

jidktntt  fùvùmmto  amimm  mem, 
Qie  la  parola  appena  s' intendaa. 

SI*  Prima  raggiò  nd  monte  ateraa,  65 

Olovana  e  bella  in  aogno  mi  paraa 
Cogliendo  flori;  a  cantando  dieea: 

Pab.  Non  è  se  non  sfdeodor  di  quella  idea         S3 

IIP  Cile  queUa  viva  luca  che  d  man 

Da  luL  aè  dall'  auMir  che  in  Ior  a'  Inliua, 

23*  Un  8d  che  tette  quante  V  aacandea,  'Jb 

E  par  la  viva  Inca  trasparsa 
Nei  viso  mio,  die  non  la  aosteoaa. 

M*  Esaminando,  gik  tratte  m' avea,  <  16 

Ricomindò:  La  grada  che  donnea 
laalBo  a  qui,  eom'  aprir  d  dovea; 

21*  Di  quaate  duole;  ma  il  Sol  procedea,         »c 
La  amate  innamorata,  che  donnea 
Ad  eaaa  gli  occhi  più  dia  mai  arduo. 

SI*  Carte  tra  asso  ali  gaodte  mi  fkcea  41 

E  qaad  peragria,  aha  d  ricrea 
E  spera  gih  ridir  eom'  elio  atea  ; 

ebbe 

Inr.  Di  mia  db,  dova  cUaeoa  dovrebbe 
27*  Ciò  che  pria  mi  planava,  allor  aa* 

Ahi  miser  lasso  I  e  giovate  MMhlb%. 
Pca.  DelU  ml%  V\\.%%  «^  ^tmut  wwl  ^«r**» 

l    t2f*  &•  ah  UiMl  \0M»^  A\"  %  «fcWKÒ^vA 

1^  coi  &\  tM  v«  «jrvV%\%>a*x^"^ 


8U 


VÌS» 


ornili  Hant  Bd  «tihi 


niHABIO  DELL*  MVIHA  C 


0*   Di]mHB>K»U>>|Hln<>||lt.     » 
M*  laida  aoJar  I  DoapafaK  a  ri  patHf |la  TI 


Ut.  QoM  tlamdHaiaal'aH*n({Iii:      ID 
ir  PU  laatmaM  HD  jnt,  pH«  di' H  «Kla  « 

11'  CdtbrilM«lillHlHiirimv>dU4lU>,'ili 
OM I  HHit»,  «a  *  ami  (ki  II  tiiiiol 
(•  (■  u*  II.  iV  )■  w  IH  H*  Il  •tiatll'' 

STU-TtlliWBlhinlHlIpittK        iffl 

n  btk  Maabr  ariT  ali»  Hl|la. 

PU.  U  la:  Nh%,  panM  lapaZIiM  ••nl*«' 
r   DBftfHacaniOra.nnlibilIpagila 


lar.  «ala  la  «qialU  aal  a  aartilanfU,        a 


DI  U  laxIiDili  MriliUl  Jl-fnfll 

Ci*  ia  Mftga,  .  fòt.  «r  ik.  1  pn|i 

Ma  al  IH  F^  (Mi  iiÀlll  [n«L 

i-.a.  >l  Mar  «  loanHa  h>  arti,  rfl.  Il 


•à>,  M*k^T«a  a  ^'trild,  dia  (uU^li^lllT 
ir  B  nd  ^  hriatiJla  a  41  Nam|U 
Cbt  ul  a||l^  D  Ull*«  VlHfll. 


Di  ano  dilM  m>li<li  a  fii 
0({[  »w  cba  la  fueii  »> 

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DI  i^  4M.r,  ••  .iSajKB^ 


Uto,al»ritwW, 


T"'*^  *•  '"^"y^ 


Bd  a(ll  a  Bi  :  U  In  (Muàra  1  dtpl 
r  *.k-lai*>fMII«iliirta1i«n'*i>ipn|u,l<? 


Cnl  la  lana  alt  ta  ton 

Cult  la  Itila  r.larilaa 

Qaaa.le  la  aJ.'  qB«l.  ffoRvIi 


I  11^  KtSTn\«<ic^'n«« 


RWAMO  UlU  DITUU  G 


rn.  Ha  iva  •'  aA)  •  quIU  imu  tttmt 
r    hriBtlM  ■  U  T.*l«i1»,  di.  I«  ■  A 


M  rMn  la  alb^  m  *iim' 


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r  TMii  MHii  ■l'I"'—  *i'>  *•*>• 

ll«^«  Jll  br •>* dXUo  ftrtl 

IP  coH  1)  •»•  4>iii  rnd*  rute 

SIhUhi  hi,'  «'cte  IH  bm  iiwrli  : 


1 ,  F  U  «l«,  Uh' i^  <U  do  II  IP 


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'4  t  qMl  lun»  *«  I*  M«B  «pH 

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34  wrB  binali  •■•111  )»>■ 


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Ibi.  T«nfc*1p«i»«,  if*  u-i  l"tl^  Il  I» 


^Hl  ■!  hF>  •Ui-UÌTÙ  Mi-ln, 


ti  Talli  ti'  uqm  HTlfU— •,  t  (lult  1 
7    lii'  y  «1  ■!«  I«JI  li  111»,  n-n». 

r    a.  nini  ^trito  It»  un»  illU; 


•■««pHMU.tHU. 
0Mi<.iM>l>OI  tktl 

^  l'ito  Uh  tilU  b  imUi  H  »f  Di' 
U  m  Wl*  •  4t  la' •»  tmrti, 


-^ 


0.1.1'— rt<tt*i 


rur  «••  i*r  wt^a  «tinniti 

lU  niVttl  IM  «M  :  DM  fW  ■«■!  > 
W  ue^^af  itlMU<ra.t«loIIrUt,  ! 


0  DELLA  Divmt  COHKETilJl. 


KjT  B  dLCD  eV  mM  niiffldpr  bI  iqunU  IL  Iti 
f        Ouill  •  ii*«  *•'  «-frtU  Iti  mio. 

IMpMBM  •nallÒlUiJI  Ma. 
IN  luMiUU  gM  it  c«»a~  li  «t»  ; 


!•  «ubila  il  blb  |>dlMD  •<  uilo 


i: 


[>,  a  Dtntiflli  •  dn  quii  (fU  M 


eli» 

'  CMl  tela  adTi,  •  wn  I  *  p>i<i  «11. 
QBItL  letttdcUB  Dame  fru  ii  tftiU  -, 

cifro 

OiibU  nun  tlbut  If  m  ni  peli», 


li  itiMl' •Un  >  pia  •  |4b  (li  imiu 


■d^ntwc^ai-vM 


D.U  tlin.  Il  ata  —  '^■ii    f^^ 
'°''''"™'f'<*»lll<*lH— » 


RIMARIO  DELLA  DIVINA  COmiEMA. 


57 


roL  Seaa  ai  fi,  Atfaennl  MamoB*: 
S*    DbpoMto  m'  •▼•!  eon  li  rat  gHWMa. 


W 


ISU  firn. 


^VK.  La  (cbU  dM  pcrd*  Grni«slfnime,  20 

9F  f «rcM  r  occliiaic  aiwlla  »rn/a  grmiM: 

Beo  avrìa  qaivi  enno-rioln  1'  fiiiuir. 
fxn.  farrva  in  prima  d' ingigliarsi  all'  «finnie,  113 
18"  0  dolce  «trlla,  qotli  e  quante  anilina 

Effetto  »ia  del  cid  che  tu  in^rmiiir  ! 
IIT  Di  qsel  di  Spafcaa,  e  di  qttcl  di  RormoM,  125 

Vedra^M  al  Citittn  di  G«*niMlf  iuom 

Quando  il  coalrarìo  aegiirrk  wi  anuM. 

MBml 

PCR.  Ch'  lo  eaddi  Tlnle,  •  quale  allora  femml,    IO 
SI*  Poi,  qoandu  il  cor  virlà  di  four  rradeniail, 

Sopra  ma  vidi,  e  dicea  '■  Tirmmi,  (iemiDL 
fAB.  Cile  qoeita  fiuta  piesioM  Ingemmi,  86 

W  0  froiida  mia,  in  che  io  romplaennnii 

Colai  principio,  rispondendo,  fammi. 


ir 


Ond*  lo  a  !«1:  Lo  itmio  a  1  graada  aeanpio 
Tale  orarioo  ti  far  aal  anatra  tempio. 
S<iTra  Sennadierib  dentro  dal  tempio,        SI 
MtMtrara  la  mins  e  il  erado  seeapio 
8a«f«o  aitiaU,  ad  lo  di  aaagna  t' ampio. 

M>plO 

Del  Qompararo  e  vender  dentro  al  taa^ln,  ISS 
0  milbia  del  eiel,  m' io  contemplo» 
IMti  sviati  dietro  al  malo  esemplo. 
In  qnesto  miro  ed  angalieo  tempio,  O 

Udir  eonviemmi  ancor  eooM  V  «aeapln 
Cbè  In  par  ma  indarno  a^sM  eontanpld. 


SS 


Inr.  E  dicd  paaai  fcmmo  in  enllo  atreaM 

ti*  E  quando  noi  a  Iri  venati  semo, 
Gentr  arder  propinqua  al  loofo 

'va.  E  d*  ogni  lato  ne  stringea  lo  stremo, 

4*  Qoandii  noi  tlimroo  in  su  P  orlo  snpi 
Maestro  min,  diu*  le,  che  via  farrnio? 

7*    Qnand'io  m'arciirsi  die  i  munte  era 
Cola,  disse  qarll'  ombra,  a'  andcrcmo 
E  quivi  1  nuovo  giorno  attenderemo. 

4|P  Gridando  a  Dio:  Ornai  pia  non  li  temo:  129 
fare  volli  con  Dio  in  su  lo  stremo 
Lo  mio  dover  per  penitente  scemo, 

17*  Si  porga  qui  ÙH  gim,  do\e  «emo?  Il 

Ed  egli  a  me  :  L*  amor  dfl  bene,  acesM 
Qni  si  ribalte  il  mal  lardato  rrmo. 

Tt  Rimase  addietro,  e  la  quinta  era  al  temo,  110 
Qoando  'I  mio  Dura  :  lo  credo  ch*  allo  atremo 
Girando  il  monte  lome  far  solrmo. 

38*  8#  forar  a  nome  \n<ii  «aper  ehi  seme,  IO 

Fa  rotti  ben  di  me  volere  scemo; 
Per  ben  dulrrmi  prima  eh'  allo  stremo. 

*k%.  A  giudicar;  che  n<ii,  che  Dio  vedeaao, 

20P  Ed  enne  dolce  così  fatto  scemo, 

Clw  qutl  e'ie  vocile  Dio  e  noi  volemo. 

31*  Con  gli  occhi  \idi  parte  nello  klrrmo 
E  otme  qui>i,  ove  s'  a<petta  il  temo 
E  qulnei  e  quindi  U  lume  ai  fa  sceme; 

empia 

'AB.  5ark  la  compagnia  malvagia  e  scempia, 
17*  Cl«  tutta  ingrata,  tutta  matta  ed  empia 
Ella,  non  tu,  n'  avrà  ma^a  la  tempia. 

empie 


iMF. 

2r 


Inr. 
2t* 

Pab. 


Ta  aentirai  di  qua  da  pkdol  taapa 
E  aa  gik  Caeaa,  nou  aana  por  taape. 
Ciw  pie  al  fravarh,  eooi'  pffc  ■>  atlaaya. 


Che  1  8eb  I  cria  sotto  V  Aquario  Uapta,    2 
Qoando  la  brina  in  sulla  terra  asaempra 
Ma  poco  dura  alta  aua  panna  tempra; 
Muoversi,  a  render  voer  a  voea  In  tawnri  I4i 
Sa  nea  eeib  dove  il  gioir  a* 


Pvi.  Ah! 


Ili 


123 


Ttt.  IWi  tnremdo  perb  le  lucerne  empia,  422 

35*  Quel  cb  era  dnllo  y  traaae  in  ver  la  teuipia, 

D«cir  gli  orredii  delle  gole  eeemple: 
*CB.  E  cerca  e  tmva,  e  queir  ulcio  adempie    131 
IST  E  ci»n  le  dita  della  de<lra  so-mpie 

QeeI  dalle  ditevi  a  me  «opre  le  tempia: 
*«R.  Rivolta  s'  era  al  Sol  ebe  le  riempiei,  8 

gP    Ahi,  anime  ingannate,  fatue  ed  empia, 

Driaaado  la  vanita  le  vostre  tempie! 


iplo 

rr.  Dimmi,  ptnkè  fati  |>epoie  «  ••  copio 


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Il  eantar  dt  que*  che  oetan 
Ha  poicbè  teteai  nelle  dold  tempra 

Doona,  perchè  k  b  staospeuf 


122 


TIel  freddo  tanno,  a  acblera  larga  e  plana  ;  41 

Di  qua,  di  Ih,  di  giù,  di  oa  gli  mena; 

Non  die  di  posa,  ma  di  minor  pena. 

Luogo  se*  messa,  ed  a  ^  fatta  pena,  4IT 

Ed  egli  a  me:  U  tua  dttb  di*  «  piena 

Seeo  mi  tenne  in  li  vita  aerena. 

Colui,  che  attende  b,  per  qui  mi 

Le  sue  pamb  e  il  modo  della  pena 

Perb  ta  la  rispedita  en<l  piena. 

E  poicbè  forse  gli  fallia  la  lena, 

Dirttro  a  loro  era  la  aelve  piena 

CooM  veltri  eh'  usdsser  di  catena. 

▲mi  r  ulUmo  di*  quaggiù  ti  menaT  47 

Lasso  di  seora  in  la  vile  serena. 

Avanti  die  1*  etk  mia  fosse  piena. 

Poeo  pie  oHre  vcggb  in  su  la  rena  SS 

Quivi  n  Maestre:  Aerioecbè  Inlta  piana 

Mi  disae,  or  va,  e  vedi  la  br  mena. 

Ai  marinar  eon  r  ateo  della  sdibna,         20 

Tabir  eeal  ad  alleggbr  la  pana 

E  nascondeva  in  man  che  non  baleoa. 

Di  serpenti,  e  di  si  diversa  mena,  83 

Pie  non  si  vanti  Libia  c»n  sua  rena  ; 

Pnidnre,  e  rencri  eoo  lafedbena, 

Piane  per  Indugiar  d' ire  alla  pena,     1^44 

Né  nurte  H  gionae  ancor,  né  otlpn  B  ■Hit 

Mi.  per  dar  Ini  esperienca  piena. 

La  vortra  aeonala  e  fk'^Udima  pco* 

r  IM  d  Aratae,  ed  Albero  da  Siena, 

Ma  quel  perdi'  b  mnrT  qui  non  mi 

Verso  *1  grafllar,  che  talvolta  la  aabiMB 

Queir  anima  laa^  «ho  ha  maggior  ncol. 

Che  il  eape  ha  dentro,  e  fbnr  b  gamba  ■■ 

Che  m*  avaedùvi  un  poco  aaenv  l^ 

Che  a  lui  (ul  iM^  àaab\%VrA». 

DalT  ornate  AvlVVm  ^  «m«« 

m,  per  \»«  V  WI&»  «w»  «^ 


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V4N 


KssT.^rsi-rsr'  " 

'"*E^r?j::;;^'°S-'^riS 

U  BlIiJ^H^  <*■  piloti) 

..K^-r.-^i.-nr..-:?-^ 

..S;>S^^"" 

FH  IbhJHK  iWU  <<•' l9  <U»  i  M 

U  HDto,  *  IldH  d' ori»,  ig  «  b>»l. 

.S^BSTr 

c«t).M,.M*<|il.l»»H..-*^ 

L'iU.IMl<n..Ì7lI«>lo«u>l.»          1 

Ed  i.,  M  IIH.I  ^  «K-'r«,Mfc 

On4'un.p<»iQan|,l.i*iH 

L.  !»«  dliuriJu,  ^i.  t»,  U  ([Iti. 

tSsSSS:';?- 

Li  Uifn,  4  fMU  tatù  II  drliu» 

B«AltIO  DBLLA  MTIIIA  GOHIIBDIA. 


14*  Poi  tanno  ftUl  mU  procedendo, 
VoM  ebo  (innM  di  eòntn,  dietnle: 

f  i^  Per  q/aeX  eb'  io  vidi,  di  color,  Tom 
Tosta  far  Mvra  noi,  perchè  eorrondo 
E  dou  diaanii  grìdavtn  piangendo: 
Par.  Dt  fieri  lupi,  ifnMlniente  teta«Bdo; 

4°    Percliè,  •'  io  mi  tacete  me  non  ripr— ia, 
Puicb'  era  neees<(trto,  né  eomnendo. 

It*  Che  pria  ■'  tven  parlalo,  lorridenda 
Coi)  com'  io  dd  *mo  raggio  m'  accendo, 
Li  tooi  pentieri  onde  cagioni,  apprendo. 

fSP  Già  d^  atto  in  atto,  tanto  divenendo, 
E  qoetie  conlingamo  estere  intendo 
Con  seflM  e  mbu  umt  il  «icl 


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V  altro  è  Oniio  antire  che  vienn, 
Perocché  ciawnn  meco  ci  eonvieM 
FannMtti  onora,  e  di  ei6  fanno 
Lo  Genesi  dal  principio,  convi 
E  perchè  l' woricra  altra  via  ticnn, 
Dispregia,  poie'iè  in  altro  pon  la 
Tn  credi  die  qui  sin  *l  dncn  d^  Ateàa, 
Partiti,  bettia,  die  oveeti  non  vìmm 
Ma  «asti  per  veder  le  vostra  pan*. 

Mi  dlMo:  Guarda  qoel  grande  «hn  tkna,    83 

Qoanto  atpetto  reale  ancor  ritiennl 

Li  ColchI  del  nwmttn  privati  ' 

IH  a  fatti  animali,  as^ai  fé 

E  s'  ella  d  ele'^anti  e  di  baleno 

Più  giuUa  e  più  discreta  la  ne  m.», 

Del  tno  oonjiiglio  fai  per  alcnn  bone, 

Che  le  terre  d' Italia  tntU  pi 

Ogni  vilUn  cho  pnrteggiando 

U  U  itrb.  td  ella  :  L' altrui 

Ond'  eOi:  Or  ti  conforta,  che 

Giustiiìa  vnolei,  e  pietà  mi  riticat. 

La  mente  p«re  alle  cose  terrena, 

QaeUo  inflnit-»  ed  ineffabtl  bene 

CooM  n  Incido  corpo  raggio  vican. 

0  con  men  dte  non  dee,  corre  nel  Imm,   101 

Qnind  comprender  pnoi  eh*  esser  naafieae 

K  d*  ogni  operatioo  che  mertn  peMu 

In  alto.  Isso  alle  cose  lerrcnei,  I  IO 

Come  avarisit  spense  •  eiascna 

CoA  gfanlttit  qai  stretti  ne  tiene 

VoliiMr  parte,  e  parte  in  ver  V 

V  nna  gente  s«n  va,  1'  altra  san  Tiene, 
Ed  a  gridar  nha  pie  lor  si  con>ÌeM: 
Clio  ti  menavano  ad  amar  lo  bene 
Qoai  fosse  attraversate,  o  qnnl  cnlmw 
DuTrseìti  toA  spogliar  U  spene  T 
E  falla  dissimile  ti  sommo  bene, 
Ed  in  sna  dignità  mai  non  riviene, 
Contra  mal  diMtar  con  ginsle  pene. 
Cotante  effetto,  e  discemesi  11  bene 
Ma  perebè  le  Ine  voglia  tette  piene 
ProoBdere  ancor  oltre  mi  conviene. 
Di  gratuito  lume  il  sommo  Bene; 
Onde  U  vision  crescer  conviene, 
Crescer  lo  raggio  cbe  da  esso  visae. 
Doke  armonia  da  organo,  mi 
Qaal  si  parti  Ippolito  d*  Atene 
Tal  di  Fiorenu  partir  ti  o 
k  corto  recettncdo  •  quel  bene 
Danqne  nostra  vednta,  cbe  confiaaa 
Di  cbe  tutte  le  co«e  son  ripiene, 
Sovra  la  quel  si  fonda  1'  alla  speae, 
E  da  questa  crednsa  d  aonTlena 
Prrb  interna  di  argomento  tiene. 
Ei  s'  appellava  ia  terra  il 


80 


107 


47 


44 


SO 


74 


ÌÌ\ 


£ri  si  chinine  pali  •  «ik  «MfkBti 
In  rame,  An  aaa  va,  ed  altra  viaaa. 
81*  Creden  veder  Beatrica,  e  vidi  nn  8aaa        89 
DilAmn  «m  par  gli  eeeU  a  per  la  gmM 
Qnnla  a  taaia  padre  si  aaanaaa. 

l!(P.  Qnaado  PeteaU  abbandeab  li  ftnai,         107 

ir  Né  qnand'  Icaro  misero  la  reni 

Gridando  U  padre  a  Inii  Mala  ria  tieai; 
Pro.  Ed  un  di  anelli  soirti  diaee:  Vieni  113 

18^  Noi  Siam  di  voglia  a  morerd  A  plaal, 
Se  villania  noetra  glnstiria  tieni. 

19*  Vod  t' Iw  messe,  dicea  :  svrgl  a  vlaai,        SS 
8n  mi  levai,  e  tutti  eran  già  pieni 
E  andavam  col  8ol  nuove  alle  raod. 
A  voti  manchi  A  con  attri  bMl, 
Beatrice  mi  guardò  eoa  gli  occhi  pieal 
Clio,  vinta  mia  virtù,  dioli  le  rcai, 
Li  moderni  pastori,  e  chi  li  meni, 
Caopron  de*  osanti  lor  gli  palafreni, 
0  pasiema,  che  tanto  sostieni  I 

2r  E  gU  occhi  avea  di  lelixia  al  piaai. 
Quale  ne^  plenilnnil  sereni 
Che  dipingono  U  del  per  tatU  I  lorf, 

90*  Vedi  li  aeeiri  scanni  al  ripieni. 
In  qnd  gran  seggio,  a  dm  tn  gli 
Priam  ohe  la  a  queste 


Par 

4* 

2|« 


187 


181 


131 


81  levar  eeato,  md  eoesns  temi  snU, 
IMti  dlceaa :  Btiudiàiiu,  fiUwtmàtj 
Mamièms  e  tf  ««•  UUm  pl4mi$. 


Pai.  Isara  vide  ed  Era,  a  vide  Beaaa, 
r   Quel  cbe  fs  poi  eh' egU  ned  diti 

Che  noi  aegniteria  lingnn  né  penna. 
ir  Qndla  che  l-wto  aMverà  la  penna. 
Li  A  vedrà  U  daol  che  aowa  Senna 
Qnal  dm  nwrrà  di  colpe  di  o  ~ 

«■■e 


17 


SO 


118 


II 


iRr.  Lo  eamiadar  eoa  P  altre  cha  poi 
r    Ma  aeadlmen  paura  il  sao  ^r  dleaae. 

Porse  a  peggior  sentenda  eh*  d  nea 
ir  Sk  volli  dir.  ma  la  vece  nea  voae  09 

Ma  ceso  eh'  altra  vdta  mi  aowaann 

Con  lo  braccia  m'  avvinse  a  mi  seeteaae: 
2r  Quando  di  maschio  femosina  diveana,        41 

E  prima  poi  ribatter  le  convenne 

Cbe  riavesse  le  maschili  penne. 
3S^  E  di  troppa  materia  che  in  là  vaaaa,        129 

Cih  ehe  non  eorse  in  dietro,  a  d  ritana, 

E  le  labbra  ingroasè  quanto  winvaMa 
80^  Di  Mirre  aederata,  che  divenne  88 

Questa  a  peccar  con  eaeo  cosi  veaae, 

Come  l' diro,  cbe  in  là  sen  va,  aoetenae, 
PVR.  Trattando  1*  aere  eoa  V  eteme  P<nae|         83 
T    Poi  come  pie  e  pia  verso  vd  voum  ut- 

Peretiè  V  occhio  da  preeso  noi  soilNli^ 
r    U  pioggU  cadde,  ed  a'  fossaU  vflMR       110 

E  eome  a'  rivi  grandi  d  convi 

81  ndnb,  ehe  nulla  la  ritenne. 
8^    Erano  la  veste,  che  da  verdi 

L'  an  po«o  aevr*  a  noi  a  star  A 

S  die  la  gente  in  oseaso  d  contenne. 
24*  Che  U  Notaio,  a  Onitlona,  a  me  rileaaa     50 

lo  veggio  bea  oeme  le  vosIm  ^imm> 

Clm  M\ik  noAia  cea^o  wa  %:«^«BaB*. 
2r  Parola  n»b^  a  m«\  waWm  \\xw»* 


VVi 


1*  k  III  [«■><°';  •  1^  tim*:  I»  •«( 
Wl.  riHito  [.  M»to  ■»*.■■  ^M-W  it        H 

r   Timi»  1111 wUrtoit         '    •«( 

OH  U  rH»  PhA  MiwkM. 


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r  rM>(yi_f^A'<iiLtitata,tri^ 


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Orni ta"  "icS*)!  rtTl ""'"' 


Ha  ^  >' U  hH>  «  £K^  ^i  °^u  : 
tv*  Hi  pircbt  n|ti  ■•'  d»  <li  »  Jihihq,      T  I 


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T«il  «H>1>  iifU  r  k>  ■«•  **■ 

MI.  «rt.  M  cìilW'W  »<» 

^  ^__  T«K  <*.  .•  *jj«  «  i.  .F  _ 

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»'  »l.rt.Vii  rHtfUiiwJI».    ■ 

Qal  Ito»  1*  Il  111  un  H  l>K)«K 

fi  ck' io  ne*  H  Intn  •■«>>  (^ 
>r  It>U>  Spini.  «»■•,(*■  ^>^    • 

a  glni^  H.ll.,  ,  IBM  finv 

^Tr«lo,<ia.l«™n«..U^«^   _ 

w.iià^^tmaS^ut^ 

srS?.5sK, 

..  ru.,  ^.u,  ""  _.«.'| 

...  ',*""•>— ■"-!?•     .1 

IU*<l>»(U««h 


BIHAEIO  DELLA  DIVINA  CUmEDIA. 


faitao  tlU  l«ni«r«, 
m  il  pailar  cult  cl<iv'  en. 
b*  !•  aiMi  afrvi  vi«l>t  do\'  era,        14 
lae—timiinn  d'  anime  aoa  adiieraf 
riava,  oime  tm»!  da  ^ra 
«aar  par  la  icallUia  erra,  HO 

I  ala,  qsaodu  ridi  di'  i'  era  i 

Ma,  fanr  die  dulia  fiiTa. 
la  4i  ùo  qoant  è  •e%era,  110  ' 

il  dimaodù  pni  dii  pkIì  era  :  | 

pu  è,  in  quella  (Illa  fera, 
ri,  cune  r  orrihii  il<>ra  59  I 

piccar,  ciimc  di  calda  cara 
aè  r  allru  già  parrà  quel  di'  era  :       i 
Ndrai  dir,  quel  da  Diiera  118   ' 

liaaandatii  altri  chi  t  tra,  j 

fé  Fitiffvflia  la  RorKirra.  i 

piadi  in  IMI  picdnla    p^ra  116  I 

uaii,  qaaad»  di  U  è  vra: 
BGpri,  si  ciiiiM  priiB*  era. 
I  ctNMKziim  com'  <  Ila  è  vera,  50 

NI  vide  mai  r  olUina  «era, 

0  pncii  tempii  a  «ui^^rr  era. 
*  quella  clic  ha  1'  anima  inlera:  11 
ib'  ki  atprrifDiia  vera, 
rinqaania  gradi  «alitii  era 

1  t«ii  arbitrio  tanta  cera,  1 13 
I  ella:  8c  nuTella  vera 
1  a  air,  die  kì*  «rande  Ti  era. 

«ucaM  di  qarlU  riderà,  36 

ra  dia  di  ciò  dimandala  era, 
e  'I  Dome  di  tal  \all«  pera  :  i 

cipiii  del  di'  par  della  tpara,  3  ■ 

ir«%a  kìj  in  «rr  la  «ra  | 

|j,  a  qai  laeua  nntta  era.  I 

r  cmniacianoi,  la  -pera  S  ,  I>p. 

tua  immacioe  Irfgiera  :    ló* 

n  pria,  che  gij  ari  cwreara  ara. 
ide  alla  genlf  di'  arvera 

fofve  appar  la  eoa  inaten 

aarur  cii«  haaaa  «ia  la  cera. 
M  a  dakitar  TaNa  matera, 
Imanda  tini  ered>-r  ai'  arvera 
r  qurlla  ccrdiia  dov*  i»  era  : 
•Ita  di  hir  raaau  tdiian, 
a  la  Rfate  cb^  lì  era, 
iRroxa  e  (wr  vuler  W^Klen. 
itm  a  nn  lame,  die  li  era 


14 


17 


V    Tea  porti,  ebaaaa  sala  la  qoaalaapava,  Ilo 
Ta  f  ani  aapcr  clri  è  'a  qarsta  lantora, 
Cuma  ranfiii  Jl  iole  in  acqaa  owra. 

11*  Pania  del  cardila,  la  che  aranti  ^  «ra. 
Ed  io  «eaU*  daaAri*  a  qodla  loanera, 
Incooiindaff,  hecadoti  più  non: 

13"  Ed  artedaa  girani  per  maniera, 
Ed  avrà  qaa J l' ombra  della  vara 
Che  circa  lava  il  poato  d  >v'  k>  era  ; 

11*  Nascerà  aa  laitni  «ipra  qoel  dia  v* era, 
E  A  «Maa  al  aalir  di  prima  vera 
Sì  dM  la  viala  pare  a  nua  par  vera; 

Iff*  Diicew  fifa  da  Fi*  ole,  a  già  era 
lo  dirò  eo«a  iacradiMle  a  vera  : 
Clw  al  aomava  da  qoei  della  Para. 

18*  U  afaviUar  dell'  amor  dw  h  ara, 
E  eaac  aa^lU  sarti  di  riviera, 
Paanodt  uè  or  loada  or  looga  icUara; 

27*  5*  adampiork  ta  ta  l' ulliata  «pan. 
Ivi  è  aarCalta|Mlara  ad  ialera 
É  ogat  patta  n  Aira  aempr  ara  : 

37*  I.a  BMidra  aaa,  die,  eoa  loqnela  tatara, 
Girt  «i  fa  la  polla  bianca,  nera. 
Di  qaai  che  apporta  aaaae  a  la<«la  aera. 

28"  Piò  lardo  al  OMvea,  secondo  e  l' era 
E  qaelo  avaa  la  flamiua  piò  •incero, 
Ciwdo  parb  dia  pia  di  lei  •'  invera. 

90"  Tale,  dw  aalla  laee  è  tanto  mera, 
E  vidi  laM  ia  forma  di  riviera 
Diplala  di  arirabii  primavera. 

33^  PanliPla  gaardatsl  ia  savo;  ma  la  ara 
Che  la  aria  fiala,  vcaeado  aiacera, 
DdP  alta  Iwa,  ebc  da  sé  è  vera. 


123 


71 


63 


131 


35 


50 


SO 


Gcala  avara,  tavidiona  •  aoparba: 
sor  II  serba. 


m 


35 


PCB. 

Il* 


m  va,  sucKiunv,  a  viea  la  sera  ; 
•Mr  y  otridriile  fiiin  •'  annera. 
1  lei,  venxi  qoe^ta  rìvirra, 
li  rimeiutirar  dmr  e  qual  ara 
e  lei,  ed  rlla  primavera. 
«  a  ^irtù  crv«ciuU  m'  era, 
,  paati  »iKii  per  \n  n<»a  vera, 
a  prumU«ii>n  rrnil-mu  ialera. 
air  ice  vnlla  in  mi  la  Tirra, 
I  velli,  ni  oilri*  U  mirra 
:ha  r  altre  qui  quaml  ella  c'  era. 
[lervcclie  i:ij  nr^li  ucclii  m'era 
•ayi  in  sa  la  ti  rra  vrra, 
r  vidi  alla  biloriur  (ifra. 
giuuia,  a  la  mondana  cara 
va  di  \*  mane  e  di  qua  sera 
Biiperiti,  e  1'  altra  parte  nora, 
rgna,  il  iiridu  drija  spera, 
it*  IO  dirittu  alla  luniirra 
più  a*«ai  di  qui-l  eh  eli'  era. 
ia>ti>rr,  alla  («^K*  siartra 
rdctti,  e  no  die  «uo  dir  era 
IraddiAione  e  falsa  e  vera. 


La  laa  fcrtaaa  laato  oaor  li  serba. 
Di  ta:  Ba  langi  ia  dal  becco  V  erba. 
La  rabbia  Bornlina,  cho  taperba  113 

La  vusliB  ■oariaaaaa  è  color  d*  erba. 
Per  cai  tf*  eaee  della  Irrra  acerba. 
29      3(r  Ma  vefgeadoail  in  e<4o  iu  trassi  alPafba:  77 
;  Cosi  la  audra  al  figlio  par  soparba, 

'  Seala  il  aapor  della  nietatn  acerba. 

65     Par.  Qaai  al  fa  Glaac->  nel  guatar  datT  erba,      OH 
,   I*    Trasaanpar  aigniScar  per  verba 
i         A  cai  avparleasa  gratia  serba. 
riU  ■   11*  !«iaUa  praaaaaa  del  Soldaa  naperba  Ifl 

E  per  Irovara  a  coa^ersione  acerba 
Ecddtaai  al  ballo  ddl' italica  erba  ; 

erbe 

Ptn.  Ch'aidraM  od  cscooo,  e  U  rider  dair  erbe  77 
3ir  Noa  dia  da  aè  sica  qae^la  com  acerbe, 
I         Cha  aa«  hai  fiata  ancor  laato  sapcrba. 


i7 


1:^ 


80   : 

.  I>p.  Diaaad  palTawa  va  ■aperbn,  71 

0*    Gli  oodil  mi  kIoIw,  e  diisc  :  (>r  drUaa  il  aertio 

'.Ki  Per  iadi  ava  qprl  ramino  é  più  acerbo. 

SI*  E  panala  ad  parca  adi  allo  acerbo, 

L' aosan  sdo,  cb'  era  acato  e  «uperbo, 

il   .  Ed  d  leaca  da'  pie  giierroito  il  nerbo. 

35*  Spirta  mam  vidi  ia  Dio  tanto  superbo, 

Fi  sì  fiaggl,  die  ima  parlò  piò  \rrlio  : 

V2%  Venir  gridando:  Ov' è,  ov'*  l'acerba? 

,  Pia.  eia  si  godeva  iolu  del  mi«i  verbo 

iV*  Im  auo,  tcmpraado  il  dolce  oia  1'  arerb>iv 

1 :      1'/*  In  tutto  r  aaivcno^  cW  A  v»«  %«^te 

K  ciò  ta  en\»  dAAvX  ^r«kuS«^«^M^ 

^  Ver  MA  aaisA\%t  VasM  «  t.%^4A  %xKte%'. 


3J 


11 


I 


sx 


«■UÓte  <ca>^,  ^  pAiu  ^^Jt^ 


RMARIO  DELLA  DITIRA  COHMBDlà. 


47 


SQP  MoMiai,  •  0  Dms  sin  ti  MOMe  pffU 
CoiM  li  T«  par  muro  ftretlo  •'  ntrlt; 


nra.  Tedrai  U  •taigliaDt*  m  amila  InfenM,    449 
0^   Ma  GOD  dtr  volta  mm  dulora  admoM. 

ermi 

iRr.  r«rd)è  un  al  mosae,  a  gli  allrì  ttettar  (anni;  T7 
24*  Cr<>cli  tu,  M alac^da,  qui  cedermi 

Srcarw  già  da  tolti  i  voatri  Klxrmi, 
PVB.  Clic,  della  titta  della  naenta  infrroii,         122 
4€^  Nun  t'  accurgele  voi,  cb«  noi  kian  «armi 

Che  vola  alla  gioatiiia  tenia  «cttcroii? 
Pam.  Ver  me  ti  fece,  e  il  »oo  voler  piaccnni       14 
IT    Gli  ocelli  di  Beatrice,  eh'  aran  Canai 
Al  Olio  diate  ecriiOcato  (Sanai. 


in.  Ddr  oa  de*  Iati  fanno  aU'  altro  adiarm; 

4*    Qoaodo  ci  aeoTM  Cerbero,  il  gran  vanM, 
^un  avaa  Beaibn»  cbo  tcneaae  fenao. 

4S*  Clie  t'  e  giovato  di  ne  fare  adieraMt 
Quando  '1  Maealro  fa  aovr'  etao  fenaoi 
Sodi  cui  tangao  dnloruee  temo  T 

V^  Finae  in  Egina  il  popol  tatto  iaferaa, 
CIm  gli  animali,  inOno  al  piccii4  veràa, 
Secondo  cba  i  poeti  bamo  per  fenae, 
Ditollo  al  qaale  è  conaecrato  oa 
Coal  riciiaiiaciuainii  il  ter»  aaria  \ 
Al  aarvigie  A  Dio  ni  (ei  al  (enaoi 


l>4 


ram. 
21* 


1I9 


tt 


Inr.  La  cara  e  boooa  iaagine  patema 

io*  M' iDMgnavatc  come  V  nom  a'  ctmu: 
ConvÌ4fa  cÌM>  nella  mia  lingua  %i  aeeraa. 

28^  Pi:m1  con  mano  a  gaiaa  di  lanterna,  122 

Di  I»  facci  a  a  ae  stcaao  lacerna, 
Cnm'  caaer  poó,  Quei  aa  cbe  al  governa. 

33*  Da  un  dimonio,  che  poscia  il  govenn       131 
ivila  raina  in  al  fatta  dstrrna; 
Dell'  ombra  che  di  qua  dietro  al  vana. 
PcB.  FuKgitu  a«ete  la  prìgi»ne  eterna?  41 

4*    Clii  «'  lia  guidali  T  o  dii  vi  fa  Inerma, 
Ciie  tempre  nera  fa  la  valle  infema? 

3Qf  Sorgrran  pretti  ognun  di  «na  caverna,       44 
Colali,  in  aa  la  divina  hattcraa. 
Mini»! ri  e  met*aggier  di  vita  eterna. 

31*  A  lui  la  borea  tua,  u  die  di<cema  437 

0  i<tplcnd«ir  di  vi\a  lane  rima, 
Si  di  ParaaM,  o  be«ve  in  tna  dttena, 
Par.  S"!,  riguardando  ndla  luce  eterna,  iO 

II*  Tu  dulibii,  ed  liai  voler  che  ti  riceraa 
Li>  dicer  mio,  eh*  al  tuo  «eniir  ai  tti-nUf 

lir  Tanto,  che  tot»  prinripto  non  diaccraa        SS 
Pero  nella  giu«tiiia  aempitrrea, 
Oim'  ucciiio  per  lo  mare,  entro  a'  interna; 

21*  Pfntc  al  eon«iglio  die  il  mondo  governa,  71 
lo  seggio  bea,  diat*  io,  aacra  loccma, 
Ra^U  a  teguir  la  provvidroxa  eterna. 

28^  In  questa  primavera  aoropitrma,  416 

PiTprtualemrnte  (Henna  ««erna 
Oidini  di  letnia  onde  t' ialrma. 

9Sr  Clie  i»^^  Dìo  ««ma  almo  governa,  422 

Nel  giallo  della  ro«a  «•mpilrraa. 
Odor  di  li>de  al  Sol  die  fwmpre  vena, 

33^  Ficcar  lo  «■«••  per  la  luce  eterna  t3 

^el  tao  prufoodu  «idi  die  «'  interna. 
Ciò  dia  per  r  aaiver>o  ai  aqnaderaa  ; 


PCI.  Gli  Aaairl,  poi  dw  te  morto  OlateM, 

12*  Vedeva  Thnia  in  cMcre  a  In  «avcRM: 
Moainva  il  aegao  die  II  ai  diaeanal 

14*  Moairandovi  le  aaa  bellase  etana. 

Onde  vi  balle  dii  tatto  di^ecrao. 
Par.  Virtà  di  carità,  die  fa  voleraa 

3*    Se  ditiaMÙmo  caaer  più  aoperaa, 
Dal  voler  di  colai  die  qui  ae  cena; 

7*    Multo  ai  mira  e  poco  ai  diaeena. 
La  divina  bontà,  die  da  aè  aperaa 
SI,  che  diapiega  le  bellane  eterna. 

8f  E  come  la  voea  voee  ai  diacene, 
Vid'  io  in  caoa  laee  altra  laceraa 
Al  mode,  cnde,  di  lor  vltte  etetaa. 

SS*  Trivia  ride  Ira  le  aiate  elerae, 
Tid'  io,  aopn  migliaia  di  tanraa. 
Come  fa  U  aartro  le  viale  aapena; 

28*  La  mente,  aaModo,  di  riaKua  dm 
Tal  vero  allo  latelletto  aiio  atema 
Di  latte  la  aaatantie  aeapitema. 

eral 

IHP.  FtstUm  lUrt»  Pf9é*umt  Infermi 

»4*  Ditte  ì  Ma«*lro  mio,  aa  tu  'I  di 

Par.  Novallameala,  Amor,  elie  II  del  geveml, 
4*    Quando  la  raòla,  die  tn  aempiterai 

Con  V  anauaia  die  temperi  e  diaaarai, 
21*  Paaaa  che  ia  lem  aua  è  chi  gevval  ; 
Ma  prima  che  gennaio  tatto  ai  aveni, 
laggeran  al  qòcati  eardii  aapani, 


SO 

440 
71 


47 


l>r. 
4* 


aeU'Iafena, 


7* 


4W 


440 


TI 


42* 


47 


Fm  che  P  avrà  rii 

Oad'  le  per  le  tao  BM*  paaao  e 

B  trarrotli  di  qoi  per  mogo  el 

Là  entro  eerlo  nella  valle  cerno 

Poeterò.  Ed  H  mi  ditae  :  Il  A 

Come  la  tedi  ia  qoetto  baaee  iaferao. 

ar  i'  diaerd  qaaggia  ad  baaao  iafam», 

Ma  eerte,  poeo  pria,  te  bea  diaearao, 

Levò  a  Dite  del  eerdiie  aoparao, 

21*  Che  fecar  di  Muatagaa  il  mal  gaverao. 
Le  città  di  Lamone  e  di  Santcrap 
Che  mata  parie  dalla  ttate  al  mao: 

SOP  C>»e  famaa  come  maa  bagaala  U 
Qui  li  trovai,  e  poi  volta  noa 
E  aun  credo  die  dicao  ia  acmpilemó. 
Fra.  Noa  vid'  io  diiaro  ai,  eom'  io  diiwraa, 

4r    Che '1  mcaao  cerchio  del  aaolo  ai 
E  che  aempio  rimaa  tra  1  aele  e  il 

8^    L*  Aagd  di  Die  mi  preae,  e  qaal  A 
Tu  te  ne  porti  di  coalai  l' elerao 
Ma  io  farò  dell'  altto  altro  governo. 

2S*  Che,  qaaalo  darerà  l' ato  oiodenao, 
O  frate,  diaae,  qae«U  eli'  io  U  acirao 
Fu  miglior  fabbro  dd  parlar  materaa. 

27*  Fu  corta,  e  famuo  in  tu  1  grado  «aperaa,  43S 
E  dìMO  :  Il  temperai  Aaeeo  e  l' eterao 
Ov'  io  per  aw  pia  dira  non  ditcoraa. 
Paa.  Latin,  riapoae  qarll'  amor  paterao,  8 

47*  La  coatiageaaa,  che  faur  del  qaadoraa 
Tolta  è  dipiata  ad  colpetto  etemo.. 

2lf  Di  che  ragiono,  per  1'  arco  aapenO|  SS 

Ora  coaotce  dw  il  giudiau  eterno 
Fa  craatiae  laggiù  ddl'  edicrao. 


404 


413 


IM.  CV  éV  ta  A(àX  a\m%  Vj«n% %  4à iw*\   h    -^ 
*  T    La«|aaAa,%Vk  V'aJkaV*'*'*»*^^'*'"^ 


DIVARIO  fiELU  n 


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hiT.  tal  frvUa  ttm»,  I  Hhlfn  Utìi  «  fimo  :  41 

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Olir  «1 1  e*  ti  «liiMl^  *t  aMiMI 
iil.ll>latwK.rlaMa<KU-a. 
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(Mh  labll.i  al  iMlTaU  Mia 

<rOMaiBil»aia4a.,.Mi..ril.K.    I(H 
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Rar:i»yi?!:'sr.cr 

Cnnr  W  niita  (ka  4a  MtW 
ir  Dalit  tnaala  4a  ai«Ha,  ■>  «M            M 

^NA  COHHEDIA.                                        M 

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1»r  t.i^M..la.UwJa.»HIM,           in 

CiJiBla  U  ptin  a  lali  mia  ala  IM  -, 

Pai.  Uu«aMIIMU«aaa:  Vl>^             II) 

lOaiil'I.MW.dkHlaar^ariBl,        H 

r».l>.(l«Klild«aaltlkail,              W 
r    ■HinB_ltur4>«|lia(iMrl>rt 
Clia.  .laU  Bla  tlrtt.  éicii  la  tali, 

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«•    Qail  Iba  (a  pil  di' ai»  aaa  il  BaMnt, 

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Bal-V|»tal>*....lMl.H.            ^^H 

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RIMARIO  DBM.A  DIYtlfA  COMIIEDIA. 


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l:ir.  Nfouido  la  riniitra  innuui  spcMo;  83 

9^    Beo  m'  aceoni  di'  egli  era  del  etel  bimio, 
Cli'  io  steifi  cheto,  td  inctiinatsi  ad  ees». 

17*  Farem  noi  a  Cliiron  ooatà  di  iiretio:  65 

Poi  mi  tentò,  e  diete  :  Quegli  è  Nesae, 
E  fé  di  eè  la  vendetta  egli  tlcsso. 

'2ir  Di  taa  lezione,  or  penta  per  te  at«Mo, 
Quando  la  nostra  imagine  da  preMo 
Le  naticlM  bagnava  per  lo  fetao. 

'lif  IliC4>niinció  lo  apanraU*  appresso, 

Ma  slicn  le  male  branche  un  poco  in  cmsh, 
Eli  io,  seggendo  in  questo  loco  stesw, 

'JST  Lo  tempo  •  piioo  ornai  elw  n'  e  ounceaao, 
Se  ta  avessi,  rùipos'  io  appreasp, 
Forse  m'  avresti  ancor  lo  star  dimaaao. 

33"  Tutto  quel  giorno,  ne  la  notte  apprctso, 
Come  un  poco  di  ragi;Ìo  si  Ta  messo 
Per  qaattro  visi  il  mio  appetto  stesso  ; 
Ma  per  la  sua  follia  le  To  si  presso, 
Si  come  i'  dissi,  fai  mandato  ad  esso 
Cile  questa  per  la  qaale  in  mi  sun  airaao. 
E  tutti  gli  altri  che  vrnieno  appresso, 
Sema  vostra  dimanda  in  vi  confesso. 
Ter  che  il  lume  del  s«>le  in  terra  è  feaao. 
Perch'  io  varcai  Virgilio,  a  fe'mi  praaao,      53 
Era  intagliato  11  nel  marmo  stesso 
Pi-rciie  si  teme  vfBcio  non  oommeaao. 
Che  il  mal  che  s' ama  t  del  prossimo,  ed  aaao  1 13 
j'i  chi,  per  ef4er  sno  vlcin  sopprcsao. 
Gir  el  sia  di  sua  grandeua  iu  ba»so  iMSfo. 
Per  poco  amor,  grtdavan  gli  altri  appreaao;  1U4 
O  gente,  in  cni  fervore  acato  adf«so 
Da  v«)i  per  tepideua  in  ben  far  mesto, 
Dianii  non  er  io  s«»l;  ma  qai  da  proMo    123 
><ii  rravam  partiti  già  da  esso, 
Tanti>,  quanto  al  pcder  n'  era  penneato; 
E  nv'ì  venimmo  al  grande  erboro  ad  aaao,  113 
Trapnofate  oltre  lienia  farti  preaeo; 
E  questa  pianta  »i  le^ò  da  esw. 
Anime  «ante,  il  fuoco;  entrate  la 
Si  diHfr  come  noi  gli  funimo  presse: 
Qaal  f  colui  che  nella  fossa  è  mesoo. 
\i-nuta  prima  tra  il  grifone  ed  eaeoi,  8 

E  un  di  loro,  qaasl  dai  del  moMo, 
Ondò  tre  volte,  e  tutti  gli  altri  appresto. 
VkH.  Dinanii  agU  occhi  tal,  die  per  te  slaaao      99 

S  '    lo  t'  Ilo  per  certo  nella  menta  mesao, 
¥>  nirclic  sempre  al  primo  vero  è  pNMo: 

7"    Si  alto  e  SI  magniUco  precesso,  113 

Clif  più  largo  fu  Dio  a  dar  m  stcaao 
r.lK*  n  egli  ave^M  sol  da  sé  dimesso. 

17"  Si  farà  c«intra  ir  ]  ma  poco  apprtaao  68 

Di  ^111  bentialitate  il  suo  processo 
A^«rti  fatta  parte  per  te  steeau. 

vf*  Allo  >tremo  del  mondo,  e  dentro  ad  «sao     41 
>on  pt'teo  san  valor  si  fare  improsao 
>i>o  rimanere  in  infinito  eccesso. 

'H*  Trionfo,  per  lo  quale  io  piango  spiato       UH 
Tu  non  avresti  in  tanto  tratto  e 
Glie  s^goe  il  tauro,  e  fui  dentro  da 

TP  Parrrbbo  luna,  lorata  eoo  esso,  20 

For^  ciitanlo,  quante  pare  appretto 
Quando  il  vapor  die  il  porta  pie  è 

.yf*  Parava  in  te,  come  lume  relleòao, 
Dentro  da  se  dei  suo  c«>lore  stetso 
Percba  il  mio  viso  in  lei  tutto  ora  i 

I M.  RuppcaBÌ  r  alto  toaao  Beli»  latta 


i   *• 


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Paa. 
14" 


Cnmt  pcrsoaa  tkt  ptr  itna  è  tota: 
Clw  mogglila  coma  fa  Bar  par  totapatlt,    3(> 
La  bufera  iafanial,  eho  mai  non  rtttt. 
Voltando  a  pcreotendo  li  molesta. 
Guardommi  un  poco;  e  p4ii  chinò  la  toata  :  Ifl 
E  'I  Duca  dista  a  me:  Più  non  al  datla 
Quando  verrà  la  nimica  podestà, 
Ha  non  perù  di'  alcuna  sen  rivesta:         lUt 
Qui  le  strasidnrreiuo,  e  per  la  metta 
Ciascuno  al  prnn  dell'  ombra  sua  mola-ta. 
Mentre  eiio  torai  parlerò  con  qoeata,  41 

Cosi  ancor  su  per  la  strema  testa 
Andai,  ove  sedea  la  gente  me»la. 
E  com'  ei  giunse  in  sulla  ripa  setta,  65 

Con  quel  furore  e  con  quella  temptata 
Che  di  subito  chiede  ove  s' arresta. 
Come  la  madre  di'  al  roaaor*  è  detta,         38 
Che  prende  il  figlio  e  fugge,  e  non  i*  trretla. 
Tanto  che  solo  una  camicia  vetta. 
Se  non  lo  far:  che  la  dimanda  onetla         Tt 
Noi  discendemmo  il  ponte  dalla  tetta, 
E  |ioi  mi  fu  li  bolgia  manifciita: 
E  gli  orecchi  ritira  per  la  testa,  131 

E  la  lingua,  di'  aveva  unita  e  protta 
Neil'  altro  si  richiude,  a  '1  fumo  ratta. 
I^vò  1  braccio  alto  eon  tutta  la  tetta       128 
Che  furo  :  Or  vedi  la  pena  molesta 
Vedi  s'  alcuna  e  grande  come  quetta. 
Carlo  Magno  perde  la  santa  gesta,  17 

Poco  portai  in  ìk  volta  la  testa, 
Ood'  io:  Maestro,  di,  che  terra  è  qottU? 
Quando  vidi  tra  facre  aUa  ima  testai  38 

Dell'  altre  due,  dia  s'  aggiuttneno  a  qaetla 
E  i'i  giugneiio  «I  laogo  di-lla  cresta, 
Addiissandosi  a  lei  s'  ella  s'  arresta,  8:< 

Si  t  id  io  iiioYrr,  a  venir,  la  teata 
Pudica  in  faccia,  e  nell'  andare  uaatU. 
>ave  senta  nocciiieru  in  gran  tempaatt,     n 
Qoell'  anima  gentil  fu  cosi  pretta. 
Di  fare  al  cittadin  suo  quivi  festa; 
Ti  fia  chiavata  in  uieno  della  teata  137 

Se  corso  di  giudido  non  s  arresta. 
Andava,  cominciò:  Driua  la  texta;  77 

Vedi  colà  un  Angd  dio  t'  appretta 
Dal  st'rvigio  del  di'  1*  anodla  testa- 
Quando  una  doaaa  apparve  aaata  e  pfutta  96 
0  \irgilto,  Virgilio,  chi  è  questa? 
C«>n  gli  occhi  fitti  pure  in  quella 
Per  la  i-agiono  ancor  non  maiiilccta 
Ed  ecco  del  profondo  della  to^ta 
Poi  grido  forte  :  Quel  graiia  m'  è 
Venia  gente  col  tiso  incontro  a 
Li  veggio  d  ogni  parto  farsi  pretta 
Sema  ristar,  coutente  a  breve  fetta. 
Di  t'  altro  vuoi  adir,  eh'  io  venat  pretta     ti 
L'  acqua,  diss'  io,  e  il  suon  della  Ibffttlt, 
Di  cosa,  di'  io  adi'  contraria  a  quatta. 
Da  tutte  parti  per  la  gran  fwresta,  17 

Ma  perdit  '1  balenar,  come  vieo,  retta, 
Nel  mio  pensar  dicea;  Che  cirta  è  qaatta? 
Or  dalla  rossa,  e  dal  canto  di  quatta        19H 
Dalla  sinistra  quattro  (aoeaa  fetta, 
D' una  di  lor,  di'  avaa  In  ocdti  ia  latta. 


Velala  sotto  1'  angdica  fetta, 
Tultocliè  li  vd  cbo  lo  aondea  di 
Non  la  laadaaaa  paror  aiaaifaeta  ; 
Del  minor  cordilo  una  voce  modeata. 
Risponder  :  Quanto  Ha  lunga  la  Cnta 
8i  raggerà  dintonio  ttcA»\  -^tn^^. 
Vet  \a  caiuA  ttì  %  \«^  %  mia.'e»«^^%^ 


•s 


35 


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mMARIO  DELLA  DIVINA  COMMEDIA. 


S5 


MaUvft  Ì0  Mne»  Mpttto  di  dlettro  : 
SO^  Tirtnalneiile,  cb'  ogni  abito  dntro  116 

M*  ttnto  pie  maligno  •  più  tiUeitro 

Qaant'  rgU  ha  pia  di  buon  vigor  termlro. 
Al.  Scalzasi  Egidio  •  acalusi  Silvestro  83 

II**  Indi  tea  va  quel  padre  •  quel  maestro 

Che  già  legava  1  amile  capestro  ; 


età 


il 


w 


hr.  Vestite  gi^  de'  raggi  del  ptaneta, 
I*    AUor  fa  la  paura  an  poco  qucta. 

La  notte,  eli  i'  passai  con  tanta  piéU. 
4*    Onorate  V  altissimo  Piicta  : 

Puieliè  la  voee  fn  restata  e  qneta. 

Sembianza  averan  né  trista  né  Uet«. 
7*    Con  r  altre  prime  creatore  lieta  95 

Or  discendiamo  ornai  a  maggior  pidl*. 

Quando  mi  mosd,  e  '1  troppo  star  si  viaU. 
«4*  Diss*  egli  allora,  cbe  s'  spjiella  Creta,        9S 

Dna  montagna  v*  è,  che  già  fu  iiaU 

Ora  è  diserta  eooio  cosa  vieta. 
18^  Di  Gerienf  trovammoci;  e  'I  Poeta  90 

Alla  man  destra  \idi  nuova  piéla; 

Pi  clic  li  prima  bolgia  era  replrla. 
i8^  E  guarda  mb  la  mal  tolta  moneta,  98 

E  se  non  fosso  eh'  ancor  lo  mi  vieta 

Glie  tu  tenesti  nella  vita  lieta, 
39*  Me  ptà  d'  un  anno  la  prcow  a  Oaala,  98 

Né  dolcezza  del  Iglio,  né  la  pidU 

Lo  qual  dovea  Penelope  far  lieta, 
27*  Già  era  dritta  in  su  la  lamma  a  qjMta         4 

Con  la  licenzia  del  dolce  Poeta; 
Po  a.  E  veagonti  a  pregar,  disse  '1  Poeta;  44 

5**    0  anima,  die  vai  por  easer  lieta 

Venian  gridando,  un  poco  il  passo  fwla. 
14"  Ed  ailor,  per  istringermi  al  Poeta,  140 

Già  era  l' aura  d' ogni  parte  qoela, 

Che  dovrla  V  «om  tener  dentro  a  saa  Mala. 
•2\*  Non  so  qual  foMO  più,  trionfo  lieta  14 

8t  disse  prima,  e  poi  :  Qui  non  si  viola 

Nostra  sembianza  via  per  la  diala. 
31**  Quando  vodea  la  eoaa  in  s4  star  qaeU,     I2B 

Mentre  die,  piena  di  stapoea  e  Uola, 

Cile,  saziando  di  sk,  di  se  aaaaU; 
I' «a.  Per  trionfare  o  Cesare  e  poeta,  SO 

4"    Che  partorir  letizia  in  s«  la  lisU 

Peneia,  quamle  alcun  di  s4  aaaala. 
n"    Da  indi  mi  rispose  tanto  lieta,  80 

Frate,  la  nostra  volontà  quieta 

Sol  quel  cb'  avemo,  e  d*  altro  ma  d  anata. 
5"    Prrroote  pria  die  sia  la  corda  qatto,         83 

Qiii\i  la  Donna  mia  vid  io  si  lieta, 

Clie  più  lucenti»  se  ne  fé  1  pianeta. 
12*  Della  fede  cnsUana,  il  sante  atleta,  18 

E  c«)nie  fu  creata,  fu  re|>leta 

Che  nella  madre  lei  fsee  proCata. 
15"  Con  perpetua  vi»ta,  e  che  m*  asacta  88 

La  voce  tua  sicura,  balda  e  lieta 

A  die  la  mia  risposta  è  già  decreta. 
iV  Induce,  falseggiando  la  moDeta,  148 

Li  si  vedrà  la  superbia  eh'  asseta, 

81,  die  non  pub  soffrir  dentro  a  sua 
'J7*  incominciò,  ridendo,  tanto  lieta. 

La  natura  del  mote  cbe  quieta 

Quinci  comincia  come  da  sua  aeta. 

•te 

t%T.  CsuM  r  dico  fa,  che  per  la  ade 
3QP  0  vd,  che  scasa  alcuna  pena  side 

Diss'  e^  a  od,  guardate  e  attendete 
frn.  Ver  noi,  dicendo  a  Boi:  Se  voi  sapete, 


2*    E  Virgilio  rispeic:Tcl«aMc 
Ma  nd  sem  pcregrln,  come  Td 

8*    Che  questi  è  corpo  umao  ehe  vd  vaidi. 
Non  vi  maravigliate;  ma  etedda, 
Cerca  di  aoverebiar  questa  parale. 

1*    Posdacbè  l' accogliente  onóte  e  Ueb 
Sordel  si  trasse,  e  disse:  Vd  chi  slaUT 

21*  Tanto  dd  ber  quant'  è  grande  la  ade, 
B  il  savio  Duca  :  Ornai  veggio  la  rate 
Perchè  d  trema,  e  di  che  coagaodde. 

28°  Cbè  tutti  questi  n'  hanno  maggior  ade 
Dinne  com'  è  die  fai  di  te  perde 
Di  morte  entrato  dentro  dalla  reta. 

Sy*  A  disbramard  la  decenne  sete. 
Ed  esd  qdad  e  quindi  av4n  parale 
A  aè  tradii  con  l' antica  rote; 
Pa>.  Non  8^  aoradraron,  ceoac  vd  fatela, 

T    La  concreata  e  perpetua  ade 
Vdod  «masi  come  U  dd  vedale. 

8P    D*  «n  gira,  d*  na  girare,  e  à  aaa  mè§, 
Fot  th»  imttméuié»  U  Uno  dei  momlti 
Non  Be  roea  dolce  an  poco  di  qaida. 

2i*  E  roratdo  alqaanlo  :  Vd  bevete 
Cosi  Beetrice:  e  qadle  adaM  liete 
Piammewdo  Carte  a  galea  di 

etl 

Pub.  BwI  la  BgUa  di  Tiieda.  e  TcU, 
22*  Taeevand  aabedae  già  fi  poeti. 
Liberi  dd  salire  e  da'  pardi; 

eto 


«t 


T4 


17 


113 


Poi.  la  eaa  prasaarien,  se  tal( 
8*    Vedi  oramd  se  ta  ai  pud  far 

Cooe  m' hd  viale,  ed  eneo  eeU  dii 
40*  D*  iaUgU  d,  ehe  aoa  par  Pdidde, 
V  angd  cbe  venne  in  terra  ed  deereto 
Gh*  aperse  U  Cid  dd  sae  hugo  divieUi 
Che  se  vedale  avcsd  aoai  farsi  liete, 
Di  aaia  semeaia  colai  paglia  miele. 
U  V  è  laesticr  di  censorio  divieUT 
Che  dò  noi  seda,  ma,  scasa  decreta, 


440 


44* 


90* 

O  Signor  mio,  quando  sere  io  liete 

Fa  dolce  T  ira  tua  nd  tao  segretel 
tP  E  sappi  ehe,  d  tosto  com'  d  fde  88 

Lo  Ifolor  primo  a  Id  d  volge  Ude, 

Spirito  aaovo  di  virtù  replcte, 
Psa.  Dd  sae  laam  fa  Udd  sempre  fdde,       499 
4*    Ed  ora  ù,  usa' a  dio  decreta, 

Che  d«  cbe  acocea  driasa  ia  aegne  liete. 
ir  Ed  aacor  saria  Borgo  più  quieto,  48« 

U  casa  di  die  aaeqaa  U  voalro  Bete, 

E  pedo  Bae  d  veatra  viver  Ude, 
2!1*  Dd  aaagae  mio,  di  Lia,  di  qad  il  CMe,  44 

Ma  per  acqaisla  d*  osto  vivw  Ikte 
le 


chiara  giù  di  pietra  ia  pidra,  » 
d  cdlo  deUa  cetra 
ipognavent 

etri 


80 


Pvi.  Al  ea,  ad  A,  e  se  vnd  di' le  t*  faMdri 
49*  Ed  egli  a  me:  Perahè  i  aeetri  dlraU 
SàMM  fooé  0go  fui  sucssssor  ^*<  _^ 
Paa.  a  che,  gaardaado  ^sav^Vià^  iimii#i^ 
i  ir  Veram«rt«,ahWn«V%V  wtvl^»^ 


\K1 


I 

I 


i  mutino  DELL*  Divnu 


Nnli'lg  osa  tMi  U  fi^fH  aln.  Sbai\ui,  pwHlUbM 


r>.  Fi'lu'nTS'lOUItHe 


N(H  Minto  CfiilD,  pv  i'  tfptllnH  17 

Kurt*  iKtatU  9v  m  inltinu, 
Pw*  ani  nbkv  (Il  Hdil  01(4  H'°» 


>  UqU,  d»  li  «  EirùXmBi 
«■1  il  n«l>  talli  «  p.r~M 


:av 


RIMARIO  DELLA  DIVINA  COMMEDIA. 


57 


fvt.  Cbt,  qumi»  DomjiUn  li  pcnefMlU,       81 

Vr  B  nnilre  cb«  di  là  per  me  ti  ttclU, 
Fer  dispregiare  e  me  toU'  eltre  sette; 

24*  Dirctro  ai  dillator  tea  vanao  itrelte,         S9 
E  qaal  pia  •  gvardare  oltre  ti  aette, 
E  qoaai  contentato  »i  taeette. 

25*  Per  l' altroi  raggio  clie  in  tè  li  liBelle,     92 
Cori  r  aer  ticia  quivi  «i  mette 
Virtualmente  V  alma  d»e  rittctte: 

28^  Pro^rpina  nel  tempo  ette  perdette  80 

Come  %i  volge,  con  le  piante  strette 
E  piede  innanzi  piede  appena  mette; 

2r  Melle  figlie  d'  Adamo,  e  benedette  M 

Poscia  die  i  fiori  e  1'  altre  Trcsclte  erbette, 
Libere  fnr  da  quelle  genti  elette, 

83^  Et  iunun,  sorelle  mie  dilette,  4 1 

Poi  le  si  mi->e  inoanxi  tutte  e  sette. 
Me  e  la  Donna,  e  il  Savio  cbe  ristette. 
Pak.  Non  vanno  i  lor  pensieri  a  Nanarette,    137 

9*    Ma  Vaticano,  e  V  altre  parti  eletta 
Alla  militia  che  Pietro  segaette, 

Itf*  Le  lor  figure  com'  io  V  ho  concetta;  86 

Mostrarsi  dunque  in  cinque  volte  sette 
Le  parti  s)  eoroe  mi  parver  dette. 

aor'  CU' io  vidi  le  duo  luci  benedette,  I-M 

Con  le  parole  muover  le  fiammette. 

25**  Ancor  ver  la  virtii  cbe  mi  scguette  8') 

Vuol  eh'  io  respiri  a  te,  die  ti  dilette 
Quello  cbe  la  speranza  ti  promette. 

29"  CM  né  prima  né  pearìa  precedette  20 

Forma  e  materia  congiunte  e  pursilu 
Cune  d' arco  tricorde  in  saette; 


etti 


17 


iMf.  Comincii>'poi  •  dir,  son  tre  eerchietti 

II"  Tolti  son  pien  di  spiiti  maledetti: 
intendi  come  e  percliè  son  costretti. 

14*  Ma,  com'  io  di.si  lui,  li  suoi  diipeUl  TI 

Or  mi  %ien  dietro,  e  guarda  die  non  aelU 
Ma  tempre  al  boncu  li  ritieni  stretti. 

23*  Si  li  notai,  quando  furon  eletti,  88 

O  Rnbìcante,  fa  die  tu  11  nictU 
Gridsvan  tutti  iAMeme  i  maledetti. 

27"  Domandommi  consiglio,  ed  io  taceiti,        96 
E  |wi  mi  disse:  Tuo  oor  non  sospetti: 
.Sì  come  rcm^trino  in  terra  getti. 

32"  Valsimi  a'  piedi,  e  vidi  due  *ì  slrelU,         41 
Ditemi  %oi,  cbe  si  strìngete  i  petti, 
E  poi  eh'  ebber  li  vi«i  a  me  eretti, 
Poa.  Deir  alla  ripa,  e  stetter  fermi  e  stretti,     71 

T    0  ben  finiti,  o  già  spiriti  eletti, 

Cli'  io  credo  die  per  voi  tutti  s' aspetti, 

ti'    Per  cupidigia  di  costa  distretti,  IDI 

Vieni  a  veder  Monteceki  e  CappeDclli, 
(>j|or  già  tristi,  e  costor  eoo  sospetti. 

2i*  Perdiè  VirgUie  e  S^e-ie  ed  io  rìstrctU,      419 
Hicordi%i,  dicea,  de-  maledetti 
Teseo  combatter  co*  duppj  petti; 
l'AH  Però  n'  è  data,  pcrdM  fur  negletti  M 

3°    Ond'  io  a  lei  :  Ne  mirabili  aspetti 
Cbe  vi  tra«muta  da'  primi  eoneettU 

tf*    Produccrcbbe  si  li  suoi  effetti,  407 

K  ci6  esser  non  può,  se  gi'  iuiaOeUi 
¥.  manco  il  primo  die  non  gli  b«  perfetti. 

W*  K  la  ratlice  tua  da  <]ue|li  ••petti  ai 

E  voi,  mortali,  tenetevi  stretti 
Noa  cono«damo  ancor  tutti  gli  eMIi: 

:i  *  Di  paradiso,  e  1'  una  in  quegli  aspetti       44 
Cerne  sabito  lampo  cbe  Ai^^fHì 
VtU'Mlh  l' oceliio  di  più  torli  obietti  ; 


IC 


I!»* 


42» 


\ 


Inr.  Cortese  I  te,  pensando  I*  atte  alMIo,         4T 

T    Mon  para  iadegno  ad  oone  à'  lateUelte  : 
NdF  empireo  del  per  padre  elette  : 

8*    Qui  si  convien  lasciare  ogal  sospeUe:       14 
Noi  sem  venuti  al  loco  ov'  io  t' be  detto 
C  hanno  perduto  U  bea  delP  inUUetle. 

5*    Del  nostro  eoaor  tu  hai  cotanto  adattai,    421 
Noi  leggevamo  un  giorno  per  diletto 
S.ili  eravamo  e  seni*  eicnn  sospetto. 

9*    Quella,  die  piange  dal  destro,  è  AUtlo:    47 
G>ir  unghie  si  fendea  ciaacana  il  petto  ; 
Ch'  i'  mi  strinsi  al  Poeta  per  soepotto. 

4  (li*  Desteto  m' era,  non  mntò  aspettO|  74 

E  se,  eontinuando  al  prisao  detto. 
Ciò  mi  turmeata  pie  dio  qaeelo  Mlow 

42*  E '1  mio  buon  Duca,  che  già  gli  era  al  pollo,  88 
Rispose  :  Ben  è  vivo,  e  al  aoletto 
Neoeaaitk  'I  e*  induee,  e  non  diletto. 

44*  E  puro  argento  oon  le  braccia  e  ^  p«ll0|  407 
Da  indi  in  giuae  è  tutto  ferro  eletto, 
E  sta  io  su  quel,  pie  ubo  hi  sa  T  altro,  «tlto. 

45*  Ficcai  gli  occhi  per  b  eotto  aspetto  28 

La  conoscensa  saa  al  mio  iatdletto; 
Bispoei:  Siete  voi  qai,  ser  Braoetlot 
Clie  si  divalli  gib  nel  basso  letto,  96 

Riiubouiba  U  sovra  San  Benedetto 
Ove  dovrla  per  mille  esser  ricetto; 
E  poi  clw  tutto  sa  mi  s*  ebbe  al  petto, 
Ne  d  ateneo  d'  avermi  a  eè  ristretto. 
Glie  dal  quarto  al  qnint'  argine  è  tragitto. 

23f  Ma  quei  pie,  che  cagion  Ai  del  difiUo;    428 
Ma  poco  valse:  die  l' alo  al  aeeprtlo 
E  qnd  dritto,  volando,  anse  il  petto: 

23^  Portandosene  me  sovra  'I  sao  petto. 
Appena  furo  i  pie  suoi  giaati  al  lotto 
Sovresso  noi:  me  non  gli  ora  seeaoUo; 

28^  Di  multa  lode,  ed  io  pwò  V  aceetto; 
Lasda  parlare  a  me,  eh'  V  ho  ceocatto 
Perdi'  e'  fur  Grcd,  forse  dd  tao  detto. 

28^  Goerdommi,  e  con  le  man  s*  aporao  il  petto,  29 
Vedi  come  storpiato  è  Maometto. 
Fesso  ad  vdto  dal  meato  al  eiaflaUo: 
Clio  s*  accoglieva  ad  sereao  ntpotlo  44 

Agli  ooebi  and  rieomiadb  diletto, 
Cbe  m*  avea  coatristaU  gU  occhi  e  n  petto. 

2*    Per  abbracdarmi  eoa  d  grande  alMM,    7T 
O  ombre  vane,  fuor  dio  nell'  aspsAlo  ! 
E  tante  mi  tomai  eoa  eeae  al  petto. 

8^    Bioado  era  e  bello,  e  di  gentile  aapetto  ;  497 

riand'  i'  mi  fui  nmilmate  disdetto 
mostroasmi  noe  piaga  a  somme  Q  petto. 

6"    Noo  M  ammcadava,  per  pregar,  dUetto,    44 
Veramente  a  cosi  alto  sospetto 
Che  lume  fie  tra  -1  vero  e  l' intelletto. 

7*    Par  con  colui  e*  Ita  si  benigno  appetto, 
Guardate  Ih,  come  d  batte  il  petto. 
Italia  saa  palma,  sospirando,  letto. 

40^  V(>i  dete  quasi  eniomata  in  difetto. 
Come.  |*er  sostentar  solaio  o  tetto. 
Si  vede  giunger  le  ginocchia  al  petto, 
>un  li  lia  grave,  ma  fieli  diletto,  13 

Poi  gianti  fammo  all'  aagel  benedetto, 
Ad  un  scaleo  vie  aica  che  gli  altri  entte. 
Mal*  altro  paoU  errar  por  malo  aUtelto,  95 
Mentre  cb'  egli  è  no*  pnmi  ben  diretto. 
Esser  aoa  paO  eacien  ix  vm\  4£d«K»»\ 
ttk  %\  A\mM\T%  tA%  Ocwa  \«  ^«NNjk 
Petii^U  ouAa  i«<|jku\tt\v(VA\*>Ntt 


80 


74 


Pvn 
4* 


4IM 


49 


45" 


47* 


48* 


'V^ 


MT1NA  COMHRnU. 


RIMARIO  DELLA  DIYIlfA  COMMEDIA. 


S9 


Pik  eonfcanMlo,  o  qnd  eh'el  più  apprcna. 


1C°  Voi  mi  4»tc  •  parlar  tolta  haldem, 
Per  tanti  rivi  a'  empi»  d'  allrgnnxa 
Perette  può  sostener  che  oon  ti  >pena. 

2(*  mente  daniandu,  della  foa  riechena 
Di  quella  cir  io  nutal  di  più  bellena 
Che  natio  ti  lasciò  di  più  clilarena; 

25**  Inclita  vita,  per  cai  la  largìietza 

Fa  rì>mnar  la  Speme  in  qiie>la  altana; 
Quante  Ge^ù  a'  tr«  fé  più  cliiarana. 

27*  Dell'  anivi*rH>,  pcrcliè  mia  elibrcna 
0  gioia  '  o  inéuabile  allegreiia  I 
O  M-nu  brama  ticara  ricrliena  ! 

29^  Segue  V  atTelto,  d'  amor  la  doleana 
Vedi  r  eccelM  oaai  e  la  larghessa 
Specoli  fatti  a*  ha,  in  cita  »i  «pena, 

90^  Si  grande  lama,  qaant'  è  la  largbeàta 
La  Tinta  mia  nell'ampio  a  nell'  altana 
Il  quanto  a  il  qoale  di  quella  allegrata. 

32'  Più  a'  assomiglia,  etw  la  »aa  cliiarcna 
lo  vidi  aovra  lei  tanta  allrgreaa 
Creata  a  trasvolar  per  quella  allena. 


I  :«  r.  Grand'  arco,  tra  la  ripa  secca  a  1 
7"  Venimmo  appio  d'  ona  torre  al  A 
<(r  Latriamolo  II  mom,  a  gimmo  la  ver  lo 

Glie  'nfln  laseè  faoea  tpiacer  mu» 
17*  Munta  dinanzi,  di*  lo  voglio 

Quale  colai,  eli'  è  A  pre»so  al  ripmaa 

E  Irìema  tutti»  pur  guardando  il  raraoi, 
32*  Patti  iMrr  fri-dJu:  onde  mi  viro  rìbrcao, 

E  mentre  eh'  andavamo  in  ver  lo 

Ed  io  tremav  a  nrll'  eterno 


Pilli 
23- 


l>r.  Del  diavul  vizj  assai,  tra'  qoali  odi' 
::S*  Appresto,  il  Doca  a  gran  pasai  san  g>, 

Oiid'  io  dagl'  iacarcati  mi  parti' 
28*  Dinaiui  a  me  sen  va  piauirendo  AD 
E  tatti  gli  altri,  die  to  vrdi  qui. 
Pur  \ivi  ;  e  perù  «oo  fc»»i  e>»M. 
Ov  menò  Cripto  lieto  a  dire  Eli 
F.<1  ili  a  loi  :  Forese,  da  <|oel  di' 
Cin<|o'  anni  nun  M>n  volti  in^no  •  qni. 
PàK.  SptnHi  In  le  di  sopra  noi  V  od), 
25"  Poscia  tra  esM  on  lame  si  schiari. 
Il  verno  avrebbe  oo  mese  d'  on  aàl  dP. 


I^r.   Moo  latria  altrui  passar  par  la  aon  via, 

<  '    Ed  lia  natura  si  malvagia  e  ria, 

E  dopo  il  pa4o  ha  più  fame  dio  pria. 

4"    Ma  pa^«a\am  la  selva  tottavia, 
Moo  «ra  longa  ancor  la  oitstra  via 
Oh'  riiiivprrin  di  tenebre  vinda. 

4 1*^  FaNitj,  ladronereio  a  simonia, 

i'er  1  altro  modo  aneli'  amor  é*  abblia 
Di  die  la  fede  sp>  rial  si  cria: 

43"  R<*a  d'>vrrl>b'  r>str  la  Ina  man  p4à  pU, 
Gniie  d'  on  «tiuo  verde,  eh'  arso  rin 
E  ri  cole  per  vento  dia  va  via: 

tv  Della  sua  «cnrìada,  e  dUso:  Via, 
lo  mi  raggiunsi  con  la  acorta  mù: 
D<i>e  uno  »«<>glio  della  ripa  nscta. 

19*  r.ir  |Mine»sa  le  diiavi  in  ana  balla T 
>e  Pier  ni  gli  altri  ehiesero  a  Mattia 
>fl  looKo  ciie  perde  1'  aniou  ria. 

2(f  E  iiiJirln»  vmir  gli  convenia, 
Fop<e  prr  f-ir/a  fij  ài  péri t$U 
Ms  icaoi  fidi,  aè  credo  eba  tià. 


17 


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5 


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80 


121 


»3 


71 


1.3 


32 


71 


22?  Quivi  mi  adat  a  fiat  baiatiaria,  59 

E  Ciri  atto,  a  eoi  di  bocca  nada 
Gli  fé  sentir  coma  F  una  sdroda. 
23?  Taciti,  soli,  san/a  compagnia,  I 

Conte  i  frati  minor  vanno  per  via. 
23?  Coa>igliò  i  Farisei,  die  oonvania  116 

AttraverMtu  e  nodo  è  per  la  via. 
Qualunque  paMa  roni'  ei  pesa  pria  : 
24*  Meglio  di  lena  di'  i'  non  mi  scntia;  S9 

So  per  lo  scoglio  prendemmo  la  via* 
Ed  erto  più  a<'MÌ  che  quel  di  pria. 
28"  Cita  n'  avean  fatte  i  borni  a  seendar  pria,  14 
E  proaegoendo  la  ^oliaga  via 
Lo  pie  sema  la  man  non  ai  apedia. 
27*  Per  non  dir  più,  a  già  da  noi  sen  già  2 

Quamlo  on'  altra,  die  dietro  a  \A  Tania, 
iVr  un  confuso  soon  che  fuor  n'  inda. 
32?  To  bai  da  lato  qod  di  Brccheria.  119 

Gianoi  del  S«ildanler  credo  die  aia 
Ch*  apri  Faenia  quando  ai  durmia. 
PcR.  Per  lui  campare,  a  non  e*  era  altra  via      08 
1*    MiMtrata  Im  lai  tatù  la  gente  ria; 

Che  porgan  sé  sotto  la  tua  balia. 
3?    Puasa  IraMorrer  la  infinita  via,  9i 

State  contenti,  umana  gente,  al  quimj 
Meslier  non  era  partorir  Maria  ; 
\Z\    \^    E  riposato  della  longa  via,  131 

I  Ricorditi  di  me,  die  son  la  Pia  : 

Salsi  colui  che  innaoellata  pria, 
8?    Ma  nelle  facca  F  uceliio  si  smarria,  SS 

Ambo  vegnon  del  grembo  di  Maria, 
Per  lo  serpente  che  verrà  via  via. 
9?    Quando  V  anima  tua  dentro  donala  SI 

Venne  una  donna,  e  dis^a  :  1'  aoo  Lada  : 
Sì  V  agevolerò  per  la  sua  via. 
12*  Buon  ti  sarà,  per  alleggiar  la  via,  14 

Coma,  perchè  di  lor  asomoria  aia, 
Portan  acgaato  quel  di'  clll  eraa  pria; 
19?  Altri  rimondo  qni  la  vita  ria.  Itti 

Savia  non  fui,  av%egna  die  Sepia 
Più  lieta  assai,  die  di  ventura  mia. 
14*  Cli«  ne  nvogliava  amore  e  oofto«ia,  HO 

O  Brettinoro,  die  non  faggi  via, 
E  molta  gente  |icr  non  sseer  ria? 
IO?  Uberi  MiggÌAcete,  a  qndla  cria  M 

Però,  M  il  mondo  prùcnte  disvia, 
Ed  io  te  ne  saio  or  «era  «pia. 
i7*  Dentro  da  >^,  die  di  fuor  non  venia  21 

Poi  piovve  dentro  alF  aita  fantasia 
Nella  sua  vista,  e  coiai  si  moria. 
20?  Ed  io  attento  ali'  ombre  eh'  i'  sanUa  17 

E  par  ventura  adi':  Doira  Maria: 
C«>nM  fa  donna  dia  in  partorir  aia; 
21*  Clia  Cristo  apparve  a'  doo  cb'  arano  ia  via,  S 
I         Ci  apparve  uà'  ombra,  a  dietro  a  noi  venia 
I  Né  tk  addeamo  di  M,  d  partt  pria, 

M      22*  AnUgooe,  DciOU  «d  ArgU,  HO 

I  Vedeai  quella  cbe  mostrò  Langia-, 

'  E  con  le  suora  sue  Deidamia. 

38      28?  Sobitaoiente  cosa  cha  disvia  3K 

Dna  Donna  aoletta,  dia  si  già 
Ood'  era  piata  tutta  la  saa  via. 
tr  Cosi  di  Moiaò  «orna  d'  Elia,  tt.) 

I         Tal  toma'  io,  a  vidi  quella  Pia 
I  Fu  da'  mici  paaai  luago  il  turno  pria  ; 

02      81?  Or  tra  or  quattro,  doìóa  aalaaodia  2 

E  laatrica  aoapirosa  a  pia 
Pik  aUa  Cnioa  vi  «amfidy^ìftwAi^ 
14  •  fk\.  fontano  '\fu&ciaion\«\  %  v*^  V^^ 
*•    Da' SetalLa  wAoÀ  «ìtxa  v^^  vt  V«»*^*^ 
l  Qaal  ^laaAiet  "luAf^i^VAtÀnis 


96 


05 


I 
65  > 


^b 


'VkMev*-. 


RIMARIO  DELLA  MVINA  COWIKUA. 


61 


Pai.  Di  tallo  ■•«  p«r  p«  B  e  per  ICE, 

7*    Poco  tofrcrM  iM  eoUl  Beatilo», 
Tel,  che  nel  fuoco  ferie  l' oom  nlioe  : 

f  af  Troveio  in  terre  delle  «ne  natrice, 
O  padre  mo  veremeote  Feliee  i 
8e  interpretete  vel  come  «i  diee  I 

f  4*  Del  MIO  fMlere  e  A  quri  di  Beetitei^ 
A  ooetoi  U  nestieri,  e  noi  vi  diee 
D*  nn  ellro  fero  endere  elle  redioe. 

4y*  Pure  aspatUndo,  k»  (tei  la  taa  rete: 
PoKieinldlaae:  QneL  de  col  li  dice 
Gireto  te  n  BMale  in  le  prime  ooniee^ 

VP  VidP  io  «MlM  Mi  ftmt  ek  felloe, 
E  Ire  Irte  tnleiai  «  Beetrice 
Che  le  ato  IMMìI  Bel  nd  ridice  ; 

SS*  Qoeade  vi  inld  pv  veder  Beetriee, 
freaen dllai, e  aàl  mondo  felice I 

3(f  rcfebi  temer  e«  (li  occhi  e  Beetriee 
Se  qwile  intao  n  mI  di  lei  il  dice 
PocoetfebbeftfmdrfoeeU  Ticeu 


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Int.  Le  meni  elio  con  mkedno  le  leh^ 
99*  Da  indi  in  qae 

Come  diooMe:  1' 
Hf  Ceaceron  tatti. 

Si  hìitorar  di  aemè  di  fofnddwi' 
Lengair  |^  spirti  per  diverte  Uebe. 
Pam.  Di  lei,  ed  emmi  e  eredo  che  ta  dietw 
aS"  Ed  io:  Le  nuove  e  le  acrittaie  eatiebe 
I>eU>  enime  che  Dio  •'  he  fette 


on  iweiiuo  le  nan^ 
l'nonea>^J^B; 


Ti  li  fer^,  per  tao  Wa  Ctf. 

fi  dbconvien  flrvttere  B  dewe  loe. 

18^  Yenedico  te*  ta  Caedanimico  : 

Ed  egli  a  m«:  Mal  Tolcntier  lo  Ac»; 
Che  mi  fé  eoTTenir  del  monde  aatieo. 
Poi.  Le  eoncabina  di  Tltone  entioo, 

9*    Fuor  ddli  breoda  del  ano  dolce  eoice: 

2ir  Che  m*  eaeondera  qnento  bene  io  dico, 
Dimmi  imi*  è  Terenzio,  nostro  entioo. 
Dimmi  ee  aon  denneti,  ed  in  qnel  vieo. 
Pai.  Gli  concedette,  in  mano  a  qnel  eh*  io  dico, 

<P    Or  <iai  t^ emoiire  in  eld  eh*  io  ti  replieo: 
Della  Tendette  del  peceeto  entioo. 

Il*  Ho  io  appreao  «pel  che,  a*  io  ridico, 
E  e*  io  el  vero  aon  Uiaido  aarieo, 
Che  «pMcto  tempo  diiemerenno  enileo. 

S8*  Solo  predotto  ibali,  o  Pedre  eniice, 
Detoio,  mento  poaae,  e  te  enppUco 
B,  per  «Arti  laeto,  non  U  dico. 


io 


116 


leu 

Pab.  Filippi,  Ocail,  Ormenni  e  AlberieU, 
10"  E  Tidi  oeA  cnndl  come  entichi. 
E  Soldenierio  Ardinfhi  e  BoelliMi 

lei 

Che  parton  pojtek  lor  le  poocatrid, 
IJffnbo  le  pendici 


mr 

44^  Lo  fondo  mio 

Percir  io  m'  ecoorti  che 


'1  pasco 
IkWedJ 


UcL 


80 


62 


PCS.  Menane,  disse,  dunque  \k  ^ve  dici 
7*    Poco  allungati  e*  eravem  di  lid, 

A  goi^e  che  i  vellonl  sceman  ooicL 
Pai.  Ma  or  m' einte  de  che  tu  mi  did,  6B 

3"    Me  dimmi  :  Voi,  dae  siete  qui  IsUd. 

Per  più  vedere,  o  per  più  ferri  amldt 
8*    DiTerseownte  per  diversi  ufOd?  119 

Si  venne  dedooeodo  insino  e  quid; 

CoQvien  de'  vostri  effetti  le  radid: 
lar  De  Bagnorcgio.  che  ne*  grandi  idkl  IS 

lilominato  à  Agostin  soa  ipid, 

Glie  nel  cepestro  e  Dio  si  fwo  eìaicL 
IT*  Saranno  ancore  si,  che  i  ead  niond  86 

A  lui  t'  aspetU  rd  a'  suoi  beaeSd; 

Cembiando  ennduion  ricebi  e  wendid  ; 
Zt  Andrd  parlando,  e  note  i  gran  patrid      116 

Quei  duo  che  seggon  lassa  pia  felici, 

Son  d' està  ruea  qoad  due  radicL 

telo 

Pai.  Solco  creder  lo  esondo  in  eoe  perldo,  I 

8*    Eeggiasee,  volta  nel  leno  epiciclo; 

Ico 

lur.  Parlando  plk  aseei  ch^  i'  non  ridico:        111 
6"    Quivi  trovemmo  Plulo  il  gran  n— loo 
IO    Qua  entro  è  lo  secondo  Federico,  110 

indt  s'  escose:  ed  io  in  vrr  1* entioo 
A  quel  perlar  die  mi  psree  nimico. 
15*  CbediKTMdJ  fiesoleeb  antico,  03 


P«>. 


Ite 

Ih? .  Che  ta  ad  aegni,  od  to  atrA  taa  nUa, 

I*    Or' adirai  le  dispomlo  strida. 

Che  la  aeeonda  Biorto  daaeaa  gridn: 

11*  PbA  F  aoaio  asaro  la  colai  che  d  Oda, 
Qaosto  aaodo  di  retro  par  che  ucddn 
Onde  ad  cerchio  secondo  a'  annida 

42*  E  disse  a  Nccm»:  Tene,  e  d  U  giddn, 
Noi  d  movemmo  celle  eeorta  Oda 
Ove  i  belliU  fecean  alle  strida. 

14*  D>  acqae  e  di  Croade,  dm  d  ddam  Uà; 
Bea  la  scelse  già  per  cane  6da 
Quando  plangea,  vi  fecce  far  lo  grida. 
Che,  dietro  e'  piedi  di  d  fetU  gdda. 
Ed  aao  incocnneiò  :  Ciascan  d  Oda 
Par  che  1  voler  neapossa  bob  ridda. 

10^  Onde  la  Scorta  mia  sapnta  e  Oda 
Si  come  dece  va  dietro  a  saa  guida 
In  cosa  che  '1  molesti,  o  forse  aaeida; 

20*  Cui  traditore  e  ledro  e  petridda 
E  la  miaeria  dell'  avarD  Mida. 
Per  la  quel  sempre  conviea  om  d  rida. 

Pab.  Dritti  nel  lame  della  dolce  gaida, 

8"    Non  ti  maravigliar  perch'  io  sorrida, 
Pd  eopra  il  vero  ancor  lo  pie  non  Sda, 

1^    Eilpastor  della  Chiesa  che  vi  gaida: 
Se  mela  capidigia  altro  vi  grida, 
Si  che  il  Giudeo  tra  voi  di  voi  bob  rida. 

Il*  La  sposa  di  colui,  eh'  ad  alte  grida 
la  aè  dcara  e  enche  a  lai  pia  Sda, 
Che  qniad  e  quindi  lo  fiseser  per 

19*  Viver  di  dtledini,  a  cod  6da 

Maria  mi  die,  cUaaaU  in  alto  grida, 
iBsieoM  fid  cristiaao  e  Cacdag^da. 

22^  Oppreeso  di  elapore  alla  mia  gtfda 
Sempre  eotk  dove  piO  d  conflda. 

28*  A  predicare,  e  por  cIm  ben  d  ride. 
Ma  tale  aced  nel  becebdto  s< 
La  perdenania  di  che  d  conOda; 

Iddi 

Iirr.  Naofc  treTaglie  e  peno,  qaanto  lo  tUdlf 
r    Coam  fa  P  cada  U  w>Tra  CariddL 
Cod  ccBTiaa  che  qai  la  goato  rlddL 

Ide 

biF.  Biepeoo,  poi  che  lacrinur  ad  vidck 
I*    Che  qaeeta  beaUa,  per  U  q^eLta. 

Ma  UnVo  \o  >w^Vw^  Om'^ 
S*    GtVAò  mvnoa  %  vae^  <^K«Aft  «^^^J^^ 
Guarda  wm'  «ftVn^  «  *iv  «k\Va>\^*»* 

ti 


118 
88 


8 
104 


IT 


181 

1 
116 


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I 


niMARIO  DELLA  DIVINA  COMMEDIA. 


63 


Iglò 

É    Pub.  Tolto  m' ofltni  pronto  al  rao  Mirif  io,    104 
aS*  Fd  egli  •  ami  Ta  liiei  tal  Te»tigio, 
ClM  Leto  Boi  p««  Mrre  né  far  bigio. 
Pah.  Non  è,  m  bob  4i  qBolla  alcoa  vottigio       II 
S^    To  Tool  Mper  m  oob  altro  Mrrigio, 
Cb«  1>  aaiiBB  éuuì  ài  Utigie. 


Iiir. 

atp 


Pini. 


Inr 


leu 

B  Tobor  cantra  lat  tnttl  I  rondgU:  TI 

Innami  che  V  obcìb  Toatw  aii  pifUt 

E  poi  di  roneigliaml  ai  «oBsiglL 

Clio  veggendo  la  awgUa  oo'  doo  IgU  5 

Gridò  :  Teadiam  le  ràU.  A  ali'  io  pAgU 

E  poi  difltcao  i  dispialati  artigli, 

Mi  disto,  di  parlar:  hm  parla,  o  Agli      419 

ar  Ood'  io:  PtfM  dw  in  ti  maravigU, 
Ma  pia  a*  immiranoB  to^  ebo  ti  p(gU. 

29*  Erano  abitnati:  sa  di  gigU  446 

Ami  di  roM  e  d'  altri  fior  TennlgU: 
Che  tolti  ardesacr  di  aopra  da'  dgll: 
Pai.  Co'  Goelfi  anol,  ma  tema  degli  aitigli       107 

e*    Molte  naU  già  piaBter  U  flgU 

Che  Dio  traomnti  I*  armi  per  anoi  gigU. 

49^  Poi  che  ba  pasdnto  la  deogna  i  if^        91 
Cutal  fi  feoe,  e  A  levai  li  dgli, 
MoTca  «oapinta  da  tanti  emuigU. 

23"  Carne  ti  fece;  qniTl  aen  li  gigli,  74 

Coti  Beatriea.  Ed  io,  cb'  a'  anoi  conaigU 
AUa  battagUa  da'  deboU  dgU. 

IgUa 

Che  balenò  ona  Inea  vemlglU,  4S4 

E  caddi,  eome  l' noa  cni  tonno  plfUn. 
Lacmia,  Jnlia,  Mania  a  Comigtta,         128 
Poi  che  inaaltai  nn  poco  piò  la  dglia. 
Seder  tra  Bloeo6ea  famiglia. 

45*  E  «i  Ter  noi  agmiavan  h  dglia,  SO 

Coti  adocchiate  da  ootal  famiglia. 
Per  lo  lembo,  e  gridò:  Qod  maraviglia t 
Ciò  eh'  io  dirò,  non  tara  maraviglia,         4T 
Com'  i'  tcnca  levate  in  lur  le  ciglia, 
Dinanii  all'  odo,  e  tnttu  a  loi  t'  appigtta. 
E  tronco  '1  naito  infin  tolto  le  dgUa,         95 
Ee^tato  a  rìRoardar  per  maraviglia 
Ch'  era  di  four  d' ogni  parte  vermiglia; 
Con  tatto  di'  ella  vulce  aodici  atif  Uà,       99 
lo  tea  p<rr  lur  tra  ti  fatta  famiglia: 
Cb'  avevan  tre  earati  di  mondiglia. 
E  eontra  '1  tao  fattura  aliò  lo  dgha.        SS 
0  quanto  parve  a  me  gran  meraviglia, 
L' ana  dinanti,  e  quella  era  vermigliai 
E  «idile  guardar  per  maraviglia  8 

Pvreliè  r  animo  tao  tanto  t' impiglia. 
Che  ti  fa  ciò  che  quivi  ti  pitpiglia? 
Subita  vede,  ond'  d  d  maraviglia^  41 

Tal  parve  «quegli,  e  pei  chinò  le  mglla. 
Ed  abbracciullo  ove  '1  min«>r  t'  appiglia. 
Spazio  all'  etemo,  ebe  un  muover  di  dflia  497 
Colui,  die  dd  eammio  ti  poco  piglia 
Ed  ora  appena  in  Siena  tra  pitnif  Uà, 
Poiehò  gita  te  a'  ò  la  tua  famiglia,  44S 

Ben  fa  BagnacavaL,  die  non  rilglia, 
Cbe  di  figliar  tal  conti  più  a'  impiglia. 

18"  Innata  v'  è  la  virtù  cIm  onnsiglia.  82 

Quctt'  ò  il  prìndpio,  la  onde  d  pq^ 
Che  buoni  e  rri  amori  accoglie  e  vigtta. 

28?  Per  tè  o  per  tuo  ciei,  cuneeite  a  fl^ia      419 
Non  parrebbe  di  Ib  poi  meraviglia, 
S^oi»  §eme  pa/ete  fi  »'  api>igU».  l 


»*• 


POB 
5* 


41 


44* 


Pai.  a  tanta  altaatt.  Boa  è  BMaavigiia,  41 

40*  Tal  era  ouivi  la  qMita  faad^a 
Mottrando  coma  apira  e  oobm  figlia. 

Il*  Con  la  tua  donna,  e  con  quella  uadglia    89 
Né  gli  gravò  viltà  di  cuor  le  dglia. 
Nò  per  parer  ditpctto  aBuravigUa. 

45*  Favoleggiava  con  la  tua  famiglia  125 

Saria  laaota  allor  tal  maraviglia. 
Quel  or  tarla  Ciadnnato  e  Cemlglia.   ^ 

48^  Per  giudicar  da  bugi  miUa  migUa  90 

Certo  a  odui  ebe  meco  a*  aaaottiglia, 
Da  dubitar  aarebbe  a  maraviglia. 

27*  Nd  primo  atpdto,  ddla  beUa  figUa         4» 
Tu,  perchè  bob  ti  facd  maravigUa, 
Onde  ti  tvia  l' umana  famiglia. 

28*  Suffidenti,  non  è  maraviglia:  58 

Coti  la  l>(Mina  mia;  poi  ditoe:  Figlia 
Ed  intomo  da  eaao  t'  aaaottiglia. 

tr  Tanto  cootanla  di  mirar  tua  figlia.         434 
E  contro  al  maggior  Padre  di  faadgUa 
Qaando  abiaavi  a  miBar  la  dglia. 

IgUo 

Inr.  Laago  la  proda  dd  boUor  TenBlfUa,       404 
42*  Io  vidi  geaU  aotte  ÌbIbo  al  dgUo; 

Cbe  dier  ad  aangua  e  noli'  aver  di  plflla. 
2Sr  Dlsee;  e  preacgU  1  bracdo  ad  rundglio,  f4 

Draghigaaxio  ancbe  i  voile  dar  di  piglio 

Si  volte  intorno  intomo  con  mal  piglio. 
24*  Lo  Duca  a  me  ti  volto  con  qud  |MglÌo       29 

Le  bracda  aparae,  dopo  dcaa  anuirigHa 

Bea  la  raiaa,  e  diedeni  di  piglio. 
Pvb.  O  è  mutato  la  Cid  bbovo  coadglio,  47 

4*    Lo  Daca  mio  allor  mi  die  di  piglio. 

Reverenti  mi  fé  le  gambe  e  il  ciglio. 
8^    Ecco  di  qua  chi  ne  dark  condfUo.  93 

Guardommi  allora,  e  con  Ubero  pifUa 

E  tu  ferma  la  apeoa,  dolce  flgUo. 
1*    Fu  meglio  aaaai  cbe  Vinddao  ano  9glto  404 

E  quel  Nasdto,  che  tiretto  a  condgUo 

Mort  faggeado  e  ditflorando  il  giglio: 
23*  Non  mi  far  dir  mentr*  io  mi  maraviglia,    99 

Ed  egU  a  me  :  DeU'  etemo  condgllo 

Rimata  addietro,  end'  io  ti  mi  totUglio. 
27*  Turbato  un  poco,  ditta  :  Or  vedi,  figlio,     38 

Com'  al  nume  di  Titbe  aperto  il  dglia 

Allor  che  il  gelto  diventò  vermiglio; 
Pab.  Qodla  per  madre  tua,  quatto  per  figlia,     9 
8*    E  da  cottd,  ond'  io  prindpio  piglio, 

Cbe  '1  Sol  vagheggia  or  da  coppa  or  da  dglio. 
10*  E  giutto  U  popui  tuo  taato,  dm  U  gigUa  452 

Né  per  dividoa  fatto  vemiiglia. 
90^  In  quanto  afletto  f u  dd  ano  coadgUa,       41 

De*  dnqnc,  dm  mi  fan  earcfaio  par  d^ia, 

La  vedovella  contdò  dd  figlio. 
83^  Vergine  madre,  figlia  dd  tao  Figlio,  I 

Termine  Ateo  d' etemo  eondgUo, 


Inr.  Di  Logodoro;  e  a  dir  di  Sardigaa  99 

22?  Omè!  vedete  1'  diro  die  digrigna: 

NuB  t' apparecchi  a  grattarmi  la  tigaa. 

Pvi.  Pier  Tra  vertere,  e  Gaido  di  Caniigaaf     99 

14*  Quando  in  Bdogna  un  Fabbro  al  ralUgaa? 

Verga  gentil  di  piedda  gramigna T 
S2r  A  tè  traendo  la  coda  mdigaa,  431 

Qud  d»e  rimaaa,  come  di  graaaigBa  . 
Forte  eoa  tatcBdoo  ea«ta«  bMA.^;»!^ 
Par.  Td  cb•1inMa%tkctlùlvVk'|^3|.^^  "*■» 

Ma  par  «(ft\B\  «V«  v««^*  *  «i"**  %w».^*n 


I 


milJlHlO  DELL*  CrviN*  COMMEBU. 


L'^;.'^  !si.nr-^sr 

P.»,<|HlM>-|M.»r.li>l~. 

VUnl.  •  «mi  ■■  ■>  u  «Hw. 
■IL  E  W  itÌii  ^  tJmut  ut  ■!>«■,       T 

à'-Ei!S££Sf"~  .,= 

RIMARIO  DELLA  DIVINA  COMMEDIA. 


«?> 


t  ■      'I  '  rimi  .i-  ■  n  .vlr;   \  i- 1  !.•  [     <.|il!.! 

N'  u  \     Il  Ih- Il  Icrli    i.lr  ii.i.tii   iUi'illi-; 
7^        i;,    .JlJ.i>l   \i1lVÌ«»11IU'  fj\illc, 

io  tlubilsTt,  e  diccft:  dille  dille, 
Cb«  mi  diiMU  con  1«  dolci  ttille; 
«V*  Sorgono  ianacrabill  faville, 
Risargar  panr*  qmiaii  pia  di  ailte 
SI  eooM  U  Sai.  «ha  r  Mcwds,  ■ortill*; 

lui 

Quanto  pareri  ardanta  ia  qgtP  faTilli, 
Poada  che  i  cari  a  loddi  lapilli, 
Foacr  silnuio  agli  aagdid  aqoiUi, 

Ilio 

Da  Cristo  preM  l' olUno  riciUo, 
Qoando  a  colai  di^  a  tanto  ben  aoitOla, 
Ch'  egli  acquiate  nel  ano  farai  poaillo; 
DiTeoÌHer  fegnaeoio  in  vaaciilo, 
Né  cU'  io  foaai  figora  di  aigillo 
Ond*  IO  aerante  arroaao  a  diafaviUo. 

Ilo 


101 


<4 


A». 


107 


SO 


Ime 

PcR.  Tanto  die  gli  au;;i'llL'l(i  ppr  le  cime 
28°  Ma  con  piena  l«tiiia  l' óre  priac. 
Che  tanaraa  bordone  alle  tm  lUàe, 


l'i 


Pai.  RelU  mia  aenta,  diaaa:  I  cmvIiI  pfW 
28"  Goal  Tclod  aegnew»  I  enei  ?tad 
E  poaaon  qnanto  a  veder  aan  aabDail 

Imlo 

IHT.  Che  falaal  li  BMtaUi  eoa  alchimia: 
V  Coa'  i'foi  di  natora  b«ian  aaimia. 


137 


Par. 

a*» 


Non  Tede  pie  daU'  ano  alP  altra  alilo: 
Coma  gli  angel  che  venun  liMfo  11  MOe 
Poi  Tolan  pin  in  fretta  a  vanae  !•  Be; 


^ 

s 


Comincia'  io,  daU*  alte  prlaMln, 
E  fegnitai:  Come  il  Teraoa  atilo 
Che  miao  Roma  teco  nei  bnon  Hai 


^  In.  lo  dico  acgaitando,  eh* 
^  IP    Gli  occhi  noatri  n'  andar  aaao'aUn 
^  M*  Parole  e  aaagne:  end*  io  laadai  la 
^         S?  egli  aTeaae  polnto  creder  prima, 
^         Ciò  e'  ha  vcdato  par  orfla  mia  riaat, 
^0  1^  Eletto  aeeo  rignardando  prima 
^  E  come  qoai  che  adopera  ed  iatian, 

Goak,  levando  me  aa  ver  la  eiaa 


I 
44 


iplcndore  aaaaipià 
ISP  Ond'  io  levai  le  mani  in  ver  la 
Che  del  aoverefaie  viabile  lima. 
40*  Rivolga  il  cielo  a  aè,  aaprai:  aa 
latra  Sic>tri  e  Chiaverl  a*  adiaa 
Lo  titol  del  mie  aaagne  fa  aaa 


Inr.  Poeda  eoo  pochi  paaai  divaataHM, 
ir  Aaaai  leggleramente  qaei  aallaae, 
Da  quelle  cerchie  eteme  ci  partiaaai 

Imo 

Inr.  SeBMM  parlami,  a)  eoa'  le  aliae; 
28^  Cori  parlammo  inaino  al  laogo  pria» 

8c  pia  laaw  vi  faaae.  tatto  ad  faao. 

Pwi.  D*  aleana  ndbUa  andar  davanti  al  nriat 

1*   Qae«UliolctU  intomo  ad  iae  ad  Im, 

Porta  da'  giaadii  aevra  1  aoUo  1 
17*  Né  oer  aè  ataata,  alcaae  eaaar  dal , 

Rena,  ae,  dividendo,  beaa  atiae, 

Aaor  naace  in  tre  aiadl  ia  veatro  liaa. 
Pai.  Fuoco  di  nube)  ae  V  iaipeto  prteo 
I*   Ren  dèi  pia  aaairar .  m  bene  attaM, 

Sa  d*  alto  aonte  aeeode  giaao  ad  iaa. 
SO*  Refleaao  al  aoaao  del  aoUle  pria», 

E  come  dive  in  aeqaa  di  aaa  bw 

Qaaada  è  aal  verde  e  ae*  fanttl  «fiat; 


4» 


IS4 


Hfl 


ÌMW. 


M< 


Cinqnemil'  anni  e  pia,  1'  anima  ariaa 

aeamlaUaa 


raa. 

ir 


iir 


Dorme  lo  ingegno  tao, 

L«i  tanto,  e  ak  travolta  ndla 

A  giudicar,  %\  come  qaei  che  aliaa 

Cli'  io  ho  veduto  tatto  U  verno  paini 

Pofcia  portar  la  roaa  ia  aa  la  dana; 

Dell'  albero  che  vive  ddla  daa, 

Spiriti  aon  beati,  che  già.  prima 

Si  cir  ogni  muaa  aa  aarabbe  opima. 

39P  Fu  frequentato  già  in  aa  la  cima 
Ed  io  a<«  ourl  ehe  aa  vi  portai  prlai 
La  verità  die  taalo  d  aublima; 

2flP  Vaglicggia  11  tao  fatter  V  aaiaw  pelaa, 
CoaDo  la  fronda,  che  Sette  la  cima 
Per  la  propria  virtà  ehe  la  aabUaM, 

IT  DeU'  attendere  ia  aa,  ai  diaae:  AdtaH 
Dall'  era  di'  io  avea  gaardalo  priat, 

Che  fa  dal  meiao  al  Bne  il  prima  iUaat 

Alle  aaataade,  e  qaalle  fatua  ctaw 


1S4 


n 


Pura/ilauffa  Iwae  la  paria  iaat  I 

ra/riW,<*eflaMMJaeaffMMU  * 


Mena  gli  apirtl  ora  la  aaa  r^iaa. 
Quando  gUagea  davaati  alla  raka, 
Beatemmiaa  quivi  la  virtè  diviaau 
A  riguardar  a*  akan  ae  ae  adefiaa: 
Tra'U  avanU,  Alicbiae  e  CaloMan, 
E  RarbarkeU  gnidi  U  dodaa. 

9P  Moatar  potrete  aa  per  la  raiaa, 
LeDaca  atette  uà  poco  a  laata  dUao, 
Colui  che  1  peoeater  di  Ik  Hdaa. 

Sr  E  cai  gik  vidi  aa  In  terra  Latiaa, 
RimemMU  di  Pier  da  Medicina, 
Che  da  Vertalle  a  Marcabè  dioUaa. 

tr  U  valle,  oade  Haaado  d  dkhlaa, 
D*  uà  oorao  aadra:  e  tutta  la  Catea 
Degna  pia  d' eaier  fitta  ia  gaialiaa: 
Pia.  Volgiand  indietro ,  che  di  qaa  dkfaiat 

4*    L' alba  vinceva  F  era  aaltatiaa, 
ConobU  U  traaMlar  della  aariaa. 

SP  Di  VaMiaagra,  e  dì  parte  vMaa 
Chiamato  ai  Carrado  MalMpIna: 
A'  mid  portai  l' amor  che  qa  raUaa. 

0^    La  lendlaella  prciae  alla  mattlaa, 
E  che  la  aente  aoetn  peDogriaa 
Alle  aae  vialon  qaad  è  diviaa; 

4r  r  anima  è  qui  Ira  voi,  dw  da  laliani 
0  fraU  aio,  daaeaaa  è  dltadiau 
Che  viveaae  ia  ItaUa  peiufilaa. 

47*  Piangendo  forte,  e  diceva:  0  ra(dM, 
Andaa  t*  bai  por  aaa  pevdar  Latba^ 
lladra^aIUtua^Y>^«i^iM    ~ 

Ut  gueuaguU«laoaaae»»t*dA« 
YAtf  UMMU  vdL%Mwu  <Im  ^i^ 

Xt  C\akuuf**itìta,%"^««^'*»'' 


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14 


KIUMO  DELLà  DIVIXk  COmOU. 


W  F<nblilli«>ii>lntai|«il3la>'illu.<l 
Cnd  di  mUt  Imui»  JiilBi, 

MU  f  nfoWi  «Aliali  diilu 
rH  "in  I'  «utdtu  Mlrtot. 

■•  Inai  |lt  «uUi  t  Hm  di  milllat 
Ounrdila  qwUi  «sfa  11  Sul  JkIIbi  -, 


ir-  Mlf  mit^n  maal,  or  (HlBdl  [ir  qaiM 

A.CoBllfUnH4ltH;  liitnie  qdiDd, 
Culit*  ntn.  •:  eÀ  li  d»  ilid. 

Oh  ai  U|un  «B  11  M^rlKi. 

rl>.mRIIo.di*«II»4uUld<d«'ilira^ 


>mr<.ndi(ViBii 


nati,  tÙ  gih  llrqe  'I  oanOn' 


M  Urti  «rt,  ^«1—   ^i^ 


'  M  Ciani  •«0>UUo*  III  niiMD^        Mi    r'  T>»>  n  «al  HlMlila  M  Hl^ 

Siili— «ìwi^i-iMN-.      ^  w  *— «-^gu-^aSi^i— 


RIVABIO  DELLA  DITINA  COUIBDU. 


07 


Ei  oomlBdò  :  QimI  forlmu  o  ^mUiio 
E  chi  è  quetU  the  mostra  '1  etmmiMf 

l<f  Cbt  '1  Mion  ddl'  «equa  a'  «ra  ri  vidiio,     01 
CooM  qoel  flame,  e*  ba  proprio  ctomino 
Dalla  •inUlra  «osta  d'  Apeonino, 

WP  Tra  Garda  e  Val  Camonica,  Pennino         <0 
Loogo  è  nd  mesto  là  dova  'I  Trentino 
Segnar  potrìa,  m  faaaa  qoel  cammino. 

VP  Conosci  ta  alcon  che  sia  Latino  65 

Poco  è  da  on,  che  fn  di  Ik  vicino: 
Cb'  i'  non  U^merri  unghia,  nò  nocino. 

35*  Cbe  sotto  '1  sasso  di  Monte  ATcntino  S8 

Non  Ta  to'  suoi  fratei  per  un  cammino, 
Del  grande  armento,  cb-  egli  ebbe  a  Tidno  : 

VT  Con  onesta  oraiion  piedola,  al  camniao,  IB 
E,  Tolta  nostra  poppa  nel  mattiaou 
Sempra  acquistando  del  lato  maneuio. 

2r  Ch'  i'  fai  de*  monU  U  intra  Urbino  » 

Io  era  ingioso  ancora  attento  e  cliiao, 
Dicendo:  Parla  tu,  questi  è  Latino. 

98"  Venuto  se'  qnaggià;  ma  Fiorentino  41 

Tu  dèi  saper  eh'  i>  foi  >1  Conte  Ogollno, 
Or  ti  dirò  perdi'  io  son  tal  Ticino. 
Pvi.  Come  gente  dio  pensa  suo  cammino,  14 

a^    Ed  ecco  qnal,  in  '1  presso  del  matttao, 
Già  nel  ponente  sopra  '1  suol  marino; 

5*    11  traviò  ai  ftoor  di  Campaldino,  88 

Ob,  rispos*  egli,  appiè  dd  Casentino 
Cbe  sopra  l' Ermo  nasce  in  Apcanino. 

i5*  Guarda  il  calor  del  Sol  cbo  si  fa  Tino,        77 
E  quando  Lachesls  non  ha  più  lino, 
Seco  ne  porta  a  l' umano  e  il  divino. 

Pae.  Vostri  risplende  non  so  dio  divino,  N 

3"    Però  non  fui  a  rimembrar  festino. 
Si  cbe  rafOgurar  m'  è  più  latino. 

V'    Per  seme  da  laoob,  a  vien  Quirino  431 

Matura  generata  il  suo  cammino 
fie  nun  vioceeso  il  provveder  divino. 

I(P  Che  Domenico  mena  per  cammino,  95 

Questi,  cbe  m' è  a  destra  piò  vidao, 
E  di  Cologna,  ed  io  Tomas  d' AqaliiD. 

49P  11  Calavrese  abate  Giovacchino,  140 

Ad  ioveggiar  cotanto  paladina 
Di  fra  Tommaso,  e  il  discreto  latino; 

«3^  Correr  lo  mar  per  tutto  snoeamaaino,      411 
Non  creda  monna  Berta  a  sor  Martino, 
Vederli  dentro  al  eonsitlio  divino  ; 

iS"  Cbe  tu  non  ti  rivolgi  J  bd  giardino         71 
Quivi  è  la  rosa.  In  cbo  il  Verbo  Divino 
Al  cui  odor  si  prose  il  buon  oammlno. 

8ff  SimUi  fatU  v'  ba  al  fantoUno,  4  IO 

E  (la  Prefetto  nel  l&re  divino 
Non  suderà  con  Ini  per  «a  cammino. 

SI*  Perfettamonto,  disse,  il  tao  «anwalnoi,       flS 
Vola  con  gli  oecU  par  questo  glardiaa  ; 
Più  al  montar  per  lo  raggio  divino. 

:il>  Francesco,  Banodatlo  o  Agostino,  19 

Or  mira  l' alto  provrodor  divino, 
Kgualmente  ompicrk  qaoslo  giardino. 


sa, 


Iii4«« 

Dd  nostro  delo,  cbo  pie  m*è 
Questo  centosim'  anno  ancor  a' 
Si  cb'  altra  vita  la  prima 


A  dano  tempo  gft  stallo  proplnqao, 

S9*  ffd  qaal0  no  cJnqaooanto  dìed  •  flnqpi. 

f  «wf  gif  «alo  dM  «0  iai  MlMM. 


fase 

iRr.  DI  LaacUlotto,  corno  amor  baMaio:      i» 

V  Per  più  flato  gli  ocebi  d  aoaplnao 

Ma  solo  mi  pwato  tm  quel  cho  d  iìam. 
8*    Por  dio  1  Maestro  accorto  lo  sotpiaM,      44 

Lo  collo  poi  con  lo  bncda  mi  euno, 

Benedetta  cold  che  in  te  s>  indnao. 
T    Quel  odor  dio  vUtk  di  ftaor  mi  idaai,  4 

Più  lesto  dentro  11  suo  nuovo  rutrlaàn. 
24"  E  dimanda  qnd  colpa  quaggiù  1  plaat:  138 

E  1  peceator,  dio  intese,  non  i^  inUio, 

E  di  trista  vergogna  d  dipinse; 
33f  Oocdar  giù  per  lo  labbra,  o  '1  gelo  striata  47 

Legno  con  legno  spranga  mai  non  daao 

Conaro  insieme  :  tant'lra  U  vinse 
Poi.  Trovò  l' Arehian  rnbesto:  e  qud  aoafdnit  125 
8*    Qi'  lo  fd  di  me  quando  11  ddor  mi  Tiato: 

Pd  di  sua  preda  mi  coperso  o  dnao. 
Pai.  ai  sno  edlegio,  e  il  collegio  d  slrlaio;     fft 
2Sr  La  dolca  Donna  dietro  a  lor  ad  plaM 

81  sua  virtù  la  mia  natura  vinse; 

V  E  mane  e  sera,  tetto  mi  risViaso  811 
E  com'  ambo  le  Ind  mi  dipinso 

Che  lassù  vinco,  cobm  Quaggiù  tìbm, 
VP  Sempra  dintorno  al  punto  che  mi  tinaia,     44 
A  poco  a  poeo  d  mio  veder  d  stlnw; 
Nula  Todara  od  amor  mi  ooalrlaao. 

tesi 

Pub.  Tra  vdto  diatro  a  Id  lo  mani  arrlad,       80 
T    Di  maraviglia,  credo,  ad  diplnd; 
Ed  io,  sognando  lei,  dira  mi  plad. 

teUi 

Dir.  Sempra  la  qndl*  aria  aeau  loaipo  ttait,    28 
8*    Ed  ks  di'  avoa  d*  error  la  testa  dnla, 

E  dio  gsat'  A,  dio  par  nd  dool  d  TWaf 
41^  Tkorammo  risonar  qnell'  acqua  tIaU,      4(M 

Io  avca  ana  eorda  intorno  anta. 

Prender  la  bmsa  alla  pdlo  dipinta. 
9P  Porra  minidri  ddla  fossa  oninta.  88 

Laggiù  travammo  una  gente  dipuda. 

Piangendo,  e  nd  sombianto  stanca  e  riaU. 
Pam.  Ma  Ttaeo  Id,  perchè  vaolo  esser  data,     88 
20^  La  prima  vita  dd  dglio  e  la  qnlatn 

La  rogioa  degli  angeli  dipinta. 

lai.  Tra  farlo  laCsrad  di  saagno  flato,  88 

0^    E  eoa  Idra  Tordisdma  eraa  dato: 
Oaia  lo  lavo  tampio  < 

lati 


Pub.  Aaeor  ad  vollo  tao  preaao  cbo  aliati, 
49P  Plea  li  tad  pU  dd  booa  vder  d  viali, 


422 


Ma  8a  diletto  loro  esser  sa  piatt. 

lato 


Uff, 


M 


Cbe  ad  a  naaa,  d  lieve,  od  lo  in  spiati, 
Si*  B  so  aoa  foaao,  che  da  qud  procfaùo, 

Noa  so  di  lai,  ma  io  aard  bea  datei 
ti*  Noa  80  io  dir,  ma  d  teaaa  snidali 

D*  Ma  onlaaa  ohe  1  laatra  avvialo 

81  raTTolgoTa  iaflao  d  gira  qalBto. 
Pia.  Pettt,  dasonn  saria  di  color  dalai 
7*    Noa'\v«a  par  antan  Id  dl^tnln» 

Vi  faan%  và  VMnqjKAn  NstteKe*». 


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0  DELIA  DltUU  CtimUtMk. 


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r  CaalHM  «•,  a  qiwl..  l<Ht°  d>U>         » 

r  tn-MnilinaM,  f|Zc1kh1iU>  K 
rw  11  Mu  •  r>r  (Il  «U  Hd  4cl  |«Ud,_ 
Mi,  nnk'  I*  tif  (1°  >•  MI*  IM'IMt* 

a  dH  r  iMiifit  Ti  iw  M  Ulto  Mio, 

rtt.  Mli  un*  ila»  ■(4<>  Il  Hiftili  In: 

CI»  U  innDm  t*  w  uhII*. 
V   OvlSi>l.(Mi>rii'>nriil>nlMil|*U;>.> 

1 1*  ^q^ njfùi M 9Hk uri Hiirih  lu 


r  Olili  !•    Hi'-l»,  n,  i|ul  nu  IH 
(■•tH  P«1'IK  cM  Mi  IM  ri  b 


'MrsijKxr 


Mi.r>,i<iiili>ri<Hli>iii'lBMbli>  irib.  loci»  la  «tnillli  ■■•««■, 

r  CM lo dtBWB,  US Inb  liwii,  a     if  oii«.fcilfiw.ti.'«»niii  ini  ma^ 

rMiiDkiUeUMUIIiiuliilrils,  Il  fuma  liU.  .«Ul.  «  Cmtn. 

Li  bbU  Mia  tu  IK  luto  Bwita  ,l%t.  T 'T Tll  lai  ani  imi, 

r  rjia  «4nni  j*  In  HT  tHn  iurrilii        iw   !         cvrfÉiMliManMrril^ 
hnKi*Ut>n,<VtMnWaitkM(s,        Ini  Ct' l' w  Ima ijln _t  ma mNbb 

K<IMU<ail*(V*n|wMU.  I   V  EoapulinaHarUiiUitbw* 


<naaHlliiaU,ailiiwHHHii  CkaiHHn  «■■«•■•■ha. 

l' tiHl  Jl  DU,  cH  la  •«■•  Int.  Il-  L'iw«iiiin|U"w'«*Ji,       »< 

M-Uiiwt  p»iadHlD  liana  tiEti,  ■•"           Tal  al  Hdi' M  ashlofira^ 

AlnlttmatiamaadlllBHtì  CtaCt  nM»4  a^nia  r<n>i 

OU»**d»utUl>Uli>>«\a<>.  \ti>.V4L».;».A..K  »!(■■■•■■*  Il 


RIMARIO  DELLA  DirillA  COMMEDIA. 


S9 


«r 


Pik  eaabnMlo,  •  qnd  eh*  «i  pie  appmta 
~  "  halilei 


2V 


Voi  mi  òéU  •  ptriar  lotta 

Per  tanti  rivi  t*  «nii>ie  il'  allrgivtsa 

Pcrciiè  può  MMitener  che  ni>n  ti  «pena. 

mente  dantando,  ddla  *oa  riecheoa 

Di  qoella  di'  io  notai  di  piò  bellctu 

Che  natio  vi  lasdó  di  piò  cUiarena; 

25**  Inclita  vita,  prr  coi  la  lar|licna 

Fa  ridonar  la  Speme  in  questa  altena; 
Quanta  Ge«à  a'  tre  fé  più  cliiarana. 

27*  Deir  nnivfirw,  percliè  mia  ebbrcna 
0  gioia  !  o  inerfabile  allcgrena  i 
O  s4-nia  brama  «irara  licriima  ! 

29^  Segna  I'  atTettoi,  d' amor  la  doleana 
Vedi  V  eccelao  ornai  e  la  largbcsu 
Specoli  fatti  a'  ha,  in  cl*e  ti  spena, 

ìlf  Si  grande  Inma,  qoant'  è  la  larghetta 
La  vi«ta  mia  ncU'  ampio  o  nell  altana 
Il  quanto  a  il  i^ale  di  qoella  allegreoa. 
Più  a'  anomiglia,  die  la  «oa  diiarcna 
lo  Tidi  aovra  lei  tanta  allegrezxa 
Creale  a  tratvolar  per  qotUa  allena. 


32» 


l.<«r.  Grand*  arco,  tra  la  ripa  secca  a  1 
T*  Tanimmo  appiè  d'  ona  torre  al  d 
ftr  Laudammo  il  maro,  e  gimmo  in  vcrlo 

Glie  'nOn  lassù  facea  spiacrr  «ne 
17*  Monta  dinand,  eh'  io  voglio 

Quale  eoloi,  eh'  è  sk  pre>s<i  al  ripm» 

E  triema  (otto  par  goardando  il  rano, 
33^  Fatti  per  freddo  :  onde  mi  vira  ribrcao, 

B  aaentre  eh'  andavamo  in  ver  io 

Ed  io  tramava  ncir  eterno 


Ixr.  Del  diavol  viij  assai,  tra'  qoall  odi' 
2T  Appresao,  il  Doca  a  gran  pesai  san  gt, 

Ond'  io  dagl*  iacarcati  mi  parti' 
Vr  Dinanii  a  ma  arn  va  |iian;;en«lo  AD 
E  tolti  gli  altri,  die  In  vedi  qai, 
Por  vivi  ;  e  però  «on  fes»i  Ci>8i. 
Cbf  menò  Cristo  lieto  a  din<  Eli 
Ed  io  a  Ini:  Forese,  da  ■{ocl  di' 
Cinqo'  anni  ni>n  »on  vulti  in^no  a  qni. 
Sptnmt  te  fa  di  sopra  noi  s'  odi, 
3S*  Poacta  Ira  aav  on  lame  si  schiari. 
Il  Temo  avrebbe  on  mese  d'  on  aél  dP. 


Pn. 


Pan. 


131 


SS 


.lon  laaria  allnd  passar  per  la  aoa  via. 

Ed  lia  natora  si  aul%a<;ia  e  ria, 

E  dopo  il  pasto  ha  più  fame  dia  pria. 

4*    Ma  pa'isa«am  la  saUa  tuttavia, 
Moo  ara  hinga  ancor  la  nostra  vln 
Ch'  nuisperlo  di  tenebre  vinda. 

1 1*  Fallita,  ladruocccio  e  simonia. 

Per  r  altro  modo  quell'  amor  é*  abbUn 
Di  dia  la  M*  sp>ual  si  cria: 

43*  Ben  dovrel>b'  ««««r  la  tua  man  più  pia, 
Collie  d'  un  stino  verde,  eh'  arao  aia 
E  cigola  per  vento  ahc  va  via: 

l«*  Drlla  s«a  scnriada,  a  disse:  Via, 
lo  mi  raggiunsi  eoa  la  aeocia  asta: 
Df»\e  uno  «otiglio  della  ripa  usda. 

%T  eie  punasau  le  chiavi  in  sua  balla? 
>c  Pirr  né  gU  altri  dtieaera  a  Mattia 
Nrl  luogo  die  peri*  1'  anima  ria. 

Vf  E  indietro  venir  gli  eonvenia. 
Ferve  per  fona  ^a  iipàrìuU 
M*  ioaot  ridi,  aè  endo  eba  aia. 


2P  Quivi  mi  adat  •  fiat  kmllarin,  SS 

17  E  Ciriatlo,  a  cui  di  bocca  usda 

Gli  fa  aentir  coma  V  una  admda. 
23^  Taciti,  soli,  san/a  compagnia,  1 

17  Come  i  frali  minor  vanno  per  via. 

23^  Consigli*»  i  Farisei,  die  convanin  US 

Attraversale  e  nudo  è  per  la  via, 
2S  Qualunque  passa  com'  ei  pesa  pria  : 

24*  Meglio  di  lena  eh'  i'  non  mi  scntin;  S9 

Su  per  lo  scoglio  prrndi'iiiiiH)  la  Tia« 
5  Ed  erto  più  avi«i  che  quel  di  pria. 

28"  Clw  n'  avean  fatte  I  borni  a  scender  pria,  14 
E  proseguendo  la  ^olinga  via 
1  (0  Lo  pie  s«>n>a  la  man  non  ai  spedia. 

27*  ?vr  non  dir  più,  e  già  da  noi  sen  gin 
Quamto  un'  altra,  die  dietro  a  Id  ti 
116  Per  un  cunfuM  suuo  dia  fuor  n' 

32"  Tu  bai  da  lato  quel  di  Brccberia.  119 

Gianni  del  Suldanier  credo  che  ala 
80  Cir  apri  Faenia  quando  si  durmiau 

PcR.  Per  lui  campare,  a  non  è*  ara  altra  tU      08 
1*    Mostrata  Iw  Ini  tutta  la  gente  ria; 

Che  purgan  sé  sotto  la  tua  balia. 
3^    Puasa  trascorrer  la  influita  via,  ti 

121  Slata  contenti,  umana  gente,  al  fate; 

Meslicr  non  era  partorir  Maria  ; 
I3t    S^    E  riposalo  della  lunga  via, 
I  Oicorditi  di  me,  die  soo  la  Pia  : 

Salsi  colui  che  innanellata  pria, 
8*    Ma  nelle  facce  V  occhio  si  «roarria. 
Ambo  vegnon  del  grembo  di  Maria, 
71  Per  lo  serpente  che  verrà  via  via. 

9*    Quando  1'  anima  tua  dentro  dormia  SI 

Venne  una  donna,  a  disse  :  1'  ano  Loda  : 
Si  r  egeviderò  per  la  sua  via. 
12*  Buon  ti  sarà,  p«r  alleggiar  la  via,  14 

1 13  Coma,  perdiè  di  lor  memoria  sia, 

Portaa  segnato  quel  di'  elll  eran  pria; 
13^  Altri  rimMido  qui  la  vita  ria,  llfl 

SS  Savia  non  fui,  avvegna  die  Sapia 

Più  lieta  asaai,  che  di  vrntura  mia. 
14*  Clie  na  nvogliava  amora  e  oortaaia,         HO 
1\  0  Brettinoro,  diè  non  fuggi  via, 

E  molta  gente  per  non  cseer  ria? 
10^  Liberi  Koggiaerte,  a  quella  crìa  SO 

08  Però,  na  il  monde  presente  disvia. 

Ed  io  te  ne  saio  or  vera  spia. 
17*  Dentro  da  ^,  die  di  fuor  non  venia  23 

Poi  piovre  dentro  all'  aita  fantasia 
Nella  sua  «isla,  e  coIjI  si  moria. 
20P  Ed  io  attento  ali'  ombre  eh'  i'  saaUa  17 

E  par  ventura  udì':  Doira  Maria: 
Coma  fa  donna  d»a  in  partorir  aia; 
21*  Che  Cristo  apparve  a'  duo  eh'  arano  la  %ia,  8 
Ci  apparve  un'  ombra,  a  dietro  a  nai  venia 
Né  d  addcmmo  di  lei,  ti  parto  pria, 
22f  Antigone,  Deifile  «d  Argia,  110 

Vedeei  quella  che  m<»strù  Laugia; 
E  con  le  suora  sue  Deidamia. 
28*  Subitamente  cosa  cha  duvia  3K 

Dna  Donna  soletta,  df  si  già 


OS 

SO 

38 
6S 
92 
14 


i 


Ond'  era  pinta  tutta  la  sua  via. 
tr  Cosi  di  Moisè  «orna  d'  ElU,  M.) 

Tal  toma'  io,  a  vidi  quella  Pia 

Fu  da'  mici  passi  lungo  U  fluma  pria  ; 
t3i*  Or  tra  or  quallro,  doìea  salmodia  3 

E  Baulrica  soapiresa  a  pia 

Più  alla  Cniea  al  «amMlh  ìftwAi^ 
Pam.  f nnUno  '\fuv\aaaian\»%  «  ^«c^  ^i^^ 
4P    Da' Setafta  «AuV  fJiaa  \Wm:  \»«à,%^ 

Qua!  ^nnAa  ^w»1»V!^  V»  «àw»,  w^'m»*^^ 


*«» 


RUIARIO  DELLA  DIVINA  COMMEDIA. 


61 


*kM.  Di  Iglto  a»,  pv  p«r  B  •  pw  ICE, 

1*    Pmo  toffcTM  OM  eoUl  B«atric*, 
Tal,  cbe  nel  faoeo  farìa  1'  qob  uIìm  : 

13^  TroTito  in  terra  dalla  taa  nolrioa, 
O  padra  HO  TeraoMiiU  Fdioe  1 
Sa  intarpntala  trai  oone  si  dica  ! 

14*  Dal  Mo  puUrt  a  di  qael  di  Baatrlea» 
A  eoatoi  il  aasticrì.  e  noi  tì  dica 
D*  «n  altro  varo  andara  alla  radica. 

W  hu«  aipallaado,  io  fui  la  taa  radio»: 
Poaeia  M  dkwa:  Qoel.  da  cai  si  dice 
fiinto  b«  n  ■Mmta  in  la  prima  oomiea, 

Sr  turi» «Mtaa M iMea si  fdioa, 
■  taa  lyi  iKlaiM  «  laatriea 
Cka  te  ate  iMlMit  aal  mi  ridica  ; 
ad  valsi  pw  veder  Beatrice, 
A  M,  a  od  mondo  felice  I 
tornar  con  gli  occhi  a  Beatriea 

_  ^ alo  inlao  a  Mi  di  lei  d  dica 

flaaa  aanbba  •  Isnnr  poesia  liea. 


i4 


T7 
8 


» 


m 

14 


bt.  La  Baai  alsd  eoo  aabadoo  la  IdM, 
9^  Dn  MI  in  qaa  mi  far  Inaarpl  aalSha, 
Ca«a  dicesse:  l' non  va'  ^  iHìMn: 
Sr  CMCtroB  lotti,  a  poi  la  KfBlI  mMK 
Il  ristorar  di  seme  di  furmidia| 
LiBf  air  gli  spirti  per  diversa  mcba. 
fàM,  Oliai,  ad  ammi  a  arado  che  tn  diche 
SIP  Bi  fe:  La  nnove  e  lo  scrittore  antiche 
che  Dio  s'  ha  fatte  aasichc, 


ichl 


Pab. 


(HàcnAoMidi 
>  f  ayaniafia  Ardi 


PfB. 

r 

Pab. 

r 


«• 


lei 

Cht  parton  pc^tta  lor  le  peccatrici, 
La  mado  eoo  i^mbo  le  peodtci 

'  io  ab'  aooor»!  che  'i  psMo  era  licL 
disso,  dunque  là  're  dici 

aUnngati  e'  eravam  di  liei, 
A  gnifa  ohe  i  valloni  sceman  auicL 
Ha  ar  AB*  aiata  ciò  die  tu  mi  dici. 
Ha  dUaMi:  Voi,  dia  siete  qui  feiid, 
tu  pia  vedere,  o  per  più  farvi  amici? 
Divanusento  per  diversi  ufDci? 
S  tanaa  dadnccodo  in«ino  a  quici; 
GsBvlea  do'  vostri  effelli  le  rsdici  : 
Da  Bafneragio.  cbe  ne'  grandi  nflci 
IIIgMinatii  ad  igostin  son  quid, 
Cha  ael  capestro  a  Dio  si  fero  amid. 
lafanan  ancora  si,  che  i  suoi  nimid 
AMI'  aspetta  ed  a'  suoi  i)«nefid  ; 

lo  eimdizìon  ricchi  e  mendid  ; 
parlando,  e  nota  i  gran  pstrict 
9aai  dao  che  seggon  lassù  più  felici, 
la  9  aaU  iosa  quasi  due  radid. 

telo 

la  mondo  in  suo  pcrìdo, 
Tolta  nel  terso  epicido  ; 

ieo 


w 


80 


8U 


83 


82 


Ilo 


428 


88 


ili 


flB  assai  ch^  i*  non  ridico: 
Qaivi  trovammo  Plulu  il  gran  nemico. 
Qan  antro  è  Io  secondo  Fi-denco, 
Indi  s'  ascosa:  ed  io  io  ut  J'sntico 
A  ^nd  parler  ehé  mi  ptreà  nimico, 
di  Fittole  ab  antico, 


il3 


HO 


03 


n  d  UA.  parine  bfli  fu.  whmv. 

fi  dlsconvisii  firattare  Q  delea  lae. 
liP  ▼anedico  so*  tn  Cacdammico:  IO 

Ed  agli  a  me:  Mal  volantiar  le  dico  ; 

Che  mi  fa  sovvenir  dd  mondo  aaUee. 
Poa.  La  eoncabina  di  Titone  antico,  4 

0*    Pnor  dalla  bracda  dd  sno  dolce  amiee: 
2af  CIm  m' ascondeva  quanto  bene  io  dico,      15 

Dimmi  dov'  è  Terendo,  nostro  antico, 

Dimmi  se  son  dannati,  ed  in  qnal  vieo. 
Pae.  Glieoneaddte,inmanoaqudcb'lodieo,  18 
8^    Or  qui  t*  ammira  in  dò  eh'  io  ti  r^lieo  : 

Ddla  vendetta  del  peccato  antico. 
Il"  Ho  io  appreso  qnd  che,  s*  io  ridice,  118 

E  a*  io  al  vero  son  tlmÙe  andee, 

Cha  qoesto  tempo  cbiaaiaraano  antlea. 
88^  Bob  prodotto  fòdL,  e  Padre  antieo,  88 

Datala,  manto  poese,  a  te  anpplice 

E,  par  Hurti  temo,  non  la  dico. 

Ida 

Imr.  Cha  tn  ad  aagnl,  ed  io  sarò  tot  giidt,    118 
I*    Ov' adirai  la  dUparata  strida, 

Cha  la  seccoda  morte  daaean  gridn: 
ll'PnòPnomonsaraincolaicbadBda,       18 

Oneste  modo  di  ratroparche  nedda 

Onda  nd  cerchio  secondo  s'  annida 
42*  E  disse  a  Nesso:  Torna,  ed  li  guida,       88 

Nd  d  movemmo  eolla  scorta  8da 

Ove  i  bolliti  facean  die  strida. 
44"  D*  aaqna  e  di  fronde,  che  d  ddaiM  Ida;  88 

Bea  la  scelse  glh  per  cuna  8da 

Quando  piangea,  vi  facea  far  la  grida. 
Pct.  Che,  dietro  a'  piedi  di  d  fatta  guida,        82 
8*    Ed  uno  incominciò  :  Ciascun  d  Bda 

Pur  che  '1  voler  nonpossa  non  ridda. 
18*  Onda  la  Scorta  mia  saputa  a  Ida  8 

fi  coma  dece  va  dietro  a  sua  guida 

In  cosa  che  '1  molesti,  o  forse  aneida; 
20^  Cui  traditore  e  ladro  e  patricida  404 

E  la  miseria  dell'  avaro  Mida. 

Per  la  qoal  sempra  convicn  dia  d  rida. 
Par.  Dritti  nel  lume  della  dolce  guida,  88 

S^    Non  ti  maravigliar  perch'  io  sorrida, 

Pd  sopra  il  vero  ancor  lo  pie  non  fida, 
8*    E  il  paktor  della  Cluesa  che  vi  guida  :       TV 

Se  mda  oipidigia  altro  vi  grida, 

fi  che  il  Giudeo  tra  voi  di  voi  non  rida. 
41*  La  sposa  di  colui,  eh'  ad  dte  grida  88 

In  se  dcura  a  anche  a  lui  più  fida. 

Che  quinci  e  quindi  le  fbsser  per  guida. 
fS*  Tiver  di  dtUdini,  a  cosi  8da  484 

Maria  mi  die,  chiamata  in  alta  grida, 

Insieme  fai  cristiano  a  Cacdagdda. 
22?  Oppresso  di  stupora  dia  mia  guida  4 

Sempre  colà  dove  più  ù  confida. 
29^  A  predicare,  e  pur  che  ben  si  rida,  448 

Ma  tde  nccel  nel  becchetto  s' 

La  pardonania  di  che  d  confida; 

iddi 

iRr.  Nneve  travaglie  e  pene,  quante  le  riddi?  88 
7*    Come  fa  V  onda  Ik  sovra  Cariddi, 
Cod  CQBvien  cbe  qui  la  gente  ridiL 

ide 

iHr.  Bispeea,  pd  cbe  lacrimai  «i  -^Aa^  ^(^ 

r    Che  q^aéiàa  ^«slùa^  v«^  \%  ogikil  Via  ^^ilA^ 

Ma  tanto  \o  'mveA\%»,  t\»  V  ucò^-. 
5"    Gridò  MintM  «  me,  cijianÀo  m\  VxA»^ 
Guarda  com'  enVn,  «  A\  cbàVuW^^*- 


v\ 


niki*nio  riELu  mx'ni.  commsum 

EIIDB»Bil*tllll.ruiJi«F«lrfd>*  I  1^ 

•  '  N.I.  ^  «1  11  ràir,  u  d  [Mi.  ilar.  Ck>  ttsaln  14111,  fif—i— 

«•cta.flB'UiUH.iiùiildrnLnTiaf    ii«  «      a- il  la  Wk In*  !!«»•« 

■■CM  irti  Urtili,  itdw  11^  Hrìla      »  Tal.  iM  Abik  •  <i«tH  |*kn. 


Tn  Bte- HI  •HliUi  all' M  n  fuS. 
ir  II  t)i|Hn  •  ■  Jv,  «'  lo  tttUl 

ÙìSm  «nm'rir»»  te  n«i 


MKUpiMiaa-utUlpiUI. 
iiMiibtiliniipvKaUl. 

Iiadir  A  Dw,  |w  «' lo  lUi 


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S  Igrb  Ci  FiBéIUi»  irUo. 
rei.  TanUnEplidiallGlottiafri 


liMIWtivUiaiiU* 


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riw,  ri»  iwu  ti  Hi  rr  ■■ 


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>ta  sul  p>(  «RI  H  hr  1>I|I>. 

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IwiialnlgllglUIreaelttl: 
mi  d»  1  umili  «iirin  si  ci|U, 

rrKBivbi  La  nijliB  oo'  Jai  fl jiE 
Luf,  di  p4rLaFL  ba  F>r>At  *  ^f'^ 

■Ul  u4eHT  <U  upn  di'  Ei|ll: 
ngll  h4.  mi  Ina»  diiU  irtiiU 
t  ■■!•  (»  piUHT  li  QiU 
)i.  Inuull  I'  udì  p.r  m  (i|U 
ha  tu  ptKiatd  U  dv«4  i  UL 
<ir«-.<<)L«>i  Urliti, 


tsllw 


1  iir  wu,  •  tilli  •  hi  i~ippi(lU. 
I.  'J  ■HI  Infi  •rib.  !•  tliilx,         t 


■Ig  pnn  ■  »  |iu  mwtitili». 


Tll  pÉi«  ta»tìl,  •  BOI  rtiidi  !•  tit1i^ 
U  •UnJ.Ui  «•'■  mlng.  .'  .ppiiLii. 

CaM,  Ite  M  «BiDls  ni  pò»  plflii 
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la  Hflig  iiui  eb.  VlKillu  Hi  Balla 
E  quii  NiHlls,  dit  >tnU>  •  SHalfla 
M.ri  hitoO.  •  1UI«>4>  U  (l(ll,i 
'  :i«iBibrduB«ii'i.mliunTi|U*, 


ptt  iHdn  fH^  nflU  HI  BiBt, 
-M.od'l.frtwIpIgA'l^ 
Fai  taflrtf  Ila  «  la  agfpa  se  la  fll| 
do  U  wiFvl  «a  tuia,  aka  a  |i(Ua 


k-  Haanda  la  Bal<i|u  m  rubbnTnlN) 


d  aUi  Hill,  dia  ti  |lk  kiaiÌH 


Hli'a.biiWll'iutt.ilt. 


I%f.  THir.Mn1>.,.n«1n>*M 


RIMARIO  DELLA  DIVINA  COMMEDIA. 


Ima 


H 


3*    Tornao  de*  aoctri  visi  le  pintiUe 

Noa  vico  meo  forte  alle  nostra  papilla; 

7*    Ef  qoasi  Teloctséima  faville.  8 

lo  dubiUva,  e  dicea:  dille  d'illef 
Cbe  mi  disseta  con  le  dolici  stille; 

%t*  Sorf^ono  inaiunerabili  faville,  l(H 

Risorger  parva  quindi  piò  di  mille 
'  Si  come  il  Sol.  cIm  1'  accende,  sortilla; 

1111 

fHA  Qoanto  parevi  ardente  in  qne'  favilli, 
V  Posda  cbe  i  cari  a  lucidi  lapiUi, 
Poaer  silenzio  agli  angelici  squilli, 

Ulo 

Pak.  Da  Cristo  presa  l' altimo  sicUlo,  lOT 

M*  Quando  a  colui  eh'  a  tanto  b«»  sortillo, 

Ch'  egli  acquistò  nel  suo  farsi  pusillo; 
S*  DiveniMer  segnacolo  in  vessillo,  SO 

Me  cb'  io  fossi  figura  di  sigillo 
Ond'  IO  sovente  arrosso  e  disfavillo. 

ilo 

re».  Kob  vede  più  dall'  uno  all'  altro  stilo  :       C3 
MP  Come  gli  angei  die  veman  lungo  il  Nilo 

Poi  volan  pia  in  fretta  e  vanno  in  filo  ; 
Pai.  Comincia'  io,  dall'  alto  primipilo,  59 

Vfi  E  seguitai  :  Come  il  verace  stilo 

dw  misa  Eoma  teco  nel  buon  filo ,  * 


I 


in.  lo  dleo  seguitando,  eh'  assai  prima 
f*    Gli  ocelli  nostri  n'  andar  suso  alla  cima, 

tt^  Parole  e  sangue:  ond'  io  lasciai  la  cim*    44 
9  egli  avesse  potato  creder  prima, 
Ciò  e*  ha  veduto  pur  colla  mia  rima, 

9IP  Eletto  seco  riguardando  prima  23 

E  eoma  quei  cbe  adopera  ed  istlma, 
Goal,  levando  me  su  ver  la  cima 

Zr  Ha  fece  volger  gli  occhi  alla  sua  eima,        5 
Coma  '1  bue  Cidiian  cbe  mugghiò  prima 
Gba  F  avea  temperato  con  sua  lima, 

nn.  Allo  splendore  assai  più  che  di  prima,        Il 

IIP  Ond*  io  lavai  le  mani  in  ver  la  cima 
Cha  del  soverchio  visibile  lima. 

ItP  Eivolf  a  il  cielo  a  sé,  saprai  :  ma  prima,    M 
latra  Siestrì  e  Chiavcri  s'  adima 
Lo  titol  del  mio  sangue  fa  sua  cima. 

MP  Cinqaemil'  anni  e  piò,  1'  anima  prima       02 
Dorme  lo  ingegno  tuo,  se  non  isiima 
L«  tanto,  a  si  travolta  nella  cima. 
f  AB.  A  giudicar,  sì  come  quei  die  stima  I3< 

IIP  Ch'  io  ho  veduto  tutto  il  verno  prima 
Poscia  portar  la  rosa  in  su  la  cima  ; 

18*  Dell'  albero  cba  viva  della  cima,  20 

Spiriti  son  beati,  cbe  giò,  prima 
8k  eh'  ogni  musa  ne  sarebbe  opima. 

2P  Fu  frequentato  già  in  su  la  dma  38 

Ed  io  s<m  quel  ehe  su  vi  portai  prima 
La  verità  che  tanto  d  sublima; 

af  Vagheggia  il  suo  fattor  V  anima  prima,     83 
Coasa  la  fronda,  ehe  flette  la  cima 
Per  la  oroprìa  virtò  cbe  la  sublima, 

17*  Dall'  attcaidere  in  su,  mi  disse  :  Adima      77 
Dall'  ora  oh'  io  avea  guardato  prima, 
Che  fa  dal  meno  al  fine  il  primo  clima  ; 

2SP  Alla  so^taniie,  e  qaeile  faroa  cima  32 

Fara  ooteatià  Uaoe  U  puU  ime  i 
Tal  rùaet  ebe  giuamai  jmo  ai  dirima. 


69 


14 


137 


35 


ime 

Poi.  Tanto  cha  gli  augelletti  per  la  dma 
28^  Ma  con  piena  letixia  l' óra  prime, 
Cba  tenevaa  bordone  alle  tua  rime, 

imi 

Pai.  Nella  mia  mente,  disse:  I  oerchi  primi 
28"  Così  vdod  seguono  i  «noi  vimt 

E  poason  quanto  a  veder  son  sublimi 

Imla 

iRr.  Che  falsai  li  metalli  con  alchimia; 
28P  Cora'  i'  fui  di  natura  buona  seimia. 

immo 

Inr.  Posda  eon  pochi  passi  divenimmo, 
18*  Assai  leggieramente  qud  salimmo. 
Da  quelle  cerchie  etema  ci  partimmo. 

Imo 

iNr.  Senza  parlarmi,  sì  com'io  stimo; 
29^  Così  parlammo  insino  al  luogo  primo 

Se  più  lume  vi  fosse,  tutto  ad  imo. 
Poi.  D' alcuna  nebbia  andar  davanti  al  primo   98 
I*    Qoesta  isolelta  intomo  ad  imo  ad  imo, 

Porta  de'  gioodii  sovra  i  mollo  limo. 
17*  Né  per  lè  stante,  alcuno  esser  dal  primo,   I M) 

Resta,  se,  dividendo,  bene  stimo, 

Amor  nasce  in  tre  modi  in  vostro  limo. 
Pai.  Fuoco  di  nube)  se  l' impeto  primo  134 

i*    Non  dèi  piò  ammirar,  se  bòia  stimo, 

Se  d'  allo  monte  scende  gioso  ad  imo. 
30^  Reflesso  al  sommo  del  mobile  primo,        107 

E  come  clivo  in  acqua  di  suo  imo 

Quando  è  nel  verde  e  ne*  fioretti  opimo; 

Ina 

Inr.  Mena  gli  spirti  con  la  sua  rapina, 
5*    Quando  giungon  davanti  alla  mina, 

Bestcmmian  quivi  la  virtù  divina. 
21*  A  riguardar  s'  alcun  se  ne  sciorina: 

Tra'ti  avanti,  Alichino  a  Calcabrina, 

E  Barbariccia  guidi  la  decina. 
23*  Montar  potrete  su  per  la  mina. 

Lo  Duca  stette  un  poco  a  testa  ebina. 

Colui  che  i  peccator  di  Ih  nndna. 
28"  E  cui  eia  vidi  su  in  terra  Latina, 

Rimcmorìli  di  Pier  da  Medicina, 

Che  da  Vereello  a  Marcabò  dicbina. 
82P  La  valle,  onde  Biseniio  d  dicbina.  Si 

D*  un  corpo  usdro:  e  tutta  la  Caina 

De(;na  pia  d' esser  fitta  in  gelatina: 
Pei.  Volgianci  indietro ,  che  di  qua  didiina      US 
1*    L'  alba  vinri'va  V  ora  mattutina, 

Conubhi  il  tremolar  della  marina. 
8*    Di  Yaldimagra,  o  di  parta  vicina  IM 

Chiamato  fai  Corrado  Malasplna: 

A'  miei  portai  1'  amor  che  qui  rafOna. 
9*    La  rondinella  presso  alla  mattina,  t4 

E  che  la  mente  nostra  pellegrina 

Alle  sue  vision  quasi  è  divina; 
13*  S'  anima  è  qui  tra  voi,  dte  sia  latina  ;        93 

0  frate  mio,  dascona  è  dttadina 

Che  vivesse  in  Italia  peregrina. 
17*  Piangendo  forte,  e  diceva  :  O  regina,     .  35 

Ancisa  t'  hai  per  non  ^rd«c  \.%,Vvoa\ 

Madre,  aWa  Vua,  ^tv^  <«  »\V  vWc^n^- 
28*  Qut  ut  guia  al  som  »«n»  \nxùk  *  »«*»  «•*»»• 

Poi  »'  ft&Gos*  Tvel  l^oeo  «^  ^^  aJ»»%» 


32 


lf« 


437 


71 


^^^^^H'U 

I^^^HI 

RIMARIO  DELL*  DTTIM 


I 


UH  it  «HUl  lM|llH  dlTiU, 

■  Tulg  th>  i>||^>«lu' U  Rtflu, 


r».  rKMiU  ■  »  tali  Riipii  ■  rtw. 

■■di 

ir  cU[iiiiiimllirli.M«idilaKUi4 

ir  Ut,  «uls  «Mai*,  ronjiil'  liU 

rwilHht  Bil  II  1«H  U  «tra  iirid. 
rit-Hft;  ftr*ttì'lmiaàH  tiPb^i. 

•te  nm  III  nmi>  iirii  U[d  t  hwi. 


ODIrdh  ni  dlw,  h  ' 


Qni  Biitan  te  sui,  «il  bndw. 
Ni  nr  luflMU  «  irulf  dldu, 

Mr«i«Bt»»ii<^iiititt«in,        ini 


II*  m  Cini  >  «  CWtaUi  I  di  FlHldH, 
U  •  Tnipluw^  .D.Ì»  cosili^ 


Hi  (id  nri  lU  Ita  V  ■_*■!■  k^ 


r.  OM  Hi  HnaiS  ^  Ha  In  dMH, 


'   l)iid>m.H,liM.liaU 
Ma  «Mail*  M  (■  IM  te«* 


■U'iUnH>i.,ÌMInl 


dUL. 


HIBIBIO  DELLA  D 


Ctam  «Hi  tvm,  e  b>  pwpriii  «r 

Dilli  ibilili*  uria  «  ipMilu, 

IT  Tn  Otrda  •  Vii  Cuuniti,  Pool* 


S^  Csn  wu  milia  plsiiili,  •[  ciu 


Oh,  rlip»'  tfli.  aiipM  dil  C> 


Osati,  iba  ■' I  (  iirfn  pi*  .Uh. 
t  ti  C«»»CM,  ad  II  taui  4'  AqiUu. 

Ad  InnUr  Hlala  hIWIb 

Di  In  Tmuh,  ■  Il  ìbenli  kUw  ; 

Qilll  •  !•  tMh  11  II»  il  Tirte  ttrim 

Eiimbita  Jiih><itiH 

VOI  ■■  (Il  «Ul  H>  tl*>*  flB4lk>  ; 
nb  ti  BvoUr  p«r  !•  nccl*A*lBB- 
r  FfUUHB,  BlHMto  >  itoliha, 

Cinlwiat  a^lM  4mU  (UHlK 

,1.  M  ■»!»  >lriMt.>  plk  >>  1  ini^Mn. 
>    Qwttcalalm'iiinnuicoTi'lKUriii. 


|Hl  Hlor  Ibi  lilU  «  tnar  al  Pj"^ 

;  dlnuill  ^  »lpl  fiut(lt  t  eIm:  t: 
L  ■!  penttar,  tilt  ibtava,  041  ■'  IflflllH, 


TntùriliHliIunifcialAt  tmlioinllLll  tì 

Tal  il  HA  pftdi  isl  DBBtn*  ■  nliiM. 

U  twoellce^  ■UoaUffglokllIrUlB;      0 

E  mi»  •  uri,  tiHla  ni  rifMiai  ■ 

E  un'  uik.  !•  iDd  _i  t\c&i, 

Brmpn  4lAlDrdB  ài  pu^  bL  bI  tI«m,      I 


Do  HmOV  qKl]'  Kma  UbIb, 


lati 


itiiiuio  DEUA  mviitft  cmncDu. 


I 


qSvllt«l''lBiU,<a 


Mia  inlMta  oBiAikn  iMn 

M- THla  chiL  mi)  ••>' ^  Kftf»v, 
la  l«il  tH  DoUi  «  nm  i*  mittiu 
BmicUa  qoilli  ìon  IL  SJ  <kIIii1! 


M.  Coft  Urti  foU  jin*:  laLnlB  qidD 

Culaio  min,  •:  Baii  lo  eIk  lUu 
.L  rgcMiU  (  na  mìi  RliiiiTi  •  Ma 
t*  ts  B>Uo>BsnT>  lulo  rialid. 

Indi 

T  PIÒ,  iiumig  pH  ■  a,  l>«  «111'  I 
Bota  n',  (lilba,  ebi  ooi  4Ueiiii 


H  ■!■«  MiU^^  •  nSr 


T*t.*Ki^Ì?" 


Bdls*  lui;  Chi  ^PJkIhk, 
^  OlHwl»  •IhIU^«MMhK>  ^ 
K'  Qnrt>  spmS  t.da  m'i?^ 
If  Dl.ud.1  ..%  pM  ìli?-!» 

c«l*«  -Irti.  f'S.'iyrfii.ii* 

Evirimi  pwMiH^Mrtirifc 
tv  Ci»  eh'  <D  ditt  i^ftìU  ntmt*. 


o  i|iia^  (DTt  a^fii  iHV  ili£. 


«CMUMiMlpiaM 


" '•^rMjjaM  w«MI 


BIMARIO  DBUà  DIVUIA  COMIIBDU. 


eo 


41 


I» 


M  p0Moa  f«r  lo  evor  loìtw  «  Dio,         S6 
là  P  mmh  M  moodo,  e  l' esMr  aiOi 
«pil  dw  fp«r«  o|pii  ledei,  eom'  lo, 


S*  Palla  sii  graDdt,  A  tè  ttawa  «do, 
Apri  xii  orai  •  rigvarda  qatl  too  fa»; 
Stf  fatto  a  Mtlcfler  lo  rito  mio. 

9^  La  fonna  qui  del  pronto  creder  ndo, 
14  io  rispondo  :  lo  credo  in  ano  IHo 
Non  moto,  con  amere  e  eoo  dieiot 

arcu 

Che 

B 
97*  Noà  ti  aanfigliar  ;  che,  dicrad*  io, 

Qvegli  di^  «arpa  in  terra  il  laogo  aio, 

Nella  preacnta  del  FigUaol  di  Dio, 
9^  E  di  (liù  Tincon  al,  die  verao  Dki  4S 

E  DioDiaio  eoa  tasto  dialo 

Che  li  nomò  e  dlaUoaa,  coat*  io. 
S4*  Di  bfoigna  letida,  te  allo  pio,  e9 

Ed,  Ella  oT'  è?  di  adito  diaa>  io. 

Mosae  Beatrice  ae  del  luogo  aaio; 
S3*  Gioso  a  Maria,  quando  il  flgliool  di  Dfa»  US 

Ma  Ticn  onai  con  gii  occhi,  A  con'  lo 

Di  qaeato  imperio  glaatiaaiao  a  pio. 


lir.  Prendeade  pih  della  Meato  ripa,  17 

7*    Ahi  gioflliiU  di  Dio,  bitodii  atipa 

E  parche  noatra  edpa  é  «e  acipa? 
Il*  In  aa  r  eatremitk  d'  oi^  alfa  ripa,  I 

▼enimow  aopra  piA  eradcle  atipa: 
91*  Ore  a'  tfghinge  coli'  otlara  ripa,  80 

E  TÌdivl  entro  terribile  Hlipa 

Che  la  memoria  il  eangne  ancor  mi  adpa. 
SI*  E  aon  nel  pozzo  intorno  dalla  ripa  O 

Come,  quando  la  nebbia  ai  diatipa, 

Ciò  die  cda  '1  vapor  che  l' aere  atipa; 

iplo 

PAt.  S*  apparecchian  di  bere  ;  o  buon  priadpio,  IO 
27*  Ma  V  alta  proTidenia,  che  con  Sdpio 
Soccorri  toato,  d  oom'  io  condpio. 

Ipto 

Pva.  Tal  che  parea  beato  per  iscripto;  44 

9^    Jm  $xitu  Itmet  d»  JÈfxptù 

Con  quanto  di  quel  aalmo  è  poacU  aeilpto. 

Iqiui 

Pae.  Benigna  volontade,  in  cui  d  Uqoa  | 

IS^  Come  cupidità  fa  ndl'  iniqua. 

Ira 

Isir.  Parole  di  dolore,  accenti  d*  Ira,  96 

8^    Facevano  un  tnmnlto,  il  qual  a*  af firt 
Come  la  rena  qaando  il  turbo  apin. 

7*    L'  anime  di  color  coi  Tinte  l' ira:  HO 

Che  Mito  1'  acqua  ha  gente  che  aeepira. 
Come  r  occhio  ti  dice  u*  che  a'  aggira. 

T    E'I  più  lontanddddehetnttogira:      99 
Questa  palude,  che  il  gran  pnzao  apira, 
\y  Don  poterne  entrare  omal  sena'  ira. 

Il*  Son  ci  puniti,  ae  Dio  gli  ha  in  iraT  74 

Ed  egli  a  me  :  Perchè  tanto  delira, 
Ovver  la  mente  taa  altrore  mira? 

%T  Che  mori  per  la  bella  Deianira.  08 

E  qnd  di  mezzo,  che  d  pdto  ai  mira. 
Queir  altro  è  Polo,  che  fu  d  pien  d*  in. 

91*  Per  fona  di  demon  eh'  a  Urrà  U  Un,      US 
Quando  si  leva,  die  intorno  ai  mira, 
Ch'  egli  ha  aofTerta,  e  guardando  aoapin  ; 

90^  Di  aopra,  che  par  «orgvr  della  pira,  SS 

Biapotemi  :  Là  entro  ti  martin 
Alla  vandatU  oorroa  toaì  all'  in: 


88^  Quando  IMaaitro  ad  dlaia:  Off  pvnln,  181 
Quand*  lo  1  aenti'  a  om  pariar  eoa  ira, 
Ch*  aaioor  par  la  memoria  mi  ai  gira. 

84*  Vano  di  noi:  però  dinanzi  mira,  2 

Come,  «aaado  una  groaaa  nebbia  apira. 
Par  dà  longi  un  muUn  die  'I  Tento  gin; 

PVK.  O  dolee  padre,  Tolgiti  e  rimira  44 

4*    0  igUuol,  diaae,  inain  quivi  U  tira. 
Che  da  quel  lato  il  poggio  tutto  gin* 

S*    Qud  da  Eati  il  fa  far,  che  m'  aTea  la  in   77 
Ma  a'  io  Coaai  fuggito  in  Ter  la  Min, 
Ancor  aard  di  là  doTO  ai  apira. 

14^  Dell'  antico  aTveraario  a  aè  tì  tin;  140 

Chiamavi  il  dolo,  e  intorno  vi  d  gira, 
E  V  occhio  Teatro  pure  a  terra  mira; 

19^  Che  farem  noi  a  chi  mal  ne  diaira,  104 

Poi  Tidi  genti  acoeae  in  fuoco  d' ira. 
Gridando  a  aè  pur  :  Martire,  martira: 

17*  Nd  qud  d  quieti  1'  animo,  e  deaira:       IS 
Se  lento  amen  in  lui  Tcdcr  ri  ttii% 
Dopo  giusto  pentér,  ve  ne  martini-  . 

18^  Gli  occhi  riToifi  d  logoro,  che  gin  09 

Quale  il  Maun  che  prima  a'  pie  d  min. 
Per  lo  Mo  del  patto  el»e  là  li  lin| 

SIf  Come  furò  le  spoglie,  d  dia  l' ire  HO 

Indi  accuoiam  col  marito  Saflra: 
Ed  in  infamia  tutto  il  monte  gire 

25*  Sovra  tant'  arte  di  natara,  e  spira  71 

Che  ciò  dio  trooTa  attivo  quivi  tira 
Che  vive  e  aente,  e  aò  in  «è  rigira. 
Pit.  Nabuccodunneor  levando  d' ira,  14 

4*    E  diate:  lo  veggio  baa  come  ti  tira 
Se  ateaaa  lega  a^  «he  fuor  non  spira. 

0^    Se  in  mano  al  terzo  Cesare  si  mira  80 

Che  la  vita  giustizia  die  mi  spira 
Gloria  dt  fcr  vendetta  alla  sua  ira. 

7*    Di  complessKin  putcnsiata  tira  140 

Ma  noatra  vita  senza  meno  spira 
Di  se,  si  die  poi  sempre  la  disira 

IfiP  Che  1  uno  e  1  dtro  elerndmaata  apin,      9 
Quanto  per  mente  o  per  ucdiio  ai  gin 
Senza  guatar  di  lui  dii  ciò  rimira. 

IS^  Sempre  1'  amor  che  drillaiuente  spira,  9 

Silenzio  pose  a  quella  dolce  lira, 
Clie  la  drstra  del  cido  dlenta  e  tira. 

18*  ffullo  creato  bene  a  se  la  tira,  80 

Qude  auvreMo  'I  nido  d  rigire, 
E  come  qud  cb'  è  pasto,  la  rimira  ; 

VP  D' entrar  ndl'  alta  ruota  che  vi  gira,       HO 
A  Voi  divutaioente  ora  aoepira 
Al  passo  furie,  che  a  aé  la  tira. 

28^  Qnaggiò,  e  pia  a  sa  1'  anima  tira,  80 

Comparata  al  aonar  di  qudla  lini 
Del  qude  il  cirl  più  chiaro  a'  insaura. 

SIT  Mi  trasse  Beatrice,  e  disse:  Mira  128 

Vedi  nostra  dtta  quanto  dia  gira  I 
Cha  poca  genia  omd  d  d  diaira. 

irano 

PAt.  Priadpati  ed  Arcangdi  d  girano;  I2S 

2SP  Queati  ordini  di  au  tutti  rimirano, 
Tutti  tirati  aono,  e  tutti  tirano. 

Irei 

l!<r.  Noa  Ti  dbpiaecU,  a«  ri  laoa,  dird  198 

SS*  Onda  ad  ambedue  poadamo  uadroi 
Cha  Ttgaaa  d' aalo  ioado  a  diparlird. 

Ir« 

Irf.  Nd  fuoco,  percbò  apena  di  Tcaira,         HO 
1*   Alla  qua'  pòi  aa  la  fami  MUt%> 


BUAIIO  DELLA  DIVINA  COMIIEDIA. 


71 


Chi  wuàn  fa  lopra  tifitA  Miro; 

4*  Che  quegli  •pirli  eh*  OM  t' «ppuln,         13 
Ma  toUi  rinno  bdlo  il  prioM  gln^ 
Per  lenlir  più  •  mcn  l' ettrM  tfkn, 

8*    VcAito  a  Doi  TCBir,  laneiaodo  U  gli»        M 
E  dentro  a  <|IMÌ  ebo  più  inntol  igpiriw. 
Di  riadir  bod  foi  Mua  àukn. 

Hf  Giu«o  In  Cieldaom,  «I  «M  éa  mtifln    fH 
Vedi  oltre  flammeggiar  P  ariate  i|ln 
Ote  a  eonuderar  fa  pM  èht  «in. 

1 1*  Fa  per  Onorio  dall'  etano  ipin  fS 

E  poi  che,  per  la  tcte  del  narthr», 
PrrdicA  Cristo  e  gli  altri  che  il  aagolro; 

l|P  Cominciare  a  Tederà,  e  fare  on  gin  74 

O  vero  afavillar  del  unto  spiro, 
Agli  ocelli  miei,  eh*  nati  aòl  toffriro  1 

18*  Pensa  che  Pietro  e  Paolo,  che  morirò        ISI 
Ben  pooi  ta  dire  :  lo  ho  fermo  il  distro 
E  die  per  salti  fu  trailo  a  martiro, 

23r  Onde  si  cumoava  il  bri  lafBro,  101 

lo  sono  aoMre  angelico,  che  giro 
Che  fa  albergo  del  nottro  diaira; 

SIP  Alla  aia  Duana  diritab  lo  spira,  B 

Ed  ella  :  0  loca  eterna  del  gres  Tiro. 
Ch'  ei  ptirib  già,  di  qocslo  gaodio  auro, 

SP  Soa  lo  dao  loci  solo  che  salirò;  I3B 

A  questa  Toco  1*  ialaaraiato  giro 
Che  si  faeea  nel  soon  del  trino  spira, 

SI*  Ond*  egli:  A  terminar  lo  too  disln  OS 

E  se  rignardi  sa  nel  temi  giro 
Nel  trunu  dte  i  sooi  merti  le  sortirai 

12*  Clie  sempre  sanU  il  iiaerto  o  il  sarfin    O 
E  sotto  lai  eo«l  aHmr  sortirò 
E  gli  altri  ala  qoaggiè  di  gira  la  ginw 

Inro 

Pab.  Romani  incontro  a  Brenno,ineoatfe  a  Pirra,44 
t*    Onde  Ton{uato  e  Qoiaiio  che  dal  dm 
Ebber  la  (lama  cbt  toloaUer  mirro. 


Uiela 


111 

m 


44 


Pat.  La  picdola  tallea,  era  ona  Msda,  OB 

IP    Tra  l' erba  o  i  fior  venia  la  mala  slrifcia, 
Leccando  «omo  bestia  che  si  Usala. 

tv».  Trovai  por  sei  le  lettere,  ebo  Ineiso 
I9P  A  «he  guardando  il  mio  Ooca  aorrba. 
IIP  Fino  alla  fine  col  Bgliael  d*  Ancfaise, 

Foi  quando  ftor  da  Boi  tanto  diviso 

Nuoto  pensier  dealro  da  me  si 
TT  Volemd  ster  di  qaat  indi  sorrise. 

Poi  dentro  al  fonco  lanaui  mi  si  mite, 

Che  pria  per  lunga  strada  ci  diTlso. 
fu.  Come  nel  lume  di  qoel  elei  si  mise, 
8P    E  se  la  stella  si  cambi*  o  rise. 

Trasmutabile  sua  per  tatto  fuisol 
iO^  E  si  tutto  il  mio  amora  la  lai  si  mise, 

Non  le  dispiacque;  ma  d  aa  ao  risa, 

Mia  meala  aaita  in  pia  cose  diviso. 
aSP  A  eontemplar  qoetti  ordini  si  miao. 

Ma  Gregorio  da  lui  poi  al  divise; 

la  qaasto  del,  di  sé  medcsow  riaa. 

lai 

Por.  Teaaado  (^  occhi  con  fatica  Od 
li*  O,  dlMi  lai,  non  se'  tu  Oderìd, 

Che  alluminare  è  eiaamata  in  ParidT 
Par.  Di  tntte  le  suo  foglie,  seno  assisi 
aP  Dall'  altra  parie,  onde  sono  Inlerdd 
Qoel  ek*  a  Cristo  fenato  obbor  II  Tld. 

ISBMA 

Hr.  Seasiaator  di  Mandab  e  di  i«i 
SS*  Un  diavolo  è  qua  dlctm  che  n' 
Blmetteado  ciascua  di  questa  risoM, 

lami 


19 
Ili 

n 

Zi 


Mr.  lodi  mpper  la  rasta,  ad  a  (\agglnl 
40"  tn  tmmtm  aoa  saria  pelata  dird 
l-frciiè  al  Maestro  parve  di  paiiM. 

Irti 


*r1ll 


l>r.  Disse:  Dentro  da'l 
'iC  Maestro  mio,  riapoal,  ] 
Glie  co^  fa«s«,  0  ^  ' 
PCR.  ivd  ora  intendo  aiodfaf  qoegll  apirM 
4"    Coa'  io  r  ho  tratta,  aaria  luago  a  dirti: 
Gmdocerlo  a  Tediti  o  ad  adMl. 


47 


05 


Fra.  F.r'  lo  di  là,  rispose  qartlo  spirto, 
21*  Tanto  fu  dolce  mio  vocale  «pi rio, 
Dtfve  merlai  le  tempio  ornar  di  mirto. 


Prt.  Federifi  MicHm,  e  quel  da  Pi«a 
<r    Vidi  Còatf  Of«o.  e  r  amma  divisa 

Girne  dirva,  non  per  eii||>a  oimmi«a; 
Par.  Crrdfntli)  quella  quindi  e«M'r  •lecisa, 
V    V.  for«e  «oa  sentenda  e  d'  altra  guisa 
Con  ioleniion  da  aaa  esser  deriva. 

iMhlo 

Par.  Si  qai«l6  con  rN^n  il  iIdIcc  mi*cbio. 
Iti*  Si  e<>uw,  [irr  ff»- jr  fgtic»  o  rischio. 
Tolti  §i  poséo  ti  toatr  d' aa  fadiio. 


se 

17 
:ì3 


431 


PAt.  Quanto  aaa  difetliTl  sinofinal 
i  <*  Chi  dietro  a  Jura,  o  ahi  ad 
E  chi  regnar  per  fona  e  per 


1.1  r. 
8P 

38* 

POE. 
i* 

r 

4* 

ir 

ir 

SOP 


Qodla  lettara,  o  oeslorBed  a  elao:  i3l 

Quaado  loggeunw  U  diaUlo  riso 

QueOI,  ofaa  aal  te  BO  aoa  ta  dielaa, 

Soolopl*«Hte!aagUm'oraavTlao      IO 

Chi  è  ia  ani  «mo,  cho  vioa  d  diriao 

Ov'  Eteoclii  eoi  ftatel  (k  miao? 

D' aa  giunco  scfaidlo,  o  che  gU  Uel  1  nao,  n 

Che  aoa  d  «oaverria  l' occhio  aerprtn 

Ministro,  eh'  è  di  «ad  di  Paradisa. 

Tu  aiP,  cad  aadaado  Tolgi  1  tIso,  lOt 

lo  mi  ToM  TOT  lai,  0  gaardail  Iso: 

diriao. 

123 


41 


Amar  dd  san  aaitdfo  folpr  «In^         407 

E  pcreU  lBtcad«r  aaa  ai  p^ 

Da  qarlloodlanagBlaflMIoi 

Veggio  Mi  AiagM  aalnt  la  liidaUaa,       M 

Seggiolo  aa'  altra  ToMa  oaaev  drKf«M\ 

E  tra  «aarV  \%di<««L\  ««mv  «mìk^». 

M%i  aoa  V  %>w\  tSM«aa«Jw*«  a^  "^'^V 
06  tte  V  an^dlVo  '\%  lih  wi«%  • 


niHiinio  DCLLit  ntniu  ramraru. 


U-  M  t*«v  wl  M  (li  «ii'kd  rwiln.      31 
39'  Ot  iMInitiill  Milli  pn  bitn,  01 

Col  F  ulte  pwo  «In  IB  «**. 

I«- Irsuto  Itomi  dal  (iiulii  Sin,  <e 

Mg  •nHuds,  M  nhllnilt.: 


t  pai  MhU  li  rilui4i  olM, 

<«■  Caflul^  Il  Jin^T^  i>  i^ln 
UI.«w.liM^.d0..llr> 
toJ  U  piluiD  r«ni,  M  o.  inln. 

IB  qQvIlB  p«rU.  ot*  torg*  Id  apTLn 


Tuia  u>- U  «  ^  p«ta  ÀUn. 
Oli  DM  ww  Mi  w  nlla  (Un: 


«■    Il'•^■•lt•UBILt4lll>•1l•'•c■plri:       IIB 


0  *iMu  •  nL.tti'^Ji'ìlSr 


ì> Ha  I        'Tt'l"*—   . 


&Mi.i.pi,ui.««_.^sr 

nt  ht  <i  ■■11.  MjrZ-uJiiijiir 

rv  wntidu  -— -nfclMWT 
ir  cu  (.  T«n<n,'q«ui,  £!?!3_ 


RIMARIO  DELU  DIVINA  COMMEDIA. 


73 


B  dinuida  m  fai  eoa  prieshi  mista. 
P4ft.  Predar!  eoM  ai  «i  fcc*  in  Tisttf  $8 

V    Per  Itlintr  luca  felgor  •'  acqouU, 

L*  ombra  di  fuor,  come  la  mento  è  trltfa. 

13"  Smilemento  operando  air  articta,  T7 

Però  M  il  caldo  amor  la  chiara  Titta 
Totta  la  pcrfeiion  qaiTì  s  acqaista. 

14*  Veloci  •  tarde,  rinnoTando  Titta,  US 

MoTeni  per  lo  raggio,  onde  si  luta 
La  gente  con  Ingegno  ed  arte  acquista. 

«P  Da  poter  arme,  tra  Marte  e  il  Batista,       4T 
Va  la  cittadinanza,  eh'  è  or  mista 
Para  Tedeasi  neir  nltimo  artista. 

W  E  il  doca  Gottifrcdi  la  mia  Tìsta  47 

Indi  tra  l' altre  loci  mota  e  misto 
Qnal  era  tra  i  cantor  del  cielo  artisto. 

3af*  Per  farmi  chiara  la  mia  corta  Tista,         I  iO 
E  come  a  bnon  cantor  bnoo  cttaristo 
In  che  più  di  piacer  lo  canto  acquisto  ; 

ir  Silloginar  sensa  aTere  altra  Titta;  77 

Allora  adii:  Se  qoantonqne  s' acnista 
Non  t'  aTrìa  laogo  ingegno  di  aefista. 

90^  In  questa  vita,  insino  a  questo  Titta,        29 
Ma  or  conTìcn  che  il  mio  seguir  desista 
Come  all'  ultimo  suo  daseano  artista. 

31"*  Occhio  mortale  alena  tonto  non  dista,       71 
Quanto  b  da  Beatrice  la  mia  Tisto  ; 
Non  discendeva  a  me  per  messo  mista. 


tote 


71 


Mr.  Quando  n'  apparTer  dno  figure  misto 
2S"  Persi  le  braccia  dno  di  quattro  listo; 

DiTeoner  membra  che  non  fnr  mai  TÌsto. 
Por.  Tra  la  menana  e  le  tra  e  tre  liste,  410 

39*  Tanto  salivan,  che  non  eran  Ti»to; 

E  bianche  1'  altre  di  vermiglio  misto. 
31"  Rispondi  a  me  ;  che  le  memorie  tristo        41 
Confusione  e  paura  insieme  mitto 
Al  quale  intender  fur  mestier  le  Tiste. 


totf 


ea 


Ijir.  Se  ta  mangi  di  nei:  tu  ne  vestisti 
33**  Qneta'mi  allor  per  non  farli  più  tristi: 

Ahi  dura  terra,  perdio  non  t  apri^? 
Prn.  Poi  dimandò:  Quant  e  che  tu  Tenisti         56 
8"    Oh  !  dissi  lui,  per  entro  i  luoghi  tristi 

Anrnr  die  l' altra  si  andando  acquisti. 
Par.  O  Buondelmonte,  quanto  mal  fuggisti       440 
40^  Molti  sarebber  lieti,  che  soo  tristi. 

La  prima  volta  eh'  a  città  Trnisti. 

iato 

l^r.   Da  bocca  il  freddo,  e  dagli  oedii'l  cor  tristo  38 

xr  Quanti  io  ebbi  d' iatomu  alquanto  Tist«, 
Cite  '1  prl  ilfl  rspo  avéne»  insieme  misto. 
f\%.  Si  come  dell'  agricola,  che  CaifTO  74 

12?  BfU  psr%fl  messo  e  famigliar  di  CaitTO, 
Fu  al  primo  cnn^ìglio  die  die  Cristo. 

4  V*  Clic  in  quella  croce  lampeggiava  Cbbto,  lOi 
Ma  dii  («rende  sua  cruee  e  segue  CavfO, 
Veggcnilii  in  queir  albór  baleodr  Caino. 

\T  Kun  kali  mai  chi  n'm  crrdrtte  in  Caiaro,  401 
Ma  vedi,  molti  gridan  Caisro,  Cbbto, 
A  lui,  die  tal  die  non  conobbe  CaifTO; 

'2(r  Quel  ciie  tu  vuoi  udir,  perch'  io  l' bo  Tbto  4 1 
Non  per  avere  a  ««  di  bene  acquisto, 
Pute^u*,  ri<kplendrnd<i,  dir:  >usst*to; 

tr  ^nia  battemmo  perfetto  di  Crutto,  83 

RÌKuariU  ouiai  orila  faccia  die  a  Crvio 
Sola  ti  può  disporre  a  veder  Cristo. 


totr» 


Inr.  Del  lungo  scoglio,  pur  da  man  tfalttra,     53 
W  Già  Ter  lo  fondo,  dove  la  ministra 
Punisce  i  falsator  che  qui  registra. 
Por.  Viene  a  Teder  la  gento  che  ministra  5'J 

SIT  In  su  la  sponda  del  carro  sinistra. 
Che  di  necessità  qui  si  registra. 


ita 


4 


77 


Vi 


SS 


Iiir.  Nd  mesto  del  cammin  di  nostra  vita 
4*    Che  la  diritto  Tia  era  smarrito. 
4*    Cbe  di  lor  suona  su  nella  tua  Tìta, 

Intanto  Toce  fu  per  me  udito  : 

L*  ombra  sua  toma,  eh'  era  dipartita. 
(T*    Mi  pesa  «ì,  che  a  lacrimar  m' invita: 

U  cittadin  ddla  città  partita: 

Perchè  l' ha  tanto  discordu  assalito. 
48"  Guidnguerra  ebbe  nome,  ed  in  sua  Tito 

L' altro  di'  appresto  me  1'  ama  trita. 

Nel  mondo  su  dovrebbe  esser  gradito. 
24*  Ecco  un  degli  anzian  di  Santa  Zito  :  38 

A  quella  terra  che  n'  è  ben  fornito: 

Del  no,  per  li  denar,  vi  si  fa  ita. 
29?  A  lui  che  ancor  mirava  sua  ferita,  77 

Chi  fu  colui,  da  cui  mala  partita 

Ed  d  rispose  :  Fu  frato  Gomita, 
Por.  0  induraste,  vi  puoto  aver  vita,  40t 

4*    Poscia  non  sia  di  qua  vostra  reddita; 

Prender  il  monte  a  più  lieTe  salita. 
4'    Di  fuor  da  essa,  quanto  fece  in  vita,         431 

Se  orazione  in  prima  non  m'  aita, 

L'  altra  cbe  vai,  che  in  del  non  è  adito? 
0*    Che  ne  mostrasse  la  miglior  salito  ;  88 

Ma  di  nostro  paese  e  della  vita 

Mantova....  E  l' ombra,  totta  in  tA  romita, 
7*    Quanto,  più  die  Beatrice  e  Margherita,    428 

Tedeto  il  re  della  aempUce  rito 

Qnetti  ha  ne'  rami  tuoi  migliora  otdto. 
V    Venni  ttamane,  e  tono  in  prima  vita,        59 

E  come  fu  la  mia  risposta  udita. 

Come  gento  di  subito  smarrita. 
44"  Pria  die  si  penta,  I'  orio  ddla  vita,  42X 

Se  buona  oraxioo  Ini  non  aita. 

Come  fu  la  venula  a  lui  largita? 
48"  È  da  materia,  ed  è  con  Id  unita,  50 

La  qual  fenia  operar  non  e  sentita. 

Come  per  verdi  frunde  in  pianta  vita. 
W  Né  più  salir  poticti  in  quella  vita;  410 

Fino  a  quel  punto  misera  e  partita 

Or,  come  vedi,  qui  ne  son  punita. 
TBt  Ester,  cb'  io  foasi  avaro  in  1'  altra  vita,     32 

Or  sappi  cb'  avarizia  fu  partito 

Migliaia  di  lanari  hanno  punita. 
23?  Nel  qual  mutanti  mondo  a  miglior  vita,     77 

Se  prima  fu  la  po^sa  in  to  finita 

Del  booo  dolor  di'  a  Dio  ne  rimarita, 
Sir  Di  mia  seconda  etade  e  molai  vita,  KTB* 

Quando  di  carne  a  «pirto  era  salito. 

Fu  io  a  lui  men  cara  e  men  gradito  ; 
PàR.  Lttdda,  «pesta,  si>lida,  e  pulita,  32 

3?    Per  entro  ȏ  1'  etema  marglicrita 

Baggio  di  luce  permanendo  unito. 
4*    E  differentemente  bau  dolca  «ita,  V* 

Qai  si  moslrsrun  non  perdiè  Mwtito 

Della  ccle^tial  e'  ha  men  salito. 
6*    Coni  diventi  «canni  in  nostra  vita,  425 

E  dentro  alla  pre<^nte  marglicrito 
Fu  r  opra  grande  e  bella  mal  gradita 
T"    Questa  natura  al  suo  Fattore  unita,  3^* 

i         Ma  per  sé  stessa  pur  fu  cU%  ^vadAN% 

1 


niXtRIO  DEI.LA  OrvINA  CONKGnik. 


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a.  qnK'  t  ■  TU,  .  mH.  t  (B  1  ri», 
'  SI  Uhi  ti  M>,  miih  (bnii  m  fKi, 


CM  la  Auil:  Di  h»  ■ul'tù''rit> 


girili  TJàli,  N  StrH 


w  ihvr  ontani  una  vUa  q^ti 


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PCMrllrMMriiglini^JÌlìui,<£%    ■ 

I*  ifiwla  Midi,  it  ■•  iHna  IT  tItI 

Kd  wv  «  lornl*.  «nrifl  Iv  la  tatiL 

Cl>' •  of  4h  •alh  llnhla  nifi. 
a,  Da'bimt  iiilrll,  ila  laa  (lift  allM        I 
'    E  ^an^  Il  Mri  (afglB  «(il 

M  nn  aKta  h  h  pa^  ■■  4ii. 
r  I.  laiprfa  tw  pM  HtiuhiIi  oatil,         I 

M  lai  II  im  )Hi  4lTml  ilit. 

r  oa  ti  11  Imi,  ad  «ak  nuar  hM, 
TaUI  Eobr  <lf  a  jiid  Mt>  ani  Hi 
Ew>  U  «IMa  if  aad  Aa  •■■  nn. 
«a  ir  al  h  ta(U«Ja  ar  iri  i**!» 


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ilUMaJo,  «m:  OiM 
mIhmM  untamptauÌL 


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B  «■!  sU  TE«  g^'  u»  ÌMlin 


r».  IAu>  tlUlrta,  •  UB  (un  (MIUll^ 


r    CilisKl*,  *  Mito  H  iMr 


U>  n  «Hill  Mil«,  mJ'  w)  la  pAaUa 

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IS-  a»  •ulM»  .1  wl,  t»  41  (tu  IMe,      n  ^^M 

H' Lb|. lab  Dw^* M Ianni  (Il  «bl  H 

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Li  Ànili,  puuwk  pd  iilU  Ma  (nfUi,  l»l 

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Pi  t.  rrnaiiil  vanpn  fid<[  M  riuilM,  IM 

CI»  mi  Miei  ràlir  liUi  mU  HClIt, 

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Tialg  chi  hIi  im  1  InUo  U  Bi(lb. 

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S  ruU  •ili.,  JiiriN  ••  H  Btm 
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Vili  ifKBÀtm  IR  plk  lU  nulli  i^liii,     II] 

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CoiH  ^u^  «D|U«dv  liiikdl  *  ltt|Ut, 

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dia  l' in  «1  t^o^et  ncflollft, 


E  h  «ur  11  irhà  atKll' t  Mll; 


CM  Mi  diluì*,  aa  U  liKU  iiiiilU 


gr  Cb<  Il  M  •«!>,  M  h  Ima  KtriU, 
ir  CU  |i«4i  aul  pu  aa  rimi*  W.IU 


•M.<M'«utr>t 


lo  IT»  Ili  ÌJ,JÌI  II  mu»  anilll, 

a.!  Hill  lui  ^ÌTtn  Bii  uum. 


ta!'.X^,ti 


ir  II  Mimi  A  «hM  ioIIL. 
imUÌ,  Mlat,  Irtw,  I  »IU, 
<  aiMUt  iJ  iMh  ■  amili  riglU 
n4«tHlin4UM)tglU. 


[V  loT  Hl'l'l  4*  «(^  hUi.  •  «ilU 

BBlIt  M(  DS  ilalb  t  Hl^bl 

E  ni  ci'  >U>  nu  iuln  II  h  nUa, 


r  w  «  vii,  <k«  urli,  aJ  •  ( 


(■f«>  •  lU  «4»,  fat"  •  H^l 

p  n'ilLii  *Vm,  •  »  diiuu 
n£«|UrMMMiMU< 


BnUHIO  DELLA  Dm»  €i 


VUi  il  ni  kc^H  Jh1i>  OHI  nialla 

S"    Sìi^E™ll«»«in  m  *•! '«Ita, 
0/  Bllr  firiir  ili  MI  liU»  Hill". 


RIMARIO  DELI  l 

iVINA  GOSHRDU.                                     i 

E.  H  lult  Utd»  Il  Uum  ummL 

FtlL.  T  ,n  ■UanliU.uÌD  ■  4  In  (nimi 

at-^SiiS--^* 

:•   Or<lrtiHUil»><iBdd.irin(l«i: 

n 

QD.ir.<».u,hid.«..i«^j 

r«iM  d^  rum,  wc  k.  ipr.  tam, 

S'     DL  Bl^.  Jl  S«U  •  «  CcotHE, 

l>luulJt.n>|na«UÌH.aJ. 

IM1|»Iil  (U  in  troll  ti  oroiit 

Mch.l.Vl<d«l4.Ut>J.U: 

E  U  HDtt  SiH  :  UcìmM  U  i~<anr 

■  0"  F.r  d.  Hi  EMIn  •  di  It  Tir  «mi. 

Ctd  dtcr  It  llllt  di  UUh 

Mi  Ht  l' iDru»  lipi»  •  l' ii-BK  ; 

E  oul  t  q<Ki  chi  «4.,  .  DM  >i  amo, 

Oj'.lW.pnM,Bch,|.,.l>«™, 

is"  oti'  <iu  bfllf  u»n  1  wiu  t  m, 

CU»1.I»V»>>'>>11-(I<». 

rMi..«(tL«»Ui.><.un.>, 

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M  ^luD  n  DU  r  I»k»  uhi  idM 
Sirn  br  lulU  ^  fU  pinmi. 
SEbrt.  .  ilt.  li  firtjg^i, 

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HIMAHIO  DELLA  D 


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w  t  ruipMU  41  DI  dall'  iiin  'pgn'a, 

n°  0(M*  ■  «wU  CuUa  •nmidt,  < 

It  riMiJ  ItUt  luUHia'  i^d> 

SI  prB|l4ri  ptricU  Citn  rupuoHh. 

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IS*  ni  U  lUb^i  :  •<  dU  ■  iU  luiHidi, 

r«d>l  II  «ÌodU  ■!  dlHHndi: 
M*  Uivr  di|U  ocelli.  dduniliiBl  lU'  sodi  ' 


KIK  uMn  U  M^i 


*•   OiiUMinhd,. 


■"    CM  al  rmfgll  A'  lalanka,  «  ni  bihh1)4«    &: 

&i  nde  fljur  plb  «il™  ehi  Ih  Frimd*. 

Npo  wlll  luti  •!  |«f»l«  d<tl'  oaj^ 
U  lui  II)  ••III  III  ifil  ■aio  t)  nuuBdi, 


r«iM.  H  !■  ■[!«  tM*  (in^ 


r  B4  k;  o  «Mtan,  rt.  n  bSi 

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Chi  trtufialp  «d  «lliiin  rialJfff»! 
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S>tHi  I.  i^U.  4ieln  JtUt  BSf  pi, 

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B  «gii  Hliu  <W  M  nati*  d«  <»  °<K 
DMiKti  1  mira  II  iM>  «U  ).<^i 


niutnio  nF.u.A  divina  cosuRniA. 

E  iU,aa  aUt  agi  qMUI  aorta. 

Uf-I.JiT.m.B.knU.rt^'^ 

PoMt  III  A  U  a  r  va*  plfr  boia. 

Ubbidir.  dU;tft«dM.»rt.,                n 

■fa.  .».,„,  i«i,«diiH:;.i,(brt. 

■oli. jol  (l»i<l.  H»!  «Hil- -^ 

si„i™ì:°X*^^ 

PdtwhKiiUiiloilliaputt                  HC 

IIP  K»  U  pant  o«<a  aoia  U  Ma, 

U  lur  qGBl.  quHt  ti  MBl-rto 

La  UtIu  Hllllati.  .  «oul,  t  l«U. 

CI.,  don  ^^  a  la  lUt  uo'wU. 

<7-  Nuando,  0  Ji  «Hda  daUl  Ma. 

9»ll  iilTi  •.Ic.giii  rf  npn  •  fori.,     S 

Tute  t  iiiim,  (h.  pM  t  rlk  aoHi  1 

:<■  Co»  libi»  OHM  H  «imU  ihU 

DM  MI  alln'M,  'Wl.  ("h.  «rt.. 

Il..^n.-.,a4,*.'.'^rt».rb, 

Vliijy<*»lmnm  |ll  h  «  hriit           41 

A  .(aaal.  Bau.  t»  la  Ih  tasaaria. 

m>  L,^::^»  bapanJan,  «ri  la  «irta, 
a  Oa,  «Ma  n  w  A  «Ma  Colto, 

W  PmMmShI  pl«r  II  brt^           «DI 

[glaaUnalMlIMMfart., 

af  Ti(»  rinalia  adi  OHM  oht  hr  porto, 

QMtar»l.d>l<»<l  hi  porta.' 

Lo  bf,  «.  (.  M-l.  ^Hal.  C^^ 

Kri..XpaHl..b,.1..>fl^ 

0  Bullo  r.^rh».p..«  «.parta 

siiSrSi.'S.S"" 

H.l«ul  la  iUpa,  rtanH.ru, 

orti 

l'r.   FarilU  4a  artartl  ihi  ton  laDaU. 

Td«^'I.UI.p.»l.p-l., 

r    DI>.:p.lUlia11a,pafiHilpartl 

PII.  Hata  U|Ba  oaHlaa  ahi  U  paia 

^ItatìS  'J^^H  I^'        " 

"s.7i3S™r„fs2 

£Snii'jìS'i™»i'ur^      » 

(!•.).  d>..ialan.o.HM(<l, 

r.  ibB  •!«  M<«u  «•  »»«., 

Cb.*bMU>.l-„«lbcK                lOT 

ig-  flolmido  p.«  ma  (H  tllfl  ■»!  aaaaartl. 

AIW  t_rtU  pi*  d>  Bll  11  Birtii 

Edt,Ua.>.:l.b.n,l.k>lallpa<U 

D.l.t«^idlrt.*.'™llortL 

rM  (Un'lli,  da  h  J  alpn  •  brìi,        H 

IF  E IdaapU Malora. all' naoortl. 

roaala  II  pUJMrtnbHlOM  attorti 

r.i.^ir,|ioiu.4i,«i.ulo::(,rtL 

rU,.il»UM1,«mM.ì.i,h^        « 

giiTi  pr.«»<H*l>BnlitHU 

^  f.  pu«  b  bM  ■•n^brta. 

atsi-jss;:»"-  ■• 

Mai>(U  K*l  rna  Mnn  II  <dfl  pgrb; 

PciL.  A  ab.  di  lai  di  la  HTdb  filili 

f   N.dIo,amo|i.tolUp.fl£r>Mi. 

■  ta.p»l.l-l>Hl»H.rt..^ 

<I.l'llao.d.l<l.lB.[«W>rtl 

Tt  piM*  <P  !«•  >•  «no  «ri*,              <T 

r    tUoaa&rlotrali.aiataooiailMwU 

gr;.^ti''.s.-s;:'::rì'- 

B  qoand^  hr  ao'  caHial  fiatarti 

O.:dIa.rtdl0M«l.ll.MI, 

rH>>^iMi«ufcud..»brt^      1 

ti*  «aporiila  ^  <M  <glU  1  ■Mnwrtl 

ìf  Noli,  vaiato  n'  ta  «^  riil  sirtl. 

Tnli  li  »,  ll''™^m  iemU. 

TdHnl  «n>  ■»  k  W»  ■wU, 

ladl  >.'  ho  Inda  aa  (H  mai  anliril. 

Q.Ì  ,1^  »«  In..!..  ..  «  .WU. 

a.Mx»,^tt„lliimt.Umlmli. 

r^£»^Mp«.b>,ln»l»«<^       41 

M*  Ula  uhila  IH  •!■■  llt  corlL, 

TMIxIa.  |»iM  m^iit|>iu  p«li 

Nt  4_l>  ItotUI  e  «Hlo  <••  Mrtl, 

M-4.1.-«..*pS'f«U.'^ 

LI  priHbl  bM,  c4bh«^  ìm  pam 

0««t«nm.,»(..1(_l.rt>.          M 

r.L  T*1U  KtUi*  p«  «tana  laill, 

Ts  hU;  •,  d  mh  H  n  m  |h4> 

M  tlw  all'  •  ■>  «rm  iHi  ■.rtti 

Co  i4Mo  1 W  4M0  eha  k  pirU. 

M  H-H  ta>  •  Itili  T>Un  Mlk             W 

If  cu  iN  <r|ui  M\  amo  aua  Mi 
TiPtool^iriiibJ^aaaarti 

ti  iHln  HriU  n  •_«  poti 

CW  <bI  rinh  a  ■•  lalli  >u  «ta. 

CW  bai  iHilnr  «Uà  <!>  Hit  Biril  < 

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Cb'aDtoaJa'EiDd.lpUHiDaaaaiBOli:  41 

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llbc  VlrfUlD  itMt:  niU  Unta, 


StS'SJl" 


SHiatSSs 


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UUr  ni  4I>H  :  Qui,  JCjillm  (..ù 
Ohi  d\Rtn  •—^■!f  l'"'  ■>^*. 


Hi  •gu4>  (Mi*  UJa  m'''  C«>* 


ETtJianas 


llnnl  cU  *  nam  MWit  «Imalcl 


r  ilfriM  ^a  «tafs  ■»<>  "<^ 


RI  MAH  10  UKLU  DIVIH*  COMIESU. 


1  santa,  bvU  ud«  iL  Hola, 
'  tlln  puk  tf  ma  li  jnol* 
mia  A-  ^  baniTU  la  rota. 
—i.  ■ftilJ^.li'ilLiTL  pmnl 


I 


lH»(  M  >i>i#qM  U  Ino  iri, 


y  ni»>»w*wCWl3tVfcw^'' 


Minisela  la  a  tdte  Mb. 


RIMARIO  DELLA  DIVINA  COMMBDIA. 


101 


«U  McM  ri?  «U  ti  MM  ai  qoMlo  motto, 
Par  BM,  pw  ■«,  •  il  IwM  eb'  «ra  retto. 

yt    Che  III,  doT«  parcami  in  prìoia  sa  rotto,  Tt 
fidi  ODA  porta,  •  tro  frodi  di  tolto. 
Ed  on  port>or  eho  oocor  non  facon  OMtto. 

41^  L'  •ni'na  mio,  del  tormento  di  sottoL       137 
Ed  olla  a  mo:  Chi  V  ba  dnn<pM  ooodotto 
Ed  io:  Cottai  eV  è  meco,  o  non  fa  motto: 

41*  a,  cbo  »i  fa  doUa  rendetU  ghiotto;         422 
Qoetto  triformo  amor  qoaggin  di  aótto 
Cbo  corre  al  ben  con  ordine  corrotto. 

23*  Io  ti  credea  trorar  laggiù  di  fotto,  R3 

Ed  egli  a  mo  :  Si  toito  m'  ha  condotto 
La  Nella  mia  col  ano  pianger  dirutlo. 

30^  Ed  a  coloi  che  1*  ha  qos5»ù  condotto,        440 
L' alto  frto  di  Dio  aarebbo  rotto, 
Poaao  gnatota  aenaa  alcnto  acotto 


lar.  Hi  veggio  Intorno,  comò  eb'  i'  mi  mera,      5 

•*    l' oooo  al  terrò  cerchio  della  piova 
legola  0  qualità  mai  non  l' è  nova. 

S*    Non  abigoUir,  cb'  io  vincerò  la  prvova,   42i 
Qoosta  lor  tracotanza  non  è  nneva, 
La  qual  senza  aerrame  ancor  ai  trova. 

44*  Perchè,  io  co»a  n*  apparitco  nuova,  428 

Ed  io  ancor:  Maestri>,  ove  ai  trova 
E  r  altro  di' che  ai  fa  d' oaU  ptovaT 

27*  L' aquila  da  PolcnU  la  ai  cova,  41 

La  terra  che  fa  già  la  langa  prova. 
Sotto  lo  branche  verdi  ai  ritrova. 
Pon.  Ch'io  solva  il  mio  dover»,  anzi  cir  io  maova:  02 

40^  Coloi,  die  mai  non  vide  ooaa  nuovi. 
Novello  a  udì,  perdiè  qui  non  ai  traeva. 

43*  Spirilo  eletto,  ae  tn  vuoi  cb'  to  amova     4  i3 
Oh  qoe»ta  è  ad  adir  ai  eoaa  aaova. 
Perù  col  progo  too  tolor  mi  giova. 

34*  Si  sente,  si  elio  snrga,  o  che  ai  maora       89 
Della  mondizia  i  sol  voler  fa  praova, 
L'  alma  sorprende,  e  di  voler  le  giova. 

22*  Che  porta  il  lume  dietro,  e  sé  noo^va,  68 
Quando  dicesti:  Secol  si  rinnova; 
R  progenie  discende  dal  del  nuova. 

3flP  Che  si  alti  vap»rì  hanno  a  Inr  piova,        443 
Questi  fa  tal  nella  «uà  vita  nuova 
Patto  averebbe  in  lui  mirabil  pruova. 
Paa.  Ma  perchè  sappi  die  di  te  mi  giova,         437 

9*    Sempre  natora  se  fortuna  trova 
Fuor  di  sua  regioo,  fa  mala  prova. 

St    Beato  spirto,  dissi,  e  fammi  pruova  2li 

Onde  la  luce  che  m' era  ancor  nuova, 
Segnelte,  come  a  cui  di  ben  far  giova  : 

*JS*  Cbo  ciascun  ben  che  fuor  di  lei  d  trova     Ti 
Piò  die  io  aMra  convien  che  si  muova 
Lo  vero,  in  cite  si  fonda  questo  prova. 

33*  Per  mLiorar  lo  cerchio,  e  non  ritrova,      13 1 
Tale  ora  io  a  quella  vi%ta  nuova  : 
L*  imago  al  cordilo,  a  come  vi  a*  isdova  ; 

ove 

.nr    Lo  secondo  giron  dal  terzo,  e  dove  5 

4(*  A  ben  nianiCestar  le  eoeo  nuove. 

Che  dal  suo  Idtn  ogni  pianto  rimuove. 

34*  Di  «ne  potenza  coclra  -1  aomoM  Giove,      02 
Fialte  ba  nume;  e  fece  le  gran  prove, 
Le  braccia  eh'  ei  mrn4,  giammai  non  mveve. 

33*  Prrch'  io  :  Maestro  mi<>,  questo  dii  muovoT  401 
On'l  celi  a  me  :  Avacclo  tarai,  dove 
VrKi;*'"'!  '  Il  caci'in  clie  1  fiato  piove. 
PcR.  E  se  nulla  di  noi  |.i-ta  ti  muove,  440 

0"    E  so  licito  m' e,  o  sommo  Giove, 


Soa  U  giasU  eceU  ImI  rivolti  altrovcT 

S3P  Faoco  di  apetaa  nabe,  qaando  piove        440 
Com'  io  vidi  calar  V  accel  di  Giove 
Non  die  de*  lori  e  delle  foglie  aaove; 
Pan.  La  gloria  di  Colui  che  tolto  maova  4 

4*    In  una  parto  più,  a  meno  altrove. 

3*    Ella  è  qoel  mare  al  qnal  tolto  ai  nMwre    86 
Chiaro  mi  fu  allor  com'  ogni  dove 
Del  aommo  ben  d'  un  modo  non  vi  ptove. 

4*    Già  tutto  il  mondo  quasi,  si  che  Giove,     82 
L' altra  dubitatìon  die  ti  commuovi 
Non  ti  potria  menar  da  me  altrove. 

7*    Non  ha  poi  fine,  perchè  non  si  muove        CK 
Ciò  che  da  otta  senza  mezzo  piove 
Alla  virtodo  delle  cote  nuove. 

42?  Pur  come  gli  ocelli,  ch'ai  piacer  che  i  muove  20 
Del  cuor  dfll'  una  delle  luci  nuove 
Parer  mi  fece  in  volgermi  al  suo  dova; 

W*  Perchè  non  toma  tal  qual  ei  si  mnove,    423 
E  di  ciò  sono  al  mondo  aperto  prove 
Li  quali  andavan,  e  non  sapean  dove. 

48^  Bima«ero  ordinate,  ai  che  Giove  M 

E  vidi  scendere  altre  Ind  dove 
Cantando,  credo,  il  ben  cb'  a  aè  to  bmovv. 

22f  Quivi  sostenni,  e  lidi  com'  ai  mnove        443 
Quindi  m'  appar>o  il  temperar  di  Giove 
Il  variar  die  fanno  di  lor  dove; 

24*  Solo  ed  eterno,  die  tutto  il  cid  maove,    431 
Ed  a  tal  creder  nt>n  ho  io  pur  prova 
Audio  la  verità  elio  quinci  piovo 

37*  Il  mezzo,  a  tutto  I'  altro  intomo  muore,  107 
E  questo  dolo  non  lia  altro  dove 
L' amor  che  il  volge  e  la  virtù  cb'  ci  piove. 

Nr.  Venia  si  piaa,  che  noi  eravam  naovl        74 
23*  Pereti'  to  al  Duca  mio:  Fa  che  tn  trovi  - 

E  gli  occhi  si  andando  intomo  muovL 
Pai.  Esperienza,  se  giammai  la  pruovi,  85 

2f    Tra  specchi  prenderai,  e  dae  rimaovi 
Tr*  ambo  li  primi  gli  occhi  tuoi  ritraevi. 


OYO 


RI 


iKr.  Clio  mi  commise  qoest'  aSeto  naovo; 
Kf  Ma  per  quella  virtù  per  cui  io  uMOVO 

Danno  an  da'  tuoi,  a  cui  noi  aiamo  a  pnmvo, 

oxlo 

Pai.  Sen  giva,  e  chi  aegacndo  taeerdorio,  S 

44*  E  chi  rabare,  e  chi  civil  negocio, 
r  affaticava,  e  chi  si  dava  all'  ode; 


l^r.  Quest'inno  ai  gorgoglian  aclla  atrooa,    423 
7*    Coti  girammo  dolila  lorda  pone 

C«in  gli  occhi  %olli  a  chi  del  fango  Ingozza . 
28"  r.on  la  lingua  tagliata  nella  Uroata,        4IH 

Kd  un  eV  avea  l' una  e  I'  altra  man  mvzu. 

Si  dio  'I  tani^ue  facea  la  facaa 


ozxe 

Pan.  La  saa  serittura  ften  lettere  m<«cac,  4 Si 

49"  C  parranno  a  dascon  I'  open*  aoaze 
Nazione,  e  duo  corone  han  fatto  bozze. 

oxsl 

I^r.   La  sconoscente  vita,  che  i  fé  toazl,  SU 

7"    In  eUrn)  verranno  agli  doc  rozzi; 

Ci'l  pugno  chiuso,  e  questi  m'  cria  moni. 


4  Divi!iit  caminu. 


"..'XJri;*^^'»" 


fc[in  II  (oal  J-ipp»  In»»  «■  «Ji 
UT  Mi  •  liMb  «Illa  inrli  Ut, 


OlwBliultfall^Mwàl^     ■ 
IM  niilu,  m  «a  tf  la  ^1 1« 
"Il  ifiMil     ■■    IMI 

l<«pW.Wbd<an.Mk^  « 

ObJ' •di  * ■■:  ki CWUa il^ 
c«  •>  •  DI  M  M>  Ihb  ihIii 


RIMARIO  DELU  DIVINA  COMMEDIA. 


105 


Pai.  Coiim  H  MgM  M  noodo  •  itP  noi  dad     t 

90P  Parò  che  tott*  quelle  vive  lod. 
Da  mia  OMmorìa  labili  a  eadocL 

acla 

Pim.  Per  tatto  Q  tempo  ehe  '1  rooeo  gli  abbraoU  :  187 
a^  Cba  la  piaga  dasscoo  «i  ricada. 


sr 


IIF.  Cooie  fi  cooTcrrebbe  al  tristo  bnee, 
Sàf  r  preiDereì  di  mio  concetto  il  raee 
Neo  Moia  tema  a  dicer  mi  eondooi. 

ada 

Congiorato  da  qnella  Eriton  emda, 
Di  poco  era  di  me  la  carM  noda, 
Per  trama  no  spirto  del  eerehio  di  Giada. 
Nella  quel  ei  distenda  a  la  'mpainda, 
Qniiidi  passando  la  vergine  cnida 
Senta  coltura,  e  d'  abitanti  noda. 
Cioè,  come  la  morte  mia  fa  eroda, 
Breve  pertocio  dentro  dalla  ninda, 
E  in  che  conviene  ancor  eh'  altri  li  ahladi 

ade 

l!ir.  Al  nocdiicr  della  livida  palode, 

3*    Ma  queir  anime  eh'  eran  laasa  a  soda, 
Ratto  che  'nte«cr  le  parole  erode. 

Wtr  Si  vider  mai  in  alcon  tante  erode, 

Qnant'  b  vidi  due  ombre  soMrte  a  nuda. 
Che  '1  porco  quando  del  porcil  ai  aeUada. 
PVft.  Cotesta  oblivion  ciilaro  eondiiudo 

9|f  Veramente  oramai  saranno  nude 

Quelle  loovrire  alla  taa  vista  roda. 
Far.  Che  Tagliamento  ed  Adiee  rìchiudai 

9^    Ma  tosto  Sa  ehe  Padova  al  paloda 
Per  essere  al  dover  le  genti  eroda. 

2-1*  Propositione  che  si  ti  oonchiode, 

Ed  m:  La  prova  che  il  ver  mi  ^tahiada 
Non  scaldd  ferro  mai,  né  battè  ancada. 

SQP  Del  Sol  piò  oltre,  cosi  il  eiel  si  chioda 
Non  altrimenti  il  trionfo,  che  loda 
Parendo  inchiuso  da  quel  eh'  e|^  [ 

adi 

Par.  Prima  Dominaaioni,  e  poi  Tirtadl| 
Si*  Peecia  ne'  duo  penultimi  tripodi 
L'altimo  è  tolto  d'  angelici  ladL 


2S 


» 


44 


Inr. 


ado 

Lasciai  1  collo,  e  sia  la  ripa 


tT  0  to,  aba  leggi,  adirai  noovo  lodow 

Qod  prima,  eli'  a  ciò  fare  era  pia 
Po  a.  A  me  rivolse,  qoel  feroce  drodo 
tr  Poi,  di  sospetto  pifno  e  d' ira 

Tanto,  che  sol  di  Uri  mi  fece  scodo 
Par.  Sitto  la  pfotccion  del  grande  scada, 
taf  Dentro  vi  naeaoe  1'  amorose  drada 
Benigno  a'  sooi  ad  a'  nimici  crado} 


r 


4» 

ne 

155 

ìb 

137 


Si  al  venir,  eoa  le  parola  taa. 

Or  va,  che  nn  sol  volere  è  d* 

Co*!  gli  dissi,  e  poidiè  meaee  foa, 
22*  Ad  artigliar  bea  loi,  ed  aabedaa  140 

Lo  caldi»  sghermitor  cobite  foa  : 

Si  alieno  tovlscata  1'  ale  laa. 
35*  E  miseU  la  coda  tr*  ambedaa.  iB 

Ellera  abbarbicata  mai  non  na 

Prr  1'  altrui  membra  avviticehié  la  na: 
2B*  Cd  eran  dae  in  ano,  ed  ano  in  dna:         125 


Qoaado  diritto  aopl*  dal  peata  tea, 

Par  appreiearaa  le  parole  eoa, 
82*  Per  la  freddare,  por  col  viso  ia  flaa         58 

Se  vaoi  saper  chi  aon  cotesti  dna, 

Del  padre  loro  Alberto  e  di  lor  fan. 
Pub.  Additandomi  oa  balie  poco  ia  aaa,  47 

4*    5n  mi  apronaron  le  parole  sna, 

Tanto  ehe  il  cinghio  sotto  i  pie  ad  ft». 
8*    Tacito  poscia  rigoardar  in  sue,  23 

E  vidi  osar  dell' alto,  e  scender  gioa 

Tronche  e  private  delle  punte  eoe. 
12*  Del  mio  Maestro  i  passi,  ed  ambcdoa         II 

Qoando  mi  disee:  Volgi  gli  occhila  gtaa: 

Veder  le  letto  delU  pianU  taa. 
15*  E,  Btmti  miurUonlts,  ftaa  38 

Lo  mio  Maestro  ed  io  soli  f*Vtdaa 

Prode  acquistar  aelle  parola  saa; 
10^  E  di  noi  parii  pur,  come  sa  taa  21 

Cosi  per  una  vece  dotto  fue. 

E  dimanda  sa  qoind  ai  va  eoa. 
18*  Disse:  Volgiti  in  qoa,  vedine  dna  181 

Diretro  a  talli  dieaan:  Prima  tu» 

Che  vedesse  Giordaa  la  rade  saa. 
2r  Simonlde,  Agatone,  ad  altri  pian  107 

Qoivl  ai  veggion  della  genti  taa 

Ed  Ismene  A  trista  come  fue. 
21*  Ed  io  rimasi  in  ria  eoa  esso  1  dae,  9B 

E  qaando  innanii  a  noi  éI  aatrata  Am, 

Come  la  uMnta  alle  parole  eao: 
29^  Vratiqoattro  seniori,  a  doe  a  «a, 

Tutti  eantavan:  Benedetta  toa 

Simo  in  etemo  le  belletso  toa. 
9T  Mise  taar  teste  per  le  parti  eoa, 

Le  prime  eran  comota  eooM  bae; 

Simile  ametro  ia  vieta  mai  aoa  flìa. 
Par.  Assai  mi  fo,  ma  or  eoa  ambedoe 
I*    Entra  nel  petto  mie,  e  spira  toa 

Della  vagina  delle  membra  tao. 
f*    Una  natura  ta  Cristo  as<er,  noo  plaa, 

Ma  il  benedetta  Agabite,  alia  tm» 

Mi  diriaaò  eoa  le  parole  sua. 
7*    £  qoeeta  è  la  ragioa  pcreliè  V  aoaa  tea 

Donqoe  a  Dio  eoovenia  con  le  vie  tao 

Dico  eoo  l' ana,  e  ver  con  antbadaa. 
8*    Tanta  s' avea,  e  :  Di,  chi  sa'  ta?  fte 

E  quanta  e  quale  vid'  io  lei  far  pina, 

Quand'  io  parlai,  all'  allegreno  saal 
II*  L'  altro  per  sapiinua  in  Urrà  tao  88 

Dell'  an  dire,  perocdiè  d*  ambedaa 

Perchè  ad  un  une  far  1'  opere  saa. 
18^  Che  r  amena  natura  mai  non  fon,  88 

Or,  s' lo  non  procedessi  avanti  piaa^ 

ConUncerebber  le  parole  tao. 
45*  Toa  cognasione,  e  aita  cent'  aaal  a  pian     88 

Mio  Aglio  fu,  e  tao  bLsavo  tao: 

Ta  gli  raccorci  con  l' opero  tuo. 
Il*  Clio  del  faro  e  dal  chieder,  tra  vd  daa,      74 

Coa  lui  vedrai  eolui  che  Impreaao  tao, 

Che  notabili  flen  l' opere  sue. 
SI*  Onde  riguarda  come  paò  lagglaa  l<N 

SI  Oli  proscrimer  le  parole  sae, 

A  dimaodaria  amiltoanta  chi  tao. 
2P  Del  aosira  Pellicaao,  o  qaasti  tu»  118 

La  Doaaa  mia  coei;  aè  però  plaa 

Poeeia,  ehe  prima,  alle  parole  aaa. 
ST  E  tal  adissi  credo  dia  ta  del  Am,  85 

Pel  pfocedetler  la  parata  aaa 

Cba  la  ■■alilaata  aoa  d  anta  pian: 


83 
148 

17 

14 
IM 

44 


affa 

Iir.  Ha  tolta  loro,  e  podi  a  qaacta  offa: 


RUIABIO  DSlU 


I 


Kr'3^K:;s:':^s:!r 

.e  2* '•^«sEtrtL-. 

IMI'  din  l»lsl>,  •  <h>  Mi  nm»  •InRt.  IM 

U  tif  «iD  irnWBlU  C  ■>■  Hnrti 

Cb.  eoa  eli  «clìt  •  a>l  uh  rio»  xKTi. 

QsiihI*  fCi^Aui  ■■  lliginpii,  (la  ■' ilUtf!.  <)• 

CU  ^  »-7.1f .  t^  >«  b  lulh. 

14*  1.  iK  H  «- l«l<^  pnvt.  M 

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Ot  r  iaiflu  l«  <li  plt  «'  udDii,       ea 

U"  Si  iV  f  XM  <' ■><  faU»  fa  ipMI 

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M  udito  Uri»  MI.  >uriD.u«<.(^   IS 

TkAialIrH'^Blciilhg* 

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0  niCLA  DIVINA  COHVEDIA. 

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tglirii  hS,  «cU^  ioti.  •  q».U  Igw 


''  Sito  SS^iSo'ìJS'^r'I"  ™ìS!^ 

ir  V  uUu  MBpUalu,  (la  >*  «111. 

IL  D»'  UrMn  iplrla.  H  eb.  ddIIi 

!•    DinoH  U  Ton  lut.  Ih.  Il  tM  InitiUi 

r  Ddli  in  Hprilan,  •<  •iHBr  hII*         I 


3*  Cb«  il  iloma  ^  Bfoi  ptrto  4 1 


CbiDtUr  Bi*Iim>l,  PO'  lo  brl<  icua: 


r  Qiillnwlla  iHoalii  «  liu  to 


Ck.q«lhllr"l">ll<'P*«t 

■0 

Iir   cmuiddlmlllkii.liu.dui        IM 

aiqil<.l<n|»rt.<.»r..i.o^ 

3'*  c-i  _  ..pp.  H  r«  !■  "'•^••: 

O»  >'  hU  rHU  HIUI  1:.  1»  .o1l«. 

VIA  inlpilli  riri  d  u  !»>  aodi.: 

V    IW Cp. X'mbmw»  pUp  p!riiat,  a 

O't.Hnpl.s<uU«.d..,0^c°,Ia. 

'**  S^tiTì' «Tur" rtl'o'i^.,     " 

CU  .bU  ni,  d*  emiri  '1  <!•«  Bu» 

D,h'  è,,  m,>al,  q»U'  »>l.  jilnmi; 

lta,tUÌmB:..<,.U<,\t^^ù,. 

Q...b..).I.P.«>'P»lP  •■-.>. 

l'io.  »H.,  .  .Oda,  .  ».lp,M 

"^  £1  JSiri'"  n™.'lil"l; 

fÌÌSS!<K°i!°,'i«7'.iu  l!»  ''"" 

B.tHt.|ù.d^^«<.MI>.lfa..., 

n 

IO'TuW.<l*pl.lpt«tMUIu>         n 

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RIMARIO  DELLA  DIVINA  GOVMBDIA. 


107 


ComineU  dooqw,  •  dì  ove  •'  «ppanU 
La  Ti»U  ia  U  •marrita  e  non  derunta  ; 

ante 


137 


Ijiff.  Dissa:  Chi  fosti,  chv  per  tante  ponte 
43"  E  qoegli  a  n«ii:  O  «niine,  che  giunto 

C  lia  le  mie  frondi  n  da  me  di>>j:iuntC| 
4 ir  Perebè  A  forte  guizzavan  le  gionte,  2(1 

Qnal  soole  il  fiainmaggiar  delle  ooea  onta 
Tal  era  II  da'  calcagni  alle  ponte. 

antl 

Nr.   L*anticoTer«>;eqaando  anolftor  KÌaatl,20 
IC*  Qaal  aoulen  i  campion  far  nodi  ed  «oti, 
Prima  dia  aien  tra  lor  battati  a  ponti; 

auto 

Tant*  era  pten  di  sonno  in  ra  qnel  pvnto,  4 1 
Ma  poi  ch^  io  fai  appiè  d*  on  culle  (Inalo, 
Che  m' avca  di  paora  il  cor  eumpontoi 
Da  ogni  mano  all'  opposito  ponto,  S3 

Poi  H  Tolgea  ciascun,  qoand'  era  gionto, 
Ed  io  eh'  avea  lo  cor  qoaai  componto. 
Pia  noalra  oooosccnra  da  quel  punto,      407 
Allor.  coma  di  mia  colpa  eompooto, 
Clio  '1  MIO  nato  è  co'  tìtì  ancor  eongiimio. 
Che  fa  natnra,  e  qoel  eh*  è  poi  aggionto,  63 
Onde  nel  cerchio  minore,  ot'  è  '1  ponto 
Qoalonqoe  trada  in  etemo  4  eontonto. 
Fermò  le  piante  a  terra,  e  in  on  pania    423 
Di  clw  cia->can  di  colpo  fu  componto. 


mff. 

4* 

!• 

44* 
«• 


Però  si  moase,  e  gridò:  To  se'  giunta» 


410 


PIM. 

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r 
ir 


2r 


Quando  mi  Tohi  tu  paMa^ti  il  ponto 
E  ne'  or  «otto  V  emispcrio  giunto 
Cnvercliia,  e  sotto  '1  cui  c»lrao  coosaito 
Già  era  il  sole  all'  orixzi>nte  giontO|  4 

Jeras«l«'m  col  sbo  più  alto  punto: 
Perche  fuoco  d'  amor  compia  in  nn  poato  88 
B  Ih  doT*  io  fermai  cotesto  ponto. 
Perchè  il  prrg'i  da  Di»  era  tli«giunto. 
Falti  sicor,  cnè  nui  siaro»  a  huon  pula:  47 
To  ee'  ornai  al  Purgatorio  giunto  : 
Tedi  r  entrata  U  've  par  disgiunto. 
Uomo  sì  duro,  che  n«n  fosM  ponto 
Che  qoando  foi  ^\  presso  di  liir  giunto. 
Per  gli  occhi  fui  ili  grave  dohtr  muntoL 
Iton  vedi  to  ancor:  quest'é  tal  ponto 
Si  clie,  per  sua  dttllrìna,  fé  di>igionto 
Perette  oa  lui  non  vide  orbano  assunto. 
Anzi  el;e  «imo  in  sé,  mirandi»  il  itonto 
Mentre  eh'  i'  era  a  Viri;ilii»  congiunto 
K  discendendo  nrl  mondo  defunto. 
Forte  sospcM»,  disse  :  Da  quel  punto 
Mira  qo«rI  cerchio  die  pio  gli  è  cnngtmlo. 
Per  r  affocato  amore,  ond'  egli  è  ponto. 


53 


« 


47 


41 


^AB.  Dire,  color  che  aaano  il  noma  tao  :  74 

2S^  Tu  mi  stillasti  con  lo  stillar  ano 
Ed  in  allrei  vostra  pioggia  rapivo. 


api 


P(  R.  Tanto  piò  trova  di  can  farsi  lopl 
44"  Discesa  fioi  per  più  pelaghi  cupi, 

Che  non  temono  ingegno  che  la  ocevpL 


So 


\yr.  E  disse:  Taci,  maledetto  lopo:  t 

7<*    Non  è  senza  cagiim  l' andare  al  oipo: 
Fé  la  vendetta  del  superbo  «tropo. 

appe 

rrn.  Voglio  dia  to  ornai  ti  disviloppe,  33 

33"  Sappi  che  il  vaso,  che  il  serpente  nappe, 
Che  vendetta  di  Dio  non  teme  aappe. 


¥v*.  Per  gli  occhi  il  mal  die  tetto  il  mondo  ocapa,  8 
28*  Maledetta  sia  tu,  antica  lupa. 

Per  la  toa  fame  senza  fine  copa  t  j 

ape  j 

Fan.  Immagini  chi  bone  intender  eu|>e  I 

43°  Mentre  eh'  io  dico,  come  ferma  rape)  ' 


Inr.  Mi  ritrovai  per  ona  selva  oscsra,  2 

4*    Ahi  quanto  a  dir  qoal  era  è  cosa  dora 

Che  nel  pensier  rinnova  la  paora! 
2*    Di  cai  la  fama  ancor  nel  mondo  dora,       SO 
L' amico  mio,  e  non  della  venterà. 
Si  nel  cammia,  die  volto  è  per  paora: 
4*    Sette  Volte  eerdiiato  d' alte  mora,  407 

Qoesto  passammo  come  terra  dora  : 
Giugncuimo  in  prato  di  fresca  verdora. 
8*    Ripiidiera  soa  carne  e  «oa  Agora,  08 

Si  trapassammo  per  sozza  mistora 
Tocrandii  on  poco  la  \ita  fetore: 
44**  Por  lo  %  incoi  d'  amor  die  fa  natora:         98 
Ipocrisia,  lu^ingha  r  chi  afiattura, 
Rufllan,  baratti  e  simile  lonlora.  ^ 
48*  Tra  i  peno  e  '1  pie  deli'  alta  rìpa'dora,      8 
Quale,  do\e  per  guardia  dello  mora 
La  parte  doT'  ei  s<»n  rende  Agora  ; 
24*  Che  la  mia  G>mmrdia  cantar  non  cara,       2 
Rislrmmo  per  %eder  l' altra  feuara 
E  \idila  mirabilmente  oscora. 
23"  Avendo  più  di  lei  clic  di  eè  cara,  41 

E  giù  dal  c<illo  della  ripa  don 
Clw  r  on  dei  lati  all'  altra  bolgia  tara. 
2S"  8*  appiccar  si,  alia  in  poco  la  giontora      407 
Togliea  la  coda  fessa  la  Agora, 
Si  facce  molle,  e  qoella  di  là  dora. 
28*  E  \idi  cosa  di'  io  avrei  paora,  413 

Se  non  che  c<m<icienzia  m'  atsicora. 
Sotto  1  o<ibergo  del  sentirti  para. 
31*  Lo  sgoardo  a  poco  a  poco  raHIgara  3S 

Gisi,  forando  1'  aura  gr>sMi  e  scora, 
Fnggrmi  errore,  e  giognémi  paora. 
roB.  Cli  colombi  adunati  alla  pastura,  423 

2f    Se  cosa  appare  ond'  elli  abbian  paora, 
Percliè  assaliti  a  <n  da  maggior  con; 
3*    R'itto  m'  era  dinanzi  alla  Sgara,  17 

lo  mi  «oUi  da  lato  eoo  paura 
Solo  dinanzi  a  me  la  terra  o^icnra  : 
9^    Giovanna,  o  altri  non  badi  me  cara;        83 
Ed  io  a  lai  :  Quel  forza,  o  qoal  ventora 
Che  ni»n  si  sep|ie  mai  tua  seit<)ltura  ? 
8*    Monaldi  e  Filippescbi,  aom  senza  cara,    407 
Vien.  erodel,  vieni,  e  vedi  la  pressora, 
E  vetlrai  Santali-ir  com'  è  s'icnra. 
8**    Quanto  in  lemuiina  fnoc<>  d'  amor  dora,    77 
^on  le  fark  si  bella  K-|Hillura 
Com'  avria  (alto  il  galU>  di  Gallura. 
0^    E  che  muti  io  conforto  sua  paura,  83 

Mi  cambia'  io:  e  come  senza  cura 
Si  iiii>Hse,  ed  io  dirrtro  in  ver  1'  allora. 
IQT*  Per  ineiiMiIa  taUolta  ona  (ì.:ura  fSf 

La  qiu!  fa  del  non  ver  vera  rancora 
Vid  IO  ador,  qaaado  feti  b«a  «ìx'k. 


^^^^^^^^|H 

(OS                               nlKktllO  DELL»  DIVI»*  COUUDU. 

ICtrWiHiTn^UnllKteiJgn,           « 

Ck^II.  Cmtitt  <Mt  rl>lu> 

e  ^wi  .rr»  <v  ■■■I  •»' MM 

Cb.MI.'^.«l.*_i«, 

iCCJirMinic^tsi!' 

«•Bi>«4»(U9«M..ibi(^   e 

.^J'.VT^Jl^jK^'^'J.jT    TT 

Sjcrssa'jr» 

"'  ■."«'nsr'i  »Sn.^.'«  Dii  «r." 

■rajgrri,r;;avaa* 

Cai»  Il  r>ll«>  •4»ri  tal  [tlUn. 

■  »•  Qwd  pl>i»>  •  u»',  «VII»  t  oUm.      ai 

u  r?pu>'ùrtir^t  C>V' 

■t-r«^  >■  *!L>b^  IimS^^^H 

■«■  T,»!.^  .p»  4KlU  aul.n.                 » 

!>««><.:  IpUU,  il  ni  yliDlir  Mton 

si-t«.'^''(?'iS^T^~'^;;.r"i.« 

'''ir'jtjirtaiu'ttisrsi."™.,  " 

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HMil>i>(W«tÉMwMM»          W  ■ 

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P  QulBlMUsiMHr^iiri.u.u..      M 

Nr  viji d> b  •Unta Iwpum) 

IThIIj;  i!r  """'■'T^'i'^i  1 

^^            U  «•  «  Mlnlb  Ul  ulw*. 

&  ditn  '•-  Iwl  «M.  Htan 

^H      H'cM*itrtbiifal.Utia>^>w>            ai 

OrD    ..l.»L,t,,«|(in. 

CM  <W  *  tMU  il —D*»  h  PHimi 

mrZM 

4l>UM<«niMl>ll<H<wl1l«,          <» 

„wc=:sj2r.=s,     . 

BtTc.vr^^'j;!!'^ 

salisi"^  Eti—^- 

■»«• 

■r  »•  i<  ■»  twte  .  r  iBn  bhTIts 

tlH  lu(ln  nwd  t  f(bi41  il  iklBL 

Tiu.  a  r>M  i«  iMk  iw  1.1. 

niMAFlIO  DELLA  DIVINA  COMMKDI.V. 


HM) 


iir;;<> 

r''  H    Son  Goido  Guinicelli,  e  ^n  mi  purgo  'r2 

2Br  Qaali  nella  trìatitia  di  LicarKo 

Tal  mi  fae*  io,  OM  non  a  taalo  iaivrgo, 

ari 

Inr.  Tiatm» «M, Amt tk* IIM«0n dori,        44 


44*  CU  è  «Mi  cruda  tka  non  par  ebt  enri 
A  dM  fa  pioggia  naa  par  cìw  1  martnri? 

W*  D' ineenararli,  t\  eha  pia  non  dori,  I  f 

Per  tatti  i  ccrdii  ddl' lofanw  oaeni 
Non  qocl  che  cadda  a  T«b«  giù  da'  anri. 
Pri.  E  gimtitia  •  •perania  fan  man  dori,         77 

19^  Se  voi  Teoite  dal  giaear  slairl. 

La  voatra  destre  alen  acnpre  di  tari. 
Pai.  Chi,  per  amor  di  tota  die  non  dnri  1 1 

Vf  Qoala  oer  li  sercn  tranqoiUi  e  p«r{ 
Morando  gli  occhi  che  «tevan  denri, 

S9P  Tn  aai  che  tante  Tolte  la  flgnri,  S3 

Lara  la  testa,  e  fa  che  t'  aMienri, 
ConTien  eh'  a'  noatri  raggi  aft  aalvi. 

arll 

iRff.  E  il  nna  pnrie  e  f  altra,  eoa  ginni*  vU  il 
7*    Pereotaranal  incontro,  •  paada  nnr  B 
Gridando:  Perchè  ti«iT  •  pmhè  karilT 

amo 

P«M.  Ndr  ora  che  non  pnò  il  caler  dinmo  I 

«9^  Vinto  da  Terra  •  tnlor  da 


Inr.  Se  non  eteme,  ed  io  eterno  dnro: 

•*    Qneete  parole  di  colore  oecnro 
Perdi'  lo:  Haeetre,  U  tcnse  lor  ^  è 

9*    Ch*  ella  mi  fece  entrar  dentro  a  and 
Queir  è  'I  pi*  basco  loco  e  1  pi* 
Ben  so  1  cnmadn  :  però  ti  tà  seenra. 

•r  Di  onesta  CooaMdla,  lettor,  U  givra,       Itt 
Ch>  io  vidi  por  qncU'  acr  groaao  •  tmn 
MenvigUoan  ad  ogni  eor  sknro; 

31*  Ogni  nem  v'«  harattier,  ftaer  che  IwImu:  41 
Uggi*  '1  bnttd,  e  por  lo  acoglb  dnn 
Con  tanta  fretta  a  segnitar  le  tara. 

2IP  Non  polann  ire  al  fendo  per  1*  eacnin:       TI 
Dall'  dti«  dngUo,  e  dlsaentiam  In  mm  ; 
Cod  già  veggio,  e  niente  af^nin. 

21*  Otte  vetU  U  eodn  d  dosso  dnre  :  49 

Diaao  :  QnaaU  è  da' rd  dd  fnoeo  hn  : 
B  d  vedite  andando  mi  rancar*. 

3iP  Perso  d*  esser  nemato  d  escara.  4M 

QndU  aonA,  eooo  foese  nn  tawiaw 

«o  dM  non  parve  nMB  Ibn, 

44 

419 

4U 


Cd  braedo  ano  dM  non  parva  nMB  iam 
9T  Che  dd  nd  loco,  ondo  pariare  è  data, 

CocM  nd  fnmmo  già  nd  peno  acnia 

Ed  lo  idrava  ancora  air  dte  mar», 
Pan.  Lor  oca  girh  ;  ma  non  perh  die  paia 
4«*  O  Ofdia  de*  Pantdi,  slraro 

Chi  far  lo  possa  tralignando  aacaia. 
«S*  Vano  di  nei.  oooim  la  notte,  osoMa, 

Qaaato  no  tolse  gli  occhi  e  P  aor  naia, 
sr  VolfiU  la  qaa.  e  vieal  dira  deara. 

Qaaado  mi  vide  star  par  fcnaa  a  éMa, 

Tra  Beatrice  e  te  è  qaesto  mra. 
Pai.  Fatto  avea  prfaaa,  *  pd  era  fattala, 
i^   Divoata  in  apparsnia  poco  *  oc 

CoB  occhio  chiara  a  aoa  aBsUa 
tfP  SlapaUo;  e  pd  mi  riian 

BcMBlndal:OpoM,ch 

A  cai  rianana  sposa  è  9glla  a 


vo 


443 


{J     I  i  t"  .1.    in  '  ■  1  t  •,  .|iii  '■I.'  '..ri')  il  II  m; 

Il  I    <|ll'  -ti    I    llt<  ,   <.||<l<-    il    li  T«>   *-    III  it«ll> 

yuri  clif  cn-dittcri)  la  Cristo  veuluru. 

arpa 

Pai.  Di  qadla  leggo,  il  cai  popolo  asarpa, 
15°  Quivi  fa'  io  da  qaatta  gaato  tarpa 
Il  cai  aoMW  ■olla  anima  ddarpa, 

orro 

IPF.  In  ana  horta  gialla  vidi  anarro, 

47*  Pd  procedendo  di  mio  sgnardu  il 

Mostrars  aa'  oca  bianca  piò  die  ' 

arto 

iRr.  Dd  fosso,  eha  neasana  mostra  il  fàrto,     41 
99*  le  stava  sovra  'I  ponte  a  veder  sarto, 
Caduto  sard  gih  scasa  aaaar  arto. 


74 


Int.  Che  1  tiea  legato,  o  anima  oeafaaa, 
91*  Pd  disae  a  me:  EgU  stesoo  a'  oacBM; 
Par  an  Ungaafglo  ad  msado  aaa  a'aaa 


Pia.  Ch*  U  malo  amor  ddP  < 
4r  Seaaado  U  aeaU'  osaer  rieUasa: 

Qadfan  sUU  d  fdb  dogaa 
4r  Al  caaU  mio;  e  qad  moao  a'  i 

LaagfaoMo  me  per  far  eeld  eeatasa. 

94*  DI,  A,  ae  qaest'  4  vera;  a  tanta 
Era  la  mia  viltà  taato  coaftera. 
Che  dagli  orgaai  sad  fosco  discbiasa. 

93^  Meaalo  ad  ceso,  e,  ceam  ta  so*  asa,. 
Como  aaima  gentil  cho  nea  fa  scaaa, 
Toeto  com'  è  per  aegao  faer  diacUasa; 


4» 


Pai.  Ndando  od  a  Skhao  od  a  Croaaa, 
9^    Né  qaella  Rodopea,  che  drlasa 

Qaaado  iole  ael  caora  ebbe  richiaaa. 
4S^  $•  fede  mcrta  aoetra  maggior  mata, 
O  smagmia  mmu,  o  mptr  infkam 
Bit  mmfnémt  mriiJmHmm  ndtum? 
Il*  Ddlo  9pirÌto  9anto,  eh'  è  diffosa 
ft  silleflamo,  cho  U  mi  ha  eoachlasa 
Ogai  iimaatrariea  mi  pan  ottasa. 


Pak.  CV  lo  traval  1,  d  fa  prima  corvaica, 
47*  ladi  rlspooo  :  Coadsau  tasca 
Par  oaatiih  la  laa  parala  brasca. 


«3 


ta 


lar.  Al  lovaar  ddla  amata,  dM  d 
r    Che  di  tristida  tatto  od  coafaao, 
M*  Peneah*  lo  ferite  soa  ricUasa  41 

Ha  ta  chi  so'  dM  la  sa  lo  aenU»  ■mc, 
CV  è  ciadicata  la  sa  le  toa  accasa? 
Na.  Sovra  la  facda,  nea  mi  serica  ihlaaa      439 
41*  a*  «ho  vededi  fa,  perdd  aoa  scaaa 

Che  dalP  etera»  foele  son  diffase. 
Par.  Prima  ch*  an'  altra  d' aa  cerchie  la  drfase,  9 
IT  Caato,  dm  tanto  vinco  nodra  OMao, 
QnanU  primo  splendor  qad  eh' a'  itfaaa. 


Isr. 


Par. 

r 


ani 

Malara  e  trasmalara;  a  qal  mi 

Ed  awcgaacb*  gli  occhi  mid  coahd 

Nea  poter  qad  foggird  taato  i    ' 


Patgi'mi,  a  ad  sa'  abile  id  chtasi, 
Oemlal  poi,  a  md  pi*  eh' a  boa  ad. 
Dio  lo  d  sa  ^aal  pd  mia  vita  fmit 
17*  Per  tao  pariarr,  ma  perdi*  t>  aad 


I4i 
194 
U 


0  PELU  oiTiRi  conuiik. 


•   I^IUMil».. 


1 

I 


zrDi'rtB.ÙnMHd^tavT^     DI 

V  K  !•  iMua  iiJi^  l.bli  «w.  III 

uwl'  Ir  ••  sanali  Iti  Ilio  mUmt 
«iIhI,  •  «l>U  «_«■  il  «do  iMm. 

*i-Ml>«*^Mi<i,li<>i>iu*  a 

V  lill(llcl^U(nfaaiaiiiÌH<w.     U 
piityi  «•••*  iHi*  iMfiidiT  a'  •«  iUhi 

E  tal  lU  «dTìl^IllH  >  oJìrll. 
T*    ■iImAMit,  pMIMinUrlriiB.        M 

QhMi  dInkMaii  laiw  il  WH  ; 

Mi  pvfiV  la  aamwntait  IruppB  cl4«i>t 


0  DELI  A  nrTIDA  COMHEDIA. 

M  !  Or  dinU  Jm^  (  «kJ  c^i 
lì'taM  liuto  éBf  T^tfglU  VVtd, 


ni.  A«r  HBata  11  tal  1'  •■•1  liiliii, 
29*  Mimi  ^iEiwh.  •!  la  llilala 


^fl^:?r*".'i^^ 


swMli 


r  (Hill  1  tUMlJll  wiDtuiri» 


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l'E.pind.lliBll.tolliliil' 


•  •IHllMFS>)W>'«t|«lU. 
em4d  ipnic.  af{Hi  «Milo  tnlU  ; 


•  a  riiHHirr»  I».  il- ili  .11»  mu 


^ 


MiÌSmIU 


ut 


inUMO  MUA  BlflHA  COOIMA. 


tttito    m 


I»  Di*  tt  iMoi,  Ml«,  pnOir  inUlt 
Cmi^  to  p«lM  taMr  to  vlM  MtMto, 

B  poi  eh*  te  a  teff»  il  Attratti^ 

Binwwiiiiliwprito 

MP  ?e<l  ofgtaMi  qMHl^  M 

r  «i  te  il  M  coB>  «ril  è  «ra  kalK 

B«4tt  4a  tei  piMiMn  «gli  tatto. 
PC».  Cb*»  M  potato  «fwto  voter  tatto, 
1*   Bdiitar  votato  tvn  fratto 

W 1— iltrto  è  <oto  te  pit  tati», 
ir  Pw  IMO  ol  ctoto,  il  OMM  M  tatto 

lo  etil  itoio,  te  voi  fa» 

rlwbti^lolW«,op•r■•ll 
ir  Or  to' h»l  poièitoi  i*oiM 

Coso  li  frWM  tt  §«■•,  «fV»  tt  I 

Cbo  fratto  gSìn  pri»  obo  Mite  tatto; 
a*QalnfaMVonioavi»o«ocalftattoi    44t 

U  ■TfiToW  ijatotra  altor»  tatto 

Mito  ftvooa  P  aittao  oiolialto: 
rA».?MiadioiMaBlnMk«ratto  li 

MP  B  pinM  faio,  qaab  or»,  ta  cootiilto. 


hofaBd 
Niaia»a«d,4oÌal 

«horiaflMloI^ 


«*» 


I» 

sèi*  «Mi»  ila 
toaOM^ttlaltofl 
okolowvteaitan 


tewSSft 


Iif. 

ir 


•Mtoa 
latto  <1 


•A».  (Mk  fi«tl  «tf  to  «0^  o«  d 
ir  Otoimito tetra. •  ooAav lo 
Cho  gih  por  b»ialtai»  la  P 


FIMR. 


US 


RIMARIO  DELLA  WWmk  COMMEDIA. 


••  Me  ti  Utel,  Mtor,  pnodar  fratto 
Con*  io  polea  tener  lo  Tbo  ««efaittOf 

3t"  CoaÉ'  «1  •'  MoeM  e  «ne,  •  ceaor  totlo      lOl 
B  noi  ebo  te  ft  t«m  al  distratto, 
E  in  «pel  aiedasao  ritoniA  di  batto: 

34P  Vedi  oggiBMi  qnont*  «hot  d«o  q«el  tatto  tt 
8*  d  fti  d  bd  con'  egli  è  ora  bratto, 
Bondoe  dft  lai  pMcederi  ogni  latto. 
Pi  r.  CM,  m  potato  ovoito  «odor  tatto,  tt 

3*    E  diiUr  vodisto  Mata  fratto 

Ch'  otcmalnaBto  è  doto  lor  per  latto. 

10*  rar  taso  al  dolo,  il  eana  ao  tallo  AB 

So  eoa!  inae,  in  tot  fora  dialiallo 
Par  boa,  loUdt,  o  per  aMlo,  «ver  bHlo. 

ir  Or  n'hai  peidaU;i>8oaoosaadM  latto,  SS 
Coiao  d  friace  U  aamio,  ovo  di  batto 
Cbe  fratto  gnaia  pria  dio  MMia  tatto; 

28^  Oaiprinaveraioaipro  od  ogni  fratto;     14S 
lo  ni  riToU  addietro  allora  tatto 
Udito  avean  l' aitino  coatratto: 

Par.  Vide  ad  aoanoUnirabUo  fratto  SS 

^  E  perdi*  foaae,  qaale  era,  in  coatratto, 


ckafa 


iadi 


Del  peeMniva,  41 4 
Sr  Sotto  bMiaiatowl 

Avvenga  che  da  U 

2r  Cantra  U  piacer  di  Dm, 

Ch*,  qaanhuiqaa  la 

Non  di  paraalo,  aè  d'olm  iih 
»*  Dd  trionfo  4ì  Crialo,  a  latto  11 

Panairi  aha  >1  eoo 

Che  paatar  oai  eocvtai 
SriCdP  oaior  eoo  raggto 

Cennaato  fc  ordiio  « 

NelMndQ.iacb 


Pai.  QaeDe  gcaU  di>  to  dltoo,  edd 
4S*  Che  averi*  dentro,  «  aeotoav  b 
Ch*  gii  per  barattai*  ha  r 


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HARVARD  COLLEGE 
LIBRARY 


IHE  GIFT  OK 
EDWARD  HICKLING  BRA[JI'ORD 

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OF  BOSTON